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OTTAVA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo volume -sesto della serie ottava -copre i primi sei mesi del 1937, un periodo più ampio dei precedenti volumi di questa serie che si riferiscono ciascuno ad un quadrimestre. Non sono però mutati i criteri di scelta. La selezione ha privilegiato, innanzitutto, il materiale attraverso il quale si può ricostruire l'azione concretamente svolta da Palazzo Chigi ma, come già nei volumi precedenti, è stata inclusa con larghezza anche quella documentazione proveniente dalle diverse sedi diplomatiche, in cui sono contenute notizie e valutazioni che contribuiscono a spiegare le origini e gli scopi delle decisioni che vengono prese e che non di rado esercitano anche un'influenza sugli orientamenti di fondo della politica estera italiana.

La guerra civile spagnola costituisce anche in questo periodo l'avvenimento più importante per la politica europea e, ancor più, per la politica estera italiana. Le sue ripercussioni sono anche maggiori di quelle che si erano avute nell'anno precedente, conseguenza inevitabile del massiccio intervento effettuato prima dall'Unione Sovietica, nell'ottobre-novembre 1936, e poi, all'inizio dell'anno, dalle Potenze dell'Asse. Il vastissimo materiale contenuto negli archivi italiani su la guerra di Spagna è stato quindi selezionato con particolare larghezza, beninteso limitatamente agli aspetti che hanno rilevanza sul piano internazionale. Non trovano qui posto i documenti, assai numerosi, relativi alla situazione interna della zona nazionale, salvo quando non siano connessi più o meno direttamente all'azione del governo italiano, come nel caso delle pressioni esercitate sul generale Franco per indurlo a creare un partito unico o dei ripetuti passi compiuti a Salamanca perché fossero mitigate le misure repressive adottate nei confronti dei prigionieri di guerra e di quelli politici. È stata altresì omessa la documentazione relativa alle operazioni militari, per la quale si rinvia ai volumi editi di recente dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, né sono stati pubblicati -salvo pochissimi casi -i resoconti delle riunioni del Comitato di non intervento inviati dall'ambasciatore Grandi, dato che i verbali ufficiali furono subito resi noti e pubblicati dalla stampa.

La documentazione conferma, innanzitutto, l'influenza determinante che il conflitto spagnolo ebbe nel provocare una divisione delle Potenze europee su base ideologica e quindi tale da creare una contrapposizione non suscettibile, per la sua stessa natura, di essere superata con dei compromessi. È una situazione che si era già delineata con chiarezza nell'anno precedente ma che diviene ora l'elemento più caratterizzante del quadro internazionale anche per i riflessi che si hanno sull'opinione pubblica di molti Paesi dove si crea una spaccatura verticale che ha un effetto quasi paralizzante su la politica estera del governo.

Per quanto concerne più direttamente l'azione dell'Italia nel conflitto spagnolo, vi è la conferma che i primi mesi del 1937 costituirono un periodo particolarmente difficile, anche per i contraccolpi delle vicende militari nelle quali le forze italiane avevano ormai un ruolo di primo piano: dal fulmineo successo di Malaga, agli

IX

inizi di febbraio, che sembra aprire la prospettiva di una serie di facili vittorie grazie alla superiorità del corpo di spedizione italiano, alla sconfitta di Guadalajara, poco più di un mese dopo, il quadro subisce un mutamento profondo -e inatteso -che si ripercuote in primo luogo sui rapporti con il governo del generale Franco nei cui confronti la forza contrattuale del governo italiano subisce un forte declino, ciò che rende più evidente i punti di frizione tra Roma e Burgos. A parte i dissensi circa la condotta delle operazioni militari, di cui il materiale qui pubblicato coglie soltanto alcuni riflessi politici, è significativo a tale proposito l'atteggiamento dilatorio tenuto da Franco di fronte alle pressioni che vengono fatte da Roma -e personalmente da Mussolini -perché realizzi un partito unico o la resistenza che oppone al suggerimento di avviare delle trattative per una resa negoziata dei baschi che Roma desidera per chiudere il fronte settentrionale e per creare un precedente che possa essere seguito da altri settori nemici ma alla quale Franco è contrario per motivi di politica interna in quanto solo una soluzione ottenuta con le armi lo lascerebbe interamente libero da condizionamenti. La resistenza di Franco è peraltro facilitata dal fatto che gli interventi italiani nelle questioni interne della Spagna nazionale non hanno carattere organico e sono nel complesso piuttosto limitati, come sostanzialmente modeste risultano le iniziative in campo economico, soprattutto se si considerano le possibilità offerte dalla situazione e si confrontano con la penetrazione sistematica che sta effettuando la Germania nazista.

Le vicende del conflitto spagnolo fanno sorgere delle divergenze anche con Berlino. All'inizio dell'anno, la visita di Goering a Roma fissa gli aiuti che Italia e Germania invieranno a Franco, aiuti che in quel momento sono considerati «definitivi», cioè sufficienti per assicurare la vittoria finale dei nazionali. L'accordo sancisce, però, anche il diverso tipo di impegno dei due membri dell'Asse perché da parte tedesca ci si rifiuta nettamente di inviare in Spagna delle forze di terra rilevanti come stanno facendo gli italiani. E a partire da marzo, quando si manifesta la necessità di inviare altri aiuti ed è chiaro che il conflitto è destinato a prolungarsi ben oltre il previsto, acquista pieno rilievo la differenza di fondo che esiste tra la posizione di Roma e quella di Berlino. La diplomazia italiana aveva già percepito, negli ultimi mesi dell'anno precedente, questa differenza ed aveva anche individuato i motivi che spingevano Berlino a limitare il proprio impegno in Spagna: l'opposizione dei militari, preoccupati di vedere i loro programmi di riarmo turbati dall'invio degli aiuti a Franco ed il timore, diffuso in vari ambienti tedeschi, di essere coinvolti in complicazioni quando la Germania non ha ancora recuperato la forza necessaria per affrontarle. Ora, però, altri motivi, sotto certi aspetti più preoccupanti, cominciano ad apparire agli occhi dei diplomatici italiani. È la constatazione che i dirigenti tedeschi, forse lo stesso Hitler, sono sensibili al crescente malcontento popolare che si manifesta di fronte ai sacrifici derivanti dall'intervento in Spagna. Soprattutto, ci sono le notizie, confermate da più parti, secondo cui a Berlino guadagna terreno la tendenza a considerare il problema spagnolo come di prevalente interesse dell'Italia, con la logica conseguenza che si desidera ridurre i propri impegni non solo in termini di aiuti militari ma anche sul piano politico.

Il fatto appare tanto più rilevante in quanto il mutato atteggiamento di Berlino non sfugge all'attenzione degli altri governi e fa nascere altrove la speranza di poter isolare l'Italia nella sua politica di pieno appoggio alla causa dei nazionali spagnoli e di indebolire la solidarietà tra le Potenze dell'Asse. Di qui l'allarme che si manifesta in questo periodo nella diplomazia italiana ogni qualvolta c'è qualche segno di un riavvicinamento tra la Germania e le Potenze occidentali, che si tratti delle simpatie suscitate a Londra dal Maresciallo von Blomberg in occasione della sua visita per le feste dell'incoronazione o dei discorsi filotedeschi del nuovo ambasciatore di Gran Bretagna a Berlino, Henderson, allarmi che raggiungono l'apice quando, a giugno, viene annunciata la visita in Gran Bretagna (poi annullata) del ministro degli Esteri tedesco. Sono soltanto ombre che, però, indicano come, nonostante la sbandierata amicizia italo-tedesca ed il progressivo coordinamento che ora c'è nella politica di Roma e di Berlino, sussistano da parte italiana delle incertezze di fondo circa la solidità dell'Asse.

Preoccupazioni giustificate perché, a parte il diverso modo di guardare al conflitto spagnolo, vi è in entrambi i governi la consapevolezza di non avere ancora chiarito reciprocamente gli obiettivi e i tempi della loro azione e di non aver trovato una soluzione ai conflitti di interessi che li dividono. Ciò risulta con particolare evidenza in occasione dei già ricordati colloqui di gennaio con Gòring. Le dichiarazioni che il Maresciallo fa in quella occasione appaiono di singolare interesse non solo perché indicative dello stato dei rapporti allora esistenti tra i due Paesi ma perché anticipano alcuni temi che più tardi verranno sul tappeto in sede di trattative per il Patto d'Acciaio: il riconoscimento degli interessi italiani nei Balcani, circa i quali vi è una preoccupante riserva tedesca per la Jugoslavia; la richiesta di Hitler che per tre o quattro anni Mussolini eviti di provocare un conflitto tra le grandi Potenze; la disponibilità della Germania a sottoscrivere un trattato per il rispetto della frontiera del Brennero. Quest'ultimo punto ha come evidente presupposto la realizzazione dell' Anschluss e Goring, del resto, è in proposito perentorio nel dichiarare che mai il Reich tedesco potrà rinunciare all'Austria. Aggiunge, anzi, che l'annessione dell'Austria è essenziale se si vuole trasformare l'Asse in un'alleanza, che sarà possibile solo se tra i due Paesi vi sarà una contiguità territoriale. Ad ogni modo -precisa il Maresciallo -per il momento la questione è accantonata e su la base di questa «moratoria», di cui Mussolini sembra accontentarsi, la questione austriaca ha, in questi mesi, un'incidenza tutto sommato limitata sui rapporti tra Roma e Berlino che anzi trovano un punto di incontro nella comune opposizione alla prospettiva di una restaurazione degli Asburgo.

Sintomi significativi di cambiamento si hanno invece tra Roma e Vienna. La diplomazia italiana constata la crescente sfiducia degli austriaci verso l'Italia e registra le loro iniziative a Parigi e a Londra per trovare appoggi a difesa dell'indipendenza del loro Paese e, in questo quadro, la tendenza ad un riavvicinamento alla Cecoslovacchia. A Palazzo Chigi si manifesta una viva irritazione per «il tradimento» austriaco e anche se questa irritazione sembra accentuata dal desiderio di trovare un alibi morale che giustifichi, in futuro, il sacrificio dell'indipendenza austriaca sull'altare dell'amicizia tra Italia fascista e Germania nazista il sensibile deterioramento dei rapporti tra Roma e Vienna appare certo un elemento significativo nel quadro della vicenda che porterà alla scomparsa della Repubblica austriaca.

Ampio spazio è stato dedicato in questo volume alla documentazione relativa ai rapporti con la Gran Bretagna che, fuori dell'Asse, è l'interlocutore di gran lunga più importante per la politica estera italiana, visto che con la Francia le possibilità di colloquio sono ridotte a ben poco dalla presenza di un governo di Fronte Popolare e dai contrasti che nascono per la guerra di Spagna. Ne emerge che, in questo periodo, non esiste a Roma la volontà di dare al gentlemen 's agreement degli sviluppi che possano far entrare i rapporti italo-britannici in una fase nuova, un orientamento negativo rafforzato dalla convinzione che anche il governo britannico non voglia o non sia in grado, soprattutto per motivi di politica interna, di muoversi in quella direzione. Si ha così un deterioramento progressivo dei rapporti fra Roma e Londra, sui quali influiscono, insieme ai contraccolpi del conflitto spagnolo, certe iniziative italiane come la propaganda verso il mondo arabo di Radio Bari e, da parte britannica, gli sferzanti commenti della stampa sul valore militare degli italiani in occasione della sconfitta di Guadalajara e di qualche altro insuccesso, che provocano nei vertici fascisti dei veri scoppi di furore, fino a quando, in maggio, viene vietato l'ingresso in Italia ad alcuni fra i più importanti giornali britannici.

Il gentlemen 's agreement ha invece dei riflessi rilevanti sui rapporti con alcuni Paesi dell'area mediterranea che, nei primi mesi del 1937, ritengono di potersi riavvicinare all'Italia senza incontrare la disapprovazione del governo britannico. È il caso della Grecia, dove il consolidamento del regime di Metaxas facilita la comprensione con l'Italia fascista, ma soprattutto della Turchia, il cui atteggiamento verso l'Italia subisce un netto cambiamento di cui è manifestazione di facciata l'incontro di Milano fra Ciano e Riistii Aras. Il successo maggiore della politica estera italiana è comunque costituito dagli accordi del 25 marzo con la Jugoslavia che, nella visione di Palazzo Chigi, hanno come obiettivo principale -ed è un obiettivo, si nota con soddisfazione, pienamente raggiunto -di portare un colpo durissimo alla compattezza della Piccola Intesa e di obbligare la Francia ad abbandonare il progetto, tenacemente perseguito, di legare a sé la Piccola Intesa in un fronte comune contro le Potenze dell'Asse.

2. I documenti qui pubblicati provengono, nella quasi totalità, dall'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri e più precisamente dai seguenti fondi: raccolta telegrammi serie R. e P.R., compresi i telegrammi Gabinetto segreto non diramare; telegrammi Ufficio Spagna (che costituiscono una serie a sé); Archivio del Gabinetto serie 1923-1943; Archivio degli Affari Politici serie 1931-1945; «Carte Grandi». Alcuni documenti sono stati tratti dal fondo Segreteria particolare di Musso lini conservato presso l'Archivio Centrale dello Stato; dal fondo Ministero della Marina, Gabinetto del ministro (anch'esso presso l'Archivio Centrale dello Stato); e dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Come di consueto in questi casi, la loro provenienza è stata indicata in nota.

La lacuna più grave che si è riscontrata è data, ancora una volta, dalla mancanza del verbale di molti colloqui di Ciano, dovuta non alla perdita dei documenti ma alla mancata redazione dei verbali da parte dello stesso Ciano. È di nuovo da notare, poi, l'estrema scarsezza di «documenti interni» del ministero -appunti dei funzionari, promemoria degli uffici per il ministro, istruzioni di inizio missione, ecc. -che naturalmente sarebbero stati di grande utilità per conoscere l'accoglienza riservata alle notizie pervenute al ministero, il modo in cui maturarono le decisioni e gli obiettivi che si perseguivano. Particolarmente rilevante, a questo proposito, è la mancanza quasi totale di documentazione concernente le trattative per gli accordi del 25 marzo con la Jugoslavia: non è stato ritrovato nemmeno un appunto redatto dai due funzionari incaricati di condurre le trattative, Buti per la parte politica, Vitetti per quella economica, né vi è traccia dei progetti di accordo che sappiamo furono scambiati e discussi fra le due parti.

È infine da segnalare la perdita di un numero imprecisato delle lettere scambiate tra Ciano e suo cognato Massimo Magistrati, allora consigliere a Berlino. Si tratta di una corrispondenza, personale ma interamente dedicata a questioni di ufficio, che presenta un interesse tanto più rilevante in quanto a Magistrati era stato affidato il compito di tenere i contatti con alcune personalità di spicco come Goering o il Maresciallo von Blomberg, per cui delle sue lettere -che si trovano inserite nei fascicoli dell'Archivio di Gabinetto -occorre tener conto anche per avere un quadro completo dell'azione svolta dall'ambasciata.

In questo volume, come già nei due precedenti, sono state riprodotte le sottolineature fatte da Mussolini sui documenti, qui indicate da una riga al di sotto delle parole, esattamente come nell'originale.

3. Il dott. Andrea Edoardo Visone, capo dell'Ufficio Studi del Servizio Storico e Documentazione, ha dato la sua preziosa collaborazione per la ricerca archivistica di base sui fondi del ministero degli Esteri e ha effettuato anche le ricerche presso l'Archivio Centrale dello Stato. A lui si deve inoltre la redazione dell'Indice sommario e della Tavola metodica. Le dott. Francesca Grispo e Ersilia Fabbricatore hanno curato le Appendici. Il dott. Luca Micheletta ha condotto la ricerca presso l'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, ha effettuato la revisione delle note di edizione e curato la revisione finale del volume. L'indice dei nomi ·è stato redatto dalla signora Fiorella Giordano. A tutti esprimo il mio vivo ringraziamento per la valida e intelligente collaborazione.

GIANLUCA ANDRÈ

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

BD = Documents on British Foreign Policy 1919-1939, serie seconda, London, Her Majesty's Stationery Office, 1946-1984.

DDB Documents diplomatiques belges, 1920-1940, Bruxelles, Académie Royale de Belgique, 1964-1966.

DDF = Documents diplomatiques français ( 1932-1939), serie seconda, 1936-1939, Paris, Imprimerie Nationale, 1963-1986.

DDT = Akten zur Deutschen Auswiirtigen Politik 1918-1945, serie C, 1933-1937, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1971-1981, serie D, 1937-1941, Baden Baden, Imprimerie Nationale, poi altri, 1950-1970.

Documenti di politica internazionale = Documenti di politica internazionale 1937, Milano, I.S.P.I., 1937.

DP = Dez anos de politica externa ( 1936-1947 ). A Naçao portuguésa e a segunda guerra mundial, Lisboa, Imprensa Nacional, 1964-1980.

DU = Diplomaciai iratok magyarorszag kulpolitikajahoz 1936-1945, vol. I, A Ber/in-Roma tengely kialakulasa és Ausztria annexioja, 1936-1938, Budapest, Akadémiai Kiado, 1962.

L'Europa verso la catastrofe = L 'Europa verso la catastrofe, 184 colloqui ... verbalizzati da Galeazzo Ciano, Verona, Mondadori, 1948.

MARTENS = N ouveau recueil général de traités et autres actes relatifs aux rapports de droit international, serie terza, Leipzig, Dieterich, poi altri, 1909-1969.

MUSSOLINI, Opera omnia = B. MUSSOLINI, Opera omnia, Firenze, La Fenice, 1951-1963, voli. 36.

Relazioni Internazionali = Relazioni Internazionali. Settimanale politico, 1937, Milano, I.S.P.I., 1937.

ROVIGHI e STEF ANI = La partecipazione italiana alla guerra civile spagnola ( 1936-1939 ), a cura di A. ROVIGHI e F. STEFANI, vol. I, Documenti e allegati, Roma, SME-Ufficio storico, 1992.

Trattati e convenzioni Trattati e convenzioni fra l'Italia e gli altri Stati, Roma, Ministero degli Affari Esteri, 1872 e segg.

Numero

docum.

5 6

Provenienza e data

Belgrado

! 0

gennaio 1937

Roma

} gennaio

Roma 2 gennaio

Atene 2 gennaio

Roma 2 gennaio

Atene 4 gennaio

Berlino 4 gennaio

Parigi 5 gennaio

Parigi

5 gennaio

Roma 5 gennaio

Atene 6 gennaio

Ankara 6 gennaio

Londra 6 gennaio

Parigi 6 gennaio


DOCUMENTI
1
1

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 43/01 R. Belgrado, l" gennaio 1937 (per. il 14).

Mio telegramma n. l02 1

Patto bulgaro-jugoslavo 2 costituisce indubbiamente un successo personale di Stojadinovic abilmente ottenuto al momento opportuno. Dal punto di vista sostanziale, e cioè da quello della politica di egemonia Jugoslavia in Balcania da tempo perseguita da Belgrado, resterà da vedere quali saranno gli ulteriori sviluppi che si intenderà di dare al patto stesso. È da ritenere che, nelle attuali circostanze, si ripresenterà fra non molto questione dello sbocco bulgaro all'Egeo che sarebbe stata, dal resto, esaminata, su iniziativa jugoslava, all'utima conferenza militare di Bucarest dell'Intesa Balcanica 3 (telespresso ministeriale n. 241794 del 19 dicembre scorso )4 . Secondo mi risulta, argomento patto bulgaro-jugoslavo e suoi sviluppi ed effetti sulla situazione generale dell'Intesa Balcanica sarebbe stato il principale argomento trattato nel corso del recente incontro di Stojadinovic con Tatarescu ed Antonescu in Romania 5 . Il fatto che alla partita di caccia assistevano l'incaricato di affari di Francia6 ed il ministro d'Inghilterra a Bucarest 7 ha fatto qui correre la voce che Antonescu avrebbe messo Stojadinovic al corrente di pressioni fattegli, nel corso del suo recente viaggio a Parigi8 , affinché la rinverdita alleanza militare polacco-romena, sistema difensivo della pace in Europa Orientale, venisse utilizzata ed inserita, attraverso alla Jugoslavia, nella posizione Piccola Intesa-Intesa Balcanica. Fino a questo momento non è stato possibile avere precisioni circa il fondamento e lo spunto di tale voce.

I T. 12600/102 R. del 31 dicembre 1936. Annunciava l'imminente sottoscrizione del patto bulgarojugoslavo.

2 Il 31 dicembre era stato diramato a Belgrado un comunicato in cui si annunciava la prossima firma di un patto d'amicizia con la Bulgaria che, si precisava, era stato approvato dagli altri governi della Piccola Intesa e dell'Intesa Balcanica (testo in Documenti di Politica Internazionale, p. 115). Il giorno successivo, l'imminente firma del trattato era annunciata anche da Sofia (testo ibid.)

3 Riunione dei capi di Stato Maggiore dell'Intesa Balcanica del 6-7 novembre 1936.

4 Non rintracciato.

s Incontro di Resitza del 26-28 dicembre 1936.

6 Jean Paul-Boncour.

7 Sir Reginald Hervey Hoare.

8 Dal 16 al 18 dicembre precedenti.

2

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, DE CIUTIIS

TELESPR. URGENTE SEGRETO PERSONALE 378. Roma, JU gennaio 1937.

Telegramma di V.S. n. 62 del 26 corr. 1•

In conformità al desiderio del generale Franco di un interessamento del R. Governo presso il Pontefice per agevolare il distacco dei nazionalisti baschi dal fronte comunista catalano, ho incaricato il R. ambasciatore presso la S. Sede di svolgere in Vaticano la più efficace azione per promuovere un diretto interessamento della S. Sede e sopratutto di insistere perché essa invii tra i nazionalisti baschi persone di sua fiducia e autorevoli che facciano loro sentire il desiderio del Pontefice che essi recedano dalla loro solidarietà con le forze anarchiche e anticattoliche.

S.E. Pignatti mi ha riferito, in due telegrammi che trascrivo, l'esito dei suoi passi2 .

[segue il testo dei documenti di cui alla nota 2 j

In relazione a quanto precede e per poter continuare a svolgere proficuamente l'opera d'interessamento presso la Santa Sede, converrà ch'Ella torni a far presente al generale Franco l'opportunità di un atteggiamento quale è stato accennato dal Duce nel suo telegramma a Colli del 26 dicembre 3 . Ella potrà aggiungere che il R. Governo segue con il più vivo interessamento la questione e che si ricerca di continuare a svolgere la sua azione non appena sarà in possesso degli elementi richiesti dalla Santa Sede sulle concessioni che costà si è disposti a fare ai baschi.

Si trascrive ad ogni buon fine il telegramma del Duce.

[segue il testo del documento di cui alla nota 3].

3

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, DE CIUTIIS

T. SEGRETO NON DIRAMARE 23/3 R. Roma, 2 gennaio 1937, ore 22,30.

Giornali pubblicheranno lunedì oltre che dichiarazione mediterranea italo-britannica4 anche scambio di note tra me ed ambasciatore inglese 5 colle quali

I Vedi serie ottava, vol. V, D. 670.

2 Vedi ibid. DD. 689 e 694.

3 Vedi ibid. D. 667.

4 Vedi D. 5.

5 Vedi serie ottava vol. V, D. 705.

l'Italia, a richiesta del governo britannico, conferma che «governo britannico è nel vero ritenendo che per quanto riguarda l'Italia l'integrità territoriale attuale della Spagna debba restare in ogni circostanza intatta ed inalterata».

Prego informare Franco, confermando che nostra politica verso Spagna prosegue immutata. Scambio note desiderato da Inghilterra elimina qualsiasi dubbio (per quanto cervellotico potesse essere) su finalità nostra politica. Gli aiuti che abbiamo dato e continueremo a dare come prima a Franco non hanno altri scopi se non quello di schiacciare la minaccia bolscevica in Spagna. Con codesto governo i nostri rapporti sono fissati dal noto Protocollo 1 e da niente altro 2•

4

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 135/01 R. Atene, 2 gennaio 1937 (per. il 7).

Il comunicato diramato dopo la visita di Riistii Aras ad Atene3 indica una discussione approfondita sulle questioni interessanti i due Paesi e sui problemi generali dell'alleanza balcanica e riafferma una perfetta identità di vedute fra i due governi di Grecia e di Turchia.

La stampa, dopo aver ripetuto per l'occasione i rituali inni all'amicizia e alla collaborazione dei due Paesi, rileva che il comunicato è soddisfacente e fa notare che i temi trattati sono stati numerosi senza tacere che fra essi hanno avuto gran parte quelli particolarmente interessanti Grecia e Turchia già legate fra loro da un accordo4 precedente alla firma del Patto di Atene, e -forse a prevenire spiegabili apprensioni dell'opinione nazionale per l'accordo bulgaro-jugoslavo -cerca quasi in termini di excusatio non petita di preparare gli animi a questo evento prospettandolo nella interpretazione più ottimistica.

Le impressioni di questi ambienti e gli indizi raccolti da varie fonti unitamente alle voci già segnalate in rapporto all'accordo bulgaro-jugoslavo confermano che la visita di Riistii Aras non è stata occasionata dall'opportunità di un incontro preparatorio della prossima conferenza balcanica la quale, tra l'altro, è stata rinviata di 10 giorni, dopo i colloqui di Atene.

È vero che Riistii Aras è attualmente presidente in carica del Consiglio dell'Intesa Balcanica e che egli era in viaggio di ritorno da Parigi ad Ankara, ma è anche vero che prima di ritornare in patria egli ha fatto qui una sosta di due giorni, impiegati in lunghi e laboriosi colloqui con il presidente Metaxas e il sotto-

l Protocollo italo-spagnolo del 28 novembre 1936. Vedi ibid., D. 504. 2 Con T. 38/6 R. del 3 gennaio, De Ciutiis informava di avere effettuato la comunicazione a Franco che aveva ringraziato vivamente. 3 Il ministro degli Esteri turco si era fermato dal 28 al 30 dicembre ad Atene di ritorno da Parigi dove si era recato per i negoziati relativi al Sangiaccato di Alessandretta. 4 Patto di intesa cordiale tra Grecia e Turchia del 14 settembre 1933 (MARTENS, vol. XXX, pp. 40-41).

segretario di Stato permanente, Mavrudis, e che uno di questi colloqui si è protratto al ministero degli Esteri oltre le tre del mattino.

L'evoluzione dei rapporti bulgaro-jugoslavi che ha condotto al patto di amicizia fra i due Stati più affini della Penisola e per il quale a quanto sembra Turchia e Cecoslovacchia hanno dato la loro approvazione mentre Romania e sopratutto Grecia hanno fatto riserve, interessa in modo tutto particolare i rapporti fra la Grecia e la Turchia sempre preoccupate della spinta bulgara all'Egeo.

I giornali sottolineano la perfetta identità di vedute affermata dal comunicato ufficiale e tornano ad insistere sulla solidarietà balcanica e sulla solidità del patto di Atene ma nello stesso tempo mettono in particolare rilievo (e si sa che la stampa risponde oggi interamente alla parola d'ordine governativa) il particolare valore dei rapporti fra i due Stati rivieraschi dell'Egeo come elemento di stabilità.

La conclusione di un accordo bulgaro-jugoslavo capace di fare blocco non può non rinnovare in Grecia allarmi per la spinta bulgara all'Egeo anche se la Jugoslavia può aver dato assicurazioni, come affermano alcuni, circa le ambizioni serbe su Salonicco. Tuttavia l'approvazione che la Turchia avrebbe dato al patto serbo-bulgaro la porrebbe nella condizione di rinnovare le sue assicurazioni alla Grecia, almeno a giudizio degli assertori dell'unione balcanica i quali sembrano esitare su possibilità di compromesso con la Bulgaria. Ma anche queste interpretazioni ottimistiche sono forse insufficienti a difendere la Grecia dal dubbio che la Bulgaria voglia aderire all'attuale sistema balcanico su un piano di compromessi o accordi bilaterali senza ridefinire su una base concreta il problema essenziale dello sbocco all'Egeo che interessa la Macedonia greca e la Tracia occidentale.

A calmare questi allarmi della Grecia sarebbero state ritenute opportune nuove assicurazioni dalla Turchia e di ciò sarebbe stato oggetto l'improvviso convegno di Atene.

5

DICHIARAZIONE ITALO-BRITANNICA PER IL RISPETTO DEI RECIPROCI INTERESSI NEL MEDITERRANEO

Il Governo Italiano e il Governo di sua Maestà nel Regno Unito, animati dal desiderio di contribuire vieppiù, nell'interesse generale della pace e della sicurezza, al miglioramento delle relazioni tra di loro e tra tutte le Potenze Mediterranee, e decisi a rispettare i diritti e gli interessi di tali Potenze;

riconoscono che la libertà di entrata, di uscita e di transito nel Mediterraneo è un interesse vitale tanto per l'Italia quanto per le diverse parti dell'Impero Britannico, e che tali interessi non sono in alcun modo contrastanti fra di loro;

escludono ogni proposito di modificare o, per quanto li riguarda, di vedere modificato lo statu quo relativo alla sovranità nazionale dei territori nel bacino del Mediterraneo;

si impegnano al rispetto dei loro reciproci interessi e diritti in tale zona;

convengono di adoperarsi in ogni possibile modo per ostacolare qualsiasi attività suscettibile di nuocere alle buone relazioni che la presente dichiarazione ha lo scopo di consolidare.

La presente dichiarazione è rivolta a fini di pace e non è diretta contro alcuna Potenza.

Roma, lì 2 gennaio 1937.

CIANO ERIC DRUMMOND

6

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 68/3 R. Atene, 4 gennaio 1937, ore 22,30 (per. ore 2 del 5).

A causa feste capodanno non ho potuto ancora vedere Presidente Metaxas dopo mio ritorno Atene. Lo vedrò domani o dopodomani e riferirò per corriere 1• Telegrafo intanto seguenti notizie circa patto bulgaro-jugoslavo che ho raccolto e in gran parte controllato in questi circoli politici diplomatici:

l) Jugoslavia prima di negoziare e concludere patto non ha consultato suoi alleati balcanici. Questi ne sarebbero stati informati successivamente ed in tempi differenti. Grecia sarebbe stata informata per ultima circa tre settimane or sono.

A richiesta del Reggente Paolo sarebbe stata invece consultata preventivamente Inghilterra, la quale -secondo quanto ha assicurato questo ministro britannico 2 ad un mio collega-avrebbe risposto con una formula di ambigua interpretazione suggerita dal proprio ministro a Belgrado 3 e cioè che essa vedeva con piacere conclusione patto, ma che era contraria a qualsiasi atto diplomatico che avesse potuto turbare statu quo e mettere in pericolo pace in questa parte d'Europa.

2) Romania e sopratutto Grecia avrebbero mostrato il loro disappunto per conclusione patto ed avrebbero chiesto a presidente del Consiglio jugoslavo intervenire presso il governo Sofia per ottenere che, contemporaneamente al patto con Jugoslavia, Bulgaria firmasse patti analoghi con gli altri alleati balcanici. Stojadinovic si sarebbe rifiutato di fare un tale passo e si sarebbe limitato far conoscere a Atene e a Bucarest risultargli che il governo bulgaro era disposto stringere con la

1 Vedi D. Il. 2 Sir Sidney Waterlow. 3 Ronald Hugh Campbell.

Grecia e la Romania patti bilaterali analoghi soltanto dopo che fossero state regolate questioni pendenti fra essi e la Bulgaria. Quanto alla Turchia un accordo analogo a quello di cui si tratta ed anteriore stessa alleanza balcanica esiste fra essa e la Bulgaria 1•

3) Alleati balcanici hanno chiesto a Stojadinovic di dare loro delle assicurazioni scritte che patto non infirma politica Intesa Balcanica. Stojadinovic non solo ha rifiutato aderire a tale richiesta, ma non ha voluto neanche accettare una seconda richiesta transazionale di autorizzare, cioè, i ministri jugoslavi ad Atene e Bucarest dare essi per iscritto tale assicurazione ai governi presso i quali sono accreditati. Stojadinovic si sarebbe limitato promettere fare al momento da lui giudicato opportuno e nella forma da lui scelta delle dichiarazioni verbali in tal senso.

4) Romania e Grecia avrebbero in un primo tempo chiesto la riunione anticipata del Consiglio Intesa Balcanica già fissata al 5 febbraio. Stojadinovic avrebbe rifiutato chiedendo che riunione fosse rinviata di 10 giorni per dar tempo che, con conversazioni ordinarie, fossero appianate difficoltà sorte fra alleati in seguito annunzio conclusione patto. Riunione è stata infatti rinviata al 15 febbraio. Inoltre Riistii bey sarebbe venuto Atene a richiesta di Metaxas. Egli si sarebbe adoperato dissipare apprensioni collega greco dandogli assicurazioni della «solidarietà turca».

Metaxas dopo visita di Riistii bey ostenterebbe molta calma ed anche soddisfazione per il patto. Su questo punto ultimo sarò più preciso dopo aver parlato col Presidente greco.

7

L'AMBASCIATORE A BERLINO, A TTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE S.N. Berlino, 4 gennaio 1937 (per. stesso giorno).

Continuo i miei diari riservati e personali.

Oggi ho visto il ministro del Portogallo2 con cui sono in ottimi rapporti. Gli ho chiesto le sue impressioni in merito agli affari di Spagna. Egli si è mostrato un po' pessimista. Secondo lui, Franco avrebbe perso innanzi a Madrid tutto il prestigio che aveva guadagnato con la presa di Toledo. II seguito, quindi, ch'egli ha nella popolazione civile è ora assolutamente nullo. Le ripercussioni di una tale situazione sono già evidenti e sentite persino in Portogallo, dove vi è una preoccupante «ripresa» degli elementi comunisti.

1 Si riferisce al trattato di neutralità, conciliazione ed arbitrato tra Bulgaria e Turchia del 6 marzo 1929 (testo in MARTENS, vol. XXVIII, pp. 704-710). Il trattato era stato prorogato per 5 anni il 29 settembre 1933.

2 Alberto da Veiga Simòes.

Ho pure domandato al collega portoghese quali fossero, secondo lui, le disposizioni e gli intendimenti della Germania. Premesso che, da molto tempo, non riesce a vedere alcun elemento tedesco responsabile, egli mi ha detto di avere la netta impressione che qui continuino a esitare e, sopratutto, non si rendano conto che la situazione spagnuola è entrata in una fase nuova a superare la quale i metodi e mezzi vecchi sono assolutamente inadeguati. Anche egli ha sentito che, da parte militare, l'idea dell'invio di divisioni continua a esser esclusa.

In proposito aggiungo che, ancora stamane, la stessa cosa veniva ripetuta a me da Gaus e all'Addetto Militare dall'Ammiraglio Canaris, e ciò anche in riferimento alla prossima riunione romana del l O (che apprendo sarebbe forse spostata al 12) 1 . Circa la quale riunione mi sembra pure sintomatico che Goring, dopo aver parlato a me nella maniera che sai, se l'è squagliata anche lui in Prussia Orientale, lasciando detto che ritornerà soltanto l' 11. Nel suo entourage si ammette bensì di aver sentito parlare della possibilità di una sua gita a Roma, ma si aggiunge di non saperne ora più nulla. In altri ambienti, militari, si parla del possibile invio del Generale Keitel, persona autorevolissima (braccio destro di Blomberg) ma che evidentemente, venendo, avrebbe già delle consegne e delle premesse già predeterminate e segnate. In altri ambienti ancora si parlerebbe dell'invio di un rappresentante del ministero degli Esteri.

Non ultimo indice della incertezza che deve tuttora regnare nelle alte sfere è che Renzetti, dopo una prima presa di contatto (il 20 dicembre) con Goring, in cui questi gli preannunciò che il Fiihrer gli avrebbe egli stesso esposto tutto un nuovo programma di azione spagnuola l'indomani, non solo non è stato mai sinora ricevuto da Hitler, ma non è più riuscito a vedere-non ostante le ripetute e quasi quotidiane sue sollecitazioni -lo stesso Goring.

In presenza di tutto ciò io ho creduto

a) di avere stamane una chiara conversazione con Gaus, pregandolo di fare presente per iscritto a Neurath che l'importanza della riunione romana del lO sta, sopratutto, nelle questioni di principio che vi dovranno necessariamente essere discusse e decise;

b) di scrivere tutto questo, io stesso, con riferimento alla conversazione già avuta in proposito con lui, personalmente allo stesso Goring in Prussia Orientale.

Bisogna, io credo, uscire da questo stato di incertezza. La Germania continua a dichiarare di voler andare fino in fondo, etc., etc., minaccia terribili rappresaglie sul mare, vuole rispondere male a Londra ma nella pratica continua ad esitare. Richiamo in proposito la tua particolare attenzione sull'unito appunto dell'addetto militare 2 .

Avevo avuto, per un momento, l'idea che la risposta alla Francia sulla questione dei volontari 3 potesse essere anche diversa da quella all'Inghilterra. Ma, a

l La riunione ebbe luogo il 14 gennaio (vedi D. 55).

2 Non rintracciato.

3 Si tratta della risposta da dare alle note francese e britannica del 26 dicembre precedente, relative alla proibizione di inviare armi e volontari in Spagna. Su la questione di vedano, nel vol. V di questa serie, i DD. 672. 674. 677, 701, 702.

parte il fatto che ciò complicherebbe ancora e ritarderebbe la redazione delle risposte, qui mi si è fatto osservare che, dopo tutto, la nota inglese è ancora più dura e più forte di quella francese. È impossibile, quindi, si dice, rispondere all'Inghilterra in maniera più conciliante che alla Francia.

Comunque, la differenziazione che non fosse possibile fare per iscritto potrebbe esser fatta verbalmente e sulla stampa. Se la nota francese è meno dura di quella inglese è soltanto perché a Parigi hanno la coda di paglia.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 70/7 e 73/8 R. Parigi, 5 gennaio 1937. ore 13,53 (per. ore 17,30).

Léger rilevò iersera meco commenti unanimi favorevoli della stampa francese di ogni partito all'accordo italo-inglese e, menzionando dichiarazione pubblica fatta da Delbos, disse che, nonostante le prevenzioni esistenti in Italia contro la Francia in genere e governo del Fronte Popolare in specie, atteggiamento francese in questa circostanza non poteva non esser stato apprezzato dal governo italiano.

Léger ebbe poi a dire parole di accoramento per linguaggio della stampa italiana soprattutto del Giornale d'Italia decisamente non amichevole per la Francia. Ciò nonostante, atteggiamento del governo francese verso l'Italia non subirà alcuna modificazione continuando ad esser ispirato alla maggiore amicizia compatibilmente con gli obblighi societari.

Ho dal mio lato informato Léger della conversazione che avevo avuta 24 dicembre u.s. con Delbos (mio telegramma n. 769) 1 e l'ho reso edotto delle ragioni per le quali, come prevedevo, governo italiano non può modificare minimamente sua decisione relativa alle credenziali di Saint Quentin (telegramma di V. E. n. 624)2 ricordando che essendo stato assente durante le feste, ignorava linguaggio tenuto da Delbos.

Egli disse che a suo parere sarebbe stato più opportuno che Delbos non avesse sollevato nuovamente meco questione delle credenziali. Era infatti indubbio che la Francia come l'Italia si trovano in una situazione dalla quale avrebbero potuto uscire soltanto quando l'Assemblea avesse radiato Etiopia dalla S.d.N. Occorreva pertanto rassegnarsi ad attendere tale momento anche se le relazioni fra i due Paesi ne soffrissero.

Ho detto a Léger di aver appreso da recenti comunicazioni pervenutemi che riunione Assemblea della S.d.N. per ammissione Egitto pareva rimandata ad aprile p.v., cosicché soluzione da lui preconizzata sarebbe stata ritardata di quattro mesi

l Vedi serie ottava, vol. V. D. 659. 2 Vedi ihid, D. 675.

IO

e gli ho chiesto se governo francese non ritenesse opportuno provocare più sollecita convocazione Assemblea.

Léger rispose che essendo stato assente vari giorni non aveva ancora visto tutte le comunicazioni giunte ultimamente al Quai d'Orsay. Non gli erano tuttavia state segnalate notizie da me menzionate. Egli riteneva comunque che V.E. avrà avuto modo, qualora desideri che Inghilterra e Francia ed altri Stati societari possano al più presto riconoscere sovranità di diritto italiano sull'Etiopia, di far presente al Foreign Office, in occasione delle trattative per il recente accordo e della sua firma, l'urgenza della convocazione dell'Assemblea S.d.N. Francia avrebbe salutato con viva soddisfazione qualunque iniziativa che fosse presa al riguardo dal governo inglese. Non intendeva prenderne essa, anche perché sapeva che ciò non sarebbe stato apprezzato in Italia dove si riteneva che Parigi sapesse «al massimo seguire Londra». In considerazione di questo stato d'animo, governo francese si asterrebbe da qualsiasi iniziativa, dato che essa sarebbe stata presa comunque in mala parte in Italia, mentre invece era fermamente deciso, giusta linea di condotta amichevole da lui dianzi menzionata, a secondare colla massima buona volontà ogni iniziativa inglese.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 88/10 e 98/11 R. Parigi, 5 gennaio 1937, ore 21,35 (per. ore 3 del 6).

Parlandomi iersera della situazione politica generale Léger mi disse che a suo avviso scintilla del conflitto che si profilava spaventoso all'orizzonte non sarebbe partita dalla Spagna. Situazione in questa regione era grave, ma non tale da produrre conseguenze fatali. Nemmeno incidenti navali 1 gli sembravano particolarmente inquietanti. A questo proposito Léger mi disse che la Germania non agiva realmente come una grande Potenza navale decisa a salvaguardare unicamente libertà del mare e del commercio ma piuttosto come una Potenza secondaria preoccupata essenzialmente di far rilevare con provvedimenti discutibili e ad ogni modo indisponenti propria esistenza e rinato suo prestigio (sic). Preoccupazioni gravissime per avvenire erano viceversa costituite dalla situazione interna della Germania e dalle conseguenze della politica instaurata dal Reich diretta unicamente al riarmamento eseguito con ritmo ed energia per nulla giustificati. Se Germania avesse riarmato normalmente avrebbe potuto risolvere senza alcuna difficoltà problema del rifornimento materie prime necessarie per

l Si riferisce al dirottamento di due piroscafi spagnoli effettuato nei primi giorni di gennaio da navi da guerra tedesche come ritorsione per il sequestro del carico del vapore tedesco Pa/os avvenuto il 26 dicembre da parte delle autorità del governo di Valencia. L'8 gennaio, non essendo stata restituita la merce sequestrata sul Pa/os, il governo tedesco annunciò che avrebbe disposto liberamente dei due piroscafi.

semplici finalità pace e vettovagliamento popolazione. Metodo adottato presenta una sola soluzione, quella che fatalmente conduce alla guerra per impedire che la popolazione del Reich esasperata dalle privazioni a cui viene assoggettata insorga contro il regime nazional-socialista.

Ho interrotto Léger dicendogli che avevo sentito parlare allo stesso modo molti anni fa nei riguardi dell'U.R.S.S. senza che prognostici si fossero avverati e quindi ritenevo che si commettesse ora stesso errore di calcolo nei riguardi della Germania dove disciplina e sopportazione della popolazione sono superlative.

Egli ha peraltro insistito nei suoi prognostici pessimistici precisando che se fra un anno dovessero essere terminati armamenti germanici e molti degli operai ora impiegati nell'industria di guerra dovessero rimanere senza lavoro essi non sopporterebbero miseria che si aggiungerebbe alle privazioni che durano già da troppo tempo. Mi disse che riteneva che ci si trovava in un vicolo senz'altra uscita che la guerra. Ciò tanto più che notizie possedute dal Quai d'Orsay permettevano credere che Hitler fosse assai male informato della situazione interna francese che riterrebbe essere tuttora quella del luglio scorso. Hitler ignorerebbe il raddrizzamento radicale compiutosi in Francia e reazione contro comunismo che va guadagnando terreno ogni giorno. Sbagliava pure nell'attribuire al governo di Fronte Popolare intendimenti diametralmente opposti a quelli suoi reali. Blum fece infatti politica estera assai prudente che !ungi dall'acuire dissidi mira a smussare quelli che da tempo esistono senza colpa diretta della Francia. Anche in Spagna, politica francese, spingendo mantenimento della neutralità, impedisce trionfo del bolscevismo, pur auspicando che non vi si installi solidamente Reich.

Di fronte al pericolo germanico, Francia lavora a tutto uomo per esser pronta per ogni evento. Poteva dirmi, del resto, quanto mi sarebbe stato facilmente confermato dagli addetti militari dell'ambasciata, che cioè industrie belliche francesi producono con un ritmo non mai verificatosi sino ad ora cosicché nel marzo prossimo esercito francese sarà dotato dei mezzi più abbondanti e perfetti e non temerà alcun attacco.

Circa i quadri dell'esercito francese, poteva assicurarmi che, oltre ufficiali aventi qualità eccellenti, reclutamento dei sottufficiali, fatto in massima parte tra guardie mobili e agenti di polizia, costituiva una garanzia assoluta per Parigi della disciplina e ordine politico dell'esercito nel quale contrariamente alle voci che circolavano non esisteva alcuna cellula comunista. Quanto alla Marina, gli risultava che superiori comandi si erano compiaciuti ... 1 della decisione presa di accordare anche quest'anno ordinarie licenze natalizie perché marinai recatisi alle loro case dove avevano frequentato soprattutto elementi operai erano rientrati a bordo con impressioni ottime avendo constatato come nelle classi lavoratrici si sia andato diffondendo sentimento ostile a qualsiasi tentativo comunista che sarebbe dunque infranto prontamente ovunque sorgesse.

Altra ragione di preoccupazione nei riguardi del Reich era rappresentata dalla natura stessa di Hitler, uomo di Stato solitario che aveva idee preconcette, che da qualche tempo viveva isolato in mezzo ai boschi della Baviera senza cercare di

I Nota dell'Ufficio Cifra: «manca».

sapere e senza nemmeno credere a quanto potesse venirgli detto in contrasto alle idee da lui formatesi. A Parigi si sapeva che egli aveva il maggiore disprezzo per la Francia che riteneva incapace di opporre una resistenza efficace e soprattutto coordinata.

Ora Francia sarebbe insorta come un solo uomo il giorno in cui fosse stata aggredita e non avrebbe deposto le armi fino all'estremo. Inoltre, Blum non avrebbe tollerato il ripetersi di un «7 marzo» 1• Egli aveva udito questa assicurazione dalla bocca stessa del presidente del Consiglio una settimana fa. Doveva dire che atteggiamento francese del 7 marzo era stato generalmente male interpretato in quanto esso aveva in realtà costituito una prova di forza. Stato Maggiore aveva infatti espresso parere che Francia fosse talmente forte e così potentemente difesa da non avere nulla da temere per rioccupazione militare ed eventuale fortificazioni della riva sinistra del Reno.

Avendo obiettato che mi sembrava esservi contrasto fra questa ultima spiegazione dell'atteggiamento francese nel marzo scorso e le preoccupazioni smisurate attuali, tanto più che io credevo poter escludere in modo assoluto che la Germania nutrisse intenzioni aggressive verso la Francia, Léger rispose che si riteneva a Parigi che Hitler meditasse un brutto colpo contro la Cecoslovacchia «il che sarebbe esattamente la stessa cosa che l'aggressione contro la Francia». Avendo insistito per sapere se si dovesse proprio credere che «sarebbe la stessa cosa esatta», Léger ripeté energicamente che non doveva, né poteva sussistere alcun dubbio al riguardo essendo Francia obbligata da un trattato ad assistere con ogni mezzo Cecoslovacchia e ciò in base agli obblighi generali societari.

Addetto militare da me edotto linguaggio sopra esposto riferisce che essendosi recato stamane allo Stato Maggiore dove ebbe occasione di intrattenersi con parecchi dei più elevati generali rilevò anche in essi apprensione per attitudine della Germania perché si teme da un lato un colpo in testa di Hitler verso la Cecoslovacchia e dall'altro si constata propaganda antifrancese in tutti i territori francesi del Mediterraneo (Siria, Tunisia, Algeria, Marocco), nonché difficoltà di potere a suo tempo cacciare Germania dalla Spagna e dalle Canarie dove si sarebbe già fortemente affermata.

Stato Maggiore conferma decisione francese assistere con ogni mezzo Cecoslovacchia in caso di aggressione tedesca, pur ripetendo che non prenderà mai iniziativa delle operazioni. Espresse convinzione che se la Germania conoscesse realmente intenzione della Francia si asterrebe da un colpo di testa del genere. Stato Maggiore è pure preoccupato dalla tensione fra U.R.S.S. e Germania dato che non si cerca da nessuna delle due parti trovare punto di accordo ed anzi si accumulano ragioni di conflitto.

Si riconosce che l'Italia agisce in Spagna in modo più palese. Stato Maggiore trova pericoloso per la Francia stabilimento di un eventuale governo comunista in Spagna e desidera governo d'ordine senza ingerenza straniera.

Addetto navale recatosi oggi al ministero della Marina mi riferisce di avere riportato impressione analoga a quella del generale Barbasetti. Pericolo tedesco

1 Allusione alla rimilitarizzazione della Renania avvenuta il 7 marzo 1936.

non è ritenuto immediato negli ambienti navali, mentre desta speciale preoccupazione atteggiamento assunto dalla Germania in Spagna. E ciò tanto più che situazione in questo Paese viene dalla Marina giudicata così intricata da far ritenere che tanto governativi che nazionali possano avere interesse allargare conflitto e renderlo internazionale per facilitarne soluzione. Nei riguardi dell'Italia non si sono mostrate preoccupazioni speciali e si è insistito sul fatto che nazione maggiormente impegnata nella Spagna è Germania.

Al ministero della Marina viene commentato in modo poco simpatico atteggiamento di rappresaglia assunto dalla marina tedesca per risolvere incidente circa cattura piroscafo e si è rilevato che Francia e Inghilterra ed U.R.S.S in caso analogo si erano limitati ad agire in via diplomatica.

Addetti militare e navale confermano, come del resto fanno da mesi, che situazione descritta da Léger nei riguardi disciplina e preparazione dell'esercito e nella marina francese corrisponde di massima alla verità o almeno alle constatazioni da loro fatte ed alle informazioni raccolte ed accuratamente vagliate.

Addetto aeronautico, ancorché Léger non abbia accennato all'aviazione, mi dice dal suo lato che assegnazione di circa 5 miliardi per bilancio aeronautica è stato segnato da ordinazione di apparecchi di ultimo modello alle ditte costruttrici. Aviazione francese dovrebbe per fine anno 1937 raddoppiare apparecchi di prima linea portandoli a 2.000. Personale fu tutto ringiovanito e furono aumentati organici ufficiali piloti da 2.087 a 3.100 sottufficiali e truppa da 37 mila a 48 mila. ·

Anche negli ambienti aeronautici domina spettro del timore tedesco.

10.

IL CAPO DI GABINETTO, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 5 gennaio 1937.

L'Incaricato d'Affari del Belgio è venuto a comunicare, per ora in via soltanto ufficiosa, che il suo governo ha deciso di procedere alla nomina di un nuovo Ambasciatore presso il Quirinale. La nomina avverrebbe fra una quindicina di giorni, il titolare (di cui si ignora tuttora il nome) raggiungerebbe il posto fra un mese e mezzo circa. Se in questo lasso di tempo la questione del riconoscimento de jure sarà risolta internazionalmente, tanto meglio; in tutti i casi il nuovo Ambasciatore presenterà le Lettere Credenziali a «S.M. il Re Imperatore». L'Incaricato d'Affari del Belgio, nel comunicarmi quanto precede, ha aggiunto che il suo governo non si nasconde le possibili ripercussioni all'interno di tale gesto e mi ha chiesto se vi sarebbe nessuna difficoltà da parte nostra a che, ad una eventuale interpellanza dei socialisti al Parlamento Belga, il governo rispondesse che la redazione delle Lettere Credenziali a «S.M. il Re d'Italia, Imperatore di Etiopia» non implica riconoscimento de jure.

Gli ho risposto che la redazione delle Lettere Credenziali è fatta in rispetto di una Legge dello Stato Italiano, la giustificazione della decisione -se pure necessaria -è un affare interno del Governo Belga 1•

11

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 126/5 R. Atene, 6 gennaio 1937, ore 12,50 (per. ore 13,10).

Colloquio avuto ieri con Metaxas mi permette confermare integralmente contenuto mio telegramma n. 3 del 4 corrente 2 ed aggiungo avermi Presidente del Consiglio dichiarato di avere ottenuto dal governo turco «assicurazioni scritte» che Turchia intende continuare politica Intesa Balcanica di rispetto statu quo territoriale nei Balcani. Metaxas ha eluso mia domanda se uguale dichiarazione era stata fornita anche da governo jugoslavo, rispondendo che Riistii Bey nel fare sua dichiarazione era d'accordo con Stojadinovic. Nonostante però questa risposta, Metaxas confermò che Stojadinovic ha rifiutato di fare qualsiasi dichiarazione scritta.

Valendomi con ogni cautela contenuto telegramma di V.E. n. 1783 ho chiesto poi al mio interlocutore quale a suo avviso era stata la parte effettivamente sostenute dalla Turchia nella conclusione del Patto stesso.

Egli mi ha risposto quasi testualmente seguenti termini: «La Turchia ci ha rilasciato dichiarazione scritta di voler continuare politica Patto Balcanico alla quale si presta non soltanto per il valore che dovrebbero avere dichiarazioni scritte di tale natura fatte da un governo responsabile, ma anche perché, a mio avviso, la Turchia ha un interesse uguale se non maggiore di quello della Grecia di non vedere Bulgaria sull'Egeo. In ogni modo quale che possa essere condotta futura degli altri Stati balcanici al riguardo, un tentativo della Bulgaria verso l'Egeo significherebbe per noi la guerra. Quantunque io non creda a tale eventualità, non tralascio tuttavia di preoccuparmi della riorganizzazione esercito e marina ellenica».

Dal tono generale della conversazione di Metaxas e dai commenti ispirati di questa stampa deduco che governo greco più che accettato ha subìto il patto bulgaro-jugoslavo.

1 Il documento ha il visto di Mussolini. Nel dare notizia all'ambasciatore Preziosi del passo compiuto dall'incaricato d'affari belga, Ciano chiariva che la formula da usare nella redazione delle Lettere Credenziali era «Sua Maestà il Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia». Quanto alla giustificazione che il governo di Bruxelles intendeva dare alla sua decisione, questa era da considerarsi affare interno belga. Comunque, la stampa italiana si sarebbe astenuta dal parlare di un riconoscimento de jure (T. 63/1 dell'8 gennaio).

2 Vedi D. 6.

3 T. 5581/178 R. del 27 dicembre 1936. Ciano aveva comunicato che, secondo informazioni di fonte confidenziale, il governo turco stava considerando la possibilità di attirare la Bulgaria nell'Intesa Balcanica soddisfacendo le rivendicazioni territoriali bulgare a spese della Grecia. E aveva aggiunto: «nel quadro dei rapporti italo-ellenici, V.S. potrà con ogni cautela opportunamente avvalersi della notizia surriferita».

Metaxas, che è decisamente contrario ad arrendersi al fatto compiuto, si sforza di ottenere dagli altri alleati libero impegno continuare politica Intesa Balcanica, di rispetto cioè dello status qua territoriale. È molto probabile che dichiarazioni in tal senso saranno fatte in occasione riunione del Consiglio Intesa che è stato fissato al 15 febbraio ad Atene.

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L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. CIANO

T. 110/7 R. Ankara, 6 gennaio 19 3 7, ore 13,40 (per. ore 16).

Ieri sono state qui riprese trattative per Sangiaccato sulla base di quanto riferito con mio telegramma n. 359 1 .

Ministro degli Affari Esteri avrebbe insistito su richiesta già formulata di indipendenza. Ambasciatore di Francia 2 si è riservato chiedere nuove istruzioni al suo governo.

Durante la notte Presidente della Repubblica (da Istanbul dove trovavasi per le feste) è partito improvvisamente per Konia, predisponendo che presidente del Consiglio\ ministro degli Affari Esteri4 , ministro dell'Interno\ capo della segreteria generale della presidenza della Repubblica 6 e pare anche capo dello Stato Maggiore7 , partissero da Ankara per incontrarlo lungo il percorso. Predette personalità sono infatti partite pare alle 8. In questi ambienti si connette tale viaggio con attuale fase negoziati Sangiaccato. Mi riservo ulteriori informazioni.

13

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 124/19 R. Londra, 6 gennaio 1937, ore 14,08 (per. ore 20,30).

Duff Cooper ministro della Guerra è rientrato iersera a Londra da Parigi dove, sotto il pretesto di vacanza, si è recato per incontrarsi con Daladier. Da buona

1 T. 12596/359 R. del 31 dicembre 1936. De Astis riferiva di avere appreso in via confidenziale dall'ambasciatore francese che il governo di Parigi era disposto a riconoscere la più larga autonomia possibile al Sangiaccato di Alessand retta.

2 Henri Ponsot.

3 Ismet lnonii.

4 Tevfik Riistii Aras.

5 Siikrii Kaya.

6 Hasan Riza.

7 Fevsi çakmak.

fonte mi risulta che lungo colloquio fra Duff Cooper e m1mstro della Guerra francese ha avuto per principale obiettivo scambio preliminare di vedute allo scopo di procedere allo aggiornamento delle intese militari fra i due Stati Maggiori in conseguenza recente dichiarazione 1 con la quale Delbos ha garantito all'Inghilterra assistenza francese in caso di aggressione non provocata.

14

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO RISERVATO 114/13 R. Parigi, 6 gennaio 1937, ore 14,45 (per. ore 17,50).

Miei telegrammi nn. IO e 11 2 .

Nel linguaggio tenutomi da Léger e contemporaneamente da questo Stato Maggiore all'addetto militare, da me riferito a V.E. integralmente, ancorché nelle parole del primo vi fossero evidenti esagerazioni, facilmente spiegabili, mi è parso rilevare, oltre ad una apprensione crescente ed impressionante circa propositi tedeschi, desiderio di renderne edotta Italia con la speranza, non manifestata ma evidente, che Duce assuma eventualmente funzioni moderatore nei riguardi di Berlino qualora avesse ragione di credere che si nutrissero effettivamente, da parte tedesca, intenzioni aggressive verso Cecoslovacchia. È questo il punto più delicato per la pace del mondo, secondo il pensiero di Parigi, dato che Francia ha verso Cecoslovacchia vero e proprio obbligo di assistenza che non esiste invece nei riguardi degli altri Stati della Piccola Intesa. Cecoslovacchia è d'altra parte piena di preoccupazioni perché teme, di fronte alla passività mostrata dalla Francia nei precedenti strappi di Hitler al Trattato di Versailles, che la Francia non si muova neanche quando suo territorio fosse invaso.

Ho ragione di credere che durante ultimo mese pressioni di Osusky presso il Quai d'Orsay e circoli politici francesi siano state eccezionalmente attive per ottenere nuove assicurazioni formali nei riguardi della Cecoslovacchia e, possibilmente, qualche cosa di analogo alle dichiarazioni recentemente fatte a Londra e Parigi da Eden e Delbos 3 per constatare esistenza di una vera e propria alleanza difensiva tra Francia e Inghilterra in caso di aggressione tedesca di uno dei due Stati, e ciò quantunque già esista e sia nota alleanza vera e propria franco-cecoslovacca.

t Vedi nota 3 seguente.

2 Vedi D. 9.

3 Si riferisce al discorso pronunciato il 20 novembre 1936 a Leamington da Eden, il quale aveva dichiarato che le armi di cui la Gran Bretagna ora disponeva grazie al riarmo in atto sarebbero state utilizzate solo per la difesa della Gran Bretagna e dei territori del Commonwealth ma anche, secondo gli impegni vigenti, per la difesa della Francia e del Belgio, se fatti oggetto di un'aggressione non provocata. A sua volta, Delbos aveva dichiarato, il 4 dicembre, alla Camera dei Deputati che le forze armate francesi sarebbero state «spontaneamente ed immediatamente utilizzate per la difesa della Gran Bretagna nel caso di un'aggressione non provocata».

Al di sopra attuale freddezza itala-francese, permane in questo Paese una grandissima considerazione per il Duce ed il governo fascista, considerazione che è accresciuta immensamente dopo la prova di forza militare e politica data con la conquista dell'Etiopia; ed al governo fascista si guarda quindi sopratutto dopo conclusione del gentlemen's agreement come alla più efficace garanzia di pace, sapendo quale peso abbia la parola dell'Italia a Berlino perché sono, in definitiva, forze militari, navali ed aeree italiane che decideranno della sorte della futura guerra.

15

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND1

APPUNTO. Roma, 6 gennaio 1937.

L'Ambasciatore d'Inghilterra è venuto oggi a parlarmi e mi ha lasciato l'unito appunto, nel quale è espressa la preoccupazione del Governo Britannico per la questione dei volontari in Ispagna. Verbalmente mi ha ripetuto quanto è contenuto nell'appunto.

Gli ho risposto:

l) che la nostra risposta per la questione dei volontari -risposta concordata con la Germania-è ormai quasi pronta e che mi riservavo di rimetterla all'Ambasciatore Britannico probabilmente entro domani2 . Tale risposta, nella quale è ancora compresa una esatta cronistoria del nostro atteggiamento nei confronti della questione volontaristica in Ispagna, è ispirata al buon senso ed alla sincera volontà italiana di evitare ogni maggiore complicazione;

2) che dovevo ancora far presente come noi avessimo per primi insistito sulla necessità di proibire ai volontari di andare in lspagna. Ma oramai, allo stato delle cose, fino a quando l'Inghilterra non fosse stata in grado di impedire a tutti i Paesi, e particolarmente alla Francia, al Belgio ed alla Russia di mandare volontari in aiuto delle forze comuniste, noi avremo lasciato affluire i nostri volontari in Ispagna. Noi non li mandiamo. Non facciamo pressioni sui volontari. Lo spirito nazionale italiano è tale, che anche senza un appello del Governo, allorché si sente che è impegnata una lotta anticomunista, tutta la giovinezza italiana desidera partecipare al combattimento. Noi siamo prontissimi, ancora una volta, ad impedire l'afflusso dei volontari in Ispagna se anche da parte degli altri Paesi verranno presi provvedimenti analoghi. Altrimenti, i nos.tri volontari continueranno a partire e saranno in proporzione di dieci a uno.

3) che l'accenno ad «ambiguità» contenuto nell'ultima linea del suo pro-memoria non poteva esser diretto a noi. La nostra linea di condotta è sempre stata corretta e leale. Le mie odierne dichiarazioni non potranno certo venire tacciate di ambiguità.

1 Ed. in L'Europa t•erso la catastrofi!, pp. 122-123. 2 Vedi D. 22.

L'Ambasciatore d'Inghilterra ha preso atto di quanto gli ho detto, ha riconosciuto la logica della nostra politica ed ha espresso il suo compiacimento per le reiterate prove da noi date al fine di rendere possibile una pacificazione e di evitare maggiori e più gravi complicazioni 1 .

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. Roma. 6 gennaio 1937.

An Aide Mémoire (No. 147/178/36) left with the Minister for Foreign Affairs on December 26th emphasised the concern felt by His Majesty's Government at developments in Spain and contained the suggestion that steps should be taken at once by the Govemments concemed to put a stop to the increasing flow of foreign nationals to Spain. It was pointed out that of ali the questions which arose out of the war in Spain the most important and urgent was that of volunteers, and that the problem to be dealt with involved ali forms of recruiting as well as of volunteering, whether by groups or individually. '

The time which has elapsed since that communication has only served to increase the concern of His Majesty's Government who are becoming seriously disturbed at the rapid increase in the flow to Spain of volunteers from foreign sources, which has continued during the past few weeks in spite of the efforts of the non-intervention Committee to reach agreement for its suppression.

His Majesty's Government will have learnt today that the reply of the Italian Government to the representations already made to them on this point is likely to be received by His Majesty's Embassy tomorrow, January 7th, and they will of course await the contents of that communication. Nevertheless, in the meantime. reports continue to be received of the despatch of men from Italy to Spain in order to take service with the Spanish forces. These reports and in particular that relating to the recent arriva! of 4.000 Italians at Cadiz, have produced a most unhappy impression on public opinion in Great Britain. This is particularly unfortunate at a moment when the expectation had been generally formed --an expectation which was voiced in the message from Mr. Eden communicated to the Minister for Foreign Affairs, and reciprocated by him, on the evening of January 2nd -that the signature of the joint declaration and the recent exchange of notes between the two countries would lead to further cooperation between Great Britain and Italy.

In these circumstances His Majesty's Governmente trust that the ltalian Government will see their way frankly to discuss this matter with His Majesty's Government with a view to the speedy enforcement in respect of volunteers of the principles of non-intervention to which both Governments are pledged.

It should be added that a similar request is being addressed to the German Government. At the same time His Majesty's Government wish to assure the Italian Government once again that they are prepared to take such legislative or other appropriate action as may be necessary to prevent their nationals leaving their territory in order to take service with either party in Spain so soon as a similar undertaking is given by the other Govemments concemed.

l Il documento ha il visto di Mussolini.

The French Government have already made plain, in a communication to the non-intervention Committee, that this is also their attitude.

Finally His Majesty's Goverment wish to emphasise once again that they cannot but take the gravest view of any further prolongation of the existing situation; in present circumstances so-called volunteers continue to flow in organised contingents into the affected areas of Spain. Time is therefore the essence of this dangerous problem, and for that reason it is, in the view of His Majesty's Government, essential that no further time should be lost by delay or ambiguity in any quarter.

16

IL CAPO DI GABINETTO, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 6 gennaio 1937.

L'Incaricato d'Affari del Belgio, in base ad istruzioni ricevute dal suo Governo, è venuto al Ministero, chiedendo l'intervento del Governo italiano allo scopo di impedire la conversazione radiofonica che il signor Degrelle terrà, questa sera alla stazione E.I.A.R. di Torino.

L'Incaricato d'Affari del Belgio giustifica il suo passo con l'affermare che, nel numero odierno del suo giornale Le Pays Réel, il sig. Degrelle fa constatare che ciò che il governo belga gli ha rifiutato, e cioè di parlare alla radio, egli lo ha ottenuto dall'Italia. Tale comunicazione sul suddetto giornale presenta un carattere ostile al Governo belga, ragione per cui il governo belga si vede obbligato ad elevare una protesta contro il fatto che un paese amico presti il suo concorso a tale manifestazione.

Gli ho risposto che l'E.I.A.R. è una Società privata; che nulla giustificherebbe un intervento preventivo del Governo italiano per impedire al signor Degrelle di fare ciò che molte altre personalità straniere hanno fatto; che dopo la conversazione e dal tenore di essa il Governo italiano giudicherà se sia il caso o meno di attirare l'attenzione della Società E.I.A.R. su manifestazione che possono avere ripercussioni politiche 1 .

17

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. l !3/27. Parigi, 6 gennaio 1937 (per. 1'8).

L'approvazione alla Camera e al Senato dei progetti di legge sulla riforma fiscale, sull'arbitrato obbligatorio e sul bilancio I 937, se ha risolto momentanea

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

mente il problema parlamentare evitando le conseguenze di un conflitto fra le due Assemblee, ha lasciato insoluto il problema politico generale costituito dal prolungarsi dell'agitazione sociale e dall'aggravarsi della situazione finanziaria.

Le stesse difficoltà della situazione interna sono servite peraltro all'abile tattica del presidente del Consiglio per prolungare i termini di un'«esperienza» che l'approfondirsi del dissidio fra radicali e comunisti sembrava destinare ad un immediato insuccesso. Da un lato, infatti, agitando lo spauracchio delle masse operaie irregimentate nella Confederazione generale del lavoro e mantenute in uno stato di endemica agitazione, Blum ha fatto pesare sulle incertezze dei radicali la minaccia di gravi conflitti sociali in caso di crisi governativa; dall'altro, atteggiandosi a tutore dell'ordine e della legalità e pronunziando in materia di politica sociale e finanziaria parole conformi ai principi borghesi più ortodossi, il presidente del Consiglio ha smussato molte delle frecce che si appuntavano contro di lui al Palazzo del Lussemburgo ed è riuscito a valicare il pericoloso capo dei dibattiti senatoriali. Quanto ai comunisti, le ragioni del loro atteggiamento remissivo, malgrado i quotidiani attacchi della stampa del partito contro la politica governativa interna ed estera, vanno ricercate nella convinzione che gli stessi seguaci di Mosca nutrono indubbiamente sull'immaturità di un colpo di mano bolscevico in Francia e sulla utilità, invece, di continuare a giovarsi di uno stato di cose per cui il partito comunista, senza assumere dirette responsabilità di governo, influisce e interferisce apertamente nella vita della Nazione.

Tutto ciò non serve a modificare i dati concreti che caratterizzano l'attuale situazione francese poiché, nè l'annunzio fatto dal ministro. delle Finanze del ritorno ad una politica economica e finanziaria interamente liberale ha potuto ricondurre sul mercato francese i 50 miliardi di franchi riparati all'estero, nè le assicurazioni date da Blum sulla volontà del governo di far rispettare l'ordine, la libertà del lavoro e il diritto di proprietà hanno posto termine all'incalzante serie dei conflitti sociali.

Ma tra il timore dei radicali, preoccupati di non apparire come gli affossatori del governo di Fronte Popolare, i ricatti dei comunisti tanto più arroganti quanto più coscienti della loro intrinseca debolezza e le paurose incognite della situazione finanziaria, il sig. Blum ha avuto buon giuoco per riconfermare la solidità del Fronte Popolare e del governo che ne è l'espressione, apparendo come il supremo moderatore dell'evoluzione politica del Paese.

Gli avversari del Gabinetto Blum ripongono ora le loro speranze nel dibattito che avrà luogo a fine mese alla Camera in sede di bilancio della difesa nazionale e attribuiscono all'On. Daladier, ministro della Guerra, l'intenzione di condurre una violenta offensiva contro la propaganda e l'attività comunista, ciò che potrebbe provocare reazioni suscettibili di condurre alla rottura dell'unità del Fronte Popolare. Ma non è certo che i comunisti presteranno il fianco a tale manovra e che l'esistenza del Gabinetto, sopravvissuta a ben altre burrasche, debba essere messa in pericolo su di un terreno nel quale i comunisti hanno già dato prova di notevole arrendevolezza.

La situazione finanziaria qual'è rispecchiata dal bilancio del 1937 e dalle misure previste per il suo risanamento comporta invece per il governo difficoltà ed incognite di maggior rilievo. L'insuccesso dei prestiti recentemente emessi per fronteggiare i bisogni di tesoreria fa legittimamente dubitare che i risparmiatori francesi siano disposti a fornire allo Stato 30 o 40 miliardi occorrenti per sovvenire agli oneri del debito pubblico, ai maggiori crediti stanziati per i ministeri militari e alle passività di ogni genere accumulate nei precedenti esercizi. D'altra parte, l'appello al capitale emigrato non ha sortito, com'è noto, l'effetto auspicato, mentre il fondo di stabilizzazione creato in occasione della svalutazione per assicurare la regolare quotazione del franco e la sua difesa contro le speculazioni è stato in gran parte consumato.

In tale stato di cose, l'idea di una nuova svalutazione torna a circolare come di cosa che potrebbe diventare inevitabile se il Paese non operasse un energico raddrizzamento paragonabile a quello che rimane legato al nome di Poincaré.

In conclusione, l'anno nuovo trova immutati, nelle linee generali, gli elementi che condizionano l'esistenza del governo Blum. Il principale di essi rimane pur sempre l'atteggiamento dei radicali che, a differenza dei comunisti, sono decisi a raccogliere la successione pur esitando ancora sulla scelta del tempo e del luogo. Nel frattempo, attraverso l'azione moderatrice deli'On. Delbos nel campo della politica estera e quella decisamente anti-comunista deli'On. Daladier nel campo della difesa nazionale, il Partito radicale si adopera a paralizzare il virus rivoluzionario del governo di Fronte Popolare per far sì che il trasferimento dei poteri avvenga, quando dovrà prodursi, come la tappa di una evoluzione politica normale e non come la conseguenza di insanabili conflitti alle Camere e nel Paese.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 60/13 R. l. Roma, 7 gennaio 1937, ore 19.

Tuo 292 Segreto.

Per Tua personale notiZia e perché penso che Tu debba essere informato esattamente, Ti comunico che in realtà, in questi ultimi tempi, molte migliaia di volontari, e cioè una decina, sono state inviate a Cadice. Le nostre forze costituiranno una unità organica al comando di un nostro generale, ed inizieranno quanto prima le operazioni in un settore a loro esclusivamente affidato. Le notizie apparse sui giornali sono a volte artefatte e inesatte, ma un fondo di verità c'è. Quindi penso che per Te sia difficile negare assolutamente nostri invii di volontari. Sarà forse bene che, con tutta la prudenza del caso, Tu faccia comprendere agli inglesi

l Minuta autografa.

2 Riferimento errato. Si tratta, con ogni probabilità del T. 129/23 R. del 6 gennaio con cui Grandi aveva riferito che, in seguito alle notizie di sbarchi di volontari italiani a Cadice, il Foreign Office aveva fatto circolare una nota ut1ìciosa in cui si precisava che l'invio di volontari in Spagna, pur preoccupando il governo britannico, non costituiva una violazione degli accordi italo-britannici e si sottolineava che, né la questione dei volontari, né altri «aspetti contingenti» della situazione spagnola erano stati trattati dalla Gran Bretagna e dall'Italia nei loro negoziati.

che questi nostri interventi sono anche in parte determinati dalla opportunità di equilibrare gli aiuti dati a Franco dai tedeschi in uomini ed in materiali.

Ciò non vuoi dire che tra noi e i nazisti esista in Spagna il minimo contrasto. Al contrario. Operiamo insieme e di pieno accordo. E tra giorni avrà luogo a Roma una riunione nella quale insieme decideremo il da farsi per accelerare la vittoria di Franco 1• Ma in ogni caso, nel nostro interesse ed anche in quello altrui, non conviene lasciare i tedeschi padroni delle situazione. Benché poi si sia ormai detto le mille volte, converrà sempre ripetere che qualsiasi aiuto dato dall'Italia ai nazionalisti non mira a modifiche dello status quo territoriale, nè ora, nè in futuro.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, DE ASTIS

T. SEGRETO NON DIRAMARE 61/1 R. 2 . Roma, 7 gennaio 1937, ore 20

Dec(fri Ella stessa.

Nelle sue conversazioni con codesti uomini di governo, V.E. potrà far comprendere, con la prudenza del caso, che un colpo di mano turco su Alessandretta non sorprenderebbe nessuno in Italia. Se la Turchia vuoi decidere la questione, deve tener presente che questo è il momento migliore. La reazione francese sarebbe insignificante o forse nulla. Una Francia divisa all'interno da grigie lotte di fazioni, minacciata sul Reno, inquieta per le vicende spagnole, che sa di non poter contare sull'amicizia italiana, eviterebbe di affrontare un conflitto con la Turchia. Da parte nostra, un colpo di mano turco non troverebbe reazione contraria.

20

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, MENZINGER, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 160/6 R. Rio De Janeiro, 7 gennaio 1937, ore 21,10 (per. ore 6,30 dell'B).

Ministro degli Affari Esteri ad interim mi ha detto che Brasile può dirsi soddisfatto risultati conferenza Buenos Aires 3 giacché esso ne ha ottenuto il maggior vantaggio che poteva aspettarsi e che del resto desiderava, quello cioè del deciso rafforzamento dei rapporti con gli Stati Uniti dell'America del Nord: «A questo il

I Vedi D. 55. 2 Minuta autografa. 3 Ottava conferenza panamericana del l 0 -23 dicembre 1936.

Brasile è pervenuto anche perché è riuscito a liberarsi della diffidenza che altri Stati dell'America Latina, fra i quali Argentina, hanno tuttora verso dottrina di Monroe che, per merito di Roosevelt, da egemonica e unilaterale sarebbe divenuta plurilaterale, dando adito ad un regime di porta aperta che conviene appunto al Brasile ricco di materie prime». Inoltre, Brasile può dirsi soddisfatto perché quasi tutte sue proposte alla Conferenza sono state accolte.

Circa memorandum americano neutralità, ministro degli Affari Esteri ad interim mi ha detto che esso ha subito molti cambiamenti: infine per quanto concerne relazioni con l'Argentina, esse sono uscite dalla conferenza normalizzate. In principio eravi molta diffidenza specialmente verso Saavedra Lamas: Brasile con suo spirito di comprensione è riuscito a superare tale diffidenza.

Dichiarazioni Pimentel Brandào parmi rivestano speciale carattere perché sanzionano e fissano una tendenza che da molto tempo erasi accentuata: quella cioè di più stretti rapporti con gli Stati Uniti dell'America del Nord. Molti sintomi avevano in questi ultimi tempi dimostrato come essi fossero eccellenti e come la decantata indipendenza del Brasile avesse limitazioni in presenza degli Stati Uniti dell'America del Nord. Non arrivo ancora a dire che per ottenere qualche cosa dal Brasile dovrassi ora passare attraverso gli Stati Uniti dell'America del Nord: ma certo degli Stati Uniti d'America dovrà tenersi molto conto, anche da noi, per quanto si riferisce alla politica con il Brasile.

21

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 165/8 R. Ankara, 7 gennaio 1937, ore 22,10 (per. ore 3,30 del/'8).

Mio telegramma. 7 1•

Segretario generale del ministero Affari Esteri 2 mi ha detto che governo turco, fino a questa sera, non aveva ricevuto nuova proposta promessa da Blum concernente regime per Sangiaccato che equivalesse a indipendenza. Egli, pur dichiarando che situazione è molto delicata, ha tenuto a smentirmi voci allarmanti messe in circolazione. Si parla di prosecuzione del viaggio del Presidente della Repubblica verso una città vicina alla frontiera turco-siriana, di concentramento di truppe e spostamento della flotta. Ministri che erano andati incontro al Presidente della Repubblica e che avrebbero dovuto seguirlo a Konia si sono peraltro portati oggi ad Ankara.

È degna d'interesse la circostanza che l'ambasciatore d'Inghilterra 3 aveva ieri offerto a questo suo collega di Francia di adoperarsi presso il governo turco per indurlo alla moderazione e lo stesso ambasciatore d'Inghilterra, che ho poi incon

1 Vedi D. 12. 2 Numan Rifaat Menemencioglu. ' Sir Percy Loraine.

trato la sera, commentando gli avvenimenti della giornata, mi disse (a proposito del viaggio a Konia) che «i turchi volevano giuocare la loro ultima carta». Stampa segue avvenimenti con tono di rinnovata violenza.

22

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLE AMBASCIATE DI FRANCIA E GRAN BRETAGNA A ROMA

NOTA VERBALE. Roma, 7 gennaio 1937.

«l. Col promemoria dell'Ambasciata britannica del 26 dicembre n. 147-178-36 e con la comunicazione verbale fatta dall'Ambasciata di Francia lo stesso giorno, 1 i due Governi inglese e francese rivolgono uno speciale e diretto appello ai Governi per la questione dei volontari in Spagna.

Il Governo italiano ha esaminato con la maggior attenzione sia il promemoria britannico sia la comunicazione francese. Innanzi di entrare nel merito, esso desidera tuttavia rilevare come la questione rientri nella competenza del Comitato di Londra pel non intervento, Comitato che per la volontà dei Governi che l'hanno costituito rappresenta appunto la sede di discussionè naturale per tutto quanto concerne il non intervento in Spagna. Il Governo italiano pertanto non può fare a meno di osservare, quanto al metodo, che col sottrarre al Comitato di Londra le questioni più gravi mediante diretti appelli ai Governi, si rischia di menomare l'autorità e il prestigio del Comitato stesso e di pregiudicarne l'attività, facendo sorgere la questione -ove in tal metodo si continuasse -se convenga o meno di tenere in vita un organo che si verrebbe così progressivamente e rapidamente esautorando.

2. I due Governi britannico e francese sottolineano la loro preoccupazione pel continuato afflusso di volontari stranieri in Spagna. Il Governo italiano condivide tanto più tale preoccupazione in quanto essa non è, per quel che lo concerne di recente data.

Nelle conversazioni svoltesi a seguito della proposta francese pel «non intervento», il Governo italiano ebbe ripetutamente ed esplicitamente a mettere in evidenza fin dall'inizio, tanto presso il Governo francese quanto presso quello inglese, che il «non intervento» non poteva limitarsi, sotto pena di restare pericolosamente inadeguato e inefficace, alle forme di ingerenza diretta, ma doveva altresì essere esteso anche all'ingerenza «indiretta» e in particolare comprendere, insieme con gli aiuti finanziari e con la propaganda, anche l'invio di volontari.

Nella conversazione del 5 agosto con l'ambasciatore di Francia2 il ministro degli Esteri conte Ciano si esprimeva così: «Il Governo italiano domanda se la solidarietà morale con una delle parti in conflitto, solidarietà che si è espressa e si

I Si veda serie ottava, vol. V, D. 672.

2 Vedi serie ottava, vol. IV, p. 750, nota l. La dichiarazione di Ciano ripeteva testualmente un passo delle istruzioni redatte da Mussolini (per le quali si veda ihid., D. 683).

esprime attraverso manifestazioni pubbliche, campagna di stampa, sottoscrizioni in denaro, arruolamento di volontari, ecc. non costituisca già una clamorosa e pericolosa forma di intervento».

Il 10 agosto 1 , al «progetto di dichiarazione» rimessogli dall'ambasciatore di Francia, il conte Ciano suggeriva l'aggiunta del seguente paragrafo: «Omissis ... I Governi s'impegnano a non permettere nel loro territorio né sottoscrizioni pubbliche nè reclutamento di volontari per le due parti in conflitto». Il Governo francese manteneva tuttavia integro il proprio progetto. Nè da parte francese nè da parte inglese si mostrò di accedere alla proposta italiana. Fu detto che la questione avrebbe potuto essere trattata più tardi e furono fatte premure perché il Governo italiano non insistesse sulla propria richiesta. Il Governo italiano finì per accedere all'invito rivoltogli, con la nota diretta il 21 agosto all'ambasciatore francese 2• In tale nota il conte Ciano ebbe tuttavia a mettere in evidenza quanto segue: «Poiché ... nella proposta francese si parla anche di «ingerenza indiretta», senza specificare di che si tratta, il Governo italiano tiene a precisare che interpreta tale «ingerenza indiretta» nel senso che non sono ammissibili, nei paesi aderenti all'accordo, sottoscrizioni pubbliche o arruolamenti di volontari per l'una o per l'altra parte in conflitto. Il Governo italiano, nell'accettare di aderire al non intervento «diretto», ha l'onore pertanto di mantenere le sue osservazioni per quanto concerne il non intervento «indiretto».

Successivamente la questione dell'intervento indiretto fu sollevata, anche questa volta dall'Italia, a mezzo del suo rappresentente nel Comitato stesso, e precisamente nella seduta del 14 settembre; e fu per sua iniziativa che la questione venne iscritta all'ordine del giorno della seduta del Sottocomitato che ebbe luogo il 15 dello stesso mese.

Lo stesso ambasciatore d'Italia, nella seduta del 18 settembre, rimise al Sottocomitato una comunicazione nella quale erano indicate le tre forme tipiche d'intervento indiretto, suscettibili di formare oggetto di comune accordo: il reclutamento di volontari. gli agitatori politici, i soccorsi finanziari. Ma la questione non potè essere presa in esame fino al 5 ottobre per l'opposizione di altre delegazioni.

In questa sua azione il Governo italiano procedette sempre di comune accordo col Governo tedesco, e la posizione dei due rappresentanti italiano e tedesco in seno al Comitato di Londra si svolse sempre sulle stesse linee.

Nelle successive sedute del Comitato la discussione ebbe tuttavia a porre ormai in luce tale diversità di opinioni e di situazioni che, quando il rappresentante inglese, in un lodevole tentativo di superare le divergenze emerse, ebbe ad avanzare la proposta cui si riferisce il memorandum britannico, parve al rappresentante italiano che -al punto in cui si era giunti dopo tanto ritardo e le complicazioni sopraggiunte -la sola maniera di venire a capo di tali divergenze fosse quella di affidarle a uno speciale Sottocomitato, ove le discussioni avrebbero potuto procedere più rapide e più spedite.

3. I Governi britannico e francese, riprendendo la proposta del rappresentante britannico in seno al Comitato, chiedono che sia rapidamente fissata una data alla quale dovrebbero entrare in vigore nei rispettivi territori le misure necessarie per

I Per il colloquio tra Ciano e de Chambrun avvenuto quel giorno si veda ibid., D. 711. 2 Vedi ibid., D. 781.

impedire il reclutamento e la partenza di persone che si recano in Spagna allo scopo di partecipare alla guerra civile.

I Governi britannico e francese non avevano considerato nei mesi scorsi che l'affluenza di volontari dovesse essere vietata come un atto di illecito intervento negli affari spagnoli. Essi adottano ora invece un diverso punto di vista, sottolineandone l'urgenza.

Il Governo italiano non può non rilevare che, date le circostanze di fatto attualmente esistenti e in considerazione dell'ingresso avvenuto nel frattempo di volontari stranieri in Spagna, il divieto proposto avrebbe come conseguenza di favorire unicamente la fazione ostile al Governo nazionale, ormai sufficientemente rifornita da elementi stranieri che hanno rafforzato i suoi ranghi.

4. Il Governo italiano è tuttavia disposto ad accettare che la questione dei volontari formi oggetto -come richiesto -di un accordo speciale che ne proibisca il reclutamento e la partenza a una prossima data. Il Governo italiano osserva che l'accordo proposto dal Governo hritannico debba avere carattere generale, cioè essere accettato da tutti i Governi ed essere sottoposto inoltre a un efficace controllo perché non possano sorgere dubbi sulla sua piena e completa applicazione; controllo che per evidenti ragioni esso ritiene sia inteso che debba avvenire nei porti e punti di accesso della Spagna. Esso è pronto pertanto a impartire istruzioni nel senso indicato al proprio rappresentante nel Comitato di Londrà perché siano dallo stesso Comitato presi gli accordi necessari allo scopo.

Se oggi, come già nell'agosto scorso, il Governo italiano, animato da spirito di larga collaborazione, si induce a venire incontro di nuovo alle proposte franco-britanniche, esso non può nascondere che il metodo con cui i Governi interessati hanno fin qui trattato e continuano a trattare la questione del non intervento in Spagna, metodo cioè saltuario, limitato e parziale, non potrà mai, a suo avviso, dare altro che risultati inadeguati, incerti, pericolosi.

Il Governo italiano conferma anche in questa occasione la sua convinzione sull'efficacia del metodo che ha sostenuto fin dall'inizio: essere cioè più che mai necessaria una trattazione integrale e totalitaria del problema del non intervento sia nelle sue forme dirette che indirette. Se all'accordo sui volontari non dovesse rapidamente seguire quello su tutte le altre forme di ingerenza indiretta (e particolarmente sulla propaganda e sugli aiuti finanziari e in un modo che fornisca garanzie sufficienti della loro esecuzione), tale circostanza non potrebbe non avere ripercussioni e il Governo italiano si vedrebbe costretto a riesaminare la questione.

Il Governo italiano desidera sottolineare queste sue osservazioni anche nell'intento di stimolare e affrettare l'adozione delle misure dalle quali soltanto può sperarsi il conseguimento di quei fini di ordine e di normalizzazione che è suo scopo -ed esso non dubita anche degli altri Governi -di raggiungere.

A questo proposito, e ispirandosi a tale concetto, il Governo italiano ha l'onore di osservare da ultimo che qualora si volesse poi riportare la questione nei termini in cui essa era nell'agosto scorso, qualora cioè i Governi si accordassero sull'opportunità di allontanare dal territorio spagnolo tutti i non spagnoli, combattenti, volontari politici, propagandisti e agitatori, il Governo italiano sarebbe pronto a dare il suo appoggio a tale iniziativa, che la Commissione del non intervento a Londra dovrebbe immediatamente esaminare».

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 164/3 e 166/4 R. Bruxelles, 8 gennaio 1937, ore 0,26 (per. ore 6,30).

Miei telegrammi n 11 e 22 del 6 corr.

Il ministro degli Affari Esteri mi ha pregato stasera di passare da lui.

Mi ha detto che l'autorizzazione data al Degrelle di usare una stazione radiofonica italiana lo aveva profondamente sorpreso. Egli non voleva pronunciare la parola «inamicale» per qualificare il gesto italiano, ma questo era certamente molto rincrescevole. Esso aveva prodotto nel Paese la più sfavorevole impressione, e ciò tanto più in quanto era noto che il governo belga non aveva mancato mesi fa di avvertire il governo italiano sulle intenzioni di Degrelle e sui fini puramente di ordine interno che questi si proponeva raggiungere usando la radio italiana.

Ho risposto che le sue osservazioni mi sorprendevano, sia perché le stazioni radiofoniche italiane formano da sole, senza alcun intervento, i loro programmi e sia perché il discorso Degrelle non conteneva alcun diretto attacco al governo od a determinati ministri belgi.

Il ministro mi ha interrotto chiedendomi quale sarebbe il mio modo di vedere se il governo belga facesse parlare alla radio un antifascista italiano.

Ho replicato che il caso sarebbe del tutto diverso, stante l'evidente desiderio di ritorsione da parte del governo belga e quindi la diretta sua responsabilità. Ho tratto poscia occasione del suo accenno per ricordargli l'ospitalità ed i posti rimunerati dati dal governo e dalla stampa belga ai nostri fuorusciti; le incessanti ingiurie al Duce ed allo stesso nostro Augusto Sovrano (mio telegramma n. 221 del 30 novembre scorso)3 da parte di giornali esponenti di partiti attualmente al governo; la libera proiezione di film ingiuriosi per l'Italia (mio telespresso n. 6234 del 31 dicembre scorso)4 , ecc.

Spaak, dopo aver cercato di schermirsi, mi ha pregato di intervenire presso

V.E. per farle presente il suo stato d'animo e specialmente per raccomandarle di evitare che le nostre stazioni accolgano ulteriormente il Degrelle. Ha aggiunto che da informazioni pervenutegli da Roma erano da temersi siffatte eventualità, le quali potrebbero portare a conseguenze assolutamente non rispondenti alle intenzioni del governo belga nei nostri riguardi. Questione era delicatissima ed opinione pubblica nonché Parlamento assai più eccitati di quanto forse a me apparisse.

I T. 118/1 R. del 6 gennaio. Riferiva che il consiglio dei ministri belga si era occupato dell'imminente discorso di Degrelle alla Radio di Torino e si era riservato di intervenire presso il governo italiano qualora il capo dei rexisti avesse trattato argomenti di politica interna belga, considerando tale eventualità come diretta ingerenza italiana negli affari interni del Belgio.

2 T. 119/2 R. del 6 gennaio. Riferiva che la stampa belga, verosimilmente ispirata, si limitava ad osservare che se una stazione radiofonica italiana fosse stata messa a disposizione del movimento rexista ciò sarebbe stato considerato come una manifestazione poco amichevole nei riguardi del Belgio.

3 T. 10997/221 P.R. del 30 novembre. Riferiva che il giornale socialista Le Pcuple aveva definito Vittorio Emanuele Ili «imperatore d'Etiopia, altrimenti detto re d'Italia». 4 Non pubblicato.

Ho replicato vivamente ma da parte sua il ministro degli Affari Esteri ha insistito nella sua raccomandazione.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO PER CORRIERE 167/1 R. Roma, 8 gennaio 1937 (per. stesso giorno).

Nell'udienza di stamane, il cardinale segretario di Stato mi ha comunicato di avere avuto una lettera dell'arcivescovo cattolico di Westminster, monsignor Hinsley, intesa a trasmettergli una lettera di certo conte de Sibour, rappresentante dell'ex negus Tafari. Il conte de Sibour scrive che il signor Tafari prega l'arcivescovo di persuadere il Pontefice a intromettersi, in suo favore, presso il governo italiano. Il signor Tafari dichiara, così scrive il conte de Sibour, di essere disposto a procedere all'abdicazione assoluta, anche a nome del figlio, con l'intesa che tale suo atto sarebbe proclamato solennemente in Etiopia. Il signor Tafari si impegnerebbe a raccomandare al popolo etiopico di servire fedelmente l'Italia. Da parte sua il signor Tafari domanderebbe:

lo la liberazione di alcuni prigionieri che l'interessano in modo particolare e il permesso per i medesimi di lasciate il Paese; 2° che sia attenuato il trattamento di estrema severità usato verso coloro che hanno combattuto per la sua causa; 3° che sia assicurato l'avvenire finanziario suo e della sua famiglia.

Nella lettera c'è, infine, una domanda poco chiara. È detto che resterebbe da vedere se al figlio del signor Tafari può essere accordata l'autorizzazione di svolgere una certa attività (parrebbe d'ordine economico) nel Paese, sotto l'assoluta sorveglianza del governo italiano.

Il cardinale mi ha dichiarato che, se la cosa interessa, potrà fornire ulteriori schiarimenti.

Ho risposto al segretario di Stato che l'affare Tafari, è totalmente chiuso, per l'Italia. Ho soggiunto che, tuttavia, non mi rifiutavo di riferire all'E.V. la nostra conversazione. Ho domandato chi è il conte de Sibour e se veramente è autorizzato dal signor Tafari a parlare in suo nome.

Il cardinale Pacelli ha replicato ch'egli deve considerare la cosa seria perché gli viene dall'arcivescovo di Westminster, il quale ha trasmesso la lettera del de Sibour con una sua comunicazione esplicativa. Il conte de Sibour ha precisato che la proposta, oltreché dal signor Tafari e da lui, è conosciuta dal signor Collier, agente finanziario dell'ex Negus.

Il porporato mi ha domandato il segreto e una risposta. Mi sono impegnato all'uno e all'altra 1 .

l Si veda, per il seguito, il D. 44.

25

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, DE ASTIS

T. SEGRETO NON DIRAMARE 82/3 R. Roma, 8 gennaio 1937, ore 17,45.

Mio n. 11 Deciji-i da solo.

Con la maggior prudenza, V.S. dovrà per interposte persone accreditare in codesti ambienti politici la voce che la Francia intende lasciare impregiudicata questione del Sangiaccato di Alessandretta in vista di eventuali negoziati con l'Italia. Dovrà cioè far ritenere ai turchi che la Francia si preparerebbe a cedere a noi Alessandretta, in seguito ad un accordo mediterraneo, per il quale le trattative sarebbero già in corso. L'Italia accetterebbe tale cessione dalla Francia, come riconoscimento dei nostri diritti in Asia Minore. Quanto precede, combinato con quanto le telegrafai ieri, deve servire ad aumentare la esasperazione turca e a determinare o almeno facilitare un colpo di mano sul Sangiaccato, che riuscirebbe di singolare utilità per la nostra politica 2 .

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 190/24 R. Londra, 8 gennaio 1937, ore 20 (per. ore l del 9 ).

Eden ha convocato ieri nel pomeriggio incaricato di affari Germania 3 che mi ha subito messo al corrente del colloquio. Eden ha detto all'incaricato di affari aver l'impressione che a Berlino si stesse determinando sensazione che dopo accordo italo-inglese, governo britannico non attribuiva alla questione volontari stessa importanza che al momento del passo franco-inglese. «Questo -ha aggiunto Eden -non corrisponde alla realtà. Accordo italo-inglese non concerne in modo alcuno intervento in Spagna e presente afflusso volontari stranieri ad entrambe le parti in conflitto preoccupa più che mai governo britannico. Vi prego anzi di far sapere a Berlino che Baldwin, col quale ho avuto oggi lunga conversazione, considera con la più viva ansia possibilità complicazioni internazionali derivanti da questione volontari».

Alla domanda incaricato di affari circa elementi dai quali Eden aveva tratto sue impressioni sulla interpretazione tedesca accordo italo-inglese, ha risposto che corrispondenti maggiori giornali inglesi da Berlino, e particolarmente corrispondenti

l Vedi D. 19.

2 L'ambasciatore Galli rispondeva che avrebbe agito nel senso desiderato attraverso interposte persone (T. 253/19 R. dell'I l gennaio).

J Ernst Woermann.

30 Times, hanno segnalato concordemente che in alcuni circoli tedeschi è diffusa sensazione che Gran Bretagna, rassicurata dallo scambio di note integrità territorialità della Spagna, sia disposta a chiudere un occhio in materia di interventi a favore Franco.

Incaricato di affari tedesco ha replicato che queste segnalazioni giornalistiche da Berlino non sono esatte e che non vi è ragione alcuna per credere che il governo tedesco non valuti esattamente, tanto la portata dell'accordo italo-inglese, quanto atteggiamento britannico nella questione dei volontari. Su questo ultimo punto, del resto, risposta tedesca 1 , la quale stava per essere consegnata, avrebbe eliminato ogni equivoco. Incaricato di affari ha aggiunto che avrebbe comunque informato governo Berlino di quanto Eden gli aveva detto.

27

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, DE CIUTIIS

T. SEGRETO l 06/22 R. Roma, 8 gennaio 1937, ore 22.

Alla richiesta rivoltagli dal Comitato di Londra circa impegni finanziari inerenti al nuovo progetto di controllo marittimo e terrestre, R. Governo risponderà accettando di assumersi quota spettantegli a condizione:

a) che due parti in conflitto accettino schema controllo; b) che tutti Stati partecipanti accordo non intervento si dichiarino pronti versare loro contributi; c) che quota italiana non superi 100 mila sterline per un anno.

Nostro rappresentante in seno al Comitato di Londra aggiungerà essere naturalmente inteso che nostra accettazione attuale riguarda soltanto aspetti finanziari del progetto di controllo.

Nel comunicare quanto precede al generale Franco, faccia presente che è indispensabile che risposta codesto governo all'ultimo quesito rivoltogli per il tramite del Foreign Office 2 circa «sua disposizione a collaborare all'attuazione del progetto di controllo» abbia ancora carattere dilatorio. Generale Franco non dovrebbe entrare affatto nel merito della questione. Osservato, però, che i governi rappresentati nel Comitato si propongono di esercitare atti di sovranità in un territorio che è sottoposto alla sua sovranità e al suo controllo (che pertanto tali governi domandano la sua collaborazione), chiedere che la sua situazione di fronte a tali governi venga definita e che quindi i governi stessi gli riconoscano la qualità

l Si tratta della risposta del governo tedesco alla nota franco-britannica del 26 dicembre precedente relativa a volontari in Spagna. Il testo della risposta tedesca è in DDT, serie D, vol. III, D. 190, allegato. 2 Si riferisce alla comunicazione, effettuata il lo gennaio precedente, alle due parti in lotta in

Spagna della nota franco-britannica del 26 dicembre sul blocco dei volontari stranieri.

31 di belligerante. Generale Franco potrebbe inoltre domandare se e in quale modo il sistema proposto sia tale da garantire l'assoluta segretezza delle operazioni militari, ciò che per lui Franco per ovvie ragioni è di importanza fondamentale. Codesto governo potrà infine ancora una volta ripetere i quesiti già precedentemente rivolti al Comitato ed a cui il Comitato non ha creduto di dover rispondere, aggiungendo tutte le altre richieste di precisazioni e chiarimenti che ritenesse più opportuno e che giudicherà più atte ad imbarazzare il Comitato di Londra e gli anarchico-comunisti di Valencia. Sarebbe poi bene che Valencia fosse possibilmente la prima a rispondere 1•

28

IL CAPO DELL'UFFICIO SPAGNA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 8 gennaio 1937.

Colli da Genova comunica in data 7 gennaio: Stamane mi sono incontrato coll'ammiraglio Canaris, (il quale parte anch'egli per un breve giro in Spagna). Da quanto mi ha detto, risulta:

-che a Berlino interessa molto di conoscere se il recente accordo italo-britannico è stato accompagnato da assicurazioni e controassicurazioni aggiuntive, equivalenti ad una mano libera accordataci dall'Inghilterra in fatto di intervento a favore di Franco;

-che gli ambienti militari germanici, sempre molto preoccupati di complicazioni politiche, specie nei riguardi francesi, sono tuttora ostili ad un considerevole intervento in Spagna;

-che un intervento di tal genere sconvolgerebbe il programma di ampliamento dell'esercito del Reich (il quale è in crisi di inquadramento), che si hanno difficoltà gravi a trovare gente che parli lo spagnolo, che le formazioni tedesche di milizia (S.A.-S.S.) non sono addestrate alla vera guerra, ecc. ecc.;

-che, in conseguenza, il Reich:

non manderà in Spagna formazioni volontarie di qualche consistenza;

non può assolutamente inviarvi il personale per addestrare due brigate spa

gnole (o per lo meno non può inviarlo in misura uguale o prossima a quello

inviato da noi);

-sembra considerare ancora in maniera indecisa la formazione della nota divisione regolare, di eventuale invio.

La prego di attirare l'attenzione di S.E. Ciano su questo stato d'animo tedesco (non più spiegabile con una sfiducia sulle sorti di Franco poiché il Canaris stesso

1 Per il seguito si veda il D. 35.

mi dice che ora questa non c'è più). Può darsi che Canaris non sappia tutto ciò che il governo del Reich vuole fare. Ma è importante (riunione del 14) chiarire bene tutto. Infatti, noi abbiamo sempre calcolato sopra un'azione germanica concomitante e pressoché equivalente. Se essa mancasse non ci perderemmo per questo d'animo ma le difficoltà sarebbero maggiori 1•

29

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 135/7. Atene, 8 gennaio 1937 (per. il 13).

Nel colloquio che ho avuto con Metaxas dopo il mio recente ritorno dall'Italia, ho prospettato, fra l'altro, al Capo del Governo ellenico le disposizioni di V.E. verso una politica di comprensiva benevolenza nell'amministrazione dodecannesina, aggiungendo che la questione dell'«autocefalia» sarebbe assai probabilmente messa per ora da parte.

Il Presidente Metaxas si è dichiarato molto lieto e compiaciuto delle generose intenzioni di V.E. e della considerazione accordata ai suoi desiderata e mi ha chiesto di ringraziarLa vivamente !asciandomi intendere di apprezzare in modo particolare -anche nei suoi riguardi personali -le nuove direttive di V.E., le quali -oltretutto -giovano alla sua situazione interna di fronte alle latenti opposizioni, capaci di far leva su certe suscettibilità nazionali in fatto di questioni sentimentali e religiose. Ho detto poi a Metaxas -sempre a titolo personale che sarebbe mia intenzione di recarmi prossimamente a Rodi per uno scambio diretto di idee e di vedute con il nuovo governatore, S.E. De Vecchi, sulle questioni riferite. Metaxas ha nuovamente ringraziato dichiarandosi interessato alla mia progettata visita a Rodi e ripetendomi che grandissimo beneficio egli si attende, nei rapporti fra i due Paesi, della benevolenza che V.E. mostra per i greci del Dodecanneso.

Siamo quindi passati a parlare di questioni di politica generale, il che mi ha offerto l'occasione di far presente a Metaxas la convenienza per la Grecia di continuare risolutamente nella politica di amicizia con l'Italia, che sarebbe utile rinforzare e integrare con qualche nuova manifestazione. Metaxas ha accolto con vivo interesse le mie osservazioni e mi ha chiesto quale a mio avviso potrebbe essere una nuova manifestazione greca verso l'Italia. Ho replicato che esorbitava alquanto dalle mie facoltà di dare suggestioni concrete in proposito; al che egli ha risposto che si riservava, dal suo canto, di pensarci e mi ha pregato di volere anch'io da parte mia riconsiderare tutto l'insieme dei rapporti italo-greci per potere -sia pure in via personale-dargli qualche suggerimento e formulare delle idee che potrebbero essere discusse insieme in ulteriori colloqui.

I Il documento ha il visto di Mussolini. Si veda il seguito di questo appunto nel D. 36.

Non ho creduto d'iniziare subito alcuna discussione senza ordine di V.E. Giudico tuttavia doveroso sottometterLe l'argomento, affinché qualora V.E. lo creda utile, voglia farmi conoscere le Sue vedute ed eventualmente indicarmi se convenga ulteriormente trattarlo, con guaii criteri ed entro guaii limiti.

Tra le possibili forme di manifestazioni mi si presenta alla mente, come la più ovvia, quella di una visita di Metaxas a Roma. Tuttavia-da un lato -mi è nota la riluttanza di Metaxas ad assentarsi dalla Grecia nella situazione attuale e, dall'altro, non posso difendermi dal dubbio che una manifestazione che prendesse la forma di una sua visita a Roma sarebbe forse di scarso significato, se il Capo del Governo ellenico dovesse farla soltanto per atto di omaggio e senza uno scopo positivo. Non vorrei, in altri termini, che Metaxas venisse a Roma a mani vuote. Si dovrebbe studiare la maniera di poter dare alla visita un contenuto positivo. Mi permetto pertanto esporre qui appresso a V.E. alcune mie osservazioni che potranno forse servire come elementi di giudizio per darmi eventualmente direttive ed istruzioni.

Parlando di politica generale, valendomi dell'autorizzazione datami da V.E., ho richiamato l'attenzione del mio interlocutore, sull'evoluzione estremamente favorevole dei rapporti italo-jugoslavi e ho aggiunto che agli effetti di Atene, una Italia amica della Jugoslavia non potrà che esercitare un'azione moderatrice e di equilibrio, non solo nei rapporti tra Grecia e Jugoslavia, ma in tutta la politica balcanica in generale.

Metaxas si è mostrato sensibile al nuovo sviluppo dei rapporti italo-jugoslavi e ha domandato, con l'espressione di specialissimo interesse, se l'Italia firmerà un patto con la Jugoslavia. Non posso esimermi dal mettere in relazione questo suo interesse col contenuto dei miei telegrammi n. 3 e 5 1 sulla reazione ellenica al patto bulgaro-jugoslavo, anche perché è mia impressione personale che la Grecia rischia più che mai di rimanere succube della Turchia, e cioè del solo alleato balcanico che abbia oggi dato ad Atene la riassicurazione scritta del mantenimento dello statu qua territoriale.

Senza sopravalutare il fattore greco nel vasto quadro della nostra politica estera, sembrami che potrebbe forse essere utile di esaminare la possibilità di agganciarlo per così dire, al nostro sistema, sempre che a V.E. apparisse utile riservare alla Grecia una parte in margine all'accordo con la Jugoslavia. Mi pare inoltre di vedere che se la Grecia riuscisse a liberarsi della tutela della Turchia, dovrebbe avere interesse a cercare un'eventuale formula di suo inserimento anche marginale, sul nuovo piano dei rapporti italo-jugoslavi. Sarebbe per essa la sola maniera di riparare al crescente isolamento onde è minacciata. L'accordo anglo-italiano è tale da offrire alla Grecia quel margine di manovra nei riguardi dell'Inghilterra che essa riteneva finora di non possedere e spingerla, con maggiore autonomia, a iniziative verso l'Italia, ridefinendo su una base più larga la politica di riavvicinamento a cui il nuovo regime ellenico ha mostrato, anche con atti positivi, di annettere massima importanza. Evidenti segni mostrano che oggi la Grecia viene a trovarsi in uno stato di grande perplessità e di spiegabile malessere di fronte alla nuova situazione balcanica che è suscettibile di rimettere

1 D.D. 6 e Il.

in dubbio la garanzia che ha regolato finora la sua funzione continentale in seno all'Intesa Balcanica.

Mi sono permesso di intrattenere V.E. su questi argomenti, non per indulgere a una lunga esposizione di impressioni personali ma per segnalarLe sensazioni di atmosfera, umori di ambienti, oscillazioni di opinioni, che dopo il colloquio con Metaxas e in base a informazioni di colleghi e uomini politici, mi sembrano avere una qualche importanza sintomatica. Credo superfluo aggiungere che sottolineando tali impressioni non ho inteso, né emettere alcun giudizio di carattere generale, né rischiare previsioni, ma semplicemente di riprodurre lo stato d'animo e la situazione politica della Grecia come essa mi appare nel momento attuale. V.E. giudicherà se vale la pena e se è possibile e tempestivo di fare alcunché per cercare di sfruttare le attuali incertezze della Grecia in vista di attirarla in un blocco che, costituito dall'Italia, dalla Jugoslavia e dalla Grecia avrebbe grandissimo peso non solo in questo settore ma in tutta la politica europea 1•

30

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI,CIANO

T. 206/1 R. Tokio, 9 gennaio 1937, ore 12 (per. ore 0,35 del IO).

Addetto militare cinese 2 è andato a dire al nostro, avere udito sarebbe qui venuto capo nostro servizio affari Estremo Oriente ed ha manifestato desiderio incontrarlo adducendo sarebbe stato utile udire anche l'altra campana. Al nostro addetto militare è sembrato suo collega parlasse per istruzioni ricevute e che governo cinese, avendo creduto che Cortese venisse qui per qualche missione speciale e temporanea, volesse tentare con la nostra mediazione e forse anche della Germania di migliorare i rapporti con il Giappone.

In una conversazione posteriore con il collega tedesco 3 è parso a Scalise che in Berlino si sarebbe lieti della parte mediatrice anche perché Germania temerebbe che il Giappone, se preoccupato per la Cina, potrebbe non decidersi a muoversi nel caso di una guerra fra Russia e'Germania. Impressione tratta da Scalise dopo il suo colloquio con cinese si è rafforzata quando il tedesco gli ha detto aver motivo per credere che la Cina desideri adesso effettivamente un avvicinamento al Giappone.

Se così fosse, momento sembrerebbe favorevole anche per quanto riguarda Tokio perché qui si desidera ora da tutti, compresi i militari, di stabilire relazioni con Nanchino per le quali i vantaggi vengono da un'intesa e non dalla violenza, il che ha conferma negli accenni di vari giornali. Cina e Giappone si trovano oggi in una posizione di reciproca diffidenza, giacché l'una teme nuove spoliazioni, l'altro

I Il documento ha il visto di Mussolini. Per la risposta di Ciano, si veda il D. 135. 2 S. S. Hsiao. 3 Eugen Ott.

attacchi alle spalle ed hanno entrambi interesse ad uscirne, l'una per provvedere alla ricostituzione interna, l'altro allo sfruttamento economico: non so se un tentativo per cercare ottenere che i due Paesi si garantissero reciprocamente da questo paventato pericolo e accompagnassero le garanzie con qualche forma di collaborazione economica, che potrebbe anche includersi in un patto anticomunista, avrebbe qualche probabilità di successo. Collaborazione attenuerebbe diffidenze e attenuarsi delle diffidenze favorirebbe collaborazione.

Colloquio con Cortese, anche ove se ne desse preannunzio a Tokio, potrebbe suscitarvi diffidenze e in ogni caso mi pare non servirebbe a nulla, giacché non vedo a che cosa egli potrebbe giovare da Mukden. Ma se V.E. con la sua autorità credesse fare qualche saggio a Nanchino, ove questo fosse favorevole, potrebbe seguire ad esso qualche saggio con Sugimura; stimo ad ogni modo che o la mia o qualche altra proposta conciliatrice metterebbero conto di essere tentate mentre in Tokio son fresche le impressioni per gli insuccessi e in Nanchino quelle per la rivolta 1 .

31

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 199/26 R. Londra, 9 gennaio 1937, ore 19,43 (per. ore l del 10).

Questo ambasciatore di Francia2 ha informato ieri Eden del passo che console francese Tetuan3 ha fatt·o presso quelle autorità nazionali spagnole4 per richiamarne attenzione sul trattato in base al quale Spagna e Francia sono impegnate non autorizzare «ingerenze straniere» nelle rispettive zone Marocco5 . Mi risulta che ambasciatore ha insistito sopratutto su lavori fortificazione attualmente in corso a Ceuta e che verrebbero eseguiti sotto direzione tedesca, nonché su contingenti truppe germaniche il cui arrivo in Marocco sarebbe, secondo francesi, imminente.

Anche in seguito a queste insistenti segnalazioni e pressioni francesi, attività tedesca nel Marocco comincia a preoccupare circoli politici e governo britannico. Mi risulta che nella riunione del Consiglio ministri ieri è stata esaminata in via preliminare situazione della Spagna con particolare riguardo fortificazioni Ceuta. Nella riunione del Consiglio ministri che avrà luogo lunedì questione sarà sottoposta esame più approfondito sulla base informazioni richieste telegraficamente al consolato generale britannico in Tangeri.

I Per la risposta si veda il D. 68. 2 Charles Corbin. 3 Jean Charles Serres. 4 Vedi 0.0. 32 e 40. 5 Vedi p. 37, nota 2.

32

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 201/20 R. Parigi, 9 gennaio 1937, ore 21,45 (per. ore 1,45 del 10).

Léger mi ha detto che da informazioni pervenute giorni scorsi al governo francese sarebbero in corso al Marocco spagnolo preparativi per sbarco ed alloggio di militari tedeschi. In data 7 corrente governo francese aveva pertanto rivolto al governo di Burgos per il tramite di una autorità militare di questo governo a Tetuan una comunicazione' colla quale rammenta gli articoli 5 e 6 del Trattato franco-spagnolo del 27 novembre 19122 con cui Spagna si è impegnata a non cedere, né alienare in nessuna forma e nemmeno temporaneamente i suoi diritti in tutto o parte del territorio costituente propria zona d'influenza, di garantire libero passaggio nello Stretto di Gibilterra e di non erigere quindi fortificazioni ed opere strategiche di sorta. Comunicazione aggiunge che impegni suddetti assunti dalla Spagna sarebbero incompatibili con sbarco e permanenza nel Marocco spagnolo di qualsiasi contingente non spagnolo, cosicché governo francese sarebbe costretto prendere provvedimenti del caso per ristabilire stato di cose conforme al Trattato sopracitato ed all'obbligo da esso assunto verso Sultano del Marocco di garantire integrità territoriale totale di tutto il territorio marocchino, compresa quindi anche la zona spagnola la cui amministrazione fu, giusta intesa di collaborazione franco-spagnola, ceduta alla Spagna pur avendo la Francia conservato integrale diritto di rappresentarla e di difendere all'estero i diritti ed interessi dei cittadini marocchini che ne sono originari. Segreteria Generale del Quai d'Orsay ritiene che comunicazione di cui si tratta potrà pervenire entro giorno 9 al governo di Burgos.

Contemporaneamente alla trasmissione della comunicazione stessa a Tetuan, Léger aveva avant'ieri chiamato presso di sé questo ambasciatore di Germania al quale ne aveva fatto conoscere termini rilevando come essa menzionasse genericamente contingenti non spagnoli ancorché dalle notizie in possesso del Quai d'Orsay risultasse che 2.000 tedeschi sarebbero partiti da Monaco di Baviera diretti al Marocco e che un altro migliaio sarebbe concentrato e pronto a partire in altra città tedesca. Aveva aggiunto che lo pregava di attirare tutta l'attenzione del governo del Reich sulla gravità della situazione che si sarebbe creata se un solo militare o volontario tedesco fosse sbarcato nella zona spagnola del Marocco dato che questo Paese doveva in ogni caso rimanere estraneo al conflitto che si sta svolgendo in Spagna, che l'interesse comune della Francia e dell'Inghilterra non poteva ammettere che lo statuto creato dall'accordo franco-spagnolo del 1912 subisse comunque una modificazione, cosicché la Francia, d'accordo pienamente con l'Inghilterra, avrebbe provveduto al ristabilimento della situazione legale ado-

I In realtà, la comunicazione veniva effettuata nel pomeriggio del giorno IO (vedi D. 40).

2 Convenzione di Madrid de127 novembre 1912 (testo in MARTENS, serie III, vol. VII, pp. 323-333). La nota francese faceva altresì riferimento all'art.8 della convenzione franco-spagnola del 3 ottobre 1904 (testo ibid., vol. V, pp. 666-670) nel quale era stabilito che, qualora una delle parti contraenti fosse stata costretta ad un'azione militare in Marocco, non avrebbe potuto fare ricorso all'aiuto di una terza Potenza.

perando a tal fine tutti i mezzi ritenuti necessari. Anche qualora vi dovessero essere fondati motivi che statu quo nella zona spagnola del Marocco potesse essere esposto a mutamenti, governo francese in base obbligo assunto di fronte al Sultanato si sarebbe veduto nella necessità di occupare militarmente la zona di cui si tratta sempre in perfetto accordo con l'Inghilterra.

Conte Welczeck aveva assicurato che avrebbe trasmesso immediatamente comunicazioni ricevute a Berlino, pur dichiarando che riteneva infondate notizie sulle quali esse si basavano, dato che non aveva avuto mai sentore dell'intenzione del suo governo di fare sbarcare volontari tedeschi al Marocco.

Léger aveva dal canto suo detto all'ambasciatore di Germania che le notizie pervenute al governo francese lo avevano stupito tanto più in quanto che contraddicevano categoricamente assicurazioni date recentemente dal barone von Neurath a François-Poncet. Von Neurath aveva infatti detto all'ambasciatore di Francia che il governo germanico al pari di quello francese perseguiva nella sua politica generale scopi pacifici e non aveva alcuna aspirazione politica sulla zona economica spagnola, che non intendeva occupare in modo permanente o anche solo temporaneamente alcun territorio spagnolo, che riteneva soltanto con il proprio interessamento agli affari di Spagna di impedire che vi si stabilisse bolscevismo, considerato pericoloso per tutta Europa, che sperava fermamente che sviluppo degli affari spagnoli avrebbe potuto costituire utile base di intesa e collaborazione franco-tedesca.

Fra Léger e conte Welczeck era stato convenuto che alla comunicazione di cui si tratta fosse dato carattere di semplice ed amichevole avvertimento inteso ad evitare qualsiasi passo che potesse complicare le cose. Se dei volontari tedeschi fossero già in mare, bastimenti che li trasportavano potevano ricevere opportune istruzioni di sbarcarli in un porto spagnolo e mai, in nessun caso, nella zona spagnola del Marocco.

Léger mi disse di non aver menzionato con mio collega tedesco notizia, pur pervenutagli, secondo la quale tedeschi concentrati a Monaco di Baviera ed in altre località della Germania dovrebbero imbarcarsi in un porto italiano. Credeva per altro leale di menzionare con me tale informazione che aveva causato un certo stupore a Parigi.

Secondo notizie recenti dell'agenzia Reuter, trecento tedeschi sarebbero già sbarcati nella zona spagnola. Governo francese stava appurando tale notizia che gli era pervenuta da altre fonti ma che non era ancora stata confermata.

Alla mia domanda intesa conoscere quale sarebbe stato in pratica atteggiamento francese, Léger rispose molto calmamente che esso sarebbe stato conforme alle deliberazioni notificate a Berlino e Burgos vale a dire che truppe francesi avrebbero occupato zona stessa per ristabilire situazione conforme ai Trattati. Tenne a ripetermi che ciò sarebbe avvenuto in pieno accordo con Inghilterra interessata quanto la Francia al mantenimento dello statu quo nel Marocco e nello Stretto di Gibilterra.

Ho chiesto precisazioni per conoscere se Francia era decisa nel caso che i tedeschi fossero già sbarcati nelle zone spagnole ad agire militarmente. Léger mi rispose che non poteva esistere minimo dubbio al riguardo. In aggiunta a quanto mi aveva del resto già detto 4 corrente (mio telegramma n. 10) 1 desiderava darmi

1 Vedi D. 9.

maggiori dettagli circa propositi dell'attuale governo francese. Esso, contrariamente a quanto sembrava credere Hitler che parlava del governo di Fronte Popolare come di un governo debole e pusillanime ossessionato dal pericolo della proclamazione in Francia della dittatura del proletariato, mostrava di essere fermamente deciso a difendere gli interessi della Francia.

Pochi giorni or sono, in un Comitato al quale parteciparono soltanto ministri della Guerra 1 e della Marina da Guerra2 , il generale Gamelin e Léger ed in cui si discusse la situazione politica estera, presidente del Consiglio Blum dichiarò che egli non avrebbe in alcun caso assunto atteggiamento passivo del governo Sarraut il 7 marzo u.s. Questo valeva, sia per un'aggressione tedesca alla Cecoslovacchia che per una impresa qualsiasi nella zona spagnola del Marocco o per qualsiasi altra idea che potesse passare per il capo di Hitler. Francia era fermamente pacifica e non avrebbe mai aggredito alcuno ma si rendeva ormai conto che doveva essere pronta a fare fronte in ogni momento ad azioni da parte Germania che non avrebbero potuto più essere tollerate perché ne sarebbero stati lesi suoi interessi vitali.

33

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE A TETUAN, LEONINI

T. SEGRETO 113/1 R. Roma, 9 gennaio 1937, ore 24.

Interessa conoscere quanto vi sia di vero circa pubblicazioni stampa francese su presenza numerosi tedeschi Ceuta e su loro attività. Prego eseguire discretamente accertamenti e telegrafare 3 .

34

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 121/354 . Berlino, 9 gennaio 193 7 (per. l'11).

Come la R. Ambasciata ha già avuto altra volta occasione di segnalare, i rapporti tra Francia e Germania si mantengono, da qualche tempo, del tutto normali e direi quasi improntati ad un certo desiderio di intesa, particolarmente da

I Edouard Daladier.

2 A. Gasnier-Duparc.

3 Per la risposta si veda il D. 40.

4 Questo telespresso fu inviato da Magistrati personalmente a Ciano accompagnato da una lettera in cui si attirava su di esso l'attenzione del ministro.

39 parte francese. Nello scorso dicembre, anzi, m occasione della VISita a Berlino dell'ambasciatore del Reich a Parigi, conte Welczeck, si diffusero, come è noto, voci di possibili accordi specialmente nel campo economico. Accordi che sarebbero stati propugnati e sostenuti da taluni gruppi finanziari francesi che avevano inviato a Berlino, allo scopo, alcuni loro osservatori, tra i quali Marcel Knecht, uomo di fiducia di Bunau-Varilla, direttore del Matin.

Ad un mese di distanza dalla visita del conte Welczeck, dovrebbe dirsi che la situazione è rimasta al punto di prima. Giustamente mi faceva osservare in proposito il noto corrispondente del Paris Soir, Jules Sauerwein, venuto in questi giorni a vedermi, che mai la Germania ha, come oggi, contato a Parigi tanti elementi desiderosi di un'intesa franco-tedesca. Da una parte il socialista Blum vedrebbe con piacere l'intesa stessa perché rispondente ad un'ideologia di pace e perché essa, secondo taluni, sarebbe non sgradita ed anzi favorita dall'Inghilterra. E d'altra parte elementi di destra, appartenenti al mondo industriale, agli ambienti dell'Esercito, etc., vedrebbero in un accordo con la Germania la possibilità di fermare la marea rossa di Francia.

Ma in realtà non si comprende bene in cosa esattamente dovrebbe consistere l'intesa, né si intravedono le strade migliori per raggiungerla.

Attualmente in Francia la simpatia dei più va verso un ponte gettato alla Germania, attraverso gli Stati Uniti. E ciò anche in considerazione dell'importanza che ha assunto in Francia, dopo la sua grande vittoria elettorale, la personalità del Presidente Roosevelt, ritenuta oggi la maggiore e più autorevole «voce» della democrazia. Lo stesso Knecht, al quale ho sopra accennato, parte in questi giorni per gli Stati Uniti, dove, a suo tempo, fu capo della propaganda francese e dove conta molte relazioni. E mi si dice inoltre, a questo proposito, che tra non molto dovrebbe essere inviato a Washington, in missione speciale per sei mesi, Georges Bonnet, che giungerebbe nella capitale americana latore di un piano francese per la riorganizzazione della pace in Europa. Secondo tale piano, gli Stati Uniti dovrebbero farsi banditori di un progetto destinato a rivedere la distribuzione delle materie prime, la concessione dei crediti, etc., anche a beneficio della Germania, purché questa si impegni a non destinare quei vantaggi ad un nuovo aumento della sua potenza militare.

Taluni ambienti tedeschi sembrano seguire con attenzione queste iniziative francesi. Mi sembra utile riferire che proprio in questi giorni il ministro del Reich Schacht, presidente della Reichsbank, ha detto ad una persona, che ha con lui dimestichezza da vari anni, la frase seguente, particolarmente significativa: «Con la Francia andiamo bene e andremmo ancora meglio se sapessimo esattamente che cosa vuole l'Inghilterra, il cui contegno appare veramente inspiegabile». E si parla ora a Berlino di varie conversazioni che in questi giorni lo stesso Schacht avrebbe avuto con l'ambasciatore di Francia, François-Poncet.

Un'altro sintomo dell'atteggiamento tedesco è costituito dalla circostanza che tutta la stampa tedesca, anche quella direttamente ispirata dagli ambienti di Partito, mantiene quasi sempre nei confronti della Francia una certa linea di correttezza che non appare neanche turbata da talune polemiche, a sfondo anticomunista, relative alla scottante questione spagnola. E, per esempio, non si fa mai allusione, in tutta la campagna anti ebraica tedesca, al fatto che Léon Blum è israelita. E anche la nota pubblicazione del Gringoire sull'influenza ebraica nel governo francese, non è stata affatto rilevata da questa stampa.

Con tutto ciò, ripeto, all'inizio dell'anno nuovo dovrebbe dirsi che nei rapporti franco-tedeschi non è ancora intervenuto nessun fatto tale da far ritenere vicino o addirittura possibile, un effettivo e concludente riavvicinamento franco-tedesco 1•

35

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, DE CIUTIIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 225/17 R. Salamanca, li gennaio 1937, ore 0,20 (per. ore 16,30).

Telegramma di V.E. n. 899091 2

Generale Franco è d'accordo qel dilazionare quanto più possibile una risposta definitiva al Foreign Office. In ogni caso questa sarà totalmente negativa, dato che il progetto attenta ai principi sovranità di una nazione, i quali sono lo spirito dell'attuale movimento; e che favorisce soltanto i rossi che hanno accumulato grandi riserve armi e munizioni acquistate con oro rubato, disponendo altresì della zona industriale spagnuola ed infine perché trattasi di bacate 3 sollecitazioni da parte delle sinistre rosse. D'altra parte, controllo in nessun caso riuscirebbe efficace nella zona rossa per l'assenza di autorità dei vari governi delle regioni ove si assassinano perfino rappresentanti stranieri4 .

Valencia avrebbe già risposto affermativamente.

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IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE ITALIANA IN SPAGNA, ROATTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UFF. SPAGNA 204/398, 210/399 e 227/400. Salamanca, Il gennaio 1937, ore 10,205

Seguito mia lettera da Genova a ministro Pietromarchi6 . Ammiraglio Canaris mi ha confidato quanto segue: generale Sperrle giudica con estremo pessimismo

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Nota dell'Ufficio Cifra: "Riferimento errato: trattasi probabilmente del 106/22 R.». Si veda in effetti il D. 27.

3 Nota dell'Ufficio Cifra: «Decifrazione esatta».

4 Si riferisce all'uccisione del diplomatico belga barone Jacques Borchgrave, la cui morte era stata ufficialmente confermata il 30 dicembre.

5 I telegrammi giunsero a Roma tra il 12 e il 13 gennaio.

6 Vedi D. 28.

situazione tanto che si preoccupa persino condizioni precarie nelle quali verrebbero a trovarsi suoi reparti in caso crollo generale fronte nazionalista. Tale pessimismo esercita influenza deprimente Berlino dove ambienti militari sono già di per se stessi contrari intervento subito Spagna, temendo gravi complicazioni internazionali.

Preparazione militare tedesca è inferiore a quanto comunemente si crede ed a quanto annunzia propaganda tedesca.

Verso fine anno credevansi inoltre Berlino che Italia stesse per abbandonare completamente partita spagnola. Si constata che in realtà è diversa, si aggiunge che Italia è infatti pronta e infatti ... 1 interessa~a che Germania, mentre in Italia direzione politica e militare è effettivamente unica, in Germania direzione è unica solo sulla carta. Fi.ihrer, che personalmente è per aiuto deciso a Franco, ordina; militari, sulla base considerazioni tecniche, declinano responsabilità ... 2 a testa ed egli ritiene che apporto tedesco non supererà proporzioni seguenti: 500 volontari, 500 istruttori per note brigate miste senza armi e materiali. Mantenimento a numerosi reparti aerei e contraerei.

Ritiene che Goering a Roma esaminerà· situazione politica ma non potrà promettere apporti e aiuti. In altre parole, Germania non penserebbe nemmeno lontanamente effettuare programma seguito e non avrebbe creduto a sua effettuazione da parte nostra. Ripeto che può darsi Canaris non sia completamente informato su intenzioni suo governo ma soggiungo che qualche cosa di vero nel suo dire ci sia. In quanto pessimismo Sperrle, che non ho ancora visto, non ho l'onore di veramente rendermente conto.

37

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND3

APPUNTO. Roma. l l gennaio 1937.

Ho ricevuto stamane l'Ambasciatore di Gran Bretagna il quale mi ha fatto le seguenti conumicazioni:

l) II Governo britannico informava che era suo desiderio registrare il recente accordo mediterraneo presso la Società deiie Nazioni. Domandava se il Governo italiano intendeva fare altrettanto.

Gli ho risposto che per parte nostra non potevamo impedire al Governo britannico di regolarsi come meglio credes<;e: noi però non avremmo registrato tale atto a Ginevra.

1 Nota dell"Uftìcio Cifra: «gruppi indecifrabili>>. 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «Quattro gruppi indecifrabili>>. 3 Ed. in L"Europa verso la catastrofe, pp. 124-125.

2) L'Ambasciatore Drummond mi ha detto che presso la ex-Legazione britannica ad Addis Abeba si trovano depositate cinque casse contenenti oggetti di proprietà personale del Negus. Due di esse racchiudono oro per il valore di cinque o sei mila sterline: le altre invece contengono oggetti di valore non rilevante. Il Governo britannico desiderava richiedere l'autorizzazione del Governo italiano di asportare tali oggetti dall'Etiopia al fine di rimetterli al loro proprietario.

Sir Eric Drummond, nel fare tale richiesta, ha insistito sul fatto che i funzionari britannici avrebbero potuto far partire tali beni senza informarcene, ma valendosi semplicemente delle loro franchigie diplomatiche. Aveva invece voluto darcene notizia per debito di lealtà, confidando sulla benevola comprensione del Governo fascista. L'ambasciatore britannico ha anche ricordato un colloquio nel quale il Duce avrebbe promesso di trattare il Negus con generosità in seguito ad un gesto che questi avrebbe compiuto nei confronti della stampa estera.

Ho risposto a Sir Eric Drummond che non era nelle mie facoltà di dare una risposta, che mi riservavo per un prossimo futuro, ma che in linea di massima dovevo obiettare fin da ora che i beni personali del Negus rimasti in Etiopia erano soggetti a confisca da parte italiana e che inoltre leggi specifiche vietano l'esportazione dell'oro dal territorio italiano.

Ho fatto in linea di massima comprendere a Sir Eric che vi erano molte difficoltà a dare una risposta affermativa. 3) Sir Eric Drummond mi rimesso la nuova nota britannica relativa ai volontari 1•

Nell'attesa di una risposta egli mi ha detto di essere stato incaricato dal suo Governo di richiederci se noi avessimo voluto proibire fin da ora, in via riservata, la partenza di nuovi contingenti di volontari, dato che i recenti sbarchi a Cadice avevano suscitato profonda impressione.

Ho risposto a Sir Eric Drummond che mentre confermavo le intenzioni del Governo fascista di impedire ogni ulteriore partenza non appena realizzate le condizioni di cui alla nostra nota, non potevo assumere nessun impegno del genere di quello da lui richiesto. Ciò avrebbe lasciato campo libero ad altri paesi, che, confinando per terra con la Spagna, continuano ogni giorno a fare affluire nelle zone rosse innumerevoli volontari comunisti. Gli ho detto che soltanto dalla ferrovia di Perpignano ci risultavano trasportati oltre 45.000 uomini in questi ultimi tempi.

Sir Eric Drummond ha preso atto di quanto gli ho detto ed ha egli stesso ammesso che oltre 500 persone al giorno -secondo le informazioni -traverserebbero la frontiera franco-spagnola 2•

l Vedi p. 45, nota l.

2 Il 3° paragrafo di questo documento fu trasmesso all'ambasciata a Berlino (T. 135/14 R. del 12 gennaio) con la seguente aggiunta: «Prego V.E. mettere al corrente codesto governo della risposta preliminare da me data e farmene conoscere appena possibile osservazioni. Mi riservo ulteriori comunicazioni al fine di procedere d'accordo col governo tedesco alla preparazione e presentazione della risposta al passo britannico».

38

IL CONSOLE GENERALE A T ANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 241/23, 244/24 e 255/25 R. Tangeri, 1J gennaio 1937, ore 18,30 (per. ore 4 del 12).

Stampa francese Marocco assicura che stamane console di Francia a Tetuan presenterà protesta a quell'Alto Commissariato spagnuolo circa installazione truppe germaniche Marocco spagnolo1 . Protesta sarebbe stata basata su inosservanza da parte Spagna nazionalista di articolo otto convenzione franco-spagnuola 3 ottobre 1904 e di articolo cinque Convenzione franco-spagnuola 27 novembre 1912 2 . Si aggiunge che passo sarebbe motivato da seguenti fatti:

l) Arrivo in numero crescente di cittadini germanici arruolati Legione Straniera spagnuola. 2) Arrivo porto Melilla sottomarini germanici. 3) Arrivo distaccamenti germanici in armi a Tetuan ove dieci ufficiali superiori tedeschi sono ancora ospiti Alto Commissariato spagnuolo. 4) Arrivo missioni militari e istruttori germanici per aviazione carri assalto artiglieria pesante e genio. 5) Lavori fortificazione a Ceuta dirimpetto Gibilterra. 6) Praparazione di caserme e accantonamenti a Tetuan, Melilla e Ceuta per truppe germaniche. 7) Installazione ingegneri tedeschi in miniere Riff con operai indigeni che

lavorano giorno e notte.

8) Trasporto minerale tra Marocco spagnuolo e Germania.

9) Malcontento crescente indigeni zona spagnuola.

lO) Tentativi stranieri seminare torbidi tra tribù protettorato francese, tentativi che hanno obbligato le autorità francesi chiudere frontiere e sospendere ogni traffico tra zona francese e quella spagnola Marocco.

I pretesti per passo francese a Tetuan e per vasta campagna stampa contro «l'infiltrazione germanica» in Marocco spagnolo o sono fatti che si svolgono da lungo tempo senza aver dato mai luogo a reclami, quali quelli indicati nei numeri l, 2, 3, 4, 7 e 8 precedente telegramma; o sono fatti avvenuti in territori che non fanno parte dell'Impero sceriffiano, quali quelli indicati nei numeri 2, 5 e 6 del telegramma, svoltisi a Melilla e Ceuta, che, per essere città che fanno parte territorio metropolitano, non possono sottostare a stipulazioni franco-spagnole relative Impero sceriffiano; o sono indipendenti da ogni «infiltrazione germanica» nella zona spagnola, quali quelli indicati al numero 5 del telegramma; o sono completamente privi di fondamento, quali quelli indicati ai numeri 9 e 10 stesso telegramma e quale notizia propalata di recenti sbarchi e di permanenza truppe germaniche in Marocco spagnolo.

I Vedi 0.0. 32 e 40. 2 Vedi p. 37, nota 2.

Si dovrebbe dedurre che tale campagna sia una vasta montatura francese per il raggiungimento di determinate finalità politiche.

Secondo quel che si dice, sembra che campagna stampa e azione diplomatica circa pretese infiltrazioni germaniche in Marocco spagnolo corrispondano, più che a reali preoccupazioni per una attuale azione germanica nel Marocco, a manovra di carattere politico atta rialzare all'estero e all'interno credito governo francese, e che si sarebbe voluto cogliere questa occasione, sia per riconfermare sovranità franco-sceriffiana su tutto l'impero sceriffiano, ivi comprese zona spagnuola e zona internazionale e confermarvi contro chicchessia, noi compresi, per quanto riguarda zona internazionale, la speciale posizione che Francia gode, attraverso trattati e attraverso governo sceriffiano, su tutto il Marocco;

sia per mostrare o far credere che azione tutela interessi mediterranei contro ogni infiltrazione germanica è fatta con piena intesa con Inghilterra e soltanto con essa, quasi ad antitesi recenti accordi italo-inglesi cui essa fu estranea;

sia per aver modo di poter fare pressione su governo nazionale spagnolo che in Marocco incontestabilmente recluta migliori suoi combattenti e portare così direttamente a governativi spagnoli quell'aiuto che, in seguito agli accordi in corso da essa stessa promossi, le sarà più difficile portare loro in uomini e in armi attraverso le comuni frontiere;

sia per riacquistare presso indigeni musulmani credito ed autorità che giornalmente si sfaldano;

sia infine per trovare provvido diversivo per occupare opinione pubblica francese e dar luogo, innanzi spauracchio germanico, ad ondata patriottismo che faccia scordare dissensi interni e dia al governo francese, nel consenso generale, nuova vitalità e più sicura esistenza.

Tutta questa montatura francese potrebbe essere facilmente smontata se i governi di Salamanca e Berlino si affrettassero a fare dichiarazione perentoria allo scopo di dimostrare che nessuna infiltrazione o minaccia germanica esiste nel Marocco spagnuolo.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 240/29 R. Londra, Il gennaio 1937, ore 19,24 (per. ore 21).

Governo britannico ha dato stamane alla stampa testo istruzioni impartite agli ambasciatori in Parigi, Roma, Berlino, Mosca e Lisbona circa ulteriori passi per risolvere questione volontari e altre forme di intervento indiretto 1•

l Si riferisce alla nota inviata il lO gennaio dal governo britannico ai governi di Francia, Germania. Italia, Portogallo e U.R.S.S. con la quale si comunicava che la Gran Bretagna aveva preso unilateralmente i provvedimenti atti ad impedire l'arruolamento di sudditi britannici per la guerra civile in Spagna e si invitavano gli altri governi ad adottare provvedimenti analoghi. Il testo della nota è in BD, vol. XVIII, D.40.

Sebbene, come dimostra immediata pubblicazione risposta francese, nota inglese sia stata decisa in consultazione con la Francia, in ambienti governativi si pone in risalto che questa volta iniziativa è stata presa esclusivamente da governo britannico che non solo non si è associato Francia ma anzi le ha diretto una nota redatta negli stessi termini di quella rimessa alle altre capitali.

Questo è commentato come primo e significativo riconoscimento della fondatezza delle obbiezioni italo-tedesche al metodo già adottato per il quale Francia aveva cercato arrogarsi posizione di Paese senza macchia e diritto di ammonire altre Potenze. Si osserva inoltre che altri significativi riconoscimenti dei legittimi punti di vista italiano e tedesco sono costituiti dalle proposte che governo britannico cerca avanzare in materia di controllo; dall'ansia che governo britannico manifesta per la soluzione altri problemi intervento indiretto e dalla premura con la quale tiene a chiararire che trattative diplomatiche sono destinate facilitare e non ad escludere attività Comitato di Londra.

Iniziativa britannica è vivamente criticata dalle opposizioni che la definiscono un'altra ignominiosa resa di fronte all'Italia e alla Germania. Laburisti e liberali continuano a sostenere che unico mezzo per assicurare «non intervento» è un blocco anglo-francese delle coste iberiche e che nuove trattative in seno al Comitato di Londra non possono che facilitare -come lo hanno fatto nel passato -gioco delle Potenze fasciste. Questo gioco -essi aggiungono sarebbe inoltre incoraggiato dalla decisione unilaterale con la quale governo britannico su questo piano proporrebbe legge per impedire le partenze di volontari inglesi per la Spagna, creando così una situazione per la quale, mentre Italia e Germania rimangono tutt'ora libere inviare uomini in aiuto Franco, rossi Valencia non possono più ricevere prezioso apporto di questi volontari che socialisti e comunisti inglesi si sono con non molto successo affannati finora a reclutare.

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IL CONSOLE A TETUAN, LEONINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 268/2 R. Tetuan, 11 gennaio 1937, ore 22 (per. ore 12,35 del 12).

Rispondo al telegramma n. l in data di ieri 1•

Notizie pubblicate dalla stampa francese sono destituite di fondamento. Nessun contingente tedesco sbarcato Ceuta, né a Melilla, né in altra località costa Marocco spagnolo. Ciò nondimeno, questo console francese ha presentato iersera a questo alto commissario una specie di nota verbale (su carta priva di intestazione, senza alcun timbro, né firma e data) ove si ricordano i vari trattati ed accordi che regolano

1 Vedi D. 33.

rapporti tra le due zone, ricordando come essi escludono ogni ingerenza straniera nella zona spagnola. Particolarmente si cita l'articolo 5 della convenzione franco-spagnola del 27 novembre 1912 1 ove «la Spagna s'impegna a non alienare né a cedere sotto qualsiasi forma, né nella forma di titolo temporaneo, i suoi diritti su tutto o parte del territorio componente la sua zona d'influenza». Conclude la nota con la «necessità del rispetto di tali impegni per mantenere armonia rapporti tra le due zone». Non sembra fare alcuna allusione alle notizie pubblicate dalla stampa francese, né si chiede risposta.

Inviato dettagliato telegramma per corriere2 a mezzo valigia diplomazia partita stamane, via Consolato generale Tangeri, per Gilbilterra ove domani prenderà piroscafo nazionale Oceania.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 248/18 R. Berlino, 11 gennaio 1937, ore 22,06 (per. ore 4,20 del 12).

Ho avuto oggi, a proposito della nuova nota inglese volontari\ una conversazione preliminare, così con Neurath, come con Gaus. Mentre, da una parte, è emersa necessità nulla pregiudicare sino al 14, dall'altra è stata discusso il modo più adatto a guadagnare tempo e ciò senza indispettire Inghilterra, la quale si è evidentemente messa in una situazione di vantaggio, sia col dissociarsi dalla Francia (cosa nella quale dovrebbe essere incoraggiata), sia col dar essa unilateralmente «il buon esempio». È evidente, d'altra parte, che Inghilterra ha iniziato una vera e propria offensiva diplomatica che intende condurre a termine rapidamente e vigorosamente e dalla quale sarà malagevole farla decampare.

In linea di semplice suggerimento, è stata ventilata idea che si potrebbe guadagnare [tempo] dando agli inglesi una risposta interlocutoria verbale, dicendo che così Germania come Italia apprezzano moltissimo spirito proposta inglese ma che, data nota situazione di recente creata dalla Francia (e conseguente sbilancio forze a favore dei rossi), Inghilterra non può-in tutta giustizia-attendersi che Italia e Germania prendano in considerazione sua proposta se prima Francia non abbia per conto suo rettificato in maniera effettiva e definitiva la situazione di cui sopra. Sarebbe sempre possibile argomentare della efficienza di quella qualunque misura che la Francia prendesse e, comunque, in un secondo momento, si potrebbe sempre

l Vedi p. 37, nota 2.

2 T. per corriere 373/s.n. R. del 10 gennaio. Il console Leonini, nel trasmettere il testo della nota francese, riferiva che il colonnello Beigbeder gli aveva espresso la convinzione di trovarsi davanti ad una manovra del Fronte Popolare francese che, in piena malafede, diffondeva la notizia di immaginari sbarchi tedeschi in Marocco allo scopo di allarmare l'opinione pubblica internazionale.

3 Vedi p. 45, nota l.

rispondere formalmente agli inglesi che anche Italia e Germania sono pronte seguida, subordinatamente per altro all'attuazione delle condizioni già enunciate nelle risposte date precedentemente, condizioni di cui l'ultima potrebbe forse subire un qualche sviluppo.

Neurath si è riservato di considerare la questione ulteriormente, esprimendo peraltro avviso che periodo dei rinvii diplomatici e dei temporeggiamenti non deve ormai prolungarsi di troppo.

Senza entrare in merito di questa affermazione, mi sono affrettato ad osservare a Neurath che quanto più era convinto riguardo a questo, tanto più doveva premere sui militari, perché affrettassero e intensificassero i loro aiuti.

Neurath ne ha convenuto e lo farà domani; stessa giornata domani egli spera anche poter conferire con Cancelliere del Reich in merito risposta alla nota inglese.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 246/16 R. Ankara, 11 gennaio 1937, ore 23,20 (per. ore 7 del 12).

Confermo quanto comunicato da De Astis con telegramma n. 14 1 .

Progetto turco di confederazione tripartita già approvato da Presidente della Repubblica sarà oggi consegnato al Quai d'Orsay. (Riservomi trasmettere testo per posta). In linea subordinata, governo turco si riserva di accettare, come posizione di ripiego, una confederazione a due, cioè Siria e Sangiaccato.

Presidente del Consiglio francese intanto esaminerà, dal canto suo, questione per formulare altre proposte che possono formare anche oggetto discussione prima della riunione Ginevra. Aras conta partire di qui il tredici corrente e da lstanbul il 15 corrente o il 16 per recarsi a Parigi od a Ginevra, a seconda delle esigenze dei negoziati.

Fase acuta crisi è superata ma permane senso di profonda perturbazione. Atteggiamento Inghilterra e U.R.S.S., per differenti ragioni più vicine alla Francia che alla Turchia, induce questo governo ad agire con prudenza nonostante debolezza francese e l'intemperanza del Presidente della Repubblica. Ad un eventuale colpo di forza, per il quale continuano ad essere predisposti i mezzi, si ricorrerebbe soltanto a ragion veduta e come ultima ratio.

I L'incaricato d'affari, De Astis, aveva comunicato con T. 203/14 R. del 9 gennaio che la fase acuta della crisi poteva considerarsi superata e che la discussione del problema di Alessandretta dinanzi al Consiglio della S.d.N. era stato rinviato, mentre i due governi interessati stavano studiando nuove possibilità di soluzione.

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L'AMBASCIATORE A ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 254/17 e 249/18 R. Ankara, Il gennaio 1937, ore 23,18 (per. ore 7 del 12). Mio telegramma n. 16 1•

Col telegramma precedente ho fatto il punto alla situazione odierna.

Aras si è compiaciuto della conclusione del Trattato commerciale2 , soprattutto mettendo in rilievo nostra pronta spontanea adesione a totale pagamento in merci od in moneta turca del debito cantieri, concessione tanto più significativa in quanto vi era stata applicazione sanzioni da parte Turchia, pure forzata da impegni verso Società Nazioni. Ha poi ripetuto sua gioia per accordo anglo-italiano dovuto unicamente iniziativa del Duce e perciò tanto più significativo per la sua portata internazionale e per la pace mediterranea. Era naturale anzi utile che nessuna altra Potenza vi avesse partecipato.

Si è poi scagliato violentemente contro la politica francese accusandola di doppiezza ed intrighi. Da 18 anni Francia mancava ogni utile occasione per contribuire alla pace europea: ora più che mai, Francia muoveva tre ordini intrighi:

A -Contro l'Italia, insinua che se non risolvevasi questione, sarebbe stata Italia ad occupare Alessandretta. B -Contro arabi, accusando Turchia volere impedire unità Siria. C -Contro Inghilterra, attribuendo a turchi disegno restaurare antico Impero Ottomano e minacce contro Irak.

Ma specialmente mi ha ripetuto di sua iniziativa le insinuazioni e le malevolenze dirette contro l'Italia. (Vedi odierno articolo Ulus che telegrafo in chiaro 3). Mi è stato perciò agevole molto valermi convenientemente istruzioni di cui

telegramma n. per dire ad Aras quali erano nostri sentimenti nella questione nazionale che oggi vivamente appassiona la Turchia ed alla quale V.E. dava tutta la simpatia. Ho con ogni opportunità messo in luce impossibilità Società delle Nazioni risolvere questione, ed attuale debolezza francese.

Aras, espressomi calorosamente sua riconoscenza per questa prova di amicizia italiana, mi ha risposto che governo turco conscio della debolezza della Francia sapeva che questa non avrebbe potuto opporre alcuna resistenza ad una qualsiasi azione Turchia. Se Turchia «ancora» non vi si decide, ciò era perché doveva tener conto della attitudine inglese che, pur «a malincuore», doveva appoggiare tesi francese, sia per ragioni di politica generale europea, sia per analoga posizione di

1 Vedi D. 42. 2 Accordi commerciali tra Italia e Turchia del 29 dicembre 1936. Testo in Trattati e Convenzioni,

vol. L, pp. 466-492.

3 Non pubblicato.

4 Vedi D. 19.

potenza mandataria. Anche Soviets, data loro alleanza con la Francia, pur seguendo con ogni simpatia causa turca, dovevano appoggiare, almeno parzialmente, la tesi francese a Ginevra. Queste ragioni trattenevano «ancora» la Turchia dal prendere decisioni, malgrado convinzione della malafede francese.

Situazione generale europea è, del resto, tale che egli si proponeva alla prossima riunione balcanica di Atene (15 febbraio) sostenere la decisione del blocco balcanico alla linea itala-inglese con abbandono completo della Francia anche per sottrarli alla competizione franco-tedesca dalla quale la Intesa Balcanica doveva restare completamente estranea. Egli aveva, del resto, già rifiutato accogliere formale proposta «alleanza» ed aveva contribuito a che non fosse accettata neanche dagli alleati balcanici.

Aras, ricordatomi fine articolo del Giornale d'Italia (telegramma De Astis n. 13) 1 ed informatomi che aveva telegrafato all'ambasciata di Turchia costà perché segnalasse subito il compiacimento del governo turco (insieme alla sua piena comprensione e soddisfazione per l'accordo anglo-italiano). Dichiaratomi ripetutamente che un decennio di sua esperienza personale testimoniava della solidità dell'amicizia italiana (ne ho preso atto con ostentata soddisfazione) insieme alla correttezza inglese, ha ripreso argomento intrighi francesi e dettomi che, sia per porre fine a dicerie, sia per marcare visibilmente il nuovo sviluppo dell'amicizia itala-turca, sentito il Presidente del Consiglio proponeva che V.E. di sua iniziativa diramasse da Roma il seguente comunicato:

«La Turchia che fin da primissimi giorni di agosto (vedi miei telegrammi n. 229 e 241 )2 aveva ritirato il suo incaricato d'affari a Addis Abeba, il quale all'atto della sua partenza aveva affidato la protezione delle persone e degli interessi turchi alle autorità italiane, ha ora deciso di sopprimere anche formalmente l'esistenza di una legazione di Turchia in Etiopia. I due governi hanno deciso di iniziare trattative dirette per l'adesione dell'Italia alla convenzione Montreux».

A quest'ultimo punto Aras si sentiva incoraggiato da quanto detto da V.E. a codesto ambasciatore di Turchia3 . Ha pure aggiunto che, mentre inglesi avevano da lui appreso con molto piacere questa possibilità, Vienot aveva mostrato un visibile e non celato disappunto. Aras si impegnava quindi formalmente a farsi promotore a Ginevra non appena possibile di una decisione che portasse al riconoscimento dell'Impero.

1 T. 185/13 R. del 9 gennaio. Riferiva che il segretario generale del ministero degli Esteri turco gli aveva espresso «la più viva soddisfazione>> per l'articolo su la situazione mediterranea pubblicato giorni prima da Il Giornale d' Jtçdia ed aveva aggiunto che la stampa turca era stata invitata a riportar! o con ampiezza e a commentarlo favorevolmente. L'articolo, con il titolo Dai principi all'azione e firmato da Virginio Gayda, era stato pubblicato il 5 gennaio. In esso si diceva, fra l'altro, che una adesione dell'Italia alla Convenzione di Montreux poteva essere negoziata direttamente tra Roma ed Ankara e si sottolineava che la diffidenza verso l'Italia dimostrata in diverse circostanze dal governo turco non aveva motivo d'essere perché non era stata certo l'Italia a spingere i greci ad istallarsi a Smirne. né era stata l'Italia ad insediarsi nei territori dell'Asia Minore. Ora che erano stati chiariti i rapporti tra Italia e Gran Bretagna, concludeva l'articolo, erano aperte le strade ad altri chiarimenti.

2 TT. 7644/219 r. del 3 agosto e 8019/241 R. del 14 agosto 1936 con i quali l'ambasciatore Galli aveva riferito che il governo turco aveva dato istruzioni al proprio incaricato d'affari ad Addis Abeba di andare in congedo partendo con tutto il personale e, al momento della partenza, di affidare alla protezione italiana i cittadini turchi.

3 Non è stata trovata documentazione di questo colloquio.

Avendo poi ripetuto desiderio incontrarsi con V.E., ha proposto, qualora V.E. non si rechi a Ginevra, di stabilire un'incontro per esempio à Stresa dove egli verrebbe espressamente da Ginevra per poi ritomarvi, e ciò per marcare visibilmente che egli si muoveva appositamente per tale fortunata eventualità, e non si trattava di una pura sosta in corso di viaggio. Se V.E. fosse d'accordo, le modalità potrebbero poi essere fissate a Ginevra con Bova Scoppa.

Aras parte mercoledì per Istambul. Mi attenderà colà con la risposta di V.E. fin quando desiderato e se necessario fino a tutto sabato.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 224/4 R. Roma, l l gennaio 1937 (per. stesso giorno).

Mio telegramma n. l del1'8 corrente1 .

Ho dichiarato stamane al cardinale Segretario di Stato che le proposte seguenti del signor Tafari potevano essere considerate come base per l'esame ulteriore della questione. Ho precisato che si prendeva atto che il signor Tafari si dichiarava disposto all'abdicazione assoluta, anche a nome del figlio. L'atto di abdicazione sarebbe proclamato solennemente in Etiopia e il signor Tafari raccomandarebbe al popolo etiopico di servire fedelmente l'Italia.

Le domande del signor Tafari di cui ai paragrafi l, 2 e 3 del mio telegramma succitato, non incontravano da parte del R. Governo alcuna opposizione di principio e potevano costituire la base di un'intesa.

Ho dichiarato al porporato che in nessun modo e sotto nessuna forma, poteva essere accettata un'ingerenza del figlio del signor Tafari nelle cose d'Etiopia. Il cardinale ha detto che il figlio dell'ex Negus accetterebbe la sudditanza italiana e risiederebbe eventualmente in Etiopia. Ho mantenuto la mia risposta negativa.

Il segretario di Stato ha assicurato che scriverà subito all'arcivescovo di Westminster. Gli ho domandato se era in grado di comunicare con monsignor Hinsley in cifra. Mi ha risposto affermativamente ma ha soggiunto che non ha grande fiducia nel segreto della cifra. Scriverà per posta, cifrando; crede di avere in questo modo maggiore probabilità di sfuggire ai controlli. Mi ha detto che, dopo aver preso gli ordini del Papa, proporrà, forse, all'arcivescovo di Westminster, di suggerire l'invio a Roma di persona di fiducia del signor Tafari, debitamente autorizzata a trattare con la Santa Sede.

Data la lentezza del modo di comunicazione che sarà impiegato per corrispondenza con Londra, non è prevedibile di avere una risposta sollecita 2 .

I Vedi D. 24. 2 Si veda, per il seguito. il D. 98.

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IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE IN SPAGNA, ROATTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UFF. SPAGNA 224/437. Salamanca, 12 gennaio /937, ore l (per. ore 15,50 ).

Avuta lunga conferenza con Franco cui ho esposto i diversi punti indicatimi giorno 4 da Duce 1• Franco ringrazia, dichiarasi pienamente d'accordo e assicura seguire consigli datigli. Non ritiene però possibile venire ad un qualche leale accordo con baschi e catalani perché gli elementi locali propensi trattative non contano ormai più nulla e sono sopraffatti da elementi rossi. Annunzia fusione nazionalisti delle varie tendenze in un'unica milizia agli ordini generale Monasterio ... 2 e comandante colonna zona Madrid. Deplora indiscrezione circa Malaga3 e ha preso provvedimenti di rigore che serviranno per avvenire ma non eliminano danno causato4 .

46

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 124/19 R. Roma, 12 gennaio /937, ore 8.

Ambasciatore Parigi, m data 10 corrente, telegrafa quanto segue:

[riproduce il testo del D. 32]

Governo tedesco ha già smentito sbarco volontari tedeschi nel Marocco spagnolo5 . Da parte nostra riceviamo notizie da Tangeri che smentiscono, sulla fede di persone provenienti dalla zona spagnola, pretese infiltrazioni germaniche in detta zona.

Comunque l'eventualità dell'arrivo di alcuni volontari tedeschi nella zona spagnola marocchina non potrebbe essere considerato come una violazione da parte

1 Di queste istruzioni non è stata trovata traccia scritta. È presumibile che ricalcassero la linea indicata nel telegramma di Mussolini del 26 dicembre (vedi serie ottava. vol. V, D. 667).

2 Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppi indecifrabili>>.

3 Con T. 199/386 Ufficio Spagna del 12 gennaio, Roatta aveva lamentato che gli ambienti militari spagnoli avessero fatto trapelare la notizia di prossime importanti operazioni nella zona di Malaga con il concorso di volontari italiani.

4 Il documento ha il visto di Mussolini.

5 L'Il gennaio. durante un ricevimento del corpo diplomatico, Hitler aveva dichiarato all'ambasciatore di Francia di volergli dare l'assicurazione formale ed assoluta che la Germania non intendeva mettere piede o procurarsi basi in qualsiasi territorio appartenente alla Spagna. Nel pomeriggio, era stato diramato un comunicato congiunto in cui si esprimeva la volontà della Francia e della Germania di rispettare l'integrità della Spagna e lo statuto del Marocco spagnolo (su tuttociò si veda DDF, vol. IV, DD. 276 e 277).

della Spagna degli impegni assunti col Trattato franco-spagnolo del 19121• Per contro, l'ingresso di truppe francesi nel Marocco spagnolo rappresenterebbe un turbamento dello statu quo nel Mediterraneo a cui il governo italiano è nettamente contrario, come è contrario a qualsiasi modificazione dello statu quo in genere nel Mediterraneo. Intanto, sono preoccupanti gli ammassamenti di truppe francesi segnalati da tempo alla frontiera franco-spagnola del Marocco.

Poiché il signor Léger afferma che l'eventuale azione francese verrebbe eseguita in perfetto accordo col governo di Londra, ci interessa averne diretta conferma da codesto governo, con cui ove persistessero i propositi francesi dovremmo avere uno scambio di idee 2 .

47

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 265/9 R. Varsavia, 12 gennaio 1937, ore 13,05 (per. ore 16).

Beck nell'informarmi delle istruzioni date a codesta ambasciata di Polonia per comunicazione a V.E. circa Abissinia 3 osservava che ormai non restava che un ultimo passo da fare e che questo era di competenza della S.d.N., la quale, costretta a cedere di fronte all'evidenza dei fatti, non poteva che lasciare gli Stati membri liberi riconoscere per loro conto il nostro pieno diritto sull'Etiopia.

l Vedi p. 37, nota 2.

2 Per il seguito si veda il D. 56.

{)uesto telegramma fu trasmesso con T. 125 R.C. del 12 gennaio anche:

-alle ambasciate a Parigi e a Berlino con l'istruzione di esporre la posizione del governo italiano;

-all'ambasciata a Salamanca con la seguente aggiunta: «Prego V.S. di suggerire nella maniera più precisa al generale Franco di confermare con comunicato alla stampa in modo solenne che il governo spagnolo non ha nessuna intenzione di violare gli impegni assunti coi trattati franco-spagnoli relativi al Marocco, intende mantenere in ogni circostanza l'integrità territoriale della Spagna e dei territori marocchini sotto protettorato spagnolo contro i maneggi di chicchessia e non tollererebbe alcuna violazione di detti territori. Si gradirà conoscere quanto risulti al governo spagnolo circa i movimenti militari francesi alla frontiera della zona spagnola».

-al consolato generale di Tangeri con la seguente aggiunta: «Quanto precede per opportuna conoscenza della S. V. Prego telegrafare, interessando anche eventualmente Tetuan e Rabat, quanto risulti circa pretesi sbarchi di volontari tedeschi, nonché circa fortificazioni ed opere strategiche in corso a Centa ed ogni informazione circa movimenti militari francesi alla frontiera della zona spagnola». Con TT. 287/33 R. e 315/35 R. del 13 gennaio, il console De Rossi rispondeva di poter escludere che nel protettorato spagnolo vi fossero gruppi consistenti di tedeschi o si stessero costruendo fortificazioni.

3 Di questo passo dell'ambasciatore polacco non è stata trovata documentazione ma l'Il gennaio venne diramato a Roma il seguente comunicato: «Il conte Ciano ha ricevuto l'ambasciatore di Polonia il quale, d'ordine del suo governo, gli ha comunicato che il consolato generale di Polonia in Roma è stato autorizzato a considerare il territorio dell'Etiopia come appartenente alla sua competenza territoriale».

Il mmistro degli Affari Esteri aggiungeva che un'occasione favorevole per tale azione avrebbe potuto affacciarsi momento della riunione Assemblea per l'ammissione dell'Egitto ma che tale eventualità non sembrava più così prossima.

In tali condizioni, Beck nell'intento di spianarci la via, aveva incaricato gli uffici competenti del proprio ministero di esaminare se non fosse possibile al Consiglio nella prossima riunione di prendere quella decisione che normalmente sarebbe di competenza dell'Assemblea. Gli uffici non si erano ancora pronunciati. Evidentemente la cosa presentava molte difficoltà le quali però forse erano sormontabili. Ad ogni modo mi avrebbe tenuto al corrente.

48

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 273/21 R. Ankara, 12 gennaio 1937, ore 19,30 (per. ore 0,30 del 13).

Mio telegramma n. 18 1•

Numan mi ha dato lettura di un caloroso messaggio, che codesto ambasciatore di Turchia è stato incaricato trasmettere a V.E. in risposta alle espressioni di cortesia che gli avevo ieri detto a nome di V.E. Ambasciatore di Turchia è altresì incaricato di sottoporre a V.E. le formule per le due notizie che questo governo terrebbe a diramare sotto forma di comunicati.

Sono indicate anche proposte2 per la diramazione, a scelta e decisione esclusiva di V.E.

Diversità formali della prima proposta fattami ieri da Aras sono verosimilmente dovute all'intervento di Numan. Dal mio subordinato punto di vista, stimerei preferibile che comunicati analoghi fossero fatti a Roma e ad Ankara.

Parmi che dichiarazione di entrare in contatti diretti nei quali trattare l'adesione dell'Italia a Montreux, non impegni che in modo molto generico. Mi è sembrato dover invece suggerire, qualora V.E. ritenga possa trattarsi dal nostro punto di vista di formula più significativa, che la protezione degli interessi turchi in Etiopia sia compresa nella giurisdizione del consolato turco di Milano, (non vi è consolato turco a Roma). Ciò in analogia a quanto fatto dalla Polonia 3 .

Numan, favorevole a questa formula, si è riservato ottenere l'adesione di Aras e di dare eventuali conseguenti nuove istruzioni all'ambasciatore di Turchia in Roma.

l Vedi D. 43. 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «Interpretazione dubbia». 3 Vedi p. 53, nota 3.

49

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, MENZINGER, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 266/11 R. Rio de Janeiro, 12 gennaio 1937, ore 21,10 (per. ore 3 del 13).

Mio telegramma n. 4 del 5 gennaio 1•

Gomez da contatti avuti con principali esponenti Integralismo ha constatato come essi siano ben disposti verso fascismo e sensibili al fatto che il loro movimento nacque da incontro fra Duce e Plinio Salgado. Ha ribadito poi convinzione circa entità azione tedesca che si è prodigata molto, sia facendo leva su colonie tedesche, sia alimentando direttamente integralismo al suo centro.

Gomez considera altresì probabile che Integralismo abbia primissima parte nell'attuale situazione politica. In conseguenza, si ritiene che debbasi agire rapidamente e che pertanto ci convenga esaminare senz'altro questione fondi destinati sovvenzione movimento.

Gomez continua sua azione e a giorni si recherà San Paolo. Egli ha spedito primo sommario rapporto per corriere diplomatico.

Concordando con Gomez, sia per quanto riguarda sue osservazioni e sia su necessità nostra rapida azione, propongo studiare mezzo anticipare fondi che potrebbero in seguito e in parte essere recuperati sul posto 2 .

50

L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA 173/7/37. Roma, 12 gennaio 1937.

We are sending you to-day a Note Verbale 3 informing you officially that His Majesty's Chargé d'Affaires at Addis Ababa is leaving on January 15 1h and that our Legation will on that date be replaced by a Consulate Generai. In the Note Verbale we are also giving you details of the various consular appointments which have been made in anticipation of this event.

As stated in the Note Verbale, the new Consul General's Royal Commission will be prepared as soon as he has reported his arrivai at Addis Ababa at the

I T. 105/4 del 5 gennaio. Comunicava che il fiduciario inviato da Roma aveva preso contatto con i capi dell'integralismo ed aveva constatato la serietà del movimento e l'intensa attività svolta dai tedeschi.

2 Il giorno successivo, Ciano rispondeva che era stato deciso di dare al movimento integralista una sovvenzione di 50 contos mensili, incaricando del pagamento un fiduciario per non compromettere l'ambasciata (T. 444/10 P.R. del 13 gennaio). Si veda, per il seguito della questione, il D. 90.

3 Non pubblicata.

beginning of March. A Commission will also be prepared for the new Consul, who will accompany the Consul Generai out to Addis Ababa, as soon as this is possible. Steps will also shortly be taken formally to appoint a Vice-Consul to Addis Ababa and he will also be issued with a Royal Commission.

As soon as the Royal Commissions for the Consul Generai and the Consul are ready, I shall receive instructions to request the Italian Government to grant exequaturs to Mr. Stonehewer-Bird and Mr. Helm. This request will be made on the distinct understanding that it is not to be interpreted as de jure recognition of the Italian annexation of Abyssinia. Y ou will doubtless recall our conversation of December 21st 1 on this point. The request for provisional recognition of Mr. Bond as Acting Consul Generai on the closure of the Legation, Mr. Wikeley's request for provisional recognition as Acting British Consul at Harrar, and the request for provisional recognition for the new appointments at Addis Ababa, which are ali detailed in the Note Verbale, will also be made on the same understanding, that no de jure recognition is implied.

51

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE ITALIANA IN SPAGNA, ROATTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UFF. SPAGNA 205/475 E 226/476. [Salamanca], 13 gennaio 1937, ore 19,152 .

Riferimento mio 398 3 . Conferito con Sperrle. Non è esatto egli abbia estremo pessimismo. Al contrario, egli conserva fiducia nota e segnalata fine dicembre e ha constatato anche egli miglioramento morale nazionalisti. Ritiene che Russia abbia ormai rinunziato agire a fondo in Spagna, che masse comuniste straniere decise combattere siano ormai sul posto e che quindi affluenza volontari internazionali stia molto diminuendo. Invece egli è depresso per contegno governo che, secondo lui, non pensa nemmeno inviare qui 10.000 fra volontari c cui ha ... 4 . Vengono invece certamente inviati: 12 apparecchi bombardamento veloci e 3 caccia velocissimi con equipaggio, 3 batterie controaeri, 20.000 fucili, 80 mortai assalto, 80 pezzi da 75,6 batterie 77. Tutto questo con munizioni, senza personale. Nessun altro materiale per brigate miste. Aviazione e controaerei saranno tenuti numerosi. Cause: timore guerra preventiva Francia e Russia prima Germania sia completamente pronta. Reale grave mancanza ufficiali e forte ritardo effettuazione programma russo armamento. Sperrle spera personalmente che Goering seguito conferenza Roma possa ottenere invio una piccola brigata di C.S. 5 .

l Di questo colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani. Si può vedere il resoconto dell'ambasciatore Drummond in BD. vol. XVII, DD. 499 e 500, dove peraltro non viene riportata la parte del colloquio relativa al problema del riconoscimento dell'Impero italiano.

3 Vedi D. 36.

4 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppi indecifrabili».

5 Il documento ha il visto di M ussolini.

2 l telegrammi giunsero tra il 13 e il 14 gennaio.

52

L'AMBASCIATORE A BERLINO, A TTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 311/23 R. Berlino, 13 gennaio 1937, ore 21,30 (per. ore 3,15 del 14).

Ho visto nelle ultime 24 ore vari esponenti -tra cui anche Schacht -di quella che potrebbe essere considerata l'opinione tedesca media e moderata. Da tutti ho tratto impressione che Germania non si spingerà in materia Spagna a fondo e ciò per più considerazioni.

l) Politiche, in quanto essa teme -date animosità e prevenzioni an titedesche generalmente prevalenti -di diventare quindi, in definitiva, la vittima di politica che fa prevedere complicazioni 1•

2) Tecnico-militari, dato che la preparazione bellica della nazione si sta in pratica rivelando assai meno avanzata di quanto non si credesse. 3) Economiche, perché le risorse del Paese sono estremamente limitate.

In questa situazione, i circoli cui mi riferisco (e ai cui occhi questione spagnuola ha importanza e portata assai più italiana che tedesca) spingono verso una soluzione di compromesso che, pur evitando la vittoria dei rossi, sia accettabile anche dagli inglesi e francesi, considerati questi altrettanto decisi ad impedire la instaurazione in Spagna di un regime fascista, quanto noi quella di uno comunista.

53

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 295/27 R. Berlino, 13 gennaio 1937, ore 21,27 (per. ore l del 14). Telegramma di V.E. 14 del 13 corr. 2 Ho comunicato. .

Frattanto, attraverso HasseiJ3 sono qui giunti anche primi suggerimenti di V.E. circa risposta alla nuova nota inglese.

1 Sic. 2 È il T. 135/14 R. del 12 gennaio, per il quale si veda p. 43, nota 2. 3 Ciano aveva avuto, il giorno precedente, un colloquio con l'ambasciatore von Hassell al quale

aveva sottolineato la necessità di guadagnare tempo nel rispondere alla nota britannica perché era prevista la partenza entro il 25 gennaio di 25.000 uomini per la Spagna: era quindi necessario che, come già si era fatto in precedenza, i due governi concordassero il tenore delle loro risposte. Di tale colloquio non vi è documentazione nell'archivio italiano ma si veda il resoconto dell'ambasciatore tedesco in DDT, serie D, vol. III, D. 198.

Von Neurath, in massima, concorda ed è pure pronto-secondo V.E. desideraa ritardare. Nella risposta Germania desiderebbe peraltro -anche allo scopo desiderato di guadagnare tempo -far rilevare che governo inglese nulla ha detto in merito alla proposta dell'evacuazione di tutti i volontari, anche politici, già entrati. Governo germanico intenderebbe insistere su questo punto riservandosi anzi di sottomettere in proposito ulteriori suggerimenti concreti. Qui si riterrebbe pure conveniente insistere perché stesso «divieto» proposto dall'Inghilterra -di nuovi invii di volontari -sia esteso alla categoria dei «volontari politici».

54

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, DE CIUTIIS

T. RISERVATO URGENTE 138/34 R. Roma, 13 gennaio 1937, ore 23.

Ho appreso dalla stampa che è avvenuta la fusione dei legionari nazionali dell'antico gruppo fondato dal dottor Albinana coi volontari carlisti. Il rappresentante della giunta suprema carlista, José Maria Oriol, durante la cerimonia svoltasi a Vitoria, avrebbe affermato che ormai nulla potrà separare i carlisti dai falangisti.

Prego V.S. far comprendere in codesti ambienti, nella maniera che riterrà più conveniente, che detta iniziativa è qui considerata molto opportuna e che conviene proseguire in tale opera di fusione delle diverse correnti nazionaliste spagnole 1 .

55

RIUNIONE A PALAZZO VENEZIA FRA IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, IL COLONELLO GENERALE, GOERING, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

VERBALE. Roma, 14 gennaio 1937.

Il 14 gennaio 1937 (XV), alle ore 17, a Palazzo Venezia il Duce ha convocato, in presenza di S.E. il Ministro Presidente colonnello generale Goering, le LL.EE. il ministro degli Affari Esteri e i sottosegretari di Stato per la Guerra, la Marina e l'Aeronautica per esaminare la situazione dell'Italia e della Germania nei confronti degli avvenimenti spagnoli.

1 Con T. 417/29 R. del 17 gennaio, De Ciutiis comunicava che quella fusione aveva «un'importanza relativa per lo scarso numero degli iscritti all'antico gruppo, 6.000 circa in tutta la Spagna», mentre presentava sempre difficoltà un riavvicinamento tra falangisti e requetés.

Prende la parola il Duce, per porre in primo luogo una questione di ordine politico: l'Italia e la Germania si trovano in presenza di un passo inglese 1 tendente a realizzare un accordo che metta fine all'invio di volontari in !spagna.

Il Duce pone la questione nei seguenti termini:

l) È effettivamente nostra intenzione di realizzare un accordo sulla questione dei volontari? 2) Intendiamo che questo accordo possa realizzarsi subito o è nostra intenzione procrastinarlo? 3) Qualora si dovesse giungere alla conclusione di tale accordo in quale forma noi dovremmo eseguirlo?

4) Se non si dovesse arrivare alla conclusione dell'accordo quale sarà l'azione comune dell'Italia e della Germania nel futuro? E soprattutto quale sarà la nostra linea di condotta di fronte a Franco?

S.E. il colonnello generale Goering prende in esame particolareggiatamente il questionario del Duce. Egli premette che ciò che è decisivo per la Germania e l'Italia è di assicurare la vittoria del generale Franco. Se essa può essere garantita senza rendere troppo tese le relazioni internazionali, ciò è tanto di guadagnato. Per raggiungere questo obiettivo la Germania propone l'evacuazione completa dei volontari, da effettuarsi sotto un controllo di questo genere; l'evacuazione dei volontari rossi sarebbe controllata dalla Germania e dall'Italia e reciprocamente quella dei volontari bianchi sarebbe controllata da Inghilterra e Francia. Noi ci rendiamo bene conto della pressione che le altre Potenze esercitano per risolvere la questione dei volontari. Il passo inglese pone l'Italia e la Germania di fronte alla valutazione di tutta la situazione internazionale ed è evidente che la richiesta di evacuazione completa deve essere esaminata alla stregua di possibili complicazioni internazionali.

Ritengo che convenga rispondere affermativamente alla richiesta inglese e contemporaneamente chiedere la completa evacuazione dalla Spagna di tutti gli elementi volontari stranieri. Proponendo l'evacuazione completa noi dobbiamo categoricamente richiedere che ogni invio di emissari di propaganda in !spagna debba cessare. La Germania ha un progetto completo di controllo sull'evacuazione, controllo aereo, marittimo e terrestre.

È difficile poter dire se la evacuazione completa venga accettata o meno. Comunque approfitteremo del punto guadagnato con tale proposta per aiutare Franco. D'altra parte, qualora l'evacuazione dovesse rivelarsi impossibile, dobbiamo studiare la nostra situazione di fronte al possibile effettuarsi di un blocco navale e terrestre. Quali sono le nostre possibilità di fronte a tale blocco? Sino a che punto possiamo noi aiutare il Generale Franco in tale occasione? Conviene all'Italia e alla Germania assumere tutte le conseguenze che possono derivare da un blocco navale e terrestre?

Ritengo che convenga studiare i mezzi per ~vitarlo. Valutiamo adesso le due eventualità: evacuazione o blocco.

I Vedi p. 9, nota 3.

Noi abbiamo portato qui soltanto delle proposte e desideriamo studiarle. In ogni caso qualora si dovesse addivenire ad un accordo con le altre Potenze, esso dovrebbe essere completamente rispettato.

Il Duce rispondendo a S.E. Goering dice che è assolutamente indispensabile che Franco sia vittorioso. Nel caso contrario si avrebbe una sconfitta per noi e la Russia potrebbe dire di aver riportato la sua prima vittoria sull'Occidente Europeo.

Io credo che praticamente la questione dell'evacuazione completa dalla Spagna dei volontari e dei propagandisti sia quasi insolubile poiché i rossi spagnoli hanno deciso di naturalizzare i volontari stranieri che sono giunti in loro aiuto. Credo che nell'attuale situazione l'evacuazione dei volontari danneggerebbe più Franco dei rossi. Costoro sono nel maggiore disordine, divisi da lotte intestine. Inoltre l'arrivo dei volontari rossi comincia a diminuire mentre s'intensifica il nostro intervento. Nonostante tutto Franco ha molte forze ed ha innegabili possibilità offensive. L'evacuazione parallela, in tali condizioni, consisterebbe nel rendere un servizio ai rossi.

S.E. Goering conviene col Duce che si continui ad aiutare Franco. Nel tutelare la sua proposta egli si era basato sulle osservazioni dei suoi esperti. Se ora la situazione è cambiata, tanto meglio. Anche se I'evacuzione non potrà essere praticamente effettuata, noi avremo, col sol fatto di proporla, lanciato «un boccone da mangiare» al Comitato del non intervento fornendogli un'occupazione per qualche tempo. Deve in ogni modo evitarsi che la responsabilità di un insuccesso ricada sui nostri due Paesi. Per questo motivo il Fiihrer crede che convenga fare la proposta, inviando una nota dettagliata al Comitato di Londra e obbligandolo in tal modo ed esaminarlo.

Se non vogliamo metterei su questa via conviene precisare chiaramente il da farsi.

Mi permetto di chiedere al Duce quale è il suo avviso in caso di effettuazione del blocco totale. Quale è l'avviso del Duce se il blocco è reciproco. Sarei lieto di apprenderlo per darne notizia al Fiihrer.

Il Duce prima di intraprendere l'esame deiia discussione politica desidera che vengano esaminati i dati relativi agli aiuti forniti dall'Italia e dalla Germania al Generale Franco.

S.E. il conte Ciano fa una dettagliata esposizione degli uomini e del materiale inviati e in corso d'invio in !spagna (vedi dati forniti dall'Ufficio come risulta da allegato).

Finita l'esposizione del conte Ciano il Duce dice:

Gli esperti tedeschi credono che tali forze siano sufficienti a Franco? Poiché se tali forze sono ritenute sufficienti per il generale Franco, allora possiamo anche andare verso l'accordo. In caso contrario non mi pare che ci convenga considerarne l'opportunità. Si tratta anche di sapere se gli aiuti che forniamo a Franco invece di spingerlo ad agire non abbiano l'effetto opposto nel senso che egli sia indotto a rallentare il suo sforzo fidando nell'aiuto della Germania e dell'Italia. Il Duce perciò ritiene che ad un certo momento bisognerà dirgli che deve contare sulle sue forze. Egli ne ha che non impiega. Dovremo aggiungergli che noi non intendiamo sostituirei agli spagnoli i quali si comportano in modo da far credere che la guerra non Ii interessi più.

S.E. Goering afferma che se il generale Franco sapesse adoperare in maniera efficiente tutto il materiale che l'Italia gli ha in così larga misura fornito e le munizioni che la Germania continuerà a fornirgli e se utilizzasse in maniera completa e razionale i suoi uomini, la vittoria non gli dovrebbe mancare. Ad esempio la Germania gli ha fornito un quantità di granate uguale a quella consumata nella guera del 1870. Purtroppo è l'organizzazione che difetta nelle file nazionali spagnole. Il materiale è mal distribuito. In alcuni settori sono tesaurizzati, in altri se ne difetta. Bisogna dirgli che quello che ha deve bastargli. L'Italia, col mettere a disposizione di Franco materiale e truppe deve, anche per la responsabilità che gliene deriva di fronte ai suoi uomini, dirgli energicamente che le operazioni devono essere spinte più a fondo. Nonostante le suscettibilità spagnole occorre mettere a disposizione di Franco uno Stato Maggiore itala-tedesco che gli dica le operazioni che deve fare. Si pensi alla composizione e alla eterogeneità del fronte spagnolo: Franco lascia esistere un centro rosso a Malaga, proprio in prossimità della base di Cadice, un altro a Valencia, sparpaglia le sue forze nel Nord e si estenua senza una unità di comando di fronte a Madrid. Tutto questo è certamente deplorevole. Si deve essere molto fermi su questo punto.

Tutti sappiamo che i suoi attacchi sono inefficaci e che il materiale che noi gli inviamo viene inutilmente sciupato. Bisogna che la condotta generale della guerra in !spagna venga radicalmente cambiata e che la guida delle operazioni sia affidata ad un comando responsabile.

Il generale Goering passa quindi ad esporre i dati del materiale inviato in !spagna dalla Germania, rilevando che le tonnellate di esplosivo lanciate in !spagna dall'aviazione tedesca sarebbero 320 di fronte ad una cifra di 240 tonnellate lanciate dall'aviazione italiana. È evidente che una delle due cifre non è esatta giacché il divario è troppo basso. La Germania infatti ha fornito in base agli accordi il numero maggiore di aeroplani da bombardamento e questi portano un carico di esplosivo superiore a quello degli aeroplani italiani. Occorrerà pertanto rettificare tali dati.

Il generale Goering continua ad esporre dettagliatamente i dati relativi al materiale germanico fornito alla Spagna ed aggiunge che, oltre al materiale da lui menzionato, anche una Casa tedesca di munizioni, la Felsenk, ha fornito altro materiale da guerra che non è computato nella esposizione da lui fatta. Conclude dicendo che il totale del personale tedesco adesso in Ispagna ammonta a 5.000 uomini senza contare gli equipaggi delle navi da guerra. Per quanto riguarda l'invio di volontari non è stata opposta alcune difficoltà agli arruolamenti da parte dell'ambasciata di Spagna.

Il Duce rileva, che dallo scambio così leale e preciso di informazioni risulta che si è fatto uno sforzo veramente formidabile e resta perciò a chiedersi se tale sforzo è stato nella giusta misura utilizzato da Franco. Abbiamo mandato egli dice -uomini e materiali non per una guerra civile, ma per una vera guerra di grandi proporzioni. Dobbiamo sapere se Franco vuol continuare a fare una guerra cronica che anemizzerebbe tanto l'Italia che la Germania se dovesse durare indefinitamente.

Il Generale Goering: Tutte le notizie in nostro possesso concordano nel far ritenere che Franco non ha utilizzato quello che gli abbiamo mandato. Tali notizie danno ancora la prova che manca una organizzazione nelle file nazionali. Credo che il nostro compito ulteriore debba essere di consacrarci a questa. Mi rendo conto che abbiamo commesso qualche errore. Avevamo detto a Franco che l'avremmo riconosciuto quando egli avesse preso Madrid. Dico francamente che dovevamo attenerci a questo impegno. Abbiamo viceversa riconosciuto il governo di Franco troppo presto. È stato questo un errore di cui adesso valutiamo le conseguenze. Si doveva in addietro presentare una dichiarazione ferma e netta da parte dei due governi che non avrebbero mai tollerato Io stabilirsi di un regime bolscevico in Ispagna. Adesso mi sembra che sia troppo tardi. Incontreremmo molte resistenze e gli effetti sarebbero assai minori. Le conseguenze di un simile gesto sarebbero quelle ben prevedibili negli Stati democratici. Tenuto conto di tale responsabilità, dello specifico nervosismo francese nei nostri confronti e della generale situazione internazionale, sono d'avviso che non possiamo mandare ancora truppe e sopratutto una Divisione completa. Siamo disposti invece a mandare degli specialisti, degli ufficiali e dei sottufficiali che posseggano la lingua spagnola in modo da lavorare per l'organizzazione e per il rendimento degli effettivi che abbiamo presentemente in !spagna.

Riassumendo: l) -La Germania può continuare a mantenere in efficienza in ogni campo gli effettivi terrestri, navali, aerei presentemente in !spagna e provvedere all'approvvigionamento occorrente.

2) -Può continuare a fornire le armi, le munizioni, gli apparecchi e i pezzi di ricambio per l'equipaggiamento delle forze spagnole nella misura del possibile. 3) -Può continuare ad inviare degli ufficiali e degli specialisti dell'esercito,

ma solo se conoscono lo spagnolo. 4) -Può assumersi una parte per quello che riguarda le informazioni e i servizi organizzativi. 5) -Non è in grado di continuare ulteriori invii di truppe in formazioni organiche in considerazione della situazione politica generale. V'è una grande differenza nella reazione della Francia quando si tratta della presenza di truppe tedesche in Ispagna o di truppe italiane.

In conclusione si ritiene indispensabile che l'Italia, che ha fornito un così largo contributo di uomini parli nettamente a Franco perché si affretti.

II Duce: Ciò che ha detto il generale Goering è esatto. Non si può continuare ad inviare formazioni regolari. Sono comunque disposto ad inviare ancora 9.000 uomini. L'importante è di fissare sino a qual punto vogliamo andare. Occorre fare un piano che precisi quanto materiale la Germania possa fornire e basta e quanti uomini e materiale possa fornire l'Italia e basta.

Temo che il nostro aiuto invece di spingere Franco lo tranquillizzi nella convinzione che ciò possa continuare indefinitamente. Vogliamo la vittoria di Franco, ma nel suo stesso interesse ch'essa sia raggiunta nel più breve tempo. Concerteremo la maniera di avvisare Franco in modo che non continui a farsi illusioni e per il momento stabiliremo quale sarà l'esatta misura del nostro aiuto.

Il generale Goering dice che può essere in grado di far sapere domani quanto la Germania è disposta ancora a dare al generale Franco.

II Duce rileva che occorre stabilire il tempo nel quale potrà farsi un accordo sulla questione dei volontari. Se a tale accordo si deve arrivare, occorre che nel frattempo abbiamo fatto tutto il nostro sforzo. Avremo allora interesse a controllare gli altri.

Goering: È d'accordo sulla necessità di accelerare lo sforzo. La Germania vi concorrerà nella più larga misura.

Dato che si tratta di uno sforzo risolutivo, potremo dare in una sola volta quanto occorre, senza trovarci esposti al rischio di nuove richieste, come avviene ora. Possiamo impegnarci che per la fine del mese gli invii siano esauriti. Potremmo per quella data fermare ogni spedizione e dire francamente a Franco che chiudiamo ogni invio e lo invitiamo ad agire risolutamente. L'importante è decidere una linea di azione concorde tanto di fronte al Comitato del non intervento che di fronte alla Francia ed all'Inghilterra. Anche se accettiamo il divieto d'inviare dei volontari, possiamo porre le nostre condizioni. Ribbentrop e Grandi dovrebbero avere identiche istruzioni per seguire una tattica temporeggiatrice ma è evidente che se possiamo fare a meno di dare subito una risposta non possiamo prolungare il silenzio ali 'infinito. In ogni caso la responsabilità di ogni ritardo dovrebbe cadere sul Comitato di non intervento. Si può senz'altro dire alle altre Potenze che se esse non adempiono nel termine previsto per la evacuazione completa, l'Italia e la Germania continueranno ad inviare volontari. Grandi e Ribbentropp devono naturalmente avere concordi istruzioni sul nostro punto di vista circa la effettuazione del blocco.

Il Fiihrer gradirebbe a questo proposito conoscere il punto di vista italiano.

Il Duce rispondendo alle suggestioni di Goering fissa i seguenti punti:

l) stabiliremo domani il piano italo-tedesco circa gli invii da fare alla Spagna; 2) è inteso che tali invii si effettueranno dentro le due prossime settimane;

3) si dichiarerà esplicitamente a Franco che abbiamo fatto uno sforzo considerevole e dimostrato la nostra solidarietà attiva. Ora egli deve contare soltanto sulle sue forze;

4) Circa la tattica da seguire a Londra, essa sarà stabilita d'accordo fra Italia e Germania e deve essere sempre diretta dall'idea di garantire la vittoria di Franco. Sono disposto ad accettare il blocco e il controllo, anche strettissimo, ma quando le possibilità della vittoria di Franco siano assicurate; altrimenti sono disposto a discutere ancora.

Il generale Goering chiede quale sia l'opinione dei tecnici italiani sulla latitudine dell'effettuazione di un blocco terrestre e navale e domanda se essi. credano che Franco avrà ugualmente la vittoria qualora fra quindici giorni dovesse essere proclamato il blocco. Goering aggiunge che, secondo l'avviso dei tecnici tedeschi, Franco potrebbe avere la vittoria anche in caso di proclamazione del blocco.

Il Duce dice che nel mese di dicembre vi è stata una forte depressione nelle truppe di Franco ma da segni indubbi si può rilevare che esiste attualmente una ripresa morale. Gli ultimi combattimenti si sono conclusi con delle vere vittorie per Franco. I rossi hanno avuto 1804 morti ed hanno lasciato 960 prigionieri. Da dicembre ad oggi la posizione di Franco è migliorata e le sue probabilità di vittoria aumentate. Le probabilità di vittoria sono accresciute dal fatto che v'è una profonda divisione tra i comunisti agli ordini di Mosca e gli anarchici e cioè tra la F.A.I. (Federazione Anarchica Iberica) e la C.N.T. (Confederazione Nazionale del Lavoro) e il P.O.U.M. Essi si battono tra loro. Se Franco ha della energia può rovesciare tutti. Anche se vi fosse da fare il sacrificio di qualche migliaio di uomini, Franco non dovrebbe esitare, piuttosto che prolungare indefinitamente la guerra.

Quando l'Italia e Germania avranno inviato quello che hanno promesso, occorrerà far fronte all'Inghilterra e al Comitato di non intervento. Anche sul terreno politico dovrà esservi un fronte comune italo-tedesco. È probabile che l'Inghilterra proporrà un controllo severo delle frontiere marittime e terrestri. Appunto per questo sono d'accordo con il Generale Goering che non dobbiamo metterei nella posizione di essere indicati in Europa come coloro che desiderano il prolungamento della guerra in Ispagna. Dobbiamo essere d'accordo sul principio di dilazionare fino a quando sia arrivato in Ispagna tutto quello che dobbiamo mandare. Possiamo dare una risposta e poi discutere nel Comitato di non intervento prima di prendere una decisione. S.E. Ciano fa rilevare che, se da parte italo-tedesca si insiste sulla proposta di evacuazione completa dei volontari dalla Spagna, potrà sorgere l'accusa che si voglia fare opera di sabotaggio. Oggi la Germania e l'Italia sono in una situazione eccellente, per l'impressione favorevole prodotta dalle note tedesche-italiane. Se si insistesse sulla proposta di evacuazione ci verrebbe opposto che la prima condizione è di arrestare subito ogni nuovo afflusso di volontari. Ci verrebbe proposto cioè di concludere un armistizio. La proposta sarebbe logica e ci imbarazzerebbe.

Goering concorda con il ministro Ciano e aggiunge che degli assaggi fatti dalla stampa tedesca in questo senso hanno dimostrato che l'Inghilterra reagisce in tal modo. In ogni caso è bene che i nostri rappresentanti all'estero sappiano come contenersi.

II Duce osserva che il giorno che avremo inviato tutto il fabbisogno in Ispagna la discussione diventerà accademica. Allora avremo interesse di esigere il divieto di ogni ulteriore invio. Ciò risponde anche all'interesse di Franco che controlla 12 milioni di spagnoli. Con tale atteggiamento noi potremmo bloccare la Francia che si troverà in situazione difficile. Vi potrà anche essere una crisi interna. Si dirà allora che abbiamo accettato perché Franco ha avuto in tempo tutti gli aiuti necessari. In due settimane potremo mandare tutto. Credo che non dovremmo insistere sulla evacuazione perché, se fosse accettata vi perderemmo. Noi ritireremmo dei veri soldati, gli altri della gente ignobile che non vale nulla. C'è poi da considerare anche l'evacuazione del materiale. Che cosa ne avverrebbe?

Goering vorrebbe essere ben compreso. La sua proposta di evacuazione è stata fatta, non perché crede che sia realizzabile; è stato elaborato un progetto che darà del lavoro a dei Comitati e a dei Sottocomitati, il che richiederà almeno sei settimane, durante le quali potremmo mandare in Ispagna tutto il necessario. Dovremmo mandare istruzioni precise a Grandi e a Ribbentrop per una unità di azione. Se l'evacuazione, del resto, non si renderà possibile, bisogna che decidiamo la nostra condotta nei riguardi del blocco. II blocco costerà enormemente e non dobbiamo dimenticare che Inghilterra e Francia faranno di tutto per fermarci. L'altra possibilità che rimane è di guadagnar tempo, ma è evidente che gli inglesi si accorgeranno del nostro giuoco. Darò questa sera stessa ordini precisi che gli invii vengano accelerati. Ma desidero comunicare al Fiihrer una risposta sulla tattica che si ritenga da seguire nel Comitato.

Il conte Ciano, su quesito rivoltogli dal Duce, osserva che si può intanto ritardare la risposta di tre o quattro giorni. Nella nostra nota di risposta sulla questione dei volontari, noi abbiamo subordinato la nostra adesione alle seguenti condizioni: a) che tutti vi aderiscano; b) che il controllo sia totalitario e completo; c) che vi sia il consenso delle due parti. Quando il Comitato di Londra si riunirà potremo chiedere che cosa si pensi della proposta di evacuazione. Tale richiesta metterebbe in imbarazzo l'Inghilterra sopratutto se si ricordi quali sono le condizioni del precedente questionario inglese. Sarebbe perciò molto opportuno domandare agli inglesi che rispondano alla nostra proposta.

Goering trova eccellente il suggerimento del conte Ciano e rileva che è questa una buona occasione per dare una lezione agli inglesi, che pongono continuamente dei questionari, presentandogliene uno.

Il generale Goering fissa quindi i seguenti punti che si riserva di comunicare a Berlino:

l) La Germania e l'Italia sono tuttora animate dalla volontà di assicurare la vittoria di Franco.

2) Il fatto che gli si apportino degli aiuti non deve però indurre Franco all'inattività e destare presso di lui la speranza che l'Italia e la Germania faranno la guerra al posto suo per i loro propri interessi.

3) Verrà fatto presente ancora una volta a Franco il grande aiuto materiale e morale che gli è stato accordato finora dai due Paesi. Un ultimo grande apporto da parte dell'Italia (soldati e materiale ) e della Germania (materiale) avrà luogo fino al 31 gennaio.

4) Allo scopo di guadagnar tempo fino al 31 gennaio per questo aiuto, si adotterà sul terreno diplomatico una tattica di temporeggiamento. A tal fine la Germania e l'Italia si accorderanno esattamente sul modo di rispondere all'ultima nota inglese e sulle istruzioni da impartire ai loro ambasciatori per le trattative nel Comitato di non intervento.

5) Tosto che alla fine del mese di gennaio sarà ultimata l'azione di soccorso prevista sopra, verrà proposta la totale chiusura della Spagna e si presenterà al riguardo un piano comune per il blocco.

6) Si effettuerà una energica pressione su Franco per indurlo ad accelerare le sue operazioni e per l'impiego totale dei larghi mezzi a sua disposizione. Sembra desiderabile dimettergli a fianco uno Stato Maggiore germanico-italiano, allo scopo di indurlo a compiere le operazioni militari in modo opportuno.

7) La Marina provvederà a continuare il servizio di informazioni ed a assicurare la sicurezza dei trasporti.

8) La Germania e l'Italia non si lasceranno in alcuna maniera condurre da altre Potenze in una situazion~ tale da cui potrebbero sorgere delle complicazioni internazionali.

Il generale Goering consegna al ministro Ciano i piani dettagliati di evacuazione e di effettivo controllo. Il conte Ciano riferisce le seguenti informazioni sulla entità delle forze di Franco e di quelle rosse:

Riepilogo 1

Forze bianche 164.000 uomm1 Forze rosse 149.000 uomm1

Così suddivise.

Bianchi:

Forze spagnole:

Esercito 85.000

Milizie 48.000

133.000

Forze italiane 21.000

Rossi: al fronte n serva Fronte popolare 11.000 22.000 Partito operaio spagnolo e gioventù operaia 5.000 8.000 Partito socialista e U.P.G. 30.000 30.000 Brigate Internazionali 45.000

91.000 58.0002

l Alcune delle cifre indicate non corrispondono tra loro. 2 Questo verbale fu inviato in visione al Re con lettera di Ciano al ministro della Rea! Casa. Mattioli Pasqualini. del 25 gennaio. Agli atti vi è anche il seguente Riassunto del colloquio tra il Presidente Goering c il Duce avvenuto a Pala::.::.o Vene::ia il 14 gennaio 1937. alle ore 17.

l) La Germania e l'Italia sono tuttora animate dalla volontà di assicurare la vittoria di Franco. 2) Il fatto che gli si apportino degli aiuti non deve però indurre Franco all'inattività e destare presso di lui la speranza che l'Italia e la Germania faranno la guerra al posto suo per i loro propri interessi. 3) Verrà fatto presente ancora una volta a Franco il grande aiuto materiale e morale che gli è

stato accordato finora dai due Paesi. Un ultimo grande apporto da parte dell'Italia (soldati e materiale) c della Germania (materiale) avrà luogo fino al 31 gennaio.

4) Allo scopo di guadagnar tempo fino al 31 gennaio per questo aiuto, si adotterà sul terreno diplomatico una tattica di temporeggiamento. A tal fine la Germania e l'Italia si accorderanno esattamente sul modo di rispondere all'ultima nota inglese e sulle istruzioni da impartire ai loro Ambasciatori per le trattative nel Comitato di non intervento.

5) Tosto che alla fine del mese di gennaio sarà ultimata l'azione di soccorso prevista sopra. verrà proposta la totale chiusura della Spagna e si presenterà al riguardo un piano comune per il blocco. 6) Si effettuerà una energica pressione su Franco per indurlo ad accelerare le sue operazioni e per

l'impiego totale dei larghi mezzi a sua disposizione. Sembra desiderabile di mettergli a fianco uno Stato Maggiore germanico-italiano, allo scopo di indurlo a compiere le operazioni militari in modo opportuno. 7) La Marina provvederà a continuare il servizio di informazioni e ad assicurare la sicurezza dei trasporti. 8) La Germania e l'Italia non si lasceranno in alcuna maniera condurre da altre Potenze in una situazione tale da cui potrebbero sorgere delle complicazioni internazionali.

56

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 338/42-43 R. Londra, 14 gennaio 1937, ore 20,12 (per. ore 3,15 del 15).

Mi sono espresso con Eden secondo le istruzioni del telegramma di V. E. n. 19 1 .

Dopo avergli dato lettura dell'ultima parte di detto telegramma (dalle parole «Il governo di Berlino, ecc. in poi»), ho chiesto a Eden di darmi una risposta precisa ai quesiti posti da V .E. insistendo sui seguenti punti:

l) Governo italiano è in grado smentire, per conoscenza diretta, pretese infiltrazioni germaniche nella zona del Marocco spagnolo.

2) Eventuali arrivi di alcuni volontari tedeschi non potrebbero essere considerati come violazione da parte della Spagna degli impegni assunti con il trattato del 1912.

3) Ingresso truppe francesi rappresenterebbe per contro una violazione statu quo Mediterraneo alla quale governo italiano è nettamente contrario. 4) Sono intanto preoccupanti ammassamenti di speciali truppe francesi da tempo segnalati alla frontiera franco-spagnola del Marocco.

5) Poiché governo francese asserisce che eventuale azione francese verrebbe eseguita in accordo perfetto con Gran Bretagna, governo italiano chiede diretta conferma di ciò, e aggiunge che ove propositi francesi persistessero, uno scambio di idee dovrebbe avere luogo fra Roma e Londra.

Nel corso della conversazione che è seguita ho avuto più volte occasione di mettere in chiaro a Eden che se il problema Marocco spagnolo rappresenta un interesse per la Francia e Inghilterra, tale problema ha importanza di gran lunga superiore per l'Italia fascista.

Eden mi ha risposto: l) Governo britannico si rende perfettamente conto dell'importanza e dell'interesse che costituisce per l'Italia il problema del Marocco spagnolo. In questo senso Eden mi ha detto essersi già espresso con il governo francese. 2) Governo britannico non è firmatario trattato 1912 ma qualsiasi possibile turbamento nel Marocco spagnolo non può mancare di preoccuparlo nella stessa misura in cui esso preoccupa Francia e Italia. 3) Eden è dell'opinione che eventuale ingresso di truppe francesi nella zona spagnola costituirebbe turbamento dello statu quo. Nessuna notizia è tuttavia pervenuta al governo britannico di movimenti di truppe francesi. Eden mi ha su questo punto dichiarato enfaticamente che egli ritiene poter escludere che da parte francese sia contemplata un'azione in tal senso. Difatti, ove governo francese di fronte a nuove circostanze si accingesse modificare tale atteggiamento, Eden ha motivo di

1 Vedi D. 46.

credere che in questa eventualità governo britannico sarebbe subito e preventivamente consultato. In questo caso, governo britannico, prima di prendere alcuna decisione o intraprendere alcuna azione, si metterebbe in diretto contatto con V.E. per un preventivo scambio di idee.

4) Eden ha aggiunto che tuttavia ciò riguarda un caso ipotetico, in quanto situazione assai migliorata negli ultimi giorni in seguito scambio dichiarazioni fra Parigi e Berlino, e in seguito concordi informazioni sulla stampa internazionale che escluderebbero presenza tedeschi nel Marocco spagnolo.

5) Impressione ottima ha fatto al governo britannico invito da parte autorità spagnole che un osservatore militare britannico e uno francese si rendano personalmente conto nella zona spagnola infondatezza allarme provocato da notizie pubblicate circa presenza tedeschi Marocco spagnolo.

6) Eden si farà cura comunicare a V.E. quanto risulterà all'osservatore militare inglese, essendo informazioni inviate finora dal console britannico a Ceuta frammentarie e non conclusive.

Eden mi ha detto quindi desiderare parlarmi della situazione spagnola in generale, anche in riferimento all'accordo italo-inglese.

«Vi sarei grato-ha detto Eden-se voi voleste far presente al conte Ciano difficoltà nella quale mi trovo, e quanto mi aiuterebbe una risposta alla Nota che Drummond gli ha rimesso lunedì scorso 1 che fosse redatta in tono favorevole come quella già pervenuta dal Portogallo 2 .

Fra una settimana si riaprirà Camera dei Comuni ed io sarò attaccato dai liberali e laburisti i quali mi accusano di essermi lasciato "giuocare" dal governo fascista nelle trattative del gentlemen's agreement per avere, prima lasciato fuori dei negoziati questione volontari in Spagna, e poscia accettato uno scambio di lettere, che è qui da taluni considerato come tacito sebbene indiretto impegno da parte britannica trattare con generale Franco. Anche fra i conservatori, dopo la generale soddisfazione per la conclusione accordo, vi è già taluno che comincia a domandarsi se risultati corrispondano alle aspettative. Io vorrei poter nettamente smentire queste infondate preoccupazioni».

Ho risposto a Eden di tener presente quanto V.E. ha già detto a Drummond (telegramma V.E. n. 21 del 12 corrente)3 . Ho insistito sugli innumerevoli volontari comunisti, di cui oltre 45 mila sono stati trasportati dalla sola ferrovia di Perpignano. Ho aggiunto che nota italiana del 7 corr. 4 prova irrefutabilmente la lealtà e la buona volontà italiana. Il che del resto è stato riconosciuto da maggioranza stessa opinione pubblica britannica.

Eden ha ammesso che da parte della Francia aiuti ai comunisti spagnoli sono continuativi ed innegabili. Non vi è dubbio che il governo di Blum parteggia per i

I Vedi D. 37.

2 È la risposta del governo portoghese alla nota franco-britannica del 24-26 dicembre 1936 su i volontari stranieri in Spagna datata 2 gennaio e consegnata il 5 gennaio all'ambasciata di Gran Bretagna a Lisbona (testo in D.P., vol. III, D. 703).

3 T. 135/21 R. del 12 gennaio con il quale Ciano aveva informato del contenuto del colloquio da lui avuto con l'ambasciatore Drummond il giorno precedente.

4 Vedi D. 22.

rossi spagnoli, così come Italia e Germania desiderano vittoria nazionali. Governo francese ha tuttavia dichiarato essere disposto adottare misure energiche ed ha dato già inizio a legislazione in tal senso. Ci occorre ora di fare presto onde realizzare appunto condizioni richieste nelle note italiana e tedesca. Eden ha continuato augurando che V.E. voglia in tal senso usare della sua grande influenza presso Berlino.

Mi sono limitato rispondere Eden che avrei riportato quanto egli mi pregava trasmettere a V.E., non senza aggiungere che, al punto in cui è giunta ormai situazione spagnola, la posizione di asserita neutralità assunta dal governo inglese si risolve in pratica in un indiretto vantaggio per i comunisti ed è contraria ai più evidenti interessi inglesi e della stessa pace europea.

57

L'AMBASCIATORE A BERLINO, A TTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 183/55. Berlino, 14 gennaio 1937 (per. il 16).

Con sua lettera del 9, giunta all'Auswartiges Amt il giorno Il, l'ambasciatore François-Poncet ha inviato al barone von Neurath copia della risposta che, fin dal 19 dicembre, il governo francese ha rivolto a Londra a proposito di Locarno 1 .

La risposta francese non era difficile a dare, poiché la stessa nota inglese del 19 novembre 2 non faceva che sostenere più o meno palesemente tutte, o quasi, le tesi care alla Francia.

Notevole, comunque, nella risposta francese il modo equivoco (par. 3) con cui si parla della «reciprocità», senza precisare se essa si intende limitata al triangolo superiore, a cui è espressamente riferita, oppure destinata a coprire ~come sembrava dalla primitiva nota francese ~la intera zona del patto. Questo punto che in sostanza poi si identifica con quello del «carattere» del patto assume, con ciò, carattere ancora più fondamentale di prima, tanto che è da domandarsi se non converrebbe, da parte dell'Italia che l'ha sollevato, di domandare a Londra ~in via interlocutoria ~quelle precisioni che la risposta inglese del 19 novembre non ha, in fondo, fornito.

Di nuovo, nella nota francese, non c'è che l'allusione alla Svizzera ~ tirata dentro non si sa come e perché ~ nonché, in fine, l'incitamento a rompere ogni indugio, iniziando senz'altro la fase dei negoziati. Il che, a mio rimesso avviso, impone il dovere di uscire da ogni equivoco, domandando, appunto, di precisare se il trattato nuovo che si desidera sia, o no, del carattere e sulle linee del vecchio. Se non lo fosse, la responsabilità di un eventuale fallimento delle trattative, ricadrebbe

l Testo in DDF, vol. IV, D. 178, aJlegato. 2 Testo in BD, vol. XVII, D. 389.

sopra chi intende cambiar le carte in tavola e profittare dell'occasione per domandare qualcosa di interamente nuovo e -come quello che rappresenta una travestitura e una messa in funzione «regionale» del già fallito e ripudiato articolo 16di necessariamente inattuabile.

Allego -per il caso che V.E. non l'avesse ricevuta da altra fonte -copia della risposta francese.

58

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, ClANO, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. 174/9 R. Roma, 15 gennaio 1937, ore 24.

Questo ambasciatore di Turchia ha chiesto solo oggi di vedermi 1• Dica intanto ad Aras che ho apprezzato lo spirito amichevole nei nostri riguardi che anima le comunicazioni fatte all'E.V. Se egli incaricherà questo ambasciatore di Turchia di farmi una comunicazione nel senso da lui indicato, si potrà fare un comunicato che riporti appunto il contenuto della comunicazione. Sarebbe evidentemente meglio che la comunicazione fosse fatta coll'aggiunta suggerita dali'E.V. (Suo telegramma

n. 21)2 dato specialmente che non esistono più ormai legazioni estere ad Addis Abeba e che Io stesso incaricato d'Affari turco è già stato ritirato da tempo e che da tempo ne è stato dato l'annuncio; sicché è proprio l'aggiunta da Lei suggerita che costituirebbe la parte interessante della comunicazione e quindi del comunicato.

Quanto a Montreux, la questione è talmente diversa da quella del consolato che non mi sembra opportuno mescolare le due cose; né, per quanto mi riguarda, di farne oggetto, allo stato attuale, di un comunicato. Invece, ove Aras Io creda, stampa turca potrebbe benissimo pubblicare che i due governi italiano e turco sono in rapporto per tale questione, come suggerito da Aras medesimo. Non vedo perché ciò dovrebbe venir pubblicato dalla stampa italiana: questa opinione publica si disinteressa di tale questione.

Per quanto riguarda una sua eventuale iniziativa a Ginevra, non vogliamo comunque influire su quanto credesse di fare, e lasciamo quindi a lui l'intero merito

o responsabilità dell'iniziativa. Per l'incontro sta bene, non a Stresa, ma a Milano o Genova. Dopo le vicende ed i malintesi che hanno accompagnato il conflitto ita

la-abissino, stiamo rivedendo le posizioni con tutti gli Stati coi quali abbiamo diretti interessi e con quelli vicini. Così abbiamo fatto per l'Inghilterra, così intendiamo fare con altri Stati e potremo fare anche con la Turchia. L'incontro, senza avere un oggetto specifico, potrebbe rappresentare un'utile presa di contatti per avviare il chiarimento desiderato3 .

l Si vedano in proposito i DD. 43 e 48. 2 Vedi D. 48. 3 Per il seguito si veda il D. 65.

59

IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, PITTALIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 365/04 R. Monaco di Baviera, 15 gennaio 1937 (per. il 16).

Ho avuto occasione di parlare con un membro dell'ex Casa Regnante di Baviera sul breve soggiorno che la settimana scorsa ha fatto qui l'ex Re di Spagna. Egli mi ha detto che l'ex Re (al quale è legato, oltreché dalla parentela, da vincoli di stretta reciproca confidenza) lo ha intrattenuto a lungo sulle vicende di Spagna. Sua Maestà gli ha innanzi tutto parlato con vivo ed entusiastico riconoscimento di quanto in Italia, così come in Germania, si è fatto e si fa a favore della causa nazionale spagnola. Ma l'ex Sovrano, mentre si è detto pienamente fiducioso nel trionfo della causa stessa, si è mostrato per contro molto pessimista nei riguardi dell'avvenire nei confronti dei rapporti colla Chiesa cattolica. Egli ha asserito (aggiungendo avere seri motivi e buone fonti di informazione per affermarlo) esservi serio pericolo che la nuova Spagna nazionale sia per separarsi da Roma, profondamente amareggiata ed irritata com'è per la scarsa resistenza morale che nella sua causa ha addimostrato il Vaticano. Le truppe nazionali si aspettavano un'espressa speciale benedizione del Santo Padre per la terribile lotta che stanno sostenendo. Solo se esse potessero avere una prova indubbia che il cuore e la benedizione di Sua Santità sono con loro, si potrebbe, ad avviso dell'ex-Sovrano, evitare ancora il pericolo dello scisma, data la convinzione che sarebbe purtroppo diffusa in Spagna, anche fra i cattolici più ferventi, che la Curia romana non sia finoggi rimasta estranea a pressioni e manovre dei rossi.

60

DICHIARAZIONI DEL MINISTRO GORING, NEL COLLOQUIO CON MUSSOLINI, DEL 15 GENNAIO 1937

Anzitutto il Presidente dei Ministri Goering dichiara di poter comunicare, dopo aver conferito con il Fi.ihrer, che questi è assolutamente d'accordo perché abbia luogo da parte dell'Italia e della Germania un ultimo sforzo in aiuto di Franco, con l'invio di ingenti quantità di armi e di munizioni dalla Germania in Spagna fino al 31 gennaio. l precisi dati numerici verranno inviati a Roma per corriere speciale e comunicati il giorno seguente ai competenti Uffici italiani.

Il Presidente dei ministri passa poi ad accennare alla situazione politica generale e dichiara di esporre con piena sincerità come si svolgono, secondo il proprio parere, i rapporti reciproci tra Italia e Germania e verso gli altri Stati.

I Nelle carte di Gabinetto vi è di questo documento l'originale tedesco, non firmato ma redatto su carta intestata dell'interprete della Wilhe\mstrasse, Pau\ Schmidt. Qui si pubblica la traduzione in italiano che, a quanto risulta da un'annotazione a margine, fu preparata a Palazzo Chigi il 19 gennaio.

La Spagna è nel momento presente un segnale per l'Europa. Nel caso in cui anche una piccola parte soltanto della Spagna diventi bolscevica, sorgerà un grande pericolo e subentreranno ulteriori complicazioni; infatti, nel momento in cui dovesse sorgere in Spagna un regime riconosciuto di tipo bolscevico, anche il resto della Spagna diventerà bolscevico, nonostante esso si stabilisca dapprima solo in una parte del Paese (la Catalogna). Altro pericolo di contagio esiste in Francia dove larghi strati della popolazione, specie nelle grandi città, ma anche al sud e nelle zone industriali, sono favorevolmente disposti verso il bolscevismo. In Francia non è in alcun modo organizzata la resistenza contro il comunismo. Soltanto i rossi sono organizzati. L'ebreo e marxista Léon Blum non procede certo con rigore contro i comunisti, ma prepara con abilità il trionfo del bolscevismo. È vero che di fronte all'Inghilterra si prodiga in dichiarazioni per far credere che egli è l'ultimo bastione di difesa contro il pericolo bolscevico, ma mente deliberatamente. Senza dubbio Blum vuole collaborare, per la parte che lo riguarda, alla fondazione del Regno di Sion, che oggi, deve essere identificato nel Regime bolscevico. Quest'ultima resistenza contro questa tendenza si ha in Francia solo nello Stato Maggiore e tra gli ufficiali delle Forze Armate. Le stesse truppe sono già fortemente influenzate dal bolscevismo. Ciò è dovuto anzitutto ai Ministri di sinistra che hanno lasciato distribuire giornali marxisti e bolscevichi tra le forze armate ed hanno perfino consentito che venisse scambiato il saluto marxista. Se il Corpo francese degli ufficiali dovesse soltanto assistere alla sconfitta delle forze antibolsceviche presenti in !spagna esso sarebbe sconfortato a tal punto che anche l'ultima trincea esistente in Francia contro il bolscevismo sparirebbe. Ma se la Francia diventasse bolscevica, lo diventerebbero poi del pari il Belgio e l'Olanda. L'Inghilterra è un problema a parte e sarà trattato più tardi.

Se gli avvenimenti dovessero svolgersi in questo modo l'Europa sarebbe minacciata non solo da un fronte orientale bolscevico, ma anche da un fronte occidentale. Queste opinioni, insieme a ragioni ideologiche, costituiscono il motivo dell'intervento della Germania in !spagna. Nessuna aspirazione territoriale è entrata in discussione. Gli interessi economici della Germania sono stati già in passato sufficientemente tutelati.

Mentre la Germania non vede alcun pericolo imminente in !spagna e di là non può essere in alcun modo direttamente minacciata, e piuttosto vi collabora con sguardo lungimirante nella difesa contro il bolscevismo, l'Italia è minacciata direttamente. La Spagna è uno stato rivierasco di quello stesso Mediterraneo in cui l'Italia vuole erigere la propria supremazia. Perché per la Germania si profili un pericolo simile, la Danimarca e la Svezia dovrebbero essere minacciate dal comunismo. In tal caso l'Italia sarebbe fuori pericolo e la Germania direttamente minacciata.

È chiaro che tutti e due i ·popoli hanno un comune interesse a schiacciare il comunismo spagnolo, ma per il momento, il problema è più urgente per gli italiani. Nondimeno la Germania non vuole avere soltanto una modesta parte negli sforzi per vincere il bolscevismo spagnolo, ma Goering, desidera soltanto accennarvi perché a causa della svantaggiosa situazione geografica della Germania, non si può pensare all'invio di complete unità dell'Esercito che dovrebbe necessariamente passare attraverso il Canale della Manica. Però la Germania si trova in altra condizione per quanto concerne l'invio di armi e di materiale bellico e perciò desidera partecipare nella maggior misura possibile all'ultimo grande sforzo con spedizioni di materiale.

Se difficoltà esistessero solo in !spagna, la cosa sarebbe regolata col Protocollo tedesco-italiano 1 . Ma poiché, né l'Italia né la Germania, né Franco sanno con precisione come si comporteranno in seguito la Russia, la Francia e l'Inghilterra nel problema dell'intervento, esiste la possibilità di un conflitto europeo. A prescindere dalla Spagna, la situazione in Europa si presenta, secondo i tedeschi, nel modo seguente: una parte dei popoli ha grandi possessi da amministrare, mentre è appena in condizioni di mantenere ordine e tranquillità a casa propria. La Palestina, le Indie e la Siria sono teatro di continue rivolte, ragione per cui i Paesi europei anzidetti vogliono naturalmente la pace a qualunque costo. Accanto ad essi però, esistono dei popoli giovani ai quali la Provvidenza non ha dato tutto quello che è loro indispensabile per vivere. l Governi di questi paesi compirebbero un tradimento ai danni del loro popolo se non cercassero di ottenere ciò che manca ai loro popoli. L'Italia ha già agito coi fatti in questo modo, con un coraggio ed un successo straordinari. La Germania presentemente non può ancora farlo. Dopo la guerra era completamente disarmata ed ha avuto molto da ricostruire in questo campo per riprendersi. Inoltre nessuna iniziativa tedesca ha potuto finora determinare delle condizioni così favorevoli come è avvenuto per l'Italia nel campo dell'Abissinia. Non è possibile di prevedere ora quando la Germania potrà muoversi. Del resto essa mantiene integra tanto psicologicamente quanto praticamente la sua domanda per la restituzione delle colonie e non si lascerà accontentare soltanto col Togo e col Camerun.

L'impresa abissina ha fatto svanire la tradizionale amicizia italo-inglese. Secondo informazioni possedute dai tedeschi, l'Inghilterra, all'inizio del conflitto abissino, non era da sola abbastanza armata per affrontare l'Italia. Ciò nondimeno, avrebbe pensato ad un conflitto armato se altri Paesi non le avessero negato il loro appoggio. Personalità inglesi pensano oggi che l'Abissinia rappresenta la più grande sconfitta subita dall'Inghilterra dopo il distacco degli Stati Uniti. Inoltre si può anche aggiungere con franchezza che il corso dell'avvenimento non resterà immutato come ora e che forse un giorno (questo si teme in Inghilterra) l'Italia non lascerà le cose come sono, ma si sforzerà di occupare anche gli altri territori che stanno tra l'Abissinia e le diverse colonie italiane in Africa per stabilire una egemonia su tutto il Mediterraneo. Per questi timori, larghe sfere in Inghilterra sono assolutamente mal disposte verso l'Italia ed è da pensare che, in un raggruppamento di Stati rivolti contro l'Italia, l'Inghilterra si troverà sempre dalla parte dei nemici dell'Italia. Questo è il fattore che la Germania deve sempre tener presente nei suoi calcoli. Del resto non è fuori luogo ritenere che un Paese forte come l'Italia, che possiede un Capo così straordinario come il Duce e persegue con chiarezza i suoi scopi, cercherà di ottenere nel Mediterraneo alcune correzioni. Gli sguardi dell'Italia si rivolgono naturalmente e per un'antica tradizione all'Africa del Nord, senza parlare delle Isole che stanno in mezzo. L'acquisto di questi territori è certamente uno scopo che merita di essere perseguito. Egli (Goering) vuoi dire con tutta sincerità (e se dovesse sbagliarsi prega il Duce di correggere la sua affermazione) che quando un Paese ha avuto dalla Provvidenza un Capo così straordinario come il Duce, e non è sicuro che il successore sarà dello stesso formato, quel Paese si dirà che, se vi sono ancora dei difficili compiti da affrontare, è meglio che ciò avvenga mentre il grande Capo è

l Del 23 ottobre 1936 (vedi serie ottava, vol. V, D. 273).

in vita, piuttosto che col meno grande successore. Dato questo stato di cose la Germania intravvede anche certe possibilità di conflitto, di fronte alle quali si regolerebbe così: l) -la Germania non ha nel Bacino Mediterraneo alcun interesse contrario a quelli dell'Italia; 2) -la Germania considera l'Italia uno Stato basato sugli stessi principi ideali, il cui aumento in forza ed estensione verrebbe salutato da lei con soddisfazione. La Jugoslavia rappresenta per la Germania la sola eccezione relativamente agli interessi nel Mediterraneo. Questo Paese è in stretta amicizia con la Germania ed essa desidera quindi che non si lasci coinvolgere in nessun conflitto ma che si most.ri piuttosto incline ad un'intesa. Tra Germania e Jugoslavia non esiste alcuna alleanza, ma solo rapporti di grande amicizia che rimontano al tempo in cui la Germania stava molto male e che, ciò nonostante, la Jugoslavia si ricordò di lei. Del resto la Germania, come è stato detto sopra, non ha interessi di alcun genere nel bacino del Mediterraneo. Essa riconosce l'importanza economica dei Balcani per l'Italia e tale principio è stato ammesso nell'accordo di Berlino.

Per la Germania esiste un difficile problema, come si comporterebbe in caso di un conflitto fra Inghilterra ed Italia. Si trova di fronte all'alternativa o di restare anche in seguito al fianco dell'Italia, oppure di dichiarare che la collaborazione riguarda solo il conflitto spagnolo ma che non si estende ad altre eventuali complicazioni.

La Germania si è data molto da fare per arrivare ad una buona intesa con l'Inghilterra che la ha trattata in parte bene ed in parte male. L'intesa con un'Inghilterra veramente inglese, non sarebbe difficile ma da parte tedesca si è constatato con spavento che l'Inghilterra non fa soltanto della politica inglese, ma anche una politica di solidarietà internazionale orientata a sinistra. Perciò non si può mai sapere come l'Inghilterra agirebbe in avvenire sul terreno politico. Durante il conflitto abissino, una parte della stampa inglese manifestava apertamente la sua gioia perché le relazioni fra la Germania e l'Italia sarebbero state tese e la stessa stampa fu, dopo, estremamente turbata quando risultò che i rapporti fra le ·due Potenze erano infinitamente migliori di quanto non si fosse creduto.

Se il Duce vuole che, in caso di un conflitto dell'Italia la Germania le stia a fianco, dovrebbero essere soddisfatte alcune premesse:

l) Bisognerebbe lasciare alla Germania altri tre anni di tempo al minimo perché, mentre è in grado di fare ora una guerra per terra e per aria, non è abbastanza armata sul mare. Ma con la costruzione di grandi navi da battaglia e con misure comprese nel piano quadriennale, essa potrà essere portata alla sua piena efficienza di combattimento in tre o quattro anni. Se, quindi, il Duce prendesse in esame delle combinazioni per le quali si prevedesse un aiuto armato tedesco, il Fiihrer lo prega di lasciare alla Germania ancora alcuni anni di tempo. Del resto è da tener presente che l'Inghilterra ha in costruzione cinque nuove grandi navi da battaglia e porterà a novanta il numero Lki suoi incrociatori. La Germania cercherebbe, naturalmente, di sistemarsi nei limiti Lklla quota del 35(% prevista dall'Accordo Navale con l'Inghilterra.

Vi è ancora un'altra delicata questione che, tuttavia, non ha alcuna importanza, immediata, ma sulla quale ci si deve intendere chiaramente per l'avvenire. Si tratta dell'Austria con i suoi sei milioni di tedeschi. La Germania non potrà mai rinunciare all'Austria perché rinunzierebbe ai suoi stessi diritti di nazionalità. Essa deve, un giorno, aver l'Austria ad ogni costo anche se, per far ciò, dovesse combattere. Si deve però notare che non si tratta in alcun modo di un problema di attualità, ma di un

problema futuro. In Germania si crede che l'Italia si opponga a queste tendenze anzi tutto per il Sud-Tirol e poi per Trieste. Se esistesse ancora oggi in Germania lo spirito guglielmino dell'epoca pre-bellica, si potrebbero forse capire le preoccupazioni dell'Italia. Ma, di fronte alla nuova Germania, esse non sono giustificate perché il nazionalsocialismo è legato al Fascismo nel modo più stretto. La Germania è pronta a dare all'Italia in un Trattato solenne qualunque assicurazione si voglia per tutti i tempi. Essa non ha mai preteso Trieste per sé. Essa sa molto bene che aspirazioni recondite di questo genere sarebbero del tutto impossibili ed inconcepibili; in altre parole l'idea di Trieste le è altrettanto lontana come quella, ad esempio, di un'occupazione di Marsiglia.

Relativamente al Sud-Tirol, il Partito nazionalsocialista ha completamente chiarito la situazione già dal 1923 allorché riconobbe l'Italia Fascista. Proprio per la questione del Sud-Tirol, esso è stato attaccato in modo indescrivibile. Molti processi sono stati fatti, ed egli potrebbe mostrarne gli atti al Duce, per l'accusa che il Partito nazionalsocialista era stato comprato dall'Italia e che per questo aveva sacrificato il Sud-Tirol. Oggi non esiste alcun problema del Sud-Tirol. C'è soltanto una frontiera italiana che verrà rispettata a tutti i costi. Si comprende anche in Germania che uno Stato nazionale come l'Italia sia particolarmente sensibile nei suoi territori di confine e ci si rammenta che il Duce ha detto una volta che il problema degli abitanti di razza tedesca del Sud-Tirol si risolverebbe molto più facilmente se essi abitassero in Puglia. È naturale che in Germania si desideri che ogni tedesco, ovunque egli si trovi, sia ben trattato ma ciò non significa che la Germania abbia delle mire su territori di altri Stati. Comunque potrebbero venir conclusi dalla Germania dei Trattati solenni ed impegnativi con cui la frontiera del Brennero venga garantita, come tale, in una forma al di sopra di ogni dubbio. Invece, a nord del Brennero abitano altri tedeschi ed essa vuole per sé questo territorio fino al confine del Brennero. A questo proposito è opportuno accennare che l'Austria ha perduto parte del suo territorio anche con la Jugoslavia. Ma anche qui la Germania non pensa minimamente di cacciarsi in un conflitto con la Jugoslavia per questi territori. Se l'Italia vuole ancora oggi che tra lei e la Germania esista uno Stato-cuscinetto, allora vuoi dire che l'Italia non ha piena fiducia nella Germania. Se i due Paesi fossero alleati nel vero senso della parola, sarebbe meglio che avessero un contatto diretto ed una frontiera comune.

Se la politica della Germania deve essere unita a quella dell'Italia per la buona e per la mala sorte e se la Germania sarà obbligata a fornire all'Italia in ogni evenienza un aiuto armato, essa deve sapere se l'Italia riconosce o no il suo diritto ereditario sull'Austria. Se il Duce si trovasse ad aver fuori, ma nelle immediate vicinanze del confine italiano, sei milioni di italiani che formano un blocco nazionale compatto, egli non rinuncierebbe certamente a questi sei milioni. Parimenti la Germania non rinuncia, né ora, né mai all'Austria. La Germania non ha avuto alcuna parte negli avvenimenti del luglio del 1934. Fu lei stessa la vittima di un tradimento e il Fuhrer aveva chiamato a Bayreuth nei giorni critici il Presidente dei Ministri, Goering, per far giungere subito, per il suo tramite, una lettera personale al Duce per chiarire le circostanze. Nel momento, però, di partire in volo per Roma, la campagna di stampa in Italia era già incominciata con grande violenza, motivo per cui il viaggio non ebbe più luogo.

Presentemente il Governo austriaco tratta gli austriaci simpatizzanti per la Germania nella maniera più brutale e si richiama a questo proposito a prec1s1 desideri dell'Italia. In tali condizioni, l'Austria è paragonabile ad un fuoco che cova sotto le ceneri. Se il Governo austriaco non rispetta l'accordo dell'Il luglio 1936, si arriverà molto presto a seri contrasti. Durante il suo viaggio a Roma egli ha dovuto far tirare le tendine ai finestrini del vagone salone per non mettere gli austriaci simpatizzanti per la Germania nella tentazione di salutarlo perché gli era stato detto che tutti gli austriaci sorpresi dai gendarmi nell'atto di fare il saluto hitleriano sarebbero stati puniti con sei settimane di prigione.

Riassumendo, il Presidente dei Ministri Goering ripete ancora una volta che non è una questione attuale se l'Austria debba essere oggi o domani con la Germania, oppure no. Egli non pretende, anzi, dal Duce che gli dichiari subito di essere d'accordo e neppure di concludere immediatamente una alleanza con la Germania. Egli, Goering, ha voluto solo chiarire apertamente e lealmente al Duce che la Germania, non può, in avvenire, rinunciare all'Austria. La collaborazione della Germania e dell'Italia può, a libera scelta del Duce, essere regolata caso per caso, oppure, di fronte al riconoscimento del grande pericolo del bolscevismo, essere posta su di una stabile base in modo tale che le due Potenze procedano strettamente unite in tutti i grandi problemi.

Relativamente all'Austria, è da notare che se il Governo austriaco non rispetta l'accordo di luglio e fa tribolare ancora gli ambienti simpatizzanti per la Germania, questa non potrà impedire che qualche testa calda reagisca in forma violenta in Austria contro l'oppressione del Governo austriaco. Si deve impedire che, a questo proposito, si verifichi nuovamente qualche cosa di spiacevole fra Italia e Germania.

Doveva offrire certo qualche interesse al Duce di udire una volta l'opinione franca del Presidente dei Ministri Goering su queste questioni. Si deve cercare che non sorga di nuovo fra i due Paesi lo stesso equivoco di prima e che di nuovo si semini della diffidenza. Nel complesso, però, il Duce può essere persuaso che non soltanto il Fiihrer ed il Governo del Reich, ma anche il popolo tedesco, tutto insieme, stanno con l'Italia ed insieme con lei vogliono procedere contro il comune pericolo bolscevico.

Qualunque cosa accada l'Italia e la Germania devono però guardarsi dal lasciarsi rimuovere, a causa di provocazioni, dal loro atteggiamento calmo e ponderato perché il guadagnar tempo, migliorerà sensibilmente la posizione di tutti e due i Paesi.

61.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, GUARIGLIA

TELESPR. 803972/350. Roma, 15 gennaio 1937.

Ho ricevuto gli interessanti rapporti n. 6333/683 del 16/l 0/36 n. 6809/749 dell' 11/11/36 e n. 6996/770 del 18 dello stesso mese 1 , relativi ai progetti e ai dibattiti intorno alla vexata questione dell'emigrazione e della colonizzazione in Argentina.

Ho preso atto dei nuovi orientamenti e delle nuove tendenze che si manifestano al riguardo in codesto Paese e che V.E. ha esaurientemente esposti con gli opportuni

I Non rintracciati.

rilievi. Evidentemente, la questione si avvia ad uscire dal vago in cui finora si era tenuta, ed ha un incontestabile valore il fatto che si cominci ad approntare piani concreti, sebbene palesemente insufficienti e inadeguati, come l'E.V. dimostra, al fine che si intende raggiungere.

È utile seguire con attenzione questi nuovi sviluppi della questione migratoria in Argentina. Ma l'interesse che possiamo portare loro non può essere, almeno per ora, che un interesse di curiosità, poiché, mentre tutte le forze vive dell'Italia fascista son dirette a valorizzare e potenziare l'Impero, non è certo il caso di pensare a favorire una ripresa emigratoria verso l'Argentina o qualsiasi altro Paese sud-americano. A parte che l'esperienza antica e recente consiglia a diffidare di ogni progetto, più o meno appariscente, di colonizzazione, in grande o piccolo stile, in codesto Continente, dove le maggiori e più durature conquiste agricole e industriali son costate lacrime e sangue alla nostra gente immigrata, che ne è stata la principale artefice, una nostra azione qualsiasi intesa a incoraggiare pel futuro immediato la ripresa delle vecchie correnti migratorie per l'America del Sud o per altre direzioni sarebbe in aperta, flagrante contraddizione con le altissime ragioni ideali e pratiche che hanno ispirato la conquista dell'Impero.

62

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, DE CIUTIIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 67/29. Salamanca, 15 gennaio 1937 (per. il 21).

Telespresso di V.E. n. 0378 del 1° corrente 1•

Mio telegramma n. 11 del 7 corrente 2 .

Ho l'onore di riferire a V.E. che il generale Franco in risposta alla comunicazione fattagli circa l'azione svolta dal R. Governo presso la Santa Sede per promuoverne un diretto intervento a sconfessione dell'atteggiamento dei nazionalisti cattolici baschi, mi ha inviato oggi un appunto confidenziale di cui riporto il testo in traduzione integrale:

«L'apprezzamento che la Santa Sede fa sull'atteggiamento dei cattolici baschi pone in rilievo una deficiente conoscenza della questione, giacché mai essi fecero alcun passo presso il governo di Burgos per arrivare ad un accordo e dal primo momento si lanciarono alla guerra insieme con gli elementi rossi, con i quali previamente avevano contatti ed intese.

Con l'invocare l'intervento energico della Santa Sede, si ricercava una soluzione a quella che gli stessi baschi chiamano la loro tragedia, giacché sconfitti ancora una volta sui fronti di combattimento, stanno per essere sopraffatti nel loro stesso territorio da comunisti e marxisti.

1 Vedi D. 2.

2 T. 161/11 R. del 7 gennaio, con cui De Ciutiis comunicava di avere effettuato la comunicazione di cui era stato incaricato con il D. 2.

IO

Tale mostruosa alleanza, che può porre termine all'esistenza dei cattolici di Biscaglia noi chiedevamo fosse spezzata con un atto di Sua Santità, che evitasse le sofferenze che sono costretti a subire quegli spagnoli, fino a che non sarà occupato con la forza delle armi il loro territorio.

Rispettiamo le ragioni che nella sua suprema saggezza possa avere la Santa Sede per astenersi da una scomunica, attesa con ansioso desiderio dal vero popolo spagnolo inorridito innanzi a tanti crimini e profanazioni e non insistiamo più su tale punto sul quale dobbiamo riconoscere al Capo visibile della Chiesa tutta la competenza.

Riguardo al trattamento che il Governo Nazionale dovrebbe concedere alla provincia di Biscaglia esso deve essere lo stesso che figura nella dichiarazione del governo resa pubblica il lo ottobre ultimo, con la quale si concede a tutte le regioni e provincie spagnole, rispettando le loro pecularietà, il poter godere di un decentramento amministrativo.

Dal punto di vista militare, ha scarsa importanza l'atteggiamento che potrebbero assumere i nazionalisti baschi, giacché non sarebbe seguito dai rossi che li accompagnano. Dal punto di vista politico, nulla risolverà così radicalmente il problema separatista, come il predominio che i rossi acquistano giorno per giorno su i nazionalisti baschi, che finiranno per sparire se tale stato di cose continua.

Tale questione, che ha per noi un interesse maggiore nell'ordine spirituale che in quello materiale, deve averlo anche per la Santa Sede per la sua grande importanza nel!' ordine religioso.

Si è infinitamente grati al nobile Impero Italiano ed al suo governo per il valido intervento presso la Santa Sede, che indubbiamente dovrebbe comprendere meglio il nostro atteggiamento quando avrà conoscenza esatta dei problemi spirituali che oggi si agitano in !spagna» 1 .

63

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 389/6 R. Bucarest, 16 gennaio 1937, ore 20 (per. ore 23,45 ).

Apprendo da fonte attendibile che in occasione della prossima visita di Beck a Bucarest2 (e anche prima dei prossimi incontri Ginevra) potrebbe essere messo sul tappeto allargamento significato alleanza polacca-romena3 che sostanzialmente è ora un patto difesa, nell'eventualità di un conflitto con la Russia. Si tratterebbe di rendere trattato «plurivalente», cioè di farne alleanza di carattere generale da valere in tutti i casi aggressione da parte di terzi.

l Il documento ha il visto di Mussolini. Una copia dell'appunto di Franco qui riportato reca la seguente annotazione a margine autografa dell'ambasciatore presso la Santa Sede, Pignatti: «Parlato al cardinale Pacelli e consegnata la presente come appunto di conversazione per risparmiargli il lavoro di prendere nota delle mie parole. 27 gennaio 1937».

2 Dal 22 al 25 aprile (vedi D. 505). 3 Trattato di garanzia tra Polonia e Romania del 26 marzo 1926 (testo in MARTENS, vol. XVII, pp. 3-5), rinnovato il 15 gennaio 1931 (testo ibid., vol. XXX, pp. 35-37).

Antonescu, se mie informazioni sono esatte, vedrebbe favorevolmente progetto che sottrarrebbe Romania dalla sua attuale imbarazzante situazione nei confronti Russia con la quale essa desidera comunque non guastarsi. Patto di alleanza di carattere generale fra Polonia e Romania permetterebbe ai due Paesi rendere anche più intimi loro rapporti senza che Russia potesse considerarsi particolarmente presa di mira. Non mi risulta chi abbia presa l'iniziativa che certamente non sarà veduta con favore da Praga. Ignoro se governo tedesco sia informato. È probabile invece che Parigi sia al corrente di questo nuovo progetto: pare anzi che Quai d'Orsay, visto fallire noto patto mutua assistenza, stia incitando membri della Piccola Intesa a darsi nuova prova fedeltà reciproca e comunanza interessi ed allargare patto difensivo. Il che costituisce da una parte risposta a coloro che giudicano Piccola Intesa in avanzato stato di disgregazione e dall'altra un modo di coprire Cecoslovacchia nel caso fosse veramente modificato carattere alleanza fra Romania e Polonia.

Questo nuovo fiorire di patti e di contropatti di nuove assicurazioni che domandano diverse controassicurazioni è anche esso segno evidente che il «sistema di sicurezza» nell'Europa orientale e sud-orientale, che Titulescu aveva vagheggiato, è completamente sconvolto, donde necessità ricostruire altro fronte. Ma quale esso debba o possa essere dirigenti romeni non sanno ancora vedere con chiarezza: perciò esitano mettersi su strada del tutto nuova e rompere completamente col passato.

64

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 260/81. Berlino, 16 gennaio 1937 (per. il 19 ).

Mi onoro riferire a V.E. che un funzionario di questo ministero degli Affari Esteri, addetto alle questioni di Spagna, si è espresso, durante una conversazione privata col comm. Zamboni, nei termini seguenti:

l) l'opinione più diffusa negli uffici è quella di fare ancora uno sforzo e poi dire basta;

2) la Germania non desidera di impegnarsi troppo a fondo in Spagna, perché, da un momento all'altro, possono nascere questioni di più grave importanza tali da richiedere tutta la possibile libertà di movimento;

3) non si è troppo sicuri dei futuri sviluppi del governo di Franco. Si ritiene che il movimento è troppo poco idealista e che Franco non ha saputo tirare a sé le masse con quella preparazione spirituale che è la molla di ogni movimento rivoluzionario;

4) l'intervento tedesco in Spagna non è troppo sentito in Germania. I giovani, animati da spirito di avventura, si entusiasmano, i militari sono devoti alla disciplina, ma le persone mature non sentono il problema. La Spagna è lontana e nessun pericolo imminente pesa sulla Germania;

5) il Fi.ihrer è un po' preoccupato della grande propaganda fatta in lingua tedesca dalle stazioni radio sovietiche e di Barcellona. Detta propaganda svolge il tema che il Fi.ihrer, nei suoi discorsi, ha sempre assicurato il popolo tedesco che non sarebbe ricorso alle armi che per proteggere la Patria tedesca, mentre ora, mancando alle più formali promesse, invia i giovani tedeschi a morire in Spagna;

6) l'invio di truppe tedesche in Spagna presenta molta difficoltà, sia per la distanza, sia la stretta vigilanza franco-inglese;

7) si ha l'impressione che la manovra francese per il Marocco abbia fatto a Londra un pessimo effetto, tanto che gli inglesi si mostrano ora un po' più riservati. Tuttavia la decisione sarà sempre a Londra, perché i francesi non prenderanno nessuna seria iniziativa senza il consenso inglese.

65

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 401/26 R. 1stanbul, 17 gennaio 1937, ore 18,30 (per. ore 21,10).

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 91• Ieri con Riisti.i Bey mi sono espresso in conformità delle istruzioni di V.E. circa rinvio sua iniziativa Ginevra per riconoscimento Impero e sentimenti 2 per messaggio popolazione turca sullo schema di V.E.

Circa consolato Etiopia, è stata convenuta seguente comunicazione: governo turco, che principio agosto scorso aveva accordato un congedo suo incaricato degli affari Abissinia affidando protezione interessi e sudditi turchi alla autorità militare italiana Addis Abeba, ha deciso abolizione definitiva sua legazione e di estendere giurisdizione consolato Bari a tutto il territorio dell'Africa Orientale. Per ragioni geografiche è stato preferito consolato Bari anziché Milano. Convenuto altresì che comunicato sia diramato contemporaneamente Ankara Roma martedì 19 corr.

Circa seconda questione, siamo rimasti d'accordo che nel giornale Cumurié (Repubblica) di giovedì 21 corr. nota Ytsa Ussjadi3 pubblichi opportunamente intonato trafiletto dando notizia da fonte autorizzata inizio contatti. Agenzia Anatolia diffonderà contemporaneamente notizia «da fonte autorizzata».

Ho comunicato Ri.istii Bey che V.E. non farebbe alcun comunicato, né pubblicazione stampa, ma egli prega vivissimamente che V.E. faccia riprodurre notizia agenzia Anatolia citandola, e trafiletto summenzionato, che farò subito telegrafare da Ufficio Stampa e agenzia Stefani. Egli crede che perseverando silenzio stampa nostra potrebbe diminuire valore notizia e portata nostra pronta adesione sua richiesta.

I Vedi D. 58. 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile». 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «decifrazione esatta».

Mi permetto, pur subordinatamente, appoggiare vivamente richiesta. Mentre riproduzione di quanto qui sarà pubblicato non mi sembra spostare il fondo della questione, né vincolare alcuna nostra libertà discussione, un totale silenzio nostra stampa potrebbe diminuire utilità effetto su governo turco oggi assai sensibile nostro atteggiamento questione relativa Alessandretta, sia per persistenti difficoltà gravi con Francia come anche per mancanza appoggio inglese e sovietico che certamente era stato fatto balenare a suo tempo.

«Ora vedete, ho detto iersera a lsmet, dove sono i vostri amici». Circa ·incontro con V.E., Ismet, dichiaratosi felicissimo, giudicando assai più efficace esso abbia argomento generale. Si metterebbe in rapporto con Bova Scoppa per fissare definitivamente momento e località in conformità decisioni V.E.

Ri.isti.i Bey mi ha detto che Presidente della Repubblica e governo turco erano felicissimi di questa dimostrazione di amicizia rispettivi governi. Stesse parole mi sono state allo stesso tempo ripetute da Ismet e Sukru Kaia.

66

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 400/27 R. Istanbul, 17 gennaio 1937, ore 18,30 (per. ore 21,10).

Al momento partenza Ri.istii Aras per Ginevra situazione può essere così riassunta.

Presidente della Repubblica persiste tendenza risolvere mezzi propri questione Alessandretta quanto meno organizzare bande armate da contrapporre a quelle che si asseriscono in preparazione in Siria. Ma è tenuto in freno fortemente da governo, preoccupato dell'opposizione politica inglese e sovietica, come anche, non delle forze militari francesi, di cui si conoscono attuali difficoltà, ma della guerriglia che verrebbe facilmente scatenata a mezzo degli arabi, curdi e armeni contro truppe turche che occupassero Sangiaccato.

È però anche da tener presente che amor proprio e prestigio Presidente della Repubblica sono impegnati come non mai prima, che egli può proporsi riprendere la mano su governo che lo ha fermato a Konia obbligandolo tornare lstanbul 1 , e infine che un insuccesso potrebbe avere ripercussioni assai sensibili sulla politica interna. Perciò per poco che una onorevole soluzione transazionale si presenti, Ri.istii Aras e lsmet Pascià la accetterebbero presentandola come trionfo e facendola accettare al Ghazi. Ma se questa non si trova, questione sarà lasciata aperta e si profilerà allora da capo possibilità di una soluzione di forza.

Da buona fonte mi si assicura che tre divisioni turche sono concentrate prossimità frontiera Siria.

1 Si vedano in proposito i DD. 12 e 21.

Voci che escono da ambasciata di Francia fanno ritenere che governo francese non sarebbe in grado accettare nessuna soluzione transazionale che soddisfi Turchia, poiché si temono gravi reazioni arabe e forse difficoltà anche per Libano che è poi principale obiettivo francese.

Notizie che circolano nel corpo diplomatico, confermate a me da Riistii Aras, farebbero credere che Inghilterra si adopererà a Ginevra per smussare angoli e in dannata ipotesi per far rinviare soluzione.

Dal canto mio mi adopero conforme istruzioni di V.E. 1 specie nell'ambiente del Presidente della Repubblica. Iersera ho parlato anche con Sukru Kaia che conto rivedere oggi 2•

Situazione permane, in complesso, grave e ambienti turchi ne sono allarmati. Sintomo è ricerca moneta aurea cui prezzo è fortemente aumentato.

67

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 422/45 R. Tangeri, 18 gennaio 1937, ore 18,30 (per. ore 21,45 ).

Mio telegramma segreto n. 443 .

Stampa marocchina, anche quella Fronte Popolare, che sin da quattro o cinque giorni fa vedeva qua ed ovunque armi ed armamenti tedeschi ed incitava alla difesa interessi imperiali francesi, oggi tace completamente. Non più una parola sull'enorme montatura giorni scorsi che dava per vero e provato quello che poi rapidamente e patentemente era apparso come falso e tendenzioso.

Ma opinione pubblica, se non può esteriorizzarsi attraverso stampa, che nel silenzio cerca fare dimenticare così grossolano imbroglio, è !ungi dall'essere ... 4 .

All'azione giorni scorsi, che in ondata patriottismo aveva ricostituito intesa nazionale ed annullate le fazioni innanzi agli ipotetici appoggi 5 germanici, è successo collasso, umiliazione e livore. Masse hanno sensazione essere state giuocate e cercano da chi e per quale finalità.

I Si vedano i DD. 19 e 25.

2 Dopo il colloquio con Sukru Kaia, l'ambasciatore Galli telegrafava di avere l'impressione che ad Ankara ci si fosse resi conto di essersi spinti troppo innanzi nella questione di Alessandretta. Appunto per questo il Presidente della Repubblica ed il governo sarebbero stati particolarmente lieti di poter mostrare alla propria opinione pubblica che la causa della Turchia era vista con simpatia altrove, ciò che poteva rendere opportuna la pubblicazione sui giornali italiani di qualche articolo favorevole alla tesi turca e di critica alla politica francese (T. 416/28 R. del I 8 gennaio).

3 T. 347/44 R. del 15 gennaio. Comunicava che, secondo notizie di fonte confidenziale, le Autorità francesi stavano indagando, su richiesta del Quai d'Orsay, per accertare le origini e gli scopi della campagna di stampa su le infiltrazioni tedesche in Marocco. la cui infondatezza risultava ormai evidente. L'inchiesta si rivolgeva sopratutto verso la Residenza Generale. presso cui la campagna di stampa «sembrava aver avuto particolare sviluppo e favore».

4 Nota dell'Ufficio Cifra: <<Gruppo indecifrabile».

5 Sic.

Mentre autorità francesi stanno già segretamente e attivamente cercando un colpevole di tutta questa montatura per offrirlo in olocausto opinione pubblica e placarla, già si va dicendo che campagna giornalistica contro attitudine governo francese altro non sia stata che vasta speculazione finanziaria in beneficio qualche politicante francese. Altri affermano essere stata manovra sovietica per coinvolgere Francia in loro politica, mentre difese Madrid cominciano a cedere e ogni giorno si fa più difficile rifornimento uomini e armi per Fronte Popolare. Vi è infine chi assicura che essa abbia trovato origine fra dirigenti Intelligence Service a Tangeri e Gibilterra allo scopo isolare Francia e renderle impossibile ogni eventuale accordo con Germania.

Comunque tutta questa agitazione, che ha pericolosamente spinto alla guerra e minacciato la pace, per quanto già soffocata e addestrata, lascia di sé profonde traccie. Francesi che erano stati così pronti rispondere innanzi denunzia pericolo germanico, ne escono diminuiti innanzi arabi cui hanno dato pericolosa prova d'isterico panico e moralmente indeboliti e scorati, nella sensazione di essere stati zimbello o d'interessi di politicanti o di finalità che nulla hanno a che fare con gli avvenimenti e sicurezza Francia.

Ma avvenimenti recenti hanno altresì avuto conseguenze di carattere internazionale che, se ingrate per le finalità francesi in Marocco, hanno per noi speciale importanza. Essi hanno trasformato un vecchio litigio franco-spagnolo, quello dei confini del Rif, in una questione internazionale nel quadro dello statu quo Mediterraneo. D'ora innanzi questioni confinarie franco-spagnole Marocco non potranno più essere trattate alla chetichella, come avvenne anno scorso a Parigi 1• Su esse avremo maggiore diritto dire nostra parola e fare pesare nostro intervento non differentemente di adesso, quando francesi d'intesa con rossi della Spagna cercavano pretesto per risolvere a loro beneficio tale gravoso problema.

68

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. RISERVATISSIMO 202/6 R. Roma, 18 gennaio 1937, ore 24.

Telegramma di V.E. n. J2.

Situazione attuale non (ripeto non) sembra offrire sufficiente fondamento per ritenere che una eventuale azione italiana o italo-germanica diretta a conciliare fra loro Cina e Giappone avrebbe probabilità di successo.

l Si riferisce ai colloqui avvenuti nel giugno 1936 tra Delbos ed il ministro degli Esteri spagnolo. Barcia, di passaggio per Parigi. Come aveva riferito l'ambasciata a Madrid (telespresso 1983/859 del 24 giugno), a quanto si era potuto sapere i colloqui avevano riguardato delle questioni di confine tra territori francesi e spagnoli in Africa segnatamente tra i due protettorati in Marocco. e le condizioni dei cittadini spagnoli nella zona di protettorato francese.

2 Vedi D. 30.

69

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 18 gennaio 1937.

Il Generale Goering ha apportato qualche lieve variante al testo delle conclusioni da comunicare al Generale Franco. Accludo il testo così concordato.

Il Generale Goering ha proposto che il testo sia firmato da lui e da me. Esso sarà poi portato a Franco da Anfuso dopo che Goering sarà ripassato da Roma e cioè tra tre o quattro giorni 1•

ALLEGATO

Roma, 14 gennaio 1937

Il Governo Tedesco e il Governo Italiano hanno proceduto a uno scambio di vedute sulla situazione in rapporto agli avvenimenti in !spagna.

Animati dal comune desiderio di vedere trionfare la causa nazionale del Generale Franco, al quale hanno testimoniato con la loro pronta e concreta assistenza la loro piena solidarietà, confermano il preciso intento di dare al Governo del Generale Franco il massimo possibile aiuto.

Tenuto conto della situazione internazionale, determinatasi a seguito dell'azione svolta dal Comitato di non intervento nonché del recente scambio di note per impedire l'invio di volontari e addivenire all'organizzazione di un controllo internazionale a tal fine, sentono il dovere di far presente al Generale Franco che l'aiuto che i due Governi, Tedesco e Italiano, sono disposti a fornirgli non potrà, anche in considerazione delle circostanze di carattere internazionale sopra accennate e dei pericoli di gravi complicazioni che esse comportano. protrarsi indefinitivamente.

Si rende pertanto indispensabile che il Generale Franco provveda ad un 1mp1ego integrale e risolutivo delle sue forze, approfittando altresì dei segni evidenti di collasso del fronte avversario.

Allo scopo di agevolare al Generale Franco il compimento di tale sforzo decisivo i due Governi, Tedesco e Italiano, hanno concordato un programma di ulteriori invii di personale e di materiale. Detto programma, che verrà da essi completamente attuato entro il 31 gennaio corrente, comporta quanto segue:

l) Fornitura di materiale da guerra che verranno effettuate dalla Germania nel corso del mese di gennaio e di cui una parte è già stata spedita: 50.000 fucili; 80 cannoni da fanteria; 32 cannoni da campagna (da cm. 7,7); 12 cannoni pesanti (da cm. 15); 20 cannoni antiaerei (da cm. 2); 32 cannoni antiaerei (da cm. 8,8); 60 aeroplani; 30 lanciafiamme; 117 milioni di cartucce per fanteria; 430.000 proiettili per artiglieria leggera; 12.000 proiettili per artiglieria pesante; 65.000 granate per cannone antiaereo; 200 mine marittime; IO apparecchi per il dragaggio delle mine; l 00 bombe antisommergibili; 3 telemetri; 3 apparecchi da 15 cm. per la direzione del tiro dell'artiglieria; attrezzi per le comunicazioni.

1 Il documento reca a margine !"annotazione autografa di Mussolini: <<Approvo con queste aggiunte».

2) Il personale e il materiale che il Governo Italiano è disposto ancora a fornire al Generale Franco è il seguente:

Aeronautica: 15 R.O. 37; 3 S/79; 12 C.R.32.

Tutti gli apparecchi col personale italiano.

La R. Aeronautica fornirà il massimo possibile di pezzi di ricambio, in modo che il materiale che è già sul posto e quello che eventualmente potrebbe arrivarvi successivamente in volo, possa essere mantenuto in piena efficienza fino a primavera.

La R. Aeronautica ha costituito sul posto una riserva di 1867 tonnellate di esplosivo, che è da considerarsi più che sufficiente per le operazioni dei prossimi mesi. Essa ha accumulato inoltre 857 mila cartucce.

È stata considerata la possibilità che 12 apparecchi di assalto siano fatti pervenire entro il mese di febbraio. Infine la R. Aviazione potrà contribuire al bombardamento della costa di Catalogna da campi italiani riservati.

Esercito: Sono stati presi in considerazione due programmi: «uno minimo e l'altro massimo» secondo che gli invii possano essere prorogati solo sino al 31 gennaio ovvero sino al IO febbraio.

A -Programma minimo da attuarsi entro il 31 gennaio: Saranno inviati 18 battaglioni raggruppati in 6 «Gruppi di Bandere» per l'ammontare complessivo di oltre Il mila uomini

(10.572 CC.NN e 474 utlìciali). Queste truppe saranno pronte a partire dal 22 corrente in tre scaglioni che prenderanno imbarco rispettivamente il 22, il 26 e il 31 gennaio. Ogni gruppo di Bandere avrà una batteria d'accompagnamento e un plotone mortai

d'assalto. I sei gruppi di Bandere saranno al comando d'un Generale di Brigata. Il comando dei sei gruppi disporrà altresì di qualche aliquota di sanità e sussistenza. Con questa stessa spedizione saranno inviati materiali di rifornimento per due mesi (di

sanità, di automobilismo, di artiglieria, di commissariato, ecc.).

B -Programma massimo da attuarsi entro il 10 febbraio: Ove l'invio del personale e del materiale possa prolungarsi fino al IO febbraio si provvederà, oltre alla spedizione del personale e del materiale di cui al programma A, anche all'invio di una divisione speciale così costituita (circa 11.000 uomini): Comando; 2 reggimenti Fanteria su tre battaglioni ciascuno; l battaglione mitraglieri; l batteria d'accompagnamento per reggimento; l plotone mortai da 45 su nove armi per reggimento; l plotone mortai da 81 su sei armi; l reggimento Artiglieria su due gruppi di tre batterie da 65/17; l compagnia mista del Genio (2 plotoni artiglieri l o 2 trasmissioni); l reparto L.C. (chimico); Sezione sussistenza; Sezione sanità; 3 ospedali da campo; Autoreparto su 4 autosezioni.

Marina: La Marina continuerà l'attuale pressione per tagliare i rifornimenti alle forze rosse, tendere agguati, procedere ai bombardamenti delle città costiere, ecc.

Attuato tale programma di aiuti, i due Governi non sono più in grado di effettuare ulteriori invii di uomini e di materiale.

Ambedue i Governi ritengono che non sia ulteriormente prorogabile da parte loro l'adesione alle proposte formulate dal Comitato di non intervento per il divieto di invio di volontari e per l'organizzazione di uno speciale controllo destinato ad interdire tali invii.

In considerazione dell'ingente aiuto di uomini e di materiale fornitogli, essi desiderano vivamente di mettere a fianco del Generale Franco uno Stato Maggiore ltalo-Tedesco che collabori con lui per il più opportuno impiego delle forze messe a sua disposizione.

Tenuto conto della favorevole situazione militare risultante dall'ingente aiuto su accennato, i due Governi esprimono la loro sicura fiducia che il Generale Franco vorrà ora fare il massimo sforzo per assicurare la rapida vittoria definitiva.

70

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 631/0 l R. Bruxelles, 19 gennaio 1937 (per. il 25).

Mio telegramma per corriere n. 091 del 16 dicembre u.s. 1•

Tra ieri ed oggi hanno qui cominciato a circolare di nuovo voci imprecise e vaghe di una probabile prossima dichiarazione germanica circa la neutralità del Belgio.

Come V.E. ricorderà, già nell'autunno scorso, circolarono voci analoghe, in relazione alle note dichiarazioni franco-inglesi, e specialmente inglesi, a proposito del Belgio e della garanzia della sua inviolabilità.

Come ebbi a segnalare, la questione di una dichiarazione germanica in tale senso sembrò non ancora matura, anche se logica e plausibile di fronte alla situazione certamente nuova creata dalla denuncia dell'accordo di Locarno e dalle dichiarazioni del Sovrano 2 e del ministro Spaak3 , circa una maggiore indipendenza dal sistema franco-ginevrino e sopratutto di maggiore equidistanza tra la Germania e la Francia.

Da fonte confidenziale, ma sicura, ho intanto potuto accertare che effettivamente l'idea di una iniziativa germanica circa il Belgio ha formato oggetto di attenta considerazione da parte del governo del Reich.

La legazione di Germania a Bruxelles venne molto riservatamente richiesta di esporre le sue osservazioni in proposito, specie dal punto di vista interno. La dichiarazione germanica, con formula da studiarsi, avrebbe dovuto significare una forma indiretta di riconoscimento e quasi di garanzia della neutralità del Belgio, di fatto se non di diritto, analoga alle dichiarazioni fatte in proposito dalla Gran Bretagna e dalla Francia, indipendentemente e staccata dal sistema di Locarno, e in modo da mettere la Germania, di fronte al problema del Belgio, ili posizione analoga a quella della Francia e della Gran Bretagna. È ciò anche allo scopo di offrire una nuova e solida giustificazione a coloro che patrocinano in Belgio l'utilità di un avvicinamento alla Germania e, in ogni caso, di minori legami con la Francia, sulla linea del programma di indipendenza verso tutti i grandi vicini patrocinato nel discorso di Re Leopoldo dell'ottobre scorso.

Tutto questo sembrò peraltro dover essere subordinato alla esistenza di condizioni interne belghe e internazionali, per cui un gesto germanico in tale senso non potesse risvegliare vecchie diffidenze e vecchie polemiche ma raggiungere effettivamente scopi di chiarificazione e di pacificazione, riaffermando sul terreno diplomatico e ufficiale le ripetute dichiarazioni germaniche di nessuna intenzione aggressiva all'ovest e del definitivo riconoscimento dello status quo occidentale.

1 T. per corriere 12336/091 R. Riferiva su un'inchiesta del giornale Vingtième Sièc/e che attribuiva al governo tedesco l'intenzione di giungere ad un patto bilaterale con il Belgio e ad una garanzia triangolare fra Berlino, Londra e Bruxelles.

2 Riferimento al discorso di Re Leopoldo del 14 ottobre 1936 (in DDB. vol. IV. D. 128).

3 Si veda in proposto serie ottava, vol. V, D. 265.

In sostanza, a quanto ho potuto qui accertare, un gesto germanico in tale senso potrebbe quasi ritenersi in principio come deciso, almeno nelle sue grandi linee, salvo a scegliere il momento opportuno per compierlo.

Le voci sopra accennate si ricollegano evidentemente a tali precedenti prossimi. Da fonte belga, però, si dichiara di non sapersi nulla di positivo. Da fonte germanica, pur premettendo che nulla consta neppure privatamente, non si esclude la possibilità del fatto. Confidenzialmente anzi si aggiunge che il pensiero e l'apprezzamento di Berlino circa l'opportunità di un gesto in tale senso si potrebbe essere concretato e chiarito notevolmente in questi ultimi tempi.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 568/02 R. Bucarest, 20 gennaio 1937 (per. il 23).

Con mio telegramma del 16 corrente n. 61 , oltre ad accennare alla possibilità della messa allo studio di un allargamento dell'alleanza tra Polonia e Romania, ho fatto anche cenno a nuovi tentativi del Quai d'Orsay, dopo fallito il noto progetto del patto di mutua assistenza, per spingere comunque i tre membri della Piccola Intesa a stringere i loro vincoli.

Attinte informazioni a fonte ineccepibile, sono in grado di confermare, sia la prima che la seconda notizia. Per quanto concerne la riforma o modificazione o reincarnazione della Piccola Intesa posso anche aggiungere che ho chiesto informazioni, in maniera esplicita al signor Antonescu, il quale pur con evidente imbarazzo, non ha saputo negare. Ho colto quindi l'occasione per fargli osservare che la Romania non poteva da una parte tendere a rafforzare la sua alleanza con la Polonia, ciò che la conduceva sempre più ad abbandonare la direttiva di Praga-Mosca, e dall'altra pensare ad un rafforzamento della Piccola Intesa.

Il signor Antonescu ha cercato di farmi comprendere che i disegni di allargamento della Piccola Intesa non avevano ancora preso una netta fisionomia e che egli stesso non sapeva vedere per ora che cosa si potesse mettere nella nuova cornice che Praga e Parigi desideravano: cioè che cosa bisognasse aggiungere al quadro. Egli era però deciso a non ammettere nessuna punta che fosse comunque diretta contro Roma o contro Berlino. Ciò mi dichiarava ufficialmente.

Gli ho risposto che ne prendevo atto ma che non ero soddisfatto. Gli facevo rilevare che già la fisionomia della Piccola Intesa, come era stata voluta da Titulescu e da Benes nel febbraio del 1933, conteneva implicitamente una punta antitaliana perché i documenti annessi alla convenzione generale prevedevano lo schieramento che le forze romene dovevano assumere nell'eventualità di un conflitto fra Italia e Jugoslavia, permettendo in sostanza il totale spostamento delle forze jugoslave verso

1 Vedi D. 63.

la frontiera italiana. Ciò costituiva già, a me pareva, una partecipazione indiretta della Romania ad una azione contro l'Italia. Riconoscevo che le relazioni itala-jugoslave erano oggi ben diverse da quelle del febbraio 1933, ma dovevo pure osservare che i trattati non sempre sono contingenti, essi, anzi, abbracciano spesso un intero periodo storico. Perciò o le nuove formule che si stavano studiando erano vuote di contenuto pratico, ed allora non sapevo vedere perché egli, Antonescu, come pure Stojadinovic, dovessero prestarsi a giuocare ancora oggi secondo i metodi di Titulescu, di cui unico erede era Benes, e presentare all'Europa una ennesima edizione della Piccola Intesa. Ovvero le nuove formule avevano comunque un contenuto sostanziale, ed allora egli, Antonescu, per ciò che riguardava la Romania, rischiava di paralizzare l'eccellente mossa che aveva fatto verso Varsavia, e inoltre di guastare quel poco di buono che si era fatto nei riguardi di Roma. Noi avevamo sempre considerata la Piccola Intesa come un ostacolo ai buoni rapporti fra Roma e Belgrado, nonché fra Roma e Bucarest. Era evidente che il rinserrare i vincoli della Piccola Intesa, significava indurre i Paesi del blocco di Roma a saldare sempre di più i loro rapporti.

Il signor Antonescu ha risposto con parole impacciate dandomi l'impressione dell'asino ben deciso a non camminare in una certa determinata direzione ma disposto a seguire passivamente il padrone in qualunque altra. Jn tali casi il padrone, sia pure con larghi giri, cerca di portare l'asino proprio dove esso non voleva andare. Per fortuna oltre all'asino Antonescu è attaccato al carro un mulo, che è Stojadinovic.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 651/015 R. Londra. 21 gennaio 1937 (per. il 26).

Craigie mi ha detto che l'adesione dell'Italia alla clausola dei 14 pollici del Trattato navale di Londra 1 è stata accolta dal governo britannico con la più viva soddisfazione. E ciò non soltanto per l'atto stesso dell'adesione, che intervenuta poco dopo il gentlemen's agreement -rappresentava agli occhi del governo e del pubblico britannico un primo frutto dell'accordo e un sintomo di rinnovata cooperazione italiana nel campo della politica navale; ma anche per il momento in cui l'atto è avvenuto e che non poteva essere scelto con miglior senso di opportunità.

Il Giappone è ora-ha osservato Craigie-l'unica Potenza che non abbia ancora accettato la clausola dei 14 pollici e dal cui atteggiamento dipendono le

1 Si riferisce all'adesione dell'Italia all'art. 4 del Trattato di Londra per la limitazione degli armamenti navali del 25 marzo 1936 (testo in MARTEI\:S. vol. XXXIV, pp. 679-710). L'adesione era stata comunicata da Ciano all'ambasciatore Drummond in risposta ad una promemoria del governo britannico del 24 dicembre 1936 (T. 131 R.C. del 12 gennaio).

sorti della clausola stessa. Il governo britannico spera che questa nuova situazione possa indurre il governo di Tokio a riconsiderare il proprio punto di vista sull'argomento.

Craigie mi ha infine sottolineato il largo risalto dato dalla stampa inglese al gesto dell'Italia, e ha aggiunto che ciò è stato dovuto in parte all'azione ed all'interessamento particolare del Foreign Office.

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IL CAPO DI GABINETTO, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 21 gennaio 1937.

L'incaricato d'Affari del Belgio è ritornato oggi al Gabinetto per attirare di nuovo l'attenzione del R. Ministero degli Affari Esteri sulla questione delle conversazioni radiofoniche del Signor Degrelle. In base a precise istruzioni ricevute dal suo Governo egli ha dichiarato che veniva a compiere un passo «verbale», informando il R. Ministero:

l) che il Governo belga era rimasto assai dolente dell'autorizzazione concessa al Degrelle di parlare alla Radio italiana malgrado la protesta già avanzata;

2) che il Governo belga si augurava sinceramente che ciò non si sarebbe più ripetuto, dato che considerava il fatto formalmente e sostanzialmente come un'ingerenza nella politica interna di un Paese straniero. Il signor du Chastel ha aggiunto che il Governo belga era in così vivo orgasmo per tale questione da considerarla suscettibile di influire seriamente sui rapporti di amicizia fra i due Paesi.

Il Signor du Chastel mi ha detto anche che in merito aveva incidentalmente parlato con V.E. in occasione di una colazione offertaLe alcuni giorni or sono, e che la risposta di V.E. era stata decisamente negativa, per quanto molto cortese.

Gli ho detto a mia volta che mi risultava che il punto di vista del Governo italiano non era mutato nel caso specifico, (e cioè non si riscontravano gli estremi per un intervento di autorità presso la Società E.I.A.R., responsabile delle trasmissioni radiofoniche).

Passando a considerazioni d'ordine generale, gli ho poi ribadito quanto egli stesso mi confessava di aver udito dall'E.V., vale a dire che i «regimi democratici» -come quello da lui rappresentato-ci attaccano perché «regimi autoritari» ma protestano ad ogni nostra applicazione di disposizioni liberali.

ljo anche aggiunto che non compredevo la ragione per la quale il Governo belga sollevava la questione dell'amicizia tra i due Paesi, quando noi, per esempio non mettevamo sul piano dell'amicizia il fatto che, mentre l'Italia ha un Ambasciatore a Bruxelles, il Belgio continua a mantenere a Roma un Incaricato d'Affari.

Il Signor du Chastel mi ha pregato, nel congedarsi, di comunicargli le decisioni dell'E.V. in proposito, dopo questo suo nuovo passo, insistendo perché egli sia almeno da noi informato se il Degrelle abbia altri impegni con l'E.I.A.R. per ulteriori prossime conversazioni 1

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 317/88. Berlino, 21 gennaio 1937 (per. il 23).

Da fonte fiduciaria sicura mi viene confermato (vedi informazione già data con mio telespresso n. 260/81 del 16 corrente )2 che il Fiihrer sarebbe effettivamente preoccupato dello stato d'animo popolare a proposito della Spagna. Il malcontento per le innegabili angustie economiche trova evidentemente nella questione spagnuola ragione ed occasione di sfogo: perché -si dice -il popolo deve soffrire per permettere di fare la guerra a beneficio d'altri? E qui sembra che, negli ambienti ostili all'Italia, si arrivi persino a riconnettere lo sforzo tedesco a favore della Spagna con le mire e gli interessi italiani.

A riprova, comunque, della poca popolarità che la questione spagnuola incontra nella massa, si cita il fatto che un film sulla Spagna fatto espressamente girare dal governo tedesco in !spagna a mezzo di operatori propri, sarebbe stato inaspettatamente «per ordine superiore» vietato. (A questo fa pure riscontro in un certo senso lo stato di euforia che si ha luogo di constatare nei circoli politico diplomatici tedeschi, secondo cui la situazione del generale Franco sarebbe ormai tanto buona da non aver bisogno di ulteriori aiuti).

Dalla stessa fonte fiduciaria mi viene assicurato che la notizia della costituzione di una compagnia italo-tedesca per lo sfruttamento minerario dell'Etiopia ha fatto ottima impressione persino negli ambienti in cui, ancora adesso, sono soliti affiorare i ricordi e le recriminazioni per il 1915. 3

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IL CONSOLE A LIONE, TAMBURINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 916/77. Lione, 21 gennaio 1937 (per. il 3 febbraio).

Ho l'onore d'informare l'E.V. d'essere stato ricevuto in udienza dal Presidente Herriot, al quale ho rimesso, nella sua qualità di sindaco di Lione, un

l II documento ha il visto di Mussolini e la seguente annotazione in calce: «D'ordine di S.E. il

Ministro, il capo di Gabinetto ha confermato al signor du Chastel quanto già gli aveva detto. 22-1-XV.

2 Vedi D. 64.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

esposto circa la questione del refoulement delle nostre suore che dirigono a Lione gli Asili di Villeurbanne e di Monplaisir, ed egli mi ha promesso di interessarsene subito.

Il colloquio si è naturalmente aggirato sulla situazione politica attuale sulla quale H erri o t si è espresso in questi termini:

La situazione interna della Francia si è certamente migliorata, una détente si constata, le occupazioni di fabbriche che del resto anche altri paesi (Stati Uniti e Inghilterra) hanno avuto, sono ormai cessate o ridotte a un numero insignificante. La ripresa economica anche se iniziale è un fatto positivo e accertato. Glielo ha confermato anche per Lione oggi stesso di persona, il presidente della Camera di Commercio. -La posizione politica del governo si è consolidata, Blum a «eu beaucoup de courage et de savoìr faire. Le gouvernement a su doter le Pays d'une armature sociale suffisante pour résoudre !es conflits de travail. Le Gouvernement a su y arriver sans violence et sans rudesse. Mème s'il se produisait quelque autre incidente !oca! le gouvernement mérite qu'on lui fasse crédit». L'unica eventualità di crisi, non però imminente, potrebbe intravedersi nella questione finanziaria. -Daladier sarebbe ancora fra i più se non il più quotato successore di Blum. Herriot però ha escluso che a una futura combinazione ministeriale possano partecipare, nè Flandin, nè Lavai.

Circa la Germania, ha detto nettamente «Nous ne sommes pas du tout rassurés du còté de l'Allemagne. Il nous faut pour çà tourner des obus jour et nuit, malheureusement». E non ha nascosto che negli ambienti parlamentari non si è più sicuri neanche dell'Italia, specie dopo gli scambi di visite a Berlino e a Roma.

Circa l'intesa dell'Italia coll'Inghilterra pel Mediterraneo, ha detto «Oui nous ne pouvons que nous en réjouir, quand mème je ne puis pas cacher que c'était assez pénible pour nous qu'à cet accord pour la Méditerranée la France n'artpaS été appelée à participer et qu'on l'ait laissée complétement de còté».

Circa l'Italia ha dichiarato che tiene sempre alla nostra amicizia però ha ammesso che non c'è più cordialità di prima al contrario una certa tensione. È sperabile-ha soggiunto -si tratti di un malinteso passeggero «et d'autant plus que !es intérèts vitaux de nos deux Pays s'accordent mieux que tout autre! Ce que l'Italie et la France pourraient faire ensemble» ha esclamato!

Alludendo al discorso del Duce a Milano per ciò che riguarda la Francia non ha dato precisioni nette, ha solo genericamente alluso alla situazione internazionale oggi troppo compromessa un pò da tutte le parti perché la situazione possa chiarirsi per ora.

Quanto al riconoscimento della conquista dell'Etiopia, Herriot rimane sempre anche di fronte al fatto compiuto (je l'avoue ha detto), attaccato al suo punto di vista che è quello della Francia ufficiale.

«Le peuple italien-ha soggiunto-est un grand peuple en pleine croissance morale, politique, militare». L'Italia oggi è una grande potenza, ha bisogno e diritto di espandersi e in Abissinia si poteva trovare un «arrangement satisfaisant pour tout le monde». L'Etiopia era stata ammessa a Ginevra di comune accordo, era pertanto necessario rispettare i sacri princìpi, etc., etc. «C'est de cela que nous français nous devons surtout nous préoccuper et nous ne pouvons pas aujourd'hui non plus nous démentir. Nous avons des engagements des liens, des promesses sur lesquells comptent d'autres pays et notre devoir précis c'est de rester fidéles coute que coùte à la Société des Nations. Le contraire serait détruire tout le fond et la base de toute notre politique depuis la guerre.

Pour la Paix nous sommes d'ailleurs prèts à faire n'importe quoi. Ainsi pour l'Espagne nous accepterons loyalement toutes suggestions propres à empècher que ce conflit dégénère en conflit mondial. «Non intervention, je l'ai dit du commencement. Nous avons du résister à des appeis pressants, désespérés des Républicains démocrates espagnols qui étaient bien nos amis (e qui ha ricordato di essersi recato nel 1932 in visita in !spagna dopo la caduta della monarchia, quand'era presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri). Ainsi l'autre jour la Chambre a approuvé à l'unanimité le principe de la «non intervention». Il n'y a pas d'autre moyen pour éviter la guerre. Nous sommes pour çà prèts à accepter tous !es controies nécessaires sur notre territoire mème. L'affaire d'Espagne ne s'arrangera pas de si tot. «Il faut !es lai.~ser faire». Ce ne sera n i !es Carlistes n i !es anarchistes qui prendront le pouvoir, il se pourrait et il faut le souhaiter que !es deux partis, gauche et droite, puissent arriver à se rencontrer sur un terrain d'entente. Ce serait encore le mieux. Parce que mème si Franco s'emparera de Madrid il y aura la Catalogne et en plus c'est un fait évident que l'esprit républicain démocratique a fait beaucoup de progrés en Espagne. N'importe quei gouvernement mème dictatorial devra tenir compte de ce fait indiscutable gui pourrait réserver bien des surprises dans l'avenir.

Quanto agli accordi economici con la Germania Herriot si è stretto nelle spalle, non aveva l'aria di crederci troppo e di darci troppa importanza. Ah oui -ha detto -à cause de cet entretien que notre ambassadeur a eu avec Hitler! Poi non ha soggiunto altro. Come se si trattasse di cosa che difficilmente potrà aver seguito.

Il Presidente Herriot, al quale ho rimesso anche alcune delle ultime pubblicazioni sulla conquista dell'Etiopia, altre sull'assistenza della maternità, etc., che ha molto gradito, è stato cordialissimo, bonario come sempre. Solo quando parla di politica interna o estera allora assume quel tono autorevole di chi si sente non solo l'arbitro oggi del parlamento ma sempre e ancora della politica francese. Si dice del resto qui a Lione che Herriot facesse da mentore, almeno nei primi tempi, a Deibos al quale preparava· anche i discorsi.

Anche quando elogia Blum (che chiama un hrave garçon loyal) lo fa come se parlasse di un allievo che se l'è saputa cavare con onore e così quando parla di Daladier come futuro Presidente del Consiglio ha tutta l'aria di fare una concessione a un collega minore. Conosce la sua forza e anche la sua superiorità sulla mediocrità degli altri. E non bisogna dimenticare che Herriot ha silurato successivamente parecchi governi: Poincaré, Tardieu, Lavai, Doumergue, etc.

Per quanto riguarda la situazione interna della Francia Herriot appariva rasserenato e rassicurato mentre nel settembre scorso quando le occupazioni quotidiane di fabbriche avevano così vivamente impressionato l'opinione pubblica e indisposto tutte le classi medie, contadini compresi e lo stesso partito radicale-sociale si era allarmato, Herriot si era mostrato, in occasione della visita che gli resi allora, molto preoccupato e molto meno ben disposto che non ora verso la politica del governo di Fronte Popolare.

Del resto è noto che Blum è atteso qui per il 24 e gli si preparano grandiosi accoglienze, sebbene non sia Herriot ad averlo invitato, bensì il comitato socialista di Vaise. Anzi a questo proposito pare che Herriot si sia così espresso con persona amica che me lo ha riferito: « Vous pouvez bien penser que ce c'est pas moi qui l'aurait invité! ». Herriot non ama concorrenti nella sua roccaforte e Lione non aveva mai visto un'apoteosi simile di un uomo di Governo. Più di diciassette membri del Gabinetto fra Ministri e Sottosegretari accompagneranno Blum a Lione. All'ultimo momento però pare che Daladier «grippato» non possa intervenire. Chautemps comunque interverrà di certo: è noto che Blum non può soffrire le arie e la designazione che si fa di Daladier quale suo erede presuntivo, le sue preferenze come eventuale successore vanno piuttosto a Chautemps.

Per ciò che riguarda invece la situazione e la politica estera, dall'insieme delle sue dichiarazioni, dal tono, espressione con cui erano dette, ho avuto l'impressione netta che negli ambienti responsabili francesi si sentano dopo l'accordo itala-inglese pel Mediterraneo disorientati dal contegno dell'Inghilterra come se non si sentissero più così sicuri di quella perfetta conformità di intesa e di vedute. La Francia teme di trovarsi in un prossimo avvenire isolata e sa per esperienza che l'Inghilterra ama intendersi coi forti e non coi deboli. -Anche Herriot non ha potuto nascondere il suo disappunto verso l'Inghilterra che ha preferito di lasciar da parte la Francia nel gentlement's agreement pel Mediterraneo, in conseguenza-evidentemente-della politica spagnola. Ma in Francia ormai non possono più farsi illusione: l'Inghilterra sul fondo del problema spagnuolo mostra di pensarla come l'Italia.

Malgrado le dichiarazioni di Herriot verso l'Italia, si capiva ch'egli si rende perfettamente conto della posizione falsa in cui si è messa la Francia colle sanzioni prima, col suo atteggiamento di fronte al fatto compiuto poi, infine colla politica spagnola, ed è evidente un senso di disagio pel fatto che il governo francese non abbia compiuto nè sembra abbia in animo di compiere il minimo sforzo per cercar di normalizzare i rapporti coll'Italia, neanche dopo Milano.

Così pure si rendono nettamente conto che l'alleanza colla Russia, l'atteggiamento verso la Spagna sovietica, il persistere nell'avversione e nella loro lotta contro il fascismo, stanno scavando un abisso fra Italia e Francia: malgrado ciò la Francia ufficiale preferisce piuttosto che passare anche solo per filofascista darsi mani e piedi legati al socialismo anche se rivoluzionario.

E in un eventuale conflitto europeo (Herriot lo ha chiaramente fatto comprendere) dubitano ormai di poter contare -come prima -sulla sicura neutralità dell'Italia. Anche la solidarietà latina sta diventando un mito di fronte alle dure prove subite e di fronte a interessi vitali così contrastanti. E debbono ressegnarsi -sebbene a malincuore-a veder l'Italia fare e imporre una sua politica indipendente che tiene conto freddamente solo dei suoi proprii esclusivi interessi.

L'impressione tuttavia che si trae e che del resto la stessa politica del Fronte Popolare comprova è che gli ambienti responsabili francesi ritengono che a rigore la Francia possa fare anche a meno dell'Italia: quello a cui tengono sopra ogni altra cosa è all'amicizia e all'appoggio della potentissima Inghilterra dalle infinite risorse e che alla fine del 37 dovrebbe essere così fortemente armata che nessuno oserebbe mai entrare in aperto conflitto con essa e coi suoi Dominions.

E qui sanno che l'Inghilterra in un conflitto mondiale sarebbe per forza dalla parte loro perché non potrebbe incoraggiare l'avvento di una Germania e Italia strapotenti: questo li rassicura.

Il

Oltre a ciò sta di fatto che il Francese, pieno di sè, del suo passato, convinto di spuntarcela anche per l'avvenire, in cuor suo si ritiene pur sempre e malgrado tutto, superiore a noi, erede ben più degno di Roma e si ritengono questi francesi tuttora indiscutibilmente i veri e più grandi maestri di civiltà, costruttori di imperi, dominatori di popoli, arbitri universali per la loro gloria passata, grazie alla più vecchia e più potente monarchia d'Europa, per l'attrazione irresistibile e l'influenza mondiale che esercitano la loro cultura, il loro genio, la loro politica. Anche Herriot del resto ci considera tutt'al più come un gran popolo «en croissance».

Questo senso di sicura superiorità si manifesta immediatamente anche oggi non appena si sentono toccati sul vivo, si adombrano e assumono d'istinto il tono di chi crede poter impartire lezioni a chiunque e tanto più a noi che eravamo considerati per tanto tempo come il cadetto sotto la loro tradizionale tutela. Basta leggere ad es. gli articoli anche di questi giorni di L. Bailby nel Jour dove distribuisce con una sufficienza, senza pari consigli all'Italia, al Duce, alla stampa italiana con un'aria di grande degnazione e di velata minaccia e intesta il suo ultimo articolo (con evidente compiacimento) nientemeno che: Eden fai t la leçon à l'Ailemagne et à l'ltalie. Anche la stessa Action Française sempre piuttosto favorevole a noi, ha assunto in questi giorni in certi suoi articoli un'aria di superiorità e usa termini aspri per criticare la politica dell'Italia. Per ristabilire l'equilibrio non c'è che da rispondere loro per le rime come fa egregiamente la nostra stampa in certi giorni.

Circa la Germania, timore sempre più assillante di un suo attacco improvviso reso più probabile dagli accordi coll'Italia, dalla difficile situazione economica e finanziaria nella quale la Germania versa, e dagli armamenti intensivi del Reich.

«Revirement» apparente (dopo l'accordo italo-inglese pel Mediterraneo) circa la Spagna inscenato colla votazione unanime alla Camera e al Senato circa il non intervento e questo per non guastarsi coll'Inghilterra e trovarsi isolati.

Senonché questa imprecisa contraddittoria politica del piede nelle due staffe ha ingolfato la Francia in un vero e proprio «petrin» dal quale non sa più come uscire e rischia di esporla a gravi umiliazioni.

Rissumendo sia da questo colloquio con Herriot che da quelli avuti da ultimo con altre personalità politiche, l'impressione che si trae dai contatti con questi esponenti dei varì partiti è quella sopratutto di assistere a una lenta scesa fatale, a un irrimediabile sfaldamento al quale nessuno pur misurandone i pericoli sa apporre una decisa resistenza, a un declino progressivo delle migliori energie e virtù di questa razza che sembra aver perso le sue caratteristiche di nobiltà, di dignità e di forza creatrice politica.

Si direbbe che più l'Italia sale, più la Francia discenda.

Da un lato: dei vecchi partiti infrolliti attenagliati a pregiudizi e ideologie superate dai tempi e dagli avvenimenti e che credono di aver coll'esperimento Fronte Popolare salvato sè stessi e la Francia.

Dall'altro: dei giovani partiti che si organizzano per un'azione che non hanno nè il coraggio nè la coesione nè i capi per scatenare, e che pur ostentando una grande volontà di rinnovamento e di riconciliazione di limitano in realtà al ruolo passivo di costituire un argine, una specie di barriera insormontabile contro gli avversari che volessero impadronirsi del potere con mezzi rivoluzionari.

Di qui una specie di tregua, di attesa che ha del marasma.

J'aurais préféré-mi diceva di recente una francese autentico-tout... mème une révolution à cette résignation plate et sans dignité que la grande majorité des français montrent en face d'événements qui au dehors et au dedans, vont décider des destinées et de la grandeur de la France pour très longtemps 1 .

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T PERSONALE 237/29 R. Roma, 22 gennaio 1937, ore 21,40.

La nostra risposta e quella tedesca al memorandum britannico dell'l l corrente2 saranno consegnate e pubblicate lunedì prossimo 3 . Punti fondamentali sono i seguenti.

Metteremo in vigore l'interdizione sui volontari a condizione che altri governi facciano altrettanto ad una data simultanea e allorché si sia raggiunto un accordo di massima sul metodo e sistema di controllo da attuare. È necessario che Tu sappia che quest'ultima condizione è stata da noi introdotta per consentirci di arrivare sino al 5, eventualmente al IO febbraio, data alla quale secondo una comunicazione che abbiamo fatto d'accordo coi tedeschi a Franco 4 -intendiamo cessare gli invii di uomini e di materiali, nostri e tedeschi, in appoggio a Franco. Questa decisione non rappresenta affatto un mutamento della nostra politica nella questione ma deriva dalla persuasione che abbiamo di avere già inviato a Franco abbondantissimi materiali e uomini, e si propone anche di stimolare Franco a compiere lo sforzo necessario per assicurare la vittoria dei nazionali.

A partire dal 5, meglio dal IO febbraio, e assolutamente non prima, diventa, per ovvie ragioni, nostro essenziale interesse che sia posto in atto in Spagna e naturalmente sopratutto alla frontiera francese e nei porti in mano ai rossi, un sistema di controllo il più efficace e completo possibile. Ti manderò fra breve uno schema di controllo terrestre, marittimo ed aereo elaborato d'accordo coi nostri ministeri militari e di cui è genericamente preannunciato l'invio nella nostra nota di risposta a codesto Governo. Conviene che Ti prepari fin d'ora ad orientare la Tua azione in seno al Comitato di Londra in questo senso, in modo che si acquisti la sensazione precisa che il governo fascista intende collaborare in pieno con tutti quei governi che effettivamente e lealmente si propongono di non lasciar più passare niente attraverso i confini terrestri, marittimi ed aerei della Spagna.

l Il documento ha il visto di Mussolini. Ciano telegrafava: «Ho letto con molto interesse il suo rapporto n. 77 del 21 gennaio» (T. 985/l P.R. del 26 gennaio. Minuta autografa di Ciano).

2 Vedi p. 45, nota l.

3 Vedi D. 87.

4 Vedi D. 69.

77

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T PER CORRIERE 587/03 R. Belgrado, 22 gennaio 1937 (per. il 25).

Telegramma di V.E. n. 231/C del 22 corrente 1•

Nulla risulta qui fino a questo momento, di negoziati politici turco-ungheresi.

Ho avuto di ciò conferma oggi stesso nel corso di un colloquio con Stojadinovic, che ha tenuto a parlarmi perché io ne potessi parlare a V.E., del miglioramento delle relazioni jugoslavo-magiare. Stojadinovic mi ha detto che è sopratutto per conformarsi alle intenzioni dell'E.V. e della politica di amicizia che intende stabilire con noi che ha dato opera e continuerà a darla per tale miglioramento delle relazioni jugoslave con l'Ungheria. In tale ordine di idee ed a prescindere dai noti accordi commerciali che sono stati conclusi con l'Ungheria 2 , ha disposto per un trattamento delle minoranze ungheresi più conforme ai desideri del governo di Budapest ed ha riammesso alla circolazione in Jugoslavia i giornali ungheresi. Finalmente ha ottenuto che stasera stessa questo ministro d'Ungheria, per la prima volta dopo molto tempo, sia ricevuto dal Principe Reggente ad un concerto che ha luogo nel suo palazzo. Stojadinovic mi ha aggiunto tuttavia che non si nasconde come tali manifestazioni fra Jugoslavia e Ungheria avvengono in una situazione di molta delicatezza per effetto delle molte correnti anti-ungheresi che permangono in Jugoslavia, sia come conseguenza delle note reazioni del sentimento popolare, sia per il fatto delle rivendicazioni ungheresi che si rivolgono anche verso la Jugoslavia e l'accomunano nella difesa degli interessi della Piccola Intesa.

78

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

ISTRUZIONI3 . Roma, 22 gennaio 1937.

-La solidarietà e la simpatia di cui il governo italiano ha dato prova ai partiti nazionali in Ispagna non significa in alcun modo attitudine anti-francese. -L'appoggio dato dal governo italiano ai partiti nazionali ha ragioni di solidarietà ideologia e, nel campo pratico è causato dalla impossibilità per l'Italia

1 Con T. 231/CR. del 21 gennaio (c non del 22. come qui indicato). Ciano aveva comunicato, per gli opportuni accertamenti. la notizia di negoziati in corso tra Ankara e Budapest di cui non si conosceva la portata ma che sembravano da collegarsi con l'imminente accordo bulgaro-jugoslavo. Da Budapest, il ministro Vinci aveva risposto che niente gli risultava in proposito (T. 707/15 R. del 28 gennaio).

2 Accordi commerciali tra Jugoslavia e Ungheria del 17 dicembre 1936 (testo in SOCIETÉ DES NATIONS, Recueil des traités, vol. CXCVI. pp. 137-141). 3 Queste istruzioni furono date personalmente all'ambasciatore Cern1ti che si trovava in quei giorni a Roma perché ne facesse oggetto di una comunicazione a Blum.

di ammettere nel Mediterraneo esistenza di una repubblica bolscevica o bolscevizzante, che sarebbe del resto altrettanto dannosa alla Francia che all'Italia.

-In virtù dei cordiali rapporti che l'Italia intrattiene col governo del generale Franco, qualora il Presidente Blum lo desiderasse, il governo fascista potrebbe svolgere azione diretta a fare sì che il generale Franco dia al governo di Parigi assicurazione che la Spagna nazionale non intende adottare politica antifrancese 1•

79

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 592/14 R. Vienna, 23 gennaio 1937, ore 18,30 (per. ore 20,40).

Da fonte degna di fede mi si assicura che ad insaputa della Wilhelmstrasse e del partito, Hitler ha incaricato un suo uomo di fiducia di sondare il terreno a Praga per conclusione di un trattato non aggressione. Uomo di fiducia che sarebbe aristocratico già austriaco ora cittadino cecoslovacco a me noto, avrebbe preso contatto direttamente con Benes e Hodza. Trattative sarebbero già favorevolmente avanzate 2 .

80

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 593/67 R. Londra, 23 gennaio 1937, ore 19,30 (per. ore 0,05 del 24).

Notizia prossimo incontra fra V.E. e Aras ha destato a Londra vivissimo interesse. Nei contatti che ho avuto stamane m questi circoli giornalistici ho creduto opportuno mettere in rilievo:

0 ) incontro è nuovo indice determinazione governo fascista favorire in modo positivo migliori relazioni fra Paesi mediterranei.

l Per il seguito si veda il D. 88.

2 Questo telegramma fu comunicato a Praga con T. 282/4 R. e a Berlino con T. 282/30 R. del 26 gennaio «per informazione e con preghiera di controllo». Da Praga, il ministro De Facendis rispondeva di aver appreso che effettivamente erano in corso delle trattative condotte segretamente da un funzionario tedesco che si riteneva essere stato inviato direttamente da Hitler. Tali aperture erano state accolte in modo positivo dal ministro degli Esteri, Krofta, il quale non escludeva anche <mna discussione amichevole» circa la minoranza dei Sudeti dopo che i due governi avessero realizzato un accordo (Telespresso 149/99 del 2 febbraio). Per la risposta dell'ambasciatore Attolico si veda il D. 89.

2°) è particolarmente significativo che incontro ha luogo a breve distanza dalla dichiarazione italo-inglese, che rivela così un altro aspetto della sua importanza e del suo carattere costruttivo;

3°) mi risulta che circoli francesi di Londra professano un certo timore che dall'incontro fra V.E. e Aras turchi possono derivare qualche incoraggiamento per politica intransigenza nei riguardi questione Alessandretta. A quanto mi risulta, finora preoccupazioni Francia lasciano indifferenti circoli responsabili britannici, che manifestano invece soddisfazioni per notizia incontro.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 601/11 R. Bucarest, 23 gennaio 1937, ore 22,55 (per. ore 2,30 del 24).

Mio telegramma n. 9 1• Ho avuto oggi occasione incontrare Primo Ministro presso legazione d'Albania. Ho controllato informazione trasmessa con telegramma sopra citato.

Tatarescu senza smentire e senza confermare notizia della presentazione (avvenuta probabilmente ieri l'altro) del documento di cui al mio telegramma n. 9, mi ha detto:

l) Quanto si sta negoziando tra Francia e Piccola Intesa non è cosa nuova. Si continua cioè a lavorare intorno idea avanzata fin da Convegno Bratislava2 .

2) Che in nessun caso però Jugoslavia ... 3 ... che Romania non tralascia nessuna circostanza e nessuna opportunità per sostenere nel seno della Piccola Intesa il concetto che non vi può essere pace e sicurezza in Europa Centrale senza previo riavvicinamento fra Parigi e Roma. Le trattative in corso offrivano alla Piccola Intesa e alla Romania in particolare la migliore opportunità per fare sentire a Parigi che la pregiudiziale di ogni sviluppo dei vincoli Piccola Intesa riposava sulla collaborazione da parte Roma.

Ho risposto Primo Ministro che prendevo atto sue parole ma tenevo anche a dichiarargli sinceramente non sembrarmi che i fatti corrispondessero a esse. Tentativo sviluppare impegni Piccola Intesa costituiva nuovo e grave ostacolo tra Roma e Piccola Intesa e anche fra Roma e Romania che accetterebbe partecipare a supposta aggressione (sic) contro l'Italia e la Germania.

1 T. 551/9 R. del 22 gennaio. Riferiva di avere appreso da buona fonte che la Francia stava effettuando forti pressioni sui Paesi della Piccola Intesa per la conclusione di un patto di mutua assistenza e che da Parigi era stata inviata ai tre governi una nota «pressante» a tale propostito.

2 Undecima sessione del Consiglio permanente della Piccola Intesa a Bratislava del 12-14 settembre 1936. 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppi mancanti».

3) Che desiderio romeno era soltanto quello di rafforzare situazione attuale in Europa Contrale: si stava facendo quindi opera di pace. 4) Che nulla in nessun caso sarebbe stato fatto senza previamente mettere al corrente l'Italia.

Ho risposto al Primo Ministro che sue spiegazioni accrescevano, anziché diminuire, miei dubbi sulla saggezza di quanto si stava negoziando o facendo. Rafforzamento Piccola Intesa anche se soltanto apparente avrebbe accresciuto diffidenza dell'Italia e della Germania verso Piccola Intesa, ci avrebbe indotto a stringere sempre più legami Potenze che formano blocco Roma e non avrebbe facilitato ripresa migliori rapporti fra Parigi e Roma.

Tatarescu ha accusato Parigi. Questo dovevo dirgli in modo altrettanto fermo quanto preciso: a mio avviso si stava facendo della politica tipo Titulescu e della

. .

peggwre specie. Tatarescu, che è ampolloso parlatore, mi ha ripetuto le più formali assicurazioni; da parte mia gli ho confermato tutta la mia diffidenza.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 366/108. Berlino, 23 gennaio 1937 (per. il 25)

In mie precedenti comunicazioni ho riferito all'E.V. alcune voci riguardanti le mire tedesche sulla Nuova Guinea1• Nonostante che quelle voci provenissero da fonte molto seria, io ho ritenuto opportuno, avendo avuto occasione di incontrare Schacht proprio di recente, di controllarle con lui.

La mia conversazione col dott. Schacht -completata da un'altra avuta col dott. Kurt Weigelt della Deutsche Bank, il più ascoltato fra i consiglieri coloniali di Schacht -mi autorizza a stabilire in maniera definitiva che la Germania non intende fare differenza alcuna fra l'una e l'altra colonia. Il dott. Schacht è stato su questo punto preciso ed esplicito. Si tratta di vedere -egli mi ha detto -se la Germania ha o no titolo a parlare di colonie. In tanto può averlo in quanto essa si riferisca alle colonie proprie e quindi ridomandi che le sia restituito quanto già aveva. L'impostazione economica del problema non potrebbe, senza comprometterlo

o comunque indebolirlo, essere diversa da quella giuridica.

I Con telespresso 5186/1743 del 22 dicembre 1936, Attolico aveva riferito risultargli da varie fonti attendibili che a Berlino si stava prendendo in considerazione l'ipotesi di una acquisizione della Nuova Guinea, invece di puntare su la restituzione delle ex colonie in Africa, data la generale convinzione che «in un ventennio o poco più il fermento nazionalista a carattere indigeno, che ora si va sviluppando e potenziando nel Continente africano, finirà inevitabilmente con l'esplodere». (Il documento ha il visto di Mussolini che ha sottolineato la frase qui riportata). L'attendibilità di tali notizie era confermata dall'ambasciatore Attolico con telespresso 5258/1767 del 29 dicembre successivo. Anche questo documento porta il visto di Mussolini.

Tuttavia, ammesso che un giorno si addivenga a delle conversazioni coloniali fra la Germania ed i detentori delle sue antiche colonie, non è da escludere che, per considerazioni diverse, gli stessi detentori attuali possano offrire dei baratti che, dal punto di vista economico come geografico, potrebbero essere convenienti ad entrambe le parti in causa. Ma starà agli altri di offrire alla Germania scambi e compensi e non alla Germania di chiederli. Essa ha domandato e continuerà a domandare soltanto quello che le è stato tolto.

Il problema coloniale, come è noto, è da parte tedesca identificato con quello delle «divise». Facendo un esame della materie prime che la Germania importa e che è costretta a pagare in valuta e di quelle corrispondenti che la Germania potrebbe ricavare dalle sue antiche colonie sulla base della loro produzione attuale, la bilancia passiva della Germania verrebbe alleggerita in una misura indubbiamente sensibile, e sufficiente ad assicurarle una certa autonomia di scambi. Mi sono stati promessi in proposito dei dati, che mi riservo a suo tempo di studiare, e dai quali dovrebbe risultare che la Germania, tornando in possesso delle proprie colonie, diminuirebbe di almeno 400 milioni di marchi oro all'anno il proprio debito verso l'estero.

La questione coloniale è indubbiamente una di quelle che ormai la Germania ha messo all'ordine del giorno in maniera definitiva. Sono sicuro che il Fiihrer ne parlerà nel suo discorso del 30, mettendola in relazione con tutta la politica monetaria, doganale e del Piano Quadriennale. Mi risulta in modo positivo che la Germania considera il problema tanto attuale da tener già pronte delle squadre di esperti e di tecnici per la ripresa della direzione economica delle proprie colonie ed il loro immediato sfruttamento.

Si stanno creando degli specialisti per ciascuna delle colonie già possedute dalla Germania e per ciascuno dei rami di sfruttamento economico delle medesime. Una priorità, tuttavia, è data in questo lavoro di preparazione alla Colonia del Camerun, che è ritenuta da tutti come quella più ricca e profittevole, e quindi la prima a dover essere messa in valore.

Debbo da ultimo richiamare l'attenzione deli'E.V. sopra un punto che mi sembra interessante. La questione coloniale -come V .E. ha del resto intuito dalle stesse dichiarazioni in proposito del dott. Schacht -sta ormai quasi più a cuore degli elementi pacifisti della Germania che non di quelli estremisti. Tanto Blomberg quanto Schacht, che sono i rappresentanti più genuini e più autorevoli della tendenza pacifista, ritengono infatti che la restituzione alla Germania delle sue antiche colonie, oltre che essere causa di legittima soddisfazione per tutti, costituirebbe anche un fatto di importanza politica eccedente i limiti della questione coloniale, in quanto aprirebbe al partito ed al regime in generale orizzonti e prospettive nuove, che allontanerebbero gli elementi più avanzati da quelle che potrebbero essere le direzioni politicamente più pericolose per sè stessi e per gli altri.

Nelle sue dichiarazioni del 9 dicembre 1936, quindi, il dott. Schacht ha veramente creduto di rendere un servizio alla causa della pace. Restituendo alla Germania le sue antiche colonie, le si offrirà -egli ha fatto capire -oltre che un sollievo economico e finanziario, anche uno sfogo politico di primissimo ordine. Senza quella restituzione, rimarrà sempre il dubbio e il pericolo che la pressione che si va accumulando nell'interno della Germania possa esplodere in forme e direzioni non rispondenti all'interesse generale 1•

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IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UFF. SPAGNA 336/789, 338/790 e 348/79I. Salamanca2 , 24 gennaio 19373 .

Seguito mio telegramma del 23 corr4 . Prima reazione del generale Franco alle decisioni da me comunicategli a nome dei governi italiano e tedesco, di cui ho rimesso anche il testo 5 , è stata di disorientamento, accresciuto dalla vicinanza della data di scadenza per l'invio di uomini e materiale. Successive considerazioni e schiarimenti fornitegli gli hanno fatto v~lutare appieno l'imponenza degli aiuti che gli vengono prestati specialmente da parte italiana.

Mentre in un primo tempo egli aveva affrettatamente avanzata qualche riserva e si era anche riferito al rifiuto del Portogallo di aderire al blocco, oggi, dopo essersi presumibilmente concertato con altri generali attualmente a Salamanca (Mola, Queipo de Llano, Cabanellas, ecc ... ) ha fatto seguente comunicazione.

Primo: Il generale Franco, capo del governo spagnolo, invia il suo saluto e l'espressione della sua riconoscenza per la decisa fiducia che i governi italiano e tedesco pongono nel trionfo della causa nazionale spagnola offrendo il loro massimo aiuto possibile.

Secondo: Il generale Franco esprime il suo altrettanto deciso e fermo proposito di affrettare la risoluzione della guerra eseguendo quelle azioni offensive che condurranno a tal fine.

Terzo: Per prevenire conseguenze derivanti dalla chiusura frontiera il governo nazionale esaminerà di urgenza la possibilità di rifornirsi immediatamente di quelle materie prime occorrenti per la guerra che finora esso riceveva periodicamente, materie prime che non sono elencate nei dati contenuti nel memorandum rimesso ieri al generale Franco.

l Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Il vice capo di Gabinetto, Anfuso, era stato inviato in missione a Salamanca dove era giunto il 22 gennaio.

3 Questi telegrammi andarono inizialmente perduti e giunsero a Roma soltanto nella notte tra il 27 ed il 28. Nel frattempo, Ciano aveva sollecitato ripetutamente Anfuso perché inviasse delle notizie circa le reazioni di Franco alla presentazione della nota itala-tedesca, una prima volta, il 24 gennaio con T. 164 («Attendo conoscere per telegramma come si è svolto colloquio con Franco e come abbia accolto conclusioni comunicategli. Sii meno laconico») e, di nuovo, il giorno successivo con T. 175 («Sarà bene che tu ti renda conto dell'importanza della missione affidatati e ti invito a riferire sue reazioni a nostra comunicazione per prendere alcune decisioni. Urge risposta»). La minuta dei due telegrammi è autografa di Ciano.

4 Con T. Ufficio Spagna 300/770 del 23 gennaio, Anfuso aveva comunicato: «Ho fatto stamane la nota comunicazione al generale Franco». s Vedi D. 69.

Quarto: Circa invio di uno Stato Maggiore i tal o-tedesco si conferma gradimento con cui sono stati subito accolti gli inviti di collaborazione dei due Paesi.

Di quanto precede ho dettagliatamente informato generale Faupel col quale comincio ad essere in contatto 1•

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IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.UFF. SPAGNA 344/800, 328/801 e 329/802. Salamanca2 , [25 gennaio 1937].

Mi riferisco al paragrafo 3 del telegramma in data di ieri 3 . Il generale Franco mi ha fatto stamane consegnare una nota verbale con la quale fa presente il suo immediato fabbisogno di altro materiale non compreso negli elenchi di invii compilati nella comunicazione da me rimessagli.

La nota, che è stata in pari tempo consegnata a questo rappresentante tedesco, esordisce ringranziando governi italiano e tedesco per aiuto. L'esercito Nazionale non risparmierà ogni sforzo per compiere rapidamente opera intrapresa, ma governo Nazionale espone governi italiano e tedesco seguenti considerazioni, che, oltre chiarire una posizione internazionale di fronte contingenza di un controllo degli approvvigionamenti, stabiliscono condizioni in cui si troverebbe esercito a tale riguardo e le sue necessità per continuare con successo campagna. Governo Nazionale non accettò proposta controllo, respingendolo dal suo territorio, giacché controllo non eviterà approvvigionamento in favore dei rossi, perché vi sono nazioni come il Messico che lo continueranno. Non sfuggirà ai governi delle nazioni che hanno onorato il governo Nazionale col riconoscimento e con la loro amicizia che il controllo provocherà incidenti forse desiderati da nostri nemici nella speranza di allargare un conflitto nazionale.

La decisione italiana e tedesca di non differire l'adesione alle proposte del Comitato di Londra circa il controllo degli approvvigionamenti in Spagna è in parte compensata da aiuti indicati nella nota del 14 gennaio4 . Non sarebbe possibile continuare la guerra nelle proporzioni che questa ha assunto se non si assicura per tre mesi fornitura normale di munizioni e di esplosivi, di cui necessitano le forze nazionali. Questo è il più importante, pure essendolo molto l'invio di uomini; poiché senza di tale fornitura rimarrebbero inattivi 200 mila uomini sui vari fronti 5 .

I Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Vedi p. 101, nota 2. Manca la data e l'ora di partenza di questi telegrammi che giunsero a Roma tra le 050, e le 6,50 del 27 gennaio. l Vedi D. 83. 4 Vedi D. 69. s Con i successivi telegrammi da 803 a 810, non pubblicati, Anfuso trasmetteva le richieste di

materiali avanzate da Franco.

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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 674/019/R. Vienna, 23 gennaio 1937 (per. il 27).

In relazione al te l espresso ministeriale n. 201848 /C del 19 corr 1• circa approcci tra Bucarest e Budapest, comunico a V.E. che, a quanto risulterebbe a questo Dipartimento degli Affari Esteri, Kanya si sarebbe mostrato negli ultimi giorni irritato per l'azione che la diplomazia germanica eserciterebbe nei riguardi dei postulati revisionistici dell'Ungheria verso la Romania. Berlino tenderebbe a limitare i termini delle rivendicazioni ungheresi riducendole a modeste correzioni di confine, sulle quali la Romania potrebbe essere indotta a trattare. Kanya avrebbe detto che, se la tattica poteva essere accettata rispetto alle più modeste rivendicazioni ungheresi verso la Jugoslavia, costituirebbe un tradimento della causa magiara nei riguardi delle annessioni romene.

La Germania tenderebbe a concentrare sulla Cecoslovacchia tutte le aspirazioni e le aggressività ungheresi. Segno del malumore ungherese sarebbe anche la smentita del viaggio di Horthy a Bucarest e l'annunzio del viaggio del Reggente a Varsavia.

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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 679/023 R. Vienna, 25 gennaio 1937 (per. il 27).

Confermo mio telegramma odierno n. 162 .

Von Papen ha invitato, a nome del governo del Reich, il segretario di Stato Schmidt a delegare il presidente della Dieta federale e due altri membri della stessa a presenziare, come ospiti del governo germanico, alla seduta del Reichstag nella quale il 30 corrente Hitler pronuncierà il discorso tanto atteso.

Presi gli ordini del Cancelliere federale, Schmidt pregò von Papen di comunicare a Berlino i ringraziamenti del governo austriaco, ma di non insistere nell'invito. La presenza di rappresentanti ufficiali della Dieta federale austriaca alla seduta del Reichstag si sarebbe potuta prestare, all'interno e all'estero, ad interpretazioni e malintesi che nel presente momento il Cancelliere crede di dover evitare nello stesso interesse dello sviluppo ulteriore dei rapporti tra i due Stati. D'altra parte, col dare seguito all'invito il governo austriaco potrebbe venire a trovarsi in situazione

I Non rintracciato. 2 T. 640/16 R. del 25 gennaio: il suo contenuto è qui ripreso con maggiore ampiezza.

imbarazzante di fronte ad altri Stati, verso i quali il discorso del Fuehrer dovesse dar luogo a manifestazioni polemiche. Schmidt spera che von Papen presenterà la sua risposta a Berlino in modo che non produca malumore. Se l'invito proviene da Hitler, come von Papen ha fatto credere, vi si ravvisa qui un sintomo favorevole sul contenuto del discorso nei riguardi dell'Austria.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

PROMEMORIA. Roma, 25 gennaio 1937.

Il governo Italiano ha accuratamente esaminato il Memorandum dell'Ambasciata britannica dell'Il gennaio corrente 1 relativo alla questione del non intervento, e più particolarmente alla questione dei volontari.

2. Il Governo britannico esprime l'avviso che le Potenze maggiormente interessate siano ormai concordi nel ritenere necessaria l'adozione di immediate misure per arrestare l'afflusso di volontari stranieri in Spagna, a condizione che tali misure siano adottate simultaneamente da tutti i Governi; che sia proseguito attivamente l'esame delle altre forme di ingerenza indiretta; che, infine, sia posto in atto un effettivo ed adeguato sistema di controllo.

Il Governo Italiano è lieto di avere un'ulteriore occasione di riconfermare che, per quanto Io riguarda, questi sono appunto tra i fini principali che si propone di raggiungere. Essi sono indicati come tali nel paragrafo IV della sua nota del 7

. 1

gennaio corrente~.

Il Governo Italiano è pronto in conseguenza ad adottare i provvedimenti legislativi necessari ad impedire sul suo territorio il reclutamento, la partenza e il transito di persone che si rechino in Spagna allo scopo di partecipare al presente conflitto. Tali provvedimenti, già in corso di preparazione, saranno applicati appena tutti gli altri Governi abbiano accettato di adottare provvedimenti analoghi; siano d'accordo sulle linee generali di un adeguato sistema di controllo; abbiano infine fissato, per il tramite del Comitato di Londra, una data per la loro simultanea entrata in vigore.

3. Nel suo Memorandum il Governo britannico ricorda che il Comitato di non intervento ha già elaborato uno schema di controllo dei porti e delle frontiere terrestri della Spagna e che tale schema, convenientemente adattato, ed esteso in modo da coprire oltre al materiale bellico, anche l'ingresso di volontari in Spagna per terra e per mare, potrebbe ritenersi sufficiente a raggiungere gli scopi da conseguire. Al riguardo il Governo britannico chiede di conoscere se e quali altri

l Vedi D. 39. 2 Vedi D. 22.

metodi e forme di controllo, oltre quelli esposti nei progetti del Comitato, il governo italiano abbia eventualmente allo studio e si dichiara disposto a procedere alla loro discussione ed esame con la maggiore sollecitudine.

Il Governo italiano ha l'onore di dichiarare che ha pressoché ultimato l'esame dei vari progetti del Comitato, e precisamente: progetto di controllo terrestre e marittimo; schema per l'estensione di tale controllo ai volontari; progetto di controllo aereo; progetti alcuni dei quali sono in suo possesso soltanto da qualche giorno. Esso si riserva di far pervenire al Comitato di Londra, tra breve, indicazioni precise in proposito anche per quanto riguarda il controllo aereo.

4. Il Governo Italiano ha l'onore di ricordare che, oltre alle varie idee e proposte messe innanzi fin qui nell'intento di assicurare una efficace politica di non intervento, è stata avanzata anche quella di allontanare dal territorio spagnolo tutti i non spagnoli combattenti, volontari politici, propagandisti ed agitatori che attualmente vi si trovano al fine di riportare la questione nei termini in cui essa era nell'agosto scorso. Esso si riferisce al riguardo al suo Memorandum del 7 gennaio.

Il Governo italiano sarebbe lieto se il Governo britannico potesse fargli conoscere le sue osservazioni ed il suo avviso in proposito. Per parte sua esso si riserva di presentare ed appoggiare proposte concrete in tal senso in seno al Comitato di non intervento. Il Governo italiano non può intanto non rilevare a questo riguardo che, qualora le notizie pubblicate in questi giorni dalla stampa dei vari paesi circa una sedicente naturalizzazione in massa degli stranieri che sono affluiti nei ranghi di una delle due parti in conflitto risultassero esatte, un siffatto provvedimento sarebbe indubbiamente contrario a qualunque autentica politica di non intervento. Tale atto arbitrario e unilaterale di una delle parti in conflitto non potrebbe in nessun caso costituire un valido impedimento ed ostacolo all'esame ed all'attuazione di quelle proposte che saranno presentate al Comitato di Londra in materia di evacuazione totale dalla Spagna dei volontari di guerra e politici, proposte che rischierebbero altrimenti di essere frustrate anche prima di essere esaminate e discusse. Esso rivela comunque quale effettivamente sia stato l'apporto di volontari stranieri alle forze di una delle parti in conflitto e quale decisiva importanza esso vi annetta.

5. Il Governo italiano si rende perfettamente conto e apprezza le intenzioni che hanno mosso il Governo britannico ad adottare di sua iniziativa le misure necessarie a rendere a termini di legge punibili, sul suo territorio, il reclutamento e la partenza dei volontari.

Esso non dubita che il Governo britannico apprezzerà dal suo canto i motivi che ispirano la presente nota e le sue precedenti comunicazioni: appoggio ed accettazione di ogni proposta intesa ad assicurare un'autentica e generale politica di non intervento ed una sua rigorosa, effettiva, integrale applicazione nell'interesse del popolo spagnuolo e delle supreme ragioni della pace e della civiltà 1 .

l Il testo di questa nota fu reso pubblico lo stesso giorno con un comunicato in cui si sottolineava che il governo tedesco aveva consegnato la sua risposta all'ambasciatore di Gran Bretagna contemporaneamente al governo italiano e che, come in precedenza, le due risposte erano state concordate tra i due governi.

88

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO,

T. PER CORRIERE 70 l /017 R. Parigi, 26 gennaio 1937 (per. il 28).

Mio telegramma n. 36 1•

A completamento del mio telegramma-filo di ieri, confermo aii'E.V. di essermi tenuto, nella conversazione avuta con il presidente del Consiglio signor Léon Blum sulle generali. Gli dissi che l'impressione riportata dal mio recente soggiorno a Roma e dai colloqui colà avuti con Lei2 aveva confermato in me il convincimento che tra Francia ed Italia non vi fosse alcuna grossa questione da risolvere, cosicché se l'atmosfera politica non era limpida ciò doveva ascriversi in parte al ricordo delle sanzioni applicate con una rigidità senza pari, in parte ad una quantità di questioni di minor momento che avrebbero potuto essere risolte in brevissimo tempo qualora ci fosse stata, dal lato francese, della buona volontà. Il passato era passato, cosicché sarebbe bastato constatare il desiderio del governo francese di tenere conto della realtà creata dalla conquista totale dell'Etiopia da parte dell'Italia per far scordare il triste periodo sanzionista. Se vi erano interessi comuni da salvaguardare, non chiedevamo di meglio che di esaminarli insieme alla Francia con spirito amichevole. Per far ciò occorreva in primo luogo che ritornasse fra i due governi quella fiducia reciproca che si era andata affievolendo sempre più per una serie di ragioni che era superfluo rievocare.

Il presidente Léon Blum si disse, in primo luogo, lieto di avere l'occasione di intrattenersi con me, assicurò che le mie parole trovavano la maggiore eco nell'animo suo perché egli, capo del governo francese, sapeva che la stragrande maggioranza della Francia attribuiva ai buoni, anzi ottimi, rapporti con l'Italia una capitale importanza. Esistevano, infatti, tra Italia e Francia tali legami sentimentali, storici e culturali e tali interessi mediterranei e europei da salvaguardare in comune che «la nube di zanzare» di cui parlò recentemente al signor BlondeJ3 doveva essere dissipata al più presto possibile.

Il presidente del Consiglio abbordò egli stesso l'argomento della mancanza di un ambasciatore di Francia a Roma, dicendo che il governo francese era stato blessé nel constatare il diverso trattamento fatto agli Stati Uniti d'America ed alla Francia. Avendolo interrotto per dirgli che vi era errore da parte sua perché l'atteggiamento assunto dal governo fascista nei riguardi delle credenziali del conte de Saint Quentin trovava la sua ragion d'essere nel contegno tenuto a

1 T. 634/36 R. del 25 gennaio con il quale l'ambasciatore Cerruti aveva inviato un primo e più sintetico resoconto del suo colloquio con Blum.

2 Per le istruzioni ricevute dall'ambasciatore Cerruti durante il suo soggiorno a Roma si veda il D. 78.

3 Nel corso di un colloquio del 21 dicembre precedente. La frase è riportata nel resoconto di

Bionde! (per il quale si vede DDF, vol. IV. D. 182).

Ginevra in settembre dalla delegazione francese 1 , il signor Léon Blum con buona grazia mi rispose che egli non lo negava e che anzi teneva a dirmi che vi era stato un grave malinteso causato dal fatto che a Roma si era potuto credere che gli affidamenti dati dal signor Avenol 2 fossero frutto di una intesa intervenuta fra governi francese ed inglese ed il segretario generale della S.d.N. La verità era invece che egli ignorava persino che fosse intendimento del signor Avenol di recarsi a Roma. Doveva aggiungere che la falsa credenza che quest'ultimo parlasse ed agisse in base ad accordi intervenuti fra Parigi e Londra aveva causato l'atteggiamento ostile del signor Litvinov il quale gli aveva apertamente dichiarato di essersi posto a capo di una coalizione di Stati decisi a sostenere l'Etiopia in segno di protesta contro Francia e Inghilterra che avevano creduto di abbandonare totalmente i principi societari ai quali si erano sino allora attenute, probabilmente perché ciò corrispondeva ai loro interessi particolari. I suoi dinieghi non erano valsi a convincere il Commissario del popolo sovietico che per sua natura è estremamente sospettoso.

Il signor Blum aggiunse che egli sperava potesse essere risolta in breve tempo la questione della cancellazione dell'Etiopia dalla S.d.N. e, saputo da me che il Quai d'Orsay dichiarava di non volersi far parte diligente per convocare l'Assemblea competente, mostrò di non condividere questo modo di vedere del ministero degli Affari Esteri francese.

Dopo di che il signor Blum mi parlò della Spagna chiedendomi se conoscessi il tenore della risposta italiana alla nota inglese3 , risposta che gli risultava essere stata rimessa in mattinata all'incaricato d'affari britannico a Roma. Lo informai del tenore della nostra risposta che era del resto stata pubblicata poco prima dall'Agenzia Havas. Il presidente del Consiglio se ne dichiarò soddisfatto dicendo che l'essenziale, secondo lui, era che si decidesse realmente di porre un termine all'invio di volontari e di materiale bellico e che si convenisse di esercitare un controllo serio ai confini della Spagna. La Francia era disposta ad accettare il maggiore controllo lungo i Pirenei. Se il Portogallo non accedeva alle proposte di controllare il proprio confine di terra con la Spagna, ciò non doveva costituire un impedimento perché il controllo fosse esercitato lungo tutte le coste mediterranee e atlantiche della Spagna, comprese anche quelle del Portogallo. Gli risulta che il governo britannico stava esercitando pressioni sul governo di Lisbona per indurlo ad accedere almeno al controllo delle proprie coste. Se i vari governi interessati alle cose di Spagna fossero decisi di essere sinceri egli credeva che si sarebbe potuta trovare una soluzione soddisfacente per tutti, non esclusi gli spagnoli che in fondo sono i più interessati.

Il signor Blum aggiunse che riteneva superfluo indicare cifre concernenti gli invii di volontari e materiale da parte di questo o di quello Stato. Cercò di scagionarsi dall'aver lasciato entrare delle armi, munizioni e degli aeroplani in Spagna,

I Si riferisce al voto favorevole all'ammissione della delegazione etiopica ai lavori dato il 23 settembre 1936 dalla delegazione francese alla XVII sessione dell'Assemblea della Società delle Nazioni.

2 Si veda in proposito serie ottava, vol. V, D. 26.

3 Vedi D. 87.

107 ammettendo soltanto di averne dati quattordici prima che fosse proclamata la neutralità della Francia. Disse però subito dopo che non escludeva che qualche contrabbando fosse stato esercitato ad insaputa del governo ed osservò che io dovevo possedere al riguardo dati forse anche più precisi di quelli in suo possesso. Ai miei dinieghi più di forma che di sostanza, il signor Blum osservò che era preferibile essere sinceri e riconoscere che nella questione spagnola ciascuno aveva cercato di giocare l'altro. Se si fosse posto termine a questo gioco che alla lunga avrebbe potuto diventare pericoloso, tutti ne avrebbero guadagnato e sopratutto si sarebbe assicurata la pace nel mondo.

Colsi l'occasione per dichiarare al presidente del Consiglio che, contrariamente a quanto scriveva una parte della stampa francese che era sistematicamente contraria all'Italia, il governo fascista nell'accordare la propria solidarietà e simpatia al partito nazionale spagnuolo non aveva inteso assumere in alcun modo un'attitudine anti-francese. Tale attitudine aveva ragioni di solidarietà ideologica e, nel campo pratico, si spiegava data l'impossibilità per l'Italia di ammettere nel Mediterraneo l'esistenza di una repubblica bolscevica o bolscevizzante, che sarebbe del resto altrettanto dannosa alla Francia che all'Italia. Poiché il governo fascista si rendeva conto di talune preoccupazioni della Francia e ne riconosceva il fondamento, ero stato incaricato di dichiarare al presidente del Consiglio francese che, in virtù dei cordiali rapporti che l'Italia intrattiene col generale Franco, qualora il signor Léon Blum lo desiderasse, il governo fascista potrebbe svolgere azione diretta a fare sì che il governo del generale Franco dia al governo di Parigi assicurazione che la Spagna Nazionale non intende adottare politica anti-francese.

II presidente del Consiglio ascoltò con la massima attenzione quanto precede, mi domandò di poter scrivere il tenore esatto delle dichiarazioni da me fattegli, disse che esse avrebbero attirato tutta la sua attenzione e formato oggetto dell'esame che egli ne avrebbe fatto insieme al ministro degli Affari Esteri ed a7giunse che in ogni caso egli scorgeva nell'atteggiamento del governo italiano una prova di amicizia e di buon volere di cui la Francia doveva essergli grata. Ciò avrebbe servito indubbiamente a quel chiarimento dci rapporti italo-francesi che era da lui vivamente desiderato.

Prevenendo che di quanto gli avrei detto in appresso avrei intrattenuto ragguagliatamente poco dopo il signor Léger, gli esposi le questioni relative all'Ospedale di Tunisi, alla ferrovia di Gibuti che si era voluta da parte francese connettere con il ritiro completo del contingente militare francese tuttora a Dire Daua ed al visto sui passaporti degli italiani che transitano per Gibuti recandosi nell'Impero d'Etiopia, cioè in casa propria.

Egli mi disse di ritenere veramente che tutti questi argomenti avrebbero potuto trovare una facile ed equa soluzione se non fosse mancato il buon volere dalle due parti. Per parte sua si sarebbe adoperato in questo senso, perché teneva a ripetermi il grande interesse che annetteva a vedere le relazioni itala-francesi ispirate a fiducia ed amicizia sincera. Per ciò fare occorreva però che cessasse la campagna di stampa che era particolarmente violenta ed a suo giudizio anche alquanto ingiusta da parte dei giornali italiani. Il signor Blum mì disse sorridendo che egli aveva un'epidermide troppo dura per risentirsi delle accuse che gli venivano rivolte ogni giorno in Francia ed all'estero; ciò non toglieva che avesse rilevato il tono molto acre della campagna di stampa italiana a proposito del rapporto Del Vayo 1• Gli mossi dal canto mio lagnanze per il linguaggio ed 'il contegno della stampa francese di sinistra verso l'Italia, ricevendo da lui la consueta risposta: «In Francia la stampa è libera e ne sanno qualche cosa i suoi governanti che sono bistrattati ogni giorno. Lo deploro ma non posso impedirlo. Dovete rendervene conto quando vengono attaccati i vostri uomini politici, tenendo però anche presente che nessuno più di me deplora che la critica, spesso acerba ed ingiusta, colpisca uomini di Stato esteri, perché ciò nuoce alle buone relazioni della Francia con i Paesi amici». Ricordando che la stampa in I tali a può facilmente essere moderata, il signor Blum espresse la speranza che uno dei primi sintomi della distensione degli spiriti nei due Paesi latini fosse una più esatta valutazione da parte della stampa italiana della situazione politica in Francia.

A questo proposito, ritornando su quanto gli avevo detto poco prima il signor Blum mi domandò se potevo precisargli la portata della frase che «sarebbe impossibile per l'Italia ammettere nel Mediterraneo l'esistenza di una repubblica bolscevica o bolscevizzante». Gli risposi che la frase era chiarissima: significava che noi non potremmo ammettere, nè una repubblica sovietica facente parte dell'Unione delle varie repubbliche sovietiche, nè una repubblica tipo Mongolia Esterna che senza dipendere nominalmente da Mosca ne riceve le istruzioni e ne segue i dettati. In altri termini, noi non ci saremmo mai potuti accomodare con una repubblica spagnola in cui non comandassero i nazionali ma i bolscevichi di Mosca.

Il signor Blum, osservando che la Francia non desidera certo neppur essa che in Spagna comandino i bolscevichi di Mosca mi disse dover rilevare che in Germania si accusava il suo governo di essere bolscevizzante e si diceva di lui personalmente che riceveva ingiunzioni ed ordini da Mosca. Non dubitava che io comprendessi quanto simili propositi lo offendessero, perché egli era uomo di Stato nazionale, cioè francese, e non avrebbe mai tollerato alcuna ingerenza straniera nelle cose della Francia. Teneva pure a dirmi che si parlava dei volontari francesi in Spagna come se essi fossero tutti nel campo dei Rossi. Ciò non corrispondeva intieramente alla verità perché ve n'erano pure nel campo dei nazionali, ancorché in numero minore. Non era anzi questa una delle ultime ragioni per le quali il suo governo si augurava che la guerra civile in Spagna terminasse al più presto, dato che era doloroso pensare che non solo latini si battessero contro latini, ma che gli stessi francesi, come del resto anche gli italiani, militassero in campi avversi.

L'impressione da me riportata dal colloquio col signor Léon Blum fu ottima, nel senso che mi parve che egli apprezzasse il linguaggio tenutogli.

I Riferimento alla nota presentata il 27 novembre 1936 dal governo di Valencia per chiedere la convocazione straordinaria del Consiglio della Società delle Nazioni allo scopo di esaminare la condotta dell'Italia e della Germania di fronte alla guerra civile spagnola ai sensi dell'art. Il del Covenant.

89

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 892/52 R. Berlino, 27 gennaio 1937, ore 20,53 (per. ore 24).

Telegramma di V.E. n. 30 1•

Non sono in grado confermare informazione di cui al telegramma citato nei termini in cui essa è data. Posso però assicurare, dico assicurare, V.E. che:

0 ) Sono già da tempo in corso a Praga dei negoziati per regolare questione del trattamento dei Sudeti. 2°) Questo nuovo negoziato sembra avviarsi a conclusione favorevole e avrà probabilmente termine quanto prima.

Non è da escludere che informazione di cui sopra -la quale mi viene dal ministro di Cecoslovacchia a Berlino 2 -si identifichi, sostanzialmente, con quella di cui al telegramma R. Legazione Vienna.

Trovato un modus vivendi accettabile per la questione dei Sudeti, un accordo politico ceco-tedesco potrebbe ritenersi virtualmente raggiunto, Cecoslovacchia avendo già dato ripetute assicurazioni alla Germania che una intesa cecoslovaccotedesca metterebbe «in sonno» il trattato cecoslovacco-sovietico. Aggiungo che la recente ripresa della campagna di stampa anticeca in Germania è soltanto un fenomeno secondario di reazione a pubblicazioni antitedesche in Inghilterra. Del resto anche questa campagna e già cessata 3 .

90

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, MENZINGER

T. RISERVATISSIMO 308/23 R. Roma, 27 gennaio 1937, ore 24.

Suo 11 4 .

Accusi ricevuta a Gomez lettera 9 gennaio 5 e gli faccia comprendere che sua missione costà deve limitarsi studiare movimento integralista senza iniziare trattative di alcun genere, che del resto hanno già avuto luogo qui. Gli aggiunga poi ad ogni

l Vedi nota 2 p. 97.

2 Vojstech Mastny.

3 L'ambasciatore Attolico telegrafava successivamente di avere sondato sulla questione von Neurath, il quale aveva confermato l'esistenza di trattive con Praga, pur mostrandosi meno ottimista circa

un loro esito positivo (T.708/56 R. del 28 gennaio).

4 Vedi D. 49.

5 Non rintracciata.

buon fine che questione dei rapporti fra fascismo e nazismo è di portata ben più vasta di quanto non possa apparire limitandosi a considerarli sotto il ristretto angolo della propaganda ideologica nei Paesi sud americani. Occorre insomma evitare di dare l'impressione che esista antagonismo fra i due movimenti in un momento come l'attuale che è di fattiva collaborazione fra i due governi 1 .

91

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UFF. SPAGNA 349/826, 350/827, 347/828, Salamanca2 , [27 gennaio 1937]. 359/829 e 354/830.

Insieme generali Colli e Faupel mi sono recato dal generale Franco per conoscere il definitivo orientamento del governo nazionale spagnolo di fronte alla nota comunicazione3 e alle recenti richieste di materiali da lui avanzate4 . Circa sua richiesta Colli ha fatto presente al Generalissimo che, data importanza materiali, essa avrebbe potuto essere fatta più tempestivamente.

Abbiamo poi domandato a Franco se egli era in grado, dato il breve lasso di tempo messo a nostra disposizione, di fare una discriminante fra il materiale più urgente e quello meno urgente.

Il generale Franco ha risposto che il materiale richiesto ai due governi è tutto di uguale urgenza. Gli ho detto, d'accordo con Faupel, che le sue richieste erano state immediatamente sottoposte ai due governi sulle cui risposte non eravamo in grado di fare induzioni. Tanto Faupel che io abbiamo però sottolineato impellente tempo accordatoci e generale Franco ha vivamente pregato, qualora materiale non sia a disposizione in uno dei due Paesi, che si riunisca il fabbisogno d'accordo fra i due governi.

Gli è stata poi sottoposta questione delle Stato Maggiore italo-tedesco. Colli gli ha prospettato il piano di inclusione di l O ufficiali italiani e tedeschi di vario grado nello Stato Maggiore generale dal generale Franco stesso. Generalissimo, così come mi aveva detto per lettera, si è dichiarato completamente d'accordo con Colli e Faupel per il funzionamento di tale Stato Maggiore alleato.

Ho chiesto infine al generale Franco se col materiale e gli uomini che gli verranno inviati come da nota comunicazione, egli credeva di avere i mezzi sufficienti da assicurargli la vittoria. Generale Franco ha risposto che sperava di avere almeno una parte del materiale successivamente richiesto ma che, riferendosi ai

l Il 1° marzo, Menzinger telegrafava che Gomez era ripartito per l'Italia, dopo «aver contribuito ad ancor meglio orientare l'integralismo verso le idee fasciste» (T. 1482/42 R.).

2 Vedi p. 101, nota 2. Manca la data e l'ora di partenza di questi telegrammi che giunsero a Roma nella notte tra il 27 ed il 28 gennaio.

3 Vedi D. 69.

4 Vedi p. 102, nota 5.

voti espressi nelle decisioni di Roma, egli era fermamente convinto della imminenza di una rapida vittoria finale.

Si è soffermato sull'ipotesi del blocco, giudicandola 1• Gli ho fatto presente come invece tutto era stato considerato dai due governi nella eventualità di una sicura attuazione di una possibile fedele osservanza del blocco. Generale Franco ha allora manifestato speranza che non adesione Portogallo al blocco renda questo inefficace. Si è reso peraltro conto dell'assoluta necessità per governo nazionalista di seguire fedelmente decisioni prese a Roma. Mi ha rinnovata la preghiera di sollecitare una risoluzione da V.E. sulla richiesta di invii da me inoltrata ed ha espresso la sua riconoscenza per programma finora attuato dal R. Governo. Faupel informa Berlino di quanto precede.

92

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 733/018 R. Parigi, 27 gennaio 1937 (per. il 29).

Mio telegramma filo n. 362 . e telegramma per corriere n. 0173 .

Subito dopo avere veduto il presidente del Consiglio mi recai dal signor Léger al quale riferii innanzitutto quanto era stato detto fra il signor Léon Blum e me sulla politica generale itala-francese. Lo misi quindi al corrente della comunicazione fatta al presidente Blum circa le cose di Spagna.

Il signor Léger esaminò attentamente i termini di essa, osservò che doveva essere studiata con ogni cura, rilevò che in ogni caso era una prova palese delle disposizioni amichevoli dell'Italia cosicché doveva essere apprezzata al suo giusto valore. Anche il signor Léger fermò la sua attenzione sopra la frase relativa all'impossibilità per l'Italia di ammettere l'esistenza nel Mediterraneo di una repubblica bolscevica o bolscevizzante e mi chiese spiegazioni. Gli diedi le medesime che al presidente Blum, al che il signor Léger obbiettò che era molto difficile determinare che cosa si intendesse per una repubblica bolscevizzante. Prova ne era la campagna di stampa condotta in Germania ed intesa a far credere al mondo che la Francia fosse una repubblica bolscevizzante. La ragione di questa campagna era purtroppo chiara: la Germania stava cercando i motivi per, il giorno che giudicasse più opportuno, aggredire la Francia e poneva la maggior cura nel procurare di allontanare da sé ogni possibile accusa di aggressione e dar intendere invece che vuoi difendersi contro il pericolo di un'aggressione bolscevica da occidente. In tale stato di cose la Francia deve essere cautissima nell'ammettere terminologie che potrebbero un giorno essere adoperate a suo danno.

1 Sic. 2 Vedi p. l 06, nota l. 3 Vedi D. 88.

Il signor Léger si lagnò poi meco del perdurare di un atteggiamento che egli definì incomprensibilie da parte della stampa italiana verso la Francia. Lo stesso giorno in cui mi parlava aveva rilevato dai giornali francesi che i commenti italiani al discorso pronunciato del presidente Blum a Lione 1 erano stati astiosi, cosa tanto più strana inquantoché gli stessi giornali tedeschi, pur rilevando, come era naturale, la diversità assoluta di metodo esistente fra il concetto di sicurezza in Francia ed in Germania, avevano riconosciuto che Blum aveva mostrato disposizioni concilianti.

Ho subito fatto osservare al signor Léger che i giornali francesi non riportavano commenti della stampa italiana ma soltanto impressioni dei loro corrispondenti e queste potevano anche essere errate, come succedeva troppo sovente.

Egli si augurò che così fosse, tanto più che non poteva nascondermi l'impressione dolorosa riportata nel leggere l'intervista concessa dal Duce al corrispondente del Voelkischer Beohachter 2 in cui si parlava del solido blocco che rappresentava l'amicizia itala-germanica. Egli aveva costantemente sostenuto nei riguardi del presidente del Consiglio, del ministro degli Affari Esteri e dell'intero Quai d'Orsay che non si doveva drammatizzare l'intesa itala-germanica, dato che essa poteva bensì trovare punti di accordo ma aveva dei limiti difficilmente sormontabili. Oggi, però, dubitava di quanto aveva sostenuto sin qui e si domandava se gli uomini di Stato tedeschi non fossero riusciti ad attrarre completamente l'Italia nell'orbita del germanesimo. Era naturalmente superfluo che egli aggiungesse che una simile eventualità avrebbe conseguenze logiche sui rapporti itala-francesi perché significherebbe una manovra di isolamento della Francia.

Il signor Léger tenne a rilevare meco che fortunatamente i commenti inglesi al discorso di Blum erano stati addirittura «ditirambici», il che prova quanto stretti siano i legami franco-britannici.

Ho ritenuto preferibile lasciare al signor Léger tutti i dubbi espressimi e mi sono quindi limitato a dirgli che l'avvenire dimostrerà quale sia la verità e che intanto ritenevo che egli condividesse il mio parere che convenisse tanto all'Italia che alla Francica di ristabilire relazioni di reciproca fiducia ed amicizia. Non vedevo infatti perché le nostre eccellenti relazioni con la Germania dovessero escludere relazioni altrettanto buone con la Francia. Mi sembrava anzi che non fosse impossibile di far concordare le ideologie apparentemente divergenti tedesca e francese in fatto di accordi internazionali, inquantoché, se gli accordi bilaterali cari a Berlino fossero conclusi simultaneamente tra la Germania e la Francia, la Germania e la Cecoslovacchia e la Germania e la Polonia, si sarebbe creata una rete di accordi non dissimile da quelli collettivi desiderati dalla Francia.

Il signor Léger mi rispose che ero in errore, perché la Germania era bensì disposta a concludere accordi bilaterali con singoli Stati contemporaneamente ma dichiarava categoricamente che era costretta ad escludere che questi singoli Stati che firmassero accordi bilaterali con essa si garantissero reciproca assistenza nel caso in cui uno di loro fosse aggredito dalla Germania. In tal modo la Germania

1 Vedi D. 95.

2 Nell'intervista, Mussolini aveva escluso in termini perentori che l'accordo con la Gran Bretagna potesse comportare un rilassamento dei rapporti tra Roma e Berlino ed aveva ribadito altrettanto nettamente che la collaborazione itala-tedesca era intangibile. Per il testo dell'intervista si veda B. MussOLINI, Opera Omnia, vol. XXVIII, pp. 105-106.

veniva a svelare il suo gioco che consisteva nello staccare in primo luogo dalla Francia i suoi alleati, nell'ottenere in secondo luogo che la Francia venisse meno agli obblighi societari ai quali era sempre rimasta fedele, anche a costo di perdere preziose amicizie (periodo della guerra etiopica) e nel poter finalmente attaccare l'uno o l'altro degli Stati di cui si tratta senza che gli altri potessero accorrere in suo aiuto. La Francia non si sarebbe mai lasciata indurre in inganno dalla Germania, per una quantità di ragioni e sopratutto perché la solidarietà verso lo Stato aggredito sancita dalla S.d.N. era e rimaneva il cardine della politica che univa con vincoli strettissimi la Francia e l'Inghilterra e che costituiva quindi per la Francia una garanzia del più alto valore.

Come V.E. vede, vi fu una notevole differenza fra il modo con cui si svolse la mia conversazione con il presidente Blum e col signor Léger. Nel primo rilevai soddisfazione per un gesto indubbiamente amichevole, desiderio di giungere per gli affari di Spagna ad una intesa fra le varie Potenze interessate e speranza che il tempo vi portasse il suo concorso, volontà di contribuire al ristabilimento di relazioni cordiali con l'Italia. Il secondo, pur riconoscendo che la comunicazione da me fatta al presidente del Consiglio aveva un significato che la Francia doveva altamente apprezzare perché era una prova di amicizia datale dalla Italia, non riuscì a nascondere le gravi preoccupazioni causategli dalla visita in Italia del generale Goering ed il timore che egli nutriva di legami ormai molto stretti tra Italia e Germania. E poiché la Germania è e rimarrà sempre per la Francia una minaccia che non le consente di vivere tranquilla, l'idea che l'Italia, Potenza imperiale e fortissimamente armata, possa in un futuro conflitto trovarsi a lato dei tedeschi è una ipotesi che spaventa, anzi esaspera il signor Léger e tutto il Quai d'Orsay tanto più che i diplomatici francesi si sentono responsabili in parte di quanto paventano.

93

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 732/019 R. Parigi, 27 gennaio 1937 (per. il 29).

Ho intrattenuto il signor Léger delle varie questiom mteressant1 1 rapporti italo-francesi, giusta le istruzioni impartitemi dal'E.V. a Roma la scorsa settimana.

Ospedale di Tunisi e trattative per mettere in vigore gli accordi di Roma concernenti la Tunisia. Gli ho detto che il governo italiano non avrebbe avuto difficoltà a consentire che l'ospedale seguisse la stessa sorte delle scuole italiane, che cioè dal 1955 cessasse di essere istituzione governativa per diventare proprietà di una associazione di beneficenza italiana privata e fosse quindi sottoposto alla legislazione locale. Mi riservavo di fargli un'ulteriore comunicazione al riguardo. Esprimevo intanto il desiderio che, ottenuto questo chiarimento conforme ai suoi intendimenti, il governo francese non tardasse oltre a comunicarci il suo consenso alla costruzione del nuovo ospedale italiano in Tunisi.

Il signor Léger, nel prendere atto di quanto gli avevo detto e dirmi che rimaneva in attesa di una ulteriore comunicazione al riguardo, mi chiese che cosa era stato deciso per l'inizio delle trattative relative alla messa in vigore degli accordi di Roma 1• Gli ho risposto che la cosa interessava i competenti uffici che la stavano esaminando con la maggiore attenzione. Ritenevo che egli condividesse il mio modo di vedere che se le trattative avessero potuto essere iniziate quando l'atmosfera politica fra i nostri Paesi fosse intieramente chiarita esse ne avrebbero tratto grande giovamento. Il signor Léger prese atto amche di questo.

Ferrovia di Gibuti e ritiro dell'ultimo contingente di truppe francesi da Dire Daua. Ho informato il signor Léger che il governo italiano non scorgeva alcun motivo che avesse potuto dare origine alle preoccupazioni del mio viaggio a Roma. Il commendatore Cernili, interpellato in mia presenza, aveva dichiarato di non riuscire a comprendere come mai il signor Michel-Còte, unica persona della ferrovia che egli avesso visto a Parigi, avesse potuto credere che l'Italia considerasse caduchi gli accordi di Roma. A prova delle nostre buone intenzioni nei riguardi della Francia e della ferrovia, ho invitato quindi il signor Léger a far partire per Roma immediatamente, in modo che vi giungesse prima della fine del mese, il signor Michel-Còte per riprendere con le autorità competenti italiane le trattative concernenti l'esercizio della ferrovia. Ho aggiunto che il governo italiano si augurava che il governo francese avrebbe autorizzato l'amministrazione della ferrovia a riconoscere l'Italia come Stato successore dell'ex-Impero d'Etiopia, pagandogli la «redevance» dovuta a quest'ultimo ed accordandogli tutti i diritti spettantigli. Ciò avrebbe agevolato il regolamento degli interessi francesi conformemente al desiderio espressomi di trovare una formula soddisfacente per entrambi, governo italiano e Compagnia della ferrovia.

Il governo italiano non aveva invece compreso come mai il governo francese avesse voluto creare un «juntim» fra la questione della ferrovia e la permanenza a Dire Daua di una compagnia di soldati francesi. Ricordai i precedenti relativi all'invio a Dire Daua del contingente stesso per dedurre che il suo compito era stato puramente di difesa degli interessi e dei beni francesi in un momento torbido durante la guerra, allorché avrebbe potuto accadere, come accadde infatti, che l'autorità del governo etiopico venisse meno e che non fossero ancor giunte a Dire Daua le truppe italiane. L'invio sul posto del contingente francese aveva avuto lo scopo di impedire un saccheggio e delle distruzioni in giorni ed ore critiche. Arrivate però a Dire Daua le truppe italiane, il contingente francese non aveva più nulla da fare colà, tanto è vero che il suo ritiro fu deciso sollecitamente dal governo francese e che si stabilì solamente di procedere ad esso gradualmente. Ripetevo al signor Léger che oggi nulla giustifica più il permanere delle truppe francesi in un punto della Etiopia e che il !asciarvele viene interpretato come una prova di poco buonvolere francese.

Il signor Léger prese nota di tutto quanto gli avevo detto, mi domandò se ne avevo informato anche il presidente del Consiglio ricevendo da me risposta affermativa con l'aggiunta che il signor Blum aveva osservato sembrargli che si trattasse di questioni che potevano essere agevolmente risolte purché vi fosse del buon volere dalle due parti.

I Si riferisce agli accordi italo-francesi del gennaio 1935, per i quali si veda serie settima, vol. XVI, D. 403.

Il signor Léger mi assicurò che ne avrebbe subito intrattenuto i competenti ministeri ed uffici del Quai d'Orsay.

Passaporti det;li italiani che si recano in Etiopia Pia Gibuti. Loro visto da parte delle autorità francesi.

Ho detto al signor Léger che la conversazione che il cavaliere della Porta aveva avuto con l'ambasciatore conte de Saint Quentin in proposito aveva causato poco buona impressione a Roma, dove non si riusciva a comprendere come mai il governo francese non scorgesse l'interesse primordiale che esso aveva ad agevolare agli italiani che si recano in Etiopia l'accesso attraverso la porta di Gibuti. Il governo italiano non riteneva possibile abolire il visto sui passaporti italiani e francesi per l'accesso a tutti i possedimenti coloniali rispettivi, inquantochè la situazione di Gibuti era assolutamente differente da quella di ogni altro possedimento francese. Se ci si fosse posti sopra un terreno pratico, conforme alla realtà, come del resto faceva il governatore della Costa francese dei Somali e come aveva fatto lo stesso signor Léger nelle conversazioni avute meco in passato, si sarebbe trovato la soluzione logica, vale a dire un semplice bollo all'entrata a Gibuti sui documenti di cui fossero muniti i nostri connazionali diretti in Etiopia o reduci dall'Impero. Volevo sperare che il ministero delle Colonie si rendesse conto dell'interesse francese che era principalmente in gioco e non insistesse sopra un principio che, nel caso presente, è fuori luogo.

Il signor Léger, che sa benissimo che il governo francese ha torto, mi rispose di !asciargli il tempo di studiare personalmente tale questione che aveva perduto di vista. Si riservò quindi di riparlarmene fra qualche giorno.

94

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 27 gennaio 1937.

Il prossimo incontro con Rustu Aras è destinato a mantenersi sulle linee generali senza scendere alla trattazione di questioni specifiche.

Tra gli aspetti generali dei rapporti itala-turchi verrà naturalmente in esame anche la questione della partecipazione italiana alla Convenzione eli Montreux. Noi non partecipammo, a suo tempo, ai relativi negoziati, non per ragioni interessanti particolarmente la questione stessa, ma per le note ragioni eli indole generale. Cessate le quali, non vedrei ormai difficoltà a dare la nostra adesione. Non però a Milano; ma successivamente, quando ciò potrà apparire maturo, e cioè quando sarà avvenuto un chiarimento generale delle questioni pendenti fra i due Paesi: tra le altre, e più importante, di quella relativa alla ingiustificata diffidenza turca per gli apprestamenti militari eli Leros.

La nostra adesione a Montreux rappresenta -tra l'altro -anche il solo modo con cui possiamo acquistare il diritto di chiedere un'eventuale revisione della Convenzione.

Mi proporrei pure di accennare al Ministro turco agli interessi italiani privati, culturali e commerciali in Turchia, nel senso che si faccia ad essi in avvenire un trattamento diverso dall'attuale. Tra tali interessi mi riferisco anche all'opera delle nostre missioni archeologiche. Per facilitare un'assicurazione da parte turca, la dichiarazione potrebbe essere reciproca, e cioè: Italia e Turchia si darebbero vicendevolmente affidamenti di trattare in modo amichevole gli interessi turchi in Italia, rispettivamente quelli italiani in Turchia.

A conclusione del colloquio potrebbe essere pubblicato un comunicato come da allegato 1•

95

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 621/194. Parigi, 27 gennaio 1937 (per. il 29).

Il discorso pronunciato dal Presidente del Consiglio domenica scorsa 2 a Lione ha voluto essere, dal punto di vista della politica interna, una dimostrazione della saldezza del Fronte Popolare. A tal fine, è stata particolarmente curata la messa in scena: infatti il signor Blum si è presentato all'uditorio attorniato da ben quindici membri del suo Gabinetto, rappresentanti tutte le tendenze del governo di Fronte Popolare.

Il discorso Blum è stato un discorso ottimista, tendente a trasfondere l'ottimismo dell'oratore nell'uditorio e ad irradiare un senso di euforia nel Paese, come se le cose in Francia si svolgessero nel migliore dei modi possibili.

Il tono del discorso è stato volutamente moderato per radicare nel pubblico l'impressione che il diavolo non è così brutto come si dipinge, cioè che il Fronte Popolare, nonostante le connivenze comuniste, non vuole la rivoluzione ma semplicemente l'evoluzione sociale. Bisogna riconoscere che questa intonazione della politica interna del Fronte Popolare non manca di abilità. Che essa abbia presa in Francia lo credono anche i comunisti, i quali, come rilevava giorni fà il R. incaricato d'affari a proposito del discorso del leader comunista Thorez (cfr. telespresso n. 538/159 del 24 c.m.)' si sforzano ugualmente di moderare il loro tono, per non urtare i sentimenti delle masse e attrarle ad essi.

Mi sembra che, da un lato, questo atteggiamento del Fronte Popolare, e, dall'altro, la voce diffusasi di misure energiche prese da qualche tempo dal ministro della Guerra Daladier per far fronte ad eventuali tentativi di colpi di mano, da qualunque parte essi venissero, hanno determinato, almeno per il momento, una certa distensione nella situazione interna francese.

l Il documento ha il visto di Mussolini. Per il testo del comunicato diramato al termine dell'incontro, si veda Relazioni Internazionali, p. 91.

3 Non rinvenuto.

Per quel che concerne la politica estera, nel reiterare le dichiarazioni di intenzioni pacifiche della Francia verso tutti, il Presidente del Consiglio ha insistito sulla necessità di instaurare una pacificazione generale mediante accordi plurimi e non bilaterali, secondo il concetto della pace indivisibile.

Pur affermando di non volere proporre alla Germania un mercato, il signor Blum ha stabilito una correlazione tra rinuncie politiche (limitazione degli armamenti) che dovrebbe fare la Germania e vantaggi economici che offrirebbe la Francia, cioè, in sostanza, ha condizionato i secondi alle prime.

Inoltre, ha fatto comprendere chiaramente che la Francia non intende abbandonare le sue alleanze: che non le si domandi quindi di rompere l'intesa russa né di allentare i vincoli con la Piccola Intesa.

Ora, questi postulati contrastano nettamente con quelli del governo del Reich, sia nella sostanza sia nel metodo. Infatti, come è noto, Berlino desiderando conservare le mani libere su altri fronti, tenderebbe ad un accordo a due con la Francia e mirerebbe inoltre a svuotare di contenuto il patto franco-sovietico; in quanto al metodo, poi, Berlino insiste su quello degli accordi bilaterali.

Dedurrei quindi da quanto precede che l'accordo franco-tedesco, sogno di gran parte degli uomini politici francesi, non è destinato a divenire realtà in un avvenire prossimo.

Allego il testo del discorso Blum 1 .

2 24 gennaio.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 711/39 R. Ankara, 28 gennaio 1937, ore 18,35 (per. ore 23).

Accordo raggiunto a Ginevra su questione Alessandretta 2 è qui considerato in sostanza come un regresso rispetto alle aspirazioni turche, ma anche rispetto a quello che si sarebbe potuto ottenere lo scorso mese. Stampa naturalmente esalta successo ottenuto ad eccezione Tanin che fa chiaramente trasparire effettivo malumore qui dominante.

Ripiegamento turco è dovuto, da un lato, a scarsa consistenza argomentazioni etnografiche e giuridiche e, dall'altro, a isolamento delegazione turca a Ginevra, nonché a evidenti risolutive pressioni inglesi e, forse, sovietiche.

Come del resto già telegrafai il 17 corrente con n. 273 , governo turco, conscio essersi spinto un poco troppo, era fin da allora disposto ad accettare la prima soluzione transazionale possibile.

1 Non pubblicato. Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Si riferisce all'intesa tra Francia e Turchia relativa ai principi fondamentali su cui doveva basarsi lo statuto di Alessandretta. Il rapporto del ministro degli Esteri svedese, Sandler, che aveva assistito le due delegazioni nelle trattative a Ginevra, era stato approvato dal Consiglio della Società delle Nazioni il 27 gennaio. Per il testo si veda Documenti di Politica Jnterna::.ionale, pp. 326-328.

3 Vedi D. 66.

Nuova situazione così prodottasi influirà senza dubbio su relazioni fra Presidente della Repubblica e governo per ragioni esposte nel citato mio telegramma, con eventuali possibili conseguenze su cui al momento attuale non posso peraltro fare anticipazioni.

Politica Turchia, e per conseguenza di Aras personalmente, dopo i passati successi indiscutibilmente conseguiti a Montreux e con la visita di Re Edoardo 1 , è toccata nel suo prestigio.

Non è quindi da escludere che questo ministro degli Affari Esteri si proponga raccogliere a Milano con V.E. elementi positivi al suo attivo, anche per valersene di fronte al Presidente della Repubblica che non cela apertamente suo malcontento e critiche al suo governo. Giudicherà V.E. come utilizzare a Milano questo stato d'animo di Aras (il quale ha intenzionalmente ricordato ai nostri giornalisti a Ginevra felice incontro che dette origine alla nota politica di Milano) e l'attuale posizione turca nel giuoco politico europeo.

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L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 339/143. Mosca, 28 gennaio 1937 (per. il ] 0 febbraio).

Il nuovo processo antitrotzkista, iniziato si a Mosca il 23 corrente2 , cioè alla distanza di cinque mesi dal primo 3 nel quale, come noto, ebbe tragica fine la vecchia guardia di Lenin, appare per così dire il secondo tempo della tenebrosa campagna sferrata dal Kremlino contro la cosidetta opposizione trotzkista.

Cosa debba intendersi per opposizione trotzkista non è agevole ancor oggi precisare, sia pure alla luce delle risultanze giudiziarie di due clamorosi processi. È tanta la teatralità dell'inscenatura sovietica che gli stessi spettatori della fosca aula delle Assise nel palazzo dei Sindacati, non riescono a precisarsi come il cosidetto «centro parallelo» (gruppo Piatakov, Radek e compagni) o il cosidetto «centro unito» (gruppo Zinoviev, Kamenev e compagni) potessero costituire degli effettivi focolai controrivoluzionari e dirigere attività terroristiche capaci di rovesciare l'attuale regime, data la pesante atmosfera politica esistente e la zelantissima attività della polizia politica che annullano a priori all'interno non solo ogni possibilità strategica di azione controrivoluzionaria ma anche ogni velleità di platonica opposizione. D'altra parte, i cosidetti rivoluzionari trotzkisti sono gli stessi relitti dell'incendio bolscevico del 1917

l Dal 3 al 6 settembre 1936 durante la crociera del Sovrano nel Mediterraneo. Vedi serie ottava, vol. V, D. 23.

2 Processo contro i 17 alti funzionari accusati di alto tradimento, spionaggio ecc. in collusione con Trotzky. Il processo si svolse dal 23 al 30 gennaio e si concluse con la condanna a morte di 13 imputati e a 8-10 anni di prigione per gli altri. Su l'argomento si veda anche il D. 127.

3 Processo contro Zinoviev, Kamenev ed altri 16 esponenti comunisti accusati di alto tradimento in collusione con Trotzky svoltosi dal 16 al 25 agosto 1936 e terminato con la fucilazione di tutti gli imputati.

che getta ancora dei tizzoni qua e là senza esplosioni. Gli odi rimasti fra gli autori di quel cataclisma offrono ancora oggi spettacoli così sinistri.

Invero, l'opposizione trotzkista liquidata con la stessa affermazione staliniana non era che un simbolo il quale poté essere facilmente fatto scomparire con un semplice tratto di penna: bastò la sentenza di fucilazione dei 16 vecchi bolscevichi dell'agosto scorso. Dal 1932, Stalin aveva, come si sa, iniziato coi suoi metodi e con la sua tenacia georgiana il lavoro di epurazione, sia nelle file del partito, sia nel gigantesco apparato statale. Egli aveva a più riprese fatto stringere i torchi per le ammissioni alle funzioni politiche ed amministrative. Contemporaneamente, aveva ordinato altresì epurazioni assai energiche (dit1ìcile sarebbe calcolare anche approssimativamente le cifre degli arrestati e dei deportati) che ebbero luogo al centro ed alla periferia, perseguendosi persino ogni forma di tepidezza o di tentennamento verso il «regime».

Effettivamente Stalin riusciva in tal modo a consolidare la base per così dire logistica della sua dittatura, approfittando abilmente del collasso generale derivante da una accumulazione psicologica di sofferenze subite per la guerra zarista, per la rivoluzione bolscevica, per la guerra civile e per il terrore esercitato ininterrottamente fino ad oggi.

Stalin era andato ancora più in là. Aveva -come si ricorda -tolto alla «sparuta opposizione» ogni possibilità di speculazione sia pur dottrinaria, isolandola da ogni lato. Onde la disparizione dell'Accademia comunista quale possibile rifugio dell'ortodossismo leninista; lo scioglimento della società dei vecchi bolscevichi. I «veterani» della rivoluzione erano quindi posti nell'impossibilità di formare cenacoli. La vecchia guardia di Lenin, prima della fucilazione, era stata confinata in Siberia già fin dal '32 e poi di nuovo nel '34. L'opposizione, non trovando così altro modo di sfociamento, tìnì per ordire segretamente utopistici piani di azione.

L'uccisione di Kirov fu la prima azione terroristica che uscì da tale marasma interno e fu il principio della lotta non più silenziosa, ma apertamente spietata contro questa opposizione di sinistra e che presto diventa lotta contro tutti coloro che allo stalinismo non s'erano piattamente adattati. Per cui l'ideologia primitiva, stinta c ridipinta, si trasforma in un ibridismo adottrinario, lo stalinismo, come dicono i trotzkisti. Trotzki ha lanciato ultimamente il suo libro «La rivoluzione tradita», e Stalin gli risponde ora con il secondo processo dei terroristi, con l'accusa della «patria tradita», di cui i trotzkisti oggi rispondono verso la «giustizia sovietica».

Questo è lo sfondo dell'attuale processo. Talché, distrutto il simbolo della rivoluzione di ottobre con la soppressione violenta della vecchia guardia di Lenin, si passa senz'altro alla distruzione della «banda» trotzkista. Se la sentenza dell'agosto scorso non sterminava che dei rottami messi fuori dai quadri sociali e gelosamente custoditi dalla famigerata polizia sovietica, la pena di morte che grava in quest'ultimo processo, colpisce invece bensì elementi dell'originario bolscevismo leninista ma aventi parte attiva ed eminente nell'apparato statale sovietico. Ovverosia le figure del presente processo se erano di secondo piano nella rivoluzione d'ottobre, rappresentavano fino a qualche mese fa l'élite dirigente dell'Unione sovietica. Difatti, Piatakov era vice commissario per l'industria pesante; Sokolnikov fu vice commissario per gli affari esteri, trattando questioni relative al settore asiatico, dopo essere stato ambasciatore a Londra; Radek è stato per diversi anni lo scrittore aulico del Kremlino, il portavoce del governo, il quale non solo redigeva quasi quotidianamente gli articoli di politica estera per le lsvestia, e talvolta per la Pravda e per diversi periodici, ma dava il la ai colleghi giornalisti che avevano a trattare la stessa materia. Serebriakov era un'autorità tecnica che avendo coperto cariche importanti nel Commissariato dei trasporti, dirigeva ultimamente un vasto settore ferroviario oltre gli Urali.

Come si vede, le figure dell'attuale processo non sono fuori dei quadri sociali come la vecchia guardia di Lenin. Così pure, tutti gli altri 13 accusati figurano appartenenti alle diverse amministrazioni statali. Il serpentaio trotzkista ---~ scrive la Pravda -erasi annidato nei gangli vitali dello Stato. E così è.

I capi di accusa questa volta non sono meno generici, non più logici e non meno sconnessi che nel precedente giudizio penale. Il cosidetto «centro parallelo» trotzkista svolgeva attività antisovietica spionistica, diversiva e terroristica fin dal 1934 allo scopo di «silurare la potenza militare dell'U.R.S.S.; accelerare l'aggressione militare contro l'U.R.S.S.; appoggiare gli aggressori stranieri nell'occupazione del territorio e nello smembramento dell'U.R.S.S.; sconvolgere il regime sovietico e restaurare nell'Unione il capitalismo ed il regime borghese».

Come si vede, la materia appare così vasta da trame argomenti per un capitolo di storia: eppure tutto ciò è appena giudicato sulla falsariga dell'istruttoria, nel breve spazio di una settimana, senza testimoni, senza quasi difesa e autodifesa e addirittura senza contraddittorio, pienamente e disinvoltamente. Se la «giustizia» non vi trova la sua ragione d'essere, la strategia politica ne trae motivo di giustificazione per l'azione di governo. Dapprima per stroncare ogni resto o velleità di opposizione interna e per continuare indisturbato il regime di terrore vigente. In secondo luogo per screditare con maggiore veemenza e più marcate accuse il trotzkismo all'estero, sopratutto attaccandolo per le sue «connivenze» con l'imperialismo germanico e nipponico, intese a «combattere non solo l'attuale regime sovietico ma la stessa integrità territoriale della patria sovietica».

Evidentemente al Kremlino che sta sfruttando tutto questo «gravame giudiziario» non par vero di far «provare con mano» l'anticomunismo di Trotzki, l'antipatriottismo dei suoi agenti che, approfittando del potere e delle funzioni loro affidate, «miravano alla restaurazione del capitalismo, per togliere ai contadini, agli operai ed ai lavoratori intellettuali il frutto delle loro conquiste». La stampa naturalmente se ne giova per lanciare accesi articoli editoriali, carichi d'invettive e di disprezzo. Le lsvestia, in testa alla campagna, scrivono che i rettili trotzkisti volevano togliere al cittadino sovietico le sue libertà per gettarlo come schiavo in preda agli sfruttatori come pure volevano vendere la patria sovietica ai più rapaci predoni fra i nemici imperialisti dell'U.R.S.S.

La pubblicità data a questo nuovo processo contro i trotzkisti dell'opposizione di sinistra ne rivela chiaramente le finalità. Si va al di là della giustizia «riparatrice» per colpire ideologie «deviatrici» ed accomunare alle serpi trotzkiste personalità politiche estere che nell'istruttoria figurerebbero essersi compromesse per contatti e conversazioni avuti cogli accusati. Anche in questo processo giudiziario senza dibattito esulano precisazioni di luoghi e di date; non appaiono documentazioni né prove testimoniali all'infuori degli atti di sabotaggio imputati ai complici del centro parallelo. L'azione giudiziaria è per larga parte un processo alle intenzioni per quanto si riferisce all'accusa di tentativo di silurare la potenza militare dell'U.R.S.S.; di accelerare l'aggressione militare contro l'U.R.S.S.; di appoggiare gli aggressori stranieri nell'occupazione del territorio e nello smembramento dell'U.R.S.S.

Peraltro, non sembra esservi dubbio che taluni atti di sabotaggio nelle miniere e nelle ferrovie costituiscano elementi positivi dell'azione giudiziaria in corso. Ma essi non hanno carattere e portata di movimento rivoluzionario. Tratterebbesi -a quanto è possibile giudicare -di azioni di sabotaggio individuali. Lo prova anche questa volta la piatta obbedienza del partito e la rassegnata passività delle masse, malgrado il disagio economico e le difficoltà di vita sociale. Per cui le cosidette forze deviatrici dell'opposizione di sinistra non vanno molto oltre i componenti il cosidetto centro parallelo controrivoluzionario. Ciò che per Stalin è più che sufficiente per assestare un altro colpo al trotzkismo e «smascherarlo» di fronte all'opinione pubblica interna ed estera.

Le prime risultanze dell'attuale processo offrono già materia per imbastire un terzo atto giudiziario, un altro atto del fosco dramma che incombe sui vecchi bolscevichi. Così è già in corso una nuova istruttoria contro Bukharin, destituitq il 17 corrente dalla direzione delle Isvestia; Putna, già capo di Stato Maggiore dell'Armata in Estremo Oriente ed ultimamente addetto militare a Londra; Rykov, ex commissario delle Poste e Telegrafi; Rakowsky, ex ambasciatore a Parigi; Uglanov, capo della sezione moscovita del Partito. La nuova serie di indiziati figura nell'attuale processo quali conniventi dell'attività controrivoluzionaria degli accusati, sebbene essi appartengano al gruppo di opposizione trotkzista di destra.

Contemporaneamente vengono segnalati altri arresti, fra cui il direttore generale delle ferrovie della Transcaucasia, Rosenzweig. In Ucraina, secondo riferisce il R. Consolato generale a Kiew, trovansi in stato d'arresto sei membri del Comitato centrale del partito comunista ucraino, diversi funzionari tecnici e dell'amministrazione delle ferrovie, oltre alcuni funzionari della G.P.U. È ormai norma costante che la provincia faccia le spese della dittatura.

Con la conclusione del secondo processo si passa all'ultimo «tempo» della parabola del bolscevismo. Intanto l'organo del Kremlino ribadisce il solito monito, avvertendo di essere sempre più vigili e stringersi sempre più strettamente al partito Lenin-Stalin. È un ritornello che si ripete molto spesso. Ed ancora oggi, sui rottami della rivoluzione, il nome di Lenin viene ripetuto quasi a coonestare il processo di «epurazione» permanente 1 .

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 736/9 R. Roma, 29 gennaio 1937 (per. stesso giorno).

Mio telegramma per corriere dell'l l corr. n. 42 . Il cardinale segretario di Stato mi ha dato conoscenza di una lettera dell'arcivescovo di Westminster, del 25 corrente, ricevuta stamane. Monsignor Hinsley

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 44.

informa il cardinale Pacelli di avere dato conoscenza della sua lettera al conte de Sibour. Il signor Tafari, informato, si è manifestato «contentissimo» della comunicazione della Segreteria di Stato e ha desiderato di far pervenire al Pontefice i sensi del suo grato animo.

L'arcivescovo di Westminster sperava di conoscere quello stesso giorno (25 gennaio), il nome del delegato dell'ex imperatore, incaricato di recarsi a Roma, munito di lettere ufficiali per prendere contatto con la Santa Sede.

Ho domandato al porporato se v'era da prevedere che monsignor Hinsley avrebbe telegrafato, considerato che egli può cifrare con la Segreteria di Stato. Il cardinale lo ha escluso; la Santa Sede non si fida dei cifrari, così mi ha detto.

Il conte de Sibour ha dato all'arcivescovo di Westminster le seguenti informazioni sul suo conto. Egli è francese ma ha dimorato a lungo in Inghilterra. Ha avuto posti direttivi nelle associazioni cattoliche di Cambridge. Ha fatto parte, da giovane, della diplomazia francese, ricoprendo il posto di addetto di legazione a Copenaghen al tempo del ministro di Francia Conty. Il de Sibour è ora interessato agli affari della ditta Kinloch and Company, 118 Old Street E.C.2, a Londra.

Da tutto l'insieme si ha l'impressione che sia persona seria. Le indagini sul di lui conto, da parte della Santa Sede, saranno approfondite se il signor Tafari sceglierà lui come suo rappresentante autorizzato 1 .

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.d.N., PILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 766/70 R. Ginevra, 29 gennaio 19 3 7 (per. il 31).

Riistii Aras è partito ieri sera per S. Moritz, dove si tratterrà alcuni giorni nell'attesa di recarsi a Milano per incontrarvi V.E.

Prima della sua partenza, ho offerto a Riistii Aras una colazione, limitata alla delegazione turca e ai miei collaboratori italiani. Durante la colazione, Riistii Aras con la versatilità e loquacità che lo distinguono ha portato la conversazione sui problemi internazionali più importanti. Ritengo interessante riassumere qui di seguito -cercando di dare un ordine alle idee frammentarie esposte durante la conversazione -quanto Riistii Aras è venuto man mano dichiarando a me e agli altri funzionari presenti.

l) Riistii Aras si è dichiarato lieto del successo raggiunto nel componimento della questione di Alessandretta2 , aggiungendo che, per ora almeno, la Turchia non ha altri desideri. Ha riconosciuto che la tesi da lui sostenuta era debole dal punto di vista giuridico, non così da quello politico, perché la Turchia d'oggi non è più quella del 1921 e la pace del vicino Oriente vale più dell'affermazione del

I Si veda, per il seguito, il D. 163. 2 Vedi p. 118, nota 2.

diritto teorico derivante dai trattati e dalla Carta del Mandato. L'affermazione di questo diritto sarebbe in ogni modo -nella ipotesi estrema di un conflitto stata causa di gravi sacrifici per la Francia molto più che per la Turchia. Di fronte del resto alla trasformazione del mandato della Siria in una forma equivalente al protettorato, cui la Francia si accinge, la Turchia non ha tenuto che a garantire i propri interessi nella zona del Mediterraneo che la riguarda da vicino, contribuendo al mantenimento dello status quo e dell'equilibrio in quel settore. D'altra parte, la Turchia ha avuto di mira di salvaguardare l'esistenza nazionale dei turchi del Sangiaccato senza pretesa di turchizzare gli arabi. Circa i poteri del Commissario francese, Rtistti Aras ha detto che la sua presenza non rappresenta che una soddisfazione concessa al prestigio francese. Circa il carattere revisionista della soluzione, egli ha fatto una distinzione: la Turchia «n'est pas revisionniste, mais demanderesse»; essa chiede quanto le sembra giusto nel proprio interesse. Negando cioè l'etichetta, si tiene al contenuto. Per ora non «domanderà» più nulla, considerandosi soddisfatta.

2) Nei riguardi della situazione generale europea, Rtistti Aras ha detto che se si lascia andare l'acqua per la sua china, anche senza far nulla per accelerarne il corso, la Francia verrà a trovarsi molto a malpartito in breve volger di tempo e ne seguirà la déhandade generale. Egli intendeva riferirsi al lato economico. Prevede infatti per l'autunno, ove accordi di larga portata non intervengano, una nuova svalutazione del franco seguito dalla sterlina e dal dollaro. È più ottimista per quanto riguarda le probabilità di guerra. Nessuno la vuole; la Germania stessa, anche se mal ridotta dal punto di vista economico, non si lancerebbe in un conflitto, perché ha spirito e forza di resistenza eccezionali. È tuttavia da riconoscere che, superate le difficoltà economiche, lo scopo della Germania sarà in definitiva di giungere all'unione di tutti i tedeschi.

Il segreto della pace europea è l'intesa della Germania con la Russia, ciò che svuoterà di significato l'alleanza franco-sovietica. Nessun contrasto di interessi reale esiste tra la Germania e l'U.R.S.S. e l'atteggiamento antibolscevico della Germania è una manovra contingente. Aras ritiene che si dovrà giungere ad un accordo sulle questioni toloniali e delle materie prime, ed ha precisato che, secondo lui, occorrerebbe restituire alla Germania il Camerun. L'Inghilterra e la Francia devono comprendere che questa è la migliore soluzione, che dovrebbe essere inoltre accompagnata da prestiti ai Paesi che ne hanno bisogno: l'Inghilterra, la Francia e i Paesi provvisti di denaro, dovrebbero darne alla Germania, all'Italia ed ad altri. È sempre un migliore affare impiegare i propri capitali in prestiti che in guerre.

3) Circa gli avvenimenti spag!loli, Rtistii Aras si è dichiarato scettico per quanto riguarda le possibilità di stabilire un controllo, tanto più che un eventuale controllo navale dovrebbe essere fatto da tutte le Potenze mediterranee. Senonché la Germania e la Russia pretenderebbero di partecipare al controllo: è evidentè che, né l'Inghilterra e la Francia vorrebbero consentire alla Germania di affermarsi nel Mediterraneo, né l'Italia ammetterebbe che navi da guerra russe passino dal Mediterraneo stesso. Aras ha soggiunto che sarebbe forse immaginabile una soluzione bipartita, consistente nell'affidare il controllo navale delle coste atlantiche all'Inghilterra, Francia, Germania e Russia, e quello delle coste mediterranee alle varie Potenze mediterranee, con esclusione della Germania e della Russia.

Secondo il ministro degli Affari Esteri turco, la vittoria di Franco era in un primo tempo auspicata anche dall'Inghilterra e da una buona parte dell'opinione pubblica francese. Oggi non sarebbe più così: anche le destre francesi temono l'installarsi dell'Italia e della Germania al sud dei Pirenei.

4) A questo riguardo, Aras ha detto che la Turchia non ha nessun interesse di trasportare una guerra dal Mediterraneo al Mar Nero o viceversa, e che la clausola riguardante il passaggio delle flotte attraverso gli Stretti in forza di accordi bilaterali di mutua assistenza contratti nel quadro della S.d.N. e da questa approvati, entrerebbe in giuoco solo qualora la Turchia facesse parte di questi accordi bilaterali. Aras ha aggiunto che egli si guarderà bene dall'entrare in combinazioni di questo genere.

5) La questione etiopica -secondo Aras -ha profittato ai principali Stati europei nel seguente ordine: Italia, Germania, Inghilterra, Turchia. Chi ci ha perduto è la Francia.

L'Italia ha guadagnato l'Impero.

La Germania ha guadagnato la militarizzazione della Renania, l'amicizia dell'Italia, i dissensi italo-francesi, una posizione di primo ordine in Europa che le consente di avanzare nuove pretese.

L'Inghilterra si è impiantata nel Mediterraneo orientale con nuove basi navali, si è introdotta nella politica balcanica, ha accelerato il «doppiaggio» di Suez per via di terra su Akaba e sul Golfo Persico, ed ha inoltre recuperato la Francia che aveva perduto al momento degli accordi italo-francesi del gennaio 1935 1•

La Turchia infine ci ha guadagnato gli accordi di Montreux.

Chi ha perduto tutto è la Francia. Lavai con i suoi accordi con l'Italia del gennaio 1935 è stato la causa del dissidio italo-inglese. Infatti l'Inghilterra ha temuto che l'unione italo-francese nel Mediterraneo la relegasse al terzo posto in quel mare. Lavai, di fronte all'oscillante politica inglese sul continente troppe volte debole nei confronti della Germania e delle sue rivendicazioni, aveva voluto scostarsi dalla politica tradizionale francese di stretta colleganza con l'Inghilterra ed appoggiarsi all'Italia. Vi sarebbe riuscito con un netto profitto se non ne fossero derivati il risentimento e le preoccupazioni britanniche. Senza gli accordi del 1935, la conquista dell'Etiopia sarebbe andata liscia per quanto riguarda l'Inghilterra.

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IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 787/05 R. Sofia, 29 gennaio 1937 (per. ilio febbraio).

Questo Presidente Consiglio nel mettermi a parte delle impressioni riportate da Belgrado2 mi ha detto fra altro che ministro Ungheria in Jugoslavia 3 , suo vecchio

l Vedi serie settima, vol. XVI, D. 403. 2 In occasione della lìrma del trattato tra Bulgaria e Jugoslavia del 24 gennaio. 3 Waldemar d'Alth.

collega ed amico, gli aveva chiesto in via strettamente confidenziale e personale se governo jugoslavo aveva preteso dal governo bulgaro qualche impegno o dichiarazione scritta circa frontiere, minoranze o integrità Stato jugoslavo, concomitante alla firma del Patto di amicizia, aggiungendo che faceva tale domanda perché Jugoslavia avanzava simile richiesta alla Ungheria, precisando che sarebbe stata stimata sufficente una pubblica dichiarazione simile a quella fatta dal ministro Viola quando presentò sue lettere credenziali 1•

Kiosseivanov gli aveva confermato che Bulgaria non aveva assunto nessun impegno segreto e che nessuna richiesta o condizione era mai stata avanzata nel corso delle trattative. Da questo colloquio, Kiosseivanov deduce che le conversazioni tra Belgrado e Budapest per giungere ad un formale riavvicinamento debbono essere piuttosto avanzate.

Salvo quanto ora riferisco, nessun altro sintomo mi risulta finora che possa esser posto in relazione col contenuto del telegramma filo di V.E. n. 8 del 27 gennaio2 .

Appena fu di ragion pubblica la firma imminente del patto di amicizia tra Bulgaria e Jugoslavia, questo mio collega ungherese 3 venne a trovarmi dicendomi che prima di riferire in proposito a Budapest desiderava conoscere cosa io pensassi: in quell'occasione mi sembrò comprendere che a suo avviso l'avvenimento non doveva essere accolto come nocivo per gli interessi ungheresi, riferendosi sopratutto alla impressione generalmente diffusa che prenda piede in Jugoslavia la tendenza a riavvicinarsi a Roma e a Berlino 4 .

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IL CONSULENTE GIURIDICO, PERASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 29 gennaio 1937.

L'Italia, data la formulazione dell'art. 27 della Convenzione nel regime degli Stretti, firmato a Montreux il 20 luglio 1936, è il solo Stato, al quale è data la facoltà di aderire alla Convenzione stessa.

L'adesione, come è stato dichiarato nel corso dei lavori della Conferenza di Montreux, avrebbe per effetto di far acquistare dallo Stato aderente la condizione giuridica di Parte contraente, e quindi i diritti che secondo vari articoli della Convenzione sono attribuiti alle Parti contraenti.

1 Vedi serie ottava, vol. XVI, D. 716, allegato l.

2 T. 296/8 R. del 26 gennaio. Ritrasmetteva a Sofia il T. 23IICR. del 21 gennaio, per il quale si veda p. 96, nota l. 3 Péter Matuska. 4 Con altro telegramma per corriere dello stesso giorno, (788/06 R.), il ministro Sapuppo aggiungeva

di avere appreso da Kiosseivanov che Stojadinovic, nel ribadire la sua simpatia per l'Italia, aveva detto «che pur non volendo rompere con la Francia non può non tener conto dei legami che uniscono il governo di Parigi a quello di Mosca, al quale il governo di Belgrado continua ad essere profondamente ostile».

Fra tali diritti, per i quali le Parti contraenti vengono ad avere nei riguardi del regime presente e futuro degli Stretti una speciale posizione giuridica che le differenzia dalle altre Potenze, sono particolarmente da rilevarsi i seguenti:

a) art. 21 -diritto delle Parti contraenti di apprezzare, a maggioranza, se le misure prese dalla Turchia in caso di minacce di guerra sono giustificate; b) art. 24 -diritto di essere informate dal Governo turco del movimento delle navi da guerra negli Stretti; c) art. 28 -diritto di denunciare la convenzione con effetti di produrne l'estinzione rispetto a tutti; d) art. 29 -diritto di proporre modificazioni alla Convenzione e di partecipare alle conferenze di revisione.

È opportuno che sia preventivamente chiarito che l'adesione eventuale dell'Italia alla Convenzione importa che l'Italia acquisterebbe, senza restrizioni, tutti i diritti attribuiti dalla Convenzione alle altre Potenze contraenti.

È da rilevare a questo riguardo che l'art. 21 -il quale attribuisce alle Potenze contraenti una funzione di particolare importanza politica quale è quella di giudicare se le misure prese dalla Turchia in caso di minacce di guerra siano giustificate-usa (non si sa se per semplice inesattezza redazionale) l'espressione «Hautes Parties contractantes signataires de la présente convention». Sebbene un'interpretazione restrittiva di questa formula, nel senso di limitare il diritto previsto nell'art. 21 alle Potenze contraenti che hanno firmato a Montreux la Convenzione, sarebbe in contrasto con le dichiarazioni della Turchia sulla posizione giuridica di uno Stato aderente, sembra che questa formulazione offra un particolare motivo per ottenere, prima del deposito dell'eventuale adesione, un'assicurazione formale sugli effetti giuridici dell'adesione stessa.

Secondo l'art. 23 l'adesione deve essere notificata al Governo della Repubblica francese, che è anche depositario degli atti di ratifica.

Sembrerebbe quindi opportuno che, prima dell'eventuale adesione, si provocasse da parte del Governo francese, previa consultazione delle altre Potenze contraenti, una dichiarazione di accordo sull'interpretazione che il Governo ik!liano ritiene di dare alla Convenzione, nel senso che l'adesione dell'Italia avrebbe l'effetto di far acquistare all'Italia gli stessi diritti che le disposizioni delle Convenzioni attribuiscono alle altre Parti contraenti, anche per quanto concerne l'applicazione dell'art. 21.

Sembrerebbe anche opportuno che l'adesione italiana fosse preceduta da una conferma delle riserve per il modo nel quale la convenzione di Montreux, destinata a sostituire quella di Losanna del 1923, è stata messa in vigore.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 293/92. Roma, 29 gennaio 1937 (per. il ] 0 jèbbraio).

Ogni volta che lo vedo, il cardinale segretario di Stato mi parla della situazione insostenibile fatta ai cattolici in Germania. V'è stato un certo miglioramento riguardo ai processi intentati agli Ordini religiosi per preteso contrabbando di valute ma per tutto il resto le cose hanno preso, a quel che pare, una piega sconcertante.

Il cardinale mi ha domandato, anche stamane, se potevo dargli qualche notizia in relazione alla visita a Roma del primo ministro di Prussia 1•

Ho risposto che l'interessamento dell'E. V. si era svolto nell'estate scorsa 2 con il risultato, constatato appunto dalla Santa Sede, della sospensione dei processi. Non avevo saputo più nulla.

Il porporato si è rammaricato dell'impossibilità d'indurre il Reich a mutare atteggiamento. Ha detto che la guerra fatta dalle Autorità del Reich contro tutto quello che è cristiano è condotta con sistematica pertinacia.

Il cardinale segretario di Stato, che in genere alza la voce e si irrita quando parla delle questioni religiose in Germania, negli ultimi tempi ha mutato tono, si esprime pacatamente ma con fermezza. Stamane, mentre gli ripetevo che non avevo notizia di ulteriori nostri interventi a Berlino, il cardinale ha ripetuto due o tre volte con evidente intenzione, non so come andrà a finire. Non escluderei che la Santa Sede, istigata dai cardinali e vescovi tedeschi nella loro visita a Roma, pensasse a una rottura. Mi riservo di approfondire questo punto. La mia impressione, perché si tratta soltanto di una impressione, deriva dalle parole dettemi dal cardinale e dal tono con cui sono state pronunciate. Prego pertanto considerare. per il momento, riservata l'ultima parte del presente telespresso.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 755/76 R. Londra, 30 gennaio 193 7, ore l,46 (per. ore 8).

Dopo la secfuta di ieri del Sottocomitato, Plymouth ha chiesto di parlarmi in via personale. Mi ha detto che aveva notato miei interventi diretti a sbarrare la strada ad una possibile partecipazione di navi sovietiche nelle pattuglie di sorveglianza previste dal piano di controllo preparato dagli esperti. Egli teneva ad assicurarmi che il governo inglese condivideva la stessa mia preoccupazione, e appunto per questo egli, Plyrnouth, era d'accordo con me e con rappresentante tedesco, per cercare di fare approvare dal Sottocomitato il progetto di divisione delle coste spagnole in zone la cui sorveglianza sarebbe stata affidata ad ognuna delle quattro Potenze (Italia, Inghilterra, Germania, Francia) che avevano già unità navali nelle acque spagnole. Purtroppo possibilità di questo progetto gli pareva ormai più che dubbia. Ambasciatore dell'U.R.S.S. 3 aveva ieri stesso, in conversazione privata con lui, sollevato formalmente la questione e gli aveva comunicato che governo sovietico intendeva nel modo più categorico non essere

I Si riferisce al soggiorno in Italia di Goring dal 13 al 23 gennaio per il quale si vedano i DD. 55,

60e 109.

2 Vedi serie ottava, vol. IV, DD. 636 e 704 e vol. V. DD. 85 e 150.

3 Ivan Maisky.

escluso dalle pattuglie di sorveglianza. Egli, come Presidente, non poteva purtroppo impedire alla Russia di porre la propria candidatura, sebbene avesse ragione ritenere che quasi tutte le delegazioni nel Comitato avrebbero visto molto sfavorevolmente navi sovietiche nelle acque della Spagna. D'altra parte, da quanto ambasciatore dell'U.R.S.S. gli aveva dichiarato, Plymouth aveva ricavato impressione che troppo netta e aperta opposizione alla richiesta russa finirebbe con compromettere progetto di controllo attualmente in discussione 1•

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 770/15 R. Bucarest, 30 gennaio 1937, ore 13,40 (per. ore 18,15).

A mezzo persona di fiducia ho fatto ripetere a Re Caro! conversazione che ebbi con primo ministro (mio telegramma n. 11 ventidue corrente) 2 circa nuovo tentativo franco-cecoslovacco di conversazioni con Jugoslavia e Romania per rafforzare vincoli ed obblighi della Piccola Intesa mediante «Patto regionale».

Dalla conversazione col Re mio fiduciario ha riportato seguenti impressioni:

l) Governo romeno non ha opposto una fin de non recevoir per non scoraggiare buone disposizioni della Francia e della Cecoslovacchia a favore di prestito e forniture per riarmamento Romania.

2) Romania sarebbe d'accordo con Jugoslavia nel gioco di coprirsi ciascuno dietro riserve e difficoltà opposte dall'altro.

3) Né Jugoslavia, né Romania intendono legarsi contro Germania e Italia.

4) Re Caro! penserebbe accedere patto mutua assistenza nel solo caso che esso fosse concluso «anche sotto gli auspici dell'Inghilterra».

Quest'ultimo punto acquista particolare interesse alla luce di una informazione pervenutami da fonte sicura secondo cui Presidente Benes avrebbe confidato al sottosegretario Stato Affari Esteri romeno, Badulescu, che l'Inghilterra vede con favore progetto Patto e che sua conclusione incoraggerebbe Gran Bretagna sulla strada di un concreto e preciso interessamento alla sicurezza in Europa Centrale.

È da supporre che Re Caro! capovolga abilmente pensiero di Benes e si disponga a «condizionare» conclusione accordo a previe assicurazioni e garanzie da parte britannica.

Sarebbe interessante far controllare quanto precede a Praga e Londra. Mio fiduciario mi ha poi detto che in definitiva arbitro adesione romena è Re Caro! il quale vuole procedere in questa questione con la prudenza.

I Il documento ha il visto di Mussolini. Lo stesso giorno, Grandi aveva anche un colloquio con l'ambasciatore francese, Corbin, il quale gli assicurava «in via confidenziale che il suo governo non era affatto desideroso di vedere navi sovietiche montare la guardia lungo le coste spagnole» (T. 772/81 R. del 30 gennaio).

2 Vedi D. 81.

105

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 731/63 R. Berlino, 30 gennaio 1937, ore 21,07 (per. ore 1,30 del 31 ).

Oggi ha avuto luogo atteso discorso Hitler 1•

Aula gremita vibrante. Corpo diplomatico al completo ad eccezione ambasciatori Russia, Inghilterra, Francia, astenutisi per paura -dichiarata -di eventuali «sorprese».

La più grande sopresa per altro in materia politica estera è stato invece proprio l'annuncio-in sé graditissimo-che «epoca delle sorprese è finita». Nonostante questo, tuttavia, e le reiterate espressioni delle intenzioni pacifiche e della volontà di collaborazione della Germania, è mancato il ramo di ulivo che parecchi speravano. Hitler ha nuovamente espresso volontà, oltre che di vivere in pace con tutti i vicini, anche di garantire integrità Belgio Olanda, ma ciò anche senza nessuna connessione con una nuova Locarno, cui anzi non ha neppure accennato.

Il discorso che-dato uomo e precedenti (Norimberga)2 -è stato in fondo moderato, mentre ha completamente ignorato Blum, ha avuto forti e talvolta un poco aspri spunti nei riguardi Eden, spunti che, pur giustificati dalle recenti e poco opportune manifestazioni del ministro inglese3 , hanno tuttavia disilluso quei circoli diplomatici nei quali si accarezzava l'idea-del resto un poco coltivata dagli stessi circoli ufficiali -che discorso sarebbe stato decisamente conciliativo e avrebbe segnato un passo importante verso pacificazione Europa. Questo è invece mancato e, ripeto, per diretta volontà del Cancelliere del Reich.

Per Italia Hitler ha avuto vari accenni relativamente fuggevoli ma tutti molto simpatici, specialmente quello in cui dopo avere smentito il cosidetto isolamento della Germania, è stato «felice» di constatare che le relazioni con noi sono «intime e cordiali» oppure-altrove-«Cordiali ed eccellenti». (Particolare interessante: la baronessa von Neurath era stata dal protocollo collocata, nella tribuna diplomatica, tra l'ambasciatore e l'ambasciatrice d'Italia).

Anche nella politica interna nessuna sorpresa di carattere costituzionale, oltre quella -in fondo secondaria -già annunziata negli ultimi due giorni.

La posizione preminente di Goering ha ricevuto nuove conferme esteriori e visibili, ma non quella costituzionale che alcuni credevano: che anzi, il discorso è stato tutto un'affermazione di autorità e di volontà, unica ed inscindibile.

Reazioni fino ad ora raccolte tra colleghi Corpo Diplomatico non sono eccessivamente favorevoli.

1 Discorso al Reichstag per il quarto anniversario dell'arrivo al potere. 2 Si riferisce al discorso del 14 settembre 1936 al congresso del partito nazionalsocialista. Vedi serie ottava, vol. V, DD. 55, 60 e 109.

3 Il 19 gennaio, parlando ai Comuni, Eden aveva detto: «L'avvenire della Germania e la parte che essa ha ora in Europa costituiscono oggi la maggiore preoccupazione europea. Si tratta di una grande nazione di 65 milioni di persone, proprio nel centro del nostro Continente, che ha esaltato la razza ed il nazionalismo in un credo che è praticato con lo stesso fervore con cui è predicato. Il mondo si chiede ora dove queste dottrine condurranno la Germania, dove esse porteranno tutti noi».

Notato particolarmente l'insistente «perdete ogni speranza» in materia di disarmo. È da prevedere peraltro che in un secondo momento, le impressioni sul fondo del discorso miglioreranno.

106

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 339/33 R. Roma, 30 gennaio 1937, ore 24.

Suo n. 61 1 e telegramma 171 2 di codesto addetto militare.

Ho trasmesso a V.E. col corriere di ieri la risposta di Franco3 e alcune precisioni sulla fornitura di materiale richiesto all'Italia.

Secondo generale Sperrle, sulla base dati forniti ora da spagnoli, abbastanza completi, problema munizionamento nazionalista, in caso di blocco, sarebbe realmente assai grave. Sperrle, d'accordo con Faupel, verrà a Berlino per patrocinare consegna esplosivi richiesti. Egli ha anche accennato che dati esposti da Goering in noto verbale 4 circa forniture tedesche a Franco sono in alcuni punti notevolmente superiori realtà.

Per quanto lo riguarda, R. Governo è disposto a soddisfare nei limiti del possibile la richiesta del generale Franco, tenendo conto delle precisioni che ha sollecitato dalla Missione Militare in O.M.S.

107

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 341/34 R. 5 . Roma, 30 gennaio 1937, ore 24.

Informi Neurath che: l) colloquio con Aras avrà luogo in seguito a richiesta turca; 2) che non mi propongo raggiungere particolari intese o formulare accordi: si tratterà soltanto di una ripresa di contatto per chiarificare l'atmosfera oscurata dalle recenti vicende mediterranee;

l T. 738/61 R. dei 29 gennaio. Riportava le informazioni raccolte dall'addetto militare, colonnello Marras, circa le reazioni provocate a Berlino dalle richieste di materiale avanzate da Franco (si veda la nota successiva).

2 T. Z/1407/171 del 29 gennaio di Marras al Servizio Informazioni Militare. Riferiva che al ministero della Guerra tedesco le richieste di Franco erano considerate molto elevate, tanto da far ritenere che fosse possibile accoglierle solo in parte. Si desiderava, pertanto, conoscere le intenzioni dell'Italia per concordare una risposta.

3 Vedi D. 91.

4 Vedi D. 55.

5 Minuta autografa.

3) che, pur facendo conoscere che nulla osta in massima, a Milano non darò l'adesione al trattato di Montreux. Conterei riservarmela per quando la Turchia crederà fare un gesto più esplicito nei nostri confronti, come ad esempio il riconoscimento de jure dell'Impero;

4) che il tutto si concluderà con un comunicato alla stampa.

108

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 343/39 R. Roma, 30 gennaio 1937, ore 24.

Suo telegramma 42 1•

Non mi rendo ben conto del punto di vista del signor Léger. Il contratto di concessione per la ferrovia di Gibuti venne stipulato fra l'ex governo etiopico e la Compagnia ferroviaria. Mi pare evidente che è la Compagnia che deve oggi, in applicazione del contratto, riconoscere al governo italiano i diritti che la concessione attribuiva al governo etiopico. E ciò indipendentemente da quelli che possono essere i rapporti fra la Compagnia ed il governo francese. È ovvio che da parte nostra non potremmo accettare una sostituzione del governo francese alla Compagnia nella concessione ferroviaria. Comunque Michel-Còte sta per giungere a Roma e sentiremo quanto avrà a dirci. Dopo di che mi riservo di risponderle2 .

109

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 449/125. Berlino, 30 gennaio 1937 3 .

A seguito del mio telegramma n. 584 ho l'onore di qui unito trasmettere il testo tedesco, con traduzione allegata, degli appunti compilati dal dott. Schmidt5

1 Con T. 739/42 R. del 29 gennaio, l'ambasciatore Cerruti riferiva di avere appreso da Léger che il governo francese intendeva condurre direttamente tra i due governi le trattative sul nuovo statuto della ferrovia Gibuti-Addis Abeba, non essendo pensabile, secondo il Quai d'Orsay, che trattative così delicate fossero affidate a dei privati.

2 Per il seguito, si veda il D. 122.

3 Manca l'indicazione della data di arrivo.

4 T. 729/58 R. del 29 gennaio: preannunciava l'invio del verbale qui allegato.

5 L'originale tedesco del verbale non è stato ritrovato negli archivi tedeschi (vedi DDT, serie C., vol. VI, p. 341 ).

circa la conversazione svoltasi tra S.E. il Capo del Governo, il Generale Goring e l'E.V. nelle ore antimeridiane di sabato 23 gennaio u.s. 1•

Appunti sul colloquio che ha avuto luogo il 23 gennaio 1937 in Roma al Pala2:::o Venezia

fra il Duce e il Presidente del Consiglio prussiano Goring2 .

Presenti: Ministerprasident Goring, il Duce, il conte Ciano, il consigliere di Legazione Schmidt.

Ad una domanda del Duce circa le impressioni del suo viaggio in Italia, il Ministerprasident Goring rispose che di tutto quanto egli ha veduto e sentito, riporterà con sé in Germania una forte impressione; in modo particolare lo ha interessato la sua visita a Guidonia. Egli ha constatato che l'Arma Aerea italiana è animata da un forte ottimismo, il che è perfettamente naturale e da approvare. In ciò vi è però anche un certo pericolo di sopravalutare la forza di combattimento dell'Arma Aerea rispetto alla Marina. Anche in Germania ci si è occupati della questione della forza relativa dell'Arma Aerea; egli (Ministerprasident Goring) non crede che una forza aerea possa distruggere, in modo veramente decisivo, una flotta navale. A tale proposito si sarebbero fatte delle esperienze con bombe da 250 kg lanciate sull'incrociatore spagnolo Jaime: nonostante che la nave sia stata colpita bene, tanto da far esplodere perfino le camere delle munizioni, essa avrebbe potuto -se anche con forte inclinazione laterale -raggiungere il porto e essere riparata in modo tale da poter essere rimessa in servizio. Da questa esperienza risulterebbe chiaramente che gli aeroplani non sono in grado di distruggere delle navi corazzate.

Il Duce ammise di avere pure egli dei dubbi circa l'impiego dell'Arma Aerea contro la Marina. Anche in Italia ci si troverebbe a tale proposito ancora nello stadio delle riflessioni.

Il Ministerprasident Goring rilevò poi la protezione straordinariamente forte delle navi in rapporto alla superficie da proteggere dato che tutte le navi da guerra disporrebbero di un forte numero di cannoni controaerei. Si avrebbe inoltre la difficoltà che da alte quote difficilmente si possono colpire le navi, mentre le bombe, lanciate da quote troppo basse, non avrebbero la necessaria forza di penetrazione. Si sarebbe inoltre fatta la esperienza che i siluri, lanciati dagli aeroplani, molto spesso passerebbero sotto il bersaglio, poiché -data la loro posizione di partenza, che è più alta di quella dei siluri delle navi -ben spesso essi immergono anziché galleggiare immediatamente sotto la superficie dell'acqua. Nonostante tuttociò si dovrebbe tener conto che un'Arma Aerea può affaticare e logorare delle forze navali cacciandole continuamente ftori dai porti; l'aviazione non potrebbe però distruggere una flotta navale. Il Fiihrer gli (al Ministerprasident Goring) avrebbe posto ufficialmente il quesito, se non sarebbe meglio di impiegare il denaro necessario per la costruzioni di una nave da 35.000 tonnellate per la costruzione di aeroplani. Nonostante la sua carica di Ministro dell'Aeronautica egli non avrebbe potuto, dopo una ponderata riflessione, sconsigliare la costruzione della nave da 35.000 tonnellate; quale miglior

l Il documento ha il visto di Mussolini. Il verbale allegato fu inviato in visione al Re con lettera di Ciano al ministro della Real Casa, Mattioli Pasqualini, del 4 tèbbraio.

2 Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 126-142.

~

soluzione egli avrebbe soltanto proposto di costruire la nave e di stanziare la stessa somma per l'ulteriore sviluppo dell'Arma Aerea. Epperciò bisognerebbe a tutti i costi tener d'occhio gli armamenti navali, considerando anche che l'Inghilterra sta costruendo 5 navi corazzate in sopranumero al suo programma regolare.

Il Duce rispose che prossimamente l'Italia avrà 4 nuove navi, precisamente: 2 navi trasformate e 2 navi nuove da 35.000 tonnellate, cosicché l'Italia finirà per avere in tutto 8 navi corazzate. A queste si aggiungono 24 navi da 8.000 tonnellate ognuna del tipo Condottieri nonché 100 sommergibili.

Il Ministerprasident Goring fece allora presente che l'Italia con 8 navi, la Germania con altre 8 ed il Giappone con almeno altre 12 costituirebbero una forza navale molto considerevole rispetto ad altri Paesi.

fn Germania, si è d'altra parte straordinariamente contenti del fatto che l'Italia abbia trovato un modus vivendi con l'Inghilterra. Il Duce sottolineò l'importanza di una forte Flotta navale poiché soltanto questa potrebbe assicurare all'Italia la libertà nella sua politica continentale.

Il Ministerprasident Goring aggiunse allora, che con la sua campagna abissina, l'Italia ha dato la prova di saper portare a termine la sua politica anche senza l'Inghilterra, il che nei tempi passati era sempre stato ritenuto come cosa impossibile.

Il Duce dichiarò che l'Italia si tiene possibilmente riservata nei riguardi dell'Inghilterra senza perciò misconoscere che p. es. l'ultimo discorso di Eden 1 è stato considerato particolarmente cattivo. Questo discorso è diretto contro l'Italia e la Germania ed egli (il Duce) è del parere che -allorché il Fi.ihrer parlerà prossimamente -questi dovrebbe tenere un discorso molto forte (eine sehr starke Rede), poiché la Germania avrebbe un esercito e un'Arma Aerea forti e che fra breve essa sarebbe molto forte anche per mare. Nei discorsi inglesi si vedrebbe sempre ritornare il vecchio progetto di offrire alla Germania dei vantaggi economici per aver in compenso delle concessioni nel campo politico. Questo sarebbe un gioco vile già ripetutamente tentato -anche altrove -dall'Inghilterra.

Il Ministerprasident Goring esprimeva dal canto suo la convinzione, che il Fi.ihrer, nel suo prossimo grande discorso davanti al Reichstag, sottolineerà molto fortemente l'asse Berlino-Roma e che rileverà, in base a numerosi esempi degli anni scorsi, la falsità della politica degli Stati democratici. Si dovrebbe inoltre respingere che Eden, nel nome dell'Inghilterra, si assuma le arie della gouvernante del mondo, dichiarando che simili consigli dell'Inghilterra sono privi d'interesse per la Germania. Al governo tedesco importerebbe poco se una cosa susciti in Inghilterra un'impressione buona o cattiva; la politica tedesca appare basata su interessi prettamente tedeschi. La Germania guarderebbe con grande diffidenza l'idea di nuove conferenze riguardanti l'economia mondiale oppure le materie prime e a tale proposito essa manterrebbe un contegno di aspettativa. In modo non ufficiale si è fatto sapere alla Germania che si sarebbe disposti a farle delle concessioni a condizione che essa abbandoni dapprima il piano quadriennale.

Nei riguardi della politica francese non si vedrebbe molto chiaro in Germania. Negli ultimi tempi la Francia avrebbe più del solito dato segni di voler giungere ad un modus vivendi con la Germania. Il Fi.ihrer risponderebbe a questi tentativi

I Vedi p. 130, nota 3.

dicendo di avere già più volte mostrato la sua buona volontà al riguardo. Tratterebbesi però di ricevere delle proposte concrete da parte della Francia. La Germania si opporrebbe peraltro a tutti i tentativi di collegare vantaggi economici con contropartite politiche. Da parte tedesca si desidererebbe trattare le cose economiche su base prettamente commerciale, essendosi del parere che la soluzione delle questioni politiche debba avvenire in modo assolutamente separato da ogni cosa economica e soltanto sulla base di accordi ragionevoli. Nella situazione attuale, gli unici garanti della pace appaiono essere d'altra parte soltanto quegli Stati alla testa dei quali si trovano degli uomini che hanno dietro loro l'intero popolo e che quindi possono anche assumere degli impegni definitivi nel nome e con l'approvazione dei popoli stessi. Nei Paesi democratici non si saprebbe mai se un governo, col quale ci si è messi d'accordo oggi, sia al timone ancora domani.

A questo punto il Duce disse che secondo il suo modo di vedere le uniche vere democrazie, sarebbero la Germania e l'Italia; egli accennò anche all'allora imminente discorso domenicale di Léon Blum 1 , nel quale questi molto probabilmente avrebbe preso posizione anche sulla questione dei volontari.

Il Ministerprasident Goring disse di aver ricevuto una comunicazione autentica2, che il governo di Burgos avrebbe incaricato il suo rappresentante a Berlino di non assumere più volontari per la Spagna.

Il Duce prese con soddisfazione atto di tale comunicazione e dichiarò ritenere egli pure, che il governo nazionale spagnolo abbia ora a sufficiente disposizione soldati ed armi. La nota comune della Germania e dell'Italia a Franco, è stata nel frattempo consegnata3 ; nelle capitali dei due Paesi verrà inoltre consegnata lunedì, ai rappresentanti diplomatici dell'Inghilterra, la risposta quasi identica della Germania e dell'Italia all'ultima nota inglese4 . Queste note di risposta verrebbero pubblicate già nella stampa del pomeriggio di lunedì.

Il ministro Goring domandò allora al Duce, per quale ragione l'Italia non è uscita dalla Società delle Nazioni. In Germania si avrebbe ben compreso che durante l'impresa abissina era vantaggioso per l'Italia di rimanere nella Lega. Dato che questa impresa è però ora felicemente ultimata, in Germania si ritiene che l'Italia potrebbe abbandonare la Lega; prevedibilmente seguirebbero allora l'Ungheria, l'Austria e alcuni Stati sudamericani, di modo che la Società delle Nazioni dovrebbe allora o saltare in aria completamente, oppure si ridurrebbe anche esternamente a quello che fu fin dal suo inizio, ossia una rappresentanza degli interessi anglo-francesi.

Il Duce rispose che la questione abissina non appare ancora ultimata. Manca ancora il riconoscimento della conquista da parte della Società delle Nazioni, che l'Italia vuoi attendere. Questo sarebbe in un certo qual modo un bicchiere di olio di ricino che la Società delle Nazioni o prima o poi dovrà ingoiarsi.

Il ministro Goring accennò al fatto che la Germania sarebbe disposta di ritornare alla Società delle Nazioni nell'ambito di un nuovo Accordo-Locarno; se

l Il 24 gennaio a Lione. Vedi D. 95. 2 Sic. 3 Vedi DD. 69 e 83. 4 Vedi D. 87.

nel frattempo l'Italia dichiarasse però di non voler più collaborare con la Lega, ciò verrebbe a rappresentare per la Germania un nuovo momento e un suo ritorno alla Società non verrebbe neanche più discusso. La questione non sarebbe tuttavia di attualità per il momento, ma se l'Italia dovesse giungere a delle decisioni definitive nei riguardi della Lega, egli pregherebbe di informare la Germania affinché questa possa regolarsi circa la posizione da prendere.

Il Duce rispose, che l'Italia de facto ha abbandonato la Società delle Nazioni e che essa non ha più nessuna simpatia per l'istituzione ginevrina. L'Italia potrebbe perciò uscire ora anche de jure dalla Lega. Si dovrebbe peraltro tener presente che un membro della Società delle Nazioni, il quale abbia dichiarato il suo ritiro, resta ancora sempre socio per altri due anni durante i quali esso deve pagare la sua quota e deve rispondere ai suoi doveri di socio. In considerazione di quel momento fatale, che prima o poi dovrà venire, in cui la Società delle Nazioni dovrà riconoscere la conquista dell'Abissinia, l'Italia ritiene di danneggiare la Lega molto di più se per intanto ne rimane ancora socio. Se la Società riconoscerà la conquista dell'Abissinia ciò significherebbe quasi altrettanto come la sua propria liquidazione. Se d'altra parte la Lega non riconoscerà la conquista dell'Abissinia, l'Italia se ne uscirà dalla Società delle Nazioni.

Alla domanda del ministro Goring circa l'epoca in cui la Società dovrebbe prendere tale decisione, il Duce rispose che questo momento sarebbe giunto già alla prossima Assemblea della Lega, se non già prima in un'Assemblea straordinaria, la quale sarebbe prevista per decidere circa l'ammissione dell'Egitto.

L'Italia sarebbe d'altra parte convinta che l'Austria, l'Ungheria e l'Albania non potrebbero per il momento seguirla in caso di una sua uscita dalla Società. L'Italia non intenderebbe neppure esercitare una pressione su questi Paesi, dato che i sacrifici sarebbero per loro troppo gravi. La Turchia, in considerazione delle forti influenze dei massoni, rimarrà molto probabilmente sempre socio della Lega, ad eccezione del caso in cui si verificasse un forte conflitto con la Francia per la questione del Sangiaccato. L'Inghilterra sosterrà naturalmente la Società fino all'ultimo vedendo in essa una garanzia per il suo impero mondiale.

Per quanto riguarda il punto di vista personale del Duce, egli ritiene che il suo disprezzo per la Società delle Nazioni -disprezzo che egli ha nuovamente espresso in occasione del suo ultimo discorso di Milano -sia sufficientemente noto nel mondo.

Nuovamente richiesto delle sue impressioni di viaggio a Napoli e a Capri, il ministro Goring dichiarò di riportare con sé una profonda impressione delle dimostrazioni di simpatia della popolazione, egli esprimeva la speranza che le relazioni fra i due Paesi diventino sempre più profonde e che esse abbiano a trovare la loro espressione in quella chiara linea di politica comune, di cui egli aveva più particolarmente parlato con il Duce nel loro colloquio precedente 1•

Il Duce rispose a sua volta che il fronte comune dei due Paesi avrebbe già trovato la sua espressione nel fronte comune militare in Spagna. Sarebbe sua volontà che ciò continui anche per il futuro.

Il ministro Goring chiese al Duce quale fosse il suo parere sullo sviluppo politico dei prossimi tempi.

1 Vedi D. 60.

Il Duce rispose che dapprima bisogna che si chiarisca la situazione in Spagna nel senso degli interessi politici e ideali della Germania e dell'Italia. Il parallelismo dell'azione, che già da un anno esiste fra i due Paesi con buoni risultati, dovrebbe essere continuato. I due Paesi dovrebbero continuare a riaffermare la loro volontà di pace; nello stesso tempo dovrebbero però perfezionare i loro armamenti allo scopo di evitare qualsiasi sorpresa. La politica antibolscevica dovrebbe venire continuata e sopratutto si dovrebbe eliminare qualsiasi influenza della Russia nell'Ovest.

Qualora si potesse realizzare un avvicinamento tedesco-francese, l'Italia ne sarebbe lieta, ricevendo così la Germania mano libera nell'Est il che non è il caso nelle condizioni attuali. Se la politica tedesca riuscisse a spezzare il nastro fra Parigi e Mosca, ciò sarebbe certamente un grandissimo successo. Egli (il Duce) ritiene peraltro che questo sarebbe molto difficile. L'Italia sarebbe ad ogni modo disposta a prestare qualsiasi aiuto in questo sforzo.

Se fosse possibile un avvicinamento fra la Germania e l'Inghilterra, l'Italia ne sarebbe del tutto lieta. È naturale che un simile accordo potrebbe essere soltanto raggiunto sulla base di completa uguaglianza di diritti e di reciprocità, indicata al Fi.ihrer.

Sopratutto dovrebbe però essere conservata e mantenuta l'uniformità della politica italo-tedesca, poiché questa uniformità sarebbe la condizione preliminare all'indipendenza di una simile politica.

Il ministro Goring domandò inoltre quale sarebbe la situazione che si presenterebbe se non si potesse raggiungere il divieto per la spedizione di volontari verso la Spagna. Nella questione spagnola, la Germania intende andare solo fino al limite del possibile, senza che dalle complicazioni spagnole si sviluppi una guerra generale. Sarebbe ora da temere che Mosca faccia della questione spagnola una questione di prestigio e che sostenga con soldati propri in misura sempre maggiore le forze rosse spagnole.

Il Duce rispose che esistono diverse possibilità di soluzione:

Primo: Franco potrebbe avere un successo militare completo e in questo caso la questione spagnola si risolverebbe in modo prettamente militare. Questo sarebbe naturalmente il migliore dei casi.

Secondo: Sarebbe possibile un compromesso fra i due partiti spagnoli con l'esclusione degli estremisti.

Nella questione del divieto dei volontari, la posizione dell'Italia e della Germania sarebbe in ogni caso favorevole. O si arriva ad un divieto, e allora da parte italiana si sarebbe fatto, con i forti imbarchi degli ultimi giorni, il massimo degli sforzi possibili e il numero dei volontari italiani avrebbe raggiunto i 44.000. Oppure il divieto non viene deciso, e allora l'Italia continuerà anche da parte sua ad inviare volontari in !spagna. Nella questione spagnola l'Italia andrebbe fino al punto massimo possibile, senza però arrivare al pericolo di una guerra generale. Egli non crede d'altronde alla probabilità di un simile conflitto generale nell'anno 1937: Léon Blum e i suoi collaboratori vogliono evitare una simile guerra, e se essi chiedono e gridano «aeroplani ed armi per la Spagna» ciò lo fanno soltanto per ragioni di politica puramente interna. Anche l'Inghilterra avrebbe paura di un conflitto generale e la Russia non lascierebbe certamente andare le cose fino oltre il limite.

D'altra parte, la Russia non avrebbe inviato nessun volontario ma soltanto Capi e materiale ed essa si adatterebbe certamente ad accettare anche una sconfitta dei rossi. Si dovrebbe tener presente che il soccorso dei rossi da parte dei comunisti si è intensificato nel momento in cui i rossi spagnoli avrebbero in ogni caso fermato Franco davanti a Madrid; nel campo di sinistra l'umore era quindi già di per sé un po' migliorato. Se la situazione dovesse nuovamente peggiorare per i rossi, cesserebbe anche l'entusiasmo dei volontari rossi e non vi sarebbe più nessuno disposto a farsi ammazzare per una causa persa.

Il conte Ciano rilevò che l'ambasciatore d'Italia a Mosca, che si trova attualmente a Roma, gli aveva comunicato che i bolscevichi si starebbero lentamente preparando per una sconfitta dei rossi in Ispagna e che essi sarebbero esclusivamente preoccupati di raggiungere un accordo internazionale del quale potrebbero servirsi, verso la propria gente, come scusa dell'insuccesso della loro azione spagnola. Litvinov cercherebbe insomma una specie di «alibi» sotto forma di un accordo internazionale.

Il Duce fece presente le difficoltà della situazione interna russa e ripetè ancora una volta che la Russia non ha mai inviato truppe proprie in Ispagna. Essa si sarebbe limitata ad invitare i comunisti della Francia, del Belgio e della Svizzera, di unirsi ai rossi in Ispagna.

Il ministro Goring parlò quindi delle intenzioni dell'Inghilterra, chiedendo al Duce che cosa questi ne pensasse della possibilità che l'Inghilterra cerchi di creare un fronte, invisibile sì ma efficace in date circostanze, comprendendovi anche la Russia, contro l'Italia e la Germania.

A tale proposito il Duce accennò alle difficoltà esistenti fra l'Inghilterra e il Giappone; e intanto egli approvò anche il punto di vista del ministro Goring in quanto la Società delle Nazioni rappresenterebbe per l'Inghilterra già una specie di invisibile alleanza contro l'Italia e la Germania. Non vi sarebbe però nessun motivo per preoccuparsi, dato che non vi è nessuna ragione per cui la macchina della Lega, che già per ben tre volte non ha funzionato, si metta improvvisamente a funzionare nella quarta prova. Sarebbe tuttavia consigliabile di trattare l'opinione pubblica inglese con un certo riguardo. I conservatori inglesi avrebbero una grande paura del bolscevismo e questa paura potrebbe benissimo essere sfruttata politicamente. Tale compito spetterebbe sopratutto alla Germania, dato che i conservatori inglesi sarebbero per l'Italia assai difficili da convincere per gli avvenimenti nel Mediterraneo.

Il ministro Goring fece presente i tentativi della Germania per raggiungere un avvicinamento con gli elementi conservatori inglesi. A tale proposito occorrerebbe tener presente che l'attuale governo inglese in fondo non è conservatore ma è addirittura orientato verso sinistra. Ad ogni modo la Germania sarebbe sempre disposta a mettersi d'accordo con l'Inghilterra. La Germania curerà le sue buone relazioni .con l'Italia. Del resto, essa troverebbe la sua sicurezza sopra tutto mediante forte aumento dei suoi armamenti per terra, per mare e per aria nonché mediante un'autarchia economica molto vasta, pel raggiungimento della quale si lavora in Germania con la massima energia.

Il Duce approvò pienamente questo aumento di forza. Egli dichiarò, inoltre, che secondo il suo modo di vedere la prossima grande sorpresa per l'Inghilterra, sarà data dall'aumento del comunismo inglese. Ciò sarebbe una buona lezione anche per il Sig. Eden personalmente.

Il ministro Goring disse che il popolo semplice in Inghilterra nutrirebbe sentimenti di simpatia per la Germania. Gli ambienti conservatori si preoccuperebbero bensì un po' della forza della Germania; la loro più grande paura sarebbe però il bolscevismo, di modo che essi potrebbero effettivamente essere considerati come buoni per la collaborazione con la Germania. Il Foreign Office prende, sia per ragioni di idealismo che per motivi tradizionali, una posizione assolutamente ostile contro la Germania. Un ulteriore ostacolo, che si presenterebbe alla collaborazione anglo-tedesca, consisterebbe nella forte influenza dei massoni e degli ebrei nell'Impero britannico.

A tale proposito il Duce accennò allo stretto collegamento fra l'Inghilterra e la Francia. Sarebbe impossibile di separare l'Inghilterra e la Francia. Nonostante tutte le discordie che si presentano di tanto in tanto, i due Paesi avrebbero interessi comuni troppo forti. Anche l'allacciamento finanziario sarebbe straordinariamente forte.

Il ministro Goring rilevò la stretta collaborazione fra il Quai d'Orsay ed il Foreign Office. I due ministeri non farebbero nulla senza aver preventivamente preso contatto telefonico. Recentemente egli (il ministro Goring) avrebbe rifiutato a dei visitatori inglesi delle informazioni particolareggiate circa l'aviazione tedesca e le eventuali mete di espansione tedesca, con la motivazione che entro 20 minuti l'intero materiale sarebbe stato, da parte del Foreign Office, passato telefonicamente al Quai d'Orsay; gli inglesi dovettero riconoscere che egli aveva ragione. Gli ambienti inglesi, che stanno vicini al Daily Mai! vorrebbero adoperarsi effettivamente per un'intesa italo-tedesco-inglese, ma la loro influenza non sarebbe sufficientemente forte.

Il Duce aggiunse che non si dovrebbe certamente lasciar passare occasione per frenare un po' l'amicizia anglo-francese; simili tentativi dovrebbero però essere fatti con la massima prudenza, allo scopo di non provocare un effetto proprio contrario a quello desiderato. Il ministro Goring approvò pienamente questo punto di vista.

Il ministro Goring disse in seguito che il Fiihrer sarebbe straordinariamente lieto se il Duce volesse fare una visita in Germania. Ciò verrebbe non solo a sottolineare fortemente la politica comune dei due Paesi, ma una simile visita darebbe al Duce anche la possibilità di conoscere di propria vista, e con occhi chiari e critici, la situazione in Germania.

Il Duce rispose che una sua visita in Germania sarebbe certamente nell'ambito delle possibilità, dato che anch'egli personalmente ha il desiderio di rivedere il Fiihrer e di vedere coi propri occhi lo sviluppo della Germania.

Il ministro Goring disse infine, che, secondo il suo punto di vista personale e in considerazione delle salde relazioni italo-tedesche, sarebbe certamente di vantaggio se il governo italiano esercitasse la sua influenza sul governo austriaco nel senso che quest'ultimo si attenga con maggiore esattezza all'Accordo dell'l l luglio. Il governo austriaco eserciterebbe una forte e completamente inutile pressione sugli ambienti di idee nazionali del Paese. Se il Cancelliere Schuschnigg qualifica il nazionalsocialismo, come il nemico dello Stato n. 11 , ciò potrebbe provocare in Austria -senza la minima intromissione da parte tedesca -delle reazioni interne. Sarebbe quindi consigliabile che il governo austriaco assumesse verso questi ambienti nazionali un atteggiamento conciliante.

Bisognerebbe tener conto che il governo austriaco non è, né fascista, né nazionalsocialista, bensì clericale. Sarebbe quindi del tutto possibile che esso, un bel giorno, ceda fortemente alle tendenze di sinistra che in Austria esistono ancora sempre in

I Riferimento al discorso pronunciato da Schuschnigg il 26 novembre precedente a Klagenfurt al convegno dei funzionari del Fronte Patriottico. In realtà, Schuschnigg aveva indicato il comunismo come nemico n. l dello Stato austriaco ed il nazionalsocialismo come nemico n. 2.

139 misura abbastanza forte. Il governo austriaco, data la sua eccessiva presa di posizione contro il nazionalsocialismo, misconosce inoltre anche il pericolo comunista. Egli (ministro Goring) accennerebbe a tutto questo soltanto nel desiderio di fare da parte sua tutto il possibile per evitare un conflitto interno austriaco, il quale potrebbe, p. es., verificarsi nel caso di un ritiro di Glaise-Horstenau oppure di altri Ministri nazionali. Per questo motivo egli avrebbe espresso il desiderio che l'Accordo dell'Il luglio venisse osservato più esattamente da parte del governo austriaco.

Il Duce rispose che le relazioni dell'Italia con l'Austria si baserebbero sul principio del rispetto dell'indipendenza di questo Paese con il dovuto riguardo alla sua sensibilità. Egli (il Duce) sarebbe perfettamente a conoscenza, che il popolo austriaco, in gran parte, non nutrirebbe simpatia per gli italiani; in un suo tentativo di influenzare il governo austriaco, egli dovrebbe quindi procedere molto cautamente per non esporsi al pericolo di avere delle risposte poco piacevoli. Avendone però il ministro Goring espresso il desiderio, egli cercherà di influenzare il governo austriaco nel senso suddetto ed aggiungerà dal canto suo, che l'esecuzione piena dell'Accordo dell'Il luglio sarebbe anche nell'interesse dell'Italia, tanto più che l'Accordo è stato a suo tempo concluso per desiderio dell'Italia. Egli (il Duce) ha personalmente ed in modo implicito fatto presente a Schuschnigg che, dato il carattere tedesco dell'Austria, sarebbe assurdo fare una politica antitedesca. Una regolare esecuzione dell'Accordo dell'Il luglio sarebbe d'altra parte di massima importanza anche dal punto di vista internazionale. Qualsiasi nuovo conflitto tedesco-austriaco verrebbe p. es. immediatamente sfruttato dalla Francia. Si parlerebbe nuovamente della «guardia al Brennero». L'Italia non intenderebbe però farsi legare in nessun modo su questo punto.

Il ministro Goring rilevò che il governo austriaco non godrebbe nessuna simpatia nel popolo e che esso si terrebbe al potere esclusivamente mediante provvedimenti brutali. Ma anche questi provvedimenti non gli avrebbero servito a nulla se la Germania non si fosse astenuta in modo assoluto dalle questioni interne austriache. Da parte tedesca si sarebbe perfino stati disposti ad aiutare il governo austriaco. In base ad una sua promessa fatta al sottosegretario di Stato Schmidt, egli (Goring) ha rilevato nel suo discorso di Goslar 1 , che il governo austriaco non doveva essere considerato come antitedesco. Lo stesso giorno, Schuschnigg ha designato il nazionalsocialismo come il nemico dello Stato n. l. In Germania si avrebbe l'impressione che l'Austria venga consciamente tenuta a disposizione, da forze finora non note, come una specie di bomba a mano, che al momento opportuno dovrebbe servire per far saltare il fronte italo-tedesco. In Francia, in Inghilterra e in Russia si sarebbe del parere che l'accordo italo-tedesco non è proprio tanto pericoloso finché esista la possibilità esplosione mediante l'aiuto dell'Austria.

Il Duce rispose che un simile tentativo di esplosione non sarebbe pericoloso, in quantoché si conoscerebbe già fin d'ora le mete di quelle forze sconosciute che mediante una stretta collaborazione italo-tedesca potrebbero essere manovrate. Si dovrebbe far sapere al governo austriaco che esso non deve in nessun caso prestarsi a dei qualsiasi tentativi di rottura da parte franco-anglo-russa.

Il ministro Goring disse che questo era uno dei punti in cui esiste fra la Germania e l'Italia una certa diversità di vedute nella valutazione delle forze

1 Il 28 novembre precedente al Congresso agrario tedesco.

operanti in Austria. La Germania è del parere, che le correnti decisive in Austria siano orientate più fortemente nel senso internazionale di quanto apparentemente non lo si ritenga da parte italiana. Per conto della Germania egli potrebbe in ogni caso assicurare -ed egli ritiene che altrettanto sia il caso per l'Italia -che in relazione con l'Austria non vi saranno sorprese.

Anche il Duce diede tale assicurazione rilevando che la garanzia starebbe nel contatto continuo fra l'Italia e la Germania.

Il ministro Goring confermò da parte sua pienamente la necessità di contatti continui fra i due Paesi. Egli rilevò che in sua presenza il Fiihrer aveva dato al ministro degli Affari Esteri la direttiva, di rimanere continuamente in contatto con il conte Ciano e di far apparire tale collegamento anche esternamente -in un certo qual modo come contrappeso alla continua collaborazione franco-inglese di modo che ognuno sappia a priori essere inutile di pretendere dall'Italia e dalla Germania un comportamento diverso nei comuni problemi politici.

Il Duce dichiarò che la comune politica italo-tedesca si estende sopratutto ai grandi problemi di politica mondiale e secondariamente alle questioni secondarie, nelle quali sarebbe compresa anche l'Austria. Anche qui, il continuo contatto potrebbe garantire l'uniformità della politica. Tanto più che i due Paesi dovrebbero adattarsi sempre di nuovo alle condizioni continuamente varianti. Egli crederebbe all'«evolversi» nello sviluppo politico e non intenderebbe assolutamente lasciare «mummificare» la politica italiana. Se si mantenesse un simile continuo contatto fra i due Paesi, non sorgerebbero né sorprese né conflitti, ma si otterrebbe invece unità e collaborazione.

Il ministro Goring accennò alla questione degli Absburgo, la quale --se essa venisse effettivamente intavolata -conterebbe peraltro elementi di massima sorpresa. La Germania non potrebbe in nessun caso tollerare la restaurazione degli Absburgo in Austria, qualsiasi ne sia la forma (Regno, Reggenza, ecc.) sotto la quale si tenti realizzarla. Ciò significherebbe la fine dell'Austria.

Il Duce rispose che per ragioni storiche facilmente comprensibili, la Casa Absburgo non godrebbe di nessuna simpatia in Italia e che la restaurazione degli Absburgo provocherebbe nel popolo italiano un'impressione molto cattiva. Egli avrebbe sempre avvertito personalità austriache di non giocare con la restaurazione ed avrebbe fatto presente i pericoli mortali che l'Austria correva in questa questione. Anche con il capo dei legittimisti, conte Wiesner, egli si sarebbe espresso molto esplicitamente in tale senso.

Il ministro Goring rilevò che gli Absburgo sarebbero sempre stati anti-italiani e che in un loro ritorno in Austria, logicamente, essi tenterebbero di riprendersi i territori già appartenenti al vecchio Impero austro-ungarico.

Il Duce rispose, essere perfettamente conscio che in caso di una restaurazione degli Absburgo, dovrebbero -allo scopo di far apparire minori le difficoltà interne-dapprima cercare un nemico esterno; prevedibilmente !'<momo nero» prescelto in questo caso dagli Absburgo, sarebbe l'Italia. Egli ha d'altronde scritto un articolo contro Otto di Absburgo ed egli potrebbe anche assicurare, che tutte le notizie riguardanti progetti di matrimonio fra Otto e la principessa Maria, sono completamente prive di fondamento. La principessa Maria ebbe d'altronde a pregarlo personalmente di smentire con energia.

Con alcune parole di commiato del Duce e rinnovati ringraziamenti da parte del ministro Goring per la gentile accoglienza in Italia, il colloquio ha avuto termine.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 812/85 R. Londra, r.febbraio 1937, ore 21,15 (per. ore 3,35 del 2).

Reazioni a Londra sul discorso di Hitler sono state contraddittorie nella City e negli ambienti politici.

Ambienti finanziari e bancari City i quali mostrano quasi sempre una certa intelligenza realistica negli avvenimenti internazionali, sono rimasti soddisfatti. Prova evidente è tendenza marcatamente favorevole che ha avuto stamane all'apertura mercato titoli. Rialzo in quasi tutti titoli e specialmente nei titoli tedeschi, prestito Dawes e Young.

Negli ambienti politici del governo e della opposizione discorso di Hitler è arrivato invece come doccia fredda se non addirittura ghiacciata. Durante settimana scorsa si era diffuso una specie di ottimismo isterico su quelle che erano prematuramente definite «nuove offerte concrete di Hitler». Retorico appello del Cancelliere dello Scacchiere al Fuehrer di venerdì scorso 1 aveva moltiplicato illusioni. La netta dichiarazione Hitler e soprattutto tono fermo e freddo non privo di ironia usato nei riguardi discorso Eden". ha subito mostrato quanto ingiustificate erano messianiche illusioni del politicantismo democratico, e come diversa sia realtà.

Gabinetto insiste come al solito per «sudare» sulle dichiarazioni del Fuehrer, prima di fissare un qualsiasi orientamento. Per ora circoli più vicini Downing Street e portavoci Foreign Office fanno mettere in rilievo carattere negativo di alcuni punti discorso Hitler. Particolarmente hanno fatto impressione punti:

l) nel quale Hitler risponde ammonimento contro divisione Europa in due campi affermando che tale divisione è già in atto e facendone risalire responsabilità all'Inghilterra e Russia;

2) nel quale Hitler risponde negativamente all'invito negoziare limitazioni armamenti; 3) nel quale Hitler risponde alla condizionata offerta collaborazione economica confermando intangibilità piano quadriennale.

Nei corridoi Camera dei Comuni tutti erano stamane concordi nel riconoscere, con malcelata malinconia, che su questi tre punti fondamentali contrasto fra la politica inglese e quella tedesca resta immutato. Circoli conservatori cercano tuttavia nascondere tale disappunto mostrandosi compiaciuti per annunzio dato Hitler che «era delle sorprese è finita», per affermazione che Germania considera che «la pace è il più caro tesoro» e per le assicurazioni date a Francia, Belgio, Olanda.

1 In un discorso tenuto il 29 gennaio, Chamberlain aveva detto che all'indomani Hitler, parlando a Norimberga, avrebbe potuto arrecare un contributo di incalcolabile valore al consolidamento della pace: se egli si fosse pronunciato in tal senso, le sue parole avrebbero certo trovato «la più calorosa accoglienza in Gran Bretagna».

2 Vedi p. 130, nota 3.

Questo aspetto del discorso e il tono che qualcuno giunge persino a definire come «misurato» nei riguardi della Russia in paragone discorso Norimberga 1 vengono sforzatamente messi in rilievo nei circoli conservatori e del Ministero per giustificare sin da ora ulteriori sforzi da parte governo britannico nei confronti di Berlino. Tali sforzi, si aggiunge, dovranno essere diretti profittare del periodo di respiro che Hitler nel suo discorso implicitamente promette. È interessante notare una certa tendenza attribuire questo «periodo di respiro» a influenza degli ambienti militari tedeschi che considerano preparazione ad una guerra tuttora incompleta.

Liberali e laburisti fanno il solito immancabile chiasso a sfondo antifascista. Essi cercano di contestare buonafede tedesca nelle dichiarazioni di Hitler alla Francia e polemizzano aspramente con la domanda di restituzione delle colonie. Va rilevato che mentre grande maggioranza conservatori governativi non mostra opporsi2 eccessivamente al punto relativo alla restituzione delle colonie, antifascisti di estrema sinistra e imperialisti di estrema destra manifestano una ostilità pressoché analoga su questo punto.

Ma il passaggio del discorso di Hitler che più preoccupa e che fornisce motivi a tutte le conversazioni è quello in cui Hitler passando in rassegna gli Stati vivi e vitali sorti negli ultimi cento anni, ha omesso la Cecoslovacchia e gli Stati Baltici.

Non mancano infine coloro, nello stesso Foreign Office, i quali sperano ancora che ambasciatore Ribbentrop il cui ritorno da congedo Natale è annunziato per posdomani, 3 febbraio, possa recare riservatamente con sé quelle offerte concrete che gli inglesi speravano di trovare nelle dichiarazioni di Hitler 3 .

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IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO PER CORRIERE 1470/018 R. Budapest, ] 0 febbraio 1937 (per. il 7).

Persona sicura, che mi ha fatto però promettere di non fare il suo nome, mi ha detto che nello spoglio delle carte di Gombos, effettuato in seguito alla sua morte, è stato trovato il testo di un patto segreto con Goering dell'agosto 1935 che consisteva nei seguenti punti:

l) consultazione reciproca per gli affari relativi al bacino danubiano;

2) netta opposizione alla restaurazione absburgica;

3) promessa da parte della Germania di dare all'Ungheria la Slovacchia (meno una piccola parte per la Polonia) in caso di una guerra contro la Cecoslovacchia in cui l'Ungheria avrebbe dovuto marciare insieme con la Germania e la Polonia.

Ora, ha detto il mio interlocutore, questo patto non ha più valore.

I Vedi p. 130, nota 2. 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo di dubbia interpretazione». 3 Sull'argomento si veda anche il D. 144.

In occasione della venuta di Goering a Budapest per i funerali di Gombos, Kanya volendo accennare al patto in questione disse a Goering che fra Ungheria e Germania esistevano delle profonde intese, ma «non c'era niente di scritto». Goering, assai adiratosi, avrebbe risposto: «Sì ma allora non vi potrà esser più la stessa politica». Dopo poco apparivano gli articoli di Rosenberg 1•

Scopo palese della «rivelazione» -fattami con autorizzazione a portarla a conoscenza di V.E. «con le maggiori cautele e senza rivelare assolutamente l'origine»-è stato quello di mettere Gombos in cattiva luce verso il governo italiano, insinuando le sue segrete intese coi tedeschi.

Non me ne è stato fatto alcun cenno (ed io naturalmente me ne sono guardato bene), ma è presumibile che -sia o no esatto quanto precede --nello stesso modo sia rimasta traccia dell'accordo segreto di S.E. il Capo del Governo con Gombos alla Rocca delle Caminate2 (che pure riguardava fra altro l'opposizione alla restaurazione absburgica), e che il discorso mi sia stato fatto anche eventualmente in relazione ad esso 3 .

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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO URGENTE 489/246. Vienna, JDfèhhraio 1937 (per. il 3).

Mio telegramma per corriere n. 024 del 28 gennaio u.s. 4 .

Il Cancelliere Federale è venuto nella determinazione di intraprendere il progettato breve viaggio in Italia, come in origine si proponeva, ancora verso la metà di febbraio. La situazione delle cose interne glielo consente. E crede di avere ogni ragione per preferire che l'incontro con S.E. il Duce e con V.E. preceda la visita di von Neurath a Vienna, fissata ormai, come oggi stesso ho telegrafato, per i giorni 22 e 23 corrente.

Il Cancelliere è mortificato di aver dovuto mutare così spesso i suoi piani 5 . Egli potrebbe partire da Vienna la sera del 14 corrente diretto per San Remo, ma col proposito di incontrarsi prima col Duce e V .E. nelle giornate del 15 o 16 corrente.

Fermo restando il già concordato carattere privato del viaggio, il Cancelliere sarebbe molto lieto se il Duce avesse l'opportunità di riceverlo fuori di Roma,

I Si riferisce all'articolo pubblicato il 15 novembre 1936 da Alfred Rosenberg sul Viilkischer Bcobachter nel quale si affermava che la politica revisionista del nazionalsocialsmo non poteva essere attuata in tutte le direzioni: ciò comportava delle pesanti rinunce per la Germania che non poteva nemmeno appoggiare le rivendicazioni di tutti i Paesi che speravano nel suo appoggio.

2 Di tale accordo non si è trovata documentazione.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

4 T. per corriere 760/024 R. del 28 gennaio. Riferiva che il Cancelliere Schuschnigg riteneva di non potersi muovere da Vienna prima della fine di febbraio ma che in ogni caso la sua visita a Roma avrebbe preceduto la visita a Budapest.

5 Di un viaggio in Italia di Schuschnigg si era parlato più volte in precedenza. All'inizio dell'anno, il Cancelliere aveva fatto presente che la sua visita non poteva aver luogo prima della metà di febbraio (rapporto Salata 26/17 del 4 gennaio) e successivamente aveva chiesto di rinviarla a marzo a causa della difficile situazione interna austriaca (rapporto Salata 374/187 del 25 gennaio).

possibilmente nell'Italia centrale o settentrionale. Mi ha pregato di sondare, in via del tutto discreta, su questa possibilità, pronto naturalmente, a venire dovunque al Duce piaccia. Roma ~dice Schuschnigg --complica le cose trattandosi di viaggio privato, non solo per le inevitabili visite e cerimonie, ma anche per riguardo al Vaticano. Schuschnigg amerebbe allontanarsi il meno possibile dal confine e ridurre al minimo la sua assenza da Vienna.

Il Cancelliere verrebbe in Italia solo. Schmidt resta qui, dove al Cancelliere sembra che la di lui presenza sia, specie durante la sua assenza, più utile che in Italia. Credo che preferisca parlare con il Duce e V.E. senza testimoni austriaci.

La ragione principale dell'anticipazione del viaggio sta, secondo le mie impressioni, in ciò: che le voci pervenute gui su guanto è andato dicendo Goring a Roma e anche al ritorno a Berlino sulla situazione interna austriaca 1 facciano, apparire opportuno uno scambio di idee con il Duce e V.E., prima dei colloqui che si avranno a Vienna con Von Neurath 2 , e in modo che Roma possa, al caso, far giungere in tempo a Berlino gli echi delle conversazioni con lui, Schuschnigg. Sul passo fatto, in via del tutto personale, da Schmidt verso Goring riferisco a V.E. separatamente oggi stesso 3 .

La benevolenza dimostratagli sempre dal Duce assicura Schuschnigg che saranno prese in considerazione, in quanto possibile, le sue speciali condizioni; e mi ha pregato di dirgli al più presto ciò che l'E.V. vorrà comunicarmi circa la nuova data e il luogo, presi in vista per l'incontro 4 .

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IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA 463 5 . Berlino, l o febbraio 1937 (per. il 5).

Con il corriere di Gabinetto in arrivo oggi a Roma, ti abbiamo inviato gli appunti compilati dal dott. Schmidt e relativi alla seconda ed ultima conversazione avuta da Goring con il Duce e con te sabato 23 u.s. a Palazzo Venezia6 .

1 In un rapporto del giorno precedente, il ministro Salata aveva riferito che, secondo informazioni pervenute alla Cancelleria austriaca, Goring accusava il governo di Vienna di perseguitare i «nazionali» e di concedere libertà di transito ad elementi sovietici diretti in Spagna. Il segretario di Stato, Schmidt, riteneva che queste voci fossero alimentate dalla legazione di Germania a Vienna, in diretto contatto con il partito nazionalsocialista tedesco (R. 503/257 del 31 gennaio. Il documento ha il visto di Mussolini).

2 Il 23-24 febbraio. Vedi DD. 199 e 215.

3 Schmidt aveva inviato a G6ring una lettera personale per replicare alle accuse mosse al governo austriaco. Di questa lettera, Salata aveva inviato un ampio resoconto con il rapporto 503/257 del 31 gennaio.

4 Il documento ha il visto di Mussolini.

5 Il documento è deteriorato dall'umidità nella sua parte finale.

6 Vedi D. 109.

Mi sembra utile aggiungere agli appunti stessi quanto lo stesso generale Goring ebbe a dirmi nel pomeriggio dello stesso sabato, e cioè dopo quella conversazione e poche ore prima della sua partenza da Roma, quale «riassunto» degli scambi di idee relativi alla questione austriaca.

Egli mi disse che il suo viaggio a Roma era stato particolarmente utile perché, su quella questione, erano stati fissati chiaramente i seguenti tre punti:

l) Egli ritornava in Germania, persuaso che l'Italia, per il normale andamento delle sua politica fissata con i Protocolli di Roma italo-austro-ungheresi, non può oggi evidentemente fare macchina indietro e favorire le aspirazioni tedesche sull'Austria.

2) D'altra parte, era stato leale ed opportuno dichiarare apertamente a Roma, da parte tedesca, come il Reich non consideri definitivamente chiusa per sé la questione austriaca con l'Accordo dell'Il luglio.

3) A conclusione dei due punti precedenti, appariva evidente che la questione austriaca, nel quadro dei rapporti italo-germanici, non è affatto attuale e che essa potrà formare oggetto di ulteriori conversazioni soltanto in avvenire, allorché la situazione politica generale si sia maggiormente chiarificata.

Stimo anche utile ripeterti quanto lo stesso Goring ebbe a dirmi, a bordo del cacciatorpediniere Aquilone, durante il tragitto Napoli-Capri. Il generale affermò allora: «Ad ogni modo sia per la questione austriaca che per altre ... particolarmente importanti per la Germania ( ....... ) Memel, ecc.) non vi saranno mai sorprese ed il governo tedesco non mancherà mai di ... preavvertire ... l'Italia» 1•

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 818/66 R. Berlino, 2 febbraio 1937, ore 21,40 (per. ore 0,05 del 3).

Telespresso di V.E. 27 gennaio, 8792 e telegramma di V.E. n. 33 del 31 corrente3 .

Ho trattato questione con tutti gli interessati, cominciando da Goring con cui mi sono intrattenuto lungamente. Egli mi ha fatto capire che, tornato a Berlino, ha incontrato grande difficoltà per stessa attuazione del «piano di Roma»4 .

l Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Telespresso 879 del 29 gennaio. Comunicava i risultati della missione di Anfuso presso Franco ed incaricava l'ambasciatore Attolico di fare quanto possibile per convincere i tedeschi a fornire loro l'intero quantitativo di mitragliatrici, visto che su l'Italia gravava l'equipaggiamento dei reparti inviati in Spagna.

3 Vedi D. 106.

4 Vedi D. 69.

Andare oltre quel programma gli sembra quindi difficilissimo. D'altra parte, egli è convinto che non sono tanto le armi e le munizioni che mancano a Franco quanto la capacità di sapersene servire utilimente. A ciò potrà rimediare istituzione Stato Maggiore misto.

Ho insistito con ogni maggiore energia, facendo soprattutto valere necessità assoluta evitare che, non facendo tutto ciò che è possibile oggi, partita debba poi essere comunque riaperta domani. Ho lasciato Goering con la promessa che egli avrebbe fatto tutto il possibile per persuadere «i militaristi».

Convinto che a questi fanno capo le maggiori resistenze in materia, e approfittando della favorevole circostanza offertamisi ieri stesso, ho parlato lungamente con Blomberg e spero essere riuscito a smuoverlo della sua intransigenza. Egli mi ha detto che esaminerà situazione ex novo con Sperrle. Per quanto riguarda specialmente esplosivi, è già entrato nell'idea di provvederne possibile fabbricazione sul luogo.

Ho ulteriormente spinto stamane la conversazione con von Neurath che, perfettamente persuaso, ha deciso di intrattenerne nuovamente lo stesso Hitler.

Continuo a seguire questione anche nei suoi dettagli attraverso addetto militare e spero pure attraverso Sperrle, che Goering ha promesso mettere subito in comumcazwne con me.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 826/17 e 828/18 R. Bucarest, 2 febbraio 1937, ore 21,55 (per. ore 1,15 del 3).

Questo m1mstro Esteri signor Antonescu mi ha comunicato che Re Caro! accoglieva suggerimento che a nome di V.E. ebbi ad esprimergli nel colloquio dello scorso dicembre e, nell'ordine di idee di quanto esposi a lui Antonescu, (seconda parte del mio telegramma 212 del 31 dicembre)1 era disposto a fare un tentativo per migliorare rapporti tra Romania e Ungheria.

Nell'intento creare favorevole atmosfera, governo romeno, oltre a sospendere a nostra domanda i due noti giornali che avevano attaccato Ungheria, aveva anche accolto mia preghiera eliminare ogni simbolo anti magiaro in Transilvania. Questa decisione aveva avuto eco molto simpatica a Budapest come gli risultava da due incoraggianti conversazioni di pochi giorni fa tra De Kanya, e ministro di Romania Bossy.

Antonescu, prese le istruzioni da Re Caro!, desiderava fare un passo innanzi e perciò accoglieva accenno fattogli a nome di V.E., dichiarandosi lieto che

I Vedi serie ottava, vol. V, D. 704.

chiarimento rapporti fra Romania e Ungheria potesse avvenire con attiva assistenza dell'Italia.

Poiché egli si preparava a dare istruzioni al ministro Bossy di riprendere conversazioni con Kanya, gli ho fatto osservare che sarebbe opportuno soprassedere per due o tre giorni, per il caso che V.E. intendesse impartire istruzioni al ministro Vinci perché preparasse opportunamente terreno presso Kanya.

Ho cercato indurre Antonescu aprirsi con me circa atto manifesto che l'Ungheria e Romania potrebbero concretare nell'intento di rendere visibile questa nuova fase dei loro rapporti.

Antonescu non aveva idea precisa; mi ha detto, però, che in nessun caso problema trattamento minoranze magiare dovrebbe costituire una premessa pregiudiziale, essendo egli d'avviso che tale problema non dovrebbe influenzare ma dovrebbe essere influenzato dall'auspicato nuovo accordo fra i due Paesi.

Anche da parte mia ritengo che sarebbe un errore se governo ungherese impostasse come pregiudiziale la questione del trattamento minoranze.

Ho sondato oggi Antonescu circa intenzioni Romania quanto alla parità diritti per Ungheria. Ho riportato l'impressione che qui si cominci ad entrare nell'ordine di idee che non si può negare soddisfazione all'Ungheria. Antonescu mi è sembrato rendersi conto che questo punto è estremamente delicato e che Ungheria non può esporsi ad iniziare con Romania una trattativa del cui successo governo ungherese non fosse pienamente sicuro. Circa questione parità diritti, mediazione italiana sarebbe veduta con particolare favore dato che noi saremmo meglio piazzati per cercare di concordare con Budapest un'abile formula, senza che la trattativa compromettesse, né Romania, né Ungheria. Antonescu sarebbe anche favorevole ad un trattato di amicizia perpetua sul tipo di quello jugoslavobulgaro. Gli ho espresso miei più seri dubbi sulla possibilità di condurre trattative su tale base senza la previa soluzione delle questioni più importanti e urgenti che separano i due Paesi. Gli ho detto, a titolo personale, che a mio avviso sarebbe più facile e più pratica la conclusione di un trattato non aggressione del tipo di quello tra Germania e Polonia 1 .

Antonescu non sarebbe contrario, ma domanderebbe adesione ungherese alla formula della definizione dell'aggressore.

Gli ho risposto che ciò sarebbe da parte romena un grave errore: nessun Paese occidentale e tanto meno Italia di cui egli invocava appoggio era partecipe convenzione Londra per definizione aggressore 2 .

Di questo e altri argomenti addottigli Antonescu mi è sembrato abbastanza persuaso.

Mossa della Romania nei confronti Ungheria obbedisce, oltre che ai suggerimenti italiani, anche alle voci qui corse di conversazioni fra Belgrado e Budapest, voci che dalla mia parte ho dichiarato molto verosimili invitando governo romeno a non .essere come sempre ultimo ad arrivare.

I Riferimento al trattato del 26 gennaio 1934 (testo in DDT, serie C, vol. II, D. 219).

2 Convenzione di Londra per la definizione dell'aggressione del 3 luglio 1933 (testo in MARTENS, vol. XXIX, pp. 33-42).

Antonescu ha dichiarato naturalmente che egli non avrebbe fatto nulla di definitivo, senza consultare suoi alleati Piccola Intesa.

Gli ho osservato che consultandosi con Praga e Belgrado, egli rischiava pregiudicare, sia la fase delle spiegazioni fra Bucarest e Budapest, sia quella delle vere e proprie trattative. Mi sembrava più saggio mettere Belgrado e Praga al corrente solo quando negoziati fossero giunti alla fase conclusiva, ispirandosi cioè direzione seguita dalla Jugoslavia nei suoi negoziati con Sofia.

Nuovo atteggiamento romeno verso Ungheria va esaminato anche alla luce del tentativo franco-cecoslovacco di strappare nuove garanzie e nuovi impegni alla Piccola Intesa.

Ho fatto rilevare ad Antonescu inconveniente di una politica che sembra aver doppio orientamento; da una parte, cioè, egli sembra cedere alle richieste di Parigi e Praga, mentre dall'altra obbedisce nostri suggerimenti di riavvicinamento Budapest. Antonescu ha osservato che Romania, aderendo nostro consiglio avvicinarsi Ungheria, persegue soprattutto finalità eliminare la più forte ragione di contrasto che permane oggi fra Roma e Bucarest, cioè la spina ungherese. Quanto alla duplice direttiva della politica romena non ha voluto o saputo darmi una risposta persuasiva. Equivoco perciò rimane.

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 840/19 R. Bruxelles, 3 febbraio 1937, ore 12,22 (per. ore 15,20).

Iersera, dopo il pranzo ufficiale in onore Re di Svezia, Re Leopoldo mi ha fatto chiamare.

Mi ha detto che Egli sperava in un pronto regolamento della questione relativa alla nomina dell'ambasciatore del Belgio presso il Quirinale; che la questione aveva sempre attirato tutta la sua attenzione; che a me certo non erano sfuggite, né sfuggivano difficoltà della locale situazione 1• Sua Maestà, nel rivolgermi poscia benevolmente parola, ha insistitito soprattutto sul punto che lo sviluppo delle buone relazioni con l'Italia, oltre a rispondere al suo personale sentimento, era da lui considerato come un vitale interesse per il suo Paese.

I Lo stesso giorno, l'ambasciatore Preziosi comunicava che la questione della nomina di un ambasciatore a Roma era stata ripresa in esame personalmente dal ministro Spaak, il quale pur essendo animato dalle migliori intenzioni, si trovava di fronte alle difficoltà derivanti dall'opposizione dei socialisti e dal precedente rifiuto della Francia di accreditare un ambasciatore presso il Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia. L'eco negativa provocata in Belgio dal discorso di Degrelle alla radio di Torino aveva impedito, all'inizio dell'anno, qualsiasi decisione ma ora a Bruxelles si contava di risolvere la questione con un atto unilaterale, al di fuori di una decisione collettiva presa a Ginevra (T. per corriere 940/04 R. del 3 marzo).

117

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 851/19 R. Bucarest, 3 febbraio 1937, ore 21,50 (per. ore 1,10 del 4).

Nella conversazione avuta ieri con Antonescu 1 ho richiamato nuovamente sua attenzione su errore che commetterebbe Romania a farsi trascinare dalla Francia e dalla Cecoslovacchia in impegni di carattere politico o militare.

Ho avuto netta impressione che il signor Antonescu, sia perché Parigi e Praga si mostrano generosi sul terreno delle forniture militari e dei prestiti, sia perché questi signori non sanno dire «no» a Parigi, si dimostra in complesso propendere a fare qualche cosa. Mi ha detto che non poteva mettermi per ora a giorno sulla natura di questo «qualche cosa» prima di aver nuovamente discusso problema con Stojadinovic con cui si incontrerà ad Atene in occasione convegno Intesa Balcanica.

Belgrado resta, quindi, l'ultima seria resistenza alle pressioni franco-cecoslovacche ma non escludo che, se progetto francese abbandonasse criterio «regionale», Praga e Bucarest potrebbero finire per assumere impegni anche da sole, specialmente se progetto francese tendesse, come sembra, a strappare adesione romena attraverso formula apparentemente innocua di una conferma (anche in mancanza della unamità) degli obblighi derivanti agli Stati membri della S.d.N. dall'applicazione articolo 16. Ciò significherebbe per la Romania (articolo 13, 3° capoverso) obbligo consentire passaggio delle truppe sovietiche. Questo metodo che impiglia Romania nella rete della assistenza a favore della Cecoslovacchia fu escogitato da Titulescu. Il progetto rientrerebbe ora in Romania via Praga, Parigi.

Antonescu mi ha confermato per l'ennesima volta con parole altisonanti che in nessun caso il «qualche cosa» conterrebbe impegni o punte contro Italia e Germania. Gli ho risposto che non avevo difficoltà a prestargli fede, tanto più che ogni eventuale punta si sarebbe rivoltata, a mio avviso, proprio e forse solo contro la Romania.

118

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 859/21 E 869/22 R. Belgrado, 3 febbraio 1937, ore 22,40 (per. ore 3 del 4).

Nel corso di un lungo colloquio che ho avuto stamane con Stojadinovic ho dato seguito alle istruzioni impartitemi da V.E. verbalmente e con telespresso n. 1176 del 30 gennaio scorso 2 .

I Vedi D. 115. 2 Non rintracciato.

Dopo avere premesso ed illustrato le direttive della politica di V.E. nei riguardi delle relazioni italo-jugoslave e dei negoziati in corso, ho accennato ai punti che verranno contemplati nell'accordo politico e negli altri documenti la cui formulazione avrà luogo alla ripresa delle conversazioni di Roma.

Ho avuto impressione che Stojadinovic non fosse stato perfettamente informato da Subotic. Comunque egli ha attentamente preso nota scritta degli argomenti da me accennatigli. Due di essi hanno particolarmente richiamato la sua attenzione: la «neutralità», per la quale evidentemente Subotic gli ha istillato i suoi noti dubbi ginevrini che ho dovuto controbattere, e l' «assicurazione per i terroristi», che gli sta specialissimamente a cuore. A questo proposito ha accennato alla sua intenzione di riammettere in Jugoslavia quelli di essi che risulteranno essere stati trascinati nel movimento, lasciando alla nostra vigilanza elementi più pericolosi ed irriducibili. Ha concluso, pur riservandosi di ponderare attentamente argomenti da me esposti, che, cogliendo l'opportunità, potevo intanto far sapere a V.E. che, nel complesso, riteneva assai soddisfacente l'impostaziom: accordo ed i risultati raggiunti. Avrebbe quindi inviato formali definitive istruzioni a Subotic che sarà Belgrado di ritorno da Ginevra verso il 9 o l O corrente e potranno ciò stante riprendersi negoziati a Roma verso il 15 corrente. Siamo rimasti d'intesa che con intensi contatti noi seguiremo in dettaglio corso negoziati Roma per le eventuali opportune delucidazioni e fiancheggiamento.

Stojadinovic si è dimostrato particolarmente sensibile gesto che V.E. intende fare col recarsi di persona a Belgrado per la firma, gesto di cui egli comprende tutto il significato. In complesso le cose appaiono qui favorevolmente e decisamente avviate, per quanto sia da attendersi qualche inevitabile mercanteggiamento dell'ultimo momento specie in seguito alle rinnovate pressioni francesi per l'adesione jugoslava al patto cumulativo mutua assistenza di cui riferisco a parte 1•

119

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 857/23 R. Belgrado, 3 febbraio 1937, ore 22,40 (per. ore 1,10 del 4). Mio telegramma n. 222 .

Ho chiesto a Stojadinovic quali fossero le sue intenzioni nei riguardi del nuovo passo compiuto dal governo francese anche a Belgrado per patto mutua assistenza Francia-Piccola Intesa in relazione articolo 16 Patto S.d.N.

Stojadinovic mi ha detto che formalmente ha preso tempo per rispondere facendo valere necessità consultazione con governi interessati Intesa Balcanica al prossimo

I Vedi D. 119. 2 Vedi D. 118.

incontro. Ma che in via confidenziale poteva dirmi che aveva già fermamente deciso rispondere ancora una volta negativamente. Non intendeva infatti prendere alcun impegno anti-tedesco. Quanto Italia, preferiva far ciò che sta facendo e cioè mettersi direttamente d'accordo anziché imbarazzarsi di rischiosi sistemi di assistenza.

120

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 902/03 R. Bucarest, 3 febbraio 1937 (per. il 6).

Mio telegramma n. 17 del 2 corrente 1 .

L'E.V., all'atto della mia partenza (24 novembre) mi diede istruzioni di perseguire un riavvicinamento romeno-magiaro, possibilmente con la mediazione italiana.

Ebbi già a riferire all'E.V., con il mio rapporto n. 715 del 9 dicembre 1936 2 , quanto ebbi a dichiarare in proposito a Re Caro!. Senonché, i rapporti fra Romania e Ungheria minacciavano di complicarsi anziché chiarirsi per le ingiuriose pubblicazioni dei due giornali nazionalisti romeni: Glasul Romane se e Turda.

Mi sono sforzato di profittare proprio di queste sfavorevoli circostanze per cercare, attraverso la sospensione dei due giornali, di far dare soddisfazione agli ungheresi e di addentellare qualche contatto fra questa legazione di Ungheria e il ministro Antonescu, contatti che sono poi proseguiti a Budapest fra Kanya e il ministro Bossy. Mi risulta che in due colloqui di giorni or sono tra de Kanya e Bossy si è un po' cominciato ad uscire dalle generalità. Da parte mia, ho insistito presso Antonescu, ieri, affinché nelle istruzioni che manderà a Bossy si faccia un reale passo avanti. Come l'E.V. avrà rilevato dal mio telegramma di ieri n. 17 Antonescu ci prega di preparare il terreno a Budapest.

Credo avere convinto Antonescu della necessità di dare soddisfazione all'Ungheria circa la parità di diritti e credo che la ricerca della formula potrebbe far luogo a utile mediazione da parte nostra.

Questa legazione di Ungheria ha la tendenza a mettere sempre in primo piano la questione del trattamento alle minoranze. Ignoro se questo sia anche l'irriducibile punto di vista di Budapest. A me pare bisognerebbe dare la precedenza alla questione della parità di diritti e marciare contemporaneamente verso la firma di un qualunque pezzo di carta di natura politica (patto di non aggressione o qualche altra cosa del genere).

Nella migliorata atmosfera dei rapporti politici tra i due governi la questione del trattamento alle minoranze potrebbe più facilmente trovare una soluzione conveniente. Questo governo molto potrà fare «dopo» avvenuto il riavvicinamento ma nulla potrà fare «prima» perché la campagna antimagiara scatenata dai giornali nazionalisti è

l Vedi D. 115. 2 Vedi serie ottava, vol. V, D. 559.

troppo vivace e nessun governo romeno avrebbe autorità e coraggio per fare macchina indietro. Ben altra sarebbe invece la sua autorità se «previamente» i rapporti politici fra i due Paesi fossero stati incamminati verso una direzione più felice.

121

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI

T. 362/8 R. Roma, 4 febbraio 1937, ore 23.

Suo telegramma 19 1•

V.E. -non avrà certo mancato di far presente a S.M. il Re Leopoldo che anche da parte nostra si desidera vivamente eliminare ogni nube che abbia potuto offuscare nel passato la tradizionale amicizia italo-belga. Aggiungo, per opportuna norma di V.E. -nell'eventualità che le si riparli costì della nomina del nuovo ambasciatore belga presso il Quirinale, che da parte nostra -come ovvio -non potremmo ammettere alcuna eccezione alla regola generale da tempo stabilita, secondo la quale le credenziali dei nuovi ambasciatori e ministri esteri presso la Real Corte devono essere indirizzate a S.M. il Re d'Italia, Imperatore d'Etiopia. A tale regola si sono del resto già attenuti vari Stati membri della Società delle Nazioni, nell'accreditare proprì Rappresentanti a Roma: quali il Cile, l'Austria, l'Albania, il Panamà, etc.
122

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1310/52 R. Roma, 4 febbraio 1937, ore 24.

Seguito telegramma 392 .

Michel Còte ha confermato che Compagnia ferroviaria è sempre pronta regolare in modo definitivo propri rapporti con R. Governo riconoscendolo a tutti gli effetti dell'atto di concessione come successore dell'ex governo etiopico ma che ne è impedita da governo francese, il quale intende subordinare suo consenso a conclusione di negoziati da governo a governo circa interessi francesi in Etiopia. In tali condizioni Michel Còte ha chiesto che modus vivendi per la ferrovia venuto a scadenza 31 gennaio

u.s. venga prorogato per tutto il tempo in cui durerenno i negoziati suddetti.

Gli è stato risposto che da parte nostra, in materia di concessione ferroviaria, conosciamo soltanto la Compagnia ferroviaria, ed è con essa che trattiamo, e che

l Vedi D. 116. 2 Vedi D. 108.

non possiamo considerare per buoni dei motivi di inadempienza della concessione, derivanti da rapporti fra la Compagnia ferroviaria e il governo francese. Che tuttavia, animati come siamo dal desiderio di non inasprire la situazione, consentivamo ad un'ultima proroga, però di un mese soltanto, dell'attuale modus vivendi. Una lettera diretta dall'Amministrazione coloniale alla Compagnia ferroviaria, e consegnata il 3 corrente al signor Michel Còte, concede la proroga anzidetta.

Restiamo in attesa di conoscere quale sia stata in questa materia la decisione del governo francese, a seguito delle istruzioni che il signor Léger avrà nel frattempo provocate dal signor Delbos. Ma debbo da parte mia, nel confermare le considerazioni del mio telegramma 39, osservare che, dopo che codesto governo ha riconosciuto di fatto l'Impero d'Etiopia (riconoscimento avvenuto fra l'altro con la nomina di un console francese ad Addis Abeba, come fu a suo tempo esplicitamente dichiarato proprio a cura di codesto governo), l'inibizione del governo francese alla Compagnia ferroviaria di riconoscere di fatto la successione del governo italiano al governo etiopico per quanto ha tratto alla concessione ferroviaria non è facilmente spiegabile. Comunque, di fronte al desiderio espresso dal governo francese di negoziare con noi e senza pregiudizio, né del nostro atteggiamento in proposito, né di quello che è detto sopra, occorre che il governo francese ci precisi i termini di riferimento dell'eventuale negoziato. È ovvio che in ogni caso resta impregiudicato ogni nostro diritto nei riguardi della Compagnia ferroviaria se al termine della nuova proroga essa non si atterrà a tutti gli obblighi derivantile dall'atto di concessione.

123

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 917/024 R. Londra, 4 febbraio 1937 (per. il 6).

Ho dato istruzioni al Consigliere di questa ambasciata di recarsi da Rendel, capo del Dipartimento Orientale al Foreign Office, allo scopo avere scambio vedute prima della prossima partenza di quest'ultimo per vicino Oriente. Il comm. Crolla mi riferisce quanto segue:

«In conformità istruzioni di V.E. mi sono recato a trovare Rendel per domandargli informazioni sul viaggio che si accinge a compiere e per intrattenerlo sulla situzione in Arabia.

Rendel mi ha detto subito che il suo viaggio era un puro viaggio di piacere, tant'è vero che conduceva seco la moglie e che usufruiva del suo regolare congedo, esteso a sei settimane. Naturalmente era anche un viaggio di studio; egli desiderava rendersi conto de visu di quei Paesi dei quali doveva ocuparsi, già da vari anni, seduto al tavolino del suo ufficio. Avrebbe di conseguenza preso contatti con tutti i rappresentanti britannici scaglionati sul suo itinerario. Ma teneva a ripetermi che non si trattava di un viaggio di servizio e che non aveva alcuna missione.

L'origine di questa sua decisione di recarsi in Arabia era la seguente: due anni fa, o poco più, il principe Saud, figlio di lbn Saud, era venuto a Londra. Rendel era stato incaricato dal suo ministro di occuparsi di lui. Il principe Saud nell'accomiatarsi, l'aveva a sua volta invitato a venire a Gedda. Rendel si proponeva di andarci, quando l'aggravarsi della situazione nel Mediterraneo Orientale e nel Mar Rosso in conseguenza del conflitto italo-etiopico venne a rendere impossibile un suo allontamento da Londra, oltreché politicamente inopportuno un suo viaggio nei Paesi d'Oriente. Rischiaratosi l'orizzonte, egli aveva sottoposto questa sua idea al ministro Eden che l'aveva approvata, a condizione però che il viaggio venisse considerato e contato come congedo regolare. L'itinerario che intendeva percorrere era il seguente: imbarco a Brindisi per Caifa; visita brevissima in Palestina; traversata del deserto siriano; Bagdad-Basrah-Kuweit-Bushire-Isole Bahrein; traversata del deserto arabico da Ojair a Riad e a Gedda; imbarco a Gedda per Suez e forse Alessandretta; ritorno attraverso l'Italia, sbarcando a Napoli o Genova. Contava utilizzare le linee di navigazione italiane.

Ho preso atto di quanto Rendel amichevolmente mi comunicava e gli ho detto che desideravo cogliere l'occasione per parlare con lui, in via personale e molto franca, della situazione generale dell'Arabia nei suoi rapporti con gli interessi e la politica dei nostri due Paesi.

Riferendomi ad un colloquio precedente (telespresso ministeriale n. 236310/c del 2 novembre) 1 , gli ho fatto notare che le attività di Philby e di altri agenti o individui di nazionalità britannica, qualunque potesse essere di fatto la loro concordanza o discordanza con le direttive del Foreign Office e del Colonia! Office, si prestavano ad interpretazioni suscettibili di ingenerare malintesi ed attriti.

Rendel ha risposto che si rendeva conto delle difficoltà di convincere certi osservatori stranieri che il Philby non era affatto un agente del governo britannico o dell' Intelligence Service, messo alle dipendenze di Ibn Saud. «Philby» egli ha detto -«è un uomo che nella carriera del civil service, in India, nell'Iraq, in Palestina, si è dimostrato sempre pericoloso, indipendente, irritabile e ha sempre e dovunque litigato con i suoi capi e colleghi. Licenziato dal civil service si è recato in Arabia, si è innamorato della causa di Ibn Saud e si è messo a sua completa disposizione. Quando abbiamo dovuto trattare con Ibn Saud, Philby è stato il cattivo consigliere che suggeriva al Sovrano arabo di tener testa agli inglesi, di alzare il prezzo e le sue condizioni in vista di un accordo, annunziando che Londra avrebbe finito col capitolare. Ibn Saud ha dovuto constatare più di una volta che Philby lo serviva male, che -accecato dall'entusiasmo -lo trascinava in posizioni rischiose e imbarazzanti di fronte al governo britannico. Cosiché oggi stesso non si può nemmeno dire in via assoluta che Philby sia un agente o un rappresentante di Ibn Saud.

Gli rende, certo, segnalati servizi e Ibn Saud lo sfrutta e non vuole disfarsi di lui. Ma lo considera come un avventuriero pericoloso, al quale non si può prestar

I Trasmetteva notizie dettagliate sull'attività di alcuni agenti britannici nell'Hadramaut e nello Yemen che sembrava voler preparare dei «mutamenti alla situazione politico-territoriale dell'Arabia sud-occidentale» e dava incarico di «intrattenere in via amichevole» il Foreign Office su la questione, richiamandosi agli accordi precedenti con i quali Italia e Gran Bretagna avevano «riconosciuto l'esistenza dei rispettivi interessi in quella regione e l'opportunità di astenersi da interventi suscettibili di alterarvi lo statu quo esistente». L'ambasciatore Grandi doveva assicurare che l'Italia aveva sempre seguito ed intendeva continuare a seguire tale direttiva.

fede sicura, né conferire autorità, e ai suoi intrighi non deve mai essere impegnativamente, vincolata la politica del governo saudiano. Sono d'accordo con voi che l'ultimo viaggio di Philby nell'Hadramaut è stato molto inopportuno.

Egli ha tentato di attrarre nell'orbita saudita alcune tribù che, per vicinanza geografica, tradizionalmente gravitano non solo verso Sanaa, ma anche verso Aden. L'azione di Philby tendeva in altri termini ad allentare i rapporti di queste tribù con le autorità britanniche. Ma che cosa potevamo fare noi per arrestare le pazzesche iniziative di quest'uomo? La nostra politica nei suoi riguardi ha subito diverse fasi e ha tentato tutti i possibili sistemi. Abbiamo cercato di screditarlo presso lbn Saud. L'abbiamo messo al bando. E adesso stiamo cercando di prenderlo con le buone: ho dato recentemente istruzioni al nostro ministro a Gedda 1 di mettersi in amichevoli contatti con lui, per tentare così di controllarlo, di moderarlo possibilmente, o almeno di essere informato dei suoi propositi e dei suoi movimenti.

Voi mi avete citato, fra l'altro, la missione Seager a Sanaa. Non si può mettere il capitano Seager sullo stesso piede di Philby. Seager è un funzionario del Governatorato di Aden: uomo serio e pienamente responsabile. Seager non ha mai chiesto all'Imam alcuna concessione, tanto meno concessioni di località costiere per costruirvi fortificazioni che potrebbero rivolgersi contro lo Y emen. Scopo della sua missione è stato quello di definire alcune questioni e alcuni incidenti di frontiera. Voi avete nello Yemen dottori e altri vostri connazionali capaci di trattare indirettamente e ufficiosamente tutte le questioni che possano avere attinenza con gli interessi italiani. Noi non abbiamo nessuno adeguato a questo compito e abbiamo per di più una frontiera comune: da ciò la necessità di periodiche missioni. Certo, è interesse nostro evitare nuovi conflitti in Arabia e -se mai -la poca influenza che possiamo avere, la esercitiamo nel senso della conciliazione e della pace. Così ci siamo rallegrati dell'accordo concluso tra l'Imam e Ibn Saud 2 , per quanto ancora certe zone di frontiera siano mal definite e possano dar luogo ad incidenti. Vogliamo un'Arabia tranquilla, nello statu quo presente, imperniato sull'esistenza di due regni indipendenti e possibilmente amici.

La nostra simpatia per lbn Saud è dovuta a tre motivi: l) anzitutto, egli possiede la maggior parte del territorio arabo e l'avere con lui buone relazioni ci fornisce la leva più utile per la difesa dei nostri interessi generali in quella regione; 2) controlla la strada interna dal golfo Persico a Riad e a Gedda, per la quale passano i pellegrinaggi musulmani provenienti dall'India; 3) ha nelle sue mani i luoghi santi dell'Islam, a cui gelosamente guardano i nostri musulmani dell'India. Non vi è altro segreto motivo: nessuna complicità nostra in un supposto tentativo di accerchiare lo Yemen. Credetemi, la Gran Bretagna è sazia di territori, è sovraccarica di responsabilità, non vuole accollarsene altre. La sua politica nell'Arabia è statica, non dinamica. Vorrebbe soltanto poter essere sicura che questa politica statica venga condivisa da altre Potenze. Mi perdonerete se vi parlo con molta franchezza? Noi siamo un po' preoccupati delle mire possibili, future, dell'Italia. Voi vi siete conquistata l'Etiopia e avete di conseguenza rafforzato la vostra posizione nel Mar Rosso. Dalla sponda occidentale ci sembra

1 Sir Reader-William Bullard.

2 Trattato di pace, di amicizia musulmana e di fraternità araba tra Arabia Saudita e Yemen del 20 maggio 1934 (testo in MARTENS, vol. XXX, p. 701-711).

qualche volta che guardiate con occhio diverso da quello di qualche anno fa alla sponda orientale. Vostri agenti, vostri giornalisti, vostri ufficiali di terra e di mare si lasciano talvolta sfuggire qualche ovvia osservazione sulla facilità e sull'utilità di mettere piede anche sulla costa arabica; potreste così controllare dai due lati la nostra via delle Indie. Siete giovani, forti, avete bisogno di espandervi. Avete ragione, non discuto; abbiamo fatto anche noi la stessa cosa nel passato. Ma dovete convenire che una simile prospettiva ci disturba. Io non credo che una reale intenzione esista, per ora almeno, nella mente del vostro governo. Ma i discorsi cui vi accennavo un momento fa, vengono a loro volta raccolti dai nostri agenti, dai nostri informatori, dai nostri consoli, e comunicati a Londra dove alimentano in alcuni ambienti una certa preoccupazione. Il Foreign Office non presta fede a queste dicerie, fiducioso com'è dei buoni rapporti ristabiliti col governo italiano, sopratutto dopo il gentlement's agreement. Ma deve, purtroppo, in qualche modo tenerne conto per non apparire agli occhi dei suoi accusatori, quasi accecato da questa rinnovata simpatia e fiducia verso l'Italia».

Ho ascoltato Rendel in tutta la sua lunga esposizione e gli ho detto che apprezzavo la sua franchezza. A mia volta gli ho rinnovato nel modo più formale l'assicurazione che l'Italia fascista non intendeva turbare l'assetto territoriale e politico dell'Arabia e desiderava anzi informare la sua politica -come del resto aveva sempre fatto -al criterio del riconoscimento dei mutui interessi e della cooperazione amichevole con la Gran Bretagna, che gli accordi di Roma del 1927 1 avevano così felicemente iniziato.

In vista delle osservazioni di Rendel sulla persona e l'attività di Philby e delle istruzioni contenute nel già citato telespresso n. 236310, ho creduto anzi opportuno di dichiarare a Rendel che avevo ogni motivo di ritenere che il governo fascista interpretava gli accordi di Roma del 1927 nel modo più espansivo possibile e desiderava essere sicuro che tale fosse pure l'interpretazione del governo britannico. L'Italia -ho aggiunto-non·1'itiene sufficiente la mutua assicurazione britannica e italiana di non voler turbare o modificare il presente assetto dell'Arabia. In un terreno così singolare come quello della Penisola arabica, i turbamenti e le modifiche possono accadere anche all'infuori della volontà delle due Potenze che vi esercitano la somma maggiore di influenza. Ho citato il caso del Philby per osservare che l'opera di agenti responsabili poteva portare a slittamenti di tribù, modifiche di territori, ingrandimenti

o impoverimenti del Regno Arabo Saudiano o del Regno Y emenita, alterando così l'equilibrio politico generale sul quale poggiano -come sui due piatti di una delicata e mobilissima bilancia -gli interessi tanto dell'Italia quanto dell'Inghilterra. Ho continuato osservando che l'attività di Philby non si limitava al Mar Rosso ma raggiungeva l'Oceano Indiano (Hadramaut) e le sponde del Golfo Persico; e che i possedimenti e l'influenza di lbn Saud gravitavano pure a Sud Est e ad Est del Kuwait alle tribù disperse sulle rive dell'Oceano. Nell'attuale configurazione politica dell'Arabia, non poteva svolgersi alcun avvenimento importante nell'estremo Est o Sud-est senza che ne risultassero ripercussioni gravi sulle sponde del Mar Rosso. Mi pareva dunque logico e necessario che l'obbligo dell'informazione e della consultazio

1 Riferimento all'accordo italo-britannico del 7 febbraio 1927 sottoscritto al termine delle «conversazioni relative alle questioni arabe e del Mar Rosso» che si erano svolte a Roma dall'li al 15 gennaio precedenti. Il testo dell'accordo è pubblicato in BD, serie lA, vol. II, D. 469, allegato.

ne, consacrato negli accordi di Roma, dovesse non limitarsi alla direttrice Gedda-Sanaa, ma estendersi a tutta la penisola arabica oggi in gran parte unificata sotto lo scettro di Ibn Saud e contenuta nelle sue tre principali linee costiere.

Riprendendo le constatazioni già fattemi da Rende!, gli ho dichiarato che la situazione esistente nel Mar Rosso al momento degli accordi di Roma era alquanto diversa da quella di oggi. Dopo la conquista dell'Etiopia, gli interessi italiani nel Mar Rosso si erano moltiplicati e rafforzati la sensibilità italiana in quella zona si era quindi grandemente e giustamente acuita. Forte di questa sua nuova posizione nella luce dell'accordo italo-britannico del 2 gennaio scorso, l'Italia fascista ripeteva la dichiarazione della propria volontà di cooperare con la Gran Bretagna nel Mar Rosso (come nel Mediterraneo) di rispettare lo status quo dell'Arabia, e di consultarsi per ogni fatto che potesse pregiudicarlo o mutarlo.

L'Italia confidava perciò che a questo suo leale e chiaro atteggiamento avrebbe corrisposto, da parte del governo britannico, una estensione dell'obbligo di informazione e di consultazione, sancito negli accordi del 1927, in modo da tener conto della nuova posizione occupata oggi dall'Italia nel Mar Rosso e, per riverbero, in tutta la penisola arabica.

Rende! ha ascoltato con la massima attenzione quanto gli dichiaravo e, pur osservando che tutto ciò non risultava strettamente dalla lettera degli accordi di Roma, mi ha detto che prima della sua partenza avrebbe messo al corrente il ministro del contenuto della nostra conversazione» 1•

124

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CAPO DEL GOVERNO, CIAN02

APPUNTO. Milano, 4 febbraio 1937.

Il primo colloquio con Riistii Aras è stato dedicato all'esame dei rapporti fra i due Paesi ed a un giro di orizzonte relativo alla situazione generale.

Riistii Aras ha cominciato col fare delle dichiarazioni smisurate e goffe di amicizia per l'Italia e di ammirazione per il Duce. Risparmio la serie di acrobazie che ha compiuto per riuscire, attraverso l'elencazione di manifestazioni tutte negative, quello che sarebbe stato il suo sempre favorevole atteggiamento nei confronti dell'Italia. Gli ho risposto che, mentre stavamo per aprire una nuova pagina nel libro delle relazioni italo-turche, non valeva la pena di fare il processo al passato, sul quale noi eravamo fissati e documentati: fatto che impediva di modificare i giudizi ormai in noi maturi.

Riassumo brevemente i vari argomenti trattati:

-Conferenza di Montreux. Ho ricapitolato le ragioni che ci avevano impedito di dare l'adesione iniziale alla Conferenza di Montreux. Egli ne era edotto.

I Si veda, per il seguito, il D. 683. 2 Ed. in L'Europa verso /q Catastrofe, pp. 144-148.

Ho detto che per il futuro non vedevamo difficoltà di merito a dare la nostra adesione, ma che noi ci consideravamo arbitri della scelta del momento opportuno. Naturalmente avremmo dato la nostra adesione con due condizioni: l) di venire ad assumere una figura identica a quella degli Stati firmatari originariamente; 2) di formulare le stesse riserve del Giappone per quanto concerne i legami tra il Convenant e la Convenzione di Montreux.

Aras ha senz'altro approvato questo punto di vista ed ha manifestato la sua soddisfazione per la nostra decisione.

Gli ho fatto allora presente che la Turchia, nei riguardi dellà situazione etiopica, non aveva ancora proceduto ad un riconoscimento de jure, mentre già altri Stati, membri della Lega avevano fatto ciò. Aras mi ha detto che, tornando a Costantinopoli, studierà di risolvere la questione adottando in pratica la formula giapponese e cioè che non fa differenza tra il riconoscimento de jure e quello de facto e che, riconoscendo l'Impero, come la Turchia ha già fatto da alcuni mesi, egli intendeva compiere un gesto formalmente e sostanzialmente completo.

Gli ho parlato allora dell'armamento delle isole del Dodecaneso. È un cosa sgradevole per noi, e certamente inutile, quella di continuare da parte turca a protestare contro tali armamenti, considerandoli quasi una minaccia diretta verso la Turchia. Le Isole del Dodecaneso rappresentano una tappa nella via delle comunicazioni imperiali, alla cui sicurezza intendiamo provvedere nel modo più efficace e completo.

Aras ha preso atto delle mie dichiarazioni ed ha assicurato che la Turchia presta completa fede a quanto era stato detto e che per l'avvenire ogni polemica circa l'armamento di Leros sarà evitata.

-Statu quo nel Mediterraneo. Aras ha manifestato la sua più alta soddisfazione per il raggiungimento del gentlement 's agreement tra l'Italia e l'Inghilterra. Ha riaffermato che la Turchia intende svolgere ogni sua politica sulle seguenti basi: Mar Nero, collaborazione e amicizia con la Russia; Mediterraneo, stretta intesa con l'Italia e la Grecia; collaborazione amichevole coll'Inghilterra; rispetto verso gli altri Paesi. I soli patti che la Turchia abbia nel Mediterraneo sono quelli che la legano a Roma e ad Atene. Con l'Inghilterra invece non esiste carta scritta. I rapporti si basano su un parallelismo di interessi e di azione. Con la Francia le relazioni sono migliorate in seguito all'accordo per il Sangiaccato. Da Parigi si insiste adesso per avere un trattato con la Turchia ma Ankara non è favorevole e comunque la cosa deve essere rinviata a tempi migliori. Niente sarà fatto senza previa consultazione con l'Italia. Per quanto concerne poi la Spagna, nonostante i solidi legami di amicizia che uniscono la Turchia alla Russia, il Governo turco non sarebbe affatto favorevole alla costituzione di un Stato sovietico nella Penisola Iberica. Nella pratica, la Turchia ha in questi mesi rifiutato qualsiasi appoggio ai trasporti russi che invece hanno trovato base, rifornimento e sostegno nei porti francesi. La Turchia, pur non avendo particolari ragioni pro' e contro, vedrebbe con piacere, se non altro per ragioni ideologiche, il consolidamento del Governo franchista.

-Situazione balcanica. L'amicizia con la Grecia è messa alla base di tutta la politica turca nei Balcani; poi i buoni rapporti con la Jugoslavia. Essi non sono stati alterati dalla recente stipulazione del Patto bulgaro-jugoslavo, anzi, Aras personalmente, è stato molto favorevole a questa pacificazione fra slavi antibolscevichi, sulla cui solidità e stabilità fa però molte riserve. Ha dichiarato che vede con piacere il nostro riavvicinamento con la Jugoslavia, anche perché facilità il riavvicinamento tra la Jugoslavia e l'Ungheria, Nazione alla quale il popolo turco è legato da profondi sentimenti di amicizia. Io, anche per desiderio degli jugoslavi, non ho affatto parlato ad Aras delle trattative in corso, che egli ignora.

* * *

Nel secondo colloquio, che ha avuto luogo nel pomeriggio, sono state particolarmente esaminate questioni di corrente amministrazione o locali in sospeso. Riistii Aras ha dato le più ampie assicurazioni per una soluzione favorevole. Vedremo ...

A sua volta mi ha parlato di alcuni problemi secondari e, cosa abbastanza importante, mi ha accennato al progetto di un cavo telefonico Ankara-Atene-Tirana-Roma, con lo scopo di convogliare, attraverso l'Italia, tutte le comunicazioni dalla Grecia e dalla Turchia, che adesso invece passano per l'Europa centrale e per Parigi. Il progetto è interessante tanto più che il nostro contributo si limiterebbe a stendere il cavo attraverso l'Adriatico.

Alla fine del secondo colloquio sono stati ricevuti i giornalisti, ai quali Aras ha fatto le note dichiarazioni 1• Il comunicato da noi precedentemente redatto 2 , è stato da lui integralmente approvato ed ha tenuto ad esprimere la sua soddisfazione perché esso valeva a dare un'idea esatta dei risultati del colloquio e a preparare ulteriori sviluppi della iniziata collaborazione.

La visita, più che di un convegno politico, ha avuto l'aspetto di un cerimonia di redenzione. Riistii sapeva di essere in Italia per fare soprattutto l'atto di contrizione. Bisogna riconoscere che ha recitato il mea culpa con un'ammirevole impudenza. Se fosse ancora al Governo, a quest'ora vedremmo Titulescu salire anche lui languidamente le scale di una qualsiasi Prefettura del Regno ... 3 .

125

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 503/138 Berlino, 4 febbraio 1937 (per. !'8).

Con il mio telespresso n. 454/128 del 30 gennaio u.s. 4 ho avuto l'onore di esporre all'E.V., in riassunto, i punti principali del discorso pronunciato dal Cancelliere Hitler

1 I punti di maggiore significato politico toccati da Aras nella conferenza stampa del 3 febbraio e nelle successive interviste a La Tribuna e a /l Piccvlo concernevano «la promessa dell'Italia di aderire, al momento opportuno, alla Convenzione di Montreux», la dichiarazione, collegata al miglioramento dei rapporti italo-jugoslavi, che gli Stati balcanici vedevano «con particolare soddisfazione il mutarsi e lo stringersi di relazioni amichevoli fra i singoli Paesi della Penisola balcanica e l'Italia» e l'affermazione che i rapporti tra l'Italia e l'Intesa Balcanica andavano diventando <<sempre più amichevoli».

2 Vedi p. 117, nota l.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

4 Non pubblicato.

al Reichstag, nel pomeriggio del 30 gennaio, in occasione della celebrazione del IV Anniversario dell'assunzione al potere del nazionalsocialismo. Alla distanza di qualche giorno ed alla luce delle impressioni e dei commenti suscitati qui ed altrove, sembra possibile ora appronfondirne ancora meglio e più nettamente gli aspetti più interessanti.

Occorre osservare innanzitutto come l'attesa per questo discorso da parte dell'opinione pubblica mondiale fosse assai maggiore che per qualunque altra delle precedenti dichiarazioni politiche del Cancelliere del Reich. Tutta la stampa d'oltre frontiera per intere settimane ha pubblicato infinite ipotesi e previsioni sul suo contenuto ed anche a Berlino, particolarmente negli ambienti diplomatici e giornalistici, si era giunti negli ultimi giorni ad una vera ridda di induzioni e di supposizioni che hanno trovato eco, come è noto, anche in importanti asserzioni di agenzie ufficiose straniere. Ricorderò in proposito il comunicato Havas, pubblicato in Francia nella stessa mattina del sabato 30, il quale conteneva affermazioni circostanziate e precise sul contenuto -che si sperava conciliante nei confronti della Francia -del discorso. Comunicato che, a quanto mi viene detto da fonte che dovrei ritenere sicura, appare essere stato direttamente ispirato da questo ambasciatore di Francia, François-Poncet, ritornato negli scorsi giorni da Parigi animato da grande ottimismo e preconizzando una imminente presa di contatto franco-tedesco nel campo, particolarmente, dei rapporti economici e commerciali.

Ora viceversa, se si vuol dare uno sguardo d'insieme al discorso, durato come è noto oltre due ore, occorre affermare senz'altro che mai le dichiarazioni del Cancelliere tedesco sono state così prive di «colpi di scena» come le attuali. Che anzi il tono del discorso stesso può quasi essere definito come «normalizzato».

Fatta astrazione dallo stesso annuncio del Cancelliere che «l'epoca delle sorprese è passata», basta infatti notare come, soprattutto, il discorso abbia dal punto di vista internazionale lasciato la situazione nelle stesse condizioni e sulle stesse linee nelle quali essa si trovava la sera del 29.

Abituati per il passato ad udire decisioni imprevedute, nuove offerte e piani costruttivi di pace o minaccie di reazioni violente, gli ascoltatori stranieri sono rimasti non poco sorpresi nel vedere come il Terzo Reich, per bocca del suo Cancelliere, abbia oggi limitato e definito il proprio atteggiamento in un quadro di cosciente parità e quindi di quasi tranquilla «normalità». Nessun nuovo ponte -perciò -è stato gettato da Berlino verso quei Paesi che, bene o male, si stimano ancora i vincitori della Germania del 1918 e che considerano o almeno consideravano fino ad ora i rapporti con essa basati sempre su una concezione di morale disparità.

Persino nella materia del disarmo, tanto cara ai cuori britannici, il discorso del Cancelliere, pur ripetendo, ma soltanto storicamente, le antiche offerte di riduzione, ha in certo modo posto la parola «fine)) alla questione in quanto elemento isolato e disgiunto dal quadro dei rapporti generali fra i diversi Paesi. Il 5° infatti, degli 8 punti posti a conclusione delle sue dichiarazioni, dice esattamente che «non è possibile di rendere responsabile, secondo la propria fantasia, ora una Nazione ora un'altra dell'accrescimento o della limitazione degli armamenti. È necessario invece considerare anche questi problemi nel quadro generale che crea preventivamente le loro condizioni e che le determina nella realtà delle cose)).

E, quanto ai piani concreti per una stabilizzazione della «sicurezza)) nell'Europa occidentale (argomento, questo, caro invece ai cuori francesi), il Cancelliere è stato altrettanto riservato e, pur avendo confermato come la Germania sia tuttora pronta

ad offrire la propria garanzia al Belgio ed all'Olanda, non ha neanche pronunciato la parola «Locarno», sulla quale tanto è stato detto e scritto negli ultimi mesi. E, in certo modo, nella risposta al ministro Eden e nell'arguta polemica sul preteso «isolamento» della Germania e le sue attuali amicizie, il Cancelliere ha fatto chiaramente comprendere come, dopo tutto, il Reich non sia affatto scontento della sua attuale situazione in Europa, e quindi non abbia motivo di affannarsi alla ricerca di nuovi sistemi e forme di sicurezza.

In definitiva, pertanto,. può dirsi che alla relativa moderazione (soprattutto dato l'uomo ed i precedenti) del tono e delle espressioni (moderazione che si è dimostrata persino nei confronti della Russia) ha fatto contrasto una risoluta riservatezza di contenuto del tutto nuova e che dimostra come, dopo l'avvenuto riarmo, la Germania si senta effettivamente in una condizione di assoluta parità, morale e materiale, con le altre grandi Nazioni e quindi non abbia motivi di particolari preoccupazioni al riguardo. Può anzi dirsi che la caratteristica del discorso sia stata proprio questo senso di assoluta e tranquilla dignità e la espressione, attraverso il suo Capo, della intima sicurezza raggiunta dal Terzo Reich.

Ogni presa di posizione precedentemente annunciata è stata di fatto mantenuta: diritto della Germania alle colonie, riaffermato in forma chiarissima ma tuttavia privo di fastidiose imminenze; diffidenza assoluta nei confronti della S.d.N., messa particolarmente in ridicolo per la sua azione nel conflitto italo-etiopico; riaffermazione solenne del diritto della Germania agli armamenti in quella qualunque misura che essa, a solo suo giudizio, ritenga indispensabile; riaffermazione infine dell'assoluta impossibilità germanica di considerare anche lontanamente l'eventualità di un riavvicinamento ai portatori del bacillo bolscevico.

Nei confronti dell'Italia, il discorso ha contenuto accenni che, se pure fuggevoli, come ho accennato nel mio telegramma n. 63 1 , non sono per questo privi di significato e di importanza. Si può anzi dire che -come risulta dal numero 8 dei già citati punti finali, e cioè quello nel quale la Germania, nel dichiararsi felice di aver stabilito con il nostro Paese rapporti di stretta amicizia, li indica come esempio alle altre Nazioni europee perché seguano un metodo eguale -i legami attuali italo-tedeschi vengano qui sentiti come oramai acquisiti e considerati quindi come elemento implicito, perché necessario, della attuale situazione politica tedesca.

Dell'asse Roma-Berlino-è vero-Hitler non ha esplicitamente parlato, ma in tutto quello che ha detto quell'Asse appare come la premessa sottintesa e naturale. Donde, dopo tutte le note discussioni sulle possibilità di un avvicinamento anglo-tedesco e franco-tedesco, lo stesso tono polemico nei confronti di Eden e l'assoluto silenzio nei riguardi di Blum. Di questa nuova forma spirituale e mentale io ho avuto la sensazione precisa in più di una manifestazione occorsa in questi ultimi giorni, non ultima fra esse una del Maresciallo Blomberg-noto per la sua precedente anglofiliae di cui mi riservo di riferire dettagliatamente all'E.V. in separato rapporto 2 .

t Vedi D. 105.

2 Con telespresso 0543/155 del 6 febbraio, Attolico riferiva di essere stato invitato, come ospite d'onore, ad un cena offerta dal Maresciallo von Blomberg, il quale si era espresso a più riprese «in maniera da far nettamente comprendere che la sua posizione nei riguardi dell'Italia era alquanto diversa da quella già dimostrata un anno fa» ed aveva poi aggiunto «che non conosceva Roma e che avrebbe avuto piacere di visitarla». Il documento ha il visto di Mussolini che ha sottolineato le frasi qui riportate.

Anche nei riguardi della situazione interna del Paese, il discorso è stato, per quanto fermo, abbastanza pacato e «normale». Quasi nessun accenno alle pungenti questioni delle confessioni religiose e degli ebrei e, viceversa, esaltazione dell'importanza e del valore dell'unione nazionale per la salute della Patria tedesca.

Il caloroso accenno alla collaborazione degli elementi di governo non appartenenti al Partito nazionalsocialista, è apparso particolarmente degno di nota, anche perché sottolineato dagli applausi dell'assemblea. E ad esso ha fatto seguito, come è noto, nello stesso pomeriggio del giorno 30, la consegna del distintivo -in oro-degli «antichi combattenti» del partito ai ministri ed aicomandanti militari che ne erano tuttora privi.

Questo solenne conferimento della più alta onorificenza di partito (con conseguente loro «inserzione» nei ranghi) ad uomini come von Neurath, von Blomberg, Schacht, ecc. e il successivo ordine del giorno lanciato alle forze armate dal loro supremo comandante per rinnovare, per la vita e per la morte, il giuramento di fedeltà al Fiihrer ed al popolo tedesco, sono forse dal punto di vista interno gli elementi più interessanti ed importanti della giornata del 30 gennaio 1937.

Si può dire che, all'inizio del piano quadriennale economico, dichiarato solennemente dal Fiihrer quale atto di assoluta ed imprescindibile necessità per l'avvenire della Germania (e ciò in contrasto se non a disfida delle aspirazioni britanniche), il Capo dello Stato tedesco abbia sentito la necessità di unire idealmente tutte le forze del Paese in un quadro di mutua comprensione e di conciliazione. È così, che in una effettiva collaborazione e nell'equilibrio delle forze dell'Esercito e del Partito, nuovamente definite le due colonne dello Stato tedesco, il Cancelliere ha voluto solennemente segnare la via dell'avvenire della Germania nazionalsocialista.

126

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

Washington, 4 febbraio 1937.

È vero che l'Italia fascista ha avuto fino a 4 anni fa un ambiente relativamente favorevole in una parte della popolazione, ma la situazione è oggi fondamentalmente mutata. Quello che ha messo l'opinione pubblica americana contro l'Italia fascista è stato il sorgere del nazional-socialismo con le sue manifestazioni in America e la guerra etiopica. La crisi etiopica è superata e l'opera di civiltà e di pace che l'Italia sta svolgendo in Africa, se opportunamente valorizzata qui, non potrà che incontrare le simpatie del pubblico americano. La questione del nazismo rientra nelle linee generali della nostra politica estera. Il nazismo ci ha danneggiato soprattutto per il fatto che i due movimenti, nell'opinione pubblica americana,

l Questo documento non è stato rintracciato nelle carte dell'archivio. Qui si pubblica il brano riportato in R. DE FELICE, Mussolini il duce, II. Lo Stato totalitario 1936-1940, Torino, Einaudi, 1981,

p. 446.

sono stati fino ad un certo punto identificati e che si sono attribuite al fascismo determinate manifestazioni caratteristicamente naziste che qui incontrano la generale disapprovazione ... Come si presenta oggi la situazione sulla base di una divisione fra Potenze fasciste e Potenze democratiche, non c'è nessun dubbio che le simpatie dell'America sono per il secondo gruppo anche se di questo dovesse far parte la Russia e soprattutto se al gruppo delle potenze fasciste partecipasse il Giappone. Questa simpatia di oggi potrebbe tradursi in un aiuto di domani in caso di conflitto ad onta di tutte le leggi sulla neutralità che il Congresso potrà votare. Anche prima dell'intervento nella guerra mondiale, l'America aveva un atteggiamento di neutralità che si è modificato poi radicalmente in pochi mesi.

Un altro punto che si può fissare è quello che l'America tenderà sempre a correre in aiuto dell'Inghilterra quando questa sia in pericolo e ciò per due ordini di motivi. Da un lato c'è la comunità di sangue e la tradizione che unisce le due nazioni, dall'altro la convinzione di questo Paese che l'Inghilterra è un elemento indispensabile dell'equilibrio mondiale e quella su cui si può più contare per mantenere la pace. 1

I In un telespresso dello stesso giorno (n. 684/193) dedicato alle prospettive della propaganda italiana negli Stati Uniti, Suvich faceva queste considerazioni sull'ambiente in cui si sarebbe dovuto agire:

«La enorme maggioranza degli americani è anglo-sassone ed anglo-sassone e protestante è lo spirito che domina il Paese. Il pacifismo ha qui la sua massima delle roccheforti. Le libertà democratiche, o quanto meno le minori di esse che sono però anche le più appariscenti, come la libertà di parola, di stampa e di associazione, non possono essere qui messe neppure lontanamente in discussione. Paese enormemente ricco, è, o almento è stato fino alla crisi del 1932-33, fondamentalmente conservatore, poiché esistevano qui «opportunità» per tutti, perché anche i più poveri sentivano che l'indomani avrebbe potuto essere migliore e che forse anch'essi avevano nella propria giberna il bastone di maresciallo. Basti pensare che circa la metà di coloro che hanno alti posti di comando nella grande industria siderurgica americana vengono dai pay rolls dell'industria stessa:

L'impostazione dei grandi problemi politici sociali è qui completamente svisata. Mentre in Europa tutti più o meno sentono il pericolo comunista e si rendono conto delle funzioni preventive e repressive del fascismo, qui questa antitesi perde ogni valore; la distinzione che qui si fa è piuttosto fra democrazia e dittatura. In questo Paese, che è gelosissimo delle proprie tradizioni, forse appunto perché non ne ha molte, l'idea della dittatura incontra la più fiera opposizione ed è considerata la più antitetica alla tradizione americana.

Ho già riferito, in un altro rapporto, il ricorso mentale che porta il pacifismo americano a considerare la dittatura ed il fascismo, ovvero quelli che qui si chiamano i fascisti, il pericolo di domani. Questo popolo non vuole guerre, né in casa propria, né fuori, e, pur di non dover combattere con le armi, è disposto a combattere oggi con tutti gli altri mezzi quello che considera il pericolo di una futura guerra. C'è in questo atteggiamento americano molta ignoranza e molta incomprensione, ma c'è un fondo di reale dissenso ideologico che è insopprimibile. Noi affermiamo che il fascismo è voluto dalla totalità degli italiani, che il fascismo va verso il popolo, che da questo punto di vista è una vera democrazia, ma qui vedono nel nostro movimento il lato autoritario, la negazione di ogni libertà, la dittatura, il militarismo, la preparazione alla guerra, idee che contrastano con le tradizioni e con gli interessi di questo Paese. È una situazione almeno in parte insanabile.

Bisognerebbe che in America ci fosse un reale pericolo comunista, che oggi non c'è, o che gli americani sentissero i primi sintomi di un pericolo di domani, il che ora non avviene, perché il fascismo fosse meglio compreso e potesse sorgere un avvicinamento sul piano ideologico fra i nostri due Paesi. E che ci siano dei sintomi di un pericolo futuro non c'è dubbio; basta pensare alla tendenza comunisteggiante di molte delle università americane fra le più importanti.

Ma questo pericolo potenziale come si è detto non è sentito e le proporzioni del fenomeno comunista per oggi sono modeste. Il partito comunista americano conta infatti poco più di 50.000 iscritti ed i voti raccolti dal candidato comunista nelle ultime elezioni non hanno raggiunto l 00.000, raggruppati nei principali porti ed in qualche centro industriale. Gli stessi grandi scioperi che si sono succeduti in questi ultimi anni, anche se manovrati da mestatori politici con legami più o meno diretti con Mosca, non hanno avuto per la massa significato politico ma soltanto economico.

Oltre alle ragioni sopraddette ci sono poi degli altri elementi che agiscono in questo Paese in senso contrario a noi. C'è in America una diffusa forte antipatia per il regime nazista, della quale naturalmente approfittano gli ebrei che hanno delle posizioni importanti nella stampa, nella politica, nella finanza,

127.

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 462/207. Mosca, 4 febbraio 1937 (per. /'8).

Miei rapporti nn. 333/138 1 e 339/143 2 delli 27 e 28 gennaio u.s.

Dopo sei giorni di dibattiti, il processo politico contro il «centro parallelo trotzkista» è terminato con tredici condanne a morte; due a dieci anni ed una a otto anni. Due dei principali accusati, Radek e Sokolnikov, contrariamente ad ogni aspettativa, hanno avuta salva la vita. Si chiude così un altro «episodio» della

nelle università, nella critica. L'elemento ebraico sa sfruttare al 100% l'ostilità che lo spirito americano sente effettivamente verso certe manifestazioni del nazismo, come ad esempio quelle del razzismo e della persecuzione religiosa.

Altro oggetto, com'è noto, delle antipatie americane sono i giapponesi e quindi l'accordo tedesco-giapponese è stato visto qui molto di mal' occhio. L'avvicinamento poi che si fa del fascismo italiano col regime nazionalsocialista e con la tendenza militarista prevalente in Giappone è un'altra spiegazione dell'ostilità che incontriamo in questo Paese.

Si dice da molte parti che il regime di Roosevelt, pur sostenendo il principio anti-dittatoriale, non agisca diversamente da quanto avviene negli Stati retti a regime autoritario. Questo non è vero che in parte e più nell'apparenza che nella sostanza perché se Roosevelt ha avuto la possibilità di fare una politica di precisa impronta personale, ciò l'ha fatto in base ai pieni poteri datigli dal Congresso e che sono ogni volta meticolosamente discussi e vagliati. Certamente in questo secondo periodo presidenziale Roosevelt ha maggiore libertà di manovra, ma la sua stessa maggioranza prenderebbe posizione contro di lui il giorno in cui egli esorbitasse dai limiti del mandato di fiducia che gli è stato affidato.

Faccio queste osservazioni perché nei commenti che si fanno in Italia (e ciò a scopo polemico può andare benissimo) si tende a considerare un poco la democrazia di Roosevelt come una dittatura mascherata. Il lato di verità in questa affermazione è che anche qui si è fatto strada il convincimento che in casi di emergency, e non solo di emergency, il potere esecutivo deve avere una certa libertà d'azione sottraendosi dalla stretta e costante subordinazione verso il potere legislativo; ma tutto ciò, ripeto, nei limiti accordati dal potere legislativo stesso che è gelosissimo delle sue prerogative ed alle quali non intende rinunziare neanche in minima parte.

Un altro avvicinamento che si usa fare fra la politica di Roosevelt e quella italiana riguarda l'intervento dello Stato come regolatore dell'economia privata. In questo c'è molto di vero e l'argomento può essere utilmente da noi sfruttato; bisogna tener conto, però, che qui questo intevento statale è considerato piuttosto socialismo di Stato che fascismo.

Naturalmente, anche all'infuori del mondo italo-americano non mancano i simpatizzanti per l'Italia. In un certo senso molto vago del concetto, essi sono anzi numerosi. Fare un viaggio in Italia, conoscere l'Italia è il più bel sogno di tutti gli americani di una certa cultura. Devo aggiungere che molte volte la simpatia per l'Italia si confonde con una simpatia più generale per il mondo latino; particolarmente l'Italia viene accumunata con la Francia, ammirandosi nei due Paesi la letteratura, la storia, la vivacità dello spirito, diversi da quelli del mondo anglo-sassone. È però questo più che altro un sentimento di natura romantico-letteraria.

Gli ammiratori del Regime sono pochi ma appartengono a una classe di élite di maggiore cultura e che ha più sviluppato il senso della responsabilità storica. Da parte di questi, più che il fascismo come dottrina e filosofia, si ammirano le realizzazioni pratiche: la genialità del Duce, il tenace lavoro del popolo italiano, le grandi opere compiute.

Sono questi gli argomenti sui quali va soprattutto insistito nella nostra opera di propaganda, che dovrà tuttavia tener conto della situazione dell'ambiente americano. Ad esempio, noi non possiamo presentare in America come dei prodigi di tecnica degli impianti che qui esistono da tempo ed in proporzioni ben maggiori. Il noto tema che è merito del fascismo se i treni oggi arrivano in orario qui fa sorridere perché si dice che in America in regime democratico avviene altrettanto. Quello invece che qui piace molto è il dinamismo del popolo italiano in regime fascista; quello che fa più impressione sono i confronti fra quello che c'era e quello che si è creato».

l Riferiva su l'andamento del processo contro i funzionari accusati di trotzkismo.

2 Vedi D. 97.

lotta fra i due massimi esponenti rimasti della rivoluzione bolscevica, Stalin e Trotzki. Il dittatore rosso non ha esitato a ricorrere ai mezzi estremi eliminando quegli uomini che per meriti rivoluzionari o per prestigio intellettuale avrebbero forse potuto rappresentare centri d'attrazione intorno ai quali la massa di gregari, che comprende difficilmente !'«evoluzione» del regime, si sarebbe potuta raccogliere. Il processo del gennaio '37 è quindi un'altra tappa dell'epurazione cruenta iniziatasi con il verdetto dell'agosto 1936, e già si prevede un terzo processo contro il gruppo «destro», cioè Bukarin e Rykov.

La sentenza del tribunale supremo condanna alla fucilazione tutti gli accusati minori dalle cui confessioni è apparso lo stato di disordine che regna in tutta l'amministrazione sovietica. Attraverso le righe delle lunghe deposizioni in cui gli accusati cercavano di convincere i giudici della loro partecipazione all'opera di sabotaggio e di spionaggio nelle industrie belliche e nelle ferrovie, appaiono le descrizioni delle avarie, dei disastri e dei deragliamenti che affliggono l'industria sovietica e, che derivano dalla natura stessa dell'operaio, dalla mancanza di ogni senso di responsabilità, dall'incapacità dei tecnici e dei dirigenti, dalla cattiva volontà, noncuranza, abbandono che sono fenomeni quotidiani della vita economica sovietica già dall'inizio del regime. Lo sviluppo preso dalle industrie ed il ritmo sempre più veloce imposto al paese hanno naturalmente aggravato questo stato di cose. Dato il livello morale assai basso del funzionario bolscevico non è escluso che in alcuni casi possano avere avuto luogo sabotaggi per lucro o si siano avute rivelazioni di segreti industriali o militari ad agenti stranieri che non mancano certamente nell'U.R.S.S.

Delle figure di prino piano sono state condannate alla fucilazione: Piatakov e Serebriakov. Il primo fu uno degli amici e collaboratori più intimi di Trotzki ed il secondo è responsabile del grave insuccesso del piano stradale sovietico e di ingenti malversazioni che nulla hanno a che vedere con le idee trotzkiste. Persona di qualità morali assai basse, venale e donnaiolo per eccellenza, Serebriakov ha certamente mancato nell'esecuzione del programma stradale che assume per l'U.R.S.S., nell'attuale momento internazionale, un'importanza notevole in vista del pericolo di guerra a cui si crede esposta.

Piatakov ha diretto praticamente tutto il piano industriale e le accuse trotzkiste a lui fatte potrebbero facilmente nascondere le sue effettive colpe nell'insuccesso dei piani industriali, malgrado i «progressi» che il regime sventola ad ogni occasione.

Radek e Sokolnikov, che hanno salva la vita, probabilmente aiutarono l'autorità investigativa nello scoprimento delle file trotzkiste esistenti nel Paese ed indubbiamente estese nell'ambito del partito e delle alte gerarchie amministrative. Essi hanno avuto contatto con personalità estere e le loro «rivelazioni» potevano sembrare più facilmente verosimili. Tutta la loro condotta al processo, e particolarmente le loro «ultime parole» «indicano la coordinazione esistita tra l'autorità inquirente e questi due esponenti dell'«opposizione». Le parole di Radek sono un brillante discorso in favore dello stalinismo e contro le correnti trotzkiste o semplicemente critiche agli indirizzi che stanno prendendo piede nei partiti comunisti stranieri. Tale condotta ha salvato la vita ai due imputati, i quali nelle loro confessioni hanno in sostanza rivelato delitti per nulla inferiori a quelli degli altri imputati.

La sentenza del tribunale supremo è costruita sulla traccia esatta dell'atto di accusa. Essa riafferma che il «centro parallelo» è stato costituito per ordine di Trotzki dal 1933; che Trotzki ha avuto colloqui con Hess; e Radek e Sokolnikov con diplomatici germanici e nipponici a Mosca; che Piatakov ha visto Trotzki in Norvegia; che gli imputati intendevano ostacolare i piani industriali sovietici mediante sabotaggi e disastri provocati nelle industrie del carbone, negli stabilimenti chimici e nelle ferrovie; che essi fecero dello spionaggio in favore della Germania e del Giappone; che prepararono atti terroristici contro membri del governo e del partito bolscevico. In base a questi «fatti constatati», il tribunale condanna Piatakov e Serebriakov alla fucilazione per «aver organizzato e diretto l'attività terroristica, traditrice, di sabotaggio e di spionaggio»; gli accusati Muralov, Drobnis, Livscitz, Boguslavski, Kniazev, Rataiciak, Norkin, Scestov, Turok, Puscin e Hrasche alla fucilazione per aver organizzato ed eseguito gli atti sopradescritti; Sokolnikov e Radek a dieci anni di detenzione per la responsabilità comune nell'attività criminale del centro trotzkista, ma senza aver preso parte diretta all'organizzazione e realizzazione degli atti di spionaggio e di terrore. Arnold e Stroilov, figure di secondo piano, a dieci ed otto anni per le stesse circostanze attenuanti, cioè per non avervi preso parte diretta. Gli imputati condannati alla detenzione sono, come d'uso, privati anche dei diritti civili per cinque anni. La proprietà personale dei condannati viene confiscata.

Anche questa volta, come nello scorso agosto, Trotzki e suo figlio Siedov sono minacciati di arresto e di deferimento al tribunale supremo nel caso che venissero trovati sul territorio sovietico.

Con la stessa «unanimità plebiscitaria» con cui le masse della popolazione sovietica hanno chiesto prima della sentenza la pena di morte, per tutti gli imputati, sono ora approvate le decisioni del tribunale supremo.

Il processo è stato sfruttato assai abilmente ai fini della diretta propaganda sovietica nel Paese. Oltre all'esaltazione della patria e della sua difesa contro i nemici, la quale ha avuto una larga eco fra le masse che hanno creduto al tradimento ed hanno reagito, la propaganda ha chiesto e chiede giornalmente che si tragga dal processo norma per intensificare nella vita nazionale la massima sorveglianza ed attenzione, per impedire che «il nemico» si infiltri e danneggi l'opera di costruzione del socialismo, per impedire che l'economia nazionale abbia a perdere miliardi per gli errori o le avarie dovute ai sabotatori ed agli incapaci. Accanto a questi appelli alla sorveglianza tornano ad apparire gli incitamenti intesi ad accrescere la produzione, ad intensificare i ritmi nelle industrie che «il nemico avrebbe voluto colpire», cioè nelle industrie belliche e collegate alla difesa. Gli appelli allo «stachanovismo», all'emulazione sono messi in relazione ai risultati del processo e si richiede che nei trasporti sia intensificato il lavoro.

La campagna contro il trotzkismo, contro ogni critica di partito, cioè contro tutti coloro che osassero opporsi anche platonicamente alla «linea generale», all'indirizzo politico voluto da Stalin, ha raggiunto limiti mai registrati finora. Trotzkismo e destrismo sono posti sullo stesso piano con il fascismo ed accusati di voler la guerra e la restaurazione del capitalismo nell'U.R.S.S. I programmi politici della tendenza di destra del partito in materia di politica agraria sono attribuiti al trotzkismo e viceversa, battendo soprattutto sul fatto del tradimento della patria che il trotzkismo andava ordendo. L'imminenza della guerra è pure indicata come spauracchio per avvalorare la tesi della necessità di dedicare tutte le forze del Paese al potenziamento della difesa.

128

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 368/20 R 1 . Roma, 5 febbraio 1937, ore 17,40.

Bisogna far sapere a Stojadinovic che il suo discorso 2 ha fatto mediocre impressione, sia a Palazzo Chigi che a Palazzo Venezia. Mi rendo conto delle necessità che egli può avere di preparare l'opinione pubblica, ma non deve esagerare, come invece ha fatto.

Pessimo il tono di condiscendenza assunto verso di noi: l'interesse jugoslavo per la collaborazione con l'Italia non è certo inferiore al nostro. Credo che saremmo già generosi considerandoli interessi reciproci e identici.

Molto male quanto ha detto circa le nostre informazioni che sarebbero state nel passato scadenti. Furono e sono ottime: di gran lunga superiori a quanto Stojadinovic non creda.

Quindi, se si vuoi continuare a battere la strada sulla quale ci siamo avviati, bisogna che egli cambi tono. E non sarebbe inutile che al più presto, in una qualsiasi manifestazione pubblica, codesto governo trovasse il modo di cancellare la non buona impressione del discorso odierno 3 .

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 887/56 R. Parigi, 5 febbraio 1937, ore 21,40 (per. ore 0,40 del 6). Telegramma di V.E. n. 524 .

Ho avuto testè una conversazione con Léger circa la ferrovia e mi sono espresso giusta le istruzioni di V.E.

Léger sapeva che Miche! Còte aveva ottenuto una proroga di un mese. Non sapeva che egli aveva chiesto di ottenerne una per la durata di tutti i negoziati e che il governo fascista l'aveva limitata ad un solo mese.

Osservando che è già trascorsa quasi una settimana e che febbraio è il mese più corto, Léger mi disse che non si doveva perdere tempo. Teneva a dichiararmi formalmente che se il governo fascista aveva la sensazione che governo francese volesse intraprendere un'azione per far ottenere alla ferrovia più di quanto le spetta in base alla concessione franco-etiopica, esso era in errore. Governo francese condusse col

I Minuta autografa. 2 Pronunciato il 4 febbraio dinanzi alla Commissione parlamentare delle Finanze (testo in Documenti di Politica Internazionale, pp. 117-119). Si vedano in proposito i DD. 130, 131, 133 e 149. 3 Poco dopo, Ciano telegrafava: «Per far sapere a Stojadinovic quanto ho telegrafato, credo che il modo migliore sia dirglielo chiaramente» (T. segreto non diramare 362/21 R. del 5 febbraio , ore 18). 4 Vedi D. 122.

governo etiopico lunghe e difficili negoziazioni per giungere alla conclusione della Convenzione, che fu bensì firmata dal lato francese dal rappresentante della Compagnia ma che costituì il successo di un notevole sforzo governativo. Non altrimenti intende agire la Francia nei riguardi del governo fascista, successore di quello etiopico. È questa la sola ragione per la quale il governo francese chiede di trattare con il governo fascista, non già nell'interesse proprio e perché intenda sostituire se stesso nei diritti e nei doveri della Compagnia verso l'Italia ma unicamente per tutelare un interesse francese che il governo francese ha contribuito a creare in Etiopia.

All'argomento da me svolto, relativo all'illogicità di porre divieti al riconoscimento della nostra sovranità di fatto sull'Etiopia da parte della ferrovia, dopo che lo stesso governo francese l'ha riconosciuta colla nomina di un console generale ad Addis Abeba, Léger osservò che egli avrebbe potuto rispondermi che era lui ad essere stupito che noi non comprendessimo che era precisamente desiderio urgente del governo francese di poter dare la necessaria autorizzazione alla ferrovia. Ma per farlo era necessario che intervenisse uno scambio di idee fra i due governi. Egli mi pregò quindi insistentemente di rappresentare a V.E. la necessità in cui si trova il governo francese di tener conto della propria opinione pubblica e -soprattutto -di quella che si interessa specialmente dei problemi coloniali. Si tratta di un numero ragguardevole di vecchi funzionari coloniali che hanno relazione con personalità politiche e con la stampa che più specialmente si occupano dei problemi stessi.

È per queste ragioni che egli aveva menzionato meco, prima che venissi a Roma, la incresciosa necessità in cui il governo francese si trovava di creare una connessione fra la risoluzione delle questioni interessanti la ferrovia ed il ritiro completo del contingente francese da Dire Daua. Doveva infatti preoccuparsi dei circoli coloniali suddetti, ai quali si rivolgevano impiegati della ferrovia che temono per il loro avvenire e che chiedono, quindi di essere tutelati. Léger mi disse che spera che lo scambio di idee avuto meco potesse eliminare qualsiasi sospetto circa le reali intenzioni della Francia.

Mi chiese poi se, e che cosa fosse stato deciso da V.E. circa la sua proposta di svolgere negoziati a Parigi, insistendo sulle ragioni addotte meco la scorsa settimana per spiegare l'impossibilità e nello stesso tempo il dispiacere di non potere pensare ad un invio di delegati francesi a Roma.

Gli ho detto che non avevo ancora una risposta al riguardo. Essa sarebbe stata del resto prematura fino a che non si fosse chiarita la situazione relativa all'oggetto dei negoziati.

Léger mi disse allora che, siccome non si doveva perdere tempo, egli avrebbe immediatamente fatto studiare quello che stabilimmo di chiamare «l'ordine del giorno» degli eventuali negoziati, per trasmetterlo sollecitamente al governo fascista affinché fosse in grado di muovere obbiezioni o suggerire aggiunte. Léger tenne a dichiararmi che quanto mi aveva detto era conforme alle idee di Delbos col quale si era intrattenuto al riguardo 1•

1 Ciano rispondeva che da parte italiana non ci si rifiutava di trattare con il governo francese a proposito della ferrovia Gibuti-Addis Abeba; si restava quindi in attesa di conoscere le questioni che i francesi proponevano di discutere. Era però inaccettabile la connessione, di nuovo posta innanzi da Léger, tra il ritiro del distaccamento a Dire Daua e la soluzione dei problemi concernenti la ferrovia (T. 401160 R. del 9 febbraio).

130

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 888/28 R. Belgrado, 5 febbraio 1937, ore 22,20 (per. ore 0.40 del 6).

Agenzia Stefani deve aver ricevuto testo pubblicato da Agenzia Ava/a del discorso tenuto ieri da Stojadinovic innanzi Commissione parlamentare delle Finanze1• Dichiarazioni fatte in materia politica estera sono particolarmente importanti. Per la prima volta Stojadinovic ha parlato diffusamente ed in linea principale delle relazioni coll'Italia, iniziando terreno parlamentare a nuova sistemazione, preparazione che, mi è stato detto, si riserverebbe di perfezionare con successive dichiarazioni alla Scupcina dopo la riunione ad Atene del Consiglio dell'Intesa Balcanica2•

Nel discorso di ieri non ha quasi menzionato la Francia. Ha accennato calorosamente all'amicizia inglese ma, a proposito del gentlemen 's agreement ha posto l'intere~e jugoslavo sotto l'egida comune e paritaria dell'Italia e dell'Inghilterra. Finalmente ha concluso con una chiara affermazione di piena indipendenza della politica estera jugoslava.

Discorso ha prodotto qui profonda e favorevole impressione. Fanno naturalmente eccezione ambienti francesi e francofili.

131

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 911/30 R. Belgrado, 6 febbraio 1937, ore 14,55 (per. ore 16,45).

A telegramma di V.E. n. 203 .

Avevo già fatto rilevare che il [tono] del discorso di Stojadinovic può giustificare impressione non favorevole. Comunque mi è stato detto ieri mattina da Martinaz che discorso Stojadinovic è stato erroneamente comunicato alla stampa in un testo impreciso provocando le ire del presidente del Consiglio. La traduzione francese dell'Agenzia Ava/a è ancora meno fedele del testo serbo.

Si tratterebbe comunque di una preparazione più o meno felice alle future rivelazioni al Parlamento dell'esistenza di negoziati con l'Italia.

I Vedi p. 168, nota 2. 2 Vedi D. 180. 3 Vedi D. 128.

Pertanto, prima di dar corso istruzioni di cui al telegramma di V.E. n. 21 1 prego voler disporre ripetizione seguenti gruppi del telegramma di V.E. n. 20 in parte indecifrabile: Da «assunto verso di noi» a «furono e sono ottime» 2•

132

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE ITALIANA IN SPAGNA, ROATTA

T. UFF. SPAGNA 2643. Roma, 6 febbraio 1937, ore 16,45.

Seguiamo la vostra azione e il suo successo con orgogliosa ammirazione. Resta inteso che mentre i prigionieri spagnoli dovranno venire da noi rispettati, bisogna passare subito per le armi i mercenari internazionali, naturalmente, per primi, i rinnegati italiani.

133

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 918/98 R. Londra, 6 febbraio 1937, ore 19,40 (per ore 22,20).

Come V.E. avrà rilevato dal mio fonogramma stampa 374 , redattori diplomatici dei giornali più vicini al governo sono unanimi stamane nel rilevare che Stojadinovic ha in suo discorso 5 , interpretato dichiarazioni itala-britanniche in senso che assicurazioni generali relative statu quo Mediterraneo comprendono evidentemente Jugoslavia. Essi sottolineano, tuttavia, che nessuna garanzia specifica nei confronti di una aggressione contro Jugoslavia da parte una terza Potenza è implicita in dichiarazioni itala-britanniche e governo inglese non ha fatto pervenire in proposito alcuna particolare assicurazione a Belgrado. In ambienti politici conservatori si mette in rilievo che cordiale riferimento a Italia contenuto discorso Stojadinovic e sosta Aras a Belgrado 6 , subito dopo incontro V.E. Milano, confermano progresso

l Vedi nota 3 p. 168.

2 Nota dell'Ufficio Cifra: «Provveduto alla ripetizione».

3 Minuta autografa.

4 Non pubblicato.

5 Vedi nota 2 p. 168.

6 Il ministro degli Esteri turco si era fermato il 5 febbraio a Belgrado di ritorno dall'incontro di Milano con Ciano. Il ministro Indelli aveva riferito che, in un colloquio con lui, Aras aveva «tenuto a valorizzare azione da lui spiegata oggi presso Stojadinovic per un consolidamento disposizioni amichevoli italo-jugoslave trovando in questo presidente del Consiglio un netto consenso» (T. 890/29 R. del 5 febbraio).

marcato migliori rapporti italo-jugoslavi. In tali circoli politici, aggiungono che questo è seguito in Gran Bretagna con profondo interesse e soddisfazione.

134

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 957/028 R. Parigi, 6 febbraio 1937 (per. il 9).

Mio telegramma n. 36 1 e miei telegrammi per corriere nn. 017 2 e 018 3 .

Nel corso della visita fattagli ieri, il signor Léger mi disse che doveva intrattenermi di quanto avevo riferito il 25 gennaio al presidente del Consiglio signor Leon Blum, informandone poi lui stesso.

La comunicazione che V.E. mi aveva incaricato di fare al signor Blum era stata attentamente esaminata in una riunione da lui indetta alla quale avevano partecipato il ministro degli Affari Esteri, signor Yvon Delbos, ed il signor Léger. Era stato rilevato innanzi tutto lo spirito che l'aveva dettata: la prima parte di essa dichiarava infatti che il governo italiano non seguiva, nella sua politica verso il partito nazionale in Spagna, alcun atteggiamento che fosse anti-francese. Tale spontanea assicurazione era stata vivamente apprezzata dal governo francese che aveva scorto in essa una prova di sincera amicizia da parte dell'Italia.

La seconda parte indicava le ragioni per cui il governo italiano aveva creduto di seguire una politica di solidarietà e simpatia verso il governo nazionale di Spagna. Il governo francese aveva da parte sua creduto di seguire una linea di condotta diversa, continuando a considerare legale il governo contro il quale insorse il generale Franco. Era tale stato di cose che rendeva difficile al governo francese, in questo momento, di esprimersi nel senso indicato nell'ultima parte della comunicazione e ciò tanto più che esso era stato l'iniziatore e continuava ad essere fautore di una politica neutrale nei riguardi degli avvenimenti spagnuoli. Il presidente del Consiglio Blum si augurava quindi che V.E. non attendesse da lui una risposta circa il terzo punto della comunicazione suddetta, poiché sarebbe stato imbarazzato a darla, visto che il governo francese ha relazioni con il governo legale di Spagna e considera quindi di non poterne intrattenere, nemmeno indirettamene, con quello del generale Franco.

Ho risposto al signor Léger assicurandolo in primo luogo che avrei riferito le sue parole all'E.V. Gli ho poi detto, a titolo personale, che l'interpretazione data al passo da me compiuto corrispondeva a quelle che erano state le intenzioni del governo italiano. La profferta italiana di rendere eventualmente un servizio al governo francese, facendogli dare, se richiestone, da parte del generale Franco delle assicurazioni che il governo nazionale spagnolo non intende adottare una politica anti-francese, mostrava come V.E. si rendesse conto della posizione della Francia e cercasse di agevolarla. Ritenevo che nel formulare la profferta di cui si tratta l'E.V. avesse pensato soprattutto

I Vedi p. 106, nota l. 2 Vedi D. 88. 3 Vedi D. 92.

a dare al presidente del Consiglio francese una prova tangibile delle disposizioni amichevoli del governo italiano. Mi compiacevo di constatare che ciò era stato compreso ed apprezzato a Parigi e mi auguravo che contribuisse a chiarire la situazione politica generale ed in particolare quella italo-francese.

135

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

T. 1400/20 P.R. Roma, 7 febbraio 1937, ore l.

Ho letto il suo rapporto n. 7 dell'S gennaio 1 e il suo telegramma n. 22 del 30 gennaio2 ; ma credo conveniente, in ogni caso pel momento, di lasciare ogni eventuale iniziativa a Metaxas così come è avvenuto per Riistii Aras.

136

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 368/27 R 3 . Roma, 7 febbraio 1937, ore 22.

Suo 304 .

Sarebbe bene che io conoscessi resoconto stenografico del discorso Stojadinovic. Comunque qualcosa, nel senso da me telegrafatoLe, sarà in ogni caso opportuno far sapere a codesto Presidente del Consiglio. Lascio a Lei giudicare fino a qual punto e qual carattere dovranno avere le nostre osservazioni.

137

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1036/034 R. Londra, 7 febbraio 1937 (per. il 12).

Due recentissimi discorsi, pronunciati quasi contemporaneamente dal Primo Lord dell'Ammiragliato e dal ministro per la Difesa, meritano particolare se-

l Vedi D. 29.

2 Con T. 768/22 del 30 gennaio, il ministro Boscarelli confermava che una visita in Italia di Metaxas era considerata in modo molto positivo negli ambienti governativi di Atene.

3 Minuta autografa.

4 Vedi D. 131.

gnalazione, sia per il loro motivo di politica interna, sia per i loro riflessi di carattere internazionale.

Parlando ieri l'altro alla Camera di Commercio di Bradford, Hoare è partito da uno dei suoi temi favoriti, e cioè la necessità di una collaborazione interimperiale non solo nel campo dell'economia ma anche in quello della organizzazione della difesa, per fare un chiaro appello ad un contributo finanziario dei Dominì all'esecuzione del programma di riarmo. Hoare ha osservato infatti che «il peso principale della difesa dell'Impero poggia attualmente tutto sulle spalle della Gran Bretagna». Con buona maniera, ed escludendo beninteso la possibilità di «cercar di imporre ai Dominì un qualche rigido piano di difesa», il Primo Lord dell'Ammiragliato ha tuttavia chiaramente fatto comprendere che alla prossima Conferenza Imperiale (v. mio telegramma per corriere n. 06 in data 15 gennaio)!, il governo britannico intende mettere le carte in tavola e, in forma cortese ma precisa, chiedere ai Dominì «in quale misura essi sono disposti a collaborare con la Madrepatria». A questo riguardo Hoare ha rafforzato il proprio argomento insistendo da un lato sulla inutilità della adozione di «sistemi di difesa isolati» da parte dei singoli Dominì e, dall'altro, sulla potenza navale dell'Inghilterra, la quale, egli ha dichiarato, «intende, ed è bene le altre Potenze lo sappiano, portare a fondo il suo programma di riarmo» e non solo nel campo marittimo ma anche in quello aereo e terrestre.

Pure sul tema «riarmo» è il discorso che ha tenuto ieri a Fareham il ministro della Difesa. In questo caso il discorso era soprattutto diretto a controbattere le gravi critiche mosse al governo in occasione del recente dibattito sul riarmo aereo (mio rapporto n. 344/123 del 29 gennaio)2 ed a cercare ·di correggere la spiacevole impressione che Inskip stesso aveva, appena una settimana prima, provocato colle sue candide ammissioni sul sopravvenuto ritardo nell'esecuzione del programma di costruzioni aeronautiche. «Sta avvicinandosi il giorno -ha infatti affermato il ministro -in cui tutto sarà messo a punto ed entrerà in funzione, ed avremo la soddisfazione di vedere effettivamente prodotte tutte quelle cose per le quali è stata necessaria una così laboriosa preparazione». La situazione odierna, egli ha tenuto a spiegare, è una diretta conseguenza «dell'onesto tentativo di disarmo fatto dall'Inghilterra». Questa è la ragione delle grandi difficoltà che sono state incontrate nell'esecuzione affrettata e non preparata del programma di riarmo, esecuzione delle cui deficienze non può quindi esser tenuto responsanbile l'attuale governo. Ad ogni modo -ha assicurato Inskip-l'errore non sarà ripetuto e l'Inghilterra, pur perseguendo una politica di pacificazione nel quadro della Lega delle Nazioni, «è determinata ad avere forze adeguate alla difesa propria e dei propri interessi».

Discorsi, tanto quello di Hoare che quello di Inskip, rispondenti precipuamente a necessità di carattere interno. Quello di Hoare, nel quadro più vasto dei problemi

I T. per corriere 426/06 R. del 15 gennaio. Grandi aveva comunicato: «Problemi difesa e politica estera saranno in primo piano nella conferenza. Questione difesa imperiale preoccupa sempre più Domini e soprattutto Australia che oggi sta già spendendo da sola in armamenti una somma maggiore di quella stanziata da tutti gli altri Domini messi insieme. Vitale importanza che Domini attribuiscono a tale problema è indicata dal fatto che nelle delegazioni che Canadà e Australia hanno nominato figurano rispettivi ministri Difesa Nazionale e numerosi esperti militari».

2 Non pubblicato.

imperiali, oltre che diretto ad impegnare la responsabilità dei varì Dominì nei problemi della sicurezza dell'Impero, è inteso anche a dare una qualche assicurazione al popolo inglese, non poco preoccupato per il costo finanziario del programma di riarmo. Quello di Inskip, come ho accennato, ha più diretta portata e cioè è diretto precipuamente a cancellare l'impressione cattiva lasciata dal recente dibattito ai Comuni. Discorsi, sotto questo aspetto, non diversi dai tanti che li hanno preceduti durante il corso degli ultimi due anni, e che fanno parte della campagna governativa a favore del riarmo. A meno di una settimana di distanza dalle dichiarazioni di Hitler 1 , e mentre contemporaneamente si assume atteggiamento addolorato di fronte ad una Germania che rivendica il diritto di essere giudice insindacabile delle proprie necessità militari, tanto le parole di Hoare che quelle di Inskip assumono tuttavia un sapore di intransigenza che in passato si era cercato qui di evitare. Unite alle dichiarazioni così inattesamente anti-pacifiste dei vescovi anglicani alla recente Assemblea della Chiesa d'Inghilterra dove, come segnalo con telegramma per corriere in pari data n. 0332 , è stata ieri votata quasi alla unanimità una mozione che approva in pieno il programma di «difesa» del governo, le manifestazioni oratorie dei due ministri, anche sfrondate dei loro scopi opportunistici o polemici, caratterizzano indubbiamente l'aspetto eminentemente attivo dell'attuale fase della politica di riarmo del governo britannico.

138

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 387/43 R 3 . Roma, 8 febbraio 1937, ore 17,30

Desidero farti il punto della situazione in Spagna.

Tutte le nostre spedizioni di materiali e di uomini sono state ultimate. Perciò, da parte nostra, nessuna obiezione ad un accordo per il controllo, il quale non solo non ci danneggia, ma ci giova impedendo l'afflusso, ormai del resto modesto e scoraggiato, di aiuti ai rossi.

Vedo però che gli inglesi parlerebbero adesso di evacuazione di volontari. Va da sé che noi ci associammo ai tedeschi in tale proposta ai fini soltanto di perdere tempo. Naturalmente, adesso non solo intendiamo lasciarla cadere ma, se altri la sollevasse, bisogna decisamente sabotarla. A Malaga, i nostri hanno picchiato sodo e presto. Altri colpi, ancora più duri, sono in preparazione. Molti indizi lasciano credere che i rossi siano demoralizzati e sbandati. Con un'azione energica la soluzione che noi vogliamo e per la quale ci siamo impegnati, non dovrebbe ormai più mancare. E forse, anche a breve scadenza.

l Discorso del 30 gennaio a Norimberga sul quale si veda il D. 125. 2 T. corriere 1035/033 R. che è del1'8 febbraio. Non pubblicato. 3 Minuta autografa.

139

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 969/8 R. Sofia, 8 febbraio 1937, ore 20,30 (per. ore l del 9 ). Mio telegramma per corriere n. 81 .

Ho veduto oggi Presidente del Consiglio che sabato ha avuto agio conversare lungamente con Riistii Bey in viaggio per Istanbul. Riistii Bey si era espresso termini entusiastici su V.E. e felice accoglienza avuta Milano preconizzante migliori rapporti fra l'Italia e gli Stati balcanici.

Con l'occasione, però, Kiosseivanov non mi ha celato che con certo senso disagio aveva letto in stampa internazionale, ed anche italiana, che incontro Milano preconizza riavvicinamento Italia a Stati Intesa Balcanica. Secondo quanto lui mi ha detto, anche Aras si sarebbe mostrato convinto che Intesa Balcanica, dopo patto bulgaro-jugoslavo, rappresenta organismo sorpassato, tanto più che egli avrebbe accennato a sua intenzione stringere speciali rapporti con Jugoslavia, cosa questa che potrebbe avere prossimamente visibile manifestazione con incontro Ismet Pascià a Belgrado2 . Kiosseivanov ritiene che questo riparlare di Intesa Balcanica sia dovuto alla ingerenza propaganda francese inquieta per temuta conseguenza riavvicinamento bulgaro-jugoslavo che, se seguito da riavvicinamento italo-jugoslavo, libererà Jugoslavia da influenza Francia. Sintomi di questo lavorio sarebbero la cambiata attitudine Cecoslovacchia di fronte patto bulgaro-jugoslavo (mentre Cecoslovacchia fu la prima ad approvarlo, ora non cela suo disappunto) e la proposta fatta a Riistii Bey durante il suo recente soggiorno a Parigi 3 da parte di uomini responsabili francesi di «trovare e proporre formula che permetta a Bulgaria entrare Intesa Balcanica». Questa proposta sarebbe caduta subito in seguito ad obiezioni sollevate da ministro di Francia presente alla conversazione.

Infine, Kiosseivanov riferendo nostro proposito -confermatogli da Riistii Bey -di vedere realizzato accordo Ungheria e Jugoslavia, mi ha detto che egli vorrebbe che noi considerassimo situazione Bulgaria di fronte altri Stati Intesa Balcanica alla stessa stregua della situazione della Ungheria di fronte agli Stati della Piccola Intesa, Jugoslavia esclusa. Secondo lui, situazioni sarebbero identiche.

Come ultima cosa tenne a dirmi che, mentre Riistii Bey quando passò un mese fa da Sofia diceva corna e peste della Francia, ora ne ritorna completamente ammaliato.

1 T. per corriere 939/08 R. del 5 febbraio. Riferiva che secondo l'opinione del presidente Kiosseivanov, Riistii Aras era in quel momento sotto l'influenza del dissidio con la Francia per la questione del Sangiaccato di Alessandretta ma non era uomo su cui fare affidamento per una «politica rettilinea».

2 La visita ebbe luogo dall'Il al 19 aprile (vedi p. 619. nota 1).

3 Il 22 dicembre 1936 per la questione di Alessandretta.

140

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 988/035 R. Vienna, 8 febbraio 1937 (per. il 10).

Mio telegramma per corriere n. 019 del 25 gennaio u.s. 1•

Risulterebbe a questa Cancelleria Federale che Kanya sarebbe ancora sempre molto irritato verso Berlino, non solo per discorso anti-revisionistico di Rosenberg e per l'atteggiamento assunto dalla diplomazia germanica verso Belgrado e Bucarest nel problema delle revisioni ungheresi ma anche per le agitazioni naziste in Ungheria che risulterebbero direttamente alimentate da Berlino. Tra il materiale di propaganda nazista proveniente dalla Germania e diffuso largamente tra le minoranze sassoni e slave dell'Ungheria, sarebbero state sequestrate delle cartine geografiche che ridurrebbero molto gravemente le rivendicazioni territoriali ungheresi e porrebbero un pegno, se pur solo morale, a favore della stessa Germania su territori magiari abitati da quelle minoranze tedesche nelle quali si tenterebbe di risvegliare velleità irredentistiche sinora ignote.

141

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 989/036 R. Vienna, 8 febbraio 1937 (per. il 10).

Schuschnigg si propone di avviare prossimamente trattative con Belgrado per migliorare i rapporti politici tra Austria e Jugoslavia, eliminando malintesi e prevenzioni specialmente in dipendenza del movimento legittimista. Schmidt è stato incaricato di predisporre tali pratiche attraverso il nuovo ministro d'Austria 2 che dovrà sostituire lo Schmidt Enrico trasferito da Belgrado a Varsavia. Il ministro jugoslavo a Vienna 3 si presta poco a tale scopo, sia per le condizioni precarie della sua salute, sia per suoi atteggiamenti in passato poco simpatici verso governo austriaco. Schuschnigg si ripromette di veder agevolato il suo intento dal miglioramento così promettente dei rapporti itala-jugoslavi.

t Vedi D. 85. 2 Lothar Wimmer. 3 Ghiorghe N. Nastasievic.

142

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 8 febbraio 1937.

L'ambasciatore di Polonia mi ha detto che egli tiene a che non sorga nessun malinteso a proposito dell'eventuale incontro del tutto confidenziale privato fra

V.E. e Beck.

Questo incontro permetterebbe ai due ministri degli Esteri di far conoscenza personale, così come avviene a Ginevra fra i vari ministri Esteri e d'intrattenersi privatamente sulle questioni del giorno preparando nella migliore delle maniere la visita ufficiale che Beck farebbe successivamente in Italia, come egli ne ha desiderio e come V.E. se ne mostrò contento.

Beck, lascia.ndo Montecarlo dopo il suo riposo, partirebbe in automobile per una località della Riviera italiana, dove incontrerebbe V.E. e di dove ripartirebbe direttamente per Varsavia.

L'invito a venire a Roma, secondo quanto l'ambasciatore ha compreso nei precedenti colloqui avvenuti in dicembre con V.E. 1 , avverrebbe più tardi, per la firma di quegli accordi che V.E. ben sa essere in preparazione ed ai quali l'ambasciatore vorrebbe aggiungere un accordo di amicizia.

Poiché Beck aveva accolto con gioia la possibilità prospettatagli dal suo ambasciatore di fare conoscenza personale con V.E. e d'intrattenersi amichevolmente e privatamente con Lei al suo passaggio attraverso l'Italia, l'ambasciatore non saprebbe in quale modo giustificarsi se questo incontro non avvenisse.

Affinché V.E. sia perfettamente edotta di come è avvenuta la preparazione di questo incontro privato espongo quale è stata la mia azione in proposito.

V.E. -mi segnalò qualche giorno fa il rapporto di un informatore che, ritornato da Varsavia, si era fatto eco del desiderio di Beck, del suo sottosegretario 2 e di alti funzionari del ministero Esteri polacco che si trovasse l'occasione per un viaggio di V.E. -a Varsavia al fine di stabilire un contatto diretto con i dirigenti della politica polacca. Ricorderà V.E. che esprimendo il mio subordinato avviso essere un viaggio del genere assolutamente sproporzionato al fine indicato, confermai come anche a me constasse essere vivo desiderio di Beck stabilire con V.E. rapporti personali.

Quando seppi che il ministro degli Esteri di Polonia si recava a Montecarlo, mi parve che di lì egli avrebbe potuto attraversare l'Italia ed avere quindi la possibilità di stabilire, prima di venire in visita ufficiale a Roma, quel contatto personale a cui aspira e sottoposi la cosa a V.E. il giorno procedente a quello della Sua partenza per Milano. Avuta la Sua approvazione in linea di massima, ne parlai secondo l'ordine di V.E. al Duce, il giorno dopo.

Avendo il Duce dato il suo consenso, parlai all'ambasciatore Wysocki dicendogli che era venuto in mente a me, ma che non avevo avuto la possibilità di

l Di tali colloqui non è stata trovata documentazione. 2 Jan Szembek.

178 parlarne con V.E. partito per Milano, di stabilire un incontro fra V.E. e Beck qualora questi attraversasse il territorio italiano per ritornare da Montecarlo in Polonia. Aggiunsi che qualora egli ritenesse la cosa possibile io ne avrei parlato subito a V.E. per sapere se la cosa, compatibilmente con i suoi impegni, potrebbe avvenire. Gli dissi che naturalmente se V.E. fosse stato occupato o avesse avuto un programma già fissato, il progetto cadeva e sarebbe stato come non detto.

Così restati d'accordo, informai V.E. per telefono a Milano dell'approvazione data dal Duce e il giorno dopo confermai a Wysocki che, qualora Beck avesse attraversato il territorio italiano ritornando da Montecarlo, un incontro privato e confidenziale, del quale non sarebbe stata data notizia alla stampa, avrebbe potuto aver luogo.

Beck fece sapere al suo ambasciatore che era ben contento gli si offrisse l'occasione di prendere un contatto diretto con V.E. e di potersi intrattenere amichevolmente e privatamente con Lei.

L'ambasciatore Wysocki che era stato invitato a Montecarlo dal suo ministro mi disse che prima di partire avrebbe voluto vedere V.E. per farsi dare qualche informazione sull'incontro di Milano al fine di informare il suo ministro, e per sottoporle anche qualche idea sua in merito alla visita ufficiale a Roma che egli vorrebbe si realizzasse entro marzo e aprile.

L'ambasciatore ha voluto sottolinearmi che una cosa è la visita ufficiale ed una cosa è questo incontro preliminare confidenziale che egli ritiene utilissimo anche alla preparazione di quella e prega V.E. tenere presente che egli non saprebbe giustificare innanzi al suo ministro la mancanza di questo incontro.

143

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO PERSONALE 58l/298. Vienna, 8 febbraio 1937 (per. il 10).

Ho avuto oggi con il corriere la lettera n. 183 del 3 corrente di S.E. Bastianini 1 , che, in assenza di V.E., mi comunica le istruzioni di S.E. il Duce circa un eventuale viaggio di Schuschnigg in Italia e un incontro con il Duce e con V.E.

Ho conferito oggi stesso con Schuschnigg, il quale, anche per ragioni interne, preferisce differire il suo viaggio verso la metà di marzo 2 , nella speranza di poter allora incontrarsi, in via del tutto privata, fuori Roma, con il Duce e con V.E.

Nel corso della conversazione, Schuschnigg che mi ha nuovamente manifestato il desiderio e il bisogno che egli sente di consultarsi con il Duce nei momenti più

1 Non pubblicata. Bastianini avvertiva che il Duce sarebbe stato occupatissimo durante tutto il mese di febbraio e che d'altra parte non si vedeva la particolare necessità di un suo incontro con Schuschnigg. Se il Cancelliere austriaco avesse insistito per venire in Italia, si sarebbe potuto incontrare con Ciano.

2 Annotazione a margine autografa di Ciano: «Aprile».

importanti della sua azione, non ha mancato di accennarmi, m forma discreta, all'interesse che avrebbe avuto per lui una conversazione con il Duce e V.E. dopo la visita di Goering a Roma1 e prima della visita di Neurath a Vienna. Giudicherà l'E.V. l'opportunità dimettermi in grado di fare al Cancelliere prima del 22 corrente -data fissata per l'arrivo di von Neurath qui-qualche confidenziale comunicazione a conferma o completamento delle notizie che devono essergli giunte da Roma sulla parte che possano aver avuto nelle conversazioni romane con Goering il problema austriaco, le condizioni interne dell'Austria e i rapporti tra Vienna e Berlino.

Schuschnigg, pur sempre convinto dell'utilità dell'Accordo dell' 11 luglio e della necessità di darvi leale applicazione, non mi ha nascosto le difficoltà che incontra nei rapporti con Berlino e con questa Legazione del Reich, sopratutto per il dualismo tra governo germanico e Partito nazionalsocialista. Questa doppiezza lo farebbe talvolta dubitare della lealtà di Berlino, e accresce per lui il valore della fedele e franca amicizia e collaborazione dell'Italia e del Fascismo.

144

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA 467. Londra, 8 febbraio 1937 (per. il 12).

In questa settimana la situazione politica presenta alcuni aspetti abbastanza interessanti, per cui ritengo il caso farne oggetto di una particolare segnalazione.

Lunedì scorso Ti ho telegrafato 2 le impressioni e le ripercussioni determinate in Inghilterra dal discorso pronunciato sabato 30 gennaio da Hitler. Come Ti ho detto allora l'accoglienza è stata marcatamente favorevole negli ambienti finanziari della City e tale soddisfazione si è tradotta immediatamente in un rialzo generale dei Titoli britannici ed esteri, compresi quelli tedeschi. L'accoglienza è stata sul principio discretamente favorevole nell'opinione pubblica in genere, per la quale il discorso di Hitler è apparso un documento abbastanza ragionevole, sopratutto se paragonato a quello pronunciato qualche mese fa a Norimberga 3 . Poi sono arrivati i commenti dei giornali ispirati dal Foreign Office, le ritorsioni polemiche delle sinistre anti-fasciste, il grido di allarme degli imperialisti e colonialisti. Tutti, ciascuno dall'angolo dei propri interessi politici, ha cominciato a «ruminare» sulle dichiarazioni del Cancelliere tedesco e questa ruminazione laboriosa e faticosa, che dura tuttora, ha dato luogo ad alcune manifestazioni abbastanza curiose le quali costituiscono un indice e un sintomo non privo di interesse per quelli che saranno i possibili orientamenti britannici nel prossimo futuro.

Del discorso di Hitler una cosa è rimasta solidamente piantata come un giavellotto d'acciaio nel cervello degli inglesi ed è che la Germania condiziona ormai

l Dal 13 al 23 gennaio (vedi DD. 55, 60 e 109). 2 Vedi D. 110. 3 Vedi p. 130, nota 2.

un regolamento stabile nella pace europea al riesame della questione dei Mandati e alla restituzione totale o almeno parziale delle Colonie ex-tedesche. Non vi è dubbio che le dichiarazioni di Hitler, inequivocabili e precise, hanno avuto già sin d'ora un risultato positivo, quello di costringere gli inglesi a guardare questo problema in faccia, togliendo loro una volta per sempre l'illusione, accarezzata sin'ora, di poter evadere in un modo o in un altro dalla discussione dello spinoso problema, e di trovare sul terreno mercantile e affaristico di aiuti economici e finanziari alla Germania una più comoda moneta di scambio per indurre il nazismo tedesco ad accettare un qualche schema di regolamento europeo di tipo o di ispirazione britannica.

Hitler ha messo invece gli Inglesi colle spalle al muro, e le discussioni sul problema della ridistribuzione dei Mandati, temporaneamente sopite, sono risorte ad un tratto più vivaci che mai. Nel mio rapporto n. 3445 del 6 novembre scorso 1 ho illustrato quello che a mio avviso giudicavo sarebbero state in definitiva le tendenze dei vari Partiti e gruppi politici britannici in relazione a questo problema di importanza vitale, o meglio cruciale, per l'Impero Britannico. Facendo allora il punto sulla situazione regolavo i miei giudizi assai più sull'istinto che sopra fatti ed osservazioni materiali e precisi. Le reazioni determinatesi in questa settimana, a seguito del discorso di Hitler, mi permettono di confermare a qualche mese di distanza quanto allora scrivevo.

Il Foreign Office, da Eden a Vansittart sino all'ultimo funzionario, preoccupati dall'impressione favorevole che le dichiarazioni del Fiihrer hanno effettivamente suscitato in molti strati della popolazione britannica, hanno in questi giorni moltiplicato la loro attività nella campagna antitedesca e, oltrepassando di parecchio i limiti cosidetti tradizionali della convenienza internazionale, hanno cercato di agire direttamente e indirettamente, con qualsiasi mezzo, per dimostrare alla pubblica opinione britannica una pretesa malafede delle cosidette offerte tedesche, mettendo in guardia gli Inglesi contro i pericoli di una politica di conciliazione e di riavvicinamento colla Germania. Gli articoli e gli attacchi contro la persona di Ribbentrop, fatti simultaneamente in questi giorni dalla stampa e dai circoli di estrema sinistra e di estrema destra, sono stati ispirati dal Foreign Office, ed il fatto che il povero Ribbentrop si sia prestato ed abbia offerto per conto proprio un facile bersaglio all'astio antitedesco, non costituisce certamente una scusante per i signori del Foreign Office. Questi ultimi hanno infatti approfittato di tutto, grosso o piccolo, importante o meschino, per distogliere il pubblico britannico dall'idea che coi «cugini tedeschi» è possibile trattare un regolamento onorevole, che risparmi all'Europa e alla Gran Bretagna i pericoli di una prossima guerra.

Eden si è preso proprio in questi giorni una vacanza di due settimane sulla Riviera francese facendo a bella posta coincidere la sua partenza col ritorno di Ribbentrop, e ciò dopo che per un'intera settimana la stampa, ispirata dal Foreign Office, ha ogni giorno preannunciato il ritorno di Ribbentrop come presunto latore di istruzioni di Hitler per l'inizio di importanti conversazioni anglo-tedesche. Questo particolare, che non avrebbe avuto significato se lo stesso Foreign Office non gliene avesse fatto attribuire, ha suscitato a sua volta commenti e pettegolezzi di ogni

I Vedi serie ottava, vol. V, D. 368.

specie ai Comuni, nelle redazioni dei giornali, nei circoli diplomatici e politici di Londra. Le estreme sinistre hanno lanciato il canard di una congiura contro Eden da parte dei cosidetti moderati e filotedeschi del Gabinetto. Liberali, laburisti e conservatori di sinistra, hanno fatto grande chiasso perché Lord Halifax è stato chiamato a sostituire al Foreign Office il Segretario di Stato durante l'assenza di quest'ultimo, e hanno denunciato questo provvedimento, che in realtà è privo di significato politico, come un indizio grave di una tendenza da parte governativa di resa a discrezione alla Germania. A questa campagna non sono stati estranei, così mi si assicura, amici e fautori dello stesso Eden, il quale ancora una volta cerca di utilizzare il cieco odio antifascista e antinazista delle sinistre. Per contro i gruppi che patrocinano sempre più apertamente una intesa colla Germania accusano Eden di preparare un secondo disastro politico e diplomatico per l'Inghilterra sulla guisa di quello ancora vivo e bruciante in occasione del conflitto italo-abissino. Discussioni, commenti e pettegolezzi di ogni genere sono stati fatti durante questa settimana e hanno fornito il tema centrale a tutte le conversazioni politiche importanti e non importanti. Ma a parte i commenti, i pettegolezzi, le ragioni di astio personale, le quali si accavallano con i contrasti di idee e di partiti, è fuori dubbio che in questa settimana susseguente al discorso di Hitler si è manifestato nella vita politica britannica un effettivo nervosismo e un palese senso di malessere. Da una parte Eden, Vansittart, Churchill, Austen Chamberlain, Lloyd, i campioni insomma dell'alleanza integrale colla Francia e dell'accerchiamento politico e militare della Germania, non si sentono abbastanza sicuri che il popolo inglese voglia effettivamente seguirli fino in fondo su questa strada pericolosa. Dall'altra, la sensazione sempre più diffusa, sensazione che il discorso di Hitler ha reso ancora più attuale ed evidente, che i tempi stringono, che l'Inghilterra non ha più davanti a sé come per il passato la possiblità di affidarsi alla sua indolenza di pachiderma perpetuamente ruminante e rimettere le decisioni sul da farsi, che il «wait and see» non serve più e che una strada netta deve essere scelta. Che il Gabinetto sia diviso in due correnti distinte non è mistero ormai più per nessuno. Si ripete nei confronti delle relazioni anglo-tedesche una situazione analoga a quella che si è verificata nell'anno 1935/36 per l'attitudine britannica verso l'Italia. La politica intransigente, fanatica, antitedesca al cento per cento di Eden e Vansittart non è seguita dal gruppo dei conservatori moderati e più autorevoli quali Neville Chamberlain, Hoare, Simon, Runciman, Mac Donald, Halifax. Questi ultimi, non per simpatia certo verso la Germania ma perché conoscitori esperti del popolo britannico, si rendono conto che quest'ultimo, mentre ha accettato di buon animo e senza opposizioni un programma di riarmo senza precedenti, non sarebbe parimenti disposto a seguire un governo che si rifiutasse, almeno nell'apparenza, di tentare di ricercare una soluzione al problema, il quale è diventato ormai da tre anni a questa parte l'incubo di ogni persona di ambo i sessi che risiede in suolo britannico: evitare a tutti i costi una guerra colla Germania. Il popolo inglese ha accettato il riarmo perché gli è stato detto che, dopo il fallimento della S.d.N., il riarmo è l'unico mezzo per evitare la guerra. Una forte marina, una forte aviazione hanno preso nella pigra mentalità britannica, spaventata di fronte all'eventualità della guerra, esattamente lo stesso posto che ha avuto sino a ieri la S.d.N., la funzione ossia di uno specifico miracoloso contro lo scoppio di una malattia terribile, la guerra. La grande maggioranza dell'opinione pubblica britannica è disposta nel fondo a con

siderare favorevolmente la possibilità di una restituzione di colonie ex-tedesche alla Germania. La City è essa pure su questa strada. Una parte del Partito conservatore sta facendo una campagna in questo senso. Nessun membro del Gabinetto, ad eccezione di Eden, ha osato sinora fare pubbliche manifestazioni contenenti un diniego assoluto alla discussione delle richieste tedesche di restituzione di colonie. Al contrario nessuno ha dimenticato le dichiarazioni favorevoli alla revisione del problema dei Mandati, fatte l'estate scorsa, proprio da Neville Chamberlain, il preconizzato Primo Ministro britannico nel prossimo mese di giugno. Il discorso di Hitler ha senza dubbio, malgrado gli sforzi in senso contrario del Foreign Office, rafforzato le tendenze revisioniste esistenti in Gran Bretagna. Il problema delle colonie ex-tedesche è insomma all'ordine del giorno.

Se tale problema si risolverà e come si risolverà è ancora prematuro di dire. Siamo alla vigilia di due avvenimenti importanti nella vita politica britannica: l) il probabile ritiro di Baldwin, colla nomina di Neville Chamberlain a Primo Ministro e con un conseguenti vasto mutamento ministeriale, subito dopo le cerimonie dell'Incoronazione; 2) la convocazione della Conferenza Imperiale Britannica per la stessa epoca, e cioè a metà del mese di maggio. Riarmo britannico e politica estera dell'Impero sono i due argomenti che verranno esaminati nel massimo congresso della Commonwealth britannica. Dalla Conferenza Imperiale dipendono in ultima analisi gli orientamenti britannici in materia di revisione del problema dei Mandati e il futuro delle relazioni anglo-tedesche. Se la diplomazia tedesca sarà in questo frattempo abile ed efficace non è da escludersi l'eventualità che la Conferenza Imperiale determini modificazioni sensibili in quella che è stata sin'ora la cieca, intransigente politica antitedesca della burocrazia diplomatica britannica.

Non è probabile tuttavia che prima di allora noi assisteremo a sviluppi importanti, nel senso di trattative vere e proprie fra l'Inghilterra e la Germania. Ribbentrop, col quale ho passato l'intera giornata di ieri, allo scopo di esaminare non soltanto l'azione comune da svolgersi nella prossima seduta del Comitato di non-intervento in !spagna, ma anche per sondarlo su quelle che sono le istruzioni ricevute da Hitler in materia di eventuali negoziati anglo-tedeschi, non ha potuto nascondermi il suo imbarazzo e la sua delusione. Ribbentrop sperava, col semplicismo un po' grossolano che gli è proprio, (Ribbentrop, rassomiglia ad uno spaccalegna a cui è stato dato l'incarico di accomodare un orologio) che ritornando a Londra dopo il discorso del Fiihrer egli avrebbe senz'altro potuto in quattro e quattr'otto affrontare cogli Inglesi la questione ed iniziare un vero e proprio negoziato. L'accoglienza astiosa e gli attacchi da ogni parte di cui è stato fatto segno al suo ritorno (attacchi, occorre dirlo, in gran parte da lui stesso provocati per la mancanza assoluta di ogni esperienza o sensibilità di questo ambiente non facile), lo hanno disorientato sino al punto di impedirgli di afferrare e intendere i risultati che già a quest'ora il discorso di Hitler ha raggiunto qui in Inghilterra. Egli si è sinceramente stupito quando gli ho riferito una frase dettami da Churchill con un senso di dispetto: «Noi terremo duro per le Colonie fino a che terrà duro la Francia. Ma purtroppo da molti segni appare che la Francia non sia affatto disposta di tenere duro fino in fondo».

Questi risultati, è vero, non rivestono per ora carattere concreto. Ma per chi conosce a fondo la natura di questa gente, così lontana dalla comune umanità, risultati già vi sono, e non di trascurabile importanza. Hitler ha posto agli Inglesi, nettamente e brutalmente, il problema delle Colonie, e gli Inglesi non hanno osato dire di no. Soltanto qualche mese fa gli Inglesi non avrebbero manifestato dubbi al riguardo. Oggi il Governo conservatore è attaccato da molti dei suoi stessi sostenitori pel timore che esso frettolosamente ceda all'estremismo antitedesco di Eden e dei burocrati del Foreign Office, e non dia abbastanza peso alla necessità di trovare colla Germania, magari a prezzo di una ragionevole revisione dell'attuale assetto dei Mandati, una intesa che garantisca, non foss'altro per un periodo di tempo, dal pericolo della guerra.

È appena superfluo dirti che io seguo con profonda attenzione le fasi e le variazioni di questa attitudine di una considerevole parte dell'opinione pubblica britannica, la quale se non ha probabilità di concretarsi per ora in qualcosa di materiale, costituisce tuttavia un indice di grande interesse per quelli che potranno essere gli sviluppi prossimi o lontani della situazione 1•

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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 998/05 R. Belgrado, 9 febbraio 1937 (per. il 10).

Mio telegramma n. 292 .

Partendo per Ankara, Riistii Aras ha voluto intrattenermi nuovamente e diffusamente delle direttive della sua politica europea e balcanica. Estraggo per notizia di V.E., alcuni punti che mi sono apparsi di qualche interesse:

l) A proposito delle preoccupazioni greche per il patto bulgaro-jugoslavo, Riistii Aras mi ha detto che esse non hanno alcuna ragione di essere, perché dietro la Grecia c'è la Turchia. E la Turchia, non solo non ha intenzione di diminuire i suoi effettivi militari alla frontiera bulgara, ma ha tutto disposto perché tali effettivi, anche a parità di numero, siano costantemente in stato di armamento nettamente superiore a quelli bulgari. Dal canto suo, la Grecia avrebbe iniziato un sistema di fortificazioni al confine della Bulgaria.

Secondo Riistii Aras, la Turchia nulla ha da temere, in modo assoluto, dato lo stato dei suoi armamenti e le difese naturali del territorio, in Anatolia, ma ha tutto da temere -come gli avvenimenti della sua storia hanno da secoli dimostrato -dalle vie che giungono dalla Balcania. Mi ha detto che una assai confortante assicurazione ha avuto da V.E. a Milano, assicurazione di cui ha fatto parte a Stojadinovic e farà parte al prossimo convegno degli alleati balcanici, e che cioé l'Italia considera essenziale alla pace il mantenimento integrale dello status quo balcanico.

1 Il 15 febbraio, Ciano telegrafava a Grandi: «Mi è pervenuta la tua lettera del1'8 corrente che ho letto con vivo interesse». (T. 1753/58 P.R.).

2 Vedi p. 171, nota 6.

Riistii Aras mi ha detto: «Grecia e Bulgaria sono frontiere della Turchia, Jugoslavia e Romania ne sono le difese avanzate».

2) In quest'ordine di idee, mi ha detto che sta agendo, con successo, per la conclusione di un patto di amicizia fra la Grecia e l'Ungheria, parallelo a quello turco-ungherese. È assai probabile che a questa azione di Riistii Aras si riferisca la segnalazione di negoziati turco-ungheresi di cui al telegramma circolare di V.E. n. 231 del 22 gennaio scorso 1•

È evidente, del resto, l'interesse della Turchia di fronte alla possibilità di una cooperazione italo-jugoslava, con ripercussione sulla situazione fra Jugoslavia e Ungheria, di manovrare per evitare che tale sistemazione abbia da diminuire l'efficienza dell'Intesa Balcanica ed, in specie, delle posizioni turco-greche nel seno dell'Intesa stessa.

3) Riistii Aras mi ha detto che la Turchia trova la sua sicurezza unicamente in una situazione di accordo anglo-russa in Mar Nero e anglo-italiana in Mediterraneo orientale. Italia ed Inghilterra sono i soli cardini necessari e sufficienti della sicurezza e della pace nel Mediterraneo orientale, sia nei riguardi turchi, che in quelli dei Balcani in genere. La Francia passa in terzo luogo ed il suo peso non è determinante nel settore in questione.

4) A proposito della Spagna, Riistii Aras è fierissimo della soluzione da lui suggerita a Ginevra per una ripartizione --atlantica e mediterranea -del controllo navale, con esclusione in Mediterraneo di unità germaniche e russe. In argomento noto che ha già riferito la delegazione a Ginevra (telespresso di V.E. n. 203515 del 2 corr. 2•

5) Circa il riconoscimento de jure del nostro Impero, mi ha detto che egli ritiene di poter prossimamente proporre, a Ginevra, una soluzione con la quale verrebbe aggirata ogni difficoltà procedurale dando ad ognuno dei membri della Lega libertà di decisione singola.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1037/035 R. Londra, 9 febbraio 1937 (per. il 12).

Con telegramma n. 63 del 23 gennaio3 ho segnalato alla E.V. il vivissimo interesse suscitato in questi ambienti politici e parlamentari fin dal primo annuncio dell'incontro di V.E. con Tevfik Aras. Tale interesse, come l'E.V. avrà potuto

t Si veda in proposito il D. 77. 2 Ritrasmetteva il D. 99. 3 Riferimento errato: si tratta del T. 593/67 R. per il quale si veda il D. 80.

rilevare dalle mie successive segnalazioni, si è andato facendo più marcato dopo il comunicato di Milano 1 e dopo la visita di Aras a Belgrado 2 .

Pur ricordando il graduale peggioramento dei rapporti italo-turchi dal 1932 in poi e l'inesplicabile addensarsi di sospetti da parte di Ankara su ogni attività dell'Italia nel Mediterraneo, i commentatori britannici sono stati costretti a riconoscere che la tensione esistente negli ultimi 18 mesi fra Roma ed Ankara doveva considerarsi una conseguenza diretta della politica sanzionista e degli accordi di mutua garanzia conclusi fra Gran Bretagna e Potenze del Mediterraneo orientale. Come l'inasprimento dei rapporti italo-inglesi aveva provocato il peggioramento delle relazioni fra quelle Potenze e l'Italia, così una distensione fra Roma e Londra, si è detto in questi circoli politici, avrebbe esercitato un benefico effetto sulla intera situazione mediterranea.

Se si eccettua un tentativo della stampa di sinistra, di presentare l'incontro di Milano come una manovra italiana «per separare la Turchia dalla Francia profittando della irritazione provocata dalla questione di Alessandretta», i commentatori britannici sono stati quindi unanimi nel salutare con favore i colloqui di V.E. con Aras nei quali hanno visto «una diretta conseguenza della dichiarazione italo-inglese» ed una palese dimostrazione della sua importanza e del suo carattere costruttivo. «La via alle conversazioni di Milano scrive ad esempio l'Observer è stata aperta dallo scambio di assicurazioni italo-inglesi». La rivista Great Britain and the East che al momento della firma del gentlemen 's agreement vedeva in esso «un punto di partenza per una politica costruttiva fra tutte le Potenze che gravitano nel Mediterraneo» si rallegra che il buon seme gettato a Roma il 2 gennaio abbia dato così sollecitamente ottimi frutti.

Quella di «costruttivi» è la qualifica che più sovente ricorre nei commenti ai colloqui di Milano. «Costruttivi» qui si afferma, in quanto hanno permesso l'eliminazione degli ostacoli ad una efficace collaborazione mediterranea; «costruttivi» in quanto di tale collaborazione si pensa rappresentino la prima positiva manifestazione. «L'incontro di Milano, scrive il Times, va salutato con grande favore e considerato un passo innanzi costruttivo verso la pacificazione del Mediterraneo». Lo stesso liberale ed antifascista News Chronicle riconosce che l'Europa si trova di fronte ad «costruttivo passo innanzi verso la eliminazione della tensione mediterranea». «Le conversazioni fra il conte Ciano e Tevfik Aras, scrive la Morning Post rappresentano un punto di partenza per una politica costruttiva nel Mediterraneo in quanto hanno permesso di rilevare che non esistono ragioni di divergenza fra Roma ed Ankara come non sussistono ostacoli ad una cooperazione pacifica dei due paesi in quel mare». «Il franco scambio di opinioni che ha avuto luogo a Milano, scrive l' Observer, ha restaurato fra Italia e Turchia una mutua fiducia ed ha permesso di porre le basi per una salda collaborazione futura».

1 Nel comunicato si diceva che i due ministri avevano esaminato. oltre alle questioni interessanti direttamente i due Paesi, varie questioni di ordine generale con particolare riferimento alla Convenzione di Montreux e «alle rispettive posizioni nel Mediterraneo orientale». Essi erano giunti alla conclusione che nessun problema divideva Italia e Turchia ed avevano stabilito di tenersi in contatto «per rendere praticamente efficaci» i risultati dell'incontro. Il testo del comunicato è in Relazioni Internazionali, p. 91.

2 Vedi p. 171, nota 6. Il comunicato diramato in quell'occasione esprimeva, tra l'altro, la soddisfazione per <d'amichevole riavvicinamento nei rapporti reciproci dell'Italia con la Turchia e la Jugoslavia e, in conseguenza, verso gli altri Stati balcanici». Testo ibid., p. 111.

I commentatori hanno poi incominciato ad abbozzare le linee secondo le quali tale cooperazione dovrebbe concretarsi. Essi accennano ad una adesione di Roma alla convenzione di Montreux e ad una intesa generale per il Mediterraneo Orientale fra Italia, Gran Bretagna, Turchia, Grecia e Jugoslavia.

In primo luogo, e dopo aver osservato che, senza la firma dell'Italia, la nuova convenzione degli Stretti non può considerarsi completa, questi ambienti conservatori e la stampa più vicina al governo hanno manifestato la speranza che, dopo i colloqui di Milano, sia possibile per il governo fascista aderire al nuovo trattato. Quegli ambienti hanno tuttavia espresso l'opinione che tale adesione non potrà essere immediatamente ottenuta in quanto l'Italia vorrà condizionarla in parte alla sistemazione di taluni problemi pendenti tuttora con la Turchia (questioni commerciali, garanzie per le comunità religiose e le scuole italiane, ecc.) ma e sopratutto a precisi chiarimenti sulla clausola dell'accordo che permette alla flotta sovietica il passaggio attraverso gli Stretti. «La convenzione di Montreux, scrive a tale proposito l'Observer, è stata resa più complessa dalla guerra civile spagnola. Italia e Germania ritengono infatti che sia oggi più che mai necessario discutere una qualche forma di garanzia per limitare o condizionare l'ingresso nel Mediterraneo delle navi da guerra bolsceviche».

Per quanto riguarda la possibilità di un accordo per il Mediterraneo orientale, i circoli di destra che trovano nella Morning Post il loro portavoce, hanno espresso l'opinione che ai colloqui fra Italia e Turchia faranno certamente seguito contatti fra Roma, Atene e Belgrado: a tale proposito già si parla infatti di un prossimo eventuale viaggio di V.E. in queste due ultime capitali. Scopo di questi nuovi contatti diplomatici, si afferma negli ambienti anzidetti, sarebbe quello di giungere ad una «intesa generale mediterranea» alla quale la Gran Bretagna verrebbe collegata attraverso l'anello della dichiarazione italo-inglese del 2 gennaio.

Un primo passo verso la realizzazione di tale progetto è stato considerato il colloquio che Aras, di ritorno da Milano ha avuto con Stojadinovic a Belgrado. Il comunicato ufficiale su questo incontro ed i successivi cordiali riferimenti all'Italia contenuti nel discorso del primo ministro jugoslavo sono stati infatti posti in risalto da parte di questi circoli conservatori non soltanto come una prova del progressivo marcato miglioramento dei rapporti fra Roma e Belgrado ma come una chiara prova che la dichiarazione italo-inglese del 2 gennaio è destinata a rappresentare un elemento di decisiva importanza nell'opera diretta a dare ai rapporti fra Potenze mediterranee un assetto stabile su basi di pace e di cordialità.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 993/308. Parigi, 9 febbraio 1937 (per. il 12).

Il solo uomo politico importante di Francia che non avevo sinora avuto occasione di incontrare era il signor Daladier. Questa lacuna fu colmata nei giorni scorsi. Ebbi infatti occasione di intrattenermi con lui in lungo colloquio che assunse presto carattere assai cordiale.

Il presidente Daladier parlò in primo luogo della sua collaborazione al Patto a Quattro, disse che ricordava con grande soddisfazione la comprensione rapidissima da parte del Duce delle osservazioni ch'egli aveva creduto di fare al primitivo progetto, il che aveva agevolato grandemente la conclusione di quell'accordo. Il Patto a Quattro -soggiunse il mio interlocutore -era stata la concezione geniale di una grande uomo di Stato che aveva scorto in esso, per tutti gli Stati firmatari del Trattato di Versailles, il modo di consentire alla Germania, senza perdita di prestigio da nessuna parte, di riarmarsi razionalmente in modo equo ed in un numero di anni tale da non scuotere le sue basi economiche, in un'atmosfera di fiducia reciproca. Egli considerava pertanto tanto più deplorevole che il patto stesso non avesse trovato applicazione a causa della campagna violenta che contro esso era stata condotta proprio da quegli Stati che vi avrebbero avuto tutto da guadagnare.

Il presidente Daladier venne poi a parlare della Germania, premettendo ch'egli non è animato da alcun sentimento ostile verso la grande e temuta vicina dell'est, che considera sempre errato il principio informatore del Trattato di Versailles, e che fu costante fautore di un'intesa franco-tedesca. Per raggiungerla sarebbe peraltro occorso fare, per parte della Francia, una politica diametralmente opposta a quella che fu seguita: non protestare contro ogni violazione del trattato di pace, ma poi piegare il capo ed accettare il fatto compiuto; sibbene agire energicamente e contemporaneamente dichiarare di essere disposti a discutere per addivenire, mediante trattative condotte sopra un piede di assoluta eguaglianza, ad un nuovo e diverso regolamento dei rapporti fra i due Stati.

Tutta questa era peraltro storia retrospettiva circa la quale era inutile recriminare. Desiderava solo dirmi che se fosse stato alla testa del governo il 7 marzo 1936, non avrebbe esitato un istante ad ordinare la mobilitazione generale, certo com'era che essa non avrebbe provocato la guerra ma dimostrato al Fiihrer che la pazienza della Francia aveva dei limiti.

Quando Blum gli offerse di metterlo a capo della Difesa Nazionale accettò perché si rese conto che il governo di Fronte Popolare avrebbe potuto realizzare in questo campo molto più che qualsiasi altro governo, non dovendo temere una campagna da parte degli estremisti che devono, per forza di cose, mostrarsi, a parole almeno, antimilitaristi di fronte ad un governo moderato. Ricordò in proposito il contegno pre-bellico di Hervé che proclamava in Parlamento la necessità di svellere le rotaie per non lasciar funzionare le ferrovie in caso di guerra e che, il giorno della mobilitazione, fu tra i primi a presentarsi al distretto militare per vestire l'uniforme di soldato.

Divenuto ministro della Difesa Nazionale, egli lavorò senza tregua allo scopo che si era prefisso coll'intento di salvaguardare la pace. Di fronte ad una Germania che sta riarmandosi con un ritmo celerissimo non vi è per la Francia altra soluzione che di essere così forte da togliere al Reich ogni velleità di aggressione, sapendo che perderebbe un'altra volta la guerra.

Dal giorno in cui aveva assunto la direzione del ministero della Difesa Nazionale, egli nulla aveva tralasciato per riarmare potentemente la Francia, continuando ed integrando l'opera iniziata dal ministro Fabry sotto il ministero Lavai. Poteva dichiararsi soddisfatto del lavoro compiuto. Sarà terminata fra pochi mesi un'opera veramente gigantesca, compiuta nella maggiore calma, per dare alla Francia un esercito gual'essa non ebbe mai, con quadri di valore eccezionale ed un armamento modernissimo ed assai copioso.

Il presidente Daladier tenne a parlarmi delle voci corse secondo le quali i disordini sociali degli scorsi mesi avrebbero compromesso il riarmamento della Francia. Egli negò che ciò avesse influito sopra l'approntamento dei mezzi bellici; ricordò che il 70% delle industrie di guerra appartengono allo Stato, mi disse ~e ciò è esatto ~che negli stabilimenti Schneider del Creuzot non vi era stato nemmeno il più piccolo tentativo di sciopero e che i disordini scoppiati in altre industrie erano durati in tutto otto giorni, cosicché il ritardo nella consegna del materiale bellico era stato insignificante. Egli aveva del resto convocato nel proprio ufficio i capi del movimento operaio nelle industrie di guerra ed aveva tenuto loro un linguaggio estremamente duro, ponendoli dinanzi alle responsabilità che avrebbero incorso qualora non si fossero comportati da patrioti francesi. Tutti avevano mostrato di capire che se si vuole mantenere la pace bisogna dare alla Germania la sensazione di non temere la guerra e di essere pronti ad affrontarla, tutti avevano dato l'assicurazione che avrebbero compiuto il loro dovere nelle officine e se occorreva sul campo di battaglia.

Ciò non toglieva che, sopratutto in Germania, si continuassero a spargere voci catastrofiche sopra le condizioni interne della Francia. Gli risultava che ! militari tedeschi, che conosce e considera in questo momento gli uomini dotati di maggior senso di misura nel Reich, conoscevano la verità circa la Francia. Questa era una garanzia ch'egli non intendeva sopravalutare sapendo che in determinate circostanze avrebbe prevalso la volontà del Fiihrer ma che ad ogni modo doveva essere apprezzata al suo giusto valore tenendo anche, presente che Hitler non dovrebbe essere animato da intendimenti aggressivi, perché il rischio sarebbe troppo grande per il suo Paese e per la stessa sua opera.

Continuando a parlare della Germania ~che per ogni francese è il problema massimo ~il presidente Daladier osservò che poteva sembrare esservi contraddizione fra quanto mi aveva detto dianzi, relativamente al convincimento ch'egli nutriva che si potesse trattare con il Reich, e la fermezza con cui si era dedicato al riarmo della Francia. Contraddizione non c'era perché egli sapeva che dall'altro lato del Reno si comprende ed apprezza un solo argomento: quello della forza.

Era invece fatica persa quella di sperare di intendersi sulla base della ragione: prova ne era che i tedeschi rinfacciavano ai francesi il loro accordo con l'U.R.S.S. ma che non pensavano menomamente a denunciare il trattato di Rapallo e nemmeno quello di Berlino che era anzi stato confermato da Hitler medesimo qualche mese dopo di aver assunto il potere. Ricordò pure i contatti che continuano ad esistere fra gli Stati Maggiori germanico e sovietico e gli sforzi che i circoli industriali tedeschi fanno per continuare a vendere merci nell'U.R.S.S.

Il presidente Daladier discorse poi meco delle relazioni italo-francesi. Lo misi al corrente della situazione che del resto conosceva nelle grandi linee. Egli cominciò col compiacersi che non vi fossero tra i nostri due Paesi questioni gravi, disse che si rendeva conto che il maggiore e forse l'unico ostacolo, alla loro soluzione consisteva nello spirito iper-giuridico del Quai d'Orsay, spirito gretto che uccideva sul nascere qualunque idea generosa e di vasta portata.

Avendo io accennato alla compagnia di truppe francesi che si trova tuttora a Dire Daua, Daladier mi disse di avere già espresso come ministro della Difesa Nazionale il proprio parere decisamente contrario alla sua permanenza colà. Era il Quai d'Orsay e in parte anche il Ministero delle Colonie che si impuntavano al riguardo. Dietro le mie insistenze, Daladier mi assicurò che avrebbe nuovamente chiesto che questo ultimo contingente fosse ritirato dall'Etiopia.

Circa la politica generale che la Francia aveva fatto nei riguardi dell'Italia durante la guerra in A.O., Daladier mi disse che bisognava distinguere prima e dopo il 7 marzo 1936. Prima della rioccupazione della sponda sinistra renana, la Francia non poteva fare una politica diversa da quella seguita: societaria e quindi sanzionista, ancorché con moderazione e con tutte le necessarie precauzioni per impedire che il conflitto africano degenerasse in guerra generale. Dopo il 7 marzo 1936, la continuazione della politica delle sanzioni era stata assurda ed era addirittura grottesca la vacanza di titolare all'ambasciata di Francia a Roma, dovuta all'insipienza del Quai d'Orsay. Poiché era stato lui stesso a destinare a Roma come ambasciatore il conte de Chambrun nonostante le molte ostilità che tale nomina aveva incontrato, si era espresso contro al suo collocamento a riposo per considerazioni di opportunità del momento. Ma siccome la cosa esulava dalle sue attribuzioni era stata fatta ugualmente.

Tutto un complesso di cose, osservò il signor Daladier, fece sì che oggi l'Italia sia in ottimi termini anche con l'Inghilterra ed abbia invece del risentimento verso la Francia. Il colmo era poi che dal conflitto italo-etiopico, osteggiato in tutti i modi da Londra, la stessa Inghilterra aveva tratto insegnamenti e vantaggi; aveva così aperto gli occhi e deciso di ricostituire i propri armamenti avendo constatato che non basta opporsi con le parole all'azione altrui, ma che bisognava averne anche i mezzi materiali. La Francia invece, dopo aver aiutato l'Italia come meglio poteva, e in conformità dell'amicizia sincera che nutre per essa, non seppe poi riconoscere il fatto compiuto e si trova oggi in una situazione che è proprio ridicola.

Nella parte della converszizone concernente la Germania e gli armamenti della Francia, è stata evidente l'intenzione del presidente Daladier di minimizzare, di fronte a me, gli incidenti che si sono prodotti e tuttora si verificano nell'Esercito francese e che sono le conseguenze della propaganda comunista. Basta ricordare il recente furto di armi alla Scuola di Saumur. Si deve d'altra parte riconoscere che tale propaganda è combattuta con energia per opera precisamente di Daladier il quale si mostra inflessibile al riguardo ed è pure necessario tenere presente che lo spirito ipercritico ed individualista francese si manifesta in forme che possono fare credere che vi sia molto marcio in profondità, mentre esso in realtà è soltanto superficiale e scomparirebbe come per incanto di fronte ad un pericolo a cui fosse esposta la Francia, perché al di sopra di ogni idea politica vi è nell'animo di ogni francese un patriottismo profondo 1•

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1000/31 R. Belgrado, 10 febbraio 1937, ore 14,15 (per. ore 17,45). A telegramma di V.E. n.

Mi risulta che prime interpretazioni stampa inglese a proposito cenni ad una garanzia anglo-italiana delle frontiere marittime jugoslave contenuti nel noto discorso del presidente del Consiglio jugoslavo hanno provocato da parte di questi ... 2 una rettifica a Londra, sia per quanto concerne la fedeltà del testo pubblicato, sia nei riguardi del significato da attribuire agli argomenti esposti.

A questo proposito, la tesi del presidente del Consiglio jugoslavo, che mi è stata comunicata con preghiera di esame e parere, a titolo confidenziale e strettamente personale, circa la sua corrispondenza con il pensiero di V.E., è testualmente la seguente: «siamo del parere che, due delle Potenze principali del bacino mediterraneo manifestando la loro volontà di non mutare lo statu quo nel Mediterraneo, ne risulta praticamente per tutti gli altri Stati di questo bacino una garanzia politica indiretta che il suo statuto territoriale non sarà modificato. Non è stato dichiarato a Belgrado che con il loro accordo Inghilterra e Italia avevano assunto una obbligazione diretta di difesa delle frontiere marittime jugoslave, ma riteniamo che tale garanzia risulti indubbiamente dalla volontà da esse espressa di mantenere lo statu quo nella zona mediterranea nella misura che concerne le due Potenze».

Debbo pregare V.E. voler farmi avere un cenno telegrafico urgente sulla tesi esposta3 .

29 1 .
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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 997/33 E 1001/34 R. Belgrado, 10 febbraio 1937, ore 14,15 (per. ore 19,45).

A telegramma di V.E. n. 274 .

Non esiste resoconto stenografico discorso Stojadinovic che non era originariamente destinato pubblicità e che è stato ricostruito in base note prese da qualcuno dei presenti. Martinaz a mia richiesta, mi ha categoricamente assicurato che Stojadinovic non ha menomamente intonato sue dichiarazioni concernenti l'Italia nel

l T. 1384/29 P.R. dell'S febbraio. Ritrasmetteva il D. 133. 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «manca». 3 Non è stata trovata una risposta in proposito da parte di Ciano. 4 Vedi D. 136.

senso apparso dal resoconto pubblicato. Conclusioni delle dichiarazioni sarebbero state, ad esempio, completamente diverse in quanto questo presidente del Consiglio avrebbe detto che «dopo le parole amichevoli pronunciate a Milano sarebbero seguiti sollecitamente degli atti positivi che le avrebbero confermate e che egli si riservava di far conoscere quanto prima in concreto».

Comunque, dal momento che V.E. me ne ha lasciato facoltà, ho creduto utile ad ogni buon fine fare a Stojadinovic, in forma opportuna, i rilievi da noi fatti sul tono del discorso quale era apparso sulla stampa e far presente convenienza provvedere a rettificarne impressioni sul pubblico.

Mi è stato assicurato che Stojadinovic intende appunto fare alla Scupcina, di ritorno dal Consiglio Intesa Balcanica 1 , e cioé fra una quindicina di giorni, una vera e propria esposizione della politica estera jugoslava e che non avremo ragione di lamentarcene.

Sta di fatto che errata pubblicità data al suo discorso ha già procurato a Stojadinovic vari dispiaceri. Oltre che con noi ha dovuto giustificarsi con Londra. Senza contare il malumore vivissimo dei francesi per essere stati quasi dimenticati.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1006/78 R. Berlino, 10 febbraio 1937, ore 20,40 (per. ore 0,15 dell']]).

Ho domandato iersera al mm1stro Svezia 2 cosa vi fosse di vero nelle voci pubblicate dai giornali, specialmente dal Temps di un probabile rinvio della sua missione a Roma a causa nota questione credenziali.

Egli mi ha risposto nulla sapere di preciso ma di aver peraltro constatato nel conferire -durante il suo recente passaggio a Berlino -con proprio ministro Esteri, come questi fosse tornato da Ginevra notevolmente irrigidito e ciò sotto l'influenza della azione di Avenol il quale, criticando aspramente la precipitazione mostrata in materia da certi Paesi e specialmente dalla Svizzera, aveva invitato i fedeli della S.d.N. a non seguirne l'esempio per non compromettere il prestigio della «bottega» societaria.

Mi permetto ritenere questa azione di Avenol come assolutamente scorretta e illecita e penso che, pure tacendo sulla fonte dell'informazione del caso singolo, il

R. Governo potrebbe utilmente mostrare essere a conoscenza di queste nuove mene ginevrine e di stigmatizzarle come meritano.

Intanto, ministro di Svezia, pur mantenendo data già fissata per sua partenza da Berlino (15 febbraio), invece di recarsi subito a Roma, come stabilito, si recherà Riviera francese ad attendere eventi.

I Vedi D. 180. 2 Einar Th. af Wirsén.

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IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1074/028 R. Budapest, 10 febbraio 1936 (per. il 13).

Mio rapporto n. 636170 del 14 gennaio 1•

Questo ministro degli Affari Esteri mi ha comunicato quanto egli ha scritto al barone Villani, perché ne desse comunicazione a V.E. circa lo stato attuale dei rapporti con la Jugoslavia. In sostanza, se l'atmosfera è molto migliorata, se le polemiche di stampa sono cessate, se il trattato commercio2 è stato concluso tre settimane fa con spirito conciliativo, nulla vi è finora di concreto e di positivo.

Kanya mi ha aggiunto confidenzialmente d'aver letto il discorso pronunciato da Stojadinovic alla commissione del Bilancio della Camera dei Deputati e di avere constatato che non vi si trova nessun accenno all'Ungheria, contrariamente all'altro discorso di qualche tempo fa. Un suo collaboratore ne avrebbe chiesto a questo ministro di Jugoslavia, Vukcevic, e questi avrebbe risposto che Stojadinovic non vi aveva ora accennato perché Kanya nella sua ultima esposizione sulla politica estera non aveva fatto alcuna dichiarazione al riguardo. Kanya mi diceva invece di aver ripetuto le frasi del primo discorso di Stojadinovic, commentandole con una frase generica, ma favorevole. Effettivamente, egli mi diceva, il governo jugoslavo avrebbe voluto e vorrebbe che egli facesse una dichiarazione preliminare dalla quale risultasse più o meno indirettamente un riconoscimento dello status quo territoriale. Ma il ministro degli Affari Esteri afferma di non poterlo fare, perché l'opinione pubblica ungherese gli domanderebbe che cosa avrebbe avuto in cambio. Lo farebbe se fosse sicuro prima che la Jugoslavia lasciasse veramente la Piccola Intesa; gli ho allora fra l'altro detto che l'Ungheria doveva ben rendersi conto che la peggiore situazione era certamente quella di aver i tre Stati vicini uniti contro di essa e per arrivare a sfaldarne l'unione bisognava pure cominciare a fare qualche sacrificio, se non altro formale. A ciò Kanya ha risposto che se ne rendeva conto ma d'altra parte occorreva che, sia nei riguardi della Jugoslavia, sia nei riguardi delle altre Potenze vicine, fosse risolto l'equivoco e la contraddizione che esiste fra la volontà espressa di riavvicinamento con l'Ungheria e i patti di alleanza militare che uniscono i tre Stati contro l'Ungheria stessa: poiché solo per la questione ungherese gli Stati della Piccola Intesa sono d'accordo, mentre esistono profonde divergenze per tutte le altre questioni (Italia, Russia, Germania).

Kanya mi ha ripetuto poi quanto mi aveva già detto altre volte; che Stojadinovic giuoca ora su una situazione favorevole; parla attualmente col tono di un grande uomo e con quello di un rappresentante di una grande Potenza; ma sopratutto è impressione di Kanya che egli pensi che in Europa si stiano riformando due grandi raggruppamenti di Potenze e perciò egli stia aspettando, per prendere posizione, di vedere chi sarà il più forte.

I Riferiva su un colloquio con il ministro Kanya, il quale gli aveva dichiarato che nessun progresso concreto era stato fatto nei rapporti ungaro-romeni, anche se vi era stata una notevole distensione.

2 Vedi p. 96, nota 2.

D'altra parte, il ministro degli Affari Esteri mi ha fatto rilevare che erano da notarsi nella stampa ungherese notevoli sintomi della migliorata atmosfera: così l'articolo del deputato Rajniss (mio telespresso 17711235 in data odierna) 1 ed altri apparsi nei giornali di Budapest. Gli ungheresi di Jugoslavia avevano votato per i candidati del governo; si erano verificati da parte serba vari segni di maggiore tolleranza.

Anche ministro di Jugoslavia pur constatando la migliorata atmosfera, mi ha confermato che non si era giunti a niente di concreto.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1026/67 R. Parigi, Il febbraio 1937, ore 21,30 (per. ore l del 12).

Telegramma di V.E. n. 602 . Mi sono espresso con Léger nel senso della prima parte del telegramma di

V.E. ottenendo da lui, previa indagine compiuta in mia presenza, la risposta che ministero delle Colonie non ha ancora fatto conoscere al Quai d'Orsay lista degli argomenti da discutere eventualmente. Egli ha disposto perché si insistesse presso ministero suddetto per riceverla al più presto.

Per quanto riguarda seconda parte del telegramma di V.E., ho avuto con Léger una conversazione nel corso della quale gli ho detto che il permanere a Dire Daua di una compagnia di truppe francesi creava in Italia un malcontento che era indispensabile e urgente eliminare. Nessuna ragione giustificava il mancato totale ritiro delle truppe stesse e la connessione che il Quai d'Orsay aveva voluto creare fra il ritiro medesimo ed il regolamento dello Statuto della ferrovia mi sembrava costituire un pericolo. Gliene parlavo a titolo personale, ispirato, come ero, costantemente dal desiderio di chiarire atmosfera fra nostri due Paesi e perché nutrivo fiducia che governo francese si sarebbe, dal suo lato, reso conto dell'opportunità di ritirare quel residuo di truppe prima di discorrere con noi dei problemi concernenti ferrovia.

Léger mi chiese se le mie parole significassero che il governo fascista subordinava inizio trattative ferrovia al ritiro totale delle truppe francesi da Dire Daua.

Gli risposi che avevo parlato a titolo personale ed aggiunsi che egli non doveva però fraintendermi ma credere invece alla verità di quanto gli affermavo quando gli dicevo che quel contingente francese arrecava molto danno alle nostre relazioni.

Léger ricordò dichiarazione ripetutamente fattami secondo la quale ritiro contingente era deciso e che governo francese si riservava soltanto di procedervi gradualmente secondo suo giudizio. Se trattative ferrovia si fossero iniziate entro pochi

I Non rintracciato. 2 Vedi p. 169, nota l.

194 giorni e se fossero giunte in porto in breve tempo, era evidente che permanenza del contingente a Dire Daua sarebbe stata di breve durata.

A queste sue parole reagii energicamente osservando che mi rendevo conto che lo spirito del Quai d'Orsay stava una volta ancora cercando di sabotare ristabilimento di relazioni fiduciose fra l'Italia e la Francia.

Léger dal suo lato mi disse che allora egli non aveva errato riportando dalle mie parole precedenti impressione che noi volessimo subordinare inizio delle trattative per la ferrovia al ritiro completo delle truppe di cui si tratta, continuando cioè nel sistema italiano di sempre chiedere senza mai nulla voler dare.

Ho replicato pacatamente che io mi ero espresso in termini amichevoli formulando un augurio -e non una condizione -e che lo avevo fatto dopo di avere rimarcato la notizia che il governo fascista, non essendo pienamente convinto della necessità di trattative dirette tra i due governi per regolare la questione della ferrovia, intendeva accedere al desiderio espressogli dal governo francese. Era quindi proprio fuori di luogo la sua osservazione relativa al sistema italiano sopra menzionato, perché noi avevamo «dato» e stava ora alla Francia mostrare eguale buona volontà.

Léger mi disse allora che egli avrebbe portato a conoscenza del ministro Affari Esteri quanto gli avevo detto, affinché egli ne facesse oggetto di esame eventuale col presidente del Consiglio e col ministro delle Colonie.

Ho osservato che questo, e non altro, era lo scopo della mia conversazione odierna con lui. Aggiunsi poi che tanto Delbos quanto Blum mi dichiararono sempre essere. animati dalle migliori intenzioni verso l'Italia e di essere convinti che le poche divergenze avrebbero potuto essere risolte facilmente con interesse reciproco e si sarebbe reso conto che era giunto momento di provarlo. Pregai quindi Léger di voler ricordare loro le suddette dichiarazioni che erano state assai apprezzate tanto dal governo fascista che da me ed a cui mi ero ispirato, del resto, nell'esprimermi come avevo fatto dianzi a lui 1 .

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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE l 053/35 R. Belgrado, 12 febbraio 1937, ore 14,30 (per. ore 18).

Stojadinovic partirà domenica per Atene e farà viaggio con Antonescu. Mi ha detto che prevede che nel Consiglio Intesa Balcanica 2 si vorrà parlare molto dell'Italia e della Jugoslavia. Ha accennato a pressioni, attacchi e difficoltà che gli vengono da varie parti per i nuovi orientamenti della sua politica estera, che vengono interpretati come un deciso distacco dalle vecchie posizioni. Ha insistito nella sua ferma determi-

I Si veda, per il seguito, il D. 167. 2 Vedi D. 180.

nazione di procedere con noi sulla via intrapresa, che considera politica naturale ed essenziale per la Jugoslavia. Ha fatto tuttavia presente opportunità di procedere con cautela e di !asciargli una certa libertà di azione per non suscitare situazione imbarazzante e per dargli modo preparare metodicamente e progressivamente il terreno. Il suo noto discorso 1 deve esser considerato soltanto come inizio della sua azione.

Debbo riconoscere che effettivamente situazione Stojadinovic non è attualmente delle più facili, né nei riguardi interni, né in quelli esteri. Non lo ha certamente facilitato il passaggio a Belgrado di Riistii Aras 2 , il quale, per evidenti ragioni ed orientamenti politici, non può gradire che dopo patto di amicizia colla Bulgaria, Jugoslavia continui nella sua azione indipendente per raggiungere isolatamente posizione decisiva quale è accordo coll'Italia. Stojadinovic mi è sembrato preoccupato che Riistii Aras lo abbia preceduto presso V.E. e che comunque egli possa essere elemento disturbatore. Da qualche indizio dovrei ritenere che Riistii Aras abbia qui parlato perfino della questione albanese.

Vedrò presidente del Consiglio al suo ritorno da Atene per concludere ripresa conversazioni Roma.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE l 051/83 R. Berlino, 12 febbraio 1937, ore 21,50 (per. ore 0,15 del 13).

So di alcune proposte che ti sarebbero state presentate per un accordo «anti-comunista». Ti pregherei attendere in proposito rapporto che spedisco ti per corriere 3 .

155

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 600/174. Berlino, 12 febbraio 1937 (per. il 16).

V.E. avrà rilevato come in questi ultimi tempi vi siano stati dei nuovi -per quanto timidi -accenni alla ripresa dei negoziati per un patto occidentale.

I Vedi p. 168, nota 2.

2 Vedi p. 171, nota 6.

3 Ciano rispondeva: «Nessuna proposta precisa mi è stata fatta per eventuale accordo anticomunista. Mi è stata soltanto segnalata l'opportunità di un colloquio con persona che me ne avrebbe parlato. Ho rinviato ogni decisione» (T. 427/55 R. del 13 febbraio). Per il seguito, si veda il D. 162.

Poiché è da prevedere che, col ritorno di Eden dalle vacanze -e sopratutto in conseguenza della nota belga di ieri 1 -la questione possa essere riesumata, non sarà inopportuno fissare qui appresso quale sia attualmente l'esatto stato delle cose in materia.

V.E. sa che !'ultima nota dell'Inghilterra sulla questione rimonta al 19 novembre 19362 . Tanto la Germania quanto noi non abbiamo mai risposto a questa nota. Senonché la Germania ha, (vedasi mio rapporto del 5 dicembre n. 4977 /1679) 3 in via interlocutoria, domandato al Foreign Office dei chiarimenti sopra un punto sopratutto: quella della constatazione dell'aggressore nei casi di «eccezioni». La risposta data dal Foreign Office -attraverso il suo Ufficio giuridico -non è stata soddisfacente, cosicché, dal punto di vista sostanziale, non si vede come la questione possa fare alcun serio passo in avanti.

Senonché tutto questo si è svolto verbalmente. Nella forma, rimane il fatto che alla nota inglese del 19 novembre né la Germania né l'Italia hanno finora dato risposta alcuna. Questa carenza è considerata da parte tedesca (intendo in questo caso parlare specialmente degli Uffici) come una posizione tatticamente sfavorevole, da cui convenga alla prima occasione di uscire. Accertato questo stato di spirito io ho creduto, in una mia recente conversazione con Gaus, a cui fanno effettivamente capo tutte le trattative locarniane, di far presente quanto segue.

Per quanto si tratti di questioni non apparentemente connesse fra di loro, tuttavia non si può negare che, fino a quando la questione spagnola rimanga ancora nello stato acuto, è praticamente impossibile intavolare discussioni e negoziati per una sistemazione dei rapporti politici fra le grandi Potenze occidentali, che in questo momento la questione spagnola profondamente divide.

Per quanto riguarda più specialmente la questione di Locarno, bisogna pur riconoscere che la situazione della Francia -consule Blum -è in materia alquanto dubbia. La Francia del Fronte Popolare, già sicura dell'appoggio ed anzi praticamente dell'alleanza inglese, è d'altra parte legata alla Russia e non intende rinunciare a questi legami, questa Francia dico, messa fra l'alternativa, da una parte, di una nuova Locarno che potenzialmente assorba, se non annulli, l'alleanza inglese e faccia in fatto evaporare l'alleanza con i Soviet, e dall'altra di un accordo locarniano che le dia la semplice sicurezza -di cui un governo francese di sinistra sarà sempre portato a particolarmente dubitare -di una non aggressione tedesca, potrà anche preferire di rimanere nella situazione attuale, rendendo definitivo lo stato di fatto creato dal 7 marzo 4 . È bensì vero che, così facendo, la Francia trascurerebbe l'apporto italiano ma, a torto o a ragione, essa o non sembra in questo momento disposta ad attribuigli un peso preponderante, oppure lo ritiene troppo problematico per farlo effettivamente pesare sulla bilancia.

Quanto all'Inghilterra, la situazione si presenta un po' diversamente, in quanto effettivamente ci sono oltre Manica elementi i quali desiderano una nuova

I Per la quale si veda DDB, vol. IV, D. 202, allegato.

2 Vedi p. 69, nota 2.

3 Vedi serie ottava, vol. V, appendice, n. 4.

4 Riferimento al memorandum del governo tedesco del 7 marzo 1936 che denunziava i Patti di Locarno ed annunciava la rimilitarizzazione della Renania.

Locarno nell'intento di sganciare alquanto la Gran Bretagna dalla Francia, sottraendola al peso di una vera e propria alleanza e quindi renderle quella libertà di azione e quella funzione equilibratrice europea che le sono tradizionalmente care. In questo caso potrebbe anche convenire alla Germania ed all'Italia di venire incontro all'Inghilterra attraverso una nuova Locarno che avesse appunto per scopo di assorbire, mediante un accordo a quattro quello che altrimenti rimarrebbe e si consoliderebbe come una vera e propria alleanza fra l'Inghilterra e la Francia.

Senonché, anche qui bisogna distinguere fra quel che può essere l'interesse e la linea politica permamente dell'Inghilterra e quelli che possono essere invece gli interessi e le linee inglesi contingenti, e ciò sopratutto fino a quando la politica estera della Gran Bretagna sia retta da Eden. È notorio che Eden tiene egli stesso personalmente ad un'alleanza con la Francia. Egli lo dichiarò a me fin dai tempi del suo viaggio a Mosca. In questo caso, un'insistenza inglese che fosse nuovamente esercitata-consule Eden -per una ripresa delle negoziazioni locarniane avrebbe un solo scopo quello di coprire con un manto societario e regionale la già esistente alleanza tra la Francia e l'Inghilterra, in questa maniera anzi facilitando, anche alla parte dell'opinione pubblica inglese ancora restia ad un'alleanza con la Francia, l'accettazione dell'alleanza medesima. Se così fosse è chiaro che, in queste condizioni, l'interesse della Germania e dell'Italia sarebbe allora quello di non prestarsi al giuoco di Eden.

Esaminata comunque la situazione nel suo complesso io mi sono permesso di esprimere l'idea che, ove per ragioni contingenti come ad esempio potrebbe essere le nuova proposta belga, si rendesse indispensabile da parte tedesca e nostra di dare ail'Inghilterra una risposta, questa potrebbe essere:

l) da parte della Germania, un semplice ampliamento, scritto e formale, del passo interlocutorio già compiuto verbalmente ed ufficiosamente attraverso contatti fra Woermann e l'Ufficio giuridico del Foreign Office. Ciò presenterebbe il vantaggio, oltre che di guadagnare tempo lasciando che le altre grandi questioni che in questo momento pesano sull'atmosfera internazionale si maturino, anche quello di trasportare per così dire in sede politica la domanda che la Germania ha rivolto all'Inghilterra soltanto in sede tecnico-giuridica. L'Inghilterra si troverebbe così messa un po' con le spalle al muro e sarebbe costretta,

o a modificare il suo punto di vista in senso favorevole alla Germania, oppure, per lo meno, a prendere la responsabilità politica -e quindi la colpa -di una sua risposta negativa;

2) da parte dell'Italia, la risposta potrebbe consistere in una nuova domanda, anch'essa interlocutoria, di una precisa risposta al quesito da noi già posto sul carattere del patto ed a cui il governo inglese in fondo non ha mai risposto.

Questa la mia conversazione con Gaus. Con Neurath ho fatto soltanto qualche vago accenno, sopratutto per prepararlo ad una conversazione futura.

Poiché, ripeto, è da prevedere che col ritorno di Eden ed in seguito al nuovo passo belga la questione di Locarno debba ritornare sul tappeto, io mi permetto di ritenere che sarebbe giunto il momento di prenderla in considerazione, onde fissare bene i punti di vista e le direttive in base alle quali prendere i contatti del caso col governo tedesco.

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L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 235/108. Salamanca, 12 febbraio 1937 1 .

Mi onoro accludere ad ogni buon fine copia di una lettera diretta dal principe Sa veri o di Borbone Parma al R. Console in San Sebastiano 2 : ciò faccio unicamente in omaggio a chi l'ha firmata.

Giungono infatti quotidianamente a questa Ambasciata numerose lettere, o sollecitazioni per udienze, confidenze, missive riservate eccetera, tutte ispirate da ragioni di politica interna o da interessi personali ad essa connesse. È superfluo riferire che nessun passo di tal natura trova e troverà accoglienza presso di me.

Non appena sono giunto sul·territorio spagnolo ho avuto occasione di sperimentare quanto siano preziose e lungimiranti le istruzioni impartitemi dall'E.V. nel senso di non mostrare alcun diretto interessamento per la politica interna e tanto meno di dar la sensazione di voler intervenire in essa. Questa direttiva del governo fascista è la sola che aderisca finora alla reale situazione dei partiti di Spagna nei riguardi del Generale, ed è perciò anche la sola che protegge i nostri interessi futuri.

In tal senso istruisco oggi stesso i R. Consolati dipendenti, come risulta da apposita circolare che in pari data invio per conoscenza a codesto Ministero.

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L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 240/111. Salamanca, 12 febbraio 1937 (per. il 17).

Il signor Sangroniz, durante la visita che gli ho restituito al Quartiere Generale, nel domandarmi la mia impressione sulle zone basche che avevo attraversato, mi ha detto: la soluzione necessariamente militare della incredibile situazione basca, farà capire ai cattolici di Bilbao che la loro alleanza con i rossi costituisce una grave macchia nella storia della Spagna cattolica e farà intendere al Vaticano che, mentre noi risolveremo le nostre situazioni interne senza l'aiuto della Segreteria di Stato, sarà invece proprio il Papa, dopo, ad aver bisogno di Franco per risanare le ferite che la politica della Santa Sede finirà con l'incidere nell'anima del cattolicesimo spagnolo.

Non è stato difficile portare il mio interlocutore, basco e cattolico, a maggiori chiarimenti, divenuti poi aspre rampogne verso la Santa Sede ed il Papa. Non ripeterò quanto egli mi ha detto intorno ai noti incidenti tra il Sommo Pontefice e

I Manca l'indicazione della data d'arrivo.

2 Non pubblicata. Vi si sottolineava che la Comunione Tradizionalista Carlista costituiva, insieme all'esercito, la vera forza dell'insurrezione.

l'ammiraglio Magaz 1; e neppure gli apprezzamenti fatti da Sangroniz intorno al non riuscito tentativo del generale Franco di provocare un'ammonizione della Santa Sede ai cattolici baschi: tutto ciò è superato. È invece nuova, forse, la seconda parte delle recriminazioni del capo Gabinetto di Franco, il quale si rivela uomo acuto, colto e ricco di passione per gli interessi internazionali della Spagna.

Sangroniz ha fatto un riassunto della politica della Santa Sede in Spagna dopo la fine della monarchia, considerandone principale autore monsignor Tedeschini: egli attribuisce al Vaticano preferenze segrete e non disinteressate per la social-democrazia degli ultimi anni, la quale, per insensibilità politica, per viltà morale e per organica disposizione al patteggiamento, anche nelle zone più elevate della politica nazionale, avrebbe lasciato alla Segreteria di Stato eccessiva libertà nel dirigere i propri interessi in Spagna, laddove la monarchia, pur devota com'era alla Santa Sede e sostenuta essa stessa dal clero, metteva tuttavia dei limiti al potere della nunziatura e intendeva conservare intatte le proprie prerogative in materia di nomine di vescovi e di gerarchie ecclesiastiche.

Sangroniz ha esposto una serie di episodi, i quali potrebbero dare l'impressione che, nei pochi anni del regime repubblicano, la Chiesa avesse riacquistato alcune importanti posizioni che la monarchia (e specialmente Primo de Rivera) le avevano sottratto e minato.

Sangroniz ha creduto di poter addirittura precisare che, mentre da una parte la nunziatura ricompensava la repubblica di tante liberalità più o meno clandestine, spingendo verso di essa -(ritorno della troppo nota politica del ralliement escogitata da Leone XIII in pro della Repubblica francese)-le masse elettorali spagnole delle provincie più infeudate al clero, d'altra parte la stessa nunziatura, senza che la repubblica reagisse, pur accorgendosene, mirava copertamente, secondo il Sangroniz, ad incoraggiare i numerosi separatisti locali attraverso il clero delle regioni più caratterizzate in tal senso. Scopo: favorire le nucleazioni separatiste che avrebbero in prosieguo di tempo dato alla Santa Sede un potere sempre maggiore sulla repubblica e permesso un inquadramento regionale sempre più organico delle forze cattoliche, così da potere gradualmente vulnerare la forza del governo centrale a beneficio di quello della Chiesa. Sa\}groniz afferma che il Vaticano ha fatto in Spagna, nel tempo della repubblica, la politica del divide et impera, poiché alla Santa Sede meglio convengono le debolezze intrinseche di un governo massonico che non la sincera benevolenza di un governo cattolico ma geloso della dignità nazionale. Gli è stato facile citare un esempio probatorio della sua interpretazione della politica della Chiesa: la grande indulgenza della politica vaticana verso la Francia laica e anticlericale, da dieci anni ad oggi.

Ho domandato a Sangroniz se quanto egli mi aveva detto rispecchiasse un suo personale atteggiamento critico, o se riflettesse il sentimento del generale Franco. Mi ha risposto senza esitazione che quanto mi aveva detto era la fedele esposizione dell'opinione che il generale ha della politica della Chiesa verso il suo Paese; che il generale è persuaso che la Santa Sede ha in orrore l'ipotesi di un trionfo bolscevico in Spagna ma che ha anche timore della formazione di un forte governo nazionale che limiterebbe l'influenze e le pretese della nunziatura. Ha aggiunto che

l Vedi serie ottava, vol. V, D. 670.

una parte cospicua del clero condivide il medesimo apprezzamento ed è irritata contro la Santa Sede; la quale-secondo lui-potrebbe anche trovarsi un giorno in presenza di un fenomeno di distacco di una parte del clero dalle direttive di Roma, ciò che è accaduto quando eccessivi interventi pontifici nella politica delle nazioni hanno incautamente portato il clero al dilemma tra Patria e religione. Il Sangroniz ha concluso che il generale Franco fa e farà tutto il possibile per impedire che, tra gli inevitabili strascichi della profonda crisi nazionale, abbia ad annoverarsi anche una «questione religiosa». Risulta infatti d'altra fonte che il generale Franco intende a tutti i costi evitare una pubblica polemica con la Santa Sede, e del resto è noto in Spagna bianca che la consorte di Franco trascorre parte della giornata tra preti e monache, cui elargisce danaro e favori; e che in un certo senso ella rappresenterebbe presso il generale dirò così l'assistenza dei gesuiti: voglio anche aggiungere che i falangisti non vedono volentieri i rapporti tra la signora Franco e una parte del clero ed anzi li considerano segno delle criticate attitudini «reazionarie» del capo attuale del movimento nazionale.

Sangroniz, a mia domanda, non ha avuto obbiezione a che io riferisca a V.E. lo stato d'animo del generale nei riguardi della Santa Sede; ma prega caldamente che assolutamente nulla sia fatto trapelare al Vaticano, sia perché sarebbe ora inutile, sia perché a suo avviso è preferibile che questa crisi si sviluppi prima pienamente, onde potersi poi avviare verso una soluzione pacifica e naturale, favorevole agli interessi della Spagna e della Chiesa.

Poiché egli mi aveva in sostanza rappresentato, col suo lungo sfogo, un esempio molto tipico dei rapporti tra la Chiesa e uno Stato debole, gli ho a mia volta rappresentate alcune idee generali sui rapporti tra la Chiesa e uno Stato forte, avvalendomi delle esperienze conclusive che in tal senso lo Stato fascista ha offerto ai cattolici di tutto il mondo dal 1929 ad oggi, cioè dalla polemica che seguì la firma del Concordato del Laterano alla solidarietà del clero italiano col Duce durante il nostro conflitto con l'Inghilterra e con l'Abissinia 1 .

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L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATISSIMO 243/113. Salamanca, 12 febbraio 1937 (per. il 17).

Raggiungendo la Spagna per terra invece che per mare, ho avuto necessità di fermarmi qualche giorno nella zona di frontiera con la Francia, cioé nel Nord dove il problema dei rapporti con la Repubblica francese è sentito e reale, specie come problema economico e commerciale.

Da San Sebastiano in giù, pur senza avere l'intenzione di condurre un'indagine, mi è occorso di ascoltare spagnoli di varie classi sociali, principalmente dell'alta

l Il documento ha il visto di Mussolini.

borghesia, di parte massonica e finanziariamente sensibile a ciò che in Francia si fa e si dice. Le decine di autorità, personalità e privati che in varie città mi hanno avvicinato, e che hanno avuto manifestazioni normali e misurate di ammirazione e gratitudine per l'Italia -il Nord e i Paesi Baschi sono chiusi e freddi -sono in parte anche rifugiati di Madrid, e perciò potrebbero rispecchiare lo stato d'animo di alcune classi dirigenti della capitale.

Senza volere approfondire l'argomento, che sarà oggetto delle mie attente cure, riterrei che gli spagnoli che continuano ad avere simpatie per la Francia non sono probabilmente pochi: è una verità che deve darci da pensare e che potrà darci da fare. Non convincono le espressioni di rimprovero alla Francia per la sua attuale politica, poiché molti mostrano di ritenere che, se essa non fosse retta da un governo socialista, certamente sosterrebbe il movimento nazionale contro i rossi e si esprimono con lo spirito di chi attende che la «vera Francia», quando abbia ritrovata sé stessa, si avvicini di nuovo alla «vera Spagna»; riproduco espressioni testuali. C'è una diffusa nostalgia dei buoni rapporti con la Repubblica vicina, ci sono interessi commerciali che attendono di poter riprendere gli scambi, c'è la solita simpatia intellettuale e linguistica per la Francia.

Questi sentimenti sembrano comuni anche ad alcuni di coloro che circondano il generale Franco e gli forniscono mezzi e solidarietà: costoro si offrono come emissari e diplomatici volontari, per ricollegare le relazioni con la Francia, specie nelle ultime settimane.

A Salamanca mi è stato confermato per esempio quanto avevo già appreso alla frontiera dal marchese di Olazabal, noto capo carlista e un tempo in rapporti -tramite Balbo-col Duce: che cioè, attraverso le Croix de Feu delle regioni di frontiera, l'ambasciatore Herbette da Saint Jean de Luz dirige salvataggi di ostaggi bianchi di Bilbao ed invia viveri e medicinali ai requetés. Egli starebbe aiutando i carlisti, ai quali farebbe parlare o parlerebbe difausse route finora battuta da Parigi. Sorridendo con l'aria di chi speri di riportare i dirigenti della politica francese verso Franco, qualcuno mi ha detto a San Sebastiano, e Sangroniz mi ha confermato a Salamanca, che «con la Francia va ora meglio».

Il dottor Serrat, già ambasciatore a Varsavia ed ora per dir così ministro degli Esteri di Franco, mi ha detto francamente che vari elementi, non però autorizzati, si sono abboccati con Herbette a Saint Jean de Luz, e ne hanno riportata l'impressione che la Francia, malgrado gli aiuti che ancora fornisce ai rossi, vorrebbe prepararsi ad avvicinarsi insensibilmente a Franco, e magari a spingersi più tardi fino al riconoscimento. Lo stesso ministro degli Esteri, con l'aria di dirmi cosa naturalissima, mi ha raccontato che Herbette avrebbe in questi giorni cercato di comunicare direttamente con lui «forse con lo scopo di intavolare negoziati» e che egli non ha finora acceduto perché l'intermediario scelto non gli era gradito; ma, quando il tentativo sarà ripetuto attraverso persona più accetta, sarà interessante conoscere quale ponte vorrebbe gettare l'ambasciatore di Francia «e su quali piloni intenderebbe sostenerlo».

D'altra parte, sono ben note a V.E. [le trattative per] gli accordi commerciali in corso -e in progresso -con l'Inghilterra, e quelle iniziate e non proseguite per volontà del Generale -con la Francia, per accordi commerciali dei quali la Spagna avverte l'utilità se non addirittura il bisogno: ciò è di pubblica ragione.

L'ambasciatore Serrat sopradetto, sebbene segretario per gli Esteri, in verità conta quasi niente presso Franco, ed è figura di secondo piano, perché la politica estera è fatta da Franco o più esattamente da Sangroniz -a sua volta osteggiato dal fratello del Generale: ad ogni modo è mio dovere riferire che egli si è meco !agnato del prevalere attuale dei militari, che vorrebbero soltanto vincere la guerra e non consentirebbero a lui di preparare la pace (?): egli sarebbe disposto a trattare con la Francia ma i generali vorrebbero prima arrivare a Barcellona: dicono male di lui ma intanto egli è riuscito, mi racconta, a farsi scrivere dall'ambasciata d'Inghilterra, che è a Saint Jean de Luz, una serie di lettere ufficiali per la tutela di interessi britannici nella Spagna bianca, lettere che documentano che il Foreign Office riconosce almeno la necessità di parlare con un potere di fatto, che è quello del Generale; anzi nell'ultima di queste lettere, arrivata a Serrat proprio ieri, l'ambasciata britannica gli fa osservare che il fatto stesso di un carteggio continuativo costituisce quasi un riconoscimento di fatto del governo di Franco.

Questo concorre a mostrare che, se nella massa requetista e nel vasto e informe coacervo falangista il rancore contro la Francia è vivo, nelle classi dirigenti e superiori, e perfino in alcuni membri del governo di Burgos, il desiderio di riavvicinarsi alla Francia sembra reale.

La Francia è confinante; ha avuto con la Spagna rapporti intimi; ha nelle mani quel cospicuo strumento di ricatto che è l'oro consegnatole dai rossi; non posso escludere che Franco tema di riassumere tutte le amicizie esterne spagnole solo in quelle con noi e con la Germania; il Quai d'Orsay sembra manovrare con abilità il gruppo degli antichi politici liberali e democratici spagnoli fedeli alla solidarietà massonica con Parigi e che, non essendo gravemente compromessi contro Franco, potrebbero, secondo quanto si vocifera, rientrare a Madrid poco dopo i bianchi e ricostruire una specie di gruppo di centro, equanime e quasi neutro, patriota e conciliatore, intermediario fra i due estremi in lotta; questo gruppo potrebbe farsi portatore eventuale di una formula di pacificazione nazionale che, secondo le speranze della diplomazia francese, dovrebbe avere vigore persuasivo presso i rossi e presso i bianchi, tutti desiderosi di distendere i nervi dopo il fratricidio; formula pacificatrice e generatrice possibile di una situazione media e centrale, che non dovrebbe incontrare grandi difficoltà internazionali e che avrebbe probabilità di essere bene accolta anche dalla vecchia borghesia incapace di evolvere e che ha paura di ogni innovazione sociale. Si tenga poi molto presente che agli spagnoli bianchi sorride forse l'idea di ricorrere eventualmente all'influenza della Francia sui rossi, per ottenere al momento opportuno che essa li induca a desistere dalla lotta.

Secondo dunque le voci, i sintomi e le apparenze, la Francia potrebbe proporsi di offrire, nell'ora della stanchezza generale ed a pericolo comunista scomparso, una piattaforma capace di ospitare i vincitori certo, ma anche tutti gli altri spagnoli che non si considerassero nemici di Franco: il Quai d'Orsay si sforzerebbe così, al momento opportuno, di evitare quello che esso considera il massimo pericolo e la massima minaccia per i suoi interessi: uno Stato fascista a Madrid.

Tutto ciò è forse riferito da me con linguaggio troppo preciso; e poi non può dirsi affatto che il generale Franco si lascerà senz'altro sedurre: sono anzi disposto a credere -fino a prova contraria -che egli vorrebbe tendere alla creazione di uno Stato genericamente e approssimativamente fascista: ma mi domando se vorrà egualmente evitare intanto un riavvicinamento con la Francia.

Poiché dai rapporti futuri tra la Spagna e la Repubblica francese potrebbe dipendere più tardi almeno parzialmente l'orientamento della Spagna nazionale dopo la vittoria sui rossi; e poiché i rapporti tra Franco, requetés e falangisti potrebbero dipendere a loro volta dalla politica estera del Generale -il sottoscritto, senza pretendere di avere accertato nulla di concreto, ma solo avendo raccolto per debito d'ufficio confidenze e speranze, ritiene utile inviare il presente rapporto 1•

159

L'AMBASCIATORE IN CINA LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1088/44 R. Shanghai, 13 febbraio 1937 ore 13. (per. ore 22).

Manifestazioni di questo governo in occasione mie visite di commiato sono state improntate viva cordialità ed alto apprezzamento verso nostro Paese. Generalissimo, dopo avere accennato lealmente alle difficoltà sorte a causa della S.d.N., ha riconsciuto sforzi compiuti da ambedue parti per cancellarne ogni traccia in modo da rendere oggi rapporti italo-cinesi perfettamente sereni e fiduciosi. Egli mi ha pregato di far conoscere a S.E. il Capo del Governo e a V.E. che confida sempre nell'amicizia personale loro e nell'assistenza dell'Italia. Nello stesso senso si sono espressi Presidente Lin Sen nonché ministro Affari Esteri. Signora Chiang Kai-shek mi ha accennato alle difficoltà della successione Lordi aggiungendo che considera oramai Scaroni perfettamente a posto e come elemento che lavora per la Cina ispirando senso fiducia e sicurezza 2• Nel complesso anche in queste visite di cordiale commiato non sono mancate spiegazioni franche che hanno servito a meglio dissipare ogni ombra ed a constatare felice situazione relazioni italo-cinesi.

Non bisogna infatti omettere che definizione politica italiana verso Cina, Giappone e Manciukuò, !ungi da peggiorare nostra situazione in Cina, le ha dato una maggiore ragione di rispetto e di apprezzamento ed ha anche accresciuto possibilità per governo fascista di rendersi utile alla Cina di fronte al Giappone.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1080/030 R. Parigi, 13 febbraio 1937 (per. il 16).

I recenti avvenimenti di Spagna e particolarmente la conquista di Malaga per parte dei nazionali sono stati salutati con grande soddisfazione dalla parte sana

l Si veda in proposito serie ottava, vol. V, D. 537. 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

della Francia. E poiché è molto diffusa la voce che l'impulso vigoroso delle operazioni militari stesse sia di marca italiana, ho ricevuto rallegramenti e felicitazioni da un grande numero di francesi che nella sconfitta del bolscevismo in Spagna scorgono la salvezza per la loro patria.

Gli avvenimenti stessi hanno provocato invece un senso di sgomento al Quai d'Orsay. Ciò mi viene riferito da numerosi diplomatici che ebbero occasione di intrattenersi recentemente con il ministro Delbos, col sottosegretario di Stato Vienot (che è il più rosso di tutti al ministero degli Affari Esteri), con Léger ed anche con Bargeton. La tesi che si sostiene è che gli eventi di Spagna provano la perfidia dell'Italia, che a parole dichiarò di voler seguire una politica neutrale e di collaborazione con gli altri Stati interessati a che il conflitto spagnolo non dilaghi in conflitto generale europeo e fors'anche mondiale, mentre in realtà continuò ad inviare soccorsi di uomini e di armi ai nazionali. Si rievoca Machiavelli, ci si accusa di non avere avuto il coraggio di opporre un categorico diniego alla proposta di collaborazione in senso neutralista ma tutto ciò in fin dei conti prova una cosa sola: che i signori del Quai d'Orsay si rendono conto delle gravi difficoltà in cui presto si troveranno coinvolti, avendo commesso l'errore di puntare unicamente sul fronte governativo, per ragioni di politica interna, data la similitudine fra i due governi di Fronte Popolare in Francia e Spagna.

Avendo avuto occasione d'incontrare Léger un paio di giorni fa e di conversare con lui non come ambasciatore, gli domandai se fosse esatto che il Quai d'Orsay avesse preso in mala parte la caduta di Malaga. Per maggiore efficacia ed anche per brevità ritengo opportuno riprodurre il colloquio privato così come esso avvenne:

-abbiamo saputo cha a Cadice sono sbarcati chi dice 12, chi 16.000 italiani e che è con questi uomini che si è compiuta l'azione di guerra contro Malaga. Abbiamo veduto in ciò una mancanza di sincerità da parte vostra e ci siamo domandati come mai abbiate potuto, poche settimane or sono, accedere ad un'intesa internazionale1 mentre avevate l'intenzione di mandare nuove ed importanti forze ai nazionali di Spagna;

-sono tanto più stupito di quello che mi dite perché voi dovete sapere meglio di chicchessia che l'Italia ha insistito perché si addivenisse alla fissazione della data dopo la quale ognuno doveva impegnarsi a non inviare più in Spagna né volontari né materiale bellico. Abbiamo mostrato al tempo stesso il maggiore interessamento allo stabilimento di un controllo molto serio, per impedire qualsiasi contrabbando;

-voialtri non avete dato prova di sincerità mai, sin dal principio, ed avete sempre cercato di giocare sull'equivoco;

-devo protestare nel modo più energico, perché siete stati proprio voialtri francesi a volerlo l'equivoco. Io non mi permetterò mai di citare il negoziato dell'agosto scorso circa la neutralità nei riguardi della Spagna come un modello di sincerità politica. Ma chi volle che fosse quello che è stato? Voi francesi, perché avevate di mira una sola cosa, il mantenimento della pace a qualunque costo e

I Vedi D. 22.

IR

trovaste comodo di escogitare una formula che vi salvaguardasse di fronte ai partiti estremi che chiedevano un intervento attivo in Spagna, ancorché solo a parole, e vi permettesse di proporre una piattaforma diplomatica accettabile da tutti. Non venite quindi ora a dirci che avete voluto realmente la neutralità, perché sappiamo che i volontari rossi che entrarono in Spagna dai valichi dei Pirenei ammontano a parecchie decine di migliaia, senza parlare del materiale bellico di ogni specie;

-vi sfido a provare che siano entrati in Spagna più di 15 o 16.000 volontari transitando attraverso la Francia. Il governo francese non ha poi accordato una sola licenza di esportazione dall'agosto in poi all'industria francese, cosicché non poté entrare in Spagna che poco materiale di contrabbando. Vi domando, anzi, perché l'Italia non denuncia a Londra le presunte contravvenzioni francesi all'accordo pattuito?

-se il governo italiano non ha creduto di parlare a Londra di questo argomento, avrà certamente delle buone ragioni per agire in tal modo. Io le ignoro, come del resto ignoro tutto quello che riguarda la Spagna, dato che se ne parla esclusivamente a Londra;

-allora vi dirò che, dopo quello che avete fatto voi ultimamente nei riguardi dei nazionali spagnoli, non sarà possibile impedire all'U.R.S.S. di inviare volontari e nuovo materiale ai rossi e ciò creerà un nuovo grave pericolo di conflagrazione mondiale. Quello che voialtri italiani state facendo preoccupa tutti -e vi assicuro che a Londra sono ancora più ansiosi che in Francia -perché non si capisce che cosa vogliate;

-avete assolutamente torto di parlare in tal modo perché io stesso ho detto al ministro Delbos sino dai primi giorni di agosto che non avremmo mai e poi mai tollerato che il bolscevismo si stabilisse in Spagna 1• Considereremmo un simile avvenimento come pericoloso per lo status quo nel Mediterraneo. D'altra parte, rendetevi conto che se ci fosse il bolscevismo in Spagna, esso si irradierebbe in Francia e voi ne sareste pure preda a breve scadenza. Ora noialtri in Italia non vogliamo avere alcuno Stato finitimo o anche solo vicino che sia affetto di bolscevismo. Se riandaste col pensiero indietro di quattro anni comprendereste il perché del nostro atteggiamento favorevole all'installarsi del nazional-socialismo in Germania. Ci poteva infatti essere indifferente, e lo è tuttora, che il comunismo esistesse ai margini dell'Europa orientale e nell'Asia centrale ma non potevamo ammettere che esso si insediasse al centro dell'Europa, diviso da noi solo dal tenue velo di Stati quali la Svizzera e l'Austria. Bello sarebbe stato il vostro avvenire in Francia se aveste avuto il comunismo al vostro confine orientale;

-quello che voi dite dimostra che in Italia ed in Francia parliamo un linguaggio talmente diverso che non è possibile che ci intendiamo. Noi, pervasi come siamo di liberalismo, riteniamo che ogni Stato sia libero di scegliersi la forma di governo che meglio gli garba; voi, fascisti, volete imporre la vostra ideologia al mondo intero. Noi, liberali, non temiamo nulla perché sappiamo che la nostra ideologia elastica è sufficiente per difenderci in ogni caso, voi, fascisti e quindi rigidi, non siete disposti a fare alcuna concessione ad idee diverse dalle vostre;

I Non si è trovata documentazione di questo colloquio.

-la conseguenza di un tale stato di cose è ad ogni modo questo: noialtri fascisti aspiriamo a vedere terminare al più presto uno stato di cose impossibile in Spagna e ritornare l'ordine in quel Paese mediterraneo. Voialtri liberali avete un terrore folle che in Spagna prevalgano i nazionalisti perché vi rendete conto che il loro trionfo avrebbe conseguenze gravi per l'attuale vostro governo e rafforzerebbe i partiti politici francesi che temono e quindi combattono il Fronte Popolare. Voi poi del Quai d'Orsay vi domandate come farete ad intendervi con i nazionali spagnoli che avete sempre ostacolati anzi combattuti. Dovrete riconoscere una volta ancora di avere errato, e due volte in un solo anno è troppo. Tanto più che negli affari di Spagna l'Inghilterra è sempre stata assai più prudente della Francia. Se non foste accecati dalla passione politica avreste veduto subito quale tavola di salvezza vi offriva l'amica Italia proponendovi pochi giorni or sono di far sì che il generale Franco vi desse assicurazioni di non fare una politica anti-francese 1• Siete forse ancora a tempo, se abbandonate molto del vostro bagaglio ideologico; .

-non ho difficoltà a riconoscere che ci troviamo in una situazione difficile e nemmeno ad apprezzare l'idea informativa dell'offerta italiana. Ciò vi è del resto stato detto in termini che non possono lasciare sussistere dubbi.

La conversazione ebbe termine in questo modo e mi parve interessante. Per tale ragione la riferisco all'E.V., ancorché, ripeto, essa non abbia avuto alcun carattere, né ufficiale, né ufficioso e sia stata solamente uno scambio di idee fra persone che si interessano di politica.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 652/193. Berlino, 13 febbraio 1937. (per. il 15).

Come ho telegrafato ieri, (mio telegramma n. 82 del 12 corr.)2 il Belgio, per bocca del suo rappresentante a Berlino, ha già preso atto dell'offerta fatta dal Fiihrer nel suo discorso del 30 gennaio per la garanzia della neutralità belga 3 . Il Gabinetto di Bruxelles -ammaestrato dall'esperienza altrui, sopratutto francese -si è infatti preoccupato di non lasciar troppo a lungo senza risposta la proposta del Fiihrer e quindi si è affrettato ad accettarla in maniera da evitare che essa potesse essere eventualmente rimessa in discussione poi. Ciò era tanto più necessario, del resto, in quanto in fondo -come ho già segnalato in precedenza -il discorso del Fiihrer era l'epilogo di frequenti approcci, se non di vere e proprie negoziazioni,

1 Si vedano in proposito i DD. 78 e 88.

2 T. 1043182 R. del 12 febbraio. Il suo contenuto è qui indicato.

3 Hitler aveva ribadito l'assicurazione al Belgio e all'Olanda che il governo tedesco era «disposto in qualsiasi momento a riconoscere e a garantire questi due Stati come territori neutrali e inviolabili».

che avevano avuto luogo in questi ultimi tempi e che rimontavano come è noto al tentativo di von Ribbentrop per un'intesa bilaterale fra il Belgio e la Germania.

Il visconte Davignon nel notificare tuttavia a Neurath l'accettazione del governo all'offerta tedesca e nell'esternare anzi la sua soddisfazione per la medesima, ha aggiunto non direi delle riserve, ma delle qualificazioni che le circostanze -e la particolare situazione del Beglio -rendevano opportune.

La prima di queste qualificazioni -a cui il Belgio teneva anche di più -si riferisce alla stessa nozione di «neutralità» belga e che non si voleva fosse fraintesa. A Bruxelles si tiene infatti molto a distinguere fra l'antica neutralità belga di prima del 1914 e la neutralità nuova dichiarata recentemente dal Monarca. La prima metteva quasi il Belgio in uno stato di minorazione politica; la seconda invece lascerebbe al Belgio la sua piena libertà di azione politica e contrattuale imponendogli soltanto dei limiti di fatto, dettati esclusivamente dai suoi interessi politici da una parte e dalle sue possibilità dall'altra. Il visconte Davignon ha quindi chiarito nel suo colloquio dell'altro ieri col barone von Neurath che il Belgio accettava la garanzia offerta dal Fiihrer interpretandola come riferentesi alla neutralità belga intesa nel senso e nelle forme dichiarate dal Re del Belgio nella sua nota, storica dichiarazione. Al che il barone von Neurath non solo non ha sollevato obiezione alcuna ma ha anzi senz'altro esplicitamente affermato che accettava e prendeva atto formalmente della precisazione data dal governo belga.

L'altro punto sul quale il visconte Davignon ha tenuto a chiarire la situazione del Belgio è quello che si riferisce al Patto di Locarno. Appunto in conseguenza della nuova nozione di neutralità affermata dal Belgio, questo ritiene di potere, nonostante la medesima, partecipare attivamente ad una eventuale nuova Locarno, (come a più forte ragione agli impegni della Società delle Nazioni, etc.). Dato che l'oftèrta del Fiihrer era stata fatta senza alcun riferimento ad una nuova Locarno, il Belgio ha tenuto quindi a chiarire che esso interpretava l'offerta come legata al patto stesso ed anzi come una acquiescenza data dalla Germania al punto di vista sostenuto dal Belgio secondo il quale esso intende partecipare alla nuova Locarno senza alcun obbligo di reciprocità. Il visconte Davignon mi ha spiegato che egli ha dovuto marcare questo punto per non dare l'impressione che il Belgio volesse in una qualunque maniera disinteressarsi dei negoziati per la nuova Locarno e tanto meno ostacolarli e sabotarE. Anche di questo punto di vista il barone von Neurath ha preso atto.

Ho domandato peraltro al visconte Davignon se egli avesse fatto alcuna dichiarazione anche per il caso, dopo tutto non da escludere, che le trattative per una nuova Locarno non arrivassero a risultati positivi. Mi sembrava infatti importante che il Belgio chiarisse la propria posizione di fronte all'offerta del Fiihrer anche per questo caso. Il visconte Davignon mi ha detto che, infatti, nella sua conversazione non aveva tralasciato neanche questa ipotesi ma che aveva creduto solamente di adombrarla, senza tuttavia troppo marcaria, unicamente per la ragione già detta e cioè per non dare alla Francia ed all'Inghilterra la sensazione di volersi sottrarre ad una nuova Locarno. Sta di fatto, però, che, per quanto con una sfumatura diversa, l'offerta del Fiihrer si può considerare accettata dal Belgio anche per il caso eventuale di fallimento di nuove trattative locarniane.

Le informazioni di cui sopra sono state da me attinte non soltanto al visconte Davignon ma anche al barone von Neurath e le versioni da essi ricevute sono in ogni punto concordanti.

Al barone von Neurath ho incidentalmente domandato anche quale fosse stato sulla questione il contegno dell'Olanda. Com'è noto, il Fiihrer ha esteso la sua offerta anche ai Paesi Bassi. Mi interessava di sapere quale fosse stata su questo punto anche la reazione del governo olandese. Il barone von Neurath mi ha detto che, per ora, l'Olanda si è ufficialmente limitata a domandare sull'offerta del Fiihrer delle precisazioni in fondo simili a quelle che originalmente aveva chiesto il Belgio attraverso Davignon. A questa domanda interlocutoria è stato risposto all'Olanda negli stessi termini in cui fu a suo tempo risposto al Belgio (vedasi mio rapporto n. 587/168 del lO corrente)1•

Niente di più per ora. Sembra però che, in generale, anche l'Olanda sia disposta a far buon viso alla proposta del Fiihrer e che in una maniera o in un'altra essa non sarà lasciata cadere neanche da quella parte. Questa impressione mi è stata confermata dallo stesso Davignon.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA 658. Berlino, 13 febbraio 1937 (per. il 15).

Giusta le istruzioni da te ricevute 2 ho provveduto a prendere immediato contatto con Goring a proposito delle «forniture russe» e di altre questioni che si erano venute accumulando in queste ultime settimane, fra cui anche una riguardante il Sovrano Ordine di Malta di cui mi aveva molto interessato il principe Chigi Albani.

Ho incaricato di tutto questo Magistrati, il quale, andato alla Leipziger Platz, ha visto ieri personalmente Goring, traendone così occasione per una conversazione varia ed interessante di cui troverai qui accluso -raccolti per materia -i punti più essenziali.

Goring, che ho rivisto iersera a casa di sua sorella, si è mostrato veramente entusiasta per la nascita del principe di Napoli, felice di essere stato uno dei primi (attraverso Assia) a saperlo e di essere stato -dice lui -l'evangelista ed il profeta a Napoli. Ha rinnovato anche a me le sue congratulazioni, incaricandomi pure dei migliori saluti per te.

A proposito della nascita del principino, ti interesserà pure una osservazione di Schacht, che ho visto anche lui ieri per certe pratiche urgenti. «Mi congratulo -egli mi ha detto -per questo lieto evento. Non ho mai ammirato tanto il

I Non rintracciato.

2 L'8 febbraio, Ciano aveva telegrafato all'ambasciatore Attolico che il governo sovietico aveva chiesto ad alcune ditte italiane delle forniture di materiale militare. Le forniture erano state rifiutate secondo le direttive del Duce e Attolico era incaricato di portare tutto ciò a conoscenza del governo tedesco e di Goring personalmente, anche per evitare che quelle ordinazioni fossero passate all'industria tedesca (T. 385 dell'8 febbraio).

vostro Duce come quando ha mostrato di capire l'utilità per l'Italia di conservare una monarchia. Con questo, egli ha dato la misura della sua grandezza come uomo di Stato» 1 .

Conversazione Goring-Magistrati del 12 febbraio 1937 /XV

Germania e Russia

Per incarico di S.E. l'ambasciatore ho comunicato a Goring le informazioni inviate da Roma circa il rifiuto opposto, a seguito delle direttive impartite dal Duce, dalla nostra industria, ad una proposta di forniture militari (motori a turbina tipo Eugenio di Savoia, e due catapulte per aeroplani). E gli ho fatto al tempo stesso presente l'assoluta opportunità che, qualora tali offerte venissero presentate all'industria tedesca, il governo del Reich, a sua volta, provvedesse a che da essa venisse opposto un identico rifiuto.

Il generale Goring ha dato piena assicurazione in proposito. E mi ha fatto un po' la storia dei rapporti commerciali russo-tedeschi negli ultimi tempi che presenta qualche battuta interessante. Occorre infatti ricordare che per vari anni le forniture tedesche di materiale militare o semimilitare per la Russia sono state ingenti. Goring mi ha in proposito detto che un'intera fabbrica Zeiss, specializzata per gli apparecchi ottici di precisione di aviazione o di protezione antiaerea, ha lavorato per molto tempo si può dire quasi esclusivamente per l'U.R.S.S. Talune vecchie ordinazioni di simili apparecchi sono tuttora in corso. Alcune settimane or sono (come lo stesso Goring, del resto, ebbe ad accennare anche a Roma) l'U.R.S.S., a mezzo del suo ambasciatore a Berlino, assistito da una delegazione commerciale, presentò un grande elenco di forniture che comprendevano tra l'altro, niente di meno che una nave da battaglia di 35.000 tonnellate, naviglio subacqueo, ecc., ecc. Tutto ciò venne nettamente scartato dal generale Goring. Ma si annunzia la presentazione, tra breve, di un nuovo elenco 2 , contenente minori richieste. Evidentemente i Russi, ben conoscendo come, in fondo, in Germania non sia andata distrutta interamente ogni simpatia o per lo meno desiderio di contatto con l'Esercito sovietico, considerato l'elemento «nazionale» dell'U.R.S.S., non ha perso la speranza di iniziare nuovamente con la Germania, desiderosa di materie prime, rapporti di carattere commerciale.

Aggiungo in proposito che Goring mi ha accennato ad un fatto interessante: alla circostanza cioè che, durante il periodo di maggiore tensione tra Germania e U.R.S.S., il Maresciallo Tucacevski avrebbe fatto comprendere di non essere contrario ad un incontro, da manténersi del tutto segreto, con la maggiore Autorità militare del Reich, il Maresciallo von Blomberg. La trattativa non progredì per preciso ordine del Cancelliere Hitler.

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Nota autografa del ministro Magistrati: «elenco che sarà comunicato da Giiring, in copia, alla

R. ambasciata». L'elenco fu effettivamente inviato qualche giorno più tardi e trasmesso a Ciano con lettera personale dell'ambasciatore Attolico 0868 del 25 febbraio. Comprendeva la progettazione ed il materiale necessario per la costruzione di una nave di linea da 35.000 tonnellate e la fornitura di sommergibili di vario tonnellaggio.

Ad ogni modo, ripeto, dalla conversazione con Goring ho tratto nuovamente l'impressione che in Germania, in alto loco, si speri in una possibile «nazionalizzazione» dell'U.R.S.S. attraverso l'Esercito, con la liquidazione degli elementi internazionali ebraici.

Germania e Polonia

Il generale Goring mi ha parlato del suo imminente viaggio in Polonia, mascherato, secondo il solito, dalla tradizionale «caccia ufficiale». Come si sa anche il presidente del Senato di Danzica è stato invitato a quelle caccie.

Goring non ha fatto mistero della assoluta necessità di una presa di contatto diretta con il nuovo Maresciallo Rydz Smigly, che egli non conosce ancora personalmente e della cui freddezza nei riguardi della Germania si è spesse volte parlato. Le conversazioni dei prossimi giorni serviranno appunto a «parlare chiaro» alla Polonia per farle comprendere nuovamente l'assoluta necessità di una sua stretta unione con la Germania per fronteggiare il pericolo bolscevico. In altre parole, occorre compiere presso i nuovi elementi polacchi quanto già venne fatto con Pilsudski e con Beck.

Evidentemente la Polonia, pur non avendo compiuto alcun atto antigermanico e pur restando ferma nel patto di amicizia del 19341 , attraversa un periodo di incertezza. L'Esercito, a detta di Goring, appunto perché formato da molti elementi che hanno trascorso molti anni a Parigi e si sono imbevuti di spirito francese, è ancora oggi, in maggioranza, non favorevole all'unione con la Germania. Ora è bene far comprendere a quei signori che la Germania, non confinante con il colosso russo, può anche permettersi di guardare con una certa indifferenza i tentativi sovietici ma che per la Polonia si tratta di questione di vita o di morte. Un abbandono della nave tedesca significherebbe oggi per lei andare del tutto alla deriva tra i marosi del bolscevismo.

La Germania ha tante volte dichiarato di essere convinta della necessità polacca di avere lo sbocco al mare. La questione di Danzica non presenta più aspetti di assoluta gravità, (aggiungo che anche Goebbels, nel suo discorso di ieri sera alla Deutschlandhalle, ha dichiarato che la Germania considera in via di risoluzione la questione di Danzica). Per il Corridoio, la Germania, come dimostrano le attuali trattative, via senatore Puricelli, desidera solamente un'autostrada (vero corridoio nel corridoio) capace di legare direttamente la Prussia Orientale al resto del Reich e a tale scopo si prepara ad iniziare i lavori per i tronchi di allacciamento nel territorio tedesco.

Il generale Goring, in conclusione, spera che le sue conversazioni della prossima settimana in Polonia serviranno appunto a mettere, attraverso una chiarificazione, un nuovo punto fermo nei rapporti tra i due Paesi.

Germania e Balcani

Il generale Goring si è dimostrato soddisfatto delle buone notizie ricevute in questi ultimi tempi circa una chiarificazione tra Italia e Jugoslavia. Essa contribuirà fortemente a dare un nuovo colpo alla compagine della Piccola Intesa che appare

t Vedi p. 148, nota l.

già profondamente scossa. Egli (ed è vero) è sempre stato propugnatore dell'amicizia tra Germania e Jugoslavia e mantiene tuttora, secondo quanto mi ha espressamente detto, una corrispondenza con il principe reggente Paolo e con il presidente Stojadinovic «suoi ottimi amici». Questi gli hanno paragonato la politica della Jugoslavia ad una piccola nave, dapprima rimorchiata dal grosso piroscafo francese e che abbia in seguito tagliato i cavi continuando, in un primo tempo, per forza di spinta, a navigare nella scia di quel piroscafo, per poi, inavvertitamente ma decisamente, tracciarsi una propria rotta sempre più lontana da quella primitiva!

Naturalmente la condizione per il distacco della Jugoslavia dalla Piccola Intesa è stata l'impegno, preso da Goring stesso, di compiere il lavoro necessario per persuadere l'Ungheria della necessità di abbandonare le sue rivendicazioni territoriali nei confronti della vicina meridionale.

Anche nei confronti della Turchia Goring si mostra ottimista e pensa che gli intimi rapporti turco-russi siano dettati, per la Turchia, unicamente da un sentimento di preoccupazione e non già da simpatia verso Mosca. Anche il riarmamento dei Dardanelli finirà per essere, in un secondo tempo e una volta compiuto, un atto antirusso, perché solamente contro la flotta sovietica esso può essere in pratica esercitato, dato che nessuna altra flotta europea vorrebbe andare a battersi nel Mar Nero. Occorre quindi non prendere sul tragico la situazione di privilegio data all'U.R.S.S. con Montreux. Del resto, quanto alle rivendicazioni territoriali, la Turchia sembra aver abbandonato talune aspirazioni verso il sud per concentrare la sua attenzione ai non pochi milioni di individui di indubbia origine turca, oggi inglobati nei territori dell'U.R.S.S.

Anche il recente incontro di Milano 1 dimostra come, in definitiva, la Turchia di Atati.irk non voglia perdere taluni· contatti che possono anche portare ad avvicinamento con il blocco centro-europeo. E ciò in vista anche del recente accordo bulgaro-jugoslavo, che sembra avere molto soddisfatto il Generale Goring e per il quale egli dice di avere personalmente lavorato, ottenendo, anche di recente, manifestazioni di viva simpatia da parte di Re Boris.

Spagna

Il generale Goring non ha mancato di presentare le sue sincere felicitazioni per il successo di Malaga. Egli ignorava l'episodio del generale «Colli» 2 per il quale ha avuto parole di viva ammirazione. La situazione sembra oramai effettivamente migliorare ed anche il generale Sperrle, venuto a Berlino nei giorni scorsi, ha dimostrato di essere animato da grande fiducia nel risultato finale. Quanto agli aiuti a Franco, egli mi ha al solito ripetuto il ragionamento già fatto a Roma circa l'impossibilità per la Germania di intervenire in Spagna con grossi nuclei di volontari, limitando invece il suo intervento ad invii di materiale da guerra. Ciò non voleva dire però che la collaborazione con l'Italia non dovesse essere intima ed effettiva. Se il tentativo bolscevico, ha ripetuto, fosse stato fatto in Finlandia o in Danimarca, si avrebbe avuto il caso inverso con l'invio di volontari tedeschi e di materiale italiano.

I Tra Ciano e Riistii Aras (vedi D. 124).

2 Il 5 febbraio, il generale Roatta aveva avuto un avambraccio fratturato da una pallottola ma era rimasto al suo posto di comando.

Chiesa e Stato in Germania

A proposito di una richiesta rivolta al nostro ambasciatore da S.A.E. il Gran Maestro dell'Ordine di Malta intesa ad ottenere, in via amichevole, che le associazioni dell'Ordine in Germania non venissero ostacolate nella loro benefica azione, il generale Goring mi ha parlato un po' a lungo dei rapporti tra il governo del Terzo Reich e le Chiese.

Ho tratto in generale l'impressione cha la situazione continua ad essere sostanzialmente cattiva perché, particolarmente nei confronti dei cattolici, che hanno indubbiamente costituito nella Germania imperiale e parlamentare un elemento di grande importanza politica, il governo nazionalsocialista è estremamente diffidente e sensibile. Il generale mi ha infatti detto che «non si ha un'idea all'estero» di quanto sia stata grave la situazione politica tedesca, in passato, proprio per l'ingerenza dell'elemento religioso nella vita politica del Paese, ingerenza evidentemente diretta e guidata da enti esterni e stranieri alla Germania. Ciò non vuol dire che il governo nazionalsocialista voglia fare delle persecuzioni contro le Chiese (quella evangelica sembra destare minori preoccupazioni perché considerata politicamente molto meno importante) ma evidentemente, particolarmente nell'educazione della gioventù e nella formazione dei quadri direttivi della Germania nazionalsocialista, il governo stesso non può transigere circa la formazione di nuclei capaci di svolgere un'attività educativa del tutto estranea o addirittura contraria alle direttive del Terzo Reich.

(Mi sembra utile in proposito aggiungere che, a sua volta, Goebbels nel grande discorso di ieri sera, al quale ho sopra accennato, non ha mancato questa volta di fare una carica a fondo contro le ingerenze delle Chiese nella istruzione e nell'educazione della gioventù tedesca. E il pubblico, veramente imponente, ha, allorché il ministro ha pronunciato la parola «Vaticano», reagito con risate ironiche e pfui veramente sintomatici).

Italia e Germania

Ho desiderato per incarico di S.E. l'ambasciatore, far rilevare al generale Goring talune manifestazioni, di non grande importanza ma non simpatiche, con le quali si desidera in Germania mantenere vivo il ricordo dei tedeschi del cosidetto «Siidtirol». Ed in particolare gli ho mostrato taluni fogliettini relativi ai «tedeschi all'estero» che sono venduti in questi giorni, a scopo di beneficenza, in tutte le scuole del Reich e dei quali uno si riferisce appunto ai 203.000 tedeschi del Siidtirol «che mantengono il loro spirito tedesco contro la pressione e l'allettamento». Ed ho unito, per sua conoscenza, un foglietto di presentazione della nota casa editrice Langen di Monaco di Baviera, relativo ad una pubblicazione, uscita nello scorso ottobre, dal titolo «Noldin -ein deutsches Schicksal» contenente la storia di certo Noldin, noto agitatore irredentista dell'Alto Adige, confinato alle Lipari e morto poi di malattia nel Bolzanese.

Il generale Goring ha letto i foglietti ed ha dichiarato di «disapprovarli completamente». Egli provvederà direttamente per quello edito dalla Casa Langen.

E ha tenuto, con molta sincerità, a ripetere ancora una volta che «per la Germania nazionalsocialista non esiste un problema del Siidtirol». Anche la parola è errata perché si può parlare di Tirolo fino al Brennero ma, procedendo verso Sud, si deve accennare soltanto a nuclei tedeschi viventi «in Alta Italia». I confini naturali dell'Italia al Brennero non saranno mai messi nuovamente in discussione. Naturalmente entro quei confini vive un certo gruppo di allogeni a caratteristica spiccatamente e indiscutibilmente germanica. Il governo tedesco, che ha a cuore la sorte di tutti i gruppi germanici che vivono fuori della frontiera, è certo e si augura che essi saranno ben trattati e avranno una vita prospera, al di fuori di ogni concezione irredentistica.

Passando ai rapporti italo-tedeschi, il generale, accennando alle conversazioni da lui avute con il Fiihrer dopo il vuo viaggio in Italia, si è dichiarato molto soddisfatto del loro attuale andamento. Oramai l'amicizia italo-tedesca può essere definita quale «sottintesa». Tale appare anche nel discorso di Hitler del 30 gennaio, dove il Cancelliere non ha avuto alcuna necessità di proclamarla ai quattro venti, dato che essa traspare oramai da ogni manifestazione politica internazionale dei due Paesi.

La buona politica è armarsi, particolarmente sul mare, per stroncare qualsiasi tentativo esteriore ai danni del triangolo Berlino-Roma-Tokio. E, particolarmente nei confronti delle relazioni italo-tedesche, lavorare attivamente nei due Paesi per mantenere vivo l'attuale spirito di fiducia e di comprensione, distruggendo senza indugio e con opera attiva e sincera, ogni ombra, per quanto piccola, che dovesse sorgere nel campo dei rapporti reciproci.

163

L'AMBASCIATORE A BERLINO, A TTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA 659/197. Berlino, 13 febbraio 1937 (per. il 15).

Il giorno della sua partenza per Londra (circa IO giorni fa) Ribbentrop mi confidò in gran segreto ~attraverso un suo fiduciario ~che egli era in contatto con te per un accordo politico italo-tedesco tipo Giappone, e cioè «anticomintern». Mi disse che mi informava della cosa solo per dimostrarmi che non faceva nulla alle mie spalle, ma che mi pregava di ignorarla anche perché di essa era al corrente solo il Fiihrer. Aggiunse una quantità di altre belle cose che per brevità ometto.

La sera del 7, in occasione di un trattenimento all'Ambasciata, Himmler mi disse pure che teneva a far sapere a Bocchini, in tutto segreto, che la Germania si apprestava a concludere con parecchi Paesi (Ungheria?, Austria?, Jugoslavia?) degli accordi in senso anticomunista e che «sarebbe stato bene che l'Italia non arrivasse ultima».

Visto che la cosa incominciava ad essere risaputa da più d'uno e, consultato il fido Magistrati, io ho creduto di compiere un'azione di sondaggio nei riguardi di Neurath. Nel caso che tu avessi voluto accogliere la proposta Ribbentrop tutto sarebbe naturalmente andato per il meglio; pel caso invece che tu avessi voluto non accogliere la proposta Ribbentrop, poteva essere opportuno crearsi tempestivamente un punto di appoggio, anche per impedire che Ribbentrop si fosse eventualmente valso di un tuo rifiuto per mettere in cattiva luce l'Italia presso il Fiihrer.

Ho visto Neurath ieri. Gli ho detto (egli sapeva dell'azione di Himmler e si immaginava quella di Ribbentrop) che ignoravo assolutamente quali fossero le intenzioni del Duce e tue; se, naturalmente, queste intenzioni fossero state favorevoli, tanto di guadagnato. Però, osservavo, l'Italia avrebbe anche potuto, in un campo e in una questione in cui aveva avuto un primato ed una priorità indiscussa, desiderare di non accodarsi al Giappone e ciò tanto più che:

l) esiste un accordo Bocchini-Himmler oramai vecchio di un anno 1 , precedente di vari mesi l'accordo Ribbentrop per il Giappone2 e che lo vale in pieno;

2) esiste un protocollo Ciano-Neurath 3 che fa del fronte anticomunista uno dei punti fondamentali dell'intesa italo-tedesca;

3) esistono le tue dichiarazioni di Monaco 4 alla stampa che parlano in proposito ben chiaro;

4) esiste -fast but not the least -il discorso del Duce a Milano 5 .

Cosa potrebbe aggiungere il nuovo accordo? Assolutamente niente.

A mano a mano che io parlavo, Neurath, non solo faceva segni di assentimento pieno ed assoluto, ma quasi mi precorreva nelle osservazioni e nei dubbi, ed aggiungeva anzi espressamente che, in questo momento, tu avresti potuto avere, anche sul terreno della politica internazionale, ottime ragioni per non fare un accordo uso Giappone.

I moventi di Ribbentrop potevano essere -secondo Neurath -in primo luogo quello di valorizzarsi agli occhi del Fiihrer come il campione e il condottiero della lotta anticomunista; in secondo luogo, quello di dimostrare al Fiihrer non essere esatto che egli (Ribbentrop) non godesse simpatie e non avesse seguito in Italia.

Ebbi cura di domandare espressamente a Neurath se un eventuale rifiuto da parte nostra avrebbe potuto essere male interpretato dal Fiihrer. Egli mi rispose recisamente di no; avrebbe potuto esserlo in altri casi e per altri Paesi ma mai -dati appunto i precedenti-nel caso dell'Italia. Comunque-aggiunse prontamente e di sua assoluta iniziativa -avrebbe, al caso, pensato lui «a metter le cose a posto».

Questa la situazione. Tu rimani quindi libero di fare come meglio credi: se vuoi accettare, accetta; se no, sei sicuro che le tue spalle sono coperte. Questo il movente principale, del resto, del mio passo.

Discorrendo ulteriormente della cosa con Neurath, egli convenne con me che, al caso, una cosa l'Italia potrebbe-sempre che il Duce e te ne vedeste l'opportunità-fare, e cioè trovare un'occasione-si potrebbe studiare quale-per render pubblico il senso se non gli esatti termini dell'accordo Bocchini-Himmler, accordo che, ripeto, è vecchio di un anno e ha preceduto di molti e molti mesi l'accordo Ribbentrop col Giappone.

È inutile dirti che questa mia è diretta alla tua sola persona e assolutamente, dico assolutamente, segreta 6 .

l Si veda in proposito serie ottava, vol. III, D. 614 e per il testo R. DE FELICE, Storia degli ebrei

italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1993, pp. 551-552.

2 Si riferisce al Patto Antikomintern nippo-tedesco.

3 È il Protocollo italo-tedesco del 23 ottobre 1936 (vedi serie ottava, vol. V, D. 273).

4 Si riferisce alle dichiarazioni rilasciate alla stampa da Ciano il 25 ottobre 1936 a Monaco, prima

di ripartire per l'Italia (testo in Documenti di Politica Internazionale 1936, pp. 434-436).

5 Discorso del 1° novembre 1936 (in B. MussoLINI, Opera Omnia, vol. XXVIII, pp. 67-72).

6 Il documento ha il visto di Mussolini. Per la risposta di Ciano si veda il D. 170.

164

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. SEGRETO 435/57 R 1 . Roma, 15 febbraio 1937, ore 2330.

Ti segnalo l'opportunità di svolgere in codesti ambienti conservatori un'azione diretta a promuovere richieste favorevoli al riconoscimento del governo di Burgos. Anche se, come è molto probabile, sono soltanto destinate a cadere nel vuoto, valgono a provare che l'opinione pubblica britannica è molto divisa nella questione di Spagna. E ciò ci giova. Cordialità.

165

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. SEGRETO 436/59 R. Roma, 15 febbraio 1937, ore 23,30.

Fai presente in codesti ambienti di governo l'opportunità di suggerire al Giappone un gesto qualsiasi, magari secondario quale una campagna di stampa, una manovra navale, ecc., che valga a richiamare più assiduamente l'attenzione sovietica verso l'Estremo Oriente. Ciò ci darà mano più libera in Spagna nei prossimi giorni che si annunciano molto importanti e forse decisivi 2 .

166

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE ITALIANA IN SPAGNA, ROATTA

T. UFF. SPAGNA PERSONALE 3403 . Roma, 16 febbraio 1937, ore 13,10.

Bisogna far saper a Franco che il nostro atteggiamento nel Comitato di non intervento4 è stato determinato dalla opportunità di mettere fine all'afflusso di

I Minuta autografa.

2 Attolico comunicava il giorno successivo di avere effettuato il passo prescrittogli presso von Neurath che aveva convenuto su l'opportunità dell'iniziativa ed avrebbe dato istruzioni in tal senso all'ambasciatore a Tokio (T. 1145/89 R. del 16 febbraio).

3 Minuta autografa.

4 Il 15 febbraio, il Sottocomitato di non intervento aveva approvato un progetto che, con decorrenza 20 febbraio. prevedeva il divieto di inviare volontari in Spagna da attuarsi mediante l'adozione di provvedimenti interni da parte dei singoli Stati. A partire dalla mezzanotte del 6 marzo, sarebbe stato applicato un sistema di controllo navale e terrestre. Il piano fu approvato il 16 febbraio dal Comitato di non intervento in seduta plenaria. '

aiuti ai rossi di Valencia, ora che il programma di rifornimento ed invii italo-tedeschi è stato portato a termine, secondo e oltre il verbale del 14 gennaio 1 .

167.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO ] ] 54/85 R. Parigi, 16 febbraio 1937, ore 21,10. (per. ore 0,15 del 17).

Mio telegramma n. 67 2•

Léger mi ha inviato testé il «programma delle conversazioni relative alla ferrovia da Gibuti ad Addis Abeba ed alle relazioni franco-italiane in Africa orientale». Esso comprende i seguenti 7 punti:

I) Rapporti della Compagnia ferroviaria con autorità italiane.

2) Relazioni tra il governo francese ed il governo italiano circa la ferrovia.

3) Interessi economici relativi al traffico ferroviario nella zona delimitata dagli accordi di Roma. 4) Transito dei viaggiatori e merci diretti a, o provenienti dall'Etiopia attraverso il porto di Gibuti ed i territori della Somalia francese. 5) Soggiorno, stabilimento, attività commerciali e bancarie dei cittadini francesi ed agevolazioni per il commercio francese in Etiopia. Idem per gli italiani nella Somalia francese. 6) Funzionamento delle Missioni, scuole e stabilimenti ospitalieri francesi in Etiopia. 7) Relazioni fra Etiopia e Somalia francese: a) scambi commerciali; b) relazioni di frontiera e buon vicinato.

Questo elenco è accompagnato da lettera particolare di Léger che dice di averlo potuto avere soltanto oggi. Rinnova assicurazioni che, dal lato della Francia, trattative possono essere iniziate senza menomo ritardo e dichiara che, non appena l'Italia vi darà la sua adesione, la Francia le inizierà con il sincero desiderio di giungere al più presto possibile ad una chiara ed amichevole sistemazione di tutto ciò, che è interesse comune di chiarire, per stabilire in modo armonico una collaborazione franco-italiana in Africa Orientale. Segue una frase, alquanto lata in merito, che tradotta suona così: «Voi sapete tutto quello che troverò in materia di agevolazioni nell'apertura di queste trattative perché io possa far affrettare l'applicazione delle ultime disposizioni pratiche previste dall'Autorità francese e che Quai d'Orsay sarebbe felice di vedere appianate». La seconda parte della frase si riferisce

I Vedi D. 69. 2 Vedi D. 152.

indubbiamente al ritiro totale del contingente militare da Dire Daua. Invece, la prima si riferirebbe alle buone disposizioni manifestate da Blum e Daladier. É, evidentemente, contenuta a bella posta, perché non rappresenta il ritiro stesso ma non afferma nemmeno che esso avrà luogo soltanto se e quando trattative fossero felicemente concluse.

Mi pare quindi che vi sia possibilità di discutere e credo che un atteggiamento energico che fosse assunto da parte nostra avrebbe probabilità di trionfare, soprattutto se cominciassimo col rilevare che trattative desiderate dalla Francia vanno molto al di là del proposito da essa manifestato di discutere con noi solo le questioni interessanti la ferrovia. Se è vero che noi abbiamo dichiarato ripetutamente a Parigi che saremmo stati pronti ad esaminare tutti i problemi connessi con la tutela interessi francesi in Etiopia, è pur vero che sino ad ora governo francese non aveva manifestato tale desiderio ma si era limitato a chiedere di discutere l'affare della ferrovia. Noi potremmo dunque agevolmente dichiarare essere disposti ad una trattazione completa, ma allo stesso tempo sostenere che l'atmosfera amichevole, occorrente per il successo dei negoziati, non potrà esistere sino a che la Francia non riconosce giunto il momento di ritirare anche l'ultimo suo contingente da Dire Daua.

Oggi, appena ricevuta la lettera di Léger, gli ho telefonato per rilevare che il programma era assai più esteso del previsto.

Egli mi ha risposto che si era creduto di includere tutti gli argomenti interessanti la Francia in Africa Orientale, tanto più che, raggiunto l'accordo per quelli ferroviari, gli altri sarebbero stati agevolmente risolti. La Francia faceva, del resto, semplicemente una proposta duplice; l'Italia era libera di rispondere come meglio credeva. Desiderio della Francia era però naturalmente quello che noi mostrassimo intenzioni di sistemare sollecitamente, in modo soddisfacente e definitivo, le nostre relazioni in Africa Orientale 1•

Trasmetterò per corriere i testi dei documenti suddetti.

168

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 1213/031 R. Parigi, 16 febbraio 1937 (per. il 19).

Da fonte attendibilissima e molto vicina a questo Stato Maggiore, ho avuto le seguenti notizie:

«Informazioni da fonti varie che coincidono in modo singolare lasciano ritenere quasi sicura la intenzione di alcuni elementi del Fronte Popolare francese, tra i quali personalità elevate, di provocare in diversi modi torbidi nel Marocco

l Per il seguito della questione, si veda D. 200.

spagnuolo onde creare impicci al generale Franco. Istruzioni in diretta relazione con tali progetti, inviate dal ministro dell'Aria, Cot, avrebbero provocato malcontento tra gli ufficiali aviatori della zona di Orano».

L'informatore ritiene possibile ed anzi facile provocare un'agitazione artificiosa nella zona spagnuola, mediante la complicità di altissimi funzionari del Marocco francese e servendosi di elementi torbidi spagnuoli che già si trovano al Morocco o che sarebbero fatti giungere appositamente da altre parti della Spagna 1•

169.

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1250/115 R. Salamanca, 16 febbraio 1937 (per. il 20).

Mio telespresso n. 269/131 del 15 corrente2•

Nicolas Franco, segretario generale del governo e fratello del Capo dello Stato, mi ha raccontato quanto segue. In questi ultimi tempi vanno intensificandosi gli sforzi di alcuni ambienti responsabili francesi per modificare la posizione del governo Blum nei confronti del governo di Franco. Da Saint Jean de Luz, l'ambasciatore Herbette ha mandato ieri un agente ufficioso a Burgos: detto agente ha raccontato che Léon Blum, personalmente, ha impedito la scorsa settimana che rifugiati spagnoli rossi in Francia operassero dei colpi di mano contro i posti di guardia nazionali alla frontiera di San Sebastiano, che il signor Blum teneva che Franco lo sapesse e che per l'avvenire si impegnava ad ostacolare ogni tentativo di riorganizzazione dei rossi spagnoli entro il territorio francese, oltre che ad impedire azioni armate! Lo stesso agente «non ufficiale ma francamente ufficioso», mi ha detto Nicolas Franco, ha tenuto a dire che Herbette è accusato dal Quai d'Orsay di non avere, a suo tempo, esattamente informato il governo di Parigi sulla realtà della situazione spagnola, e che perciò a lui (!) è attribuita in Francia almeno parte della colpa di aver spinto il governo Blum contro Franco (!).

Il fratello del Generalissimo ha aggiunto: «No n voglio nascondere che ieri Herbette mi ha fatto domandare, affinché io provocassi una risposta di mio fratello,

1 Il contenuto di questo telegramma era comunicato all'ambasciata a Salamanca con l'incarico di darne confidenziale informazione al governo spagnolo, e ai consolati a Rabat, Tangeri, Tetuan e Casablanca (T. 476/R.C. del 22 febbraio). Da Tangeri, il console de Rossi rispondeva che effettivamente da parte francese si stava manovrando per provocare disordini nelle zone di confine del Protettorato spagnolo, così da creare il pretesto per un eventuale intervento (T. 1642/s.n. R. del 25 febbraio).

2 L'ambasciatore Cantalupo aveva riferito di aver domandato a Franco quali fossero i suoi rapporti con la Francia. Franco aveva risposto che una missione commerciale francese e vari emissari avevano cercato di prendere contatto ma a tutti era stato risposto che nessun contatto utile sarebbe stato possibile fino a quando non avesse avuto luogo il riconoscimento del governo di Burgos da parte della Francia. Il documento ha il visto di Mussolini.

come avremmo visto un eventuale riconoscimento di stato di belligeranza da parte del governo francese. Ho risposto naturalmente che è troppo tardi, che il Generalissimo non si presterebbe mai ad una manovra destinata solo a diminuire le difficoltà parlamentari di Léon Blum con le destre. E che in ogni caso si prepari il governo francese a riconoscere non lo stato di belligeranza, ma la vittoria nazionale pura e semplice».

Nel prosieguo del colloquio ho trovato modo di portare il mio interlocutore a concludere che il governo di Burgos dovrebbe limitarsi a porre alla Francia, come questione pregiudiziale, la restituzione dell'oro consegnatole dal governo rosso: idea sulla quale mi parrebbe subordinatamente che converrebbe forse insistere.

170.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

LETTERA PERSONALE SEGRETA. Roma, 16 febbraio 1937.

Rispondo alla tua del 13 corr. n. 659/197 1•

Alcuni giorni fa ho avuto col Principe d'Assia due colloqui. Egli mi ha chiesto di ricevere un messo di Ribbentrop. Il quale, a sua volta, mi avrebbe sottoposto, senza impegni,uno schema di accordo politico italo-tedesco «anti-comintern», vasto e solenne patto anticomunista destinato a raccogliere, in un secondo tempo, l'adesione di altri Paesi -quali la Jugoslavia, Austria, Ungheria, ecc., come i nostri interessati alla lotta contro il bolscevismo.

Ho risposto al Principe d'Assia che non avrei avuto nessuna difficoltà a riceveie il messo di Ribbentrop ma che, tuttavia, non consideravo questo il momento più opportuno per iniziare l'esame di un patto del genere. La nostra politica antibolscevica costituiva ormai una realtà perfettamente palese ed evidente; non era più un mistero per nessuno il nostro intervento diretto in !spagna con azioni di guerra terrestre, aerea e marittima.

In altri termini, nei colloqui con Assia non ho preso nessuna decisione, né di ricevere, né di non ricevere il fiduciario di Ribbentrop ma mi sono limitato a far comprendere al mio interlocutore che era più opportuno rinviare la cosa almeno di qualche settimana. Poi, non ne ho saputo più niente 2 .

l Vedi D. 162.

2 Non si sono trovati documenti sul seguito della questione ma da una lettera personale di Attolico a Ciano, datata 16 marzo, risulta che Ciano aveva ricevuto Herman Raumer, funzionario della Dienststelle Ribbentrop, al quale aveva fatto capire che per il momento il progetto non era fattibile, ciò che Attolico registrava con aperta soddisfazione (lettera di Attolico n. 1219 del 16 marzo).

171.

L'AMBASCIATOPRE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UFF. SPAGNA 502-503-504/116. Salamanca, 17 febbraio 1937, ore 1030 (per. ore 15,30).

Mio telegramma 108 1 . Assente generale Franco, questo governo mi ha oggi manifestato qualche preoccupazione per eventuali effetti della decisione Comitato non intervento 2 .

Principalmente teme che controllo internazionale sarà inefficace e che la Francia malgrado approcci che fa presso di lui mediante agenti ufficiosi per riavvicinamento continuerà invece a alimentare i rossi non solo nell'intervallo tra il 20 febbraio e 6 marzo ma anche dopo che il controllo sarà attuato.

Ho spiegato che, aderendo al controllo, governo fascista ha inteso arrestare afflusso di aiuti ai rossi forniti da Russia e Francia. Ho aggiunto chiaramente che esecuzione ultima parte del noto programma di aiuti italiani e tedeschi mette generale Franco in condizioni di vincere come egli stesso ha con me riconosciuto sabato. Mio interlocutore ha aggiunto che sicurezza di vittoria fondata sulla superiorità attuale è subordinata alla certezza che controllo internazionale sia effettivo rigido specie ai passaggi franco-catalani.

Infine, ha pregato vivamente di racccmandare al governo fascista spedizione del materiale contenuto nel verbale 14 gennaio3 e non arrivato finora. Di quanto sopra ho informato Colli che a sua volta da Siviglia avevami comunicato telegramma di V.E. 340 del 16 febbraio 4 facendomi presente sua impossibilità eseguire.

172

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 287/137. Salamanca, 17 febbraio 1937 (per. il 20}.

Interessa identificare i riflessi che la vittoria di Malaga sembra avere sulla situazione interna, e sulla posizione personale di Franco. Occorre ricordare che il conflitto silenzioso e latente fra i generali -Franco, Mola e Queipo de Llano -caratterizza l'atmosfera nella quale da sei mesi il primo

I T. Gab. 1105/108 R. del 14 febbraio. L'ambasciatore Cantalupo riferiva che, nel corso di un primo colloquio avuto con Franco, quest'ultimo aveva espresso l'opinione che un controllo internazionale sarebbe stato vantaggioso per i nazionali a condizione, pero, che fosse stato efficiente non solo sulle frontiere marittime ma anche su quelle terrestri, così da bloccare le forniture francesi ai rossi.

2 Vedi p. 216, nota 4.

3 Vedi D. 69.

4 Vedi D. 166.

dirige le operazioni e la cosa pubblica nella Spagna liberata: vero primus inter pares, cioè capo nominato dagli altri due e dotato di quella libertà, autorità e prestigio che gli altri due gli consentono.

Questa situazione ebbe origine nella embrionale cellula triunvirale che diede il primo moto alla rivoluzione nazionale e che espresse poi il Capo attuale, inizialmente quasi delegato dagli altri due all'alto comando militare ed al supremo potere civile: da allora Mola e Queipo de Llano, pur rendendogli formale ossequio, fanno sforzi per mantenere il più possibile intatte le proprie posizioni personali nei confronti di Franco presso l'opinione pubblica e presso le truppe: posizioni personali sostenute dalla forza militare di cui i due generali dispongono.

L'esercito del Nord pone agli ordini di Mola ~che intellettualmente sembra alquanto superiore a Franco ~ qualche diecina di migliaia di uomini di scarso valore bellico, di mediocrissima organizzazione e che non si sono, almeno finora, illustrati in azioni di particolare rilievo. L'esercito del Sud pone al servizio de generale Queipo de Llano ~sulla cui quadratura e cultura occorre fare le maggiori riserve ~ alcune diecine di migliaia di uomini delle più diverse origini che nelle giornate di Siviglia 1 registrarono al proprio attivo un avvenimento importante. Al principio della rivoluzione, ed ancora oggi, il generale Franco portò invece al movimento più o meno cinquantamila marocchini buoni combattenti e un guindicimila uomini abbastanza agguerriti della Legione Straniera: cioè il meglio delle forze militari contro i rossi è portato da lui, in certo senso al di fuori dell'esercito regolare e al di fuori delle milizie falangiste e carliste che hanno origini e fini essenzialmente politici. Sia i marocchini, sia la Legione hanno per Franco rispetto, amore, e obbedienza: costituiscono la sua base anche morale.

Alla libertà di movimento che gli dà la quasi indipendenza dei suoi reggimenti, essenzialmente africani, dall'esercito regolare ed al fatto che le sue truppe sono indubbiamente migliori di quelle obbedienti agli altri due, Franco deve, a generale avviso, la sua ascensione a Capo dello Stato: egli è in sostanza il Capo eletto non perché unico ma soltanto perché più forte (e cioè fino a quando sarà più forte: questo è il pensiero recondito dei suoi rivali) più o meno come i presidenti delle piccole repubbliche americane tra gli altri caudillos rivali, politici o militari.

Questo equilibrio, dapprima instabile, fra i tre, è stato poi gradualmente rafforzato a favore di Franco dallo stato di guerra, dal suo spirito democratico, dalla solidarietà necessaria di fronte ai rossi, dalla urgenza di vincere a qualunque costo la guerra civile ~ specie dopo il soggiorno di Goering a Roma ~ prima di affrontare qualsiasi problema; ed anche da un certo pudore patriottico di Queipo de Llano e Mola, i quali sanno che l'Europa amica e nemica li guarda: ma 1! deferenza gerarchica che l'uno e l'altro mostrano per Franco, non sembra avere spento il rancore che l'uno e l'altro, più o meno reconditamente, nutrono per il camerata diventato Capo e che intanto si è con mezzi propri rafforzato.

Caratteri opposti tra loro, e dotati di ben diverse qualità positive e negative, Mola e Queipo de Llano sono ritenuti ugualmente insiceri e subdoli nei riguardi di Franco. Egli sa perfettamente di avere in essi due rivali, forse sempre meno perico-

I Riferimento al colpo di mano con cui, all'inizio dell'insurrezione, il generale Queipo de Llano si era impadronito della città di Siviglia.

l osi: egli sa anche che i due sono moralmente vulnerabili, mentre la sua rettitudine è indiscussa; perciò con notevole scaltrezza gradua la propria autorità ed il comando sugli altri due: li accarezza quando li teme, allenta le redini quanto si sente debole e li tiene più vincolati quando si considera abbastanza forte. In sostanza, li governa con abilità ma non li domina con l'energia necessaria: non porta mai i suoi rapporti con essi a rischi gravi: la sua intima debolezza glielo impedisce.

È fuori dubbio che, insieme con l'aumentato prestigio presso la pubblica opinione e sulle truppe, Franco ha visto accrescersi anche la propria autorità sui due comandanti del Nord e del Sud da quando ha ottenuto il riconoscimento dell'Italia e della Germania e soprattutto dopo i grandi aiuti militari e morali principalmente nostri: l'apporto di Franco alla rivoluzione nazionale, confrontato all'apporto di Mola e Queipo de Llano, è ora maggiore non solo per le belle truppe marocchine e per la Legione Straniera, ma anche -e molto più -per gli aiuti militari, diplomatici e morali che l'Italia e la Germania, in ben diversa misura, hanno dato a lui personalmente. La figura di Franco si identifica, cioè, oggi anche con l'iniziale successo della politica estera del governo di Burgos a Roma, a Berlino e Lisbona: ciò che da una parte indubbiamente gli giova molto e dall'altra lo espone all'accusa di favorire la sottomissione della Spagna allo straniero, come più sotto dirò.

Questa è l'atmosfera entro la quale si è realizzata la conquista della provincia di Malaga.

La conquista di Malaga è opera delle truppe italiane -più o meno 10.000 uomini -con la collaborazione di circa 1.500 uomini forniti dal comando spagnuolo, impiegati questi principalmente nell'occupare e nel «ripulire» la città.

Che le truppe italiane siano le vincitrici di Malaga, e che la nostra Missione sia autrice del piano, è noto in tutta la Spagna bianca, e probabilmente anche in quella rossa. Ma nessuno lo dice, almeno pubblicamente: la moneta gratitudine ha scarsa circolazione, oggi. Ho dovuto constatarlo fin dai miei primi colloqui con elementi responsabili.

Si tenga presente che il prestigio della nostra Missione Militare è alto e la sua autorità tecnica è grande: la vittoria di Malaga ha dato a tutti -specie ai tedeschi, forse più che agli spagnuoli -il senso esatto della nostra capacità e maturità militare, anche quando nostri reparti operino fuori del territorio nazionale. L'ammirazione per il nostro esercito è generale. Il fatto, però, che le truppe nostre debbono necessariamente apparire come spagnuole; che la stampa italiana e quella spagnuola debbono per le note esigenze diplomatiche tacere intorno al nostro contributo; che la nostra posizione ufficiale nel Comitato di non intervento ci obbliga al silenzio sull'aiuto che diamo alla Spagna, tuttociò facilita ai giornali, al pubblico, ed in parte anche alle Autorità spagnuole, o di non parlare affatto o di parlare il meno possibile dell'aiuto dell'Italia. Le condizioni ufficiali del nostro intervento permettono alla Spagna nazionale di esimersi dalla gratitudine ufficiale. Situazione che è superfluo discutere, in quanto fa parte delle condizioni internazionali in cui si svolge la nostra politica in l spagna: e non varrebbe forse la pena di procedere a così elementari constatazioni se esse non servissero ad illuminare un elemento sul quale l'ambasciata deve portare la propria attenzione: il sentimento, cioè non le forme ufficiali ma l'intimo animo dei nazionali nei riguardi dei nostri.

Le interessanti ripercussioni della conquista di Malaga nell'interno del governo di Franco e del suo Stato Maggiore, consentono di affermare che tra gli spagnuoli dirigenti la coscienza generale è che la vittoria è stata nostra ma un senso -devo dire la parola per rappresentare la verità -di pudore caratterizza l'intimo stato d'animo del Quartier Generale: il comprensibile, umano e rispettabile pudore di militari obbligati ad affidare praticamente a truppe straniere la riscossa nazionale. Di quì la grande difficoltà pscologica per lo Stato Maggiore, per il governo e per lo stesso Franco -che pure è il migliore nei nostri riguardi -di esternare sentimenti di gratitudine per le truppe italiane.

A secondi fini, strettamente personali, sembra si facciano interpreti di questo senso di pudore militare Mola e Queipo de Llano, prospettando a Franco il pericolo che il suo prestigio diminuisca a misura che si diffonde nel Paese la notizia del merito direttivo ed esecutivo degli italiani: questi allarmi sono fatti apposta per impressionare il carattere intimamente debole ed influenzabile di Franco, che in realtà è sottoposto al controllo dei due comandanti del Nord e del Sud. Già il 29 gennaio, in seguito ad uguali pressioni di circoli militari nazionalisti, Franco aveva detto in un discorso importante: -«saremo signori e padroni dentro le nostre frontiere. Non ammetteremo -come non ammettiamo oggi -né consigli, né imposizioni, né ingerenze». Frasi che piacquero molto al pubblico.

Mi viene riferito che, per eliminare la diffusa sensazione della preponderante influenza militare italiana il generale Franco si proporrebbe di ottenere gradualmente lo sparpagliamento dei nostri reparti nelle prossime azioni, in modo da non metterli in evidenza in attacchi di massa e manovre risolutive. È ovvio che questo riguarda la nostra Missione Militare, la quale sa perfettamente quello che deve fare e mi sembra dotata di buona sensibilità: l'episodio ha per me soltanto valore sintomatico politico. In sostanza, sembra che, a causa del ruolo preponderante dei nostri, sia stato fatto capire a Franco che il suo prestigio diminuisce a misura ch'egli si avvicina alla vittoria, in quanto la vittoria apparirà alla Spagna come italiana: paradosso apparente ma in realtà armonico con la paradossale situazione della Spagna, che l'orgoglio castigliano e la magniloquenza dei militari non riescono a modificare.

Aggiungasi che questi moti psicologici alterni determinano alti e bassi variabili e contrastanti. È possibile che essi abbiano un'influenza minima sul corso degli avvenimenti, che saranno regolati solo dalla forza intima delle cose. Ho voluto però farne cenno perché sembrami che a me spetti di prospettare a Vostra Eccellenza anche le variazioni dell'atmosfera spagnuola, dal momento soprattutto che gli stati d'animo di cui sopra sono collegati intimamente al compito delle truppe italiane in Ispagna e perciò alla loro situazione politica nel Paese.

Queste che oggi sono passeggere particolarità e sfumature ambientali, in futuro potrebbero anche diventare elementi costitutivi della nuova realtà spagnuola: e non solo della politica interna, ma anche delle relazioni internazionali della Spagna con tutti gli Stati che in qualunque senso abbiano partecipato alla fase attuale 1•

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

173

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 294/140. Salamanca, 17 febbraio 1937 (per. il 27 ).

Mio rapporto 240/111 del 12 corrente1•

È stato appreso con piacere nelle sfere molto vicine al generale Franco -ed è stato messo in rilievo dai giornali-che l'Annuario Pontificio 1937, uscito in questi giorni, non reca più traccia della cessata missione rossa presso la Santa Sede ma anzi dà il marchese di Magaz come incaricato d'affari ufficioso di Burgos ed il cardinal Gomà rappresentante ufficioso provvisorio di Burgos presso la Santa Sede 2 .

Nel Gabinetto del Generale si afferma che la pubblicazione è interpretata da Franco come iniziale «ravvedimento» della Segreteria di Stato, dopo le presunte indulgenze per i rossi che qui le sono state attribuite. Si osserva che la pubblicazione nell'Annuario rende notoria e quasi ufficiale una situazione che prelude al riconscimento. Quanto alla persona del Gomà, sembra che il Generale -in seguito al colloquio che ha avuto con lui dopo il ritorno da Roma -abbia avuto modo di constatare che il cardinale-che è catalano-non ha ancora abbandonato le sue vecchie simpatie per gli autonomismi regionali: simpatie che, secondo Franco, hanno per troppo tempo orientato male il Vaticano in !spagna.

In sostanza, questo governo, mentre è lusingato per il fatto che un cardinale spagnolo sostituisce almeno provvisoriamente un nunzio italiano, dall'altra parte teme che la persona del cardinale Gomà sia pericolosa a causa delle attribuitegli simpatie per i separatismi.

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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1851 /38 P.R. Belgrado, 18 febbraio 1937, ore 13,15 (per. ore 17,55).

Telegramma di V.E. n. 323.

Subotic giungerà oggi a Belgrado. Come ho telegrafato a V.E. 4 istruzioni definitive per la ripresa negoziati Roma gli saranno date da Stojadinovic al suo ritorno da Atene5 che avrà luogo sabato prossimo.

Non appena avrò parlato col presidente del Consiglio, sarò più preciso. Non è previsto ritorno Roma di Pilja 6 che si considera aver ultimato soddisfacentemente suo compito.

t Vedi D. 157.

2 Sic.

3 T. 1762/32 P.R. dell6 febbraio. Nella raccolta dei telegrammi non c'è il testo di questo documento.

4 Vedi D. 153.

5 Per la conferenza dell'Intesa Balcanica ( 15-18 febbraio).

6 Il sottosegretario agli Esteri, Pilja, era stato incaricato di negoziare gli aspetti economici degli accordi con l'Italia.

Ripresa negoziati che, secondo ho telegrafato in data 3 corrente 1 poteva essere originariamente prevista per giorno 15 corr., è stata evidentemente rimessa trattandosi questa volta fase conclusiva a dopo la riunione Intesa Balcanica per effetto situazione determinatasi in seguito visita Riistii Aras 2 e quasi contemporanei attacchi di Jorga al Parlamento romeno per patto bulgaro-jugoslavo.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 1196/15 R. Roma, 18 febbraio 1937 (per. stesso giorno).

Mio telegramma per corriere n. 12 del 15 corrente3 . Il cardinale segretario di Stato mi ha chiamato stamane per darmi notizia del suo primo colloquio con l'incaricato del signor Tafari, che non è altri che il conte de Sibour. Ho domandato al porporato se il conte aveva presentato un documento riconosciuto sufficiente ad accreditarlo in Santa Sede per le trattative in discorso.

Il cardinale mi ha dato visione di una lettera in data del 9 corr. indirizzata dal signor Tafari al conte de Sibour. Quest'ultimo viene con essa incaricato di presentare al Pontefice un promemoria nel quale è esposto in linea generale il pensiero del mandante sulla questione oggetto delle presenti trattative. Il conte de Sibour deve ascoltare e riferire per ricevere poi dal signor Tafari il mandato definitivo.

Il segretario di Stato si è scusato dal darmi conoscenza integrale del promemoria, soggiungendo che questo suo atto sarebbe stato controproducente. Ho risposto che non avevo nessun interesse di conoscere le lamentele del signor Tafari.

Il cardinale mi ha dato, in seguito, conoscenza della seguente precisa domanda del signor Tafari che riferisco nei precisi termini in cui mi è stata comunicata. Il signor Tafari chiede: «che il Santo Padre intervenga perché il governo italiano permetta l'esistenza di un rifugio territoriale autonomo nel quale il popolo (abissino) possa continuare a vivere nelle tradizioni della sua razza».

Ho risposto al cardinale Pacelli che mi rifiutavo di trasmettere alla E.V. la proposta del signor Tafari. Per incarico ricevuto dalla E.V. avevo informato a suo tempo Sua Eminenza su quali basi il R. Governo era disposto a trattare. Confermavo la mia prima dichiarazione. La proposta recata dal conte de Sibour non era seria e non valeva la pena di perdere tempo su di essa. Ho pregato quindi il segretario di Stato di comunicare il mio rifiuto al mandatario del signor Tafari.

Il Porporato mi ha detto aveva già manifestata la sua sorpresa al signor de Sibour il quale era, lui stesso, poco persuaso di potere condurre avanti le trattative sulla nuova base avanzata dall'ex Negus. Il cardinale Pacelli mi ha assicurato che riferirà domani, al conte de Sibour, il risultato del nostro colloquio odierno.

l Vedi D. 118. 2 Vedi p. 171, nota 6. 3 Vedi D. 163.

Il segretario di Stato mi ha domandato se desideravo incontrarmi con l'incaricato del signor Tafari. Ho risposto che non avrei avuto difficoltà di vedere in seguito il conte de Sibour se le trattative fossero state riportate su di una base seria. Non vedevo l'interesse di parlargli ora.

Ho dichiarato al cardinale di non avere nessuna fiducia sull'esito di un negoziato iniziato con così scarso senso di serenità. Il porporato non si è dimostrato del mio avviso, manifestando qualche ottimismo. Ne ho dedotto che, probabilmente, non mi ha detto tutto quello che sa.

Siccome io insistevo perché il signor de Sibour avesse conoscenza immediata del mio rifiuto, il cardinale ha detto che gli avrebbe scritto, non avendo la possibilità di riceverlo prima di domani.

Ho sconsigliato il segretario di Stato dal dare risposta scritta all'incaricato del Negus. Il signor de Sibour -ho osservato -ha venduto soltanto parole ed è bene che, per il momento, non abbia alcuno scritto in sua mano. Anche per l'udienza al segretario di Stato il conte ha fatto fare domanda da un prelato inglese di sua conoscenza.

Il cardinale Pacelli ha convenuto con me, non scriverà. Sarà tenuta copia fotografica della lettera del signor Tafari al conte de Sibour 1•

176

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 746/238. Berlino, 18febbraio 1937 (per. i/20).

A quanto mi risulta, il signor von Ribbentrop ha, nella sua recente conversazione con lord Halifax 2 , trattato ampiamente la questione coloniale, sempre peraltro secondo le linee e nel quadro del discorso del Fiihrer e, pur facendo chiaramente comprendere che ormai la questione coloniale doveva intendersi come posta da Hitler all'ordine del giorno internazionale, non dando tuttavia l'impressione che la Germania si attendesse una soluzione imminente e tanto meno immediata. Sempre secondo le mie informazioni, lord Halifax, pur facendo le riserve rese necessarie dall'assenza di Eden, e dopo avere anche incidentalmente richiamato i lavori della commissione di Ginevra per le materie prime, avrebbe insistito sopra due punti principali:

l) molto tempo essere necessario per !'«educazione» dell'opinione pubblica inglese, presentemente orientata in senso perfettamente contrario a quello tedesco; 2) necessità che quella qualunque soluzione che fosse data al problema coloniale tedesco venisse inquadrata in un settlement di ordine e carattere genera!P.

I Si veda per il seguito il D. 256.

2 Il colloquio aveva avuto luogo l'Il febbraio (vedi DDT, serie C, vol. VI, D. 201 e BD, vol. XVIII, D. 167). Di tale colloquio von Ribbentrop aveva dato un ampio resoconto a Grandi che ne aveva riferito diffusamente con T. per corriere 1300/044 R. del 16 febbraio.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 337/167. Salamanca, 18 febbraio 1937 (per. il 26).

Le vicende di queste settimane del Comitato di non intervento 1 , e le ripercussioni ch'esse hanno avuto sulla politica spagnuola militare ed interna, hanno consentito all'ambasciata di osservare da vicino l'animo del Generalissimo in un momento tipico e significativo, indirettamente rivelatore di alcune qualità sue e dei suoi immediati collaboratori.

Come Vostra Eccellenza avrà certamente letto tra le righe dei miei telegammi 2 , Franco e il suo Stato Maggiore non hanno gradito le conclusioni del Comitato. Nessun motivo serio, nessuna preoccupazione fondata, nessun fatto reale giustificava

o spiegava la palese antipatia del governo Nazionale per la chiusura delle frontiere. Ma esso si è arreso malvolentieri all'inevitabile. Solo quando gli è stato dimostrato che la cessazione di aiuti ai rossi e l'arrivo del materiale italiano e germanico costituivano i fattori positivi delle decisioni del Comitato -fattori che debbono consentire di raggiungere la vittoria mentre dura la superiorità dei nazionali -i collaboratori di Franco, e lui stesso, hanno smesso di lamentarsi e di fare fosche previsioni. Ora si dichiarano persuasi e soddisfatti ma forse più per dignità e convenienza che per vera convinzione.

Ad avviso di chi scrive, le cause della cattiva disposizione spagnuola verso la chiusura delle frontiere, possono essere approssimativamente così raggruppate:

a) istintiva e quasi fisica preoccupazione di vedersi e sentirsi isolati e separati dagli amici esterni, e costretti a battersi in campo chiuso ed in limiti di tempo ristretti;

b) più precisa e sensibile e dichiarata preoccupazione che, con le decisioni del Comitato, anche Italia e Germania cesseranno di inviare aiuti, mentre finora erasi qui sperato di poter sempre continuare a riceverne;

c) repugnanza -illustrata dal sottoscritto nel rapporto n. 287/1373 del precedente corriere -ad accettare senza discussione, tra le conseguenze della chiusura delle frontiere, l'impiego delle truppe italiane in massa, in azioni a carattere risolutivo, ciò che benissimo ha fatto il governo fascista ad esigere ma che non accresce il prestigio dell'ufficialità spagnuola, né l'autorità di Franco;

d) infine (per quanto ciò possa sembrare poco comprensibile per noi), ~ intima riluttanza di Franco ad avvicinarsi al giorno della vittoria definitiva, vittoria che, se da una parte gli darà il maggior frutto militare e la maggiore soddisfazione personale della prima fase della rivoluzione, dall'altra parte affretterà la seconda fase, che ben più lo preoccupa: quella in cui egli dovrà assumere la responsabilità di lanciare un programma politico e sociale, e di fondare il nuovo Stato 4 .

l Vedi p. 216, nota 4. 2 Vedi D. 171. 3 Vedi D. 172. 4 Il documento ha il visto di Mussolini.

178

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI

T. 450/33 R. Roma, 19 febbraio 1937, ore l.

Suo 29 1• Per Sua notizia e per l'uso che apparirà più opportuno, La informo che circa restaurazione absburgica, posizione italiana resta nettamente contraria 2 .

179

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1235/123 R. Salamanca, 19 febbraio 1937, ore 17,30 (per. ore 21,20).

Telegramma 1105/108 del 13 corrente3 .

Oggi venuto vedermi capo Gabinetto Sangroniz per dirmi da parte generale Franco e incaricandomi riferire V.E. quanto segue: «Ultime informazioni fornite da questa ambasciata al governo nazionale relativamente ai considerevoli recentissimi aiuti, sia a Valencia che Barcellona, hanno definitivamente persuaso generale Franco che attitudine governo fascista nel Comitato non Intervento4 è del tutto favorevole agli interessi spagnuoli poiché mette freno alla ripresa degli aiuti specialmente moscoviti. Generale Franco riconosce che con chiusura frontiera è esclusa grave ipotesi di nuovo trasferimento all'avversario di quella superiorità militare e morale che oggi caratterizza senza dubbio la posizione dei Nazionali. Egli conferma pertanto che di detta sua superiorità giovasi per condurre avanti operazioni grande energia e rapidità secondo piani concordati. Poiché detti piani sono connessi al programma forniture secondo verbale 14 gennaio5 , generale Franco prega accelerare tutte quelle consegne che ancora non siano state fatte.

Circa chiusura frontiera, generale Franco fammi conoscere che nessuna influenza ha avuto sull'atteggiamento ultimo del governo portoghese 6 , atteggiamento che secondo lui è motivato anche da interessanti 7 ragioni di politica interna. Ha

l Con T. 1172/29 R. del 17 febbraio, il ministro Vinci aveva chiesto istruzioni circa il linguaggio da tenere di fronte al crescente ripetersi di notizie di stampa relative alla posizione del governo italiano nei riguardi di un'eventuale restaurazione asburgica in Austria e in Ungheria.

2 Identica comunicazione era stata fatta con T. 419/31 R. del 15 febbraio alla legazione a Belgrado.

3 Vedi p. 221, nota l.

4 Vedi p. 216, nota 4.

5 Vedi D. 69.

6 Si riferisce al rifiuto del governo portoghese di accogliere sul suo territorio dei controllori inviati dal Comitato di non intervento.

7 Sic.

aggiunto che politica Salazar verso Spagna nazionale è più che mai amichevole. Specialmente se sarà applicato controllo internazionale, generale Franco invierà suo fiduciario a Lisbona per meglio stringere legami con quel governo.

Circa frontiera franco-catalana, generale Franco mi ha fatto nuovamente esprimere sue vive preoccupazioni che governo francese non rispetterebbe accordo. Pertanto, egli sollecita vivamente che azione governo fascista nel Comitato non intervento venga subito indirizzata ad ottenere che dal 20 febbraio al 7 marzo 1 un qualsiasi controllo internazionale sia praticamente applicato, per esempio mediante consoli locali diverse Potenze aderenti Comitato, in attesa che commissioni internazionali giungano sul posto. Il generale Franco prega V.E. volere ottenere in proposito quanto più possibile. Sin qui Sangroniz.

Per mio conto ritraggo dal complesso informazioni fiduciarie e constatazioni dirette l'impressione che l'applicazione del controllo internazionale e la cessazione invio volontarì costituiranno ben presto fatto di grande importanza a vantaggio dei nostri fini. Ciò non solo nel campo internazionale ma anche e soprattutto presso generale Franco e Spagna nazionale che ormai dovrà agire e vincere breve termine.

180

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 233/39 bis R. Atene, 19 febbraio 1937, ore 21,20 (per. ore 22,30).

Miei telegrammi n. 342 e 373 .

Riistii Aras che ho visto alcune ore prima della pubblicazione del comunicato finale sui lavori della riunione del Consiglio Intesa Balcanica 4 mi ha detto che esso sarebbe stato composto di tre parti essenziali riguardanti i tre argomenti politici che maggiormente interessano l'Intesa stessa; l) Società delle Nazioni; 2) Situazione del Mediterraneo; 3) Compagine balcanica. Infine, parlando con il rappresentante d'Italia, Riistii Aras ha cercato svalutare il primo, mettendo in valore il secondo ed ha ripetuto a me, con preghiera informarne V.E., quanto ha già dichiarato alla stampa nelle numerose interviste da lui accordate dopo il suo ritorno da Milano sull'interesse che

I Periodo intercorrente tra l'entrata in vigore del divieto di inviare volontari e l'inizio del sistema di controllo.

2 T. 1165/34 R. del 16 febbraio. Riferiva su alcuni brevi colloqui avuti con Metaxas, Aras e Stojadinovic-ad Atene per la riunione del Consiglio dell'Intesa Balcanica -che avevano tutti espresso la loro soddisfazione per gli orientamenti della politica italiana nel Mediterraneo orientale e nei Balcani, considerata come un elemento di stabilità.

3 Con il T. 1208/37 R. del 18 febbraio, il ministro Boscarelli comunicava di avere appreso che il Consiglio dell'Intesa Balcanica aveva accolto con soddisfazione le dichiarazioni di Stojadinovic circa il crescente miglioramento dei rapporti italo-jugoslavi e quelle di Aras sui risultati dell'incontro di Milano con Ciano ma che i lavori della conferenza erano stati resi «molto laboriosi» a causa dell'accordo bulgaro-jugoslavo. In proposito, si veda anche il D. 211.

4 Tenutosi dal 15 all8 febbraio. Per il testo del comunicato, si veda Relazioni Internazionali, p. 139.

hanno i Paesi dell'Intesa Balcanica, e specialmente la Turchia e la Grecia, di cercare l'accordo con le due grandi Potenze mediterranee: l'Italia e Inghilterra.

Mi ha invitato a considerare l'aspetto negativo del comunicato il quale, mentre parla espressamente di queste due Potenze, non fa cenno alle altre grandi Potenze occidentali. Questa omissione sarebbe, secondo lui, importante in quanto starebbe a significare:

l) il maggiore interesse che presentano per gli Stati dell'Intesa Balcanica i buoni rapporti con l'Italia e l'Inghilterra in confronto ai rapporti degli stessi Stati con la Francia e la Germania; 2) il fatto di evitare agli Stati dell'Intesa Balcanica dover scegliere fra Germania e Francia.

Parlando poi particolarmente della Turchia, egli mi ha detto che, con la nuova convenzione per gli Stretti, la Turchia può in certo qual modo regolare il passaggio della Russia nel Mediterraneo, soggiungendo essere interesse turco non vedere, né russi nel Mediterraneo, né «mediterranei» nel Mar Nero.

Circa lavori conferenza, Riistii Aras è stato molto più reticente di Stojadinovic, cercando nascondermi tutte le difficoltà che gli alleati hanno avuto per mettersi d'accordo, soprattutto per le resistenze greche e romene al patto bulgaro-jugoslavo. Ha parlato con molto calore dei buoni rapporti bulgaro-turchi e mi ha detto sperare che si sarebbe in un anno arrivati anche a intese greco-bulgare e bulgaro-romene.

181

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO,

T. PERSONALE 457/65 1 . Roma, 20 febbraio 1937, ore 17,30.

Prego inviarmi un particolareggiato rapporto sulle reazioni tedesche alle deliberazioni per il riarmo britannico 2 .

182

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. STRETTAMENTE RISERVATO 797/253. Berlino, 20 febbraio 1937 (per. il 22).

Le informazioni relative alla questione religiosa in Germania di cui al telespresso dell'E.V. n. 204070 del 6 febbraio 3 hanno richiamato la mia migliore

I Minuta autografa. 2 Per la risposta si veda il D. 184. 3 Ritrasmetteva il D. 102.

attenzione. Debbo dichiarare che sono rimasto colpito dall'impressione che si ricava dalle informazioni stesse, di una quasi quieta rassegnazione -cioè della Santa Sede ad una eventuale «rottura» col governo tedesco.

Io non ho qui elementi per sapere se, effettivamente, alcuna delle due parti desideri una siffatta soluzione. Temo peraltro che, continuando così, vale a dire trascurando tutto quello che potrebbe essere logicamente e ragionevolmente fatto per evitare una siffatta conclusione, questa finisca col diventare possibile quasi automaticamente e fatalmente.

Io mi ero già -in occasioni precedenti -permesso di esprimere l'opinione che alla Santa Sede non convenisse adagiarsi sulle situazioni del Concordato 1 e limitarsi ad una difesa negativa delle sue posizioni in quanto appoggiantisi al Concordato stesso.

La questione dell'educazione -nessuno meglio del governo fascista può comprenderlo -è una questione molto delicata e che da un governo totalitario non può ricevere che una soluzione, quella cioè della completa subordinazione di tutto il sistema educativo a quelle che dal Regime imperante sono considerate come le necessità vitali della nazione.

Qualunque sia la lettera del Concordato, essa cede di fronte a questa esigenza superiore e necessaria. A mio rimesso modo di vedere, quindi, occorreva ed accorerebbe -perché io ritengo si sia ancora in tempo -venire incontro con offerte nuove, le guaii riuscirebbero certamente tanto più accettabili guanto più fossero tempestive. Bisogna infatti evitare, d'altra parte, che eventuali proposte nuove siano fatte quando la situazione sia talmente andata avanti da svuotare di ogni contenuto pratico tutte le disposizioni esistenti del Concordato e quindi rendere praticamente nulli, perché superati, gli stessi privilegi risultanti dal medesimo.

Io non so se il Vaticano si sia reso conto della poca abilità, per non dire altro, mostrata dal vescovato e dal clero cattolico in Germania. Un pò più di agilità e di comprensione della situazione avrebbe portato a profittare di situazioni favorevoli, che viceversa il clero qui ha finito col lasciarsi sfuggire.

V.E. ricorderà quale ottima impressione e quali favorevoli ripercussioni avesse a suo tempo avuto qui in Germania in tutti gli ambienti la posizione presa dal Vaticano contro il bolscevismo; ma anche questa situazione non è stata sfruttata. Essa si è estrinsecata in qualche discorso e qualche pastorale: non è stata trasportata sui pulpiti domenicali e nella bocca dei parroci, e quindi ha finito col perdere tutto il valore che essa poteva avere ed in fatto aveva. A parte poche eccezioni, il clero non ha capito affatto l'importanza dell'arma che esso aveva nelle mani e con i suoi «distinguo» e con le sue polemiche, ha perduto tutti i vantaggi che in un primo momento era riuscito ad assicurarsi.

Io ho ragione di credere che questo atteggiamento del clero cattolico in Germania non sia dovuto ad istruzioni e direttive della Santa Sede ma sia invece la conseguenza del carattere, testardo ed angusto nello stesso tempo, degli ecclesiastici tedeschi. Questo però essendo un dato di fatto conosciuto e prevedibile, delle istruzioni da parte della Santa Sede sarebbero state opportune ed avrebbero portato i loro frutti.

1 Concordato tra Germania e Santa Sede del 20 luglio 1933, testo in MARTENS, vol. XXVIII, pp. 26-45.

Da parte della stessa Santa Sede non so se siano stati considerati e pesati nella loro giusta misura tutti gli elementi psicologici e morali della situazione. In un regime e in una situazione come questa !'Osservatore Romano, con un opportuno linguaggio, avrebbe potuto rappresentare uno strumento di penetrazione e di conquista assai maggiore di quel che non si creda. Nulla, invece, di tutto questo. Perché, ad esempio, lamentarsi esclusivamente di quel che accade in Germania e non rammentare anche quel che accade in altri Paesi, come ad esempio in Francia, dove il comunismo sta facendo sempre maggior breccia e dove la scuola elementare è, per dirne una, completamente, dico completamente, atea? Perché non sfruttare di più la situazione spagnuola e dire una parola di apprezzamento e di riconoscimento per il contributo che la Germania ha dato e dà per salvare quel Paese dal bolscevismo e dall'ateismo?

Io mi guardo bene dal discutere se il Vaticano avrebbe o no dovuto riconoscere il governo del generale Franco ma mi limito a dire che in una qualunque pubblica occasione si sarebbe benissimo potuto fare un accenno a ciò che la Germania, insieme con altri Paesi come il nostro, sta facendo per la salvezza della civiltà e della religione in !spagna. Un'occasione che fosse data al nunzio a Berlino di potersi recare da Hitler per fargli parte di questo riconoscimento ed apprezzamento della Santa Sede non darebbe forse un'occasione ottima per abbordare i problemi e le questioni che in questo momento si vanno maturando fra la Santa Sede e la Germania?

Non si può dubitare che-qualunque siano i fanatismi-purtroppo incontestabili ·-degli estremisti -Hitler, che personalmente non è un antireligioso, mantiene una attitudine ed uno spirito relativamente conciliante come è persino dimostrato dall'atteggiamento da lui, proprio giorni or sono, assunto nei riguardi della stessa Chiesa evangelica. Di queste disposizioni personali di Hitler bisognerebbe a mio parere trarre partito. Non mi risulta che nessun approccio del genere sia ancora stato fatto né presso lui personalmente, né presso qualcuno dei suoi luogotenenti più autorizzati. Purtroppo il nunzio apostolico, proprio nel momento più critico, è stato colpito da una malattia piuttosto grave che lo ha immobilizzato per oltre un mese e mezzo. Ma egli è ora rimesso e credo che la Santa Sede dovrebbe profittarne per impegnarlo in un'opera costruttiva e decisiva.

Che la Santa Sede non aborrisca da una siffatta attitudine, io ebbi la chiara impressione attraverso delle conversazioni avute nell'estate dell'anno scorso con monsignor Pizzardo a Montecatini. Monsignor Pizzardo voleva anzi che io mi intrattenessi, alla prima occasione, in proposito col cardinale segretario di Stato, il che disgraziatamente io non potei fare né allora né in seguico, per assoluta mancanza di tempo. Ma ritengo che il momento per uscire dall'inerzia sia effettivamente venuto e che ogni attesa in materia potrebbe riuscire nociva agli interessi della Chiesa e della religione.

Ignoro se, ed in quali limiti, convenga di portare a conoscenza della Santa Sede talune almeno delle idee che, in tutta libertà e chiarezza, io mi sono permesso di esprimere alla E.V. Prego comunque l'E.V. di considerare il presente rapporto come strettamente riservato 1 .

1 Quest'ultima frase è stata aggiunta a penna dall'ambasciatore Attolico. Il documento reca il visto di Mussolini.

183

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 328/160. Salamanca. 20 febbraio 1937 (per. 1'8 marzo).

Il generale Franco, in un'intervista a un giornale americano, ha detto: «!! nostro movimento non può chiamarsi esclusivamente fascista: se lo fosse, non avrei difficoltà a dichiararlo, poiché considero il fascismo come un sistema di governo rispettabile»; ed i giornali ufficiosi della Spagna nazionale, nel riprodurre le parti salienti dell'intervista, hanno alquanto evidenziato nei titoli la frase che ho testualmente riprodotta.

Nel corso del colloquio (allegato l) 1 il generale Franco ha chiarito che parte del programma carlista, e parte del programma falangista, sono di origine e fini nettamente spagnuoli, intrinseci alla storia ed alla situazione della Spagna e che perciò non può parlarsi di regime tipicamente fascista. Però occorre osservare che, anche se le argomentazioni del Generalissimo sono fondate, resta sempre troppo palese la sua sollecitudine nel dichiarare spesso ch'egli non farà lo Stato fascista come noi lo intendiamo.

A mio avviso, le ragioni di questa attitudine di Franco sono principalmente da ricercarsi: primo, nel suo costante sforzo diretto ad eliminare l'impressione ch'egli possa o voglia subire influenze straniere, e specialmente italiane o tedesche; secondo, nel fatto che la propaganda antifascista condotta per anni nelle masse spagnole, ha lasciato in esse la impressione generica che fascismo significhi oppressione del popolo, capitalismo anti-proletario, eccetera, e di tali residui psicologici della propaganda antifascista passata, Franco continua evidentemente a tener conto 2•

184

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 1279/99 R. Berlino, 21 febbraio 1937, ore 23,35 (per. ore 6,35 del 22).

Telegramma di V.E. n. 65 3 .

Prossimo corriere parte giovedì; riferisco intanto telegraficamente.

Ho detto che riarmo inglese è accolto qui a denti stretti 4 . Data infatti posizione a suo tempo assunta dalla Germania, questa si trova nell'impossibilità criticare

I Non pubblicato.

2 Il documento ha il visto di Mussolini.

3 Vedi D. 181.

4 Così si era espresso l'ambasciatore Attolico nel T. 1257/96 R. del 20 febbraio con il quale annunziava che avrebbe riferito dettagliatamente circa le reazioni tedesche al riarmo della Gran Bretagna.

234 apertamente riarmo degli altri. Essa si limita, quindi, principalmente trame motivi, così per giustificare azioni e decisioni proprie, come per affermare e difendere tesi e posizioni politiche collaterali. D'altra parte, riarmo inglese trova Germania al limite sue risorse finanziarie. Anche volendo, Germania difficilmente potrebbe «replicare» all'Inghilterra con aumento del programma proprio. Essa stenta già a condurre a termine quello stabilito e non può rischiare, senza motivi impellenti ed attuali, peggioramento situazione economica del Paese.

In una riunione Neurath-Hitler tenutasi proprio ieri (me lo ha detto oggi lo stesso von Neurath), è stato quindi stabilito di astenersi da «gesti di replica», dando invece impressione che Germania continua tranquillamente nello svolgimento e nell'attuazione del programma di riarmo proprio, come quello che fu originariamente stabilito in base alle necessità «obiettive» di difesa del Paese.

Vi è d'altra parte una corrente la quale (a parte la considerazione che il riarmo inglese non tocca esercito) vede in una Inghilterra riarmata un vantaggio anziché un danno in quanto una Inghilterra forte non avrà-presumibilmente-lo stesso bisogno di appoggiarsi e saldarsi alla Francia nella stessa misura di un'Inghilterra debole.

Ignoro però se, praticamente, Germania rimarrà poi in definitiva a braccia conserte. Prevedo soprattutto che Goering (il quale, come dittattore finanziario, ha sue mani speciali possibilità) male si adatterà ad accettare la minorazione dell'aviazione tedesca automaticamente risultante dagli armamenti inglesi. Ma, per sapere questo, -che comunque difficilmente verrebbe mai ammesso e proclamato bisognerà aspettare ritorno Goering 1• Continuerò osservare ed informare.

Quanto a notizie pervenute dalla stampa, esse vengono segnalate giornalmente. Comunque è da prevedere che, anche per non aumentare tensione già esistente, essa sarebbe mantenuta relativamente in sordina.

185

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1334/034 R. Budapest, 21 febbraio 1937 (per. il 24).

Mio telegramma per filo n. 35 in data 20 febbraio u.s. 2 .

Nella lunga conversazione confidenziale avuta il 19 corrente col conte Bethlen, di cui col mio telegramma sopra riferito ho già comunicato all'Eccellenza Vostra i punti più salienti, è stata innanzi tutto toccata la questione della restaurazione. Parlandomi dell'attività dei legittimisti ungheresi, Bethlen mi ha detto che egli non

I In visita in Polonia dal 16 al 22 febbraio.

2 T. 1261/35 R. del 20 febbraio. Riferiva su un colloquio avuto con il conte Bethlen, il quale aveva dichiarato che tutto il governo ungherese era contrario ad una restaurazione asburgica, così come era contrario ad una restaurazione in Austria che avrebbe avuto ripercussioni inevitabili in Ungheria. Il ministro Vinci si era espresso secondo le istruzioni ricevute con il D. 178.

235 ritiene che l'effettiva importanza del movimento sia realmente aumentata. Di sentimenti legittimisti militanti sarebbero soltanto alcuni aristocratici, specie nella parte nord-occidentale del Paese, ed il clero cattolico. Bethlen mi ha detto che circa la restaurazione asburgica in Ungheria egli stesso, e così Daranyi, Kanya ed il governo, mantengono sempre lo stesso atteggiamento di opposizione, anche se Daranyi, per suo temperamento, non ama fare dichiarazioni precise.

A mia domanda, egli mi ha detto che le dichiarazioni del sottosegretario Halla (mio telegramma n. 27 del 15 febbraio u.s.) 1 dovrebbero essere interpretate come una semplice manovra elettorale, dato che la regione di Szombathely è di sentimenti legittimisti.

Secondo Bethlen, il governo sarebbe anche contrario alla restaurazione in Austria. Certo, mi ha detto Bethlen, la situazione diventerebbe difficile in Ungheria se la restaurazione dovesse verificarsi in Austria.

Secondo sue informazioni, effettivamente la Cecoslovacchia preferirebbe una restaurazione asburgica in Austria come garanzia contro la Germania. Mi ha aggiunto che si contava che l'Italia fosse contraria.

Circa la posizione di Bethlen e la sua aumentata influenza, mi richiamo al mio rapporto qui sopra citato e ad altre mie ulteriori segnalazioni. Sono noti i suoi legami con Daranyi; egli non si allontana più così frequentemente da Budapest come di recente, e vi è ritornato stabilmente; ha frequenti conversazioni col presidente del Consiglio; si parla già di un suo reingresso nel partito del governo, che come è noto aveva lasciato durante il regime Goemboes; molti suoi amici sono già rientrati a farne parte.

Ho potuto accennare di sfuggita alla questione con Kanya ieri sera al pranzo offerto dal Reggente al corpo diplomatico. Egli in sostanza si è espresso nello spirito di Bethlen, circa l'atteggiamento attuale del governo ungherese, tenuto anche conto dell'atteggiamento dei governi tedesco e italiano. Lo vedrò domattina.

Da un funzionario del ministero degli Affari Esteri ho saputo anche che il ministro della Guerra, Roder, sulla cui influenza in questo momento ho già riferito all'Eccellenza Vostra, pensa addirittura che nemmeno per il fatto di una restaurazione a Vienna vi sarebbero qui serie ripercussioni.

Mi permetto d'altra parte di attirare l'attenzione dell'Eccellenza Vostra sulle dichiarazioni dell'ex ministro Kallay alla Società «Albert Apponyi» (mio telespresso

n. 2289/337 del 21 febbraio )2 , tenendo presente l'importanza delle persone che hanno preso parte alla riunione ed il fatto che Kallay, rientrato recentemente nel partito di governo, è un amico personale del conte Bethlen.

1 T. 1126/27 del 15 febbraio. Il ministro Vinci aveva attirato « la particolare attenzione» di Ciano su le dichiarazioni di pura fede legittimista che il sottosegretario all'Industria, Halla, aveva fatto il giorno precedente a Szombathely. Vinci sottolineava che, dopo la morte di Giimbiis e rallontamento da posti di responsabilità di molti suoi seguaci decisamente antilegittimisti, la situazione in Ungheria era molto mutata, mentre cominciava a circolare la voce che Francia e Italia fossero favorevoli ad una restaurazione.

2 Il ministro Vinci osservava, in particolare, che Kallay aveva sottolineato di parlare in seno alla Società che portava il nome di Apponyi «fautore della lotta per la restituzione dei suoi diritti al Re legittimo».

186.

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1463/011 R. Bruxelles, 21 febbraio 1937 (per. il 1° marzo).

Mio telegramma-filo n. 17 del 28 gennaio 1•

Quanto mi era stato confidato da fonte tedesca (mio telegramma precitato)-e cioè che Hitler avrebbe offerto al Belgio ogni garanzia da esso desiderata sia nell'eventuale nuova Locarno, sia in qualche istrumento a parte -mi è stato confermato da fonte ufficiale belga. Mi è stato infatti riferito che, di fronte all'atteggiamento riservato della maggior parte della stampa belga verso le dichiarazioni del Cancelliere Hitler riguardanti il Belgio, il barone von Neurath ritenne opportuno di precisare al visconte Davignon, ministro del Belgio a Berlino, che le dichiarazioni del Fiihrer dovevano essere considerate come un'offerta di garanzia che restava ferma, sia nel caso si procedesse ad un nuovo Locarno, sia nel caso del definitivo fallimento di questo.

In seguito a tale comunicazione, il visconte Davignon ha ricevuto l'istruzione d'informare il barone von Neunith che il governo belga aveva preso atto, con soddisfazione, delle dichiarazioni del Cancelliere, sottolineando tuttavia che lo statuto che il Belgio si propone di raggiungere è quello definito da Re Leopoldo col discorso del 14 ottobre e cioè uno stato non già di neutralità ma di indipendenza armata.

Col mio telegramma per corriere n. 08 del 18 corrente2 , ho riferito le similari dichiarazioni fatte quasi contemporaneamente dal ministro Spaak alla Camera dei Deputati.

Da parte sua, il segretario generale del ministero degli Affari Esteri, barone van Langenhove, intrattenendosi meco sulla stessa questione, ha accennato che, se un nuovo Locarno sarà concluso, l'offerta di garanzia del Reich verrà automaticamente ad inquadrarsi nel nuovo istrumento; che nel caso contrario occorrerà invece qualche trattativa per concretizzare l'offerta di garanzia germanica.

Rilevo che tale ipotesi di trattative particolari potrà finire col dare praticamente veste alla nota idea del Ribbentrop, ossia d'una garanzia tripartita della Germania, Inghilterra e Francia, in sostituzione di quella offerta al Belgio dal vecchio Locarno, cui partecipava anche l'Italia.

Nell'occasione, il Langenhove, ha sottolineato ancora una volta l'interesse che porta il Belgio ad uscire fuori il più presto possibile dagli impegni di mutua garanzia provenienti dai noti accordi di Londra del marzo scorso3 , chiedendomi

I T. 702/17 R. del 28 gennaio, il cui contenuto è qui indicato.

2 T. per corriere 1283/08 R. del 18 febbraio. Riferiva che il ministro Spaak aveva dichiarato che il suo governo aveva preso atto con soddisfazione delle dichiarazioni del Cancelliere tedesco che, per quanto concerneva il Belgio, apparivano come «la manifestazione di uno stato di spirito che faceva intravedere la possibilità di un accordo».

3 Si riferisce agli impegni assunti da Belgio, Francia e Gran Bretagna con lo scambio di lettere dell'l-2 aprile 1936 di avviare contatti tra gli Stati Maggiori e di darsi aiuto immediato in caso di aggressione secondo quanto stabilito dai Patti di Locarno, qualora non fosse stato accolto il progetto di accordo tra le Potenze locarniane presentato il 19 marzo precedente da Belgio, Francia, Gran Bretagna e Italia (il testo delle lettere è in BD, vol. XVI, D. 199, allegati).

anzi se io fossi in grado di dirgli alcunché circa le risposte dell'Italia e della Germania all'ultima nota britannica 1 , e circa l'epoca in cui esse potranno esser presentate.

Riferisco infine che Re Leopoldo, intrattenendosi con personalità a noi amica e che gli rappresentava l'interesse del Belgio a non veder sostituire il Patto di Locarno da verun altro trattato, attenendosi così il più strettamente possibile all'esempio dell'Olanda, ebbe a mostrare di comprendere appieno, se non di condividere, la tesi in parola.

Da accenni dello stesso informatore, deduco infine che qui si va di nuovo esaminando le questione dell'elevazione ad ambasciata delle attuali legazioni belghe e tedesche, a Berlino ed a Bruxelles.

187

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1306/45 R. Vienna, 22 febbraio 1937, ore 22,30 (per. ore 5,30 del 23).

Dopo colazione offerta dal segretario di Stato Affari Esteri, von Neurath 2 mi ha intrattenuto in lungo colloquio.

Egli ha mostrato di conoscere nell'occasione opera qui intesa a favorire pacificazione con gruppi nazionali. Ha riconosciuto progresso compiutosi al riguardo nell'atteggiamento e nel discorso di Schuschnigg 3 e mi ha comunicato di aver espresso al Cancelliere federale la sicura fiducia di Hitler che, ferma la leale applicazione accordo 11 luglio da ambo le parti, Schuschnigg dia seguito a propositi verso i nazionali manifestati nel discorso del 14 corr., senza lasciarsi impressionare da odierni incidenti 4 difficilmente evitabili ma in complesso non gravi.

Caduto discorso su legittimismo, von Neurath ha ascoltato con vivo interesse mie informazioni circa stato attuale del movimento. Mi ha fatto intendere che egli avrebbe richiamato oggi stesso attenzione di Schuschnigg su punto di vista di Hitler,

1 Del 19 novembre 1936, circa un nuovo trattato di Locarno (vedi nota 2, p. 69).

2 In visita ufficiale a Vienna. Si vedano in proposito i DD. 199 e 215.

3 Il 14 febbraio, il Cancelliere Schuschnigg aveva pronunciato al congresso federale del Fronte Patriottico un discorso in cui, pur usando un linguaggio moderato, aveva condannato le agitazioni che potevano nuocere all'ordinato sviluppo del Paese e qualificato come «inopportune» le associazioni pangermaniste degli intellettuali. Circa la questione monarchica, Schuschnigg aveva detto che la posizione del Fronte Patriottico si poteva riassumere in tre punti: l) corrispondeva «allo spirito del Fronte Patriottico rievocare e conservare il profondo rispetto dei grandi valori storici della tradizione austriaca»; 2) la questione della forma dello Stato doveva essere «decisa unicamente ed esclusivamente dal popolo austriaco sul terreno dçlla costituzione»; 3) la propaganda monarchica doveva restare «nel quadro della politica interna ed estera dell'Austria attuale» e spettava «soltanto ai dirigenti responsabili dello Stato e del Fronte Patriottico chiamare eventualmente il popolo austriaco ad una decisione in proposito».

4 All'arrivo di von Neurath, gruppi di nazionalsocialisti avevano salutato il corteo delle automobili con il braccio teso, gridando Heil Hitler. Erano seguiti in vari punti della città degli scontri tra nazionalsocialisti e membri del Fronte Patriottico con un massiccio intervento della polizia e numerosi arresti.

contrario non tanto alla monarchia in se stessa quanto alla restaurazione di un Absburgo. Tale contrarietà, più che a preoccupazioni per interesse germanico, si ispirerebbe a preoccupazioni per difficoltà gravi che anche da altre parti ne sorgerebbero a turbare e complicare situazione dell'Europa Centrale.

Dissi a von Neurath, come mia impressione, che nelle ultime dichiarazioni di Schuschnigg doveva ravvisarsi tendenza a frenare impazienze: nella rivendicazione di ogni diritto di iniziativa e decisione al governo responsabile era implicito un monito e una garanzia contro esperimenti ed avventure.

Von Neurath mi ha detto che sperava di avere da Schuschnigg assicurazioni conformi. Pur riconoscendo che intensificata agitazione legittimista aveva carattere reazione ad agitazione dei nazional-socialisti, insistette che in realtà tale movimento aveva punta antigermanica.

Espressi avviso, nel quale mio interlocutore mostrò di consentire, che una concreta leale pacificazione interna con nazionali sulla base effettivo rispetto dell'indipendenza statale austriaca avrebbe smussato quell'antagonismo e sgonfiato, almeno in alcuni settori, la stessa propaganda monarchica.

Neurath mi ha confermato che nessun negoziato concreto si sarebbe svolto durante la visita. Egli conveniva che la pratica attuazione dell'accordo 11 luglio doveva procedere per gradi e che, riconoscendo le difficoltà della situazione interna austriaca, non dovevano porsi a Schuschnigg termini perentori.

Credetti ravvisare in ciò una punta contro infondate pretese di von Papen.

Von Neurath mi ha chiesto ultime notizie da Addis Abeba 1• Degli affari spagnoli parlò in senso di liquidazione prossima almeno per quanto concerne gli impegni tedeschi e italiani. Sarebbe stato felice di venire a Roma se il viaggio di Goering non avesse consigliato distanziare alquanto restituzione ufficiale visita di V.E. a Berlino.

188

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO

T. 477/141 R. Roma, 22 febbraio 1937, ore 23.

Suo 1222 . Desidererei conoscere se continuino trattative tra Franco e baschi e a qual punto esse siano.

l II 19 febbraio, durante una cerimonia ad Addis Abeba, era stato compiuto un attentato con il lancio di alcune bombe che avevano ferito il Maresciallo Graziani, il sottocapo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, generale Liotta, e l'A buna Cirillo. Nei giorni successivi si era diffusa la notizia, ampiamente ripresa dalla stampa internazionale di veri e propri massacri compiuti per ritorsione da reparti di Camicie Nere. La vicenda dava luogo più tardi ad un acceso dibattito alla Camera dei Comuni (sul quale vedi p. 399, nota 1).

2 T. 1239/122 R. del 19 febbraio. Riferiva che il governo nazionale aveva smentito le voci di passi effettuati dal governo di Valencia per una soluzione negoziata, mentre non aveva smentito che da Bilbao arrivassero «voci e tendenze volte genericamente ad una soluzione politica dell'assurda posizione dei paesi baschi».

189

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1338/015 R. Atene, 22 febbraio 1937 (per. il 24).

Coi miei telegrammi nn. 34 del 16 febbraio 1 , 37 del 18 stesso mese 2 , 39 3 e 40 4 del 19 corrente, ho trasmesso a V.E. informazioni assunte a fonte diretta sulle materie discusse nella recente riunione del Consiglio dell'Intesa Balcanica e sui rapporti fra l'Intesa stessa e l'Italia.

Credo qui utile aggiungere alcune considerazioni ed impressioni d'insieme sulla maniera nella quale i lavori si sono svolti. Le sedute del Consiglio sono state oltremodo laboriose soprattutto per l'insistente sforzo della Romania e della Grecia rivolto ad ottenere maggiori chiarimenti ad assicurazioni sulla portata effettiva del patto bulgaro-jugoslavo e sulle sue ripercussioni nella compagine balcanica. L'elaborazione del comunicato finale 5 -largamente commentato per quel che dice e per quel che tace -ha chiesto una seduta supplementare, lasciando trasparire anche at pubblico che i negoziati non sono stati, né facili, né semplici. La laboriosità delle discussioni, che in sostanza non aggiungono nulla di nuovo alla situazione in sviluppo, si è prospettata dal primo momento; essa appare evidente negli stessi brindisi scambiati fra Metaxas e Stojadinovic prima dell'inizio della conferenza. Analizzando infatti il testo di entrambi si rileva che, mentre Metaxas ha pronunciato una specie di allocuzione nella quale, dopo aver descritto le condizioni della stabilità balcanica, insiste sullo statu quo ed afferma che nella Penisola vi è posto per tutti e che in base a questo principio la Grecia ha dato la sua approvazione al patto bulgaro-jugoslavo, Stojadinovic ha tralasciato nella sua risposta qualsiasi riferimento preciso al patto con la Bulgaria e si è limitato a riaffermare la fede nel patto balcanico, assicurando che basta la parola data a garantirne la stabilità.

Il convegno è stato preceduto ed accompagnato dal coro della stampa greca, ispirata tutta dal governo, inneggiante alla solidarietà balcanica come ad arma di pace esemplare. Agli inni della stampa hanno fatto però contrasto in sordina i commenti privati ed una ridda di voci ed indiscrezioni più o meno attendibili sulle difficoltà inerenti alla nuova situazione creata dalla diversa posizione degli alleati nei confronti del patto bulgaro e soprattutto dalle apprensioni della Grecia. Apprensioni determinate non solo dalle note preoccupazioni nazionali ma anche da ragioni di politica interna, essendo interesse dell'attuale governo di neutralizzare

I Vedi p. 230, nota 2.

2 Vedi p. 230, nota 3.

3 Vedi D. 180.

4 T. 1232/40 R. del 19 febbraio. Riferiva circa le voci di un prossimo viaggio a Belgrado del ministro degli Esteri, Antonescu, allo scopo di chiedere i buoni uffici del governo jugoslavo per indurre la Bulgaria a concludere con la Romania e con la Grecia un trattato analogo a quello stipulato con la Jugoslavia. Il sottosegretario agli Esteri greco, Mavrudis, aveva confermato la notizia di una prossima visita di Antonescu a Belgrado -di cui, peraltro, affermava di non conoscere gli scopi -ma aveva tenuto a precisare che la Grecia, pur desiderando giungere ad un accordo con la Bulgaria, non intendeva, per ora, prendere iniziative in quel senso.

5 Vedi p. 230, nota 4.

con qualche assicurazione diplomatica uno degli argomenti più forti di cui si serve la latente opposizione al governo di Metaxas: quello cioè secondo il quale l'accordo bulgaro-jugoslavo costituisce uno scacco della politica estera greca e minaccia la disgregazione del blocco balcanico.

Fra le materie trattate dagli alleati in conferenza, hanno avuto parte preminente le relazioni degli Stati balcanici con l'Italia. Riistii Aras ha illustrato le conversazioni avute con Vostra Eccellenza a Milano e Stojadinovic ha informato dell'evoluzione dei rapporti della Jugoslavia verso l'Italia. La discussione dell'argomento ha messo in rilievo le ripercussioni del gentlemen 's agreement sull'insieme della situazione mediterranea in quanto esso consente una maggiore libertà di manovra e di azione degli Stati balcanici verso l'Italia. Questi riconoscono oggi di trovarsi davanti ad un'Italia più potente di prima ma senza mire aggressive, anzi animata dalle più leali intenzioni di fattiva collaborazione, giacché Mussolini, dopo la triste parentesi sanzionista, ha teso loro cavallerescamente la mano.

Altro argomento fondamentale è stato naturalmente il patto bulgaro, a proposito del quale Stojadinovic non ha creduto di dare tutte le specificazioni richieste dagli altri alleati ed in particolare dalla Grecia e dalla Romania, ritenendo sufficiente la parola data di fedeltà all'alleanza la quale, secondo il presidente jugoslavo, dovrebbe ormai essere denaturalizzata della sua origine e della sua essenza anti-bulgara.

Le questioni economiche e quelle militari sono state prospettate ma nessuna decisione definitiva pare che sia state presa per il regolamento di esse. La possibilità di una unione doganale bulgaro-jugoslava, che a quanto si dice sarebbe favorita da Sofia e vista con simpatia a Belgrado, è apparso un tema molto controverso per le obbiezioni degli altri alleati ed in particolare della Grecia che vedrebbe in una simile combinazione economica il pericolo di un sempre più potente e solido blocco slavo-meridionale, capace di dominare completamente per la sua stessa forza di gravità naturale l'intero sistema balcanico. Lo sforzo di spostare i termini del problema dal terreno politico su quello economico, non è parso così semplice come vorrebbero far credere gli assertori dell'unionismo balcanico, i quali si sono sempre fatti forti della tesi delle similarità delle economie dei Paesi alleati, tutti agricoli e aventi poche industrie nascenti che tuttavia non differiscono molto fra loro. Certo, in tal campo sarebbe vantaggio per la Grecia sgombrare il terreno dalle note questioni finanziarie e commerciali pendenti con la Bulgaria e stipulare con essa un accordo commerciale che potesse diventare il pernio di un possibile accordo più generale da servire in certo qual modo da contrappeso a quello bulgaro-jugoslavo in seno all'alleanza. Ma, anche secondo quanto mi ha dichiarato in un colloquio confidenziale questo ministro di Bulgaria 1 , il governo di Sofia non intende per ora lasciarsi trasportare in tale direzione.

È infine da rilevarsi che, mentre gli alleati hanno creduto necessario esprimere esplicitamente nel comunicato tutto l'apprezzamento dell'Intesa Balcanica per l'accordo itala-inglese «nel quadro dell'azione internazionale a favore della pace», nessuna menzione è fatta delle altre Potenze, quasi a segnalare da un lato la tendenza dell'Intesa stessa a emanciparsi dalla Francia e dall'altro la preoccupazione di non pregiudi-

I Dimitri Scismanov.

care i rapporti con la Germania. Il comunicato infatti si limita ad una generica professione di fede societaria riaffermando il proposito di collaborare con Ginevra.

Dopo la chiusura della cbnferenza, ho creduto opportuno di sentire direttamente su di essa il parere del sottosegretario permanente degli Esteri, Mavrudis. Questi, come aveva già fatto Metaxas in un breve colloquio avuto con me prima della riunione, ha ostentato di non attribuire troppa importanza al patto bulgaro-jugoslavo. Egli mi ha poi dichiarato che le ventilate trattative con la Bulgaria in vista della conclusione di un possibile accordo non sarebbero imminenti, anzi sarebbero da escludersi per il momento. La questione sarebbe prematura perché si preferirebbe che l'iniziativa venisse dalla Bulgaria. Circa la posizione degli Stati balcanici dopo il gentlemen 's agreement Mavrudis mi ha detto che la Grecia e i suoi alleati considerano Italia e Inghilterra sullo stesso piano per tutte le questioni di interesse generale europeo e mediterraneo. A vendo io infine accennato che le infondate antiche diffidenze sull'Italia e le sue presunte mire aggressive dovevano essersi ormai completamente calmate di fronte all'eloquente evidenza dei fatti ed alle nuove assicurazioni date da V.E. delle quali si sarebbe fatto portavoce Riistii Aras, Mavrudis ha risposto che le assicurazioni di Riistii erano state gradite ma superflue perché quelle che valevano per la Grecia erano le assicurazioni già direttamente avute dall'Italia.

190

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO PERSONALE 773/385. Vienna, 22 febbraio 1937 (per. i/ 24).

Porgo a V.E. vivi ringraziamenti per la comunicazione che si è compiaciuta di farmi con la Riservata-Personale n. 204937/9 del 16 corrente 1• Ne ho fatto oggetto di conversazione confidenziale con il Cancelliere federale, che mi ha pregato di esprimere a V.E. la sua più viva riconoscenza.

In questa conversazione, essendo di nuovo caduto il discorso sul legittimismo, il Cancelliere mi ha confermato l'interpretazione che doveva darsi alle sue dichiarazioni del 14 corrente 2 in argomento, nel senso che egli non ha fatto che formulare in modo schematico quanto aveva detto in proposito nel discorso del 17 ottobre scorso3 . Di nuovo c'era stata solo una rivendicazione più decisa, al potere dello Stato e al Fronte Patriottico, di ogni decisione e di ogni iniziativa. Il che doveva costituire per tutti una garanzia.

Privatamente e solo per nostro uso esclusivo, egli aggiungeva che aveva inteso, se mai, di frenare e arrestare il movimento, e che quindi non avevano alcun fondamento le supposizioni messe innanzi in alcuni circoli dell'estero, che si sarebbe alla vigilia, o

I Non rinvenuta. 2 Vedi p. 238, nota 3. 3 Pronunciato a Vienna alla riunione dei fiduciari del Fronte Patriottico.

242 quasi, di una decisione austriaca per la restaurazione. Egli aveva ammonito, anzi, la stessa Casa d'Austria a lasciare allo Stato e ai nuovi organi responsabili la tutela dei suoi stessi interessi, che egli considera subordinati, non prevalenti, a quelli dello Stato e del popolo, perché -mi disse, ripetendo una frase del discorso del 17 ottobre -lo Stato, non la forma dello Stato, è la cosa principale, «das Primiire».

Sempre e solo per nostro uso esclusivo, poteva assicurarmi -e quasi gli sembrava superfluo dirlo a me che seguo da vicino le cose -che egli non poteva neppure prevedere quando la cosa sarebbe potuta diventare «d'attualità», ma che in ogni caso non si sognava neppure di affrontare l'esame di questa lontana eventualità senza prima aver parlato chiaramente e precisamente con Roma e -soggiunse-al caso anche con Berlino.

La nervosità che più o meno esattamente si attribuiva a Berlino, non avrebbe alcun fondamento. Che se si volesse chiedergli di vietare o reprimere il movimento legittimista, risponderebbe con un rifiuto. Non solo perché non potrebbe ammettere ingerenze straniere in questa materia, ma anche perché, a parte ogni possibilità di pratica realizzazione, il movimento legittimista, inquadrato e controllato come egli intende che sia dal Fronte Patriottico e non lasciato in balia delle impazienze di pochi aristocratici e generali a riposo, non può far ombra a nessuno, ma è per lui uno degli efficaci «controveleni» al movimento nazista. In generale, il movimento legittimista è cresciuto d'intensità proprio come reazione all'agitazione nazista. Se Berlino intende rispettare lealmente l'indipendenza effettiva dell'Austria, il legittimismo austriaco può essere indifferente a Berlino. Se non è indifferente, in tal caso le batterie germaniche si scoprono.

A queste dichiarazioni del Cancelliere Dr. Schuschnigg, che confermano quanto avevo telegrafato a V.E. subito dopo il recente discorso (mio telegramma n. 33 dell4 corrente) 1 , posso aggiungere che non conviene esagerare neanche la portata del movimento legittirnista e che l'accoglienza fatta dall'adunanza del Fronte Patriottico a questa parte del discorso di Schuschnigg, è da interpretarsi decisamente nel senso di non compromettere in alcun modo l'avvenire, di guadagnar tempo e di non portare nel presente momento, gravido di tante altre difficoltà interne, questo nuovo elemento di agitazione e di dissensi. Questa è l'opinione precisa, specialmente delle provincie.

Una troppo insistente reazione dall'estero, specialmente da parte germanica, non potrebbe che fare il giuoco dellegittimismo, dimostrando troppo chiaramente che questo è veramente un antidoto temuto dal nazionalsocialismo.

Mi risulta che von Papen ha insistito a Berlino perché nelle imminenti conversazioni a Vienna Neurath parli del movimento legittimista in generale e della restaurazione di un Absburgo in particolare. Von Neurath sarebbe rimasto in forse sull'opportunità di toccare questo argomento.

Non ho bisogno di dire a V.E. che sono destituite di ogni fondamento le voci, raccolte anche da qualche giornale cecoslovacco e francese, di passi germanici a Vienna, o altrove, in relazione al discorso del 14. Né prima, né dopo la sua ultima gita a Berlino, intrapresa il 16 corrente, von Papen, che non ha veduto in questi giorni Schuschnigg, ha fatto alcuna neppur lontana allusione a questo argomento a Schmidt, con il quale si è intrattenuto solo della visita di von Neurath.

l T. 1107/33 R. del 15 febbraio, non pubblicato.

La quale -secondo la mia impressione -viene a cadere, per malaugurata combinazione, in un momento delicato, proprio mentre il Cancelliere era stato portato ad ammettere contatti diretti con elementi moderati nazisti ma non ha ancora potuto dare seguito alle nomine, da me preannunziate, di «referenti» per la pacificazione nazionale presso il Fronte Patriottico. C'è da temere:

l) che elementi estremisti del nazismo locale, scontenti di questo tentativo di pacificazione, forzino la mano con dimostrazioni violente in occasione della visita di von Neurath, e ne.sorgano più o meno gravi incidenti;

2) che per reazione a tale contegno di elementi nazisti, se pure indisciplinati, e per evitare l'apparenza di cedere a violenze, il Cancelliere sia indotto, dagli estremisti che non mancano nel suo proprio campo, a retrocedere sulle posizioni più rigide, in modo che ne resti, se non esclusa, almeno ritardata la distensione subentrata effettivamente al lavorio abilmente condotto nelle ultime settimane e alle dichiarazioni del 14 corr., ottimamente interpretate in tutti i settori.

Uno dei «nazisti» moderati che sono stati negli ultimi giorni in trattative con Schuschnigg, mi ha detto proprio oggi: «In questo momento, la visita germanica è per noi una disgrazia».

Il Cancelliere, con il quale sono in contatto, non è portato a drammatizzare eventuali incidenti e frena l'eccessivo zelo di repressione in alcuni dei dirigenti viennesi del Fronte. A meno che tali incidenti non assumano particolare gravità, si ha qui in animo di trarsi alla meglio dall'imbarazzo e di non dare, con l'intervento non necessario della Polizia, soverchio rilievo a manifestazioni, nelle quali è inevitabile che si confondano i saluti all'ospite con grida più o meno illegali, coperte in questo incontro da una specie di immunità 1 .

191

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1310/146 R. Londra, 23 febbraio 1937, ore 11,30 (per. ore 16,20).

Ieri sera, rispondendo ad una interrogazione alla Camera dei Comuni, sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri ha dichiarato a nome del ministro degli Affari Esteri che il governo britannico aveva rivolto ad Hailè Sellassiè Io regolare invito di farsi ufficialmente rappresentare alle cerimonie incoronazione il 12 maggio prossimo. Giornali stamane dànno risalto massimo alla notizia e cercano giustificare atteggiamento del governo spiegando che l'Inghilterra riconosce tuttora come legittimo Imperatore Abissinia Hailè Sellassiè P, almeno fino a quando S.d.N. non avrà riconosciuto annessione Etiopia da parte italiana.

I Il documento ha il visto di Mussolini.

Io mi domando se in questa circostanza non sia opportuno dichiarare a questi signori che intervento di un rappresentante di Tafari alle cerimonie incoronazione è incompatibile con la presenza di Augusto Principe rappresentante il Re Imperatore 1•

192

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1323/101 R. Berlino, 23 febbraio 1937, ore 14,06 (per. ore 19,45).

Sul riarmo inglese ho sondato iersera anche Dieckhoff il quale mi ha detto che governo germanico non ha speciale motivo di protestare per esso, anche perché la sua «presentazione» non è stata, in fondo, ostile alla Germania.

Libro Bianco pubblicato in materia quest'anno 2 , non contiene niente di inesatto e tendenzioso. Lo stesso si può dire dei discorsi che l'hanno accompagnato 3 . Scorso anno, invece, la cosa era andata assai diversamente, tanto che la Germania era stata obbligata a reagire energicamente, anche a mezzo di una controraccolta di documenti internazionali (pubblicazione Ribbentrop ).

Per quanto riguarda armamenti propri, Germania fa già quello che può e che crede necessario alla sua difesa.

Nel campo marittimo, unico in cui esistano impegni limitativi, deve considerare che l'aumento della flotta inglese porta anche -in proporzione -un aumento delle possibilità tedesche che potranno, alla Germania, convenire un giorno o l'altro.

Della stessa questione ho pure parlato coll'ambasciatore del Giappone 4 il quale, anche egli, la vede «grosso modo» così come io la esposi nel mio telegramma di domenica5 . Germania ha, come unico fattore limitativo degli armamenti propri, le sue stesse possibilità. D'altra parte -secondo il mio collega giapponese -essa non si prefigge un programma di espansione «occidentale», suscettibile cioè di disturbare l'Inghilterra e quindi spera poter manovrare in maniera da non trovarsi -in un eventuale e comunque non prossimo conflitto internazionale-contro la Gran Bretagna.

L'opinione del mio collega giapponese non mi sembra rappresenti tutte le gradazioni del pensiero tedesco ma, indubbiamente, ne rappresenta una -abbastanza forte -quella di Ribbentrop che, in fondo, si identifica con la stessa che, all'inizio della guerra dell'anno 1914, si illudeva di poter contare sulla neutralità inglese. Questa corrente si ritiene ora rafforzata dal fatto-questo indiscutibile-

I Contemporamente, Grandi inviava a Ciano un telegramma personale chiedendogli di poter esporre verbalmente, in occasione del suo imminente viaggio a Roma, la situazione derivante dall'invito al Negus (T. 4275/147 P.G. del 23 febbraio).

2 Statement relating to defence expenditure del 16 febbraio 1937 (Cmd. 5374).

3 Vedi D. 137.

4 Kintomo Mushakoji.

5 Vedi D. 184.

che, in realtà, la Germania, almeno per ora, non si propone alcun programma di rivendicazione occidentale.

Goering è tornato e promettomi di vederlo appena possibile. Frattanto la stampa, per quanto sempre senza prenderla di punta, continua a tenere desta la questione.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1322/102 R. Berlino, 23 febbraio 1937, ore 21,45 (per. ore 0,30 del 24).

Mio telegramma n. 02 per corriere 1 .

Quest'oggi, attraverso ambasciata tedesca a Londra, è arrivata a questo ministro Affari Esteri una nota2 , datata del 20 ma consegnata ieri, a firma Strang, con cui Foreign Office sollecita una risposta alla nota Locarniana del 19 novembre3 .

Da un primo scambio di idee in materia, qui avuto, sembra prevalere il concetto che sia preferibile: l) non mandare le cose troppo in lungo; 2) entrare prossimamente nel vivo della questione, così da fissare bene le responsabilità.

Riferisco dettagli per corriere 4 .

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AGENTE CONSOLARE A MALAGA, BIANCHI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 485/1 R. Roma, 23 febbraio 1937, ore 23,30.

Autorizzo Suo intervento privato presso codeste autorità ai fini di consigliare serenità di giudizio e moderazione 5 . Naturalmente V.S. non dovrà interferire in quei provvedimenti che ad autorità nazionali apparissero opportuni per preservare la sicurezza e l'ordine pubblico in codesta città. Mi riferisca circa Suo operato e ripercussioni sia presso autorità che nei riguardi della popolazione 6 .

1 T. per corriere 1212/02 R. del 16 febbraio. Attolico aveva riferito che il suo collega britannico gli aveva chiesto se ora che il Belgio aveva risposto-il 12 febbraio-alla nota britannica su Locarno dell9 novembre, anche l'Italia e la Germania avrebbero fatto altrettanto. Ciò che, notava Attolico, era sintomatico di un rinnovato interesse di Londra ad un patto occidentale.

2 Vedi DDT., serie C, vol. VI, D. 223, allegato.

3 Vedi p. 69, nota 2.

4 Non rintracciato.

5 L'agente consolare a Malaga, Bianchi, aveva telegrafato (T. segreto 1329/13 R. del 23 febbraio) che la «crudele, severa repressione» effettuata dalle autorità nazionali stava provocando «un enorme fermento» nella popolazione ed aveva chiesto di essere autorizzato ad intervenire privatamente per ottenere una sospensione delle esecuzioni.

6 Con T. segreto 1370114 R. del 25 febbraio, Bianchi comunicava di avere cominciato ad agire nel senso indicato e di avere già ottenuto la sospensione di alcune pene capitali, ciò che aveva dato luogo a «entusiastiche dimostrazioni di gratitudine».

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCITORI A BUENOS AIRES, GUARIGLIA, E A SANTIAGO, MARCHI, AL MINISTRO A MONTEVIDEO, S. MAZZOLINI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, MENZINGER

TELESPR. RISERVATO PERSONALE 205868/C. Roma, 23 febbraio 1937.

Il R. Ambasciatore in Buenos Aires ed il R. Ministro in Montevideo hanno recentemente riferito in merito alla situazione creata nei rispettivi Paesi dall'approssimarsi delle elezioni alla Presidenza della Repubblica, ed hanno ambedue esposto come tale situazione si presenti per ora incerta non solamente in quanto ai risultati ma anche in quanto alle eventuali candidature e ai metodi di lotta che saranno usati. Hanno aggiunto che la battaglia si prevede in ambedue i Paesi abbastanza vivace: per quanto riguarda l'Argentina essa è complicata dalla esistenza colà della minaccia di formazione di un Fronte Popolare tra i partiti di sinistra.

Il R. Ministero segue con viva attenzione lo sviluppo della situazione interna in Paesi come l'Argentina, il Brasile, il Cile o l'Uruguay dove l'elemento italiano ha avuto ed ha, direttamente o indirettamente, una influenza notevole nella vita del Paese, e si rende conto come l'avvicinarsi delle elezioni presidenziali provochi costà un fermento che si ripercuote in tutti gli strati della popolazione.

È appunto in occasione di un simile fermento che si può forse sperimentare o per lo meno esaminare quale «effettiva» influenza abbiano gli elementi italiani nella vita politica di codesto Paese, e si può saggiare la possibilità di servirsi eventualmente di essi per influenzare in un senso o nell'altro le correnti della opinione pubblica locale.

Pur rendendomi conto della difficoltà e della delicatezza di un simile esame, prego l'E.V. volermi cortesemente far conoscere il Suo pensiero in merito, portando a mia conoscenza tutti quegli elementi in suo possesso che possano contribuire a mettere in chiaro come e sino a qual punto sia possibile pensare ad utilizzare le collettività italiane di codesto Paese per svolgere costà un'attività che possa non solamente limitarsi ai campi puramente culturali o commerciali, ma possa anche tener conto dell'apporto di sangue e di attività che la nostra emigrazione ha -a suo tempo -quasi gratuitamente donato ai Paesi dell'America Latina 1•

t Per la risposta da Buenos Aires si veda il D. 497.

Da Santiago, l'ambasciatore Marchi rispondeva che gli emigrati italiani non sembravano in grado di avere un ruolo di qualche rilievo nella vita politica cilena, mentre i nati in Cile, che la legge considerava cittadini cileni a tutti gli effetti, subivano sempre di più l'influenza dell'ambiente in cui vivevano (telespresso 1732/168 del 9 aprile).

L'incaricato d'affari a Rio de Janeiro, Menzinger, faceva presente che l'elemento italiano, compresa la generazione dei nati in Brasile, era rimasto estraneo alle lotte politiche del Paese e che un'azione unitaria appariva molto difficile dato il gran numero di partiti ed il loro carattere locale. Delle prospettive interessanti poteva forse offrire il movimento integralista, ma occorreva che prima si chiarissero meglio i suoi caratteri e le sue reali possibilità di successo (telespresso 908/276 del 3 maggio).

La risposta da Montevideo non è stata rinvenuta.

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L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1357/148 R. Salamanca, 24 febbraio 1937, ore 16,40 (per. ore 19,20).

Riferimento telegramma di V.E. n. 141 1 .

A mia domanda, governo risponde quanto segue: Negli ultimi giorni da baschi di Bilbao sono pervenute a Franco missive ripetute ma vaghe e ufficiose per insinuare possibilità accordo. Nulla però, di responsabile e preciso. Frattanto azione militare in corso davanti Oviedo ha provato che ripetuti attacchi contro detta città sono condotti da varie migliaia di soldati forniti da baschi. Se sconfitta rossa fosse completa si spera ripercussione e demoralizzazione di Bilbao. In tal caso sarebbe forse da attendersi caduta del così detto governo di Bilbao e nomina di nuovo governo dal quale potrebbe essere avanzata domanda formale di resa. Questa è situazione odierna.

Questo governo ritiene che centro del movimento dei baschi favorevoli alla resa trovasi a Parigi diretto dall'ex ministro Picareairr proprietario del giornale basco di Parigi che avantieri pubblicò articolo invocando generale cessazione ostilità da parte basca. Questo governo spera che R. Ambasciata Parigi, mediante abili informatori, possa riuscire fare avvicinare indirettamente anzidetto Picareo onde conoscere verità sulla prossimità o meno della domanda di resa. Mi si assicura che nell'ambiente del giornale basco di Parigi sarà presa decisione fare domandare o meno cessazione ostilità 2 .

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 1365/86 R. Washington, 24 febbraio 1937, ore 20,44 (per. ore 7,15 del 25).

In questi giorni stampa viene presentando notizie che ci riguardano in modo specialmente ostile. Particolarmente questioni Romania 3 , attacco r,inema-

I Vedi D. 188.

2 Il documento ha il visto di Mussolini.

3 Si riferisce alle polemiche provocate dalla partecipazione del ministro Sola (e dei suoi colleghi di Germania e di Portogallo) ai funerali-il 13 febbraio a Bucarest-di due volontari romeni caduti nelle file dell'esercito di Franco. L'episodio aveva dato luogo a vivaci reazioni della stampa romena e lo stesso presidente del Consiglio, Tatarescu, aveva dichiarato alla Camera che quanto avvenuto costituiva una grave infrazione agli usi internazionali e poneva in giuoco la dignità della Romania. L'incidente si chiudeva soltanto il 9 marzo con uno scambio di lettere in cui da parte italiana si dichiarava che il ministro Sola aveva agito di sua iniziativa e senza alcuna intenzione di ingerirsi negli affari interni della Romania.

tografo Shanghai 1 , invito Inghilterra a Tafari2 e avvenimento Addis Abeba3 vengono sfruttati.

In quest'ultimo riguardo, stampa riferisce specialmente corrispondenze romane che autorità coloniali e squadre Camicie Nere, agendo per ordine diretto Duce, abbiano fatto esecuzione sommaria e arbitraria di grande massa di indigeni non essendo riuscite scoprire autori attentato. Nessuna parola di esecrazione per attentato stesso, che si dà impressione essere episodio insofferenza occupazione italiana. Nostra reazione sarebbe determinata da nervosismo ed incertezza di fronte a questa situazione.

Permettomi suggerire opportunità comunicato che presenti situazione in vera luce ovvero fornire notizie che consentono questa ambasciata farlo 4 .

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1376/439. Parigi, 24 febbraio 1937 (per. il 26).

I discorsi pronunziati lunedì scorso 5 , all' American Club di Parigi, dall'on. Blum e dal signor Bullitt, ambasciatore degli Stati Uniti in Francia, hanno destato il più vivo interesse in questi ambienti politici e finanziari. Nelle parole del signor Bullitt si sono voluti scorgere i primi assaggi di un'iniziativa americana in favore dell'abbassamento delle barriere doganali e della limitazione degli armamenti. E l'iniziativa sarebbe tanto più degna di rilievo in quanto modificherebbe sensibilmente l'atteggiamento isolazionista finora sostenuto dal Presidente Roosevelt relativamente agli affari europei. Bullitt, nel suo discorso di cui unisco il testo in allegato 6 , ha dichiarato tra l'altro quanto segue:

«Noi speriamo rimanere estranei alla guerra ma sappiamo anche che è sempre possibile che una Nazione sia così insensata da trascinarci ad essa. Pertanto, indipendentemente dall'interesse che abbiamo, come esseri umani, alla conservazione di questa civilità di cui siamo i discendenti, noi abbiamo interesse al mantenimento della pace e crediamo che i due soli terreni sui quali possiamo prestare la nostra collaborazione agli altri Paesi -con l'intera approvazione del popolo americano sono quelli dell'abbassamento delle barriere commerciali e della limitazione degli armamenti ... Noi crediamo che, a meno che il commercio mondiale non sia liberato

I Il 20 febbraio, un gruppo di marinai italiani aveva fatto irruzione in un cinema di Shanghai dove veniva proiettato un film sovietico su la guerra d'Etiopia di impostazione ostilissima all'Italia e aveva semidistrutto il locale. Ne era seguito uno scambio di note di protesta tra il governo italiano, che aveva deplorato il permesso dato alla proiezione del film, ed il governo cinese, che aveva chiesto la punizione dei colpevoli ed il risarcimento dei danni. L'episodio aveva avuto larga eco nella stampa internazionale e soprattutto in quella americana.

2 Per le cerimonie dell'incoronazione di Giorgio VI. Vedi D. 191.

3 Vedi p. 239, nota l.

4 Si veda per il seguito il D. 207.

s 22 febbraio.

6 Non pubblicato.

dalle barriere che attualmente lo comprimono, le difficoltà economiche possono condurre i popoli alla disperazione ... e sappiamo che alcune grandi nazioni si sono ancora più immerse in regimi economici chiusi che non possono causare che conflitti armati ... La resurrezione dell'economia mondiale marcia di pari passo con il problema della limitazione degli armamenti. È impossibile restaurare la prosperità mondiale quando alcune Nazioni sono occupate a rovinare le loro posizioni economiche col partecipare ad una corsa agli armamenti . .. Come abbiamo fatto in passato, siamo pronti anche per l'avvenire a partecipare a conferenze per la limitazione degli armamenti e crediamo che l'inizio della pace nel mondo può essere trovato in un'azione simultanea per la ripresa del commercio internazionale e la limitazione degli armamenti».

A Parigi si ritiene che il discorso di Bullitt ha avuto la preventiva autorizzazione del Presidente Roosevelt, al quale sarebbe stato anzi letto per telefono, e che non può quindi negarsi al discorso stesso il carattere di un'azione intesa a ridar vita alle proposte che Eden 1 e Blum2 rivolsero in gennaio ad Hitler e che questi respinse col suo discorso del 30 gennaio3 . È comunque evidente che, nell'atmosfera di gravi preoccupazioni ed incertezze che caratterizza la situazione politica francese, le parole di Bullitt hanno trovato una pronta rispondenza nelle speranze che la Francia ripone nell'aiuto della grande democrazia americana.

Le probabilità di un ritorno attivo degli Stati Uniti alla politica europea sono qui scontate come nettamente favorevoli alla causa francese e se ne vuole trovare la conferma nelle parole con cui Bullitt ha dichiarato che il popolo americano «nutre una simpatia profonda e persistente per le Nazioni nelle quali l'uomo resta libero e può sostenere la verità quale egli la vede».

Quali possano essere gli sviluppi concreti di questa presunta iniziativa americana è prematuro affermare. È opportuno, certo, tener presente che l'on. Blum sin da quando assunse il potere si è adoperato a ridar vita all'ideologia dell'accordo tra le tre grandi democrazie francese, inglese ed americana, riuscendo a conseguire in questo campo il consenso pressoché unanime di un'opinione pubblica preoccupata dal crescente disgregamento del sistema politico creato dalla Francia a Versailles e a Ginevra. L'accordo monetario tripartito 4 , che fu presentato come una prova della solidarietà fra i tre Paesi, l'invio a Washington del nuovo ambasciatore, sig. Bonnet, con missione di lavorare ad una più intima collaborazione economica e commerciale tra Francia ed America e, per ultimo, il prestito concesso dall'Inghilterra alla Francia sono stati messi in rilievo come manifestazioni della crescente affinità tra le tendenze politiche ed economiche delle tre democrazie, malgrado che rivelino, innanzi tutto, l'urgente necessità della Francia di crearsi nuovi appoggi politici e finanziari.

Ma, a prescindere dai risultati cui la Francia può essere -sin qui -pervenuta con questo suo orientamento verso i Paesi anglo-sassoni, è certo che l'auspicato ricorso ad una politica economica liberista, quale è quella adombrata dal sig. Bullitt

l Vedi p. 130, nota 3.

2 Vedi D. 95.

3 Vedi DD. 105 e 125.

4 Accordo tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia reso pubblico il 26 settembre 1936 (vedi serie ottava, vol. V, p. 129, nota 2).

250 e rilevata dall'on. Blum nel suo discorso di risposta, è, per quanto riguarda la Francia, resa difficile dalla stessa politica economica e finanziaria che l'attuale governo è costretto ad esplicare sotto la pressione delle masse operaie e del partito comunista.

Il Presidente del Consiglio sarebbe personalmente incline a favorire gradualmente il ritorno a sistemi economici !iberisti, come mi assicurava, giorni or sono, il signor Alphand, direttore degli Affari Commerciali al ministero del Commercio, ma non vedo come ciò potrebbe verificarsi nelle attuali dissestate e precarie condizioni economiche del Paese.

È bensì vero che nel discorso pronunziato domenica a Nantes l'on. Blum ha accennato alla possibilità di un abbassamento delle tariffe doganali ma l'allusione aveva carattere soprattutto polemico e suonava come una minaccia verso quegli industriali che il Fronte Popolare accusa di sabotare la ripresa economica ed ostacolare l'evoluzione sociale intrapresa dal governo. Che l'argomento fosse di pessima lega lo prova l'ovvia considerazione che il danno recato all'industria od alla agricoltura attraverso una diminuzione della protezione doganale di cui esse godono attualmente implicherebbe, per gli operai e i contadini, disoccupazione o accettazione di salari inferiori.

Privo della collaborazione del capitale e costretto a soddisfare le crescenti pretese delle masse l'on. Blum è, in realtà, sospinto verso una politica economica sempre più socialistica e pertanto sempre meno liberale. Le parole quindi che il presidente del Consiglio ha pronunziato in risposta all'ambasciatore degli Stati Uniti esprimono più una platonica aspirazione che una concreta possibilità di azione.

«Noi sappiamo-egli ha detto-che esiste una connessione indissolubile tra l'intesa degli Stati per la riduzione degli armamenti e la loro intesa per la ripresa e la riorganizzazione degli scambi commerciali. Senza la pace politica la cooperazione economica è impossibile; senza la cooperazione economica la pace politica rimarrebbe precaria e vana».

Sul piano politico interno queste frasi rimangono -come si è detto -prive di efficacia concreta; sul piano della politica estera esse significano che il governo francese ha preso atto delle dichiarazioni americane ed attende di constatare qual'è il loro grado di vitalità, coltivando naturalmente la speranza che da un eventuale sviluppo dell'iniziativa americana possa venire, direttamente o indirettamente, qualche rimedio alle gravi difficoltà nelle quali esso si dibatte.

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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO URGENTE RISERVATO 817/400. Vienna, 24 febbraio 1937 (per. il 27).

Le conversazioni avute con Schuschnigg, Schmidt, von Neurath e von Papen, durante e dopo le due giornate di lunedì e martedì, -ho veduto a lungo Schuschnigg anche oggi -, mi consentono di precisare lo svolgimento e il contenuto dei colloqui svoltisi in occasione della visita del ministro degli Affari Esteri del Reich a Vienna.

Von Neurath ha avuto un primo colloquio con Schuschnigg e Schmidt, alla presenza di von Papen, nella mattinata di lunedì 22 corr. Ha conferito con Schmidt, pure alla presenza di von Papen, nel pomeriggio dello stesso giorno. Un colloquio a quattro occhi tra Schuschnigg e Neurath si è svolto nella mattinata di martedì 23, seguito da una nuova conversazione a quattro. Una breve conversazione tra Neurath e Schmidt ebbe luogo nel pomeriggio di martedì per la approvazione definitiva del comunicato. Tutte queste conversazioni sono state rapide, relativamente brevi.

Nessun programma era stato predisposto per i colloqui. Non ne è stato redatto nessun resoconto né promemoria.

Esecuzione dell'Accordo dell'Il luglio. -I passi contenuti in proposito nel comunicato ufficiale rispondono esattamente, nel merito e nella forma, alla sostanza dei colloqui. Nessuna parola è caduta, dall'una parte o dall'altra, a diminuire il valore attribuito da ambedue le parti all'accordo. È stato riconosciuto che la attuazione graduale, per certe parti anche lenta, era giustificata dalle difficoltà della situazione, dopo così lungo ed aspro periodo di lotte, e dal carattere complicato di alcune delle questioni da regolare o risolvere.

Politica estera e politica interna. -Schuschnigg ha tenuto fin dal princ1p10 distinta la politica estera dalla politica interna. Nella politica estera l'Austria non trovava alcuna difficoltà a seguire la linea generale della politica estera della Germania, in quanto, come era precisato anche nell'Accordo dell'Il luglio, questa tendeva alla conservazione e assicurazione della pace. In questa condotta l'Austria, fedele in ogni caso ai suoi impegni verso l'Italia e l'Ungheria provenienti dai Protocolli di Roma, era facilitata se e sino a quando funzionassero gli Accordi tra la Germania e l'Italia, ai quali per tal modo era riconosciuta grande importanza anche nei rapporti austro-germanici.

Nella politica interna, Schuschnigg tenne invece a dichiarare l'impossibilità in cui si trovava ad ammettere, per ragioni ideologiche e per precise disposizioni della Costituzione, alcuna propaganda, diretta o indiretta, a favore del nazionalsocialismo. Lo stesso valeva per la politica culturale. L'unico modo di assicurare l'ulteriore efficacia dell'Accordo dell'Il luglio era, dunque, di tenerne presente il carattere esclusivamente interstatale e di considerare come legittima conseguenza della riconosciuta sovranità ed indipendenza dell'Austria l'assoluta esclusione di ogni ingerenza non solo del Governo germanico, ma anche del Partito nazionalsocialista nelle cose interne austriache.

In relazione a ciò va rilevato in particolare:

a) Avendo von Neurath accennato alle manifestazioni naziste in occasione del suo arrivo a Vienna 1 e avendo chiesto che non fossero puniti gli arrestati in tale incontro, Schuschnigg dichiarò che aveva già disposto perché fossero rilasciati, senza alcun procedimento penale o di polizia, gli arrestati per manifestazioni di saluto all'ospite, anche se eccessive; ma che le dimostrazioni successive all'arrivo e che

l Vedi p. 238, nota 4.

avevano avuto un'evidente tendenza contro il regime austriaco, sarebbero state fatte oggetto di regolare procedimento punitivo in sede penale o in sede di polizia.

b) Avendo von Neurath chiesto notizie sui contatti che negli ultimi tempi si erano avuti tra elementi «nazisti» moderati e nazionali, Schuschnigg aderì a parlame in via del tutto amichevole, ma nel tempo stesso chiese che fossero fatte cessare inframmettenze illecite e rapporti non corretti tra funzionari della legazione del Reich e gruppi «nazionali» interni. Von Neurath, in presenza di von Papen, deplorò tali ingerenze e tali rapporti di cui sono state offerte precise indicazioni, e assicurò che avrebbe provveduto con il massimo rigore. L'astensione da ogni inframmettenza della legazione e del Partito nazionalsocialista nelle cose interne dell'Austria è stata dichiarata da Schuschnigg come una condizione anche per il successo di ogni opera di pacificazione interna, che il Cancelliere avrebbe proseguito indipendentemente dagli incidenti occorsi in occasione della visita. A proposito dei quali von Neurath nell'ultimo colloquio con Schmidt ebbe, in presenza di von Papen, giudizi molto severi, dicendo, tra altro, che aveva compreso in questi due giorni quanto dovessero essere difficili i rapporti tra il Governo e alcuni elementi «nazionali».

c) Avendo von Neurath comunicato che alcuni capi dei gruppi nazisti austriaci gli avevano chiesto di essere ricevuti da lui, bastò che Schuschnigg alludesse all'inopportunità di tale udienza, perché von Neurath rifiutasse senz'altro di ricevere quelle persone. Ricevette, invece, d'accordo con il Cancelliere, in breve visita, il ministro federale Glaise-Horstenau, che conosceva da tempo e che in passato gli aveva fatto visita a Berlino.

Legittimismo e restaurazione absburgica. -Questo problema fu al primo posto negli argomenti delle conversazioni. Fu affrontato da von Neurath nel primo colloquio con Schuschnigg. Vi ritornò di sua iniziativa Schuschnigg nel colloquio a due di martedì per chiarire meglio il suo punto di vista.

Senza dirlo espressamente, von Neurath fece comprendere che aveva avuto incarico dallo stesso Fiihrer di parlarne. A me von Neurath lo disse in modo esplicito. A Schuschnigg e Schmidt mostrò di essere impressionato dalle interpretazioni date all'estero alle dichiarazioni fatte in proposito dal Cancelliere nel suo discorso del 14 corr. 1 , come se si fosse alla vigilia di una decisione dell'Austria a favore della restaurazione monarchica. Chiese in forma amichevole chiarimenti in proposito. Dichiarò che, a prescindere da ogni presa di posizione pro o contro la monarchia, la Germania non avrebbe potuto essere indifferente al ritorno di un Absburgo sul trono dell'Austria. E ciò in primo luogo perché aveva ragione di preoccuparsi che un Absburgo avrebbe a lungo andare compromesso il permanere dell'Austria nella linea di politica estera conforme all'impegno preso nell'Accordo dell'Il luglio quale Stato tedesco; in secondo luogo, per riflessi che la restaurazione absburgica in Austria avrebbe potuto esercitare nella Germania meridionale e specialmente in Baviera, turbando così lo svolgimento della politica unitaria della Germania nazista; in terzo luogo, perché la restaurazione in Austria avrebbe provocato complicazioni gravi nei rapporti con gli Stati della Piccola Intesa e recato elementi perturbatori nella ricostruzione politico-economica dell'Europa centrale.

l Vedi p.238, nota 3.

Il Cancelliere diede al suo discorso recente la interpretazione già da me ripetutamente riferita (ultimamente nel telegramma n. 49 del 24 corr.) 1 . In massima dichiarò:

a) che doveva tener fermo al principio universalmente riconosciuto che la forma di governo, spettando agli attributi essenziali2 della sovranità dello Stato, ogni deliberazione in proposito apparteneva alla politica interna dello Stato, con esclusione d'ogni ingerenza e influenza di Stati esteri, e che questo valeva in particolare per la Germania proprio in forza dell'Accordo dell'Il luglio;

b) che egli intendeva di rimanere fedele all'impegno assunto nell'Accordo stesso circa le basi della politica estera austriaca quale Stato tedesco e che nulla giustificava, nel passato, la diffidenza in proposito manifestata verso la Casa d'Austria, diffidenza, contro la quale, ad ogni modo, si sarebbe potuta al caso trovare qualche più concreta garanzia;

c) che le sue recenti dichiarazioni, !ungi dall'indicare in alcun modo come di prossima attualità una risoluzione del problema, e ciò sopra tutto per ragioni interne, dovevano offrire una maggiore tranquillità, in quanto rivendicavano allo Stato, contro ogni altra iniziativa anche dello stesso pretendente, ogni diritto di decisione, onde doveva dichiarare esclusa ogni sorpresa ed ogni esperimento, talché le sue dichiarazioni, !ungi dall'apparire allarmanti, dovevano essere considerate come un mònito contro ogni spirito di avventura e come una maggiore garanzia;

d) che si faceva torto alle sue anche più modeste qualità di uomo di Stato e al suo senso di responsabilità, se lo si riteneva capace di precipitare la soluzione del problema dinastico nel pericolo di complicazioni interne o internazionali; per cui aveva sempre in animo, quando il problema fosse divenuto veramente «attuale», di prendere contatto con tutti i vicini e in particolare con Roma e Berlino;

e) che, non facendo mistero della sua personale fede monarchica, non avrebbe tollerato una propaganda contraria che si fondasse su mistificazioni storiche

o insulti contro la Casa d'Absburgo; riconoscendo che negli ultimi tempi lo sviluppo del movimento monarchico era stato soprattutto una reazione a tale campagna in Germania e insieme rispondeva alla preoccupazione di ricercare nella monarchia una più efficace tutela dell'indipendenza dello Stato, ogni qualvolta possa apparire che l'Accordo dell'Il luglio, come inteso e praticato specialmente da organi del Partito nazionalsocialista, non offra in proposito adeguata sicurezza.

Nel corso della breve discussione, Schuschnigg chiese, in via del tutto subordinata, se la scelta di altra dinastia, per esempio dei Wittelsbach, eliminerebbe le obiezioni della Germania al ristabilimento della monarchia in Austria. Al che von Neurath dovette rispondere che, in verità, in tal caso, proprio per riguardo alla Baviera, l'opposizione permarrebbe.

A vendo Schuschnigg rilevato che un carattere antigermanico è conferito al movimento legittimista dalla conversione francese alla causa absburgica in Austria -conversione senza colpa e senza merito dell'Austria -, von Neurath insistette sulle opposizioni della Piccola Intesa, al che Schuschnigg obiettò che tali opposizioni

l Riferimento errato. Si veda in proposito il D. 187. 2 Sic.

254 stanno per attenuarsi, a meno che la Germania non si valga dei suoi migliorati rapporti con qualcuno degli Stati della Piccola Intesa per riaccenderle.

V o n N eura th accennò in questo nesso che anche tra gli amici dell'Austria vi erano avversari al ristabilimento degli Absburgo. Gli austriaci riferirono l'allusione a noi, ma non insistettero. A me von Neurath accennò espressamente a dichiarazioni fatte recentemente da V.E. a von Hassell.

Ad un certo punto, von Papen propose che il Cancelliere assumesse un impegno scritto nel senso del punto di vista germanico. Il Cancelliere rifiutò nettamente. Von Neurath lasciò cadere l'iniziativa di von Papen. E nell'ultimo colloquio a due si limitò a dire che egli credeva di aver raggiunto il suo scopo, e adempiuto il suo incarico, comunicando al Cancelliere il punto di vista del Governo germanico, e che credeva di poter essere tranquillo contro ogni sorpresa. Aggiunse che anche in Germania c'era, se pure meno esteso o meno evidente, un movimento legittimista che forse avrebbe avuto un più o meno lontano sviluppo, ma che per ora non era considerato conciliabile con i superiori e urgenti problemi della vita nazionale. Come la Germania, poteva anche l'Austria accantonare e differire questo problema.

Taluni credono che Hitler avesse dato a von Neurath l'incarico di esigere un impegno scritto e che tra von Neurath e von Papen si fossero divise le parti. Se così fosse, la missione di von Neurath non avrebbe in questo punto avuto successo. La immediatezza con cui von Neurath lasciò cadere, senza alcuna insistenza, la mossa di von Papen, parlerebbe contro questa ipotesi. E però sarebbe del tutto giustificata la dichiarazione, fatta anche a me da von Neurath, di essere stato soddisfatto delle spiegazioni dategli da Schuschnigg.

Schuschnigg e Schmidt mi hanno vivamente pregato di confidare loro ogni informazione che potessi avere su questo punto, e sull'accoglienza che sarà fatta dal Fiihrer a questa, come ad ogni altra parte, della relazione che von Neurath gli ha presentato, oggi stesso, a Monaco sulla visita a Vienna.

Altri problemi internazionali. -Nel giro d'orizzonte fatto in queste conversazioni austro-germaniche di Vienna, mi sembrano di particolare interesse i seguenti accenni di von Neurath:

a) impegno di azione parallela e concorde italo-germanica in !spagna, con la tendenza ad affrettare una soluzione e a disimpegnarsi al più presto per poter più liberamente affrontare gli altri problemi europei urgenti e taluni minacciosi;

b) opportunità che l'Austria riconosca al più presto il Governo di Franco. Fu von Papen a richiedere una dichiarazione immediata del Governo austriaco. Schmidt oppose che nell'attuale stadio delle cose spagnole il riconoscimento dell'Austria, piccolo Stato, non avrebbe alcun effetto e sarebbe sprecato. Essere più opportuno attendere un successo alquanto più importante dei nazionali per sottolinearlo con il riconoscimento combinato da parte dei Governi di Austria e d'Ungheria. Von Neurath aderì a questo punto di vista di Schmidt, approvato dal Cancelliere. Qualora il Governo rosso ritentasse di far accreditare a Vienna un proprio incaricato d'Affari, il Governo federale, richiamandosi alla propria neutralità, rifiuterebbe;

c) nessuna tendenza aggressiva della Germania verso la Russia, a cui Berlino non pensa di muover guerra, preferendo di attendere lo sviluppo interno di quel Paese verso una forma sempre più accentuata di despostismo asiatico;

d) sempre maggiore intensificazione della lotta contro il comunismo, adeguata alle condizioni dei vari Paesi; ma con accordi permanenti sui mezzi tecnici di tale lotta;

e) sistematica azione della Germania (parallelamente a quella dell'Italia) per rompere la compagine della Piccola Intesa. Scopo principale di questa azione germanica: isolare la Cecoslovacchia, verso la quale la Germania mantiene «un atteggiamento negativo» in onta degli sforzi cecoslovacchi di un avvicinamento a Berlino. Svalutamento delle concessioni fatte di recente da Hodza agli attivisti tedeschi, partecipi della maggioranza ministeriale cecoslovacca, contro il partito di Henlein, con il quale Berlino ha diretti contatti. Previsioni, forse troppo ottimistiche, di von Neurath sui risultati di eventuali nuove elezioni a favore del partito di Henlein;

f) nessuna prospettiva del Patto collettivo occidentale. Unica via da seguire: patti singoli bilaterali di garanzia, col Belgio, eventualmente con la Francia;

g) gravità del piano di armamenti inglesi ~ considerato da von Neurath come il fatto più preoccupante della politica internazionale dal 1914 in poi. Preoccupazione per i rapporti tra Italia e Inghilterra, che sembrò agli interlocutori austriaci esagerata, a tinte molto oscure, forse nell'intento di svalutare agli occhi degli austriaci il valore pratico dell'amicizia italiana nel prossimo avvenire.

Problemi culturali austro-germanici. -Era stato preannunziato anche ufficiosamente che nel corso della visita di von Neurath sarebbero stati affrontati i problemi dei rapporti culturali tra i due Stati in relazione all'Accordo dell'Il luglio. Durante la visita di Schmidt a Berlino era stata concordata la costituzione di un Comitato culturale misto austro-germanico. La costituzione non aveva avuto luogo sinora e non s'era perciò potuto preparare il materiale per la soluzione pratica dei vari problemi. Perciò si è all'ultimo momento deciso di non gravare di tale argomento le conversazioni tra i ministri e di convocare il Comitato misto subito dopo la visita di von Neurath. Il Comitato la cui composizione dall'una parte e dall'altra presenta ogni migliore garanzia di serietà e prudenza, è convocato per domani 25.

Von Papen avrebbe voluto che i ministri fissassero almeno il programma dei lavori e alcune direttive generali per le soluzioni. Anche questa proposta di von Papen non ha avuto successo. Non si è voluto compromettere l'azione del Comitato quale risulterà dall'esame concreto dei vari problemi pratici.

Gli austriaci guardano con diffidenza a questo lavoro, anzitutto per il timore, da me già segnalato, che sotto molte iniziative culturali si nasconda la propaganda politica; poi, per la difficoltà di conciliare, proprio sul campo della cultura, l'ideologia nazional-socialista con i principi cristiano-cattolici, su cui si fonda la vita pubblica dello Stato austriaco.

Non credo che si tenda alla conclusione di un accordo culturale vero c proprio. Col pretesto che tale accordo non è necessario tra due Stati appartenenti alla stessa cultura nazionale tedesca, Vienna tende a preferire ad impegni troppo generali e durevoli accordi limitati su singole questioni pratiche, di più facile controllo alla stregua dell'esperienza e di meno pericolosa denunzia o riforma.

Emigrazione e giornali. -Nessun allargamento ha subito l'ammissione di giornali dell'uno Stato nell'altro Stato. Restano immutate le molto ristrette liste stabilite subito dopo l' 11 luglio e nel convegno di Berlino del novembre.

Così non fu riconosciuto ancora maturo ad una soluzione più larga il problema del ritorno degli emigrati austriaci dalla Germania in Austria. Si consentì anche da parte germanica nell'opportunità dell'esame delle singole domande. Non si sono ancora potute risolvere praticamente le domande di coloro, il cui ritorno· nel convegno di Berlino era stato previsto per il natale scorso. Fu raccomandato da parte germanica e assicurato da parte austriaca un esame più sollecito delle domande ancora in corso. Difficoltà economiche, a causa della disoccupazione, prevalgono sulle ragioni politiche di una meno restrittiva pratica in questo campo.

Entro la cornice di un «programma minore di ospitalità» -come qui lo si è voluto chiamare, in paragone a quello per la visita di V.E. e di S.E. Kanya -, la visita di von Neurath a Vienna, se ha corrisposto a ciò che s'erano proposti i due Governi, ha deluso le più o meno sensazionali attese di coloro che le hanno poste in circolazione col proposito di svalutare, a traverso la mancata realizzazione di quelle fantasie, i concreti risultati del convegno.

Le più precise smentite sono state opposte, da Vienna e da Berlino, ai preannunzi di «ultimatum» che von Neurath avrebbe portato con sé, e alle costruzioni di nuovi patti e di nuove leghe o unioni doganali e politiche a due, a tre, a quattro.

Il convegno ha dato non più, ma neanche non meno di ciò che se ne poteva attendere. A traverso la riaffermazione che specialmente nelle manifestazioni orali del segretario di Stato Schmidt poté a taluni apparire anche troppo calorosa, dell'unità nazionale tedesca tra i due Stati, risultò rinsaldata la base dell'Accordo dell'Il luglio, ma anche il riconoscimento dell'indipendenza dell'Austria, a cui, nella risposta al saluto, in questo riguardo molto significativo, di Schuschnigg al pranzo al Belvedere, lo stesso von Neurath recò, forse involontariamente, un contributo suggestivo per gli austriaci nella rievocazione delle lotte comuni sostenute dai due popoli, in due Stati e due Eserciti indipendenti, nell'ultima grande guerra.

Gli stessi eccessi nazisti in una parte delle manifestazioni pubbliche recarono il loro frutto, sia nel giudizio intimo dell'ospite, sia nella limitazione di questi gruppi eccedenti di fronte alla stragrande maggioranza della città, sia specialmente nella reazione delle controdimostrazioni del Fronte Patriottico.

Bene operò Schuschnigg non cedendo alle suggestioni, pervenutegli molto insistenti, alla vigilia, da troppo zelanti consiglieri di parte cristianosociale, di sbarrare le vie che doveva percorrere il corteo dell'ospite, di reprimere violentemente ogni atto o grido che comunque accennasse al nazismo e al suo Fiihrer. Così l'ospite stesso ebbe la prova della larghezza del Governo federale, ma anche della mancanza di freni di questi gruppi facinorosi, reclutati anche a pagamento da troppo noti organizzatori con il proposito documentato di turbare la normalizzazione dei rapporti tra i due Stati e frustrare gli intendimenti di conciliazione del Cancelliere.

Ma in cospetto dell'ospite, questi gruppi locali di estremisti sperimentarono per la prima volta, prima e più del rigore della Polizia, la reazione energica dei nuovi gruppi d'azione del Fronte Patriottico, mobilitati forse con qualche ora di ritardo, ma certo con la prova che rispondevano con legittima difesa alle altrui provocazioni.

Da questo punto di vista, le giornate di lunedì e martedì possono dare qualche utile insegnamento per lo sviluppo della situazione interna di questo Paese, con un maggiore attivismo nel campo patriott:co, sì da ridurre nei veri termini le fantasie dell'onnipotenza degli estremisti del nazismo; sì da ristabilire fiducia ed equilibrio tra le forze del Fronte Patriottico; sì da segnare la via delle possibilità agli stessi elementi moderati tra i «nazionali».

Echi di disappunto non mancano qui e al di là del confine. Ma come lo stesso von Neurath non nascose all'ultima ora ai suoi interlocutori austriaci, si impone la necessità di ridurre al silenzio i facinorosi e gli esagitati in ogni campo, se si vuoi assicurare lo sviluppo di rapporti normali tra i due Stati, come sono segnati nell'Accordo dell' 11 luglio, come sono necessari e utili non solo all'Austria, ma anche alla Germania, come sono desiderabili per quanti, come noi, hanno necessità e interesse di evitare contraccolpi dannosi ai nostri stessi rapporti con l'uno e l'altro dei due Stati tedeschi.

Dobbiamo soprattutto compiacerci, a conclusione, che nulla di ciò che si è svolto in questi due giorni, nel segreto delle conversazioni diplomatiche o sulle vie e piazze della città o nelle colonne dei giornali dei due Paesi, abbia reso impossibile la prosecuzione dell'opera di riavvicinamento dei «nazionali» in Austria al Fronte Patriottico, secondo le linee tracciate, in seguito ai primi approcci, nel discorso del Cancelliere. Alla realizzazione di questo programma, da noi sempre appoggiato, molti temettero che la coincidenza della visita germanica in uno stadio ancora delicato delle trattative, potesse recare, con incidenti e reazioni, danno irreparabile. Così, per fortuna, non è stato. Come Schuschnigg mi ha ripetuto ancora oggi, egli, lasciati svanire per qualche giorno gli ultimi echi delle manifestazioni-e accertate responsabilità di alcune persone negli eccessi di esse -riprenderà le fila del suo piano, lieto di poter valersi in ciò ancora di quasi tutte le persone che nel campo «nazionale» si erano mostrate disposte a dargli la loro collaborazione per questo primo tentativo serio di pacificazione interna, e disposte rimangono, come so da buona fonte, malgrado o forse grazie agli stessi incidenti di questi giorni.

Confidiamo che polemiche giornalistiche o, peggio ancora, indiscrezioni fuori di qui, sull'uno o l'altro punto delle conversazioni diplomatiche, e in particolare in quello delicatissimo della restaurazione monarchica, non sopravvengano ad intralciare questa che è, a mio avviso, la premessa più urgente e più utile ad una effettiva, durevole normalizzazione dei rapporti tra l'Austria e la Germania, nell'interesse di entrambe e nell'interesse degli amici di entrambe.

200

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 505/97 R. Roma, 25 febbraio 1937, ore 24.

Suo telegramma 85 1 e Suo telespresso 377 2 . Come l'E.V. ha già fatto notare al signor Léger, il programma dei negoziati propostoci dal Quai d'Orsay è molto più largo di quanto previsto, in quanto non

I Vedi D. 167. 2 Non rintracciato.

si tratterebbe di sistemare la questione ferroviaria ma di affrontare tutta la sistemazione degli interessi italo-francesi nell'Africa Orientale.

Noi non ci rifiutiamo di discutere alcun problema; saremo anzi lieti di giungere possibilmente ad una sistemazione generale di tali interessi. Ma, per evidenti ragioni di praticità di negoziato, pare opportuno trattare e risolvere dapprima le questioni più urgenti, e quindi non (dico non) quelle di cui ai numeri cinque e seguenti, che potranno essere considerate invece successivamente. Noi assumiamo poi -l'E.V. vorrà informarne il signor Léger in relazione al numero uno del programma proposto -che, come è ovvio, quanto ha tratto alla concessione ferroviaria è cosa che riguarda il governo italiano e la Compagnia, e deve essere fra essi direttamente discusso e regolato.

Accettiamo che i negoziati si svolgano a Parigi, e, ove a codesto governo convenga, essi potrebbero avere inizio lunedì otto marzo p.v. Con l'occasione V.E. vorrà inoltre ripetere che da parte nostra non possiamo ammettere alcuna connessione tra tali negoziati e l'eventuale sistemazione degli interessi italo-francesi in Africa Orientale da un lato e il ritiro del contingente francese da Dire Daua dall'altro, contingente per cui sono da tempo cessate le ragioni che ebbero a motivarne l'invio in Etiopia. Com'è noto a V.E., la presenza di truppe straniere a Dire Daua ha già dato luogo ad incidenti. A parte ogni altra considerazione, ci attendiamo che esse siano ritirate nell'interesse stesso del chiarimento dei rapporti italo-francesi che da ambo le parti si desidera 1 .

201

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 876/277. Berlino, 25 febbraio 1937 (per. il 27).

Mio telegramma n. 1042 . Riassumo qui appresso la conversaziOne avuta con Goring in materia di riarmo inglese.

Già ieri -egli mi ha ricevuto appena 48 ore dopo il suo ritorno dalla Polonia -Goring mi aveva detto di riconoscere la «grandissima importanza» della questione così dal punto di vista italiano come da quello tedesco. Il riarmo inglese peraltro -ha aggiunto oggi il generale -era prevedibile, e non ha costituito per la Germania alcuna «sorpresa». L'Inghilterra era in arretrato sugli altri Paesi, sia in assoluto sia in relazione agli stessi programmi già annunziati (al riguardo Goring ha aggiunto qualche dato, specie per quanto riguarda l'aviazione).

1 Si veda, per il seguito, il D. 210.

2 T. 1373/104 R. del 25 febbraio. L'ambasciatore Attolico comunicava di avere esaminato con Goring la situazione venutasi a creare con il riarmo britannico. La conversazione -su la quale avrebbe riferito dettagliatamente per corriere -lo aveva confermato nella convinzione che la Germania, avendo ormai raggiunto il limite delle sue possibilità in materia di armamenti, non avrebbe risposto in alcun modo al riarmo britannico.

La considerazione, tuttavia, che il riarmo inglese fosse prevedibile ed atteso (la novità vera riducendosi in fondo al fatto che la Inghilterra si è trovata nella necessità di rivelarlo e di annunziarlo) non toglie ch'esso costituisca uno «sforzo gigantesco», tanto più temibile in quanto compiuto da un Paese che ha risorse economiche sufficienti per poterlo portare fino in fondo ed eventualmente persino rinforzarlo. (Uno degli effetti immediati, intanto, dell'annuncio del programma inglese di riarmo è stato il rincaro di parecchie materie prime seguito ai forti accaparramenti delle medesime fatti sul mercato mondiale dalla Gran Bretagna. Il che, naturalmente, costituisce un nuovo inciampo allo svolgimento dei programmi di riarmo degli altri).

Il punto debole dell'Inghilterra rimane sempre quello degli uomini e dei quadri. Ma bisogna pur riconoscere che, mentre questo è un fattore limitativo importante per quanto riguarda gli armamenti terresti, non lo è affatto, e non lo è altrettanto, per quanto riguarda gli armamenti navali e quelli aerei.

Il generale Goring è quindi passato a esaminare gli aspetti così tecnici come politici del riarmo inglese.

Aspetto tecnico. Per la Germania, il programma inglese ha una portata interessante soprattutto il campo aereo e navale. Per l'Italia, esso interessa anche dal punto di vista terrestre, in guanto la obbliga alla formazione di «corpi di spedizione» attrezzati per possibili operazioni anche contro l'Egitto, il Sudan. ecc.

Aspetto politico. Il riarmo inglese è diretto principalmente, si potrebbe dire esclusivamente, contro l'Italia e contro la Germania, singolarmente o insieme a seconda -soltanto -delle circostanze. Contro l'Italia, in quanto l'Inghilterra vuole col proprio riarmo, mettere un limite definitivo e perentorio a possibili cedimenti propri di fronte a nuove esigenze italiane. L'Italia può ora essere sicura che se -rebus sic stantibus -si trovasse coinvolta in un conflitto essa avrebbe contro di sé l'Inghilterra. La posizione geografico-politica, che l'Inghilterra intende soprattutto rafforzare sì da renderla inattaccabile, è senza dubbio il Mediterraneo, gli aumenti e i rafforzamenti nelle basi orientali avendo, di fronte a questo. un valore indubbiamente secondario.

Nei riguardi della Germania, il riarmo inglese significa la sua decisa volontà di opporsi a quelle che potrebbero essere le cause di conflitto «tedesche» e cioè, nell'ordine:

a) una qualunque violazione delle frontiere cecoslovacche che, mettendo in gioco l'alleanza ceco-francese, e quindi determinando l'entrata in guerra della Francia, renderebbe praticamente sicura, se non automatica, la solidarietà dell'Inghilterra;

b) idem idem per un conflitto «orientale» a base di trattato franco-sovietico;

c) rivendicazioni -ma queste in terza linea -coloniali tedesche.

Di fronte a queste come ad altre questioni, l'Inghilterra mira -col suo riarmo -ad acquistare una situazione di tale preponderanza da togliere ai suoi possibili avversari ogni velleità di tentare la partita.

Riprendendo il filo logico della sua esposizione, Goring ha quindi ulteriormente insistito che il riarmo inglese non deve intendersi diretto, per il momento almeno, contro altre Potenze che non siano l'Italia e la Germania. Esso potrebbe essere, all'occorrenza, anche «utilizzato» contro terzi, ma è inteso e compiuto contro queste due Nazioni.

E qui, riferendosi evidentemente a conversazioni avute a Roma, Goring ha aggiunto essere sicuro che il Duce, se anche avesse avuto prima una qualunque esitazione a impostare due nuove grandi unità navali da battaglia, (in modo da portarne il numero complessivo a otto), ora non ne avrà certo nessuna. Quanto all'aviazione, il programma inglese richiederà presumibilmente da parte nostra un ulteriore allargamento del raggio d'azione della nostra flotta aerea sì da coprire tutto il Mediterraneo fino a, e compreso, Gibilterra.

Per quanto riguarda la Germania la situazione è molto netta. La minaccia inglese -è vero-ha carattere soprattutto potenziale, essendo evidentemente subordinata, nella sua attuazione, agli sviluppi delle situazioni concrete, ma, anche la sola potenzialità della minaccia basta a convincere la Germania che essa deve, soprattutto nel campo aviatorio e in quello marittimo, non rinunziare a nessuna delle possibilità di attuazione e sviluppo dei programmi già fissati, compresa, naturalmente, la completa utilizzazione della proporzione del 35°/r, assicurata dall'accordo marittimo.

L'avvertimento ed il monito dato dall'Inghilterra con il suo riarmo possono del resto -ha proseguito Goring -considerarsi come provvidenziali.

La comunità della minaccia impone all'Italia e alla Germania di restare più che mai unite, consolidando l'asse Roma-Berlino. Ma, per far questo è indispensabile -osservava il generale -che una fiducia assoluta e completa si mantenga fra i due Paesi. È inconcepibile una comunità di azione in vista -persino -di un eventuale «formidabile» comune conflitto, senza che vi sia fra i due Paesi una comunità e comprensione completa dei reciproci interessi e senza che entrambi si convincano che nessun affare può ritenersi fra essi buono quando non ne derivino benefici e vantaggi per tutti e due.

Evidentemente, Goring voleva anche qui riallacciarsi alle conversazioni di Roma 1• lo mi son guardato dal seguirlo, su questo terreno, riportandolo invece allo scopo preciso ed attuale della mia conversazione: tra qualche giorno si sarebbe riunito il Gran Consiglio e il Duce avrebbe probabilmente preso decisioni interessanti i nostri programmi militari. Immaginavo che, prima di quella data, sarebbe stato gradito al Duce di conoscere con esattezza quali, secondo Goring, sarebbero state le «reazioni tedesche». Ora a parte le reazioni automatiche e lontane, ve n'era fra esse qualcuna che avesse carattere di attualità? Avevo rilevato con interesse che il generale Goring aveva parlato della decisione tedesca di valersi, quando che fosse, di tutto il margine (35%) consentito dall'accordo navale. Ma, v'era in questo niente di immediato e che cosa, per esempio, Goring pensava di fare nel campo dell'aviazione?

Al che, il generale con quella prolissità che gli è caratteristica, ha replicato con una quantità di considerazioni che si rassumono però tutte in una frase finale e comprensiva: «Nous sommes au plafond». «Tutto quello che era umanamente possibile di avviare e preordinare l'abbiamo già fatto. Di più è assolutamente impossibile ... Le conseguenze per noi saranno più che altro psicologiche: chi di noi aveva ancora qualche speranza in possibili «aggiustamenti» con l'Inghilterra, adesso dovrà perderla. Io per il primo dovrò abituare i miei avieri a considerare come loro nemico potenziale, e quindi a prepararsi a combattere, anche gli inglesi. Si potrà perfezionare l'organizzazione, accelerare, nei limiti del possibile, i tempi ma ... niente di più».

Era quello che mi interessava conoscere. Dopodiché, il generale ha tenuto a tornare ancora sul senso e sul significato del riarmo inglese. L'Inghilterra -~ egli ha detto -perdendo la partita abissina, ha ferito

l Vedi D. 109.

e compromesso il proprio prestigio di Potenza mondiale. Essa intende ora far comprendere, che non indietreggerà più nell'avvenire, come ha fatto nel passato, di fronte alla minaccia di conflitti internazionali, per quanto costosi e rischiosi possano essere. Essa non 12erderà occasione per riconquistare-a qualunque costo -il prestigio perduto.

E alla stregua di questa realtà, secondo Goring, che bisogna guardare ed interpretare anche l'assurdo invito al Negus, a quello stesso cioè che probabilmente è stato l'istigatore del vile attentato a Graziani e che, attraverso le colonie inglesi, cerca di mantenere desta la resistenza di qualche residua banda abissina contro l'Italia ...

Mi sono affrettato a rassicurare il mio eminente interlocutore che l'Italia non si è mai fatta a proposito dell'Inghilterra alcuna illusione. Il gentlemen 's agreement, gli ho detto con le parole dell'E.V., non è stato mai da noi considerato una intesa, ma soltanto un «armistizio». E, con ciò, mi sono accomiatato 1 .

202

L'AMBASCIATORE A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1402/45 R. Belgrado, 26 febbraio 1937, ore 21 (per. ore 1,30 del 27).

Stojadinovic mi ha pregato oggi di informare V.E. che Subotic sarà a Roma lunedì o martedì prossimo per conclusione negoziati che spera potrà avere luogo in pochissimi giorni. A tale scopo Subotic sarà munito ampie istruzioni e facoltà e recherà seco un testo che lo stesso Stojadinovic sta ancora redigendo. Mi ha assicurato che tiene conto dei punti che sono stati oggetto della comunicazione da me a suo tempo fattagli e che comunque è certo incontrerà approvazione di V.E.

Visita di V.E. a Belgrado per firma accordi potrebbe avere luogo verso la fine marzo, in modo che in aprile Benese partecipanti riunione Piccola Intesa 2 trovino qui una situazione già definita.

203

L'AMBASCIATORE A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1401/46 R. Belgrado, 26 febbraio 1937, ore 21 (per. ore 1,30 del 27).

Stojadinovic mi ha detto essere stato informato che Pavelic è uscito dall'Italia per avere all'estero dei convegni «sospetti». Egli aggiunse che, nell'attuale momento,

I Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Riunione del Consiglio permanente della Piccola Intesa prevista per il 1"-2 aprile a Belgrado.

in cui egli si prepara a mettere le nostre relazioni su nuove basi, questa notizia è stata per lui una vera «doccia fredda». Tanto più che Principe Paolo dovrà mettersi in viaggio per Londra alla fine aprile. Mi ha pregato informare personalmente V.E. di questo suo stato d'animo, sicuro come egli è che V.E. non può che ignorare e deplorare le manovre a cui Pavelic si dedicherebbe. Sarebbe veramente grato a V.E. se potesse urgentemente rassicurarlo sopra infondatezza della segnalazione ricevuta.

Stojadinovic mi è sembrato assai seriamente preoccupato per la responsabilità che gli incombe e dolorosamente sorpreso, date assicurazioni avute in passato 1 .

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE RISERVATO 1425/52 R. Vienna, 26 febbraio 1937, ore 22,30 (per. ore 6 del 27).

Cancelliere Federale rimane dolorosamente impressionato non tanto dall'articolo di Gayda 2 quanto dalla nota del corrispondente diplomatico dell'Agenzia Stefani3, a cui è attribuito carattere ufficiale. Egli non sa darsi ragione della necessità della polemica derivante da manovre francesi, dal momento che maggiore interessato, cioè Berlino, non ha più ragione di essere allarmato.

Ho fatto valere argomenti indicatimi per telefono da V.E. ma essi non sono valsi a tranquillizzare Schuschnigg, soprattutto circa ripercussioni dannose della così recisa presa di posizione in pubblico e conseguenti imbarazzi alla sua posizione ed alla sua azione in corso per la pacificazione interna. Dopo aver fatto sforzi sovrumani per conciliare nel suo recente discorso 4 varie tendenze, egli si sente come esautorato da

l Ciano rispondeva di comunicare a Stojadinovic che la notizia dell'uscita di Pavelic dall'Italia era destituita di fondamento e che Pavelic, strettamente sorvegliato, non era in grado di nuocere (T. segreto non diramare 514/38 R. del 28 febbraio). Nel ricevere la comunicazione, Stojadinovic incaricava Indelli di esprimere «la sua profonda gratitudine per la premurosa e netta assicurazione che lo ha sollevato da una grave preoccupazione>> (T. segreto non diramare 1509/50 R. del 2 marzo).

2 Il 26 febbraio era stato pubblicato su Il Giornale d'Italia un articolo di fondo firmato da Virginio Gayda dal titolo «Inutili speculazioni>> in cui si dava una smentita «immediata e totalitaria>> alla voce secondo cui l'Italia aveva preso l'iniziativa o dato il suo consenso ad una restaurazione degli Asburgo in Austria e si affermava che l'Italia considerava «il problema della restaurazione in Austria inattuale e pericoloso».

3 La nota era del seguente tenore: «In taluni ambienti esteri si continua a parlare di restaurazione absburgica in Austria. Al riguardo, il pensiero dell'Italia è molto chiaro e preciso. L'Italia considera il problema della restaurazione in Austria inattuale e pericoloso. Inattuale perché nessuno né in Austria, né fuori sente oggi il bisogno di un mutamento dell'attuale regime politico austriaco che ha avuto i suoi decisivi collaudi e si è profondamente inserito nella coscienza nazionale dell'Austria. Pericoloso, perché la

, sola presentazione di un tale problema potrebbe provocare nuove ragioni di perturbamento nella stessa compagine della nazione austriaca. L'Italia non ha mai parlato del problema neppure nei suoi aspetti dottrinari. Sarebbe desiderabile che altrettanto silenzio fosse mantenuto da tutte le altre parti responsabili». Nelle carte di Gabinetto vi sono due appunti del ministero Stampa e Propaganda (direzione generale Stampa Estera), datati 26 e 27 febbraio, relativi a telefonate di Salata che segnalava !'«effetto disastroso» provocato a Vienna dall'articolo di Gayda e dalla nota del corrispondente della Stefani, che apparivano come «un colpo al Cancelliere Schuschnigg». 4 Del 14 febbraio. Vedi p. 238, nota 3.

noi. Tenendo presenti le opportunità dell'asse Roma-Berlino, egli dice essere riuscito a tranquillizzare von Neurath partito soddisfatto anche su questo punto.

Cancelliere Federale sarebbe molto grato a V.E. se trovasse modo far risaltare che articolo Gayda e nota «Stefani speciale» non rappresentavano presa di posizione ufficiale del governo italiano, anche perché, considerato stadio attuale del problema monarchico in Austria, una qualunque decisione sarebbe almeno prematura. Egli vorrebbe constatare che tra governo italiano e lui sussiste in realtà pieno accordo sul trattamento da dare nell'immediato avvenire al problema, secondo le dichiarazioni da lui fatte al Fronte Patriottico il 14 corrente, secondo le quali trattasi di questione interna austriaca, il cui svolgimento e la cui soluzione avvenire non devono turbare la situazione interna ed internazionale.

Potrebbesi anche 1 che a Roma si sono accolte con interesse e calore le notizie circa le conversazioni che, anche su questo problema, si sono svolte nello stesso spirito e con risultati favorevoli tra il ministro Affari Esteri del Reich e Cancelliere Federale.

A questo desiderio di Schuschnigg si potrebbe corrispondere, qualora Gayda riprendesse argomento, oppure con nuova nota dello stesso corrispondente diplomatico «Stefani speciale» 2 .

205

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 323/98. L'Aja, 26 febbraio 1937 (per. il ] 0 mar::o).

Mio telespresso n. 152/50 in data del 3 febbraio u.s. 3

Questo direttore generale degli Affari Politici, riprendendo un discorso fattomi a più riprese dal ministro degli Affari Esteri, mi diceva quanto fosse dispiaciuto al signor de Graeff di non aver trovato a Roma incoraggiamenti per una soluzione di compromesso atta a ristabilire normali rapporti tra i due Paesi 4 . Chè era intenzione del governo olandese di lavorare attivamente e con ogni mezzo per ridare alle relazioni italo-olandesi l'antica cordialità.

Ho risposto che i Paesi Bassi non avevano che da seguire l'esempio illuminato della Confederazione Svizzera.

Ha replicato il direttore generale spiegandomi con motivi arcinoti che la situazione della Svizzera era assai diversa da quella dei Paesi Bassi e insistendo sull'origine italiana di Motta e sulle sue simpatie per l'Italia fascista. Ho spiegato

l Nota dell'Ufficio Cifra: «manca».

2 Si veda per il seguito il D. 216.

3 Non rintracciato.

4 Nel corso del mese di gennaio, l'incaricato d'affari dei Paesi Bassi, Panhuys, aveva espresso ripetutamente la preoccupazione del suo governo per il fatto di dover ritardare l'invio a Roma del nuovo ministro, che era stato nominato da tempo, a causa dell'intestazione da apporre alle lettere credenziali ed aveva prospettato alcune soluzioni di ripiego, considerate subito da parte italiana come inaccettabili (appunti di Gabinetto del 4 e del 25 gennaio).

che Motta, riconoscendo di fatto e di diritto il nostro Impero d'Etiopia, aveva soprattutto tenuto presente gli interessi del suo Paese e la necessità di giungere, prima che sia troppo tardi, alla ripresa di una generale fiduciosa collaborazione internazionale.

Dal seguito della conversazione ho compreso che si ritiene qui assolutamente impossibile disgiungere la linea di condotta dei Paesi Bassi da quelle britannica e francese per quanto concerne il riconoscimento de jure dell'Etiopia Italiana.

La questione delle nuove lettere credenziali per i rappresentanti diplomatici a Roma è stata anche discussa ---a quanto mi ha detto confidenzialmente il signor van Kleffens -dai ministri olandesi a Londra e a Parigi. A Londra è stato risposto che essa sarebbe stata esaminata appena si presentasse; a Parigi che, poiché l'intransigenza di Palazzo Chigi aveva creato un insolubile problema di forma, il Quai d'Orsay avrebbe per l'avvenire evitato di ritornare sull'accreditamento del suo ambasciatore presso il Quirinale 1•

206

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1416/155 R. Londra, 27 febbraio 1937, ore 0,17 (per. ore 6).

Telegramma di V.E. n. 56 2•

Mediante azione concordata con i tedeschi, tanto nel Sottocomitato quanto attraverso intese confidenziali con Plymouth 3 e con questo ambasciatore di Francia 4 siamo riusciti mettere governo sovietico, che aveva formalmente domandato una zona nel Mediterraneo riservata alle sue trame, nella condizione di dover scegliere fra accettazione della peggiore zona Atlantico e ritiro della sua candidatura.

Questa azione, che era diretta a togliere alla Russia ogni possibilità di partecipare alla sorveglianza navale, ha raggiunto pienamente il suo obiettivo. Oggi, infatti, delegato russo è stato costretto a dichiarare che il suo governo rinunzia a partecipare al controllo navale che viene così affidato alle quattro Potenze occidentali.

l Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Con T. 420/56 R. del 14 febbraio, Ciano aveva comunicato a Grandi: «Partecipazione Russia al controllo navale mi trova contrario, sia per quanto riguarda l'Atlantico che il Mediterraneo. Per l'Atlantico potremmo però anche, in definitiva, e qualora tutti gli altri accettino, accettare. Invece per quanto concerne il Mediterraneo la nostra opposizione ha un carattere di irriducibilità».

3 Vedi D. 103. Il 22 febbraio, l'ambasciatore Grandi aveva avuto un altro colloquio con Lord Plymouth al quale aveva dichiarato che non era ammissibile aftìdare alla flotta sovietica la sorveglianza di un tratto di costa spagnola del Mediterraneo perché era da prevedere che le navi sovietiche avrebbero esercitato lo spionaggio sul traffico dei nazionali con il Marocco. Lord Plymouth aveva risposto che il governo britannico «condivideva queste considerazioni e che si trovava d'accordo per sostenere che, nel caso fosse impossibile evitare la partecipazione della flotta sovietica, questa doveva essere dislocata sulle coste nord occidentali spagnole>> (T. 1327/149 R. del 23 febbraio).

4 Vedi p. 129, nota l.

D'altra parte governo sovietico, evidentemente per motivi di ordine interno, ha declinato fornire personale per controllo terrestre e controllo trasporti marittimi. In conclusione, dopo di essersi tanto agitata, Russia non avrà nei piani di controllo, né una una nave né un uomo.

207

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH

T. 486/67 R. 1 Roma, 27 febbraio 1937, ore 2.

Suo 862•

Anche l'ambasciatore degli S.U. ha fatto ora un passo per chiedere protezione per vite e beni americani in Addis Abeba in relazione a situazione che a suo dire sarebbe stata allarmante 3 .

Niente di più falso: la situazione in Africa Orientale non è mai stata così limpida come adesso, specie dopo l'esecuzione dell'ultimo ras ribelle. Quindi V.E. è autorizzata a smentire. Smentire formalmente, subito e su tutta la linea ogni notizia allarmante che ci possa riguardare e che è sempre soltanto dovuta -lunga esperienza lo insegna -alla torbida fantasia dei nemici manifesti o nascosti.

208

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 1427 R. Berlino, 27 febbraio 1937, ore 14,30 (per. ore 19,05).

Ho avuto oggi lunga conversazione con Neurath di cui riferisco con rapporto 4 . Egli mi ha però pregato di farti subito sapere che era lietissimo dell'articolo Giornale d'/talia 5 sulla Restaurazione, di cui apprezzava sia contenuto sia tempestività. Egli avrebbe anzi voluto telefonarti direttamente per esprimere sua soddisfazione se non fosse che, le linee telefoniche passando per Austria, la sua conversazione sarebbe stata sicuramente intercettata.

l Minuta autografa.

2 Vedi D. 197.

3 Non si è trovata altra documentazione del colloquio -avvenuto il 25 marzo -tra Ciano e l'ambasciatore Phillips. Si veda in FRUS, 1937, vol. Il, pp. 687-688 il resoconto dell'ambasciatore americano.

4 Vedi D. 214.

5 Vedi p. 263, nota 2.

209

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1442/93 R. Washington, 27 febbraio 1937, ore 17,20 (per. ore 2,15 del 28).

Telegramma di V.E. n. 67 1 .

Assurde preoccupazioni espresse da codesto ambasciatore degli Stati Uniti mi hanno sorpreso perché stampa americana non ha mai messo menomamente in dubbio solidità nostra occupazione e nessuna voce del genere ha qui circolato. Non vi era quindi materia di smentita ma soltanto opportunità da me segnalata di un comunicato che di fronte alla ridda delle notizie pubblicate qui, riportasse alle sue reali proporzioni nostra legittima reazione all'insidioso attentato Addis Abeba.

Ritengo però che ormai non convenga riaprire questione che va smorzandosi.

210

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 1431/104 R. Parigi, 27 febbraio 1937, ore 22,30 (per. ore 2,45 del 28).

Telegramma di V.E. n. 97 2•

Ho creduto procedere nel modo seguente: ho oggi soffermata 3 ed esaurita conversazione con Léger che ho messo esattamente al corrente del nostro punto di vista chiedendogli informarne ministro Affari Esteri. In pari tempo gli ho domandato farmi ricevere al più presto da Delbos al quale comunicherò risposta di V.E. al programma proposto dal governo francese.

Léger mi ha detto che approvava questo metodo perché avrebbe permesso di guadagnare tempo e di porre Delbos in grado rispondermi subito. Circa divisione delle trattative in due parti discutendo subito questione ferroviaria e riservando per più tardi punti 5, 6 e 7, Léger osservò che non vi scorgeva inconvenienti alla condizione che noi fossimo pronti a trattare anche questi punti con sollecitudine perché governo francese intende sbarazzare terreno al più presto di ogni pendenza italo-francese in Africa orientale, dato che vuole essere in grado di provvedere al riconoscimento di diritto della nostra sovranità sull'Etiopia non appena Ginevra avrà preso decisione che lo renda possibile.

Quando poi accennai alle conversazioni per gli affari tunisini che avrebbero potuto seguire quella circa ferrovia etiopica, Léger osservò che gli sembrava più

I Vedi D. 207. 2 Vedi D. 200. 3 Sic.

267 che mai necessario stabilire sin da ora che risolta che fosse questione ferrovia sarebbero stati trattati altri punti del programma concernente Africa orientale. Se si fosse infatti discorso di altro argomento, opinione pubblica francese avrebbe potuto chiedersi il perché di una simile cosa e ritenere che vi fossero delle difficoltà insormontabili per arrivare alla conclusione favorevole delle trattative concernenti ultimi tre punti del programma.

Incontrai qualche resistenza circa accettazione del nostro punto di vista che primo punto del programma riguarda soltanto governo italiano e compagnia ferroviaria e deve quindi essere discusso e regolato direttamente fra di essi. Ho insistito sul nostro principio sforzandomi convincere Léger trattarsi di puntiglio da parte francese che è ingiustificato quando si pensa che rapporti fra la compagnia e governo etiopico erano regolati da una convenzione intervenuta fra di essi e non fra governo francese ed Etiopia.

Léger dopo aver riflettuto sopra questo argomento riconobbe che esso era valido ed ammise che si dovrà giungere ora ad un atto analogo firmato da un lato dal governo italiano e dall'altro dalla Compagnia.

Ciò premesso, gli ho detto che tutto il resto mi pareva questione di importanza puramente procedurale dato che in pratica quando Compagnia si trovasse in presenza di una situazione in cui non avesse più facoltà di pronunciarsi da sola avrebbe chiesto poter interpellare governo francese. Ma doveva rimanere salvo principio delle trattative dirette fra Compagnia e governo in modo da poter giungere alla conclusione di un atto diretto fra i due.

Circa data inizio trattative mi risponderà Delbos.

Léger fu assai soddisfatto della forma con cui gli feci comunicazione circa contingente francese a Dire Daua, (governo fascista si attende, ecc.) e mi disse che, come risultava dall'ultima parte della sua lettera privata di accompagnamento del programma dei lavori 1 anche il governo francese non intendeva connettere ritiro del contingente con successo del negoziato. Senza assumere alcun impegno, egli mi lasciò sperare che i negoziati potessero essere iniziati in condizioni che corrispondessero ai nostri desideri 2 .

211

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE SEGRETO NON DIRAMARE Belgrado, 27 febbraio 1937 1517/08 R. (per. 3 marzo).

Il R. ministro ad Atene, nel suo telegramma deiiS corrente3 , ha riferito avergli Stojadinovic detto che, nel corso della recente riunione dell'Intesa Balcanica 4 , aveva

1 Si veda in proposito il D. 167. 2 Per il seguito della questione. si veda il D. 227. 3 Vedi p. 230, nota 3. 4 Dal 15 al 18 febbraio, ad Atene.

messo i suoi colleghi al corrente delle conversazioni fra Italia e Jugoslavia. Ho creduto ad ogni buon fine utile chiedere a Stojadinovic di indicarmi la portata di tali sue comunicazioni. Egli mi ha precisato che non ha affatto accennato all'esistenza di negoziati, ma che si è limitato unicamente a manifestare il suo compiacimento per il constatato miglioramento delle relazioni italo-jugoslave. Stojadinovic intende infatti continuare a mantenere riservate le conversazioni in corso, fino a conclusione delle stesse.

Mi ha confermato che tali sue comunicazioni hanno incontrato il consenso dei partecipanti al Consiglio. Ho chiesto a Stojadinovic se vi siano stati tentativi per far rientrare l'esame delle future relazioni italo-jugoslave nel quadro interbalcanico. Mi ha risposto che li ha elusi facendosi precedere da Riistii Aras, che ha esposto i risultati dell'incontro avuto con V.E. a Milano e che, in tal modo, gli ha preparato il terreno per le sue accennate conclusive e limitate dichiarazioni. Ho chiesto ancora a Stojadinovic che cosa è accaduto ad Atene, dopo la nuova situazione venutasi a creare col Patto bulgaro-jugoslavo, di tutte le intese e sistemazioni politico-militari interbalcaniche che avevano, come base più o meno effettiva, un presupposto pericolo bulgaro. Mi ha detto testualmente: «Se mi promettete di non attribuirmi mai la paternità di questo esempio, vi dirò che l'Intesa Balcanica è, ormai, come un quadro di cui sia stata distrutta la tela». Mi ha poi ripetuto, a proposito della conclusione di un accordo con noi, la stessa frase detta a Boscarelli a proposito di questa seconda sorpresa che riserverebbe ai suoi alleati. Ed ha aggiunto che, in questo ordine di idee, cerca di temporeggiare circa l'epoca della visita a Belgrado di Benes che -ha detto -vuoi venire qui a cercare un successo che non può avere. La conclusione di un accordo coll'Italia e la ricerca di una base d'intesa coll'Ungheria, ha concluso Stojadinovic, mettono la Jugoslavia, nella Piccola Intesa, in condizioni da poter onestamente rifiutarsi dall'assumere impegni e preoccupazioni per situazioni che non la riguardano direttamente.

212

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1794/168 R. Salamanca, 27 febbraio 1937 (per. il 13 marzo). Mio telegramma n. 161 del 25 febbraio 1•

È arrivato ieri sera fiduciario di Herbette. Ha presentato credenziali che non hanno soddisfatto; trattasi di persona di nessun rilievo e qui nota come nullatenente. Era stato perciò deciso di non riceverlo. Più tardi qualcuno ha fatto pervenire in

l T. 1397/161 R., che è del 27 febbraio. Cantalupo riferiva di avere appreso, «per dirette confidenze», che l'ambasciatore francese. Herbette, aveva inviato da Saint Jean de Luz un suo fiduciario, incaricato di fare personalmente a Franco delle importanti comunicazioni. A Burgos, era stato invece stabilito di farlo ricevere da Nicolas Franco.

alto l'insinuazione che, malgrado le modeste apparenze, potesse trattarsi di uno di quei fiduciari massonici detti «laici», cioè quasi sconosciuti nell'ordine e che però compiono servizi di vera importanza. Questo dubbio è stato abilmente prospettato, fino a che è stato deciso di farlo ricevere da un funzionario di grado inferiore, che non ho potuto identificare.

Sul colloquio, questo governo si mantiene riservatissimo e circospetto: adotta un linguaggio cauto e vago; le informazioni che ora riferisco mi vengono però da indiscrezioni faticosamente estratte a Nicolas Franco.

Il fiduciario avrebbe cominciato con la pirite, affermando che le fabbriche francesi di guerra ne mancano; ne avrebbe chiesto subito 40.000 tonnellate: la modestia di detta quantità fa ritenere che ancora una volta la pirite abbia servito di pretesto. Gli sarebbe stato risposto di no. Il fiduciario avrebbe quindi parlato di politica e di finanza: Franco si è lasciato sfuggire, pentendosene poi, che la Francia ha offerto ieri sera cinque miliardi di franchi(?). Con insistenza, il mio interlocutore ha aggiunto che il governo nazionale avrebbe ancora una volta respinto ogni offerta ed ogni ripresa commerciale se prima non venga risolto il problema del riconoscimento e dell'oro. Il fiduciario sarebbe ripartito ieri sera per Saint Jean de Luz.

Mia impressione, che esprimo con riserva poiché questo governo non mi sembra sincero allorché mi informa sui suoi rapporti con la Francia: se un fiduciario più autorevole, più accreditato dovesse presentarsi, sarebbe ricevuto da Nicolas Franco; il governo nazionale sembra disposto a trattare e va molto cauto per ora sia per pudore -anche nei riguardi esterni -sia perché spera di negoziare con Parigi a migliori condizioni più tardi.

213

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO PERSONALE 913/283. Berlino, 27 febbraio 1937 (per. 1'8 marzo).

Ho già telegrafato a V.E. 1 che il generale Goring si era mostrato con me soddisfattissimo del suo viaggio in Polonia.

Riassumo qui appresso, in base alle dichiarazioni fattemi dallo stesso Goring, le ragioni di questa sua soddisfazione.

Immediatamente dopo la morte di Pilsudski -mi ha detto il generale -la Polonia è entrata in un periodo di crisi, che ha avuto delle ripercussioni anche nel campo della politica estera. Le azioni di Beck erano indubbiamente ribassate. Ora, invece, si può dire che mentre il Paese ha ritrovato il suo equilibrio all'interno (costituzione del nuovo Fronte, ecc.) esso è anche in grado di ritornare ad una

1 Con T. 1353/103 R. del 24 febbraio, nel quale riferiva di avere avuto un primo contatto con Giiring dopo il suo ritorno dalla visita in Polonia e preannunciava l'invio di notizie più dettagliate.

politica più netta e più rettilinea anche all'estero. Le azioni di Beck sono nuovamente in rialzo e la sua autorità e il suo prestigio riaffermati. Beck sarebbe ora, secondo il generale, più forte che mai, e poiché Beck è il rappresentante più genuino della politica di intesa con la Germania questo è naturalmente per Goring, di per sé stesso, motivo di grande soddisfazione.

La Polonia, secondo il generale, è quindi per la Germania, contro l'U.R.S.S. Certo essa, rappresentando uno Stato cuscinetto, deve manovrare in maniera da non tirarsi addosso le ire di un colosso come è l'U.R.S.S. Di questo, la Germania si rende perfettamente conto. Per le stesse ragioni, quindi, la Polonia non può prendersi il lusso di partecipare a lotte e a schieramenti a base di «ideologie». Ma la sostanza non muta: in fatto, la Polonia è contro l'U.R.S.S. e per la Germania.

La Polonia ha un trattato di alleanza con la Francia. Ma questo trattato, per chiara assicurazione datane a Parigi in occasione della sua visita dallo stesso maresciallo Rydz Smigly 1 , contempla ed entra in gioco nel solo caso di aggressione tedesca non provocata contro la Francia o contro la Polonia e soltanto contro di loro. A Parigi si è tentata una estensione di questa alleanza al caso della Cecoslovacchia, oppure a quello dell'U.R.S.S. (entrata in guerra, cioè, della Francia in forza e come conseguenza delle alleanze da essa stipulate con quei Paesi) ma Rydz Smigly ha resistito risolutamente a questo tentativo e la Francia ha dovuto prenderne atto.

Anche nei riguardi degli altri Paesi la Polonia fa una politica conforme agli interessi della Germania: vedasi casi, per quanto in diverso senso, così della Romania come della Cecoslovacchia.

Che le direttive della politica romena si svolgano su linee parallele a quella tedesca è dimostrato anche dal fatto -sottolineato da Goring in modo speciale che essa incita la Germania ad avere nel Baltico una flotta superiore a quella sovietica, punto questo sul quale Goring ha del resto dato alla Polonia ampie assicurazioni, dichiarando anche a Varsavia (come aveva detto a me) che la Germania intendeva valersi di tutto il margine (35%) consentitole dall'accordo navale anglo-tedesco.

La situazione dei rapporti germano-polacchi è quindi ottima. I due governi si sono anzi trovati d'accordo sulla opportunità di far sì che l'intesa dei due governi penetri e conquisti progressivamente anche le masse, donde una intensificazione ed uno sviluppo nei rapporti culturali di cui è prova l'imminente inaugurazione a Varsavia di una Società di cultura polono-germanica corrispondente a quella analoga già esistente a Berlino. Che più? Perfino la questione ebraica comincia in Polonia a essere vista sempre più sotto lo stesso angolo visuale della Germania.

Tutto quindi, secondo Goring, va, con la Polonia, per il meglio. Non dubito che sia così, ma bisogna far sempre posto all'enfasi che l'ottimo generale pone nelle sue tesi e nei suoi successi.

Quanto sopra è il riassunto concentrato, ma fedele di assai piu lunghe dichiarazioni del generale. Il quale anche per esse -egli spinge lo scrupolo del segreto sino alla mania-vuole che siano considerate come riservatissime e destinate «solo al Duce e all'E.V.». Pregherei, quindi, di non far «circolare» il presente rapporto 2•

1 La visita in Francia del Maresciallo Rydz-Smigly aveva avuto luogo dal30 agosto al6 settembre 1936. 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

214

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. PERSONALE SEGRETO URGENTE 914/284. Berlino, 27 febbraio 1937 (per. il 2 marzo).

Stamane, tra l'altro, abbiamo parlato con Neurath dell' «invito del Negus» 1• È stato Neurath a prenderne l'iniziativa, aggiungendo subito che egli, di espressa intesa col Fiihrer, me ne parlava soltanto nell'intento di uniformare anche in questa questione l'azione della Germania a quella dell'Italia. Il governo tedesco non aveva ancora risposto all'invito di Londra e, prima di provvedere alla scelta e alla designazione dei rappresentanti propri, avrebbe desiderato conoscere quello che avremmo fatto noi.

Io ho detto a Neurath che, secondo quanto mi risultava, neanche noi avevamo ancora dato a Londra risposta alcuna e non ne avremmo dato prima della risoluzione dell'incidente, sull'andamento del quale gli ho fornito le informazioni che V.E. aveva dato ieri per telefono a Magistrati.

Neurath sembra ritenere che -anche trasportato l'incidente sul terreno protocollare -l'Inghilterra difficilmente potrà dare spiegazioni tali da permetterle di uscire facilmente e pienamente dalla situazione di imbarazzo in cui si è messa nei nostri riguardi. In vista di ciò, egli ha prospettato al Fiihrer l'opportunità che la Germania si astenga dall'inviare a Londra per l'incoronazione una delegazione «rappresentativa», limitandosi invece a inviarne semplicemente una «protocollare». Il Fiihrer, che era indignato dell'accaduto, ha approvato senz'altro l'idea di Neurath, aggiungendo testualmente (il che Neurath mi ripeteva con evidente soddisfazione e facendovi seguire un significativo «Lei mi ha capito ... »): «Allora, basterebbe Ribbentrop».

Comunque, prima di decidere, Neurath mi ha detto di voler conoscere, a suo tempo, gli intendimenti dell'E.V. In attesa, egli continuerà a non rispondere a Londra. Credo che il gesto meriti da parte nostra una parola di apprezzamento. Attendo,

comunque, in proposito da V.E. le istruzioni del caso2 .

215

L'AMBASCIATORE A BERLINO, A TTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 918/286. Berlino, 27 febbraio 1937 (per. il ] 0 marzo).

Ho visto oggi Neurath e gli ho domandato qualche notizia del suo viaggio in Austria.

I Vedi D. 191.

2 Il documento ha il visto di Mussolini.

L'ambasciatore Attolico telegrafava il giorno successivo che von Neurath chiedeva di conoscere con la massima urgenza quali fossero le intenzioni del governo italiano perché l'ambasciatore di Gran Bretagna aveva sollecitato la designazione dei rappresentanti tedeschi alle cerimonie dell'incoronazione

(T. 1447/109 R. del 2 febbraio). Per il seguito si veda il D. 219.

In generale, le notlZle avute da lui concordano con quelle provenienti dal ministro d'Austria e che ho già riferito alla E.V. col mio rapporto in data 25 febbraio n. 873/275 1• Comunque, riassumo per sommi capi:

Il viaggio è andato «abbastanza bene». Le manifestazioni del primo giorno 2 che hanno sembrato sorprendere e sconcertare lo stesso governo austriaco, in fondo, non erano tanto l'atto dimostrativo di un partito, quanto l'espressione spontanea e naturale della popolazione, in mezzo alla quale la Germania conta indubbie simpatie. Anche secondo alcuni esponenti politici più moderati che Neurath aveva avvicinato, ancora adesso il 60%, se non il 70%, della popolazione austriaca sarebbe per una intesa intima con la Germania. Quelli che resistono e che, come si sono originalmente opposti all'accordo dell'Il luglio, ora si oppongono ai suoi sviluppi sono, secondo Neurath, una minoranza facente capo al clero, ai legittimisti ~d agli ebrei. Ebrei sono del resto gli stessi maggiori esponenti del partito legittimista, ed è nell'elemento ebraico che l'arciduca Otto, recandosi or non è molto in Inghilterra, voleva trovare il denaro per finanziare il movimento della Restaurazione.

Il gabinetto Schuschnigg non è riuscito ancora, e forse non riuscirà mai, a impossessarsi e dominare le «forze sane del Paese». Questo è il punto più debole e delicato, secondo Neurath della situazione, e che lo lascia alquanto sconfortato sull'avvenire, sia del Gabinetto Schuschnigg, sia del Paese stesso. L'Austria non ha ancora ritrovato il suo equilibrio e, prima di trovarlo, dovrà forse passare attraverso nuove prove e nuovi travagli ... Schuschnigg è indubbiamente un uomo di buona fede e di buona volontà, ma gli fa l'effetto di un Briining ...

Ritornando al contenuto immediato della sua visita, Neurath ha riconosciuto ch'esso è stato scarso.

Sopra un solo punto le conversazioni hanno avuto un vero contenuto politico: quello della restaurazione, in merito al quale, peraltro, egli non mi ha detto granché di nuovo o di più in confronto di quanto aveva già detto Tauschitz a Magistrati (rapporto citato del 25 corr. n. 275)3 . Senonché, come V.E. sa, secondo le informazioni del ministro d'Austria, Neurath avrebbe, a proposito di restaurazione, introdotto un «distinguo» di una certa importanza. Avrebbe, cioè, ammesso senz'altro che la forma costituzionale e politica dello Stato, e il suo Regime ~monarchico o meno ~ sono questioni che riguardano l'Austria e l'Austria soltanto, ma che quanto agli Asburgo la situazione era diversa, ecc.

l Riferiva su un colloquio tra Magistrati ed il ministro d'Austria a Berlino, Tauschitz, che aveva seguito von Neurath nel suo viaggio a Vienna.

2 Vedi p. 238, nota 4.

3 In quel documento, le dichiarazioni in proposito del ministro Tauschitz erano così riportate: «A

Vienna non è naturalmente passata sotto silenzio la questione di una eventuale restaurazione monarchica in Austria. TI ministro von Neurath è entrato in argomento dichiarando che il governo del Reich doveva attirare l'attenzione di Vienna sulla circostanza che una tale questione ha suscitato e suscita tuttora un grave nervosismo nella Germania meridionale. Il governo nazionalsocialista, ha aggiunto. non pone in proposito una pregiudiziale antimonarchica ma solamente una netta e precisa pregiudiziale anti-absburgica. Al che il Cancelliere Schuschnigg ha altrettanto nettamente risposto che la questione di un eventuale ritorno degli Absburgo sul trono appare essere assolutamente ed unicamente di pertinenza del popolo austriaco che avrebbe deciso in avvenire secondo la sua convenienza, senza necessità di consensi da parte di governi stranieri. Non apparendo ad ogni modo la questione di immediata attualità, il ministro von Neurath aveva ritenuto opportuno non insistere ulteriormente».

Ho creduto di domandare a Neurath se potesse confermarmi questo punto. Egli lo ha fatto. Senonché, bisogna pur che dica quale è in proposito la impressione mia. Neurath non poteva, sia come fautore degli accordi dell'Il luglio, sia parlando come ministro degli Esteri, assumere una posizione diversa. È soltanto, anzi, dopo aver fatto una tale distinzione ed una tale ammissione, che egli poteva abbordare, e in tutta libertà, la questione degli Asburgo, aggiungendo, come egli ha fatto, che la restaurazione Asburgica avrebbe costituito più che un elemento di frizione, una profonda causa di «disturbo» nelle relazioni fra i due Paesi. Una monarchia asburgica avrebbe infatti significato la pratica ricostituzione di una monarchia danubiana ed uno sconvolgimento dello status quo centro-europeo a cui la Germania non avrebbe potuto restare, e non sarebbe restata, indifferente. E qui, Schuschnigg, pur insistendo sulle pregiudiziali note, avrebbe dato assicurazione non solo che la questione della restaurazione in Austria non era considerata come attuale, ma che ad essa non si sarebbe mai proceduto per colpi di mano, tanto che, se Otto di Asburgo avesse tentato un Putsch, Schuschnigg assicurava che egli non avrebbe esitato a farlo senz'altro «arrestare».

Tutto questo va bene ed è anzi molto interessante ma, per riprendere la mia idea e tornare al «distinguo» di Neurath e cercare di trovarne l'esatto valore ed assegnargli il giusto peso, io ritengo che quel «distinguo» rappresenti non solo o non tanto una netta affermazione di principio, quanto anche una necessità logica e politica di approccio e di impostazione. Ignoro, comunque, se l'ottimo generale Goring avrebbe fatto egli stesso, oppure soltanto accettato, una siffatta distinzione.

Senonché, pur tenendo conto di questo, resta il fatto che una distinzione è stata fatta, il che rappresenta un elemento nuovo ed interessante.

Continuando nella conversazione, io ho detto a Neurath: immagino che, quale strenuo sostenitore della politica degli accordi dell'Il luglio, voi siate andato a Vienna a domandare un «qualche cosa» onde dimostrare ai vostri estremisti che quella politica è la buona, e anzi la sola capace di portare frutti e di appagare almeno la parte «sentimentale» delle aspirazioni tedesche nei riguardi dell'Austria. Cosa avete ottenuto e cosa riportate, da questo viaggio, a casa?

-Ben poco, molto poco anzi, mi ha detto Neurath. Si è cercato di dare un ulteriore sviluppo agli accordi tecnici del novembre scorso, specie in materia di rapporti culturali, ma non posso veramente dire di essere tornato a Berlino con molto in tasca.

Del resto, mi ha detto Neurath, io non mi sono mai atteso dagli accordi dell' 11 luglio dei risultati troppo rapidi. Risultati effettivi si avranno soltanto quando Schuschnigg comprenderà la necessità di una politica di larga comprensione nei riguardi del movimento nazionale austriaco. La situazione al riguardo non è delle più incoraggianti ed io -ha detto Neurath -non lo ho taciuto a Schuschnigg, facendogli presenti casi di vera e propria durezza, se non di persecuzione, verificatisi ancora di recente.

-Io non dubito -ho osservato allora a Neurath -che, se una politica di comprensione e di liberalità nel senso che voi l'auspicate fosse praticamente e senza rischio possibile, essa sarebbe anche desiderabile e raccomandabile. Ma non credete che vi siano ancora in Austria alcuni elementi, i quali, sentendosi o credendosi incoraggiati da questa possibilità, si mostrano più estremisti e più irragionevoli che mai? Questo, andrebbe, nell'interesse nella stessa politica che voi patrocinate, evitato con ogni mezzo.

-Perfettamente d'accordo, ed io stesso, ha detto Neurath, non faccio che ripeterlo. Mi ricordo che, prima della firma degli accordi dell'Il luglio, io (Neurath) spiegai bene al Fiihrer quello che gli accordi significavano e che la loro attuazione avrebbe richiesto: imporre un freno, cioè, alla irragionevolezza degli estremisti. Su questa linea io ero e rimango.

E, con ciò, la nostra conversazione sul viaggio a Vienna ha avuto fine 1•

216

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 1459/54 R. Vienna, 1o marzo 1937, ore 2,30 (per. ore 9,15).

Mio telegramma n. 522 .

Cancelliere Federale attende ancora sempre una risposta. Perdura viva impressione articolo Gayda 3 e comunicato Stefani Speciale4 che sono insistentemente interpretati come segno unanime assenso mutamento contegno Italia verso Austria e specialmente rispetto ad Anschluss. Sono messi in diretta relazione con visita Neurath a Vienna. Da qualche parte si pretende che quelle dichiarazioni siano state richieste da Hitler dopo relazione Neurath a rincalzo dei risultati delle conversazioni Vienna su restaurazione.

Commenti stampa estera sono sfruttati contro Schuschnigg la cui posizione per il preteso abbandono si vorrebbe considerare scossa.

Mia opera di precisazione dell'origine e dello scopo puramente polemico dell'articolo Gayda contro invenzione francese e della non (ripeto non) mutata linea di condotta dell'Italia verso Austria non può raggiungere lo scopo pieno senza una comunicazione pubblica che ristabilisca vera portata dell'incidente.

Ritengo anche indispensabile e urgente ridare al Cancelliere Federale sensazione che sua politica continua a godere nostra piena fiducia cosicché egli possa con indiminuita autorità condurre a termine opera di pacificazione interna nello stesso interesse dei comuni rapporti Germania.

Qualora altre modalità proposte non siano ritenute opportune, prego V.E. di voler considerare possibilità accennata pomeriggio sabato per telefono al ministro De Peppo di un comunicato Ufficio Stampa mia conversazione Cancelliere Federale. Ne trasmetto uno schema con telegramma n. 55 5 che, senza toccare il merito del

l Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Vedi D. 204.

3 Vedi p. 263, nota 2.

4 Vedi p. 263, nota 3.

5 T. 1458/55 R. del l o marzo. Il ministro Salata suggeriva di far diffondere a Vienna un comunicato ufficiale in cui si dicesse che il ministro d'Italia, in un colloquio con il Cancelliere Schuschnigg, aveva chiarito che quanto era stato scritto in vari giornali circa l'atteggiamento dell'Italia nei riguardi di una restaurazione asburgica «non rappresentava la posizione ufficiale del governo italiano» e che il problema della restaurazione era considerato dall'Italia un problema austriaco, il cui svolgimento non doveva però turbare la situazione internazionale.

problema, probabilmente ristabilirebbe da parte governo austriaco tre ammissioni pubbliche della massima importanza per tutti: l) dichiarata non attualità del problema restaurazione; 2) impegno espresso non turbare con movimento legittimista situazione internazionale; 3) avere parlato della restaurazione con ministro Reich in modo soddisfacente anche per Germania.

Ne deriverebbe anche più schiacciante demolizione di tutta la campagna architettata all'estero contro cui fu diretto articolo Gayda.

Rinnovo vivissima preghiera volere inviare urgenza istruzioni 1 anche perché Cancelliere Federale sta per partire per Graz per discorso convegno Fronte Patriottico Stiria indetto tre e quattro marzo.

217

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1479/4 7 R. Belgrado, 1o mar:::o 1937 1937, ore 20,10 (per. ore 22,45).

Mio telegramma n. 45 2 .

Confermo che Subotic giungerà a Roma domani mattina. Prima di partire egli ha avuto lunghe e dettagliate istruzioni per presentazione testo accordo qui approntato personalmente col presidente del Consiglio.

Mi consta che Subotic ha avuto missione di esporre in dettaglio interessi nazionali e gli elementi di una situazione indubbiamente non facile e di valorizzare presso V.E. l'atto risoluto che Stojadinovic si accinge a compiere e che sarà considerato dall'opinione pubblica interna ed internazionale un atto rivoluzionario (sic) nei riguardi della posizione complessa della Jugoslavia. In particolare, mi è stato detto che nel preambolo dell'accordo, (qualora così fosse convenuto quanto alla forma dello stesso) potrà figurare il titolo di «Imperatore d'Etiopia».

1 Non è stata trovata documentazione di istruzioni inviate in proposito al ministro Salata.

Il 2 marzo, Il Giornale d'Italia pubblicava un altro articolo di Virginio Gayda dal titolo «Confermiamo e precisiamo» nel quale si confermava che una restaurazione asburgica era da considerarsi «inattuale e perciò pericolosa» perché !ungi dal rafforzare l'indipendenza austriaca «avrebbe potuto comprometterla creando una situazione drammatica per tutta l'Europa», si precisava che non vi era alcun contrasto tra la posizione dell'Italia e quella del Cancelliere Schuschnigg come era stata indicata nel suo discorso del 14 febbraio (vedi p. 238, nota 3) e che il governo italiano non intendeva intervenire nelle questioni interne dell'Austria.

Il 3 marzo, Salata telegrafava di avere avuto una lunga conversazione con Schuschnigg il quale gli aveva dichiarato che la presa di posizione italiana «rendendo evidenti gli ostacoli internazionali, avrebbe tolto ogni illusione in certi circoli austriaci», facilitando la sua tattica politica ed aveva dato disposizioni perché fosse evitato ogni strascico polemico» (T. 1553/59 R. del 3 marzo).

2 Vedi D. 202.

218

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1494/111 R. Berlino, ] 0 marzo 1937, ore 20,40 (per. ore 0,30 del 2).

Dispaccio 266 del 24 corr. 1 e precedenti. Sotto riserva approvazione Hitler, questo ministro degli Affari Esteri ha già preparato progetto di risposta alla nota inglese 19 novembre su Locarno 2•

Si tratta di un lungo documento che mi riservo illustrare in dettaglio per corriere, ma di cui indico qui appresso punti essenziali e che interessano maggiormente anche noi.

l) Carattere del patto.

Dato che Italia si è già scorso settembre pronunciata su questo (nota del 16 ottobre), Germania tiene fare sapere che essa approva in pieno punto di vista italiano.

Addentrandosi anzi fondo questione, nota tedesca fa in proposito il caso così di un sistema «bitriangolare» quanto quello di un sistema «quadrangolare» di assistenza mutua e li scarta tutti e due per concludere che quadro e principi antico patto non (dico non) devono essere mutati.

2) Eccezioni.

Premesso che questa eccezione, così come è prevista da nota inglese e francese, avrebbe portata «unilaterale», nota tedesca osserva che importanza vera sta in «chi» decide sulla legittimità delle eccezioni.

Anche secondo risposta fornita interlocutoriamente dall'Inghilterra (miei rapporti 5 e Il dicembre3 , unica a decidere resterebbe Francia.

Questo, ovviamente, per Germania non va.

Se si vuole che Germania possa indursi anche soltanto a discutere problema eccezioni, bisogna che questione decisione legittimità venga risolta in maniera da garantire che decisione stessa possa essere, in ogni caso, «obiettiva ed imparziale».

Sta agli altri fa::-e proposta su questo punto, nota tedesca limitandosi in proposito soltanto ad indicare essere «immaginabile» stabilire una differenza fra i diversi patti, e ciò allo scopo di adottare le garanzie locarniste ai caratteri politici speciali di ciascun patto.

(Questo rappresenta da una parte, aprire la porta a possibili discussioni delle eccezioni -compresa quella della Russia -dall'altra, suggerisce che i patti di assistenza conclusi da Francia e Cecoslovacchia con Russia sovietica vengano relegati ad una categoria di trattati non (dico non) coperti dall'insieme delle garanzie del nuovo patto locarniano.

I Non rintracciato. 2 Vedi p. 69, nota 2. 3 Vedi serie ottava, vol. V, appendice, DD. 4 e 5.

277 3) Competenza S.D.N. in materia dichiarazioni aggressore.

Germania torna a rigettarla tanto più che dopo abolizione zona renana, i casi praticamente possibili sono tutti flagranti. Soluzione accettabile dalla Germania sarebbe quella di lasciare accertamento aggressore alle Potenze non direttamente interessate nel conflitto e cioè ai garanti e -dato che Belgio si mette esso stesso fuori causa -soltanto all'Inghilterra e all'Italia.

Rimane però inteso che questo accertamento dovrebbe essere fatto in comune da entrambi i garanti. (Quindi se uno dei due garanti non fosse d'accordo, non si farebbe luogo, agli effetti del trattato, alla dichiarazione di aggressione.

Belgio e Lussemburgo

Germania è pronta, per il primo, ad addivenire ad una garanzia collettiva (compresa l'Italia) e, per il secondo, a prendere in considerazione i suoi desiderata (mio telespresso odierno) 1•

Non sfuggirà a V.E. la grande portata politica di una così netta presa di posizione da parte tedesca.

Aggiungo che importanza soluzione di cui al numero tre (secondo cui il gioco di tutto il trattato locarniano sarebbe praticamente lasciato all'Inghilterra e all'Italia, in comune e non individualmente) sarà singolarmente aumentata dal fatto che, una volta ammesso, quel principio dominerebbe anche ogni eventuale determinazione ... 2 delle eccezioni, portando quasi conseguenzialmente, al risultato che lo stesso giudizio di legittimità in materia di eccezioni (compreso il gioco... 3 dei patti franco-sovietico e ceco-sovietico ove anche questi finissero con l'essere compresi nelle eccezioni) verrebbe lasciato all'Inghilterra e all'Italia.

Von Neurath si prepara discutere dettaglio risposta con Cancelliere del Reich venerdì prossimo.

È quindi necessario che, prima di quella data, mi pervengano eventuali osservazioni e suggerimenti di V.E. e qualche indicazione di massima sulle intenzioni Italia per quanto riguarda la risposta propria 4 .

219

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO ·

T. SEGRETO NON DIRAMARE 522/76 R. 5 . Roma, 1o marzo 1937, ore 21

Suo 284 del 27 febbraio 6 .

Faccia sapere a Neurath che il Duce ha altamente apprezzato il significativo atteggiamento di solidarietà nazista per quanto concerne la cerimonia dell'incoronazione di Londra.

I Non rintracciato. 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «due gruppi indecifrabili». 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile». 4 Si veda il D. 230. 5 Minuta autografa. 6 Vedi D. 214.

Noi abbiamo detto agli inglesi che pur non intendendo drammatizzare, ci riserviamo ogni libertà di decisione circa la partecipazione o meno alla cerimonia in questione. E cioè se gli inglesi sapranno svuotare l'invito di ogni contenuto politico, dichiarando che il Negus è stato invitato come ex sovrano notoriamente spodestato, invieremo la delegazione. Altrimenti, no. Mi pare quindi che sarebbe molto bene che i tedeschi adottassero una tattica temporeggiatrice e non nominassero i loro rappresentanti sino a quando la situazione non sarà chiarita. È inutile che le dica quanto il gesto tedesco è stato da noi apprezzato e come pertanto sia opportuno seguire molto da vicino la questione 1 .

220

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 523/171 R. Roma, Jo marzo 1937. ore 22,30

Attiro l'attenzione di V.E. sulle rappresaglie che continuerebbero ad essere esercitate dalle milizie di Franco nei territori recentemente riconquistati. Non si discute la necessità di qualche punizione esemplare nei riguardi dei peggiori responsabili della criminalità rossa e l'adozione di severe misure a garanzia della sicurezza e dell'ordine. Ma occorre contenere tali misure in limiti strettamente indispensabili e affrettarsi a fare ritorno alla normalità.

Il Regio Governo, nell'interesse di una rapida soluzione della crisi, non può non essere preoccupato del perpetuarsi di una politica la cui conseguenza è di esasperare il rancore dei vinti e di irrigidire la resistenza degli avversari. Giacché è chiaro che quanti fra i rossi sarebbero disposti ad abbandonare la lotta sono spinti a una resistenza disperata dal terrore dell'inevitabile rappresaglia, col risultato di aggravare e prolungare la lotta.

Veda perciò V.E. di prospettare a Franco la gravità della questione e l'importanza tutta particolare che il R. Governo vi annette, insistendo sull'interesse diretto del governo Nazionale a una politica di moderazione che è il mezzo più efficace per fare opera di concordia e di pace.

Pregola riferirmi esito suo interessamento 2 .

1 Con T. per corriere n. 1530/07 R. del2 marzo. Attolico comunicava di aver portato a conoscenza di von Neurath il contenuto di questo telegramma e di aver ricevuto assicurazione che il governo tedesco avrebbe continuato a temporeggiare, attendendo che fosse chiarita la questione dell'invito al Negus. Per il seguito, si veda il D. 266.

2 Con T. segreto non diramare n. 15111184 R. del2 marzo, l'ambasciatore Cantalupo assicurava che da quindici giorni si stava adoperando nel senso indicato e che all'indomani avrebbe effettuato un apposito passo presso Franco (vedi D. 240).

221

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 1484/180 R. Salamanca, 1° marzo 1937, ore 22,40 (per. ore 7,40 del 2).

Mi riferisco a tutte le mie comunicazioni sui recenti rapporti tra Francia e Spagna nonché a tutte comunicazioni relative Marocco spagnolo.

Apprendo da fonte diretta che emissario francese di cui all'ultima mia comunicazione' è stato respinto con tergiversazioni 2 per ordine di Franco anche perché in quello stesso giorno erano pervenute a questo governo comunicazioni fiduciarie circa maneggio francese nel Marocco spagnolo.

Generalissimo avrebbe deciso sospendere anche indiretti contatti con qualsiasi agente francese e iniziare invece azione diplomatica per tutelare gli interessi spagnoli. Infatti, è cominciata nei giornali camp2.gna denunziante ostilità francese contro gli interessi marocchini della Spagna. Quotidiani ufficiosi precisano trattarsi di tentativi diretti ribellione tribù.

Sangroniz venuto vedermi confermavami autenticità tutte informazioni da noi fornite sulla situazione3 , constatato ammassamento truppe francesi frontiera e corruzione di cabile spagnole confinanti. Residente generale ha telegrafato stanotte a Franco di ritenere che, se disordini scoppiassero entro territorio spagnolo, truppe francesi passerebbero frontiera con pretesto tutelare gli interessi francesi.

Mentre telegrafo è in avanzata redazione presso il Generalissimo nota verbale urgente di questo governo a tutte le Potenze firmatarie dell'Atto Algeciras 4 . Con detta nota spagnola non solo richiamerebbesi attenzione sulla situazione Marocco ma dichiarerebbe volerle costantemente informare poiché Atto Algeciras conferisce alla Spagna ed alla Francia quasi mandato internazionale.

Telegraferò non appena riceverò testo nota 5 .

222

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1521/61 R. Ankara, 2 mar::.o 1937, ore 20,45 (per. ore 3 del 3).

Ho veduto a tarda ora Aras che dopo conferenza Atene 6 erasi trattenuto quattro giorni Istanbul. Ha dichiarato sua grande soddisfazione per risultati quella

l Vedi D. 212.

2 Sic.

3 Vedi p. 219, nota l.

4 La nota fu inviata il 4 marzo alle Potenze firmatarie dell'Atto di Algeciras del 7 aprile 1906 e agli Stati successori dell'Impero Austro-Ungarico. Per il testo della nota si veda Rela:::ioni Internazionali, pp. 281-282.

5 Vedi D. 229.

6 Quinta conferenza dell'Intesa Balcanica del 15-18 febbraio. Vedi D. 180.

280 riunione dove Stojadinovic aveva dato le più ampie rassicuranti «spiegazioni» su patto di amicizia con Bulgaria, che era ormai considerato come nuovo strumento di pacificazione balcanica e rinnovata garanzia di statu quo. Ha tenuto poi a mettere in rilievo allineamento Intesa Balcanica su asse Londra-Roma e suo raffermato attaccamento con S.d.N. ciò che corrispondeva a programma prefissosi (vedi mio telegramma n. 17 dell' 11 gennaio) 1•

Ciò escludeva attuale possibilità conclusione nuovo patto con Francia malgrado costanti insistenze, specie su Piccola Intesa dove per altro interessi erano, di fronte alle nuove combinazioni desiderate da Parigi, nettamente divergenti.

Mi ha poi lungamente trattenuto su riserva germanica per Stretti 2 . Riteneva che mossa di Berlino tendeva a contrastare politica sovietica, intervenire in Mediterraneo in concorrenza con Potenze realmente mediterranee, sia le grandi che le minori, mettere in forse sovranità e indipendenza Turchia su Stretti. Ne aveva parlato poco prima con ambasciatore di Germania 3 spiegando gli ampiamente situazione e giungendo a conclusione che risposta turca, non ancora definitivamente concretata, concluderebbe probabilmente che se Germania mantenesse riserva, cioè disconoscesse convenzione Montreux, non ne potrebbe più approfittare. Chiestogli se ciò significava che Germania non avrebbe politicamente più fruito vantaggi, facilitazioni, ecc. stabiliti da convenzione, mi ha risposto che governo turco glieli concederebbe egualmente, però non più come diritto derivante da disposizione convenzione, ma come cortesia revocabile in qualsiasi momento. Germania non era Potenza mediterranea e non aveva partecipato a Losanna (dalla quale Montreux deriva riallacciandosi) perché Potenza vinta. La sua sicurezza ed i suoi interessi generali non erano per niente minacciati da disposizioni relative a Stretti. Egli non voleva considerare che con la massima amicizia suoi rapporti con Germania, ma non credeva utile attribuire a Germania una qualsiasi probabilità anche minima interloquire in Mediterraneo.

A conclusione suo esposto, mi ha pregato intervenire presso questo ambasciatore di Germania e poi presso Karakan (non appena questi tornasse), dato che gli erano noti eccellenti miei rapporti con ambasciatore dell'U.R.S.S. e considerazione nella quale sarebbe stata da questi tenuta mia intromissione, a facilitare compito della Turchia, desiderosa evitare che ne derivasse un qualsiasi urto con Germania. Ciò tanto più in quanto che di una possibilità di urto la Francia avrebbe potuto approfittare per rinnovare sue offerte di alleanza che erano state rifiutate con il motivo di non voler creare a nessun costo un dissenso con Berlino.

Ho risposto ad Aras chiarendo obiettivamente motivi passo germanico quali mi erano stati spiegati da ambasciatore di Germania e marcando soprattutto che era da escludere in ogni caso ragione meno che amichevole verso la Turchia nella mossa di Berlino. Ad evitare qualsiasi futura sgradevole situazione con Berlino,

l Vedi D. 43.

2 Il governo tedesco aveva presentato ad Ankara una nota in cui si dichiarava che la Convenzione di Montreux ledeva il principio dell'uguaglianza dei diritti per la Germania e danneggiava la posizione navale tedesca in quanto la flotta sovietica era libera di passare i Dardanelli, mentre le coste del Mar Nero erano poste al riparo da qualsiasi attacco. Il governo tedesco dichiarava, perciò, di conservare la sua piena libertà d'azione di fronte alla Convenzione (vedi DDT, serie D. vol. V, p. 594, nota 2.

3 August Friedrich von Keller.

281 Aras doveva in primo luogo evitare che risposta Turchia conducesse a conseguenze irreparabili, inoltre doveva essere concepita nel modo più amichevole attenuandone asprezza, pur difendendo fondamentale interesse turco. Occorreva pure evitare ogni polemica dei giornali (mio telespresso n. 411179) 1• Se avessi avuto occasione vedere ambasciatore di Germania avrei meglio sondato suo pensiero in proposito e cercato esporgli obiettivamente punto di vista Turchia.

Quanto ambasciatore sovietico assente non potevo nulla promettere. Ho detto poi ad Aras che, se riteneva Germania non doveva divenire Potenza mediterranea, a maggior ragione stimavo che neanche U.R.S.S. doveva intromettersi questioni Mediterraneo.

Aras mi ha promesso attenersi mie raccomandazioni e darmi anticipata comunicazione risposta turca. Quando vedrò ambasciatore di Germania mi esprimerò obiettivamente con lui con estrema prudenza, mettendo però in luce ultimo argomento Aras.

Quanto a ambasciatore dell'U.R.S.S. col quale miei rapporti sono stati sempre confidenti, se anche fosse ad Ankara eviterei parlargli di tale questione dato momento assai delicato.

Sarò grato a V.E. se vorrà farmi conoscere con la possibile sollecitudine suo pensiero in proposito e darmi conseguentemente istruzioni 2•

223

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1524/63 R. Ankara, 2 marzo 1937, ore 20,42 (per. ore 2 del 3 ).

Aras ha attirato mia attenzione su richiesta riunione dell'Assemblea straordinaria da lui inviata Ginevra per ammissione Egitto alla S.d.N.. Nel fare tale domanda, egli aveva innanzi tutto pensato che la verifica poteri condurrebbe automaticamente alla esclusione dei delegati abissini e perciò alla possibilità di fare dare ai membri della S.d.N. piena libertà di azione nei riguardi proclamazione dell'Impero italiano. Si adopererebbe con ogni mezzo per questo fine, desideroso mostrare a V.E. quale calore egli poneva per chiarire definitivamente una questione che gettava qualche ombra sull'accordo italo-inglese del quale Turchia desiderava invece pieno valore ed effetto. Il pieno funzionamento dell'accordo lo poneva del resto in condizione di potere rifiutare qualsiasi impegno con la Francia che d'altronde non avrebbe nulla aggiunto alla attuale sicurezza turca. Sarebbe rammaricato se non riuscisse nel suo intento.

I Non rintracciato. 2 Non sono state trovate istruzioni in proposito.

Su domanda fatta, mi ha escluso fondamento voci che parlavano possibile rinvio ammissione Egitto alla Assemblea di Ginevra. Della riunione straordinaria aveva parlato a Istanbul con ambasciatore di Inghilterra senza alcuna di lui obiezione. Sicché non vi era motivo di credere oggi che Assemblea straordinaria non dovesse aver luogo.

224

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1569/044 R. Parigi, 2 marzo 1937 (per. il 5 ).

Da un recente rapporto del R. ambasciatore in Salamanca 1 ho rilevato come egli ritenesse che vi fossero contatti fra elementi governativi francesi ed il governo nazionale spagnuolo.

Credo quindi bene informare V.E. che da notizie pervenutemi da più parti risulta essersi l'ambasciatore di Francia in Spagna già da vario tempo espresso ripetutamente ed esplicitamente nel senso che è indubbia la vittoria dei nazionali. Egli avrebbe anche consigliato al proprio governo di compiere almeno ora il passo suggerito vari mesi fa dal governo britannico, ed allora respinto dal governo di Fronte Popolare, di riconoscere cioè come belligerante il governo di Burgos. Il signor Blum non si è ancora indotto a compierlo, prigioniero com'è della ideologia e soprattutto della frazione comunista del Fronte Popolare. Ha però inviato emissari presso il governo di Burgos per compiere approcci, tanto più che, come disse del resto egli stesso a me durante l'ultimo nostro colloquio, le notizie ricevute da Barcellona dipingono la situazione in quel centro rosso come assai grave a causa delle rivalità esistenti fra i vari partiti estremisti. Mi risulta inoltre che vi furono sempre e sono divenuti anche più frequenti nelle ultime settimane i contatti fra i partiti francesi di destra ed il governo di Burgos. Non più tardi di avantieri una altissima personalità, che per prudenza non nomino, mi confidava di avere ricevuto notizie assai soddisfacenti circa l'andamento delle operazioni militari nazionali da parte di un emissario che egli ed i suoi amici avevano mandato al generale Franco e citò nomi e cifre che non lasciavano sussistere alcun dubbio sulla veridicità delle sue affermazioni, qualora la persona stessa non fosse stata una garanzia assoluta di veridicità.

Questa stessa personalità mi diceva, del resto, esplicitamente che, siccome è un interesse vitale per la Francia di essere in buoni termini con la Spagna, visto che il governo di Fronte Popolare ha commesso l'errore di puntare unicamente sul colore che sarà certamente quello perdente, è dovere dei francesi consci delle

I Si tratta presumibilmente del D. 169.

necessità della loro Patria di correre ai ripari in via indiretta ed ufficiosa. Posso aggiungere constarmi che i partiti di destra, desiderosi come sono di correggere gli errori commessi da Blum, stanno pure adoperandosi a Londra per indurre il governo inglese ad agire su quello francese in modo da salvare all'ultimo momento la situazione.

È molto diffusa nei circoli diplomatici di Parigi la sensazione che, quando le operazioni militari volgeranno verso la fine con la vittoria dei nazionali, ci si dovrà attendere ad un'azione diplomatica di grande stile compiuta dall'Inghilterra per trarre essa stessa i benefici della situazione creata dall'altruismo e dal valore di altre Nazioni.

225

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1637/013 R. Bruxelles, 2 marzo 1937 (per. 1'8).

Mi riferisco ai miei telegrammi per corriere del 29 ottobre e 4 dicembre u.s., rispettivamente nn. 069 e 087 1 , con i quali riferivo e commentavo le dichiarazioni fatte allora al Parlamento dai ministri Spaak e van Zeeland in sede di politica estera, circa la posizione del Belgio di fronte alle trattative per un nuovo patto di sicurezza occidentale e soprattutto di fronte alla Società delle Nazioni.

Sono ora in grado di informare, giusta riservate informazioni, che questo governo ha impartito al signor Bourquin, rappresentante del Belgio nel Comitato di Ginevra per la riforma del Patto della S.d.N., le seguenti istruzioni:

a) per quanto riguarda la constatazione dell'aggressione, il Belgio non può considerare come vincolativa la dichiarazione che rendesse in proposito il Consiglio, di cui il Belgio non fa, del resto, parte. Il Belgio ritiene che rientra nella propria sovranità l'apprezzamento sull'esistenza o meno dell'aggressione.

b) L'art. 16 del patto è logicamente e storicamente diviso in due parti distinte; e le sanzioni economiche finanziarie non sono sullo stesso piano di quelle militari. Mentre le prime sono obbligatorie di fronte ad una aggressione, le seconde sono soggette all'apprezzamento sovrano di ogni singolo membro della S.d.N., senza perciò venire meno alle obbligazioni assunte.

c) L'assistenza da dare ai membri che soccorrono l'aggredito non può neppure significare libero transito di truppe e armi; ciò non è una semplice e generica assistenza ma una vera e propria assistenza militare e strategica, che non è scritta nel Patto, ed avvicinandosi all'idea delle sanzioni militari, non può ugualmente dedursi sic et simpliciter da una sola deliberazione del Consiglio.

1 Vedi serie ottava, vol. V, DD. 312 e 538.

Tali direttive, oltre che basarsi sull'analisi del testo del Covenant e su una esegesi giuridica e costruttiva dello stesso, traggono anche forza dalla considerazione che, mentre il Belgio è fermamente deciso a serbare fede ai patti chiaramente sottoscritti, esso non può, né vuole assumere obblighi indeterminati ed indefiniti, nonché impegnarsi ad azioni che siano ultra vires, materialmente e moralmente. Il Paese non consentirebbe, infatti, si dice, anche a prescindere dalla sua modesta forza militare, a che il Belgio partecipasse ad azioni militari per una semplice deliberazione del Consiglio ginevrino. Del pari, esso si opporrebbe a che venisse accordato il transito a truppe straniere che dovessero agire in base a decisione dello stesso Consiglio, perché ciò significherebbe puramente e semplicemente la guerra e pertanto la negazione di quella politica di neutralità volontaria o di equidistanza di fronte alle competizioni delle grandi Potenze sulle quali il Belgio vuole sempre più fondare la propria sicurezza.

Tutto questo mi sembra uno sviluppo molto interessante, prevedibile e del resto previsto ma non per questo meno significativo del pensiero belga in materia di Patto ginevrino e di sicurezza collettiva. Esso va naturalmente messo in istretto rapporto, per valutario a pieno, all'azione che il Belgio attualmente persegue per uscire dalla posizione locarniana di garante oltreché di garantito, formula che sopravvive, in base alle lettere di Londra del marzo scorso 1 , alla denuncia di Locarno ed alle trattative per la conclusione di un nuovo trattato, ma che nel pensiero belga, come ho costantemente riferito, non ha mai avuto che carattere strettamente provvisorio. Ciò rivela anche una concezione ed azione politica organica e perseverante e che certamente contribuirà, per quanto con cauta prudenza, alla determinazione della nuova situazione in Occidente, di cui già possono intravvedersi le probabili linee di arrivo.

226

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 797/381. Mosca, 2 marzo 1937 (per. !'8).

In relazione agli avvenimenti internazionali delle ultime due settimane, ben poco di nuovo si può dire circa la politica sovietica, la quale continua ad essere influenzata da fattori ed a seguire direttive che sono perfettamente note a Vostra Eccellenza.

La preoccupazione dominante a Mosca rimane sempre il lavorio diplomatico tedesco in Europa, da una parte, e l'attività giapponese in Cina, dall'altra, e per combattere queste due forze ostili l'U.R.S.S. si sforza con ogni mezzo di accentuare la gravità del pericolo che rappresentano, non soltanto per la propria sicurezza ma per la pace del mondo, le politiche «aggressive» di Berlino e di Tokio.

I Vedi p. 237, nota 3.

Tutti gli episodi della vita internazionale vengono considerati sotto tale angolo ed interpretati con tale fine. Il viaggio di Goering in Polonia 1 , la visita di von Neurath a Vienna 2 , l'andata dell'ambasciatore Sugimura a Berlino 3 non sono altro, nel giudizio sovietico, che le mosse concertate di un complesso giuoco diplomatico il quale si propone come scopo finale l'isolamento dell'U.R.S.S. attraverso il definitivo fallimento del sistema di sicurezza collettiva. Per raggiungere tale scopo la Germania, appoggiata dall'Italia e dalla Polonia, manovrerebbe ad occidente per impedire la formazione di un solido fronte democratico contro il fascismo, mentre in Estremo Oriente il Giappone, essendosi reso conto della forte reazione che provoca in Cina qualsiasi atto di intervento diretto, adotterebbe una politica che, per essere meno palesemente aggressiva, non per questo significherebbe rinuncia a piani di conquista e di predominio.

Questa è l'interpretazione semplicista che viene data da Mosca al corso attuale della politica mondiale, la quale continua ad essere giudicata con un pessimismo volutamente esagerato.

Per arrestare il corso di questa politica che si proclama estremamente pericolosa per la pace, il governo dell'U.R.S.S. non vede altra via se non quella di una energica e chiara presa di posizione delle Potenze. democratiche contro i virtuali aggressori. Mosca predica quindi l'adesione incondizionata della Inghilterra, della Francia, della Piccola Intesa, degli Stati scandinavi e di tutti i cosidetti neutrali al sistema di sicurezza collettiva e nel tempo stesso mette in guardia la Cina contro i pericoli che possono derivare da una politica di compromesso col Giappone.

La predica è rivolta particolarmente all'Inghilterra, le cui tendenze conciliatrici vengono sempre giudicate e talvolta anche ridicolizzate come effetto di corte vedute se non di ingenuità. Perfino il formidabile programma di armamenti che il governo britannico sta mettendo in opera -e del quale la stampa sovietica in tanto si compiace in quanto vede in esso un serio ammonimento rivolto al tempo stesso all'Italia, alla Germania ed al Giappone-forma oggetto di critica, appunto perché l'Inghilterra non si decide a dichiarare che i suoi armamenti saranno messi al servizio della «sicurezza collettiva».

Questi sono gli umori che dominano oggi negli ambienti del governo sovietico e di essi mi risulta che Litvinov si rende interprete nelle sue conversazioni con taluni dei miei colleghi esteri. Con me, come credo anche con gli ambasciatori di Germania4 e di Giappone5 , egli si astiene oramai dal farne parola. Signi-

I Il Maresciallo Giiring, era stato in Polonia dal 22 al 26 febbraio per delle partite di caccia (vedi

D. 213). In proposito, l'ambasciatore Arone aveva telegrafato che l'assenza di Beck faceva ritenere che la visita non avesse un significato politico particolare ma che nonostante ciò essa serviva a mettere in evidenza la rinnovata cordialità dei rapporti tra Germania e Polonia (T. 1166 bis/24 R. del 16 febbraio).

2 Vedi i DD. 199 e 215.

3 Il 18 febbraio, Le Temps aveva riportato che l'ambasciatore del Giappone a Roma, Sugimura, era partito per Berlino dove si sarebbe trattenuto una settimana e dove avrebbe avuto dei contatti con il suo collega Mushakoji che era stato insieme a von Ribbentrop, il negoziatore del patto nippo-tedesco. In certi ambienti romani -aggiungeva il giornale -veniva avanzata l'ipotesi che il viaggio di Sugimura potesse essere in relazione con l'atteggiamento del governo italiano nei confronti del Patto antikomintern. Il 21 febbraio, Ciano aveva telegrafato ad Attolico perché accertasse gli scopi del viaggio di Sugimura

(T. 466 R.) ma Attolico aveva risposto di non essere riuscito a sapere niente in proposito (T. per

corriere 1393/05 R. del 24 febbraio). 4 Friedrich Werner von Schulenburg. 5 Mamoru Shigemitsu.

ficativo il fatto che ieri, essendo stato suo ospite per una colazione nella lussuosa casa di campagna che il governo dell'U.R.S.S. provvede al proprio Commissario per gli Affari Esteri ed avendo avuto occasione di trovarmi vicino a lui per oltre tre ore, Litvinov -pur facendo all'ambasciatrice ed a me una accoglienza cordialissima -non ha mostrato la minima tendenza ad entrare in conversazione su temi di carattere politico; al che ho creduto dover rispondere con una non minore riserva 1•

227

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 1533/116 R. Parigi, 3 marzo 1937, ore 19,05 (per. ore 23,30).

Mio telegramma n. 1042 . Delbos mi aveva convocato per questo pomeriggio, ma dovette partire improvvisamente per propria città natale a causa morte suo padre.

Ho veduto pertanto Léger che mi ha detto essere stato incaricato dal proprio ministro di informarmi dell'accettazione integrale da parte del governo francese delle varie nostre proposte, vale a dire che trattative incomincino giorno 8 marzo con esame del problema ferroviario, restando inteso che rapporti fra Compagnia e governo italiano formino, fino a che ciò sia possibile, esame diretto fra loro.

Governo francese crede preferibile di astenersi dall'insistere sopra opportunità che esso vedrebbe di discutere anche punti cinque, sei e sette del programma dei lavori, sia perché essi trattano di questioni che, per forza di cose, sono connesse con interessi più specialmente ferroviari, sia perché desidera sbarazzare il terreno da ogni impedimento in modo da potere, dopo l'Assemblea S.d.N. di maggio, procedere al riconoscimento di diritto della sovranità italiana sull'Etiopia. Léger mi ha detto che, sembrandogli indubbio che fosse interesse anche del governo italiano di risolvere al più presto ogni cosa in modo soddisfacente, aveva creduto influire sul proprio ministro, ed anche su quello delle Colonie, perché non si insistesse, in questo momento, sulla trattazione degli altri punti, convinto come era che ci si arriverebbe ugualmente, ravvisandosi dalle due Parti l'utilità di procedervi.

Ripetutomi che il governo francese non intendeva connettere le trattative col ritiro dell'ultimo contingente militare francese da Dire Daua, Léger mi ha detto, ancorché per ora soltanto a titolo confidenziale, essere stato deciso che ordini relativi sarebbero stati impartiti due giorni prima dell'inizio delle trattative medesime e quindi il 6 corrente, qualora prima riunione avesse luogo 1'8 corrente. Pregò

l Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 210.

287 quindi di dargli sollecitamente conferma della presenza a Parigi dei nostri delegati per questa data.

Delegazione francese sarà composta: per il ministero degli Affari Esteri, dall'ambasciatore Conte Saint Quentin e per il ministero delle Colonie dai signori Joseph, direttore degli Affari Politici, Besson, secondo Capo Ufficio della Direzione Politica, Blosset, aggiunto dell'Ispettorato Generale dei Lavori Pubblici e Labbe, ingegnere Capo al controllo della Ferrovia di Etiopia. Prego V.E. comunicarmi composizione della delegazione italiana 1 .

228

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 984/313. Berlino, 3 marzo 1937 (per. !'8).

Come V.E. avrà potuto rilevare dalle segnalazioni del R. Consolato in Stoccarda, l'Istituto per i tedeschi all'estero colà fondato e che ha fatto di quella città il vero centro spirituale del Deutschtum im Ausland, continua a svolgere attivamente la sua opera di propaganda per il germanesimo all'estero. Tra le sue manifestazioni, oltreché corsi di conferenze, raccolte di fondi, ecc. va annoverata la regolare pubblicazione di un bollettino mensile che ha per titolo Der Auslandsdeutsche e che contiene notizie dei vari gruppi germanici residenti oltre le frontiere del Reich. In quell'opuscolo appaiono spesso segnalazioni relative al gruppo alto atesino (Sudtirol). E sempre, come ne è nuova conferma il numero di febbraio, con termini senza dubbio astiosi e atti a porre in cattiva luce le autorità italiane della provincia di Bolzano.

In tali condizioni ho ritenuto opportuno attirare la particolare attenzione del Gauleiter Bohle che, come è noto, in data del 30 gennaio u.s. è entrato a far parte della Wilhelmstrasse quale direttore generale dei tedeschi all'estero, sull'assoluta impoliticità e scorrettezza di quelle pubblicazioni.

Una esauriente conversazione sull'argomento ha avuto così luogo tra Bohle e Magistrati che ha incontrato il Gauleiter nella legazione d'Austria.

Bohle che, nella sua qualità di capo ideale dei tedeschi all'estero ha avuto da Stoccarda il titolo di Schirmherr (Protettore) della città, ha dichiarato di avere soltanto indirettamente alle sue dipendenze il Deutsches Auslands-Institut e di non seguirne nei dettagli l'attività. Avendo appreso il tono e il contenuto di quelle notizie sull'Alto Adige, ha senz'altro dichiarato di disapprovarle completamente ed ha preso impegno di richiamare l'attenzione della direzione dell'Istituto sulla loro

l Con T. 549/112 R. del 6 marzo, Ciano confermava 1'8 marzo come data d'inizio delle trattative. Della delegazione italiana avrebbero fatto parte il comm. Guarnaschelli, pt<r il ministero degli Esteri, e il comm. Cerulli per il ministero delle Colonie.

assoluta inopportunità. Prendento lo spunto da tale fatto ha affermato di essere però anch'egli in possesso di notizie secondo le quali la situazione del gruppo tedesco dell'Alto Adige ed anche dei tedeschi cittadini del Reich colà residenti sarebbe ancora oggi non buona a causa delle rigide misure prese dall'autorità prefettizia contro quanto sapesse di «tedesco». Un suo fratello ad esempio, di recente tornato da Bolzano, gli aveva dato ampi particolare sulla questione delle inscrizioni sulle pietre tombali. Ha aggiunto poi che i tedeschi cittadini del Reich, membri del Partito nazionalsocialista e inscritti al gruppo di Bolzano si trovano in vere difficoltà nel portare il regolare distintivo nazionalsocialista. «Ho paura, ha aggiunto in proposito, che se anch'io andassi a Bolzano con il mio distintivo le autorità prefettizie non mi farebbero vivere!».

Magistrati, dopo aver accennato alle tante esagerazioni che si raccontano, in buona ed in cattiva fede in taluni ambienti tedeschi, sulla situazione degli alto atesini, non ha mancato di dire a Bohle che evidentemente, per ragioni troppo facili a comprendersi e per taluni insani propositi manifestati in passato da qualche elemento altoatesino ed anche per gli atteggiamenti di enti del tipo del Deutsches Auslands-Institut, le autorità prefettizie di Bolzano non potevano non avere gli occhi aperti su quanto potesse compromettere l'esercizio dell'assoluta sovranità italiana sulla regione. La situazione della prefettura di Bolzano non poteva quindi anche nei confronti dei tedeschi cittadini del Reich colà residenti, essere considerata alla stessa stregua e nella stessa luce delle altre 91 provincie del Regno. Del resto, ha aggiunto Magistrati, appare veramente strano, all'anno quinto del nazionalsocialismo, che in Germania si possa ancora in un Istituto parastatale chiamare Siidtirol una regione che, per bocca degli stessi principali dirigenti e responsabili dell'attuale governo del Reich, viene oramai nettamente definita «Alta Italia», e dove vive, compresa nei precisi e riconosciuti confini naturali d'Italia, un gruppo allogeno germanico.

Bohle, entrato nell'argomento, ha ricordato egli stesso come lo stesso Hitler abbia fin dal 1925, nel suo Mein Kampfrisolto la questione dell'Alto Adige in un senso nettamente italiano ed ha concluso che effettivamente nessun elemento responsabile della Germania nazionalsocialista può mettere in dubbio la frontiera del Brennero.

A conclusione della conversazione ha pregato Magistrati di dirmi che è suo vivo desiderio che la R. Ambasciata ogni qualvolta abbia a constatare atteggiamenti di elementi tedeschi tali da essere considerati, nei confronti dell'Alto Adige, poco rispettosi per la sovranità italiana, si diriga direttamente e personalmente a lui stesso: egli non mancherebbe di provvedere e di compiere ogni sforzo per evitare che simili incidenti, spiacevoli per i buoni rapporti itala-tedeschi, abbiano a ripetersi in avvenire.

Da parte mia gradirei molto di potere, per guanto riguarda il trattamento dei cittadini tedeschi residenti nella Provincia di Bolzano, essere in possesso di notizie utili a smentire la sicura inesattezza dei fatti riferiti dal Bohle e ciò specialmente per guanto riguarda l'uso dei «distintivi» nazionalsocialisti 1•

I Il documento ha il visto di Mussolini.

229

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 435/211. Salamanca, 3 marzo 1937 (per. il 13).

Con riferimento al mio telegramma n. 185 1 e precedenti, mi pregio accludere in copia la preannunziata nota verbale2 , rimessami dal governo nazionale, sulle agitazioni provocate dai francesi in Marocco, con conseguente appello alle Potenze firmatarie dell'Atto di Algesiras, e denuncia della asserita violazione francese del Patto di non intervento.

Con l'occasione, prego V.E. di voler fermare l'attenzione del governo fascista sulla eventualità che la Spagna di Franco, ove considerevoli avvenimenti militari dovessero svolgersi, abbandoni il Protettorato, o almeno quella parte di territorio che potrebbe essere occupata dai francesi.

Sono indotto a prospettare questa ipotesi, dopo indiscrezioni fornitemi in via segretissima da diplomatici spagnoli con i quali ho avuto altrove lunga consuetudine di rapporti: debbo premettere che essi sono, per contingenze interne del Quartier Generale, poco entusiasti del Generalissimo e tendenzialmente pessimisti.

I miei informatori pretendono che durante gli ultimi giorni si sono svolti presso il Generalissimo tre riunioni dello Stato Maggiore, presiedute da Franco. In dette riunioni sarebbe stato teoricamente concluso:

a) che un conflitto franco-ispano in Marocco potrebbe significare conflitto tra i due Stati in Europa; b) che la Spagna Nazionale, nelle condizioni in cui è oggi, deve fare tutto il possibile per evitare un tale conflitto dans !eque! l'Espagne sombrerait; c) pertanto, ricerca di vie diplomatiche e tentativo di diluire il conflitto nelle cancellerie, tra altri Stati interessati;

d) di qui, l'acclusa nota che risponde esattamente ai fini predetti;

e) qualora le vie diplomatiche non conducessero ad una soluzione pacifica, la Spagna nazionale penserebbe di dover evitare una resistenza armata alla temuta invasione francese, specie se la invasione stessa fosse fatta apparire dalla Francia come marocchina, cioè sultanale;

f) ed infine, qualora il Sultano ritirasse al Halifa l'investitura per il Protettorato spagnuolo, questo governo potrebbe non accusare il colpo, ma mostrare di trovarsi di fronte ad un fatto di politica coloniale, e rimandare alla fine della guerra civile la soluzione.

Non ho fatto osservare ai miei informatori che questa ultima poco geniale idea è già resa praticamente impossibile dalla netta denunzia contro la Francia contenuta nell'odierna nota verbale3 .

1 Riferimento errato. Si tratta del T. 1484/180 R. del 1° marzo, per il quale vedi il D. 221. 2 Non pubblicata. Vedi p. 280, nota 4. 3 In calce al documento vi è la seguente annotazione autografa di Cantalupo:

P.S. -Ho informato Colli. P.S. -All'ultimo momento apprendo che la Nota è inviata anche alla Germania ed agli Stati Eredi dell'Impero A.U. che era firmatario del Patto di Algeciras.

230.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 2641/78 P.R. Roma, 4 marzo 1937, ore l.

Suo n. 111 1 .

Ringrazi codesto governo delle informazioni che Le sono state date sulla nota che la Germania si propone di dirigere al governo britannico in risposta al memorandum del 19 novembre2• Dalle notizie che V.E. mi dà, rilevo con piacere che la nota tedesca corrisponde anche alla nostra linea di condotta. Sono anche d'accordo con von Neurath per quello che riguarda la garanzia da dare al Belgio. •

Pregola dire a von Neurath che mi sembrerebbe utile che prima che la nota tedesca sia definita essa ci venga comunicata nel suo testo, in modo che la risposta italiana ne possa tener conto e le due risposte possano essere poi presentate pressoché contemporaneamente al governo britannico.

231

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1567/202 R. Salamanca, 4 marzo 1937, ore 14,50 (per. ore 8 d el 5 ). Mio telegramma n. 188 3 .

Addetto commerciale presso l'ambasciata d'Inghilterra 4 , staccato dalla Commissione, arrivato Burgos ed è venuto stamane Salamanca. In lungo colloquio con Sangroniz gli ha detto che interessi economici britannici in Spagna esigerebbero sua presenza nella capitale provvisoria. A tal fine ha domandato consenso di questo governo, facendo ben notare che il Foreign Office procederebbe in tal modo al riconoscimento di fatto, non, dico non, potendo ancora farlo di diritto per ragioni interne ed internazionali.

Gli sarà data domani risposta che telegraferò 5 .

I Vedi D. 218. 2 Vedi p. 69, nota 2. 3 T. 1535/188 R. del 2 marzo. Riferiva sul prossimo arrivo a Burgos di una commissione commer

ciale britannica che, con il pretesto di tutelare gli interessi economici, avrebbe negoziato un accordo commerciale, così da creare un precedente concreto per il riconoscimento della Spagna nazionale da parte della Gran Bretagna.

4 A.J. Pack. 5 Vedi D. 251.

232.

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1564/52 R. Belgrado, 4 marzo 1937, ore 20,20 (per. ore 0,40 del 5).

Dal testo agenzia Stefani delle dichiarazioni fatte oggi da Stojadinovic alla Scupcina1 in sede bilancio degli Esteri nei riguardi dell'Italia, V.E. rileverà che le stesse appaiono assai soddisfacenti, rispondendo alla fase attuale pubblica della evoluzione dei nostri rapporti. Dichiarazioni sono state accolte da unanime applauso come ho potuto personalmente constatare. Nel discorso stesso è apparso poi notevole il tono relativamente tiepido usato nei riguardi Piccola Intesa in contrasto con quello adoperato per l'Intesa Balcanica. Quanto all'accenno fatto alla questione della restaurazione degli Asburgo ed alla posizione negativa mantenuta in proposito dalla Jugoslavia, è stata rilevata la coincidenza di tale non indispensabile dichiarazione categorica colla linea politica pubblicamente confermata dalla stampa italiana di quest'ultimi giorni.

Stojadinovic ha anche cercato riparare all'omissione commessa e rimproveratagli severamente in occasione precedente discorso innanzi comitato finanziario nei riguardi della Francia, facendo oggi un caldo elogio della «tradizionale» amicizia francese. Non è escluso che a ciò sia stato indotto anche da importanti considerazioni di carattere finanziario 2 .

233

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO

T. 539/188 R. Roma, 4 marzo 1937, ore 22.

Rilevo dalla stampa che nuove proposte franco-inglesi sarebbero state avanzate per una mediazione allo scopo di por fine alla guerra civile in Spagna.

Faccia sapere a Franco che l'accettare una qualsiasi mediazione non ci sembra che sarebbe per lui conveniente. In ogni modo, se tali proposte avessero ulteriore corso, egli dovrebbe porre come condizione che fra gli Stati mediatori fossero tanto l'Italia che la Germania e il Portogallo3 .

1 Il testo del discorso è in Relazioni Internazionali, pp. 174-176.

2 Il giorno successivo, Ciano telegrafava: «Faccia sapere a Stojadinovic che le dichiarazioni fatte ieri sono state qui molto apprezzate» (T. 551144 R. del 5 marzo. La minuta del telegramma è autografa di Ciano).

3 Per la risposta, si veda il D. 251.

234

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1580/207 R. Salamanca, 4 marzo 1937, ore 22,10 (per. o,te 7 del 5).

Mio telegramma odierno n. 202 1 .

Sciolgo riserva. Riferisco colloquio con Franco circa situazione marocchina. Sue dichiarazioni si riassumono in 5 risposte ad altrettanti quesiti da me postigli ed un sesto punto che ha esposto di sua iniziativa.

l) Come generale Marocco conoscitore quel Protettorato, Franco dichiara forze regolari e irregolari spagnuole attualmente nel Protettorato sufficienti per mantenere ordine nel caso tentativi sovversivi delle tribù, che del resto egli ritiene quasi impossibili data pacifica situazione.

2) Forze preparate convenientemente non, dico non, sarebbero invece sufficienti per fronteggiare con successo forze francesi che eventualmente attaccassero alla frontiera.

3) In tal caso due dovrebbero essere metodi da adottarsi o rinunziare alla difesa o difendere Protettorato con mezzi a disposizione anche se inadeguati. Alludendo forse a consiglio di alcuni militari dei quali è cenno nel mio rapporto

n. 491 2 , Franco mi ha dichiarato che evacuazione graduale Protettorato sotto avanzata francese è da lui scartata senza discuterla.

4) Qualora Francia attaccasse, difesa sarebbe perciò sostenuta nei punti avanzati della frontiera e poi eventualmente arretrando verso l'interno. Al tempo stesso agenti spagnoli darebbero inizio a movimenti di ribellione di alcuni estremisti del Marocco francese e Algeria.

5) Circa risultati della nota verbale alle Potenze firmatarie Algeciras 3 , Franco dopo aver esposto ipotesi favorevoli ha molto insistito che, qualora Potenze non, dico non, dovessero o potessero constatare accentramento truppe francesi alla frontiera, governo nazionale sarebbe riuscito certamente ed in ogni caso ad allontanare minaccia dal Protettorato mediante allarme internazionale. Egli spera anche che il governo francese agisca.

6) Da me non (dico non) ... 4 Franco ha lungamente dimostrato che questa volta l'Inghilterra dovrà necessariamente appoggiare Spagna Nazionale perché truppe francesi territori occupati costituiscono minaccia, sia allo Statuto di Tangeri, sia al Patto Algeciras, sia all'accordo inglese per status quo Mediterraneo: cioè tre interessi e impegni internazionali inglesi.

l Riferimento errato. Si tratta del T. 1566/200 R. del 4 marzo con cui l'ambasciatore Cantalupo riferiva che nel pomeriggio sarebbe stata consegnata al console francese in San Sebastiano la nota del governo spagnolo su le agitazioni provocate in Marocco ed il conseguente appello alle Potenze firmatarie dell'Atto di Algeciras del 1906. L'ambasciatore consigliava che, prima di prendere contatto con altri governi, si attendesse di ricevere il suo rapporto del giorno precedente (vedi D. 229) e i risultati del colloquio che stava per avere con Franco.

2 Non rinvenuto. Ma si veda l'accenno in proposito contenuto nel D. 229.

3 Vedi D. 221.

4 Nota dell'Ufficio Cifra: «Manca. Dovrebbe leggersi: richiesto».

235.

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1606/049 R. Vienna, 4 marzo 1937 (per. il 6).

Mio telegramma n. 59 1 .

Nel corso della conversazione avuta con lui ieri, il Cancelliere Federale mi accennò anche, in nesso con la questione monarchica, all'Ungheria. Nessuna preoccupazione -mi disse Schuschnigg -poteva nutrirsi a Budapest d'essere messi da Vienna innanzi a sorprese o fatti compiuti. Più volte egli aveva dichiarato a Gombos che l'Austria considerava il problema della restaurazione come uno di quelli sui quali, prima di ogni determinazione, essa avrebbe dovuto consultarsi, nello spirito dei Protocolli di Roma, con gli altri due Stati firmatari. Non aveva pensato di parlarne nell'ultimo tempo perché la questione continuava ad essere per lui non attuale, ed il significato del suo ultimo discorso 2 era appunto dilatorio, come aveva dichiarato a me prima della visita di von Neurath e indipendentemente dalle recenti polemiche straniere (mio rapporto riservato personale n. 773/385 del 22 febbraio scorso 3 .

A v eva saputo che il governo di Budapest si era rivolto a Roma per conoscere l'atteggiamento del R. Governo, non sa se solamente circa un'eventuale restaurazione in Austria od anche circa una contemporanea restaurazione in Ungheria 4 . Aveva anche saputo, da fonte ungherese, della risposta data da Roma e della quale, in precedente conversazione, io stesso non gli avevo fatto mistero (telegramma per corriere di V.E. n. 483 R. del 24 febbraio u.s.) 5 . La connessione con l'Ungheria complica il problema anche per l'Austria e proprio tale connessione-data l'identità della Dinastia-conferisce all'eventuale restaurazione un carattere internazionale e ne accresce le difficoltà nei riguardi internazionali, specialmente presso alcune Potenze della Piccola Intesa.

Ad ogni modo, concluse Schuschnigg per questa parte della conversazione, le notizie sulla posizione che assume anche l'attuale governo ungherese, se pure con qualche minore avversione, sono tali da rendere il problema monarchico ancora sempre meno attuale per l'Ungheria come per l'Austria. I disegni di legge i vi in corso di esame per rafforzare la posizione e ampliare le prerogative del Reggente attuale lo indicavano in modo evidente. Di tutto ciò si è parlato, molto vagamente ma pur abbastanza chiaramente, in occasione della visita di Horthy e del Presidente del Consiglio Daranyi a Vienna nello scorso novembre.

l Vedi p. 276, nota l.

2 Vedi p. 238, nota 3.

3 Vedi D. 190.

4 Su questo passo del governo ungherese non è stata trovata documentazione negli archivi italiani. Si veda in proposito quanto riferiva il ministro di Ungheria, Villani, dopo un colloquio con il direttore generale degli Affari d'Europa e del Mediterraneo, Buti, in DV, vol. I, D. 210.

5 Comunicava che ai ministri a Budapest e a Belgrado era stato confermato che l'Italia restava nettamente contraria ad una eventuale restaurazione absburgica (vedi D. 178). Su la questione si veda il D. 185.

236

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 1607/050 R. Vienna, 4 marzo 1937 (per. il 6).

Schuschnigg mi ha accennato ieri che, da autorevoli personalità cattoliche, tanto della Baviera quanto della Svizzera, gli era stato manifestato il pensiero che un intervento del Duce presso Hitler avrebbe potuto mitigare l'asprezza delle lotte religiose nella Germania e contribuire a creare una base di accordo tra lo Stato nazionalsocialista e la Chiesa cattolica. Si credeva di sapere che per la conclusione del Concordato era stato proprio von Papen a chiedere in nome di Hitler e ad ottenere dal Duce un intervento presso la Santa Sede per eliminare ultime difficoltà. Quelle personalità svizzere e bavaresi gli avevano fatto chiedere se sarebbe stato disposto a parlarne al Duce. Egli lasciò cadere la cosa e si riservava di farne cenno, se mai, in una conversazione a Roma.

Se egli fosse un politicante egoista -mi disse Schuschnigg -dovrebbe compiacersi del conflitto sempre più aspro tra il nazionalsocialismo e la Chiesa cattolica, perché è in questo una difesa molto efficace contro ogni più larga diffusione del nazismo nell'Austria profondamente cattolica. Ma egli pensa più in là. E vede, a lungo andare, in quella lotta un imbarazzo a una debolezza per il funzionamento avvenire dello stesso asse Roma-Berlino.

Ascoltai queste comunicazioni di Schuschnigg senza accennnargli che ne avrei riferito a V.E. Né egli me lo ha chiesto, pur supponendo che lo avrei fatto.

237

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATISSIMO ... 1/520. Parigi, 4 marzo 1937

Ho l'onore di trasmettere a V.E. copia di un rapporto segreto che questo R. Addetto Militare ha inviato al Ministero della Guerra. I fatti in esso citati sono di una gravità che non deve essere sottovalutata, perché dimostrano i tentennamenti del ministro della Difesa Nazionale, signor Daladier, il quale con l'atteggiamento apparentemente energico e decisamente anticomunista assunto nei mesi scorsi era riuscito a cattivarsi le simpatie dell'Esercito e la riconoscenza della parte sana del Paese. Negli ultimi tempi, l'influenza della frazione comunista del Fronte Popolare è andata crescendo tanto da far temere che finirà per imporre la sua volontà ai

I L'indicazione del numero di protocollo generale è illegibile.

radicali ed ai socialisti. Di fronte a chi sale, gli uomini politici francesi, che non sono davvero animati di molto coraggio, si fanno piccoli ed umili. Ciò non stupisce del resto per Daladier, che pure essendo intelligente e patriota, ha sempre mancato di carattere. Egli mi fu definito un giorno come un cavallo con molto sangue che si butta sull'ostacolo con grande slancio ma al momento di superarlo gira la groppa e con lo stesso slancio ritorna al punto di partenza.

Ho avuto agio io stesso di constatare lo scoramento di un valoroso soldato e di un eccellente patriota francese conversando confidenzialmente alcuni gio~ni orsono col generale Weygand, che è da anni a riposo ma che conserva molti contatti con l'Esercito e gode tuttora di grande prestigio fra i militari. Egli era oltremodo irritato perché Blum parlando a Saint Nazaire il 21 febbraio aveva lasciato intendere che i francesi avrebbero potuto essere chiamati a morire per la bandiera rossa dell'internazionale comunista. Il generale Weygand mi diceva che egli non aveva più pace da quel giorno e che aspirava ad una sola cosa ormai, a non morire nel proprio letto in un Paese in cui si possono pronunciare dal Presidente del Consiglio simili eresie, bensì con l'arma in pugno sopra una barricata in difesa del tricolore.

Alla mia domanda circa la ripercussione che la frase di Blum aveva avuto nell'Esercito, il generale Weygand rispose che la stragrande maggioranza condivideva il suo modo di pensare, ma non cercò nemmeno di negare che vi sono anche correnti le quali per arrivismo sono rosse e che è inutile negare l'esistenza di una tenace quanto subdola propaganda comunista nelle caserme.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, BARBASETTI, AL MINISTERO DELLA GUERRA

RAPPORTO SEGRETO 370. Parigi, 3 marzo 1937

Il generale di brigata Gérodias, uno dei sottocapi di S.M. dell'esercito, è stato tolto dalla sua carica e trasferito, improvvisamente, al comando della fanteria divisionale a Besançon.

È un provvedimento, questo, insolito nell'esercito francese, in quanto, di massima, i sottocapi di S.M. lasciano la loro carica per assumere un comando interinale del grado superiore e non del proprio grado. Così è avvenuto, ad esempio, l'anno scorso per il generale Loiseau.

Il provvedimento preso per il generale Gérodias è una punizione. Ne ha dato notizia anche il Gringoire nel numero di venerdì 29 gennaio (vedi stralcio unito) 1 . È esatto, come dice il giornale, che tale provvedimento fu preso di sorpresa, in assenza del capo di S.M. generale. Il generale Gérodias me lo ha confermato egli stesso, in una visita di congedo che mi ha fatto il l o marzo. Ha aggiunto che egli ha avuto notizia del suo trasferimento e del nuovo incarico (che segna, come ho detto, per ragioni di usanza, una diminutio capitis) dai giornali, né gli è stato concesso di giustificarsi o di farsi giustificare dai superiori, ai quali si è voluto far trovare il fatto compiuto.

Secondo il Gringoire, il provvedimento contro il Gérodias è stato preso per avere egli comunicato ai comandi di regione il noto piano comunista di occupazione delle caserme e di eliminazione dei generali in caso di golpe di stato comunista. Ritengo che la versione del

l Non pubblicato.

giornale sia di massima esatta, perché il generale ha detto a me che la sua «punizione» ha carattere politico, avendo egli firmato una circolare indirizzata ai comandi di regione, nella quale egli li metteva in guardia sul pericolo comunista e usava -nel testo -la parola «Spagna». Il generale, forse, ancora sotto l'impressione del colpo ricevuto, ha aggiunto, confidenzialmente: E credetemi pure che in tanti e lunghi anni di carriera io non mi son mai occupato di politica a differenza, forse, di quanto ha fatto qualche nostro grosso esponente!

Proseguendo nelle confidenze, il generale mi ha rivelato le sue previsioni:

l) egli è molto incerto sulle sorti del suo paese; 2) la maggioranza dei francesi è, disgraziatamente «endormie»; 3) il ministro Daladier, il quale era sembrato energico ma equanime nelle sue passate

decisioni, è ora prigioniero anch'egli degli elementi di estrema sinistra;

4) il governo attuale sa dove vuole andare a finire, e probabilmente, approfittando della situazione, delle difficoltà di successione ecc., riuscirà a mantenersi in vita e a perseguire il suo scopo.

Sebbene le rivelazioni di cui sopra provengano da un animo inacerbato (tuttavia alquanto calmato, perché sono già passati una diecina di giorni dal provvedimento) acquistano particolare valore, perché fatte da un uomo che si è sempre mostrato molto riservato. Di esse, secondo me, deve tenersi conto: sono un sintomo. Il generale Gérodias (ne ho già fornito in passato informazioni a codesto S.l.M.) era molto stimato. Il provvedimento contro di lui è già stato e sarà rilevato, e avrà ripercussioni nei circoli intimi degli ufficiali e negli apprezzamenti o nel contegno di ciascuno di essi. Il ministro Daladier ha certamente perduto molto della stima che si era acquistata nell'esercito e ritorna ad essere compreso nell'orbita del governo del Sig. Blum, il quale dalla massa degli ufficiali non è certo ben visto. Ne ho avuto prova anche stamane 5 marzo, in una colazione che il generale Gamelin ha offerto agli addetti militari ed alla quale hanno partecipato gli alti ufficiali di S.M. francese e generali d'aeronautica. Uno di questi ultimi, che mi sedeva vicino -ed io ero alla sinistra del generale Gamelin, il quale quindi poteva sentire quanto mi diceva -ha avuto parole severe per il governo e per la politica che esso segue.

Il generale Gérodias non sarà sostituito da altro sottocapo. Il generale Schweissguth rientrerà, anche amministrativamente, nell'organico dei sottocapi e questi si divideranno gli uffici dello S.M.

238

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 436/212. Salamanca, 4 marzo 1937 (per. 1'8). Mio telespresso n.

In conversazione su altro argomento, parlandomi incidentalmente della Santa Sede, il Generalissimo ha avuto espressioni di viva critica e di aspro apprezzamento della politica pontificia riguardo la Spagna. Ha aggiunto che egli si guarda bene dal

I Vedi D. 173.

chiedere al Vaticano nuovi interventi presso i separatisti baschi: anzi, anche il problema della Provincie Basche sarà risolto con le armi e dopo si troverà la Segreteria di Stato in difficoltà, quando dovrà domandare che sia accolto il suo Nunzio a Madrid.

In sostanza, i cattivi rapporti sono immutati.

140 1 .
239

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 1581/118 R. Parigi, 5 marzo 1937, ore 11,10 (per. ore 13,35).

Ministro delle Colonie che partecipò ieri sera pranzo R. Ambasciata mi comunicò di avere impartito ieri stesso ordine al distaccamento francese Dire Daua di partire per Gibuti giorno 6 marzo 1 . Si è compiaciuto vivamente m eco delle imminenti trattative e ha detto che incontrerà qualche difficoltà d'ordine amministrativo per trovare denaro necessario lavori ingrandimento porto di Gibuti ma che le supererà essendo sua intenzione di metterlo in grado corrispondere nuovi bisogni.

240

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1588/208 R. Salamanca, 5 marzo 1937, ore 11,40 (per. ore 19).

Telegramma di V.E. n. 17P e mio 2033 .

Ho avuto colloquio con generale Franco al quale ho svolto tutti gli argomenti indicati da V.E. Ho detto anche che nella imminenza azione Madrid consiglio morale e politico del governo fascista acquistava particolare autorità e urgenza. Ho inoltre aggiunto che vittoria deve ormai pienamente attenersi con mezzi e uomini già entrati in Spagna, cioè non aumentabili causa blocco internazionale, e perciò ogni e qualsiasi sforzo deve, secondo nostro avviso, essere volentieri e subito compiuto per abbreviare durata guerra civile e ritorno normalità.

1 Con T. 605/140 R. del 18 marzo, Ciano informava l'ambasciatore Cerruti che, secondo quanto comunicava il Maresciallo Graziani, il distaccamento francese di stanza a Dire Daua era partito per Gibuti il 13 marzo.

2 Vedi D. 220.

3 T. segreto non diramare 1561/203 R. del 4 marzo. L'ambasciatore Cantalupo riferiva di avere effettuato il passo prescrittogli allo scopo di ridurre le rappresaglie sui nemici «con sufficienti risultati e assicurazioni, specie per quanto riguarda prigionieri presi combattendo» e preannunciava l'invio del presente documento.

Generale Franco, che era stato preparato da suo collaboratore con me consenziente, mi autorizza telegrafare a V.E. quanto segue:

l) Popolazioni civili rosse. Generalissimo ha nettamente affermato che massacri da parte milizie bianche sono finiti da un pezzo. Ormai, salvo casi non controllabili, giustizia sommaria nelle zone occupate, è affidata soltanto a regolari tribunali militari che debbono rendere conto al governo. Ha riconosciuto che subito dopo occupazione Malaga anzidetti tribunali militari hanno funzionato con rigore. Egli ha ora impartito istruzioni di maggiore clemenza verso masse incolte e di immutata severità contro capi e criminali. In omaggio a tali direttive tribunali Malaga, su totale incolpati che egli ha affermato 1 senza però dirmi cifre, ha condannato morte 50 per cento degli accusati capi e criminali, ha inflitto pene 20 per cento e ha assolto 25 per cento oltre a 5 per cento graziati da lui.

Ho detto che pur riconoscendo miglioramento relativo in confronto mesi scorsi, debbo trovare ancora alta la percentuale delle pene capitali.

2) Circa prigionieri guerra, Franco si è dichiarato perfettamente d'accordo con punto di vista italiano soprattutto per considerazioni politiche, cioè per indurre milizie rosse ad arrendersi e quindi per abbreviare al massimo resistenza nemica. Generale Franco mi assicura che ha impartito da varie settimane istruzioni di non fucilare prigionieri di guerra e fare propaganda in tale senso nel campo nemico mediante manifesti e radio Salamanca che sembra preferita dai rossi.

A mia domanda ha risposto che nella imminenza occupazione Madrid, farà intensificare anzidette istruzioni alle truppe. Ha aggiunto che radio Salamanca spiega ai nemici, per suo ordine, capisaldi della dottrina fascista sempre allo scopo fare sapere alle popolazioni civili ancora sotto dominazione rossi che arrivo fascisti significa protezione, pacificazione e non terrore e rappresaglia come propaganda nemica da mesi fa credere.

241

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1594/46 R. Budapest, 5 marzo 1937, ore 21 (per. ore 0,15 del 6).

Sono corse voci di complotti e tentativi di imporsi con la forza da parte di elementi estremisti di destra a tinta antisemita e filonazista. Ambienti ufficiali ne smentiscono fondamento. Sono in grado invece confermare che effettivamente qualche cosa si sarebbe voluto tentare da parte gruppi estremisti che dispongono pure di armi a suo tempo distribuite da Goemboes.

1 Sic.

Governo è stato fermo nel fare intendere ai principali indiziati che qualsiasi tentativo sarebbe stato soffocato con ogni energia. Si parla di aiuti germanici. Riferisco dettagliatamente per corriere 1•

242

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH

T. 550/80 R. Roma, 5, marzo 1937, ore 24

Questo ambasciatore degli Stati Uniti mi ha dato partecipazione del seguente comunicato che il suo governo intendeva dare alla stampa:

«Il signor Cornelio van Engert, ministro americano e console generale ad Addis Abeba, sta per lasciare il suo posto per congedo. Alla partenza del signor Engert il signor Morris Hughes, console americano, assumerà la tutela degli interessi americani fino alla fine di marzo, epoca in cui l'ufficio sarà chiuso. L'azione del Dipartimento a questo riguardo è in concordanza con la pratica d'uso di porre termine alle attività consolari in ogni distretto dove gli interessi americani non richiedono più tali servizi».

Ho detto a questo ambasciatore degli Stati Uniti che l'astensionismo degli Stati Uniti in Etiopia mi sembrava un provvedimento in netto contrasto con la realtà; nonché con i provvedimenti che in materia hanno adottato la maggior parte degli Stati, sia col riconoscere esplicitamente de jure l'Impero, sia col riconoscerlo de facto con misure di vario ordine e carattere.

L'ambasciatore ha portato le mie conversazioni a conoscenza di codesto governo e mi ha fatto conoscere che questo ha sospeso per ora l'emanazione del comunicato.

Prego V.E. di volere interessarsi della questione soprattutto per conoscere il vero significato che il governo americano intende attribuire a tale decisione che, evidentemente, potrebbe dar luogo a malintesi e a sgradevoli interpretazioni2.

243

L'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI TRANSOCEANICI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 5 marzo 1937

L'ambasciata degli Stati Uniti d'America ha testè rimesso a questo Ministero le patenti dei nuovi consoli generali in Milano e Napoli, indirizzate semplicemente a «Sua Maestà il Re d'Italia». Parimenti l'ambasciata degli Stati Uniti del Brasile

1 Vedi D. 252. Con T. 1648/51 R. dell'8 marzo, il ministro Vinci riferiva che l'azione del governo aveva bloccato le iniziative rivoluzionarie ma che erano «accertate intese fra elementi filonazisti, già legati a Géimbéis, per riunire le forze e ricostruire partiti difensori della razza con programma più completo e totalitario».

2 Per la risposta si veda il D. 247.

ha in questi giorni usato la stessa formula nel presentare le lettere patenti del nuovo console onorario in Venezia. Sia nell'uno che nell'altro caso si esprime il subordinato parere che non debbansi accettare tali lettere patenti nel modo come esse sono state redatte.

Ove l'E.V. non avesse nulla in contrario, nel restituire alle due ambasciate le relative lettere patenti per i loro nuovi funzionari consolari si potrebbe far presente che in attesa del giorno nel quale verranno presentate le regolari lettere a «Sua Maestà il Re d'Italia, Imperatore d'Etiopia» e per agevolare nel frattempo il servizio consolare dei rispettivi Paesi nelle suddette sedi, si potrà ivi permettere l'esercizio delle funzioni consolari senza che peraltro vengano rilasciati i regolari exequatur.

244.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 1009/324. Berlino, 5 marzo 1937 (per. !'8).

Mi riferisco al telecorriere di V.E. n. 2633 del 3 marzo 1 , contenente il colloquio Ribbentrop-Halifax (parte riguardante il Belgio).

Mi risulta in modo positivo che, sia in quel colloquio, sia nell'altro successivo avuto da Ribbentrop negli ultimi giorni di febbraio con Eden 2 , Ribbentrop ha insistito sulla questione belga in termini che non coincidono perfettamente con le vedute dell' Auswiirtiges Amt e, a quanto mi disse a suo tempo Neurath, dello stesso Fiihrer.

In sostanza Ribbentrop, assumendo e quasi scontando già il fallimento delle conversazioni locarniane in corso, vorrebbe arrivare ad un patto di garanzia per il Belgio, anche indipendentemente da Locarno. Ora, ad un siffatto risultato si può arrivare in due momenti e modi diversi e cioè:

a) dopo aver esaurito le negoziazioni locarniane in corso;

b) prima ancora del fallimento delle trattative locarniane.

Ribbentrop sarebbe per questa seconda alternativa, anche perché questa si presterebbe a valorizzare la sua antica idea di un patto belga che, concepito originalmente come bilaterale, si era poi allargato ad un tripartito, per arrivare -nella sua ultima edizione riveduta e corretta-ad un patto comprendente anche l'Italia.

Neurath invece non vuole affatto precipitare le cose anche perché desidera dimostrare che la Germania, pur mantenendo le sue posizioni fondamentali, non intende sabotare gli sforzi inglesi per un patto occidentale.

l Ritrasmetteva parte del T. 1300/044 R. del 16 febbraio da Londra, per il quale si veda p. 277, nota 2.

2 Si riferisce al colloquio del 26 febbraio (sul quale si veda BD, voi.· XVIII, D. 225 e DDT, serie C, vol. VI, D. 232). Nel riassumere a Crolla l'andamento di quel colloquio, il consigliere dell'ambasciata di Germania, Woermann, aveva detto che von Ribbentrop era tornato su la sua vecchia idea di una garanzia alle frontiere del solo Belgio. qualora un accordo a cinque di garanzia su tutte le frontiere occidentali si fosse rivelato impossibile (T. per corriere 1697/059 R. del 2 marzo).

A quel che mi risulta, del resto, dal ministro del Belgio, Bruxelles non sarebbe per l'alternativa Ribbentrop, a cui sarebbe contrario anche Eden.

Comunque, è bene tener presente questa divergenza di concezioni e di sistemi a proposito del Belgio sia perché essa riaffiora tutti i momenti, sia perché, dopo tutto, interessa anche noi. La presenza infatti dell'Italia in un trattato di garanzia esclusivamente belga che non fosse il risultato -positivo o negativo -di negoziazioni locarniane, non avrebbe lo stesso carattere di naturalezza e direi quasi di automatismo, che invece avrebbe nella concezione e nel sistema Neurath.

Un sistema di garanzia belga, del resto, non è, comunque vi si proceda, tanto facile e sicuro come da taluni si sembra ritenere. Non è detto, per esempio, quale sia per essere la reazione belga alla «contropartita» che la Germania si propone di domandare al Belgio secondo il progetto di nota tedesca che l' Auswartiges Amt ha preparato per l'Inghilterra (mio rapporto riservatissimo del2 corrente n. 960/306) 1 .

245

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 547/191 R. 2 . Roma, 6 marzo 1937, ore l

La stampa estera ha dato molto rilievo alla partenza di Farinacci e parla di missione segreta 3 . Come V.E. sa, il camerata Farinacci viene in Spagna per prendere contatto col generale Franco per questioni che possono interessare le organizzazioni di partito e sindacali. Si tratta in sostanza di una prima e rapida ricognizione. Tanto Le comunico per Sua opportuna notizia e per eventuale norma di linguaggio con lo stesso Franco4 .

246

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1618/68 R. Ankara, 6 marzo 1937, ore 18,15 (per. ore 21,50).

Mio telegramma n. 61 5 . Incontratomi ieri l'altro con questo ambasciatore di Germania e espressomi con lui come già indicato V.E. Specificato, cioè, chiarissimamente che non en-

I Non rintracciato. 2 Minuta autografa. 3 Farinacci era giunto il 3 marzo a Cadice e il 5 marzo a Salamanca. 4 Per la risposta dell'ambasciatore Cantalupo, si veda il D. 248. 5 Vedi D. 222.

302 travo nel merito della questione, ho detto essere mia convinzione che Aras voleva evitare qualsiasi inasprimento della controversia e gli avevo fatto perciò a tal fine raccomandazioni, specialmente per tono di risposta e per atteggiamento stampa. Avevo altresì cercato spiegargli mia tranquillizzante interpretazione del passo germanico.

Ambasciatore di Germania mi ha vivamente ringraziato ed aggiunto che della stampa si era egli pure lamentato ma, (il colloquio aveva di poco preceduto il mio del 2 corr.), aveva tuttavia avuto ancora impressione che Aras dava a passo tedesco interpretazione esagerata. Per informazione, Aras mi ha comunicato confidenzialmente testo nota germanica e testo integrale istruzioni esplicative di von Neurath consegnata a lui in copia da questo ambasciatore di Germania.

Se nota identica diretta a V.E., tenore dell'aggiunta esplicativa fa meglio comprendere tono adoperato da Numan nella conversazione con me (mio telespresso n. 380/16 febbraio)' ed interpretazioni estreme di Aras.

Ho poi veduto Aras chiedendo se ne era soddisfatto. Rilevato informazione pubblicata da stampa Istanbul che smentisce esistenza qualsiasi passo tedesco per Montreux e ripetuto che tono risposta turca sarebbe contenuto in termini estremamente corretti, sì da impedire, per quello che concerne la Turchia, qualsiasi aggravarsi della discussione.

Ha ripetuto che mi farebbe leggere preventivamente tale testo.

E iersera alla stazione questo ambasciatore di Germania, mentre stava per partire in congedo di due mesi, mi ha detto aver avuto pochi momenti prima altro colloquio con Aras che non aveva avvicinato ad una soluzione, ma il cui tono era sensibilmente migliore dei precedenti.

Segue rapporto 2 .

247

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1619/109 R. Washington, 6 marzo 1937, ore 19 (per. ore 3,45 del 7). Telegramma di V.E. n. 803 .

Ho avuto da Dipartimento di Stato seguente informazione.

Ambasciatore Phillips aveva telegrafato giorni fa che era desiderio di V.E. che comunicato relativo partenza ministro Engert e cessazione funzioni consolato fosse pubblicato dopo avvenuta partenza detto ministro. Ambasciatore S.U.A. non ha riferito su desiderio che consolato fosse mantenuto. Comunque decisione soppressione ogni rappresentanza Addis Abeba stata presa, secondo quanto mi è stato

I Non rintracciato. 2 Non rintracciato. 3 Vedi D. 242.

affermato, già da lungo tempo. Hughes stesso mandato su ripetute richieste Engert soltanto perché altro funzionario ammalato.

Motivo vero e reale tale soppressione a quanto afferma Dipartimento di Stato è soltanto che America non ha più interessi in Etiopia. Ha soppresso per le stesse ragioni consolato generale Tripoli come due consolati in Canadà ed agenzie consolari Messico.

Avvenuta partenza ministro Engert ed essendosi diffusa qui tale notizia proveniente da Roma, Dipartimento di Stato ha pubblicato comunicato per prevenire eventuali interpretazioni meno favorevoli.

Capo divisione Affari Europa, nell'insistere sul fatto della mancanza di interessi americani che hanno determinato soppressione consolato generale, mi ha fatto anche cenno alla partenza di molti missionari americani cui presenza pareva non gradita nostro governo.

Aggiungo che ho avuto conferma che Engert mandava da Addis Abeba rapporti molto sfavorevoli e così anche a proposito della nostra repressione dopo attentato Graziani 1•

248

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1622/212 R. Salamanca, 6 marzo 1937, ore 22 (per. ore 6,40 del 7).

Decifri Ella stessa.

Telegramma di V.E. n. 191 2•

Stamane avevo avuto necessità esprimermi con questo governo nel senso indicatomi da V.E. col sopracitato. Nella minuscola, infida capitale Salamanca ripercussione dell'arrivo non (dico non) sono giovevoli. Creano equivoci e preoccupazioni nei partiti. Infatti, come risulta dal mio telegramma n. 213 3 spedito odierno aereo, Franco da qualche tempo sta lavorando ormai attivamente per fusione requetès e falangisti. In sostanza opinione pubblica ha impressione che sia venuto per intralciare.

Riassumo rappresentando con rispettosa lealtà opportunità abbreviare soggiorno ed evitare ritorno.

l Vedi p. 239, nota l.

2 Vedi D. 245.

3 T. 1913/213 R. del 6 marzo. Riferiva di avere appreso da «un autorevole collaboratore di Franco» che la fusione tra falangisti e tradizionalisti appariva ora meno difficile ed era considerata urgente per «impedire che il falangismo, già largamente sinistreggiante, dopo l'occupazione di Madrid, venendo a contatto con i rossi della capitale e poi di Catalogna, si riavvicini alle idee della rivoluzione socialista che moltissimi falangisti hanno già assorbito abbondantemente prima di passare al nuovo partito e faccia addirittura causa comune con i rossi».

249

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 554/199 R. Roma, 6 marzo 1937, ore 23

Telegramma di V.E. n. 208 1•

Bianchi insiste da Malaga2 nel far presente che le repressioni effettuate dai nazionali in quella città sono tuttora impressionanti, che lo stato d'animo della popolazione è preoccupato e che, con rammarico, egli vede ricadere sull'opera dei nostri volontari e del nostro Paese l'ombra di gravi responsabilità.

V.E. si rechi in aereo a Malaga, esamini la situazione e mi riferisca, cercando, se del caso, di adoperarsi anche localmente per mitigare le reazioni dei bianchi.

250

L'UFFICIO DI GABINETTO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 6 marzo 1937

L'articolo del Daily Telegraph del 4 corrente, qui annesso 3 , presenta particolare interesse perché mostra: l) i risultati da noi raggiunti in Levante con la nostra propaganda (specialmente radiofonica) e la nostra azione politica;

2) quanto in lùghilterra si valuti l'importanza delle posizioni da noi conquistate nei Paesi arabi e, conseguentemente, quale sia l'interesse che noi abbiamo a sviluppaxe e rinsaldare dette posizioni.

I risultati raggiunti -tali quali sono valutati in Inghilterra -potendo ritenersi proporzionalmente superiori ai mezzi da noi effettivamente impiegati, specialmente in alcuni settori, dimostrano come in realtà i Paesi arabi del Levante rispondono, almeno per il momento, anche oltre quelle che potrebbero essere le nostre aspettative.

I Vedi D. 240.

2 Il 5 marzo, l'agente consolare a Malaga, Tranquillo Bianchi, non potendo corrispondere con l'ambasciata a Salamanca perché privo di cifrario, aveva inviato, attraverso la stazione dell'Italcable, un telegramma a Ciano per segnalare, in termini che qui sono riassunti, la situazione che si era determinata nella città. Bianchi invocava un intervento diretto da Roma e chiedeva che l'ambasciatore Cantalupo venisse a constatare di persona quanto stava accadendo. Il telegramma porta il visto di Mussolini.

3 Non pubblicato. L'articolo, a firma di Ernest Main, aveva per titolo «ltaly's Influence in the Levant. Fascist Propaganda among Arab Peoples by Radio, Screen and Subsidies» e sosteneva la necessità per la Gran Bretagna di prendere le misure necessarie per controbattere la propaganda italiana, divenuta nettamente prevalente nel Levante mediterraneo e nel Medio Oriente.

251.

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 1634/214 R. Salamanca, 7 marzo 1937, ore 18,25 (per. ore 19,20).

Telegramma di V.E. n. 188 1 .

Voci riportate da giornali europei e comunque non giunte qui, sono prive fondamento. Non esiste nessun tentativo di mediazione dopo quelli del resto vaghi di fine novembre 2• Non soltanto, ma sono autorizzato a comunicare che se venissero ora avanzate insinuazioni di tal genere sarebbero nettamente respinte.

Assicuro che questo governo pensa oggi a vincere, superfluo aggiungere che se deprecabili eventi dovessero consigliare in futuro ascoltare voci di mediazione, ciò che sarebbe di difficilissima mediazione causa profondo odio tra rossi e nazionali, Italia soprattutto, e poi Germania e Portogallo, sarebbero informati e desiderati da generale Franco come mediatori. Del resto, rapporti tra Francia e Spagna sono, almeno fin dopo l'occupazione di Madrid, caratterizzati dalla protesta spagnola per asserito tentativo francese di invadere Marocco: questa iniziativa spagnola di portata internazionale ha scoraggiato Herbette nei suoi tentativi di avvicinamento. Quanto ai tentativi inglesi, con riferimento al mio telegramma 202 del 4 corrente 3 posso informare che ho seguito da vicino il passo dell'addetto commerciale inglese. Generale Franco si è deciso a non riceverlo. È stato ricevuto dal segretario generale che gli ha significato l'impossibilità di autorizzarlo per ora a risiedere a Salamanca. Anzi è stato invitato ripartire per Burgos dove è autorizzato a trattenersi soltanto sino a mercoledì per affari commerciali.

Il segretario generale gli ha dichiarato che l'anzidetto divieto di soggiorno vuoi dire che il governo nazionale non intende rassegnarsi al riconoscimento di fatto mascherato commercialmente ma vuole anzi evitare equivoci: l'Inghilterra decida nettamente la propria condotta. L'addetto commerciale si è allora dichiarato autorizzato a comunicare che Eden ha mutato pensiero ed ha per i nazionalisti spagnoli viva simpatia della quale spera dare presto prove. Ha aggiunto che l'ambasciatore Chilton da Hendaye preme sul Foreign Office per ottenere il riconoscimento reso difficile da ragioni di politica interna. Infine, ha domandato a nome di Eden se Franco sia disposto accogliere presso quartier generale addetto militare britannico ambasciata Parigi, che risiederebbe Salamanca apparentemente come tecnico ma sostanzialmente per collegare Franco con Eden e anche War Office che sarebbe nettamente favorevole.

Addetto commerciale irritato per primo rifiuto ricevuto ha pregato accogliere almeno seconda domanda. Questo è stato sottoposto al Generalissimo che risponderà per mezzo dell'organo tecnico. 4

t Vedi D. 233.

2 Vedi serie ottava, vol. V, D. 544.

3 Vedi D. 231.

4 L'ambasciatore Cantalupo telegrafava qualche giorno più tardi di avere appreso in un colloquio con Sangroniz che Franco aveva ordinato di dare una risposta negativa alle richieste dell'addetto

252

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1705/046 R. Budapest, 7 marzo 1937 (per. il 10).

Col mio telegramma per corriere 02 del 4 gennaio' avevo già segnalato all'E.V. che nelle conversazioni di ordine generale avute nei primi giorni della mia permanenza a Budapest con i principali uomini politici ungheresi, mi si era concordemente accennato all'invadenza tedesca e in particolare all'azione, che gli ungheresi dichiarano inammissibile, svolta tra le minoranze di sangue germanico.

Intanto, anche se non si vogliono condividere completamente le apprensioni degli ambienti liberaleggianti ed ebrei, la propaganda nazista come ho ampiamente riferito, è aumentata o per lo meno ha dovuto assumere aspetti particolari e più palesi dopo la morte di Goemboes e l'allontanamento da parte di Daranyi degli elementi gombosiani più vicini alla Germania.

Incremento a tale propaganda e sue manifestazioni hanno prodotto nel governo un senso di malcelata irritazione e preoccupazione. Kanya (come anche la Cancelleria Federale segnalava al R. ministro a Vienna: telespresso di codesto R. ministero

n. 204977 /C del 16 febbraio ) 2 appare personalmente irritato forse anche per certi atteggiamenti presi nei suoi riguardi da questo ministro di Germania, Mackensen. Molti uomini politici delle attuali sfere governative hanno insistito nel prospettarmi che Goemboes era strettamente legato alla Germania piuttosto che a noi e ciò, sia per mostrarmi distacco dal regime Goemboes, sia per volermi mettere in rilievo sentimenti italofili dell'attuale governo. Questione della restaurazione di cui si è tornato a parlare recentemente ha poi alienato dalla Germania simpatia ambienti legittimisti anche non militanti.

Una certa irritazione sì, e più o meno timidi tentativi di opporsi all'invadenza tedesca: ma soprattutto al tempo stesso grande timore della Germania e ammirazione della sua forza, specie militare. Dopo i recenti episodi e le vivaci polemiche ancora in corso, governo si mostra preoccupato di smorzare gli effetti dell'attuale campagna ebreo-liberale sull'affermata ingerenza anche finanziaria della Germania (mio telegramma n. 51 in data odierna)3 mentre la frase di Goering a Kanya (mio telegramma per corriere n. O18)4 non è dimenticata. ,

Dal canto suo, ministro di Germania non nasconde la sua gelosia per l'influenza italiana anche coi più futili argomenti. Non omette occasione per ripetermi che il mio compito è facile, perché l'Italia è qui tanto più amata della Germania, ciò che del resto è esatto. Giunse perfino a dirmi (come d'altra parte era vero) che

commerciale britannico e che i rapporti tra il governo di Salamanca e la Gran Bretagna erano andati peggiorando sensibilmente anche per il ripetersi di incidenti nati dal blocco delle coste basche da parte della marina nazionale (T. per corriere 1841/229 R. del IO marzo).

1 T. per corriere 95/02 R. del 4 gennaio, non pubblicato, il cui contenuto è qui indicato.

2 Ritrasmetteva il D. 140.

3 Vedi p. 300, nota l.

4 Vedi D. III.

il giorno dell'udienza concessa dal Reggente al Corpo Diplomatico per gli auguri di Capodanno, Kanya aveva indossato le decorazioni nell'ordine delle sue simpatie: e cioè Ungheria, Italia, Austria, Germania.

Mi diceva un alto funzionario del ministero degli Affari Esteri, che la Germania, «che considera l'Ungheria come un suo feudo per lo meno morale», mal sopporta la nostra influenza qui. Beninteso, nelle conversazioni avute è stata mia cura di sviare il discorso svolgendo il concetto che la politica italiana è costituita fermamente dall'asse Berlino-Roma attraverso Vienna e Budapest e non vi è alcuna ragione di parlare di rivalità. Ma la questione della propaganda e dell'ingerenza germanica si è naturalmente considerevolmente acuita dopo gli ultimi avvenimenti collegantisi a voci di complotti filo-nazisti. È questo il momento da cogliere, a mio parere, per intensificare comunque la nostra azione, profittando delle intemperanze degli estremisti filo-nazisti, degli errori di metodo della Germania e delle reazioni degli altri ambienti, per contrapporci alle influenze tedesche che sono effettive e a quelle più ideologiche ma non meno pericolose della massoneria e della liberale Inghilterra, a cui specialmente gli ebrei sempre maggiormente si vanno appoggiando.

253

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 2063/220 R. Salamanca, 8 marzo 1937 (per. il 22).

Mio 344/170 del 23 febbraio scorso e n. 4311209 del 3 corrente 1 .

Si ha l'impressione, dai contatti con gli spagnoli e con gli stessi tedeschi, che la Germania si tenga più che mai su una posizione di riserbo, nei riguardi non solo della politica interna spagnola e della stessa persona di Franco ma anche delle ripercussioni internazionali della questione spagnola. Questa cauta riserva tedesca va ora accentuandosi; il discorso dell'ambasciatore Faupel in occasione delle credenziali ne è una prova: il Quartier Generale lo ha criticato, la folla fu molto fredda durante la parte pubblica della cerimonia.

I tedeschi, ufficiali e soldati, ostentano quasi il loro sdegno per lo scarso numero di combattenti che i partiti spagnoli forniscono al fronte e quasi mostrano una certa voluta indolenza nello svolgimento del loro servizio; la consueta esagerazione popolare li accusa perfino di alzarsi troppo tardi con i loro apparecchi, quando l'aviazione rossa bombarda le città.

Si fa anche più palese la freddezza della Germania, e del suo rappresentante quì, nei riguardi di Franco; si ha in realtà l'impressione che la Germania abbia deciso di non fare nessun affidamento e di non avvicinare a nessun fine i tradizionalisti, di continuare ad appoggiarsi alla Falange, che notoriamente è finanziata da Berlino, e soprattutto di non compromettersi a fondo con la persona del Generalissimo.

1 Non rintracciati.

Su quest'ultimo punto richiamo l'attenzione di V.E. L'ambasciata di Germania aspetta gli eventi, ed è quasi soddisfatta di vedere l'Italia in prima linea, con tutte le conseguenti responsabilità, e con rischi necessariamente inerenti; Faupel teme la caduta di Franco, non ha nessuna fiducia nella fusione dei partiti tradizionalista e falangista e teme che anche dopo la caduta di Madrid possa determinarsi un fenomeno di disordine anche più grave di quello attuale. Perciò, avrebbe consigliato al suo governo di aspettare. La sensazione di questa condotta della Germania è perfettamente nota in !spagna.

254

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 903/422. Mosca, 8 marzo 1937 (per il 15).

Mio telegramma n. 21 del 6 corrente 1•

La risoluzione votata recentemente dal Comitato Centrale del Partito comunista dell'U.R.S.S., e sulla quale ho richiamato l'attenzione di V.E. col mio telegramma del 6 corr., è un documento di particolare importanza, in quanto tocca alcuni dei problemi fondamentali creati dall'evoluzione sovietica, giunta oggi -a giudizio di molti -ad una svolta storica. Essa merita quindi di essere esaminata con la dovuta attenzione.

Il Comitato Centrale è l'organo supremo del partito. Esso si riunisce in sessione plenaria, per iniziativa del Segretario Generale del Partito (cioè di Stalin), soltanto in occasioni eccezionali e le sue deliberazioni servono sempre a segnare le direttive della politica sovietica per un lungo periodo di tempo.

La recente riunione, prevista fin dallo scorso gennaio (cioè dopo l'approvazione della nuova Costituzione) era attesa con speciale interesse, tanto più dopo il processo anti-trotzkista 2 e le estese repressioni poliziesche che avevano provocato in seno al partito ed in generale in tutto il Paese un senso profondo di incertezza e di malessere.

Il comunicato ufficiale che rende conto dei lavori del Comitato Centrale contiene soltanto un fugace accenno ad importanti misure di carattere politico ed economico che dovranno ancora essere elaborate dagli organi competenti e sulle quali viene per ora mantenuto il segreto. Esso invece presenta al pubblico una lunga «risoluzione» riguardante i compiti che spettano al Partito nella prossima campagna elettorale per la formazione del Consiglio Supremo dell'Unione, ed è questa la parte che giudico di particolare importanza come manifestazione di una fase nuova della dittatura staliniana.

1 T. 1623/21 R. che è del 7 marzo. Riferiva in modo sintetico sulle decisioni prese dal Comitato esecutivo del partito comunista sovietico, argomento qui trattato con maggiore ampiezza.

2 Vedi p. 119, nota 2.

La Costituzione votata dal Congresso dei Soviet lo scorso dicembre introduceva nella vita politica dell'U.R.S.S. una innovazione importante col dare uguali diritti politici indistintamente a tutte le classi della popolazione, compresi gli elementi sopravvisuti dell'antico regime zarista. Essa affermava inoltre il principio democratico attraverso il suffragio universale, con votazione diretta e segreta.

Ora, alla vigilia di una prova elettorale che, per l'improvvisa estensione della sua base sociale, potrebbe realmente riflettere la fisionomia politica della nazione, l'organo supremo del partito ha evidentemente sentito la necessità di adattare la propria organizzazione alle nuove esigenze create dalla Costituzione: e ciò ha fatto con la risoluzione della quale trasmetto la traduzione integrale.

Il punto fondamentale di questa risoluzione è quello dove si afferma la necessità che, nella creazione degli organi e nella elezione alle cariche del partito, si applichino fedelmente i principi del cosiddetto «centralismo democratico»: i principi cioè della libera scelta dei candidati e della votazione diretta e segreta. Non che si tratti di principi nuovi, perché il «centralismo democratico» stava già alla base della originale costituzione leninista. In pratica, però, essi non erano mai stati applicati, giacché fino ad oggi le gerarchie del partito venivano costituite quasi sempre col metodo della «designazione dall'alto» o della cooptazione. Ed è interessante di constatare come sia lo stesso Stalin, responsabile per molti anni della violazione del «centralismo democratico», ad imporre ora al Partito quella «democratizzazione» che era sempre stata strenuamente reclamata da Trotzki, prima contro Lenin (1921) e poi contro Stalin (1924).e che ha costituito appunto in questi ultimi tempi uno dei caposaldi del programma dell'opposizione cosiddetta trotzkista.

Cosa significa adunque questo «colpo di timone» democratico dell'attuale dittatore dell'U.R.S.S.? Per chi abbia seguito la tattica staliniana degli ultimi anni, il fatto non stupisce. Non è che la ripetizione di una manovra più volte ripetuta: stroncare prima l'opposizione, e fare poi quelle stesse concessioni che l'opposizione reclamava. Ma quale il movente reale della riforma? Vuole Stalin semplicemente preparare il partito comunista ~come egli fa dire ~ad assolvere i compiti nuovi creati dalla evoluzione sovietica, forzandolo a procedere alla necessaria epurazione e rinnovazione dei quadri? Oppure, di fronte alla immissione nella vita pubblica sovietica dei nuovi elementi che la politica di «normalizzazione» degli ultimi anni ha portato al primo piano (specialmente la nuova intelligentzia tecnica), egli intende dare al partito una diversa base sociale per mutarne radicalmente lo spirito e le tendenze?

Qualunque sia la risposta che si voglia dare al quesito (e per mio conto non oserei oggi pronunciarmi al riguardo), sta di fatto che la proclamazione dei principi «democratici» significa riconoscimento della necessità di attenuare la forma dispoticamente autoritaria con la quale Stalin ha finora diretto il partito. Egli possiede certamente una autorità personale e dei mezzi di intervento tali da assicurargli per molto tempo ancora un controllo effettivo del partito. Intanto, però, la riforma non mancherà di produrre dei notevoli mutamenti, specialmente nei quadri delle gerarchie minori e questi mutamenti finiranno per esercitare la loro influenza sulla futura evoluzione della vita sovietica.

In quale direzione? Verso destra o verso sinistra? Vi è chi ritiene che l'intenzione di Stalin sia di procedere sempre più avanti sulla strada della cosidetta «normalizzazione», cioè in senso conservatore e che a questo intento, contando sullo spirito eminentemente conservatore della massa russa, egli abbia voluto democratizzare il regime appunto per ottenere che la politica di destra venga imposta agli estremisti trotzkisti dalla stessa volontà popolare, manifestantesi attraverso il suffragio universale con voto diretto e segreto.

L'ipotesi non mi sembra del tutto avventata, e pur senza accettarla con definitiva sicurezza, io non sono alieno dal considerarla degna di attenzione.

Ciò che intanto appare molto significativo, è la critica aperta delle attuali gerarchie del partito e della sua burocrazia. La risoluzione del Comitato Centrale cita a titolo di biasimo, come esempi di degenerazione politica, le organizzazioni comuniste dell'Ucraina, del Don, della provincia di Azov, osservando che tali citazioni non comprendono tutti i casi di cattivo funzionamento delle gerarchie locali. Adunque la burocrazia di partito, contro la quale da tempo lancia i suoi strali l'esule Trotzki, ricéve oggi una lezione dallo stesso Stalin che l'ha creata, e che ha conquistato col suo aiuto il potere. Egli affida alle masse dei gregari il compito di eliminare gli sfruttatori del partito, gli inetti, i vanagloriosi, coloro che si erano create delle situazioni privilegiate. Rinnovando il sistema capillare del partito, Stalin intende controllare, non soltanto la rinascita naturale della attività politica delle masse, ma anche le velleità usurpatrici e razziste dei gerarchi locali.

In questa abile manovra si rileva tutto il carattere e tutto il passato politico del dittatore del Kremlino, salito per simili tappe dall'oscura posizione di esecutore degli ordini di Lenin alla sua potenza attuale.

Esaminando la risoluzione del Comitato Centrale, io mi sono posto la domanda se essa sia una manifestazione di forza del regime staliniano oppure una di debolezza.

La mia opinione è che in definitiva si tratti di una manifestazione di forza perché, pur ammettendo che egli abbia sentito la necessità di dare una soddisfazione al malcontento popolare, la «democratizzazione» del partito significa che Stalin conta sull'appoggio delle masse per veder approvare e rafforzare le direttive generali della propria politica.

Se tale fiducia sia o meno fondata, lo potranno dire le prossime elezioni del Consiglio Supremo dell'Unione.

255

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 1675/542. Parigi, 8 marzo 1937 (per il 12).

Ha espresso il desiderio di vedermi l'ex ministro signor de Monzie che in seguito ad un gravissimo scontro automobilistico trovasi da oltre un mese e mezzo degente in una clinica dove dovrà rimanere immobile per altri tre mesi.

Mi sono recato a fargli visita avantieri e fra gli altri argomenti egli mi ha detto di avere avuto recentemente una conversazione con il suo amico signor Yvon Delbos che non gli nascose le sue preoccupazioni per la situazione esistente in Tunisia, dove l'elemento indigeno va assumendo un atteggiamento sempre più ostile alla Potenza protettrice.

Il signor de Monzie ha aggiunto in proposito di avere detto al ministro degli Affari Esteri che sarebbe stato a suo avviso deplorevole che i tunisini si sentissero spalleggiati dallo elemento italiano, cosicché sarebbe stata buona politica da parte della Francia di ottenere dall'Italia che essa non solo non agevolasse gli indigeni, ma che, previe intese con Parigi, formasse quel fronte unico europeo necessario per mantenere alto il prestigio degli Stati coloniali. È probabile, secondo il signor de Monzie, che il ministro Delbos mi intrattenga della questione.

Data l'estrema delicatezza dell'argomento mi sono limitato ad ascoltare quanto mi veniva riferito senza nemmeno mostrare di attribuirvi eccessiva importanza, mentre questa è evidente.

Nell'informare di quanto precede l'E.V. per le istruzioni ch'Ella ritenesse di dovermi eventualmente impartire come norma di linguaggio, Le offro, Signor Ministro, gli atti della mia profonda osservanza 1•

256

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 660/206. Roma, 8 marzo 1937 (per il 10).

Mio telegramma per corriere n. 15 del 18 febbraio u.s. 2 .

Il conte de Sibour è ritornato dal cardinale segretario di Stato.

Il signor Tafari ha risposto in modo evasivo al rifiuto, che gli è stato comunicato, di prendere in considerazione la sua strana ultima proposta. Egli ha scritto che la proposta stessa gli era stata dettata «da un senso di responsabilità verso il suo popolo». Di più l'ex Negus ha detto che aveva sperato l'appoggio del cardinale segretario di Stato per indurre il governo italiano a transigere.

Il segretario di Stato ha chiosato, ch'Egli non ha nessuna intenzione di esplicare un'azione nel senso desiderato dal signor Tafari. Il cardinale Pacelli ripeterà prossimamente al conte de Sibour che le basi per un serio negoziato sono quelle di cui ai paragrafi l. 2. e 3 del mio telegramma per corriere all'E.V. 8 gennaio scorso n. 13 .

D'altra parte, il cardinale prenderà nuovamente atto che il signor Tafari si è dichiarato disposto all'abdicazione assoluta a nome anche del figlio e dei suoi e che l'ex Negus si è impegnato a raccomandare al popolo etiopico di servire fedelmente l'Italia. Il cardinale segretario di Stato dichiarerà, inoltre, al conte de Sibour che tutto quello che potrebbe rappresentare un'ingerenza diretta o indiretta, del signor Tafari o dei suoi, nelle cose o negli affari dell'Etiopia (A.O.I.), dev'essere rigorosamente escluso dal negoziato.

1 Non sono state trovate istruzioni in proposito. 2 Vedi D. 175. 3 Vedi D. 24.

Pare che il de Sibour farà ritorno a Londra per spiegare al signor Tafari che le sue proposte ultime non hanno nessuna probabilità di essere prese in considerazione.

257

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 633/209. Roma, 8 marzo 1937 (per il 10).

Telespresso ministeriale del 3 corr. n. 206988/26 1•

Ho avuto una conversazione con il cardinale segretario di Stato sulla crisi religiosa in Germania e mi sono servito degli elementi forniti dal R. ambasciatore a Berlino.

Ho procurato di persuadere il cardinale a transigere in tema di educazione, tenendo conto di quelle che sono le esigenze del nazismo. L'ho trovato intrattabile. Egli mi ha detto che le autorità del Reich non si curano neppure di rispondere alle sue numerose lettere attinenti alla questione in discorso. Nell'ultima sua comunicazioni, ha scritto che «è stanco di aspettare» una risposta che gli è dovuta, non foss'altro che per cortesia.

Il cardinale Pacelli difende l'episcopato e il clero tedeschi. Essi hanno un atteggiamento che è giudicato fin troppo conciliante dai cattolici tedeschi. I vescovi e il clero hanno assunto una linea di condotta chiara e decisa contro il comunismo, ma le cose non sono per questo mutate in meglio!

Il confronto fra la Germania e la Francia non regge. I rapporti fra Chiesa e Stato sono retti, nella prima, da un Concordato 2 che viene giornalmente calpestato senza ritegno dalla Autorità del Reich. In Francia vige la separazione. La scuola di Stato è laica, ma le scuole private sono libere e fioriscono. Anche sotto il presente Gabinetto, non vi sono lagnanze in tema di educazione della gioventù. L'Università cattolica di Parigi, diretta dal cardinale Baudrillart, è fiorente e così può dirsi delle altre Università cattoliche e delle numerosissime scuole cattoliche di Francia.

Il suggerito intervento presso Hitler, non ha probabilità di successo. Del resto è già avvenuto! Il colloquio Hitler-cardinale Faulhaber 3 , è stato completamente negativo. Il Fiihrer ha delle idee specialissime in fatto di religione; egli non riconosce ad esempio il Vecchio Testamento.

Il cardinale Pacelli, che aveva al principio della conversazione mantenuto un certo ritegno, ha assunto alla fine il consueto tono veemente. Si è che oggi che si parla, per quanto sotto voce, di Conclave, gli viene più che mai rimproverato aspramente di avere voluto il Concordato e di essere stato giuocato dal nazismo.

l Ritrasmetteva il D. 182. 2 Vedi p. 232, nota l. 3 Vedi serie ottava, vol. V, D. 406.

258

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1690/70 R. Ankara, 9 marzo 1937, ore 20,12 (per ore 23, 10).

Mio telegramma n. 68 1•

Aras mi ha riservatamente comunicato testo risposta turca che sarà consegnata all'ambasciatore di Germania soltanto stasera o domattina. Rifiuta entrare in discussione. Ricorda Germania non partecipò a Losanna. Conferenza Montreux fu convocata per iniziativa turca per riprendere sua piena sovranità verso concessioni a firmatari o no cui è chiesto però rispettare disposizioni dell'accordo. Turchia vigila ad eliminare da questa via del commercio internazionale marittimo elementi ostilità e antagonismo. Turchia confida che Germania vorrà riconoscere fondamento sue considerazioni. Nota è concepita termini moderatissimi, conclude con una spiegazione che vuole essere assicurazione indiretta alle principali2 germaniche (Turchia vigila nello stesso tempo, ecc.). Testo trasmesso per posta. Ringraziato Aras per fiducia dimostratami e visto che egli mi diceva aver tenuto conto tutte mie raccomandazioni, ho risposto non avevo nulla da osservare e auguravo che rapporti turco-tedeschi non avessero a soffrire per queste discussioni.

Giudichi V.E. se non sia il caso io dica ad Aras qualche espressione a Suo nome che mostri apprezzamento dell'E.V. del fiducioso gesto da lui fatto verso di noi 3 .

259

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI

T. 570/20 R. Roma, 8 marzo, 1937 ore 24.

In risposta alla richiesta rivoltaLe (Suo rapporto n. 542/165 e successivi)4 ,

V.E. potrà dire a codesto governo che governo italiano si rende pienamente conto delle ragioni che hanno indotto il governo belga ad assumere il noto atteggiamento sul problema della sicurezza e che (mi riferisco alle parole usate nella richiesta fattaLe) esso è pronto a partecipare coi governi britannico, francese e tedesco ad una garanzia analoga a quella franco-britannico-germanica 5 .

I Vedi D. 246. 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «manca». 3 Ciano rispose con T. 578/40 R. del 13 marzo: «Ove V.E. lo ritenga opportuno, sta bene». 4 Non rintracciato. 5 Per il seguito si veda il D. 264.

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260

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTO LI CO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 1084/343. Berlino, 9 marzo 1937 (per il 10).

Ho l'onore di inviare qui unita all'E.V., in triplice esemplare, una traduzione, affrettata ma fedele del progetto di risposta tedesca all'Inghilterra sulla questione di Locarno. Il testo ora definitivamente approvato' non presenta alcuna variante in confronto di quello originario, se si prescinde da semplici sfumature di pura forma e da qualche ulteriore opportuna precisione. Fra queste cito, perché introdotta su mio suggerimento, l'aggiunta, (fine del paragrafo 3 del testo accluso) delle parole: «Ogni allargamento di questo quadro nella direzione di un patto generale e reciproco di assistenza sembra al governo tedesco un errore».

La ragione del mio suggerimento va ricercata nel fatto che mentre la nota tedesca sembrava avere per un patto quadrangolare, delle obiezioni di fondo basate sul «carattere» del patto in quanto patto di assistenza mutua, essa non dava la stessa impressione nei riguardi di una soluzione bi-triangolare. Il richiamo, quindi, ora aggiunto alla fine di tutta l'argomentazione sopra questo punto, fa sparire ogni dubbio.

Come V.E. vedrà, la nota è qua e là molto contorta e ciò per il desiderio di evitare, sia fastidiose fattispecie, sia enunciazioni di principio suscettibili di discussioni.

Così ad esempio, le poche parole di cui a pagina 4 del testo allegato, e cioè: «Sembra intanto dubbio al governo tedesco che dallo statuto della Società delle Nazioni derivino per i propri membri obbligazioni incompatibili colla conclusione fra due Stati di un accordo contenente una rinuncia senza eccezione alcuna all'ammissione ecc. ecc.», vanno interpretate alla luce di quel che io ho detto nella seconda parte della pagina 4 del mio rapporto del 2 marzo (art. 16)2 , rapporto che servirà anche in altri punti a chiarire, meglio che lo stesso testo della nota non faccia, il senso reale e la portata della nota stessa.

Sulle ragioni che motivano l'urgenza della Germania a rispondere entro venerdì, urgenza che mi è stata confermata telefonicamente anche oggi, non insisto perchè ne ho già accennato nel mio telegramma in data odierna 3 .

La nota-come V.E. vedrà-non contiene da parte della Germania alcuna presa di posizione per quanto riguarda la proposta affacciata dalla Francia e sostenuta ulteriormente dal Belgio, di procedere senz'altro a delle conversazioni preliminari, uscendo così dalla fase dello scambio di note. Ma se ciò non è contenuto nella nota, sarà espressamente chiarito all'atto della consegna della nota stessa, dichiarando «il governo tedesco essere d'avviso che, fino a quando non sia rag-

I Vedi DDT, serie C, vol. VI, D. 258, allegato.

2 Non rintracciato.

3 Con T. 1672/117 R. del 9 marzo, Attolico aveva comunicato che la nota tedesca-di cui gli era stato consegnato il testo-sarebbe stata presentata il 12 marzo ed aveva poi osservato: «Ogni ulteriore ritardo appare pericoloso in vista dell'attitudine del Belgio che, pur di sottrarsi a obbligazioni assunte come conseguenza 7 marzo, sembra ora incline ad insistere perché questione belga venga stralciata da complessa questione locarnista. Ogni stralcio del genere presenterebbe, specialmente per noi, svantaggio evidente (mio telespresso del 5 marzo 324) [vedi D. 244)».

giunto un accordo generale sopra i principi informatori del patto, nessuna conversazione anche se semplicemente preliminare possa essere utile».

Vedrà V.E. se convenga o no di esprimere un'analoga opinione anche da parte nostra, sia verbalmente come farà la Germania, sia, eventualmente, in sede stessa di risposta scritta.

261

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 487/234. Salamanca, 9 marzo 1937 (per il 17).

Ho l'onore di trasmettere a V.E. l'acclusa copia di un rapporto qui pervenuto dal Console in San Sebastiano, riguardante la situazione basca.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA V ALLETTI, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO

RAPPORTO SEGRETO 334. San Sebastiano, 8 marzo 1937.

Lo stabilirsi di un fronte militare che divide in due le provincie basche potrebbe con ragione far supporre che il problema del separatismo basco sia attualmente risolto per metà e che cioè una parte dei baschi, compresa della idea unitaria spagnola, abbia abbandonato le aspirazioni di indipendenza e che solo i baschi della repubblichetta di Bilbao conservino aspirazioni nazionaliste.

In realtà, allo stato attuale il problema basco perdura invece nella sua interezza.

I requetés navarresi, che il 15 settembre, occupando S. Sebastiano, hanno spezzato una unità territoriale e geografica più o meno individuata, non hanno spezzato una unità morale e nazionale radicata nell'atavismo della razza basca e confortata dalla ultima politica ecclesiastica che tentava di opporre il nazionalismo basco alla repubblica massonico-socialista di Madrid.

S. Sebastiano e il Guipuzcoano davanti ai requetés vittoriosi si sono vuotati. 35 mila fuggiaschi hanno lasciato questa città mentre le boine rosse spuntavano. In sostanza, si potrebbe dire che una popolazione basca sottommessa a Franco materialmente non esiste. Quelli che sono ora qui e che occupano le cariche pubbliche sono navarresi, catalani, madrileni, ma i baschi sono dall'altra parte. Quelli che si battono per Franco sul fronte del Nord sono requetés di Navarra non già baschi del Guipuzcoa.

Ciò naturalmente grosso modo. Scendendo al particolare certo una piccola minoranza basca è restata, ma essa non è già formata di gente acquistata all'idea unitaria e che ha accolto i requetés come liberatori. Al contrario essi hanno preso l'avvenimento del 15 settembre come una triste fatalità alla quale non si potevano per il momento sottrarre e non sono fuggiti o perchè meno compromessi o perchè meno impauriti o perchè meno timorosi per la sorte incertissima delle loro robe. Da allora essi non si sono mai sinceramente inseriti nel movimento di Franco e seguitano in segreto a guardare in cagnesco e a far voti per i baschi nazionalisti. Sono quelli che il Governatore denunciava in un suo recente discorso come gente che pensa e sente similmente a coloro che sparano il cannone sul fronte di

Bilbao. Infine, anche i rarissimi esemplari di razza basca che si sono convinti delle necessità unitari~ di Spagna, alcuni dei quali hanno conservato dei posti di secondaria importanza, mostrano, anch'essi, dei sentimenti particolari e, se non altro, una viva compassione e una profonda comprensione per i fratelli «illusi nell'errore».

Tale situazione, naturalmente non ignota alle Autorità, causa una continua opera di epurazione specialmente fra funzionari ed impiegati, epurazione che aumentando i reclusi o gli affamati non aumenta certo i sentimenti unitari.

Passiamo ai baschi dall'altra parte. Certo per quelli la situazione è sotto molti aspetti peggiore. La republichetta di Bilbao paga carissimo la sua effimerissima indipendenza. La paga anzitutto con la semieliminazione del culto (chiese chiuse, preti in borghese), la paga con la crescente scarsezza di pane (aumentata dalle prede giornaliere fatte dalla marina bianca), la paga infine con gli enormi sacrifici di sangue imposti dai rossi.

L'affermazione tanto ripetuta che i baschi sono prigionieri dei rossi corrisponde per lo meno in parte alla realtà. I baschi, anche dopo le perdite di Oviedo, conserverebbero la superiorità numerica ma risentono della incapacità a reagire che è propria delle persone per bene -come in fondo sono i baschi -verso gli assassini ed i delinquenti. Senonché i baschi di Bilbao sono doppiamente legati. Se anche riuscissero con uno sforzo, che per il momento non sembrerebbe probabile, a liberarsi dalla stretta dei rossi, essi non oserebbero abbandonare il fronte, terrorizzati dalla incombente vendetta di Franco e dei carlisti che accusano i baschi di duplice crimine: il tradimento militare dell'vnione delle armi con i rossi ed il tradimento politico dell'avere autorizzato i rossi, grazie all'alleanza basca, ad attribuirsi una sedicente tolleranza religiosa.

Questo terrore di un sanguinoso peggio coopera a tenere i baschi in linea, nella convinzione che mollare significherebbe l'eccidio. L'unica cosa che potrebbe eventualmente convincere i baschi a fare un disperato tentativo per liberarsi dai rossi, sarebbe garantire ai baschi -non già delle autonomie, a cui, credo, non sperino più -ma almeno una certa sicurezza di salvare la pelle. Fino a quel momento i baschi preferiranno la dura certezza attuale ad una letale incertezza futura.

Non è tuttavia improbabile che la notizia della caduta di Madrid causerà nel fronte del Nord, già tanto e per tante ragioni depresso, una tale demoralizzazione che non potrà forse a lungo sopportare l'urto rinforzato dei requetés e dei falangisti.

Ma quel giorno, quando il problema bellico sarà risolto, non per questo lo sarà anche il problema del nazionalismo basco.

262

IL CONSOLE A SIVIGLIA, CONTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 854/46. Siviglia, 9 marzo 1937, (per il 16).

Ho l'onore di informare l'E.V. che sabato scorso 6 corrente mi sono recato a Malaga per rendermi conto della situazione politica nella città e delle condizioni materiali e morali di quella nostra collettività italiana.

SITUAZIONE POLITICA: Confermando le notizie già riferite con precedente rapporto 1 alla R. Ambasciata in Salamanca su segnalazione del R. agente conso-

I Non rinvenuto.

!are, cav. Tranquillo Bianchi, continua in Malaga la repressione di elementi comunisti, posta in atto su larga scala e con indiscutibile durezza dal governo nazionale. Essa si fonda su provvedimenti che sono sostanzialmente sommari, più per il sistema sbrigativo con cui vengono attuati che per la procedura, alla quale la giustizia militare si sforza di conservare una certa forma esteriore. Gli imputati sono nella grande maggioranza i comunisti attivi ~uomini e donne ~che non hanno potuto abbandonare la città prima dell'occupazione da parte delle truppe nazionali e che devono rispondere di delitti per lo più gravissimi; vi sono tuttavia, in mezzo a questi, elementi grigi che sotto la minaccia del terrore si sono lasciati passivamente imporre ed assorbire dal comunismo imperante. In sede di istruttoria gli imputati vengono sommariamente interrogati e raggruppati per categorie di delitti. In sede di giudizio, i gruppi, che contano talvolta qualche decina di individui, vengono posti dinanzi al giudice con un unico capo d'accusa; segue una difesa, spesso circostanziata e prolissa, ma comune a tutto il gruppo, il che rende praticamente nulla o per lo meno grossolana, la graduazione delle singole responsabilità. La condanna a morte viene inflitta non soltanto per omicidio e violenze ma anche per atti di sabotaggio e di devastazione. Particolarmente severa è la repressione nei confronti delle Guardie Civili e dei Carabineros (corrispondenti alle nostre Guardie di Finanza) che avevano offerto i loro servizi al regime rosso. Vi è chi pretende anche che la sola appartenenza alla massoneria, oltre che un'aggravante, costituisca di per se stessa un reato passibile di pena capitale, ma le fonti che ho potuto consultare a questo proposito sono discordi, per cui la notizia va presa con riserva. In complesso, dall'occupazione di Malaga ad oggi le fucilazioni ammonterebbero, secondo le cifre fornite dal cav. Bianchi, a oltre tremila. L'azione svolta da questo agente consolare per ottenere la sospensione delle esecuzioni assorbe praticamente tutta la sua attività giornaliera. Ho potuto constatare de visu la pietosa scena che si svolge ogni giorno dinanzi alla porta dell'albergo ove egli abita: una folla di congiunti, di donne, di preti si reca da lui a intercedere per i condannati che debbono essere fucilati nella notte stessa o l'indomani. L'intervento del Bianchi ha un carattere più che altro personale e privato e si fonda sull'indiscutibile prestigio di cui egli gode presso gli ambienti locali della Falange, presso i funzionari subordinati delle amministrazioni locali e sopratutto presso la popolazione malaghegna che non vede tanto in lui il rappresentante consolare del governo italiano, quanto, e soprattutto, uno dei primi «squadristi» del movimento nazionale in Malaga.

Pieno di coraggio, generoso, irriflessivo, sentimentalissimo, teatrale, il Bianchi ha molti numeri per piacere agli spagnuoli del Sud. Parla alla radio (una stazione trasmittente di portata puramente locale) rivolgendosi alla popolazione di Malaga con allocuzioni retoriche politicamente non compromettenti, perché sostanzialmente vuote di contenuto, ma che contribuiscono in modo indubbio ad accrescere la sua popolarità.

Forte di questa, l'intervento del Bianchi per la sospensione delle esecuzioni, come ho potuto constatare personalmente, si svolge per lo più in questo modo: Bianchi~ che ha ingresso libero in tutte le prigioni di Malaga ~ si reca nelle sezioni dei condannati a morte con una lista di nomi fornitagli dai suoi numerosi postulanti e sovente basta un breve colloquio col vice direttore di turno per ottenere la provvisoria sospensione dell'esecuzione. Nella notte del 6 corrente, per esempio, uno dei suoi protetti ~per il quale egli aveva già ottenuto la sospensione della pena ~essendo stato fucilato cinque minuti prima, Bianchi ha potuto ottenere in cambio la vita di altri due comunisti, scelti a caso, che si trovavano già letteralmente dinanzi al plotone d'esecuzione. Per quest'ultima «variazione» è bastato il consenso del comandante del plotone stesso. L'indomani i fatti vengono dai funzionari subalterni segnalati ai superiori, attraverso la lenta e ancora disordinata burocrazia giudiziaria, mentre i condannati passano ad altro carcere, perpetuando di fatto la loro situazione alquanto incerta di «sospesi a titolo provvisorio» dall'esecuzione.

Come l'Eccellenza Vostra comprende, questa azione del Bianchi non appoggia tanto su aderenze di alte personalità ufficiali, che assai poco dimostrerebbero di gradire questo intervento diretto nell'esercizio dei loro poteri, ma agisce per contro dal basso in alto, penetrando fra le maglie e agguantandosi alle falle di questo singolarissimo sistema di amministrare la giustizia, ora tragicamente e ora bonariamente approssimativo. La verità è che in questa atmosfera di rivoluzione il valore etico della vita umana è ridotto al minimo, per cui anche le questioni gravi in cui essa è in gioco, sono trattate come affari di ordinaria amministrazione.

Bianchi asserisce che su tremila condannati a morte egli è riuscito a sospendere l'esecuzione a favore di oltre quattrocento, il che rappresenterebbe un successo veramente notevole. Egli agisce principalmente sotto l'impulso della sua schietta emotività sentimentale e per l'ambizione di accrescere la sua popolarità. Sarebbe tuttavia augurabile-e in questo senso gli ho dato precise istruzioni -che questi suoi interventi fossero più scrupolosamente vagliati per evitare che essi cadano a favore di elementi troppo gravemente invisi alle autorità governative, o che comunque non meritano la protezione fascista. Lo ho anche consigliato di essere più riservato e di astenersi dal manifestare in pubblico, con esuberante sincerità, giudizi che offendono la suscettibilità degli elementi di governo, potrebbero indebolire la sua posizione e limitare le sue possibilità di movimento.

È infatti un peccato che per simili imprudenze, egli abbia un pò compromesso il suo ascendente, (un tempo così notevole perché legato a motivi di riconoscenza personale) con il generale Queipo de Llano.

Il cav. Bianchi, in un telegramma direttamente inviato all'Eccellenza Vostra 1 , ha fatto cenno ad un eventuale pericolo di gravi complicazioni politiche in seguito all'eccessiva durezza della repressione e lamenta come in tale repressione venga, a suo modo di vedere, coinvolta la responsabilità morale del governo fascista.

A tale riguardo mi occorre chiarire che, per il primo punto, sono convinto si tratti di un errore di valutazione.

Ho cercato di attingere opinioni ed impressioni da fonti diverse (osservatori, ufficiali, giornalisti, notabili della collettività italiana) e nessuno ritiene possibile, al momento attuale, il pericolo accennato. I pochi comunisti che non sono stati fucilati

o comunque assicurati alla giustizia, si trovano sbandati e immobilizzati dal terrore della repressione, quindi praticamente inoffensivi.

Quando al secondo punto, e cioè alla pretesa corresponsabilità del governo fascista nella repressione, va notato che a Malaga, -ove, fra l'altro non vi sono attualmente che otto volontari italiani -l'opinione pubblica ben sa che il R. Governo si è astenuto dall'intervenire ufficialmente in tale campo per evitare slittamenti d'autorità, e che, se intervento puramente ufficioso e amichevole vi è stato

I Vedi p. 305, nota 2.

319 attraverso l'opera personale di Bianchi, esso ha mirato a limitare gli eccessi e a consigliare la moderazione.

È mia impressione, in definitiva, che la repressione, indiscutibilmente necessaria in profondità sia stata forse eccessiva in estensione. Una volta distrutti tutti i nuclei del movimento sovversivo, credo che la Spagna Nazionale sarebbe salva ugualmente se a Malaga si fucilasse qualche centinaia di comunisti di meno, che domani, sotto un governo forte e comprensivo, potrebbero venire gradualmente riassorbiti.

Trattasi comunque di un problema che l'E.V. può giudicare con maggiori criteri di valutaziont; e sotto un angolo prospettico più vasto di quello da cui parte la mia osservazione locale. Perciò mi limito a prospettarlo, poiché esso riaffiorerà con maggior ampiezza di dimensioni, il giorno in cui le forze nazionali si impadroniranno dei più grandi e più tenaci centri sovversivi del Paese.

CONDIZIONI DELLA COLLETTIVITÀ ITALIANA: La piccola collettività italiana di Malaga che prima della guerra civile contava un centinaio di persone, è ridotta oggi a venti. Gli elementi fuggiti cominciano però a riaffluire man mano, mentre i traffici lentamente riprendono. Trattasi in gran parte di commercianti, di cui taluni, pur avendo sofferto danni materiali notevoli, conservano tuttora una buona posizione finanziaria. Non vi sono indigenti e senza letto, per cui il problema della assistenza non si pone.

Gli stocks di olio di oliva di proprietà di ditte italiane non sono andati dispersi che in misura assai limitata.

Ho dato anche istruzioni al camerata Bianchi di riaprire al più presto l'Ufficio -attualmente rifugiato in una stanzetta d'albergo-e di procacciarsi i mezzi atti a custodire con le necessarie cautele, gli incartamenti, di cui alcuni recenti hanno carattere di particolare riservatezza, e di avviare su di un ritmo normale il funzionamento dell'Agenzia consolare 1 .

263

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1733/232 R. Salamanca, 10 marzo 1937, ore 22,30 (per ore 10,30 del/'11).

Telegramma di V.E. n. 199 2 . Mio telegramma per corriere n. 218 3 . Gaetani mi telefona dopo aver svolto Malaga scrupolose indagini. Egli assicura fucilazioni ultimi giorni sensibilmente diminuite vanno progressivamente riducen-

I Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Vedi D. 249.

3 T. per corriere 1914/218 R. dell'8 marzo. Cantalupo aveva telegrafato di temere che la sua presenza a Malaga potesse urtare la suscettibilità delle Autorità locali per cui avrebbe inviato al suo posto il segretario dell'ambasciata, Gaetani. Prima che questo telegramma giungesse al ministero, Ciano, costatato che l'ambasciatore non era giunto a Malaga, gli aveva ripetuto seccamente l'ordine di partire

(T. 3129/214 R. dell'Il marzo).

dosi. Afferma non (dico non) trattasi situazione come descritta da Bianchi cui opera meritoria svolgesi, però, in modo eccitatissimo. Gaetani e Conti concordi escludono fucilazioni possano aver ripercussioni sul buon nome dei nostri volontari.

Gaetani rientra domani ambasciata recando inchiesta.

Riferirò subito a V.E. 1 cui generoso intervento provoca profonda simpatia.

Proporrò azione da svolgere mentre ho ottenuto intensificare propaganda su tutto fronte per assicurare prigionieri che non (dico non) saranno fucilati.

Frattanto debbo comunicare che Farinacci ha inviato, senza darmene preavviso, lettera al generalissimo Franco2 per protestare vibratamente contro fucilazioni Malaga e per affermare che stato d'animo dei nostri volontari può essere sfavorevolmente impressionato da tanta severità.

Ignoro come e da chi Farinacci sia stato informato. Ignoro se egli sia o meno autorizzato dall'E.V. Prego telegraficamente informarmi 3 . Comunque azione di Farinacci, pure ispirata da pregevoli sentimenti, crea confusione di poteri dannosa al prestigio dell'ambasciata, mentre provoca nel governo spagnolo falsa impressione che Farinacci ha assunto quasi compito di alto commissario superiore alla missione militare ed allo stesso rappresentante di V.E.

264

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1746/35 R. Bruxelles, 11 marzo 1937, ore 20,30 (per. ore l del 12).

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 204 . Con diretto riferimento ai quesiti a suo tempo postimi da questo ministero degli Affari Esteri, ho fatto stamane a Spaak comunicazione nei termini prescritti da V.E.

l Vedi D. 265.

2 La lettera, datata 9 marzo, era del seguente tenore: <<giungono notizie da Malaga che colà si continuano a fucilare i cittadini senza nemmeno un giudizio sommario. Come la E.V. sa, il Duce è contrario a queste esecuzioni in massa, anche perché sono in contrasto con i manifestini che gli aeroplani hanno lanciato sulle truppe avversarie perché queste si arrendano senza preoccupazioni di sorta, dato che i prigionieri saranno rispettati. Io credo che la vittoria sarà più sicura e più rapida se non costringeremo le truppe regolari e le popolazioni stesse a battersi disperatamente di fronte alla morte sicura che le attende. Non prenda la E.V. in sinistra considerazione il mio amicale suggerimento il quale è mosso unicamente dal desiderio che la vittoria dell'Esercito Nazionale possa avere le simpatie del mondo intero e sopratutto perché i soldati di Mussolini possano continuare a combattere per la causa vostra con animo tranquillo».

Contemporaneamente, Farinacci aveva telegrafato a Ciano (T. Ufficio Spagna 656/10048 del IO marzo) chiedendogli di intervenire a Malaga e suggerendo che la città fosse posta provvisoriamente sotto il controllo di Autorità italiane e spagnole. Ciano rispondeva assicurando che l'ambasciatore Cantalupo avrebbe compiuto l'azione necessaria ma che la proposta di far governare la città -<<a mezzadria italo-spagnola» era stata giudicata non opportuna (T. Ufficio Spagna 484 del IO marzo).

3 Con T. segreto non diramare 573/216 R. del 12 marzo, Ciano rispondeva: <<Suo 232. Farinacci ha agito di sua iniziativa ed io vengo informato soltanto adesso attraverso telegramma di V.E. Comunque ritengo necessario che E.V. appoggi questa iniziativa di Farinacci, soprattutto per evitare di dare impressione che tra voi due non esista pieno accordo. Per il futuro vostra attività dovrà essere parallela e concordata ed ispirata a massima delicatezza nei riguardi di Franco. In tal senso V.E. potrà esprimersi a mio nome con Farinacci. La prego tenermi ulteriormente informato». La minuta del telegramma è autografa di Ciano.

4 Vedi D. 259.

Ministro degli Affari Esteri mi ha espresso sua riconoscenza ed ha mostrato di vivamente apprezzare comunicazione che ha definito massima importanza.

Ministro ha poi osservato che raggiungimento di risultati positivi, sia pure limitato al Belgio ed eventualmente nel caso attuale, mi ha detto, all'Olanda, costituirebbe sempre un rilevante contributo alla sicurezza occidentale.

Non ho creduto raccogliere suo accenno all'Olanda, circa il quale mi riservo indagare se esso abbia voluto essere un semplice elemento esemplificativo oppure si riferisca ad un fatto nuovo.

265

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE Salamanca, 11 marzo 1937, ore 20,30 1759/236 e 1760/237 R. (per. ore 14,25 del 12).

Mio telegramma n. 232 1 . Gaetani rientrato da Malaga, dove ha avuto contatti con autorità governative e legislative, fattemi conoscere concordemente con Conti conclusioni seguenti:

l) Confermo che sarebbe stato non (dico non) opportuno mio personale sopralluogo, data irresponsabilità che caratterizza tutti gli ambienti Malaga. Infatti, ha riportato impressione che mentre prepotere illegale di Bianchi riesce praticamente a salvare molte vite senza urtare eccessivamente autorità locali che debbono graziare condannati, interventi del governo Salamanca provocano invece irrigidimento autorità stesse.

2) Gaetani esclude che disagio morale popolazione, benché grave, possa sboccare in esplosione violenta e ciò per materiale impossibilità.

3) Esclude per Malaga che possano ricaderne danni morali sulle nostre truppe, sia perché ritiraronsi subito dalla città, sia perché sino ad ora popolazione conosce perfettamente e apprezza contegno umano dei nostri soldati.

4) Gaetani afferma reppressioni Malaga sono state in diminuzione negli ultimi tempi, ma richiama attenzione sul fatto che trovansi nelle carceri ancora 5600 accusati, ciò che potrebbe generare inasprimento esecuzioni con accentuarsi ripercussioni morali.

5) Circa assurdo funzionamento giustizia e circa condotta ammirevole, seppure imprudente, di Bianchi, Gaetani concorda pienamente con rapporto inviato da Conti a V.E. col n. 854/46 del 9 corr. 2 che illumina esaurientemente situazione Malaga.

I Vedi D. 263. 2 Vedi D. 262.

Da quanto Gaetani e Conti riferiscono, occorremi prospettare subordinatamente alla E.V. seguenti punti: l) Situazione Malaga oggi più tranquilla potrebbe diventare difficilissima qualora esecuzioni riprendessero con i processi dei 5600 accusati ancora in giudizio.

2) Ove tengasi conto esatto che la realtà politica della Spagna nazionale è caratterizzata da una percentuale altissima di filo-comunisti, bisognerebbe concludere in teoria che governo nazionale avrebbe ragione di procedere alle esecuzioni sommarie in massa.

3) Ma deve considerarsi che esse nulla risolverebbero, anzi aggraverebbero senza rimedio la situazione: e ciò anche prescindendo dal fatto che chi oggi giudica inesorabilmente, è almeno corresponsabile della bolscevizzazione Spagna.

4) Inoltre, non è concepibile che sistemi repressivi adottati Malaga possano essere normalmente applicati Madrid, poiché una tale ipotesi aprirebbe orizzonte spaventoso ed eliminerebbe possibilità di ogni soluzione fondata anche sulla semplice umanità, oltre che sull'interesse nazionale.

5) Tutto ciò premesso, e da me ponderatamente considerato negli ultimi tempi, debbo sottoporre a V.E. opinione che invece di sporadici interventi pietosi abbia luogo azione del governo fascista, a nome anche personale del Duce. A mio avviso con detta azione dovremmo domandare al governo nazionale rinvio dei processi dei civili ad alcuni mesi dopo soluzione crisi, in modo da svolgerli in forma meno feroce e davanti tribunali che siano veramente tali. Ciò, si intende, salvo casi di particolare notoria gravità che V.E. può ben credere esistano in numero abbondante.

Riterrei che nel passo potrebbe senz'altro invocarsi nostro diritto per la solidarietà morale che truppe italiane hanno assunto davanti mondo civile con truppe spagnole. È infatti mio convincimento che se a Madrid esecuzioni dovessero aversi su vasta scala non (dico non) sarebbe possibile sottrarre buon nome nostri volontari e dello stesso Regime fascista al rancore profondo delle popolazioni spagnole, nè a severità dei nostri nemici nel mondo.

6) Ed ultimo punto: passo dovrebbe assumere tono particolarmente solenne e deciso per ogni futura eventualità. Potrebbe ad esempio V.E. trasmettere testo a questa ambasciata con incarico di consegnarlo personalmente a Generalissimo e con autorizzazione a darne confidenzialmente conoscenza a questo presidente della Croce Rossa spagnola, nonché eventualmente ad ambasciatore di Germania 1 .

266

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 572/100 R. Roma, 12 marzo 1937, ore l.

Hassell mi ha comunicato che barone von Neurath informerà domani codesto ambasciatore di Inghilterra che governo del Reich non (dico non) farà al governo

I Per la risposta ti vedi il D. 274.

britannico comunicazione della composizione della delegazione tedesca per la cerimonia della incoronazione di S.M. Giorgio VI fino a quando questione tra governo italiano e governo britannico non sarà chiarita.

Prego voler esprimere personalmente al barone von Neurath i miei vivi ringraziamenti per questa comunicazione e per l'atteggiamento del governo tedesco che è stato da noi particolarmente apprezzato 1•

267

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AGLI AMBASCIATORI A BRUXELLES, PREZIOSI, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, CERRUTI

T. 574/c.R. Roma, 12 marzo 1937, ore 23.

Ho consegnato oggi a questo ambasciatore d'Inghilterra testo della nostra risposta all'ultima nota britannica relativa ai negoziati in corso tra le cinque Potenze per la sostituzione del Trattato di Locarno 2 . Per corriere invio a V.E. copia di tale nota

(per Parigi e Bruxelles) con preghiera di darne comunicazione a codesto governo.

(Per Bruxelles) V.E. vorrà richiamare l'attenzione del governo belga sull'ultima parte della nostra nota dove è detto che il governo fascista è pronto a garantire congiuntamente con la Gran Bretagna, la Francia e la Germania l'integrità del Belgio senza chiedere al Belgio una garanzia reciproca 3 .

268

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

MEMORANDUM. Roma, 12 mar:::o 1937.

I. -Con il suo Memorandum del 18 ottobre u.s. 4 il Governo Fascista aveva esposto al Governo britannico il suo punto di vista circa la necessità che, prima di

1 Il giorno successivo, Attolico telegrafava di avere ringraziato von Neurath, il quale aveva però raccomandato di fargli conoscere al più presto le decisioni prese a Roma, tanto più che Re Giorgio in persona aveva chiesto a von Ribbentrop notizie della delegazione tedesca. (T. 1728/128 R. del 13 marzo). Ciano rispondeva (T. 580/106 R. del 14 marzo) che, per quanto sollecitato, l'ambasciatore di Gran Bretagna non aveva ancora risposto al quesito che gli era stato posto (vedi D. 219). Si vedano per il seguito della questione i DD. 286 e 300.

2 Vedi D. 268.

3 Per i conseguenti passi compiuti da Cerruti, a Parigi, e da Preziosi. a Bruxelles, si vedano rispettivamente i DD. 276 e 287.

4 Vedi serie ottava, vol. V, D. 240.

entrare in negoziati sui singoli punti del nuovo Trattato che dovrebbe sostituire il Trattato di Locarno, le cinque Potenze di Locarno fossero d'accordo nel chiarire il carattere che dovrebbe avere il nuovo Trattato e stabilire se è loro intenzione o meno di ricostruire il Trattato di Locarno sulle sue basi originarie. Sembra al Governo Fascista che -dal punto di vista pratico -sia di scarsa utilità discutere i particolari del nuovo Trattato, se anzitutto le cinque Potenze non sono d'accordo sulla natura che questo Trattato dovrebbe avere, sugli scopi ai quali esso dovrebbe rispondere, e sui limiti entro i quali esso dovrebbe operare.

Il Governo Fascista, nel suo Memorandum del 18 ottobre, non ha nascosto la sua avversione a una trasformazione radicale del vecchio Trattato di Locarno, che, frutto di una lunga elaborazione diplomatica e risultato di sforzi condotti da tutte le parti con buona volontà e con un senso realistico dei problemi che si volevano risolvere, è stato, per molti anni, uno strumento utile e pratico di sicurezza, di pace e di collaborazione nell'Europa Occidentale.

Il vecchio Trattato di Locarno aveva uno scopo preciso e ben definito: ed era il mantenimento dello statu quo territoriale per quello che riguarda le frontiere tra la Germania e il Belgio e tra la Germania e la Francia e l'inviolabilità di tali frontiere. La sua struttura rispondeva direttamente ed esattamente a questo scopo: la Germania e il Belgio e la Germania e la Francia si impegnavano direttamente tra loro al rispetto di tali frontiere, a non attaccarsi, a non invadere il territorio l'uno dell'altro e a non ricorrere da una parte o dall'altra alla guerra: la Gran Bretagna e l'Italia si impegnavano, in caso di violazione di questo impegno, a dare la propria assistenza alla Potenza contro la quale tale impegno specifico fosse stato eventualmente violato.

Il vecchio Trattato di Locarno era un patto di sicurezza renana, non era un patto di sicurezza generale. Esso fissava ben chiaramente per le frontiere del Reno gli obblighi di non aggressione e di garanzia, e il valore pratico di questi obblighi era tanto maggiore in quanto essi erano ben definiti e precisi.

Precisa era la distinzione tra i paesi garantiti e i paesi garanti; e ai paesi garanti veniva dato dal Trattato una funzione propria, non confondibile con l'impegno di non aggressione che correva tra la Germania ed il Belgio e tra la Germania e la Francia. In caso di un attacco flagrante -che era l'ipotesi concreta nella quale la garanzia doveva funzionare in tutta la sua immediata efficacia -erano la Gran Bretagna e l'Italia che con giudizio imparziale e disinteressato erano immediatamente chiamate a determinare quale parte esse ritenessero responsabile dell'aggressione e in favore di quale parte esse fossero obbligate a prestare la loro assistenza.

Il vecchio Trattato di Locarno aveva creato in questo obbligo diretto di assistenza un meccanismo semplice di azione e destinato ad avere una immediata applicazione; come nella garanzia congiuntiva dell'Italia e della Gran Bretagna esso aveva creato un sistema unitario, che avrebbe riunito, in ogni caso, contro l'aggressore le forze dell'aggredito e dei due garanti. Nel carattere congiuntivo della garanzia itala-britannica e in questa riunione delle forze dell'aggredito e dei due garanti consisteva l'unità fondamentale -a tutti gli effetti pratici del Trattato di Locarno.

È opinione del Governo Fascista che questa unità debba essere mantenuta, come deve essere mantenuto il carattere immediato dell'assistenza contro l'aggressore, se si vuole preservare l'efficacia reale del Trattato di Locarno.

Solo in questa unità i paesi garantiti possono trovare la loro maggiore protezione, e solo in questa unità i Paesi garanti possono esercitare appieno congiuntivamente la loro funzione comune.

II. -Nel suo Memorandum del 18 ottobre il Governo Fascista ha già avuto occasione di esporre i suoi dubbi circa la possibilità di mantenere l'unità fondamentale del Trattato di Locarno, qualora a base del nuovo Trattato venga posto un sistema di garanzie reciproche separate. «Di fronte ai suggerimenti del Governo britannico -era detto nel Memorandum italiano del 18 ottobre -il Governo Fascista si domanda se questa unità fondamentale verrebbe effettivamente mantenuta in un regime di garanzie reciproche separate o se invece il Trattato di Locarno non verrebbe a spezzarsi in due sistemi tripartiti, che altererebbero fondamentalmente la posizione dei garanti, toglierebbero il carattere congiuntivo della garanzia e trasformerebbero il Trattato di Locarno a tutti gli effetti pratici in due atti separati di mutua assistenza, uno franco-anglo-germanico e uno italo-franco-germanico, solo formalmente collegati nella comune cornice di un Patto generale». Il Governo britannico -nel suo Memorandum del 19 novembre 1 non ha creduto ancora di entrare nell'esame di questo aspetto, pure essenziale del problema. Esso ha solo ricordato che alla sua proposta di Patto Aereo del 1935 2 -proposta che era fondata sul principio della reciprocità -il Governo italiano sembrava essere stato favorevole. Non pare necessario al Governo Fascista di far rilevare quale sostanziale differenza esista tra la proposta di un Patto aereo che avrebbe dovuto eventualmente costituire un complemento del Trattato di Locarno, e la proposta di trasformare le basi del sistema generale delle garanzie sul quale era fondato tale Trattato. Nè pare al Governo Fascista necessario di ricordare che la elaborazione del Patto aereo non giunse a uno stadio tale da permettere agli Stati firmatari del Trattato di Locarno di rendersi conto della possibilità pratica di coordinare organicamente le garanzie reciproche che esso prevedeva con il sistema generale del Trattato, problema il cui esame non fu da essi neppure iniziato.

Comunque, messa a parte la questione del Patto aereo, quello che il Governo Fascista ha inteso di chiarire nel suo Memorandum del 18 ottobre, è che, una volta poste le garanzie di Locarno sulla base della reciprocità, non si modificava solamente un particolare del vecchio Trattato, ma se ne alterava essenzialmente la natura ed il carattere.

Il Governo Fascista ha trovato conferma di questa sua impressione nei due Memorandum del Governo francese del 30 settembre3 e del 19 dicembre4 . Il Governo francese sembra intendere che il nuovo Trattato debba essere un trattato collettivo di non aggressione e di mutua assistenza tra i cinque firmatari di Locarno, un trattato quindi che non avrebbe più come scopo il mantenimento dello statu quo per quando riguarda la frontiere belgo-tedesca e franco-tedesca,

I Vedi p. 69, nota 2.

2 Riferimento alla proposta di Patto aereo tra le Potenze locarniane avanzata dai governi francese e britannico il 3 febbraio 1935, nota anche come «progetto Simon».

3 Testo in DDF, vol. III, D. 313.

4 Vedi p. 69, nota l.

326 ma dovrebbe provvedere alla sicurezza di tutti i suoi contraenti. «Chaque signataire s'engagerait envers chacun des autres signataires à ne se livrer à aucune attaque ou invasion par terre, mer ou air... En cas de manquement à l'engagement de non agression, l'assistance, qui ne saurait faire l'objet d'un engagement moins étendu que celui résultant du Traité de Locarno, devrait ètre fourni par les autres Puissances signataires à la Puissance attaquée». (Paragr. 6 e 7 del Memorandum francese del 30 settembre).

Sembra evidente al Governo Fascista che se i negoziati tra le cinque Potenze si avviassero in questa direzione, si verrebbero sostanzialmente a modificare le basi del vecchio Trattato di Locarno e a trasformarne le caratteristiche essenziali. Si verrebbe in particolare a distruggere quella netta distinzione tra paesi garantiti e paesi garanti sulla quale poggia il Trattato di Locarno. I Paesi garanti non verrebbero più ad assumersi una obbligazione di carattere specifico e limitato quale era quella della garanzia delle frontiere renane --:-ma dovrebbero assumersene una più indeterminata e più vasta, e poiché ciascuno di essi può avere degli impegni di assistenza in zone geografiche diverse dalla zona della frontiera renana, ciascuno di essi dovrebbe anche essere messo in condizione di poter proteggere con delle «eccezioni» particolari questi suoi impegni. Il problema delle «eccezioni» così verrebbe ad allargarsi e a complicarsi. Bisognerebbe prevedere la possibilità di eccezioni non solo per i tre Paesi tra i quali correva, nel vecchio Trattato di Locarno, l'obbligo della non aggressione, ma per tutti e cinque i contraenti; e di ciò lo stesso Memorandum britannico dà la prova, quando specifica che «sarebbe, per esempio, impossibile per il Governo di S. M. di partecipare ad accordi che fossero incompatibili con le clausole dei suoi trattati con l'Irak1 e con l'Egitto 2 ». Ciò è evidente. Ma questo problema neanche si sarebbe posto in base al vecchio Trattato di Locarno, mentre naturalmente si porrebbe quando si intendesse sostituire a un trattato di garanzia delle frontiere del Reno, un Trattato collettivo di garanzie reciproche.

Il Governo Fascista gradirebbe che il Governo britannico e gli altri Governi interessati studiassero più a fondo questo aspetto del problema e gli facessero conoscere le loro osservazioni e i loro suggerimenti. Esso non nasconde la sua avversione a che il vecchio Trattato di Locamo venga trasformato in uno strumento troppo complesso, che i suoi scopi vengano a divenire meno precisi e meno diretti, e che gli obblighi di non aggressione dei Paesi garantiti e gli obblighi di assistenza dei Paesi garanti vengano a perdere la loro semplicità, la loro chiarezza e la loro efficacia, una volta che essi siano inseriti in un meccanismo di garanzie interdipendenti, ciascuna delle quali limitata e complicata da eccezioni che apparterrebbero ad altri sistemi autonomi di sicurezza.

III. ~ Il problema di stabilire quali eccezioni agli obblighi di non aggressione possano essere ammesse dai contraenti è un problema che interessa i Paesi garanti

l Trattato di alleanza tra Gran Bretagna e Iraq del 30 giugno 1930 (testo in MARTENS, vol. XXIV, pp. 333-345).

2 Trattato di alleanza tra Gran Bretagna e Egitto del 26 agosto 1936 (testo in MARTENS, vol. XXXIII, pp. 326-342).

non meno dei Paesi garantiti. I Paesi garanti, che sono chiamati ad assumersi un preciso impegno di assistenza debbono essere assicurati contro il pericolo che i loro impegni siano alterati da impegni che i Paesi garantiti eventualmente assumano per loro conto verso terze Potenze. Non si tratta qui puramente e semplicemente di una questione di compatibilità giuridica tra diversi gruppi di accordi di non aggressione, di assistenza e di garanzia, si tratta di un problema più vasto e sul quale il Governo Fascista tiene a richiamare la particolare attenzione dei Governi interessati.

I Paesi garanti del Trattato di Locarno hanno contratto i loro impegni di garanzia -impegni ai quali non corrisponde a loro favore alcuna contropartita positiva -nel preciso intendimento di fare opera di pace, di contribuire alla stabilità ed alla sicurezza dell'Europa Occidentale, di evitare che tra la Francia e la Germania si venisse a creare una situazione di permanente conflitto. Il Governo italiano ha sempre inteso che il Trattato di Locarno fosse uno strumento di conciliazione e di pace, il cui scopo essenziale doveva essere quello di avvicinare tra loro la Germania e la Francia, dando all'uno ed all'altro di questi Paesi una piena garanzia di sicurezza, in modo che nè l'uno nè l'altro fossero spinti a cercare questa sicurezza in alleanze esterne, che avrebbero fatalmente diviso l'Europa in due campi avversi. Se il Governo Fascista si era indotto ad assumersi, senza condizioni e senza limiti di tempo, il grave onere di garantire tra la Francia e la Germania le frontiere del Reno, questo era stato nella speranza che la sua incondizionata e illimitata garanzia unita a quella della Gran Bretagna, sarebbe valsa a scoraggiare questi due paesi dal perseguire l'uno contro l'altro una politica di mutuo accerchiamento, che avrebbe fatalmente originato un nuovo conflitto. Per gli oneri che esso si assumeva il Governo italiano pensava che questa sarebbe stata la vera contropartita: la rinuncia da parte dei paesi garantiti a cercare altrove e con pericolo per la pace di Europa quella garanzia di sicurezza che l'Inghilterra e l'Italia congiuntivamente offrivano.

I Trattati di mutua assistenza franco-polacco e franco-cocoslovacco furono accettati dai garanti come eccezioni a quella che doveva essere la norma generale di condotta dei paesi garantiti, e il Governo italiano -mentre non si rifiuta di esaminare nel loro merito e ciascuna per suo conto, le eventuali proposte di eccezione alla regola generale del nuovo trattato -non potrebbe accettare il principio che di per sè stessi e quali che essi siano, i trattati di mutua assistenza tra i paesi garantiti e terze Potenze, dovrebbero rientrare nel sistema destinato a sostituire il Trattato di Locarno. Tanto meno esso può dividere l'opinione espressa dal Governo francese nel suo Memorandum del 19 dicembre che il Trattato che dovrà sostituire quello di Locarno non dovrà essere incompatibile con i trattati di mutua assistenza conclusi dai singoli firmatari.

Questo sembra al Governo Fascista costituire un grave regresso su quello che era il sistema di Locarno. Nel sistema di Locamo gli accordi di mutua assistenza tra paesi firmatari del Trattato e paesi non firmatari erano considerati come eccezioni all'impegno principale di non aggressione e dovevano perciò essere compatibili con questo impegno ed essere accettati da tutti i contraenti del Trattato. Se si ammettesse ora il principio avanzato dal Governo francese, questo problema verrebbe singolarmente invertito. Si tratterebbe non già di esaminare quali eccezioni possano essere ammesse al nuovo Trattato -un problema che è naturalmente aperto alla discussione da parte di tutti i contraenti -ma di modellare il Trattato stesso in modo che esso non sia in contrasto con alcuno dei possibili Patti di mutua assistenza dei quali siano parte o possano divenir parte nell'avvenire le cinque Potenze di Locarno.

Il Governo Fascista è desideroso di conoscere se questo è effettivamente il pensiero del Governo francese, se il Governo francese intende effettivamente che il sistema di Locarno sia trasformato in maniera così radicale che gli obblighi di non aggressione e gli obblighi di garanzia vengano a perdere la loro immediatezza, per essere inseriti in un più complesso sistema di Patti di mutua assistenza, dalla cui interpretazione dipenderebbe volta per volta l'applicazione pratica del nuovo Trattato.

IV. -Il Governo Fascista per suo conto non vede in ciò alcun vantaggio. Esso è di opinione che le obbligazioni del nuovo Trattato debbano essere così semplici, chiare e dirette, come nel vecchio Trattato di Locarno. Come il vecchio Trattato di Locarno, il nuovo Patto tra le cinque Potenze occidentali dovrebbe avere uno scopo preciso e ben definito quale sarebbe il mantenimento dello statu quo territoriale per quello che riguarda le frontiere del Belgio e la frontiera franco-tedesca.

Gli obblighi di non aggressione e di garanzia dovrebbero essere così precisi e così semplici che i garanti possano rapidamente decidere e rapidamente intervenire in favore dell'aggredito.

Il Governo Fascista ritiene che nello studio del problema della determinazione dell'aggressione -agli effetti del funzionamento pratico della garanzia -è questa la considerazione che deve essere sopratutto tenuta presente, poiché dei casi possibili di aggressione quello che naturalmente interessa in maniera vitale gli Stati contraenti e quello nel quale le garanzie devono spiegare tutta la loro efficacia, è il caso di un attacco improvviso, quando si tratta di portare immediata assistenza allo Stato aggredito.

Il Governo Fascista ritiene che il problema del mantenimento delle frontiere del Reno, l'inviolabilità del Belgio, la pace tra la Germania e la Francia, siano interessi essenziali dell'Europa che devono essere protetti con metodi e con impegni di carattere particolare, più precisi e più diretti dei metodi e degli impegni generali della sicurezza collettiva.

Il Governo Fascista è per proprio conto pronto ad assumersi questi impegni. Esso è pronto a garantire congiuntivamente con la Gran Bretagna, la Francia e la Germania l'integrità del Belgio, senza chiedere al Belgio una garanzia reciproca. Esso è pronto a garantire congiuntivamente con la Gran Bretagna il mantenimento dello statu quo territoriale per quanto riguarda le frontiere franco-tedesche e l'inviolabilità di tali frontiere senza chiedere alcuna reciprocità.

Il Governo Fascista rinnova perciò il suggerimento che esso ebbe già ad avanzare cinque mesi or sono nel suo Memorandum del 18 ottobre: di prendere come base di discussione tra le cinque Potenze il vecchio Trattato di Locarno, e, invece di discutere ex nova tutti gli elementi che condussero alla sua conclusione, riesaminare d'accordo con le cinque Potenze la struttura del trattato, per adattarlo a quelle circostanze che nel frattempo sono venute mutando, senza tuttavia alterarne nè l'impostazione generale nè i suoi essenziali caratteri.

269

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1783/70 R. Vienna, 13 marzo 1937, ore 13.10 (per. ore 15,20).

Segretario di Stato per gli Affari Esteri ha avuto da Roma notizie su malumore che a Palazzo Chigi avrebbero suscitato voci da fonte francese di un suo prossimo viaggio a Parigi.

Nel parlarmi oggi Schmidt mi si è mostrato dolente e mi ha rinnovato smentita da me già riferita (da ultimo mio telegramma per corriere n. 059) 1 di un suo apposito viaggio a Parigi. Confermandomi eventualità sua sosta a Parigi nel viaggio di ritorno dalle feste Incoronazione a Londra, segretario Stato Affari Esteri mi ha assicurato che iniziativa sarebbe partita fin dal gennaio scorso da questo ministro di Francia. Evitando invio di altri membri del Governo Federale, si farebbe coincidere inaugurazione del Padiglione austriaco dell'Esposizione e della Mostra storica dell'Arte austriaca. Contenuta in tali termini segretario di Stato Affari Esteri non crede che tale sua sosta possa dare adito ad inconvenienti.

Nulla ometterà per impedire ogni sfruttamento e combinazione contro l'immutata linea politica dell'Austria 2 .

270

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. SEGRETO NON DIRAMARE PERSONALE 576/51 R. 3 Roma, 13 marzo 1937, ore 24.

Subotic ha accettato ad referendum schemi accordo 4 , facendo alcune riserve su punti che appaiono secondari e sui quali ritengo si potrà facilmente trovare terreno d'intesa. Bisognerebbe adesso, se Stojadinovic è sempre d'idea che accordo debba aver luogo prima della fine del mese e mia visita a Belgrado il 24 corrente, che si concludesse rapidamente.

Ciò soprattutto per darmi il tempo necessario ai fini di svolgere l'azione del caso, in special modo sugli ungheresi e sugli albanesi. Nella forma che Lei sceglierà e se lo riterrà opportuno, tocchi l'acceleratore a Stojadinovic, tanto più che la fantasia della stampa francese comincia a galoppare in modo poco serio e certamente non utile 5 .

1 T. per corriere 1802/059 R. dell'Il marzo. Riferiva che Schmidt, su suggerimento del ministro di Francia, avrebbe sostato a Parigi di ritorno dalle feste dell'Incoronazione a Londra. Schmidt gli aveva escluso. invece, di voler effettuare un viaggio apposito nella capitale francese.

2 Il documento ha il visto di Mussolini.

3 Minuta autografa.

4 Non rintracciati.

5 Si veda per il seguito il D. 275.

271

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI

TELESPR. RISERVATO 681239/C. Roma, 13 marzo 1937.

Con il telespresso n. 3445/939 del 14 novembre u.s. 1 , V.E., nel riferirmi circa la conversazione avuta con monsignor Pizzardo sull'atteggiamento delle gerarchie cattoliche in Olanda nei confronti del partito di Mussert e in genere verso i partiti filo-fascisti, mi informava delle assicurazioni date in tale occasione dal segretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari relativamente alle istruzioni impartite dalla Santa Sede onde evitare provocazioni ed impedire provvedimenti ostili verso quegli elementi nazional-socialisti.

Tuttavia a quanto fa conoscere il R. ministro all' Aja col telespresso in data 3 corrente, che qui unisco in copia2 , mi pregio trasmettere all'E.V., l'atteggiamento della Chiesa e del partito cattolico olandese a suo tempo segnalato rimane di netta oppOSIZIOne.

In base agli elementi forniti dal predetto R. ministro, V.E., vorrà, in una prossima occasione propizia, far parola alla Segreteria di Stato di Sua Sanità della situazione quale persiste attualmente in Olanda, attirando di nuovo l'attenzione della Santa Sede sull'opportunità di intervenire colà per far attenuare in modo più effettivo il dissidio tra le gerarchie cattoliche ed il partito capitanato da Mussert 3 .

272

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1827 /S.N. R. Siviglia4 , 14 marzo 1937, ore 19,30 (per. ore 6,15 del 15 ).

Farinacci mi fa sapere dal fronte aver spedito al Duce intervista con Hedilla, attuale capo della Falange, che dovrebbe apparire giornali italiani. Ignoro testo ma conosco punti principali. Hedilla fa dichiarazioni di particolare gravità nei riguardi Franco e partiti conservatori anche se «camuffate sotto formule indirette». Mi

l Non rintracciato.

2 Telespresso 345/103 del 3 marzo. TI ministro Taliani riferiva che in Olanda l'atteggiamento della Chiesa e del partito cattolico nei confronti dei gruppi orientati verso il fascismo era «di netta e intransigente opposizione» e che i membri del clero «certo obbedendo a segreti ordini superiori» adoperavano «senza tatto e senza misura ogni mezzo per combattere le nuove tendenze politiche con quella stessa feroce violenza che i loro antenati portavano nelle guerre di religione». TI fatto che si utilizzasse la religione come mezzo di lotta politica suscitava -secondo Taliani -delle forti reazioni negative nell'opinione pubblica del Paese.

3 Non si è trovata documentazione di un passo dell'ambasciatore Pignatti a questo proposito.

4 Vedi p. 320, nota 3.

331 sembra che egli voglia servirsi stampa italiana per far scoppiare bomba nella politica interna spagnola.

Superfluo ricordare che Farinacci essendo accreditato da noto altissimo autografo 1 , dovrebbe astenersi dal lanciare in Italia documento di politica interna spagnola che potrebbe indebolire posizione personale Generalissimo e rendere ancora più difficile fusione due partiti. Inoltre, non troverei giustificabile pubblicazione in Italia di intervista che Farinacci e Hedilla hanno concordemente nascosto alla censura spagnola. Pur riservandomi giudizio definitivo al momento in cui conoscerò testo, sono fin da ora contrario alla pubblicazione. Avvertirò senza indugio Farinacci appena potrò comunicare con lui.

273

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 1078/529. Vienna, 14 marzo 1937, (per. il 17).

Le polemiche internazionali sul problema della restaurazione dinastica in Austria e la ridda di notizie e di smentite dopo la visita di von Neurath a Vienna, hanno lasciato in questa opinione pubblica alcuni elementi di disagio, che non conviene ignorare.

Per ciò che riguarda più direttamente l'Italia, si è da varie parti abusato della sensazione prodotta dagli articoli di Gayda 2 per tentarne un'interpretazione che va al di là del problema della restaurazione. Si è voluto ravvisare in quegli articoli un segno di disinteressamento se non di abbandono o sacrifizio, verso l'indipendenza statale dell'Austria, e nella forma e nel tempo della loro pubblicazione un atto poco amichevole verso il Cancelliere Federale.

Per quanto si sia fatto da parte nostra per ribattere queste interpretazioni, confutate dalla stessa lettera specialmente del secondo articolo di Gayda, ne è rimasto in vasti circoli un disorientamento, nel quale, al di là dell'episodio, si tende a mettere in discussione nel suo complesso la nostra posizione verso l'Austria nell'avvenire in rapporto al funzionamento dell'asse Roma-Berlino.

Questo stato d'animo, che la impossibilità di pubbliche manifestazioni sull'argomento non contribuisce a modificare così prontamente e ampiamente come sarebbe desiderabile, ha favorito speculazioni politiche di varia orgine. Ne sono fioriti, nel campo internazionale, le voci di trattative con le Potenze occidentali, gli annunzi di vmgg1 di Schmidt a Parigi3 , le fantasie dell'asse Parigi-Praga-Vienna.

l Si riferisce alla lettera-datata 1° marzo-~ che Mussolini aveva inviato a Franco per presentare Farinacci. Vi si diceva che Farinacci «viene per rendersi conto della situazione della Spagna nazionale, ormai avviata verso la vittoria, e per esporvi le mie idee circa il futuro (testo in B. MussOLINI, Opera Omnia, vol. XLII, p. 177).

2 Vedi p. 263, nota 2 e p. 276, nota l.

3 Vedi D. 269.

Ne sono derivate, nel campo interno, nuove difficoltà nell'appena abbozzata opera di pacificazione nazionale: dall'una parte, per maggiore intransigenza dei gruppi cristiano-sociali che dicono di doversi difendere da sè contro infiltrazioni naziste ora che non credono più, in pieno, nell'assistenza dell'Italia contro l' Anschluss; dall'altra parte, per maggiori pretese dei nazionali, riluttanti a compromettere l'avvenire che il preteso voltafaccia dell'Italia rispetto all'Austria farebbe apparire più promettente ai loro postulati massimi.

Hanno acuito il disagio e le difficoltà le notizie, più o meno controllabili, dei nuovi metodi di ingerenze germaniche adottati in Ungheria 1 e considerati come un monito per l'Austria 2 dove potrebbero riuscire anche più pericolosi. N è sono tranquillanti i sintomi di appoggio non solo morale che da Berlino sarebbero venuti in questi ultimi giorni all'ala più intransigente dei nazionalsocialisti austriaci, in contrasto con le assicurazioni date qui da von Neurath in favore dell'esperimento di riconciliazione interna avviato dal Cancelliere.

Schuschnigg, e con lui i circoli responsabili, non partecipano, nè alle preoccupazioni o ai dubbi sul nostro atteggiamento nell'avvenire, nè al pessimismo sullo sviluppo della situazione interna, nè alle cervellotiche costruzioni internazionali, avvalorate forse in qualche osservatore superficiale dalle più insistenti visite di diplomatici occidentali e balcanici al Ballhaus.

Ma non posso nascondere a V.E. che il Cancelliere, pur apprezzando con piena serenità il recente episodio delle manifestazioni italiane sulla restaurazione (mio telegramma n. 59 del 3 corr.)\ attende con il più vivo desiderio l'incontro con il Duce e con V.E. per il valore che egli attribuisce allo scambio di vedute a cui l'incontro darà luogo, ma anche per l'effetto pubblico del convegno, all'interno e all'estero.

A torto o a ragione -noi sappiamo che a torto -gli ultimi incidenti hanno scosso in alcuni circoli la sicurezza che Schuschnigg continui a godere la nostra fiducia. Bastarono queste false interpretazioni, diffusesi anche in questi ambienti diplomatici, per far sorgere piani di successioni per i quali si crede da taluno di poter sfruttare la nostalgia mai svanita nel presidente dello Stato Federale verso un governo più vicino alla democrazia parlamentare della vecchia Costituzione che non al regime d'autorità instaurato da Dollfuss con la nuova Costituzione, di cui è, purtroppo, così lenta l'organica completa realizzazione.

Non credo nel presente momento alla possibilità di certe candidature alla successione di Schuschnigg: -neppure di quella, più seria, di Schmitz, che, oltre che non egualmente fido a noi (la sua conversione, iniziata troppo tardi, non è ancora completa) costituirebbe oggi un pericolo (e per noi un incomodo) per la sua assoluta intransigenza antigermanica e antinazista.

Non credo ad un colpo di testa del Presidente Federale, anzi tutto perché è molto devoto a Schuschnigg e ne subisce il prestigio ma sopra tutto perché è alieno da ogni atto di forza e troppo conscio della mancanza di una propria base nel paese per affrontare un conflitto.

l Vedi D. 241.

2 Salata aveva telegrafato che i fatti avvenuti in Ungheria avevano provocato molta impressione a Vienna dove erano considerati come sintomi di illecite ingerenze del nazismo germanico negli affari interni di un Paese amico (T. 1611/62 R. del 6 marzo).

3 Vedi p. 276, nota l.

Sarò grato a V.E. se mi porra m grado di fare, appena possibile, qualche comunicazione al Cancelliere sulla data e sul ·luogo del suo incontro col Duce. Anche oggi, parlandomene con molta discrezione, Schuschnigg mi ripetè che non voleva parere importuno con nuove insistenze. Ma non mi ha nascosto che si attendeva di poter scendere in Italia entro la prima decade o metà di aprile. Lo riterrei, più che opportuno, utile. Solo questo incontro varrà a por fine alla tante speculazioni che hanno se pur contrastanti interessi a far credere, agli effetti interni e internazionali, mutati i nostri rapporti con l'Austria. Sarà quella una nuova conferma che anche nella pratica più stretta ed efficace l'asse Roma-Berlino non è inconciliabile con gli Accordi di Roma che hanno per base l'indipendenza e l'integrità dello Stato austriaco 1•

274

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 583/224 R. Roma, 15 marzo 1937, ore 16,30.

Suoi telegrammi n. 236-2372 e 915 3 .

Duce autorizza4 passo di cui al telegramma V.E. numero 237. V.E. potrà pertanto disporre per compilazione di una nota redatta a nome del Duce e presentarla personalmente al Generalissimo al momento e con le modalità che giudicherà più convenienti. Resto in attesa ulteriori comunicazioni 5 .

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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE RISERVATISSIMO Belgrado, 15 marzo 1937, ore 21,10 1856/59 R. (per. ore 0,10 del 16). Telegramma di V.E. n.

Stojadinovic mi ha detto che Subotic riceverà stasera sue istruzioni definitive circa punti rimasti in sospeso per concordare accordo.

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 265. 3 È il T. 1824/915 R. del 14 marzo, non pubblicato, con il quale l'ambasciatore Cantalupo

comunicava di essere giunto a Siviglia (si veda il p. 320, nota 3). 4 Mussolini, allora in Libia, aveva telegrafato il giorno precedente a Ciano: «Approvo richiesta di

Cantalupo circa passo da farsi presso Franco; mi riservo per quanto riguarda detenuti Malaga». s Per il seguito si veda il D. 357. 6 Vedi D. 270.

Si è mostrato molto soddisfatto del punto a cui è giunto il negoziato. Mi ha detto che attende impazientemente notizie conclusione tanto più che desidera opporre il fatto compiuto alle manifestazioni del malcontento francese ed inglese.

Per quanto concerne in particolare articolo 2 del secondo progetto di accordo (impegno a non entrare intese con terze Potenze, ecc.) mi ha detto che considera che, mentre l'impegno risulta sufficientemente dal contesto dell'accordo e dalla ragione di essere del medesimo, d'altra parte una simile stipulazione nel momento attuale non mancherebbe di venire interpretata e valorizzata come un totale asservimento della politica jugoslava a quella italiana suscitando reazioni estere indesiderabili. Comunque egli è d'avviso che con le istruzioni che ha Subotic accordo può considerarsi suscettibile di essere subito concluso.

Tanto che mi ha diffusamente esposto quanto egli propone come programma della imminente visita di V.E. a Belgrado, secondo riferisco con telegramma a parte 1 .

51 6 .
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO

T. 1846/149 R. Parigi, 15 marzo 1937, ore 21,25 (per. ore 0,35 del 16).

Telegramma di V.E. n. 574 C2 .

Ho consegnato al ministro Delbos memorandum da V.E. rimesso 12 corr. a codesto ambasciatore Inghilterra 3 accompagnandolo da una traduzione francese. Gli ho fatto osservare che quest'ultima era stata redatta dall'ambasciata per sua comodità, affinché potesse subito prendere visione del documento fascista ma che doveva essere inteso che faceva fede il solo testo italiano. Gli ho in pari tempo illustrato punti sostanziali del memorandum.

Delbos mi ha pregato ringraziare V.E. della cortese comunicazione, si è riservato esaminare attentamente documento ed ha espresso speranza che fosse possibile, nonostante evidente divergenza esistente fra punti di vista franco-inglese ed italo-tedesco, di trovare un terreno di intesa.

Avendomi chiesto se fosse esatto che il governo fascista si dichiarasse disposto garantire integrità territoriale del Belgio senza reciprocità ed ottenuta risposta affermativa, Delbos mi disse che questo era per buona fortuna un punto sul quale i pareri di tutti quanti gli Stati concordavano ed avrebbe potuto quindi costituire un caposaldo per ulteriori spiegazioni ed eventualmente intese. Maggiore ostacolo da superare per Francia-Inghilterra era quello di ottenere delle garanzie reali che l'impegno di non violare l'integrità territoriale esistente nell'occidente dell'Europa, non sia dalla Germania interpretato come un impegno simultaneo, da parte di queste due Potenze, di disinteresse francese ad una eventuale violazione della

1 T. segreto 1854/57 R. del 15 marzo, non pubblicato. 2 Vedi D. 267. 3 Vedi DD. 267 e 268.

integrità territoriale esistente nell'oriente europeo. Mi diceva ciò perché, se così non fosse, non si comprenderebbero le obiezioni mosse contro l'esistenza di patti presenti o futuri di mutua assistenza, i quali non avevano alcun scopo aggressivo contro alcuno ma miravano esclusivamente a garantire reciprocamente in modo sicuro i firmatari contro un'eventuale aggressione.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1852/150 R. Parigi, 15 marzo 1937, ore 21,25 (per. ore 0,35 del 16).

Delbos ... 1 che era costretto richiamare la mia più seria attenzione sugli avvenimenti di Spagna, data l'emozione che essi suscitano negli ambienti governativi e politici del Fronte Popolare in Francia. Secondo le notizie pervenutegli, di cui non aveva peraltro avuto sino ad ora conferma ufficiale posteriore al 20 febbraio scorso, sarebbero avvenuti a Cadice tre sbarchi di volontari italiani il primo di 5.000 e gli altri due di 10.000 ciascuno, con totale di 25.000 uomini. Ammontare indicatomi del secondo e del terzo sbarco sembrerebbe essere esatto. Circa il primo vi erano notizie contraddittorie. In ogni caso si tratterebbe di una violazione di un impegno assunto che aveva prodotto profonda sensazione in Francia. Aggiungeva che le deposizioni rese da prigionieri di guerra italiani divulgate dai governanti parlavano di divisioni italiane costituite da reparti dell'Esercito e della Milizia fascista con ufficiali in attività di servizio comandati per servizio in Spagna. Questo era altro elemento d'inquietudine. Ho risposto a Delbos che, pur non essendo in grado smentire ufficialmente quanto mi aveva detto, gli manifestavo a titolo personale sorpresa che prestasse fede a simili notizie.

Delbos ha risposto allora che egli aveva incaricato Bionde! di intrattenerne

V.E. ricevendo risposta che Ella negava esistenza dei fatti stessi. Ha aggiunto che sarebbe stato utile pubblicare smentita e perciò egli aveva chiesto a Bionde! di sollecitare da V.E. autorizzazione pubblicare in Francia un comunicato ufficiale contenente smentita stessa, ma V.E. aveva dato al rappresentante francese una risposta evasiva che lo aveva posto nell'impossibilità di procedere alla pubblicazione medesima2• In tale stato delle cose egli non scorgeva altra soluzione che quella di compiere un nuovo passo nel campo internazionale, quello cioè di decidere il richiamo di tutti i volontari stranieri dalla Spagna. Poiché Italia si era mostrata partigiana convinta di simile provvedimento e lo aveva anzi invocato essa stessa, sperava di poter contare sul suo consenso.

Premettendo che io personalmente ero scettico che si potesse arrivare a tale ritiro perché ero convinto che gran parte dei volontari che si battevano per rossi

I Nota dell'Ufficio Cifra: «manca».

2 Su questi colloqui tra Ciano e l'incaricato d'affari francese non è stata trovata documentazione nell'archivio italiano. In proposito si veda DDF, serie seconda, vol. V, D. 84, nota 2.

336 avrebbero dichiarato di essere spagnoli, ho chiesto a Delbos se ultime sue dichiarazioni significassero che egli avesse compiuto un passo nel senso indicato o che si proponesse di compierlo senza indugio.

Delbos precisò che aveva soltanto incaricato verbalmente sabato scorso Corbin di fare presente al governo inglese urgenza che a giudizio del governo francese vi sarebbe di esaminare problema del ritiro dei volontari stranieri dalla Spagna, il quale avrebbe dovuto essere simultaneo e identico. Non credeva che vi potessero essere difficoltà insormontabili, tanto più che a mezzo dei consoli che i vari Stati hanno in Spagna si riusciva a conoscere in modo esatto ammontare delle forze che si trovano di fronte. Inoltre, rossi hanno raggruppato volontari stranieri in corpi distinti che si battono separatamente dalle forze governative. Ciò sembrava non avvenire nel campo dei nazionali dove volontari italiani e tedeschi si batterebbero frammisti alle forze. insurrezionali; ma se si fosse convenuto ritiro da una parte dei volontari stranieri e dall'altra degli italiani e tedeschi, si sarebbe raggiunto lo scopo.

Nel pregarmi di far conoscere suo pensiero a V.E., Delbos aggiunse che desiderava essenzialmente di calmare gli spiriti e di creare un'atmosfera favorevole ai buoni rapporti fra i vari Stati. Non mi nascondeva che avvenimenti di Spagna influivano grandemente anche sul riconoscimento di diritto della sovranità dell'Italia sull'Etiopia che a suo giudizio avrebbe potuto essere cosa fatta da vario tempo se non fosse sorta complicazione spagnola 1 .

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L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1872/15 R. Siviglia2 , 15 marzo 1937, ore 22,20 (per. ore 8 del 16). Ecco mio riassunto preannunziato:

l) Era noto Bianchi aveva superato limiti della legalità ma ho dovuto constatare che ha superato anche quelli della illegalità. Proprio ieri egli veniva informato direttamente da Queipo de Llano che comando zona non avrebbe più tollerato suoi interventi nella politica interna e amministrazione giustizia.

Ho istruito Bianchi prendere ordini da Conti anche per minute occorrenze ed evitare assolutamente che alta questione morale per cui V.E. personalmente adoperasi si risolva per sue imprudenze e per astuzia spagnola in meschina diatriba locale.

l Per il seguito si veda il D. 291.

2 L'ambasciatore Cantalupo era giunto a Siviglia il 14 marzo. Su le origini del suo viaggio si veda il D. 249 e p. 320, nota 3.

Gli ho ripetuto continuare opera umanitaria unicamente in accordo e consenso delle Autorità spagnole. Prego V.E. disporre per invio Malaga sottufficiale carabinieri senza (dico senza) preavvisarlo. Questo perché irresponsabilità e nervosità di Bianchi consigliano tenerlo fuori ogni riservata comunicazione.

2) Bianchi demoralizzato sconcertante imprecisione tuttavia insiste nel ritenere fucilazioni in provincia Malaga superino le 3000. Si potrebbe forse accettare detta cifra nei confronti di quella tre volte inferiore fornita dal Quartier Generale, tenendo conto degli abusi locali che Franco ignora e delle fucilazioni in massa prima dell'istallazione tribunale militare.

3) Confermo tutto quanto ha riferito Conti direttamente e Gaetani tramite Bianchi1• Situazione morale oltre che di cronaca è esattamente quella riferita da predetti funzionari. In più debbo constatare, malumore considerevole delle autorità contro Bianchi.

4) Tutto riconsiderato permettomi rinnovare subordinatamente a V.E. suggerimento presentare al generalissimo Franco nota verbale già proposta precedentemente2 .

Ritengo unico mezzo, sia per sottrarre grave problema all'ambiente locale irritato, sia per dare al nostro intervento nella materia efficacia reale, anche se relativa, sia infine per creare documentazione della nostra condotta politica ed umana in maniera da evitare quanto possibile eventuali accuse di corresponsabilità nostra. Escludo eventuale passo comune con Germania. Col presente ho esaurito mie informazioni ed attendo istruzionj3.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. SEGRETO NON DIRAMARE PERSONALE 585/53 R. Roma, 15 marzo 1937, ore 24.

Subotic ha comunicato ieri di aver ricevuto la risposta di Belgrado a proposito del progetto di accordo politico (mio telespresso n. 2311 )4 : l) nessuna difficoltà che l'art. I del progetto Subotic passi a far parte del preambolo (come già indicato alla S.V., la cosa è per noi in fondo indifferente);

2) il terzo considerando del preambolo del progetto «concordato» non piace a Belgrado: sopra tutto non piace ai giuristi di codesto ministero Esteri la frase «sovranità nazionale dei territori». Se mai qualche cosa sul genere di tale considerando potrebbe essere inclusa nella lettera per l'Albania;

I Si vedano i DD. 262, 263 e 265. 2 Vedi D. 265. 3 Vedi D. 274. 4 Non rintracciato.

3) l'aggiunta all'articolo 2 del progetto Subotic (art. l del progetto «concordato») dovrebbe avere una diversa formulazione. Subotic non ha indicato però quale;

4) parere assolutamente negativo per l'art. 2 del progetto «concordato»;

5) desiderio di mantenere il riferimento al Patto di Parigi;

6) parere contrario all'art. 7 com'è formulato nel progetto concordato.

Occorrerebbe formularlo diversamente.

In conclusione, laddove noi avevamo cercato di conciliare il nostro primitivo progetto con quello Subotic, dicendoci disposti ad accettare il progetto «concordato», le osservazioni di Belgrado appaiono, almeno finora, puramente negative.

Subotic ha chiarito che la sua risposta doveva considerarsi solo come «preliminare». Un'ulteriore e più utile discussione potrà aversi tosto che egli abbia ricevuto la risposta anche alle sue successive comunicazioni (Albania, terroristi ecc.) quando cioè si troverà in possesso del pensiero del suo governo su tutta quanta la materia del negoziato. Ciò che prevedeva potesse avvenire domani o dopodomani. Così è rimasto inteso.

Si è interessato Subotic -ove Belgrado voglia giungere all'accordo -ad affrettare le sue istruzioni e a far presente la necessità che esse siano tali da permettergli di concludere rapidamente, tanto più che, almeno per quanto riguarda l'accordo politico (e se si eccettui l'articolo 2 del Progetto «concordato») le differenze più che sul merito sembra che siano sulla formulazione. Appaiono pertanto tanto più opportune che mai, alla luce di questa risposta preliminare, le istruzioni impartitele col mio telegramma n. 576 del 13 corr. 1

Quanto al viaggio, nulla osta per il 29.

280

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE

T. 587/c.R. Roma. 16 marzo 1937. ore 2.

Le invio per corriere testo del nostro memorandum relativo ai negoziati per la conclusione di un nuovo Patto Occidentale, memorandum che ho consegnato ieri a questo ambasciatore d'Inghilterra 2 e di cui rimetto copia a questo ambasciatore di Polonia.

V.E. potrà sin d'ora assicurare governo polacco che nell'esaminare le questioni che hanno attinenza al Patto Occidentale l'Italia terrà nel maggior conto i legittimi interessi della Polonia 3 .

I Vedi D. 270. 2 Vedi D. 268. Il memorandum fu in realtà, consegnato il 12 marzo (vedi D. 267). 3 Si veda, per il seguito, il D. 282.

281

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1897/60 R. Belgrado, 16 marzo 1937, ore 20 (per. ore 22,39).

Telegramma di V.E. n. 53 1 si è incrociato col mio 592 per un ... 3 .

Confermo che dal colloquio ho tratto impressione che ministro Affari Esteri sia effettivamente desideroso concludere subito sopratutto data imminente riunione Piccola Intesa 4 ed in considerazione del fatto che notizie conversazioni in corso cominciano a trapelare qui ed altrove mettendo quindi in giuoco suo personale prestigio politico. Per conseguenza Subotic deve aver avuto istruzioni adeguate.

Se Stojadinovic offre resistenza su alcuni punti dell'accordo è che egli, che è già accusato di aver inaugurato una politica estera di qualche autonomia, teme di dover fra pochi giorni presentarsi alla Piccola Intesa avendo assunto impegni formali che lo mettano in situazione di evidente difficoltà di fronte, sia a Camera, come di fronte al malumore anglo-francese.

282

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1901/40 R. Varsavia, 16 marzo 1937, ore 21,05 (per. ore 22,30). Telegramma circolare 5875 .

Ho fatto stamane comunicazione prescrittami a questo sottosegretario di Stato conte Szembeck, che non era stato ancora informato da codesto ambasciatore di Polonia, ha manifestato la più viva soddisfazione e mi ha pregato trasmettere a

V.E. particolari ringraziamenti. Ha aggiunto che data l'importanza della cosa l'avrebbe immediatamente portata a conoscenza di questo governo.

Osservo per parte mia che la comunicazione di V.E. è giunta proprio a buon punto per calmare nervosismo che questa stampa cominciava a manifestare circa atteggiamento italiano riguardo nuovo Locarno.

I Vedi D. 279. 2 Vedi D. 275. 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo indecifrabile». 4 Riunione del Consiglio permanente a Belgrado, del l0 -2 aprile. 5 Vedi D. 280.

283

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI

T. RISERVATO 590/59 R. Roma, 16 marzo 1937, ore 24.

Ho detto a questo ministro d'Ungheria 1 che lo informeremo, ed informeremo a suo tempo codesto governo, dei risultati degli scambi di vedute in corso col governo jugoslavo, appena possibile. Avendomi egli manifestato il desiderio che possibile accordo italo-jugoslavo coincida anche con un eventuale accordo jugoslavo-ungherese, gli ho detto che la cosa non mi pareva possibile, non fosse che per ragioni pratiche. Ciò non toglie, anzi implica, che governo ungherese si adoperi per migliorare i suoi rapporti con Belgrado in modo da giungere pure ad un accordo.

La mia comunicazione a Villani ha avuto carattere strettamente riservato, giacché le conversazioni in corso tra l'Italia e la Jugoslavia hanno carattere segreto. Nel parlarne con codesto ministro degli Esteri Ella vorrà quindi regolarsi in conseguenza 2 .

284

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 559/267. Salamanca, 16 marzo 1937 (per. il 20).

Con riferimento ai miei rapporti nn. 226 e 237 del 6 e 10 corrente3 , mi onoro riferire sugli ultimi episodi della situazione interna.

La fusione tra i due partiti è in alto mare, principalmente a causa della azione in corso su Guadalajara, che provoca sensibile ansia nella pubblica opinione, e che ovviamente nel Quartiere Generale ha ripercussioni considerevoli: si pensa a tutt'altro che alla politica interna.

Il fatto che gli spagnoli non hanno attaccato sul fronte dello Jarama, come lo

S.M. italiano aveva domandato con insistenza, ha provocato l'esonero dei generali Varela e Ortegas da parte di Franco, è vero; ma si ha l'impressione che i due «siluramenti» siano più una delle consuete vendette personali di Franco, che non un rigido provvedimento militare per mancata esecuzione di ordini: comunque, i

1 Del relativo colloquio non è stata trovata documentazione. Si veda in DU, vol. I, D. 220, il resoconto del ministro Villani.

2 Per il passo compiuto dal ministro Vinci in esecuzione di queste istruzioni, si veda il D. 307.

Questo telegramma fu inviato anche alla legazione a Belgrado con la seguente aggiunta; «Quanto precede per Sua informazione e norma. Converrà continuare a incoraggiare codesto governo perché faciliti l'effettivo miglioramento dei suoi rapporti con l'Ungheria» (T. segreto non diramare 592/56 R. del 16 marzo).

3 Rapporto 464/226 del 6 marzo nel quale l'ambasciatore Cantalupo aveva tracciato «un panorama delle forze di partito e delle milizie armate che compongono la compagine politica della Spagna nazionale». Il rapporto 237 del IO marzo non è stato rintracciato.

due «siluramenti» non hanno soppresso il fatto che gli spagnoli non hanno fino a ieri sera attaccato sullo Jarama, e neppure ha eliminato i danni arrecati alla situazione militare dalla loro inerzia. Non a me tocca dire quale sia essa situazione militare: Guadalajara non è stata presa ancora; la resistenza nemica è robusta; il resto è certo noto a Vostra Eccellenza per altra via. Per mio conto, ho sempre temuto che l'azione cominciata il 7 Marzo potesse non concludersi con l'immediata occupazione di Madrid.

Conseguentemente, i rapporti tra il Generalissimo e il nostro Comando, ch'erano tanto migliorati negli ultimi tempi, risentono ora duramente i riflessi di questa collaborazione militare i cui sviluppi si rivelano poveri ogni volta che la situazione esigerebbe un perfetto accordo ideale e pratico.

Come ho detto, nel frattempo non si pensa alla situazione dei partiti: Franco pensa ad altro, e solo suo fratello Nicolas si agita più o meno nascostamente, cercando di annodare fila, ricollocare persone cadute, farne precipitare altre ancora in piedi, eccetera. Suo massimo compito è di mettere d'accordo requetès e falangisti, per la famosa fusione: ma poiché questa procede con estrema lentezza, il Generalissimo si è astenuto finora anche dal pronunziare il famoso discorso politico da me preannunziato: verrà più tardi, se gli avvenimenti militari non lo distrarranno ancora.

La realtà è che i requètes sembrerebbero disposti alla fusione, ma i falangisti o molto meno o niente affatto. I tradizionalisti sembrano non temere la fusione: si preoccupano molto delle forme ma si mostrano sicuri (?) di mantenere nelle proprie mani la direzione del futuro (ed eventuale) partito unico: sarebbero anche disposti a non esigere la immediata presenza di un Re a Palazzo Reale, e si accorderebbero su Franco -o su un altro -come Reggente. Hanno ora ripreso contatto con gli esuli di Lisbona, i quali sembra abbiano autorizzato le trattative con la Falange.

La Falange invece è più che mai dura, e resiste: essa parla con i requetès, ma si riserva nel significato più vasto della parola, esamina tutte le possibilità, ma non decide -e forse per vari mesi non deciderà -nulla. In riassunto, non il pensiero, perché essa non ha un pensiero politico definito, ma lo stato d'animo e il sentimento della Falange, possono così schematizzarsi:

«Noi Falangisti siamo un movimento di sinistra, e ci sentiamo spiritualmente vicini e solidali con i rossi dell'altra parte, s'intende con quelli non estremisti o anarchici. Nulla abbiamo da vedere con i generali e l'Esercito; possiamo accettare che Franco governi provvisoriamente la Spagna ma non possiamo ammettere che l'Esercito continui come prima ad avere delle responsabilità politiche; basta con i militari e basta con i preti: generali e religione a casa loro per sempre, rispettati ma non dirigenti. Poi, noi siamo un immenso partitone totalitario, totalitario come il fascismo italiano e perciò siamo disposti ad assorbire i requetès come Mussolini assorbì i nazionalisti italiani, cioè fondendo le due milizie ma inquadrando i dirigenti come individui: fusione alla pari, di programmi e di organizzazioni, no. Il nostro programma è poi economico, agrario, sociale e quindi in grandissima parte antiborghese; perciò non vediamo come possano dare opera alla sua realizzazione le classi borghesi, che poi non esistono, perché in Spagna non c'è classe media: le «classi borghesi» in Spagna sono la vecchia aristocrazia antiproletaria ed anticontadina, quella che ha portato il Paese all'attuale sfacelo: noi falangisti dovremo creare una Spagna nuova contro questa gente, e quindi contro Franco che l'ha aiutata e dalla quale egli è aiutato: di quale fusione ci si parla? Partito unico, certo: la Falange. Solo la Falange potrà assorbire almeno una parte dei rossi, portandoli alla Patria e allo Stato corporativo. Perciò aspettiamo: aspettiamo la caduta di Madrid senza comprometterci, e decideremo freddamente più tardi, quando avremo con noi la massa di tutta la Spagna, e i tradizionalisti dovranno venire ad pedes».

Questo è il succo dello stato d'animo dei falangisti: Franco, tra questi che si sentono padroni del domani e i requetès che si sentono rappresentanti di principi che bene o male hanno resistito, non fa nulla.

In tutto quel che dice la Falange si racchiude una grande verità: la sola che oggi dev'essere tenuta sempre presente, questa: la Spagna non può essere grossolanamente e ingenuamente divisa più o meno in una metà bianca e una metà rossa, con una divisione verticale; la Spagna è una massa completamente rossa e su questa massa c 'è una breve, frammentaria, vecchia e fragile non superficie ma crosta bianca; la massa incandescente ha esploso, e la crosta s'è rotta; a parte le vicende militari (che hanno una influenza transitoria e minima sulla realtà che sto descrivendo) essa realtà sarà la medesima anche dopo la rioccupazione della Catalogna: anzi! Perciò: o la Falange riesce ad assorbire, amalgamare, fondere nella propria massa la crosta aristocratica e la materia esplosiva, creando un immenso partito totalitario di sinistra moderato -oppure la Spagna resta rossa, e magari di qui a qualche anno, dopo un breve regno di terrore militare, andrà alla rovina bolscevica.

* * *

Questo è l'ambiente in cui è svolta la missione Farinacci viziata da due equivoci fondamentali: il segreto mantenuto dalla stampa italiana, in contrasto con la notorietà che fatalmente la presenza di Farinacci ha avuto qui; e l'accreditamento presso del Generalissimo con un autografo del Duce 1 , ciò che ha necessariamente limitata la libertà d'azione di questa ambasciata. La missione avrebbe potuto forse essere non segreta e -questo sopratutto -assai meno autorevole.

Assicuro Vostra Eccellenza che i miei sentimenti nei riguardi di detta missione sono della massima obbiettività: né potrebbe essere diversamente. Debbo però con sincerità, e per il mio dovere di funzionario, identificare e precisare alcuni tra i vari sedimenti che essa ha lasciato sul terreno delle relazioni italo-spagnole.

In varie conversazioni con me sull'argomento che lo aveva qui portato, il camerata Farinacci mi ha comunicato le sue impressioni e le sue valutazioni su uomini e cose; su alcune particolari situazioni il suo punto di vista ha coinciso con il mio; tuttavia non posso dire di conoscere le sue definitive conclusioni e le proposte specifiche e pratiche che egli sottoporrà alla E.V.: dette conclusioni potranno essere da me valutate allorché ne avrò avuto notizia completa. Ciò dico per chiarire che le osservazioni che ora seguono non traggono origine dal contenuto intrinseco e dagli scopi della missione Farinacci, ma sono provocate dagli aspetti esterni che essa ha assunto, cioè dal modo stesso con cui l'azione è stata svolta. Rilevo che:

-la missione in parola ha fatto sparire l'impressione, che V.E. aveva inteso di dare attraverso la condotta neutrale di questa ambasciata, che il governo fascista non abbia intenzione di interessarsi alla politica interna spagnola ed alla lotta fra i partiti;

I Vedi p. 332, nota l.

-ha dato l'impressione che V.E. (la differenzazione fra governo e partito non ha qui grande forza persuasiva) cerchi di aprirsi una via nella politica dei partiti in Spagna, appoggiando piuttosto la Falange, pur senza avere per il momento una decisa simpatia definita;

-ha creato, per ragioni ambientali secondarie, come una zona fredda fra noi e l'ambasciata di Germania; -ha accentuato lo stato d'animo di acuta e guardinga attesa, per non dire diffidenza, sulle nostre intenzioni future; -ha indubbiamente accresciuto in modo generale l'interesse dei gruppi, partiti e milizie nei riguardi delle organizzazioni fasciste e corporative italiane; -ha stabilito una corrente di cordialità tra falangismo e fascismo.

Queste sopra descritte sono le ripercussioni osservate e constatate da me: poi me ne sono state ripetute altre, che non desidero controllare per ragioni ovvie e che qui riferisco per dovere di fornire a V.E. tutti gli elementi di giudizio:

a) mi è stato detto che Franco attribuisce a Farinacci il compito, confidatogli da Roma, di portare la Falange contro di lui; devo dire però che egli è stato con l'inviato del Duce molto cortese ed accogliente;

b) mi è stato detto che i tradizionalisti avrebbero tratto motivo dalla missione Farinacci per concluderne (!) che val meglio avvicinarsi alla Francia conservatrice, che è conservatrice sul serio, piuttosto che all'Italia social-fascista;

c) mi è stato detto infine, e perciò ho dovuto prendere alcune misure, che Hedilla, capo della Falange, si sarebbe espresso in termini estremamente ostili ed aspri contro Farinacci, presenti nostri connazionali autorevoli, criticandolo sotto tutti i punti di vista, rinnegandolo e ripudiandolo: questo dopo di avere profittato del noviziato diplomatico di Farinacci, affidandogli la intervista proditoria di cui è fatto cenno nel mio telegramma da Siviglia 1 , e alla cui pubblicazione sono più che mai contrario, perché essa farebbe apparire Farinacci, e con lui le origini della sua missione, sotto una luce che assolutamente non conviene all'Italia di Mussolini.

* * *

Col prossimo corriere sottoporrò all'alto giudizio di V.E. alcune mie proposte in materia di politica di partiti in Spagna 2 : esse saranno fondate sulla realtà ed adeguate alla situazione: la quale potrà essere poi più pienamente esaminata solo a Madrid, allorché sarà stato costituito un governo che possa parlare: è chiaro che, anche a prescindere dalla quotidiana minaccia di «seconda ondata» che la Falange lancia a Franco, due avvenimenti meno imminenti -l'arrivo dei nazionali a contatto dei rossi ed eventuale riconoscimento di Franco da parte degli «Stati democratici» Inghilterra e Francia -potranno avere una influenza sensibilissima anche se non del tutto prevedibile oggi, sulla evoluzione della grave situazione interna.

1 Vedi D. 272. 2 Non è stato rintracciato nessun documento in proposito.

Intanto continuano le operazioni militari: nulla sarebbe in questo momento, per la politica italiana in Spagna, tanto utile quanto l'entrata in Guadalajara e l'avvicinamento all'assedio di Madrid: l'atmosfera è infatti alquanto pesante e la freddezza che sempre circonda le nostre mirabili truppe è diventata gelo e l'ingratitudine generale da cui siamo circondati in ogni classe sociale da qualche giorno sembra assumere la sua espressione certo futura e forse definitiva, quella del rancore 1•

285

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4394. Tripoli, 17 marzo 1937, ore 12.

Dirai a Drummond3 che iniziativa nuove polemiche è tutta inglese e che sino a quando Foreign Office non dimostrerà di volere impiegare sua influenza-che esso ha -per ridurre alla ragione i diversi Manchester Guardian, Daily Express, Daily Herald, Sunday [ ... ] etcetera, è per lo meno eccessivo chiedere qualsiasi contropartita da parte nostra e concludere effimeri accordi 4 .

286

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4409. Tripoli, 17 marzo, ore 10,45.

Comunica a Drummond e quindi a Berlino che Italia non manderà missione per incoronazione Giorgio VI ma si farà rappresentare da ambasciatore 6 .

l Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Da ACS, Autografi del Duce. Ed. in MussOLINI, Opera Omnia, vol. XLII, pp. 180-181.

3 Il 16 marzo, l'ambasciatore Drummond, in un colloquio con Ciano, aveva posto il problema delle polemiche in atto tra la stampa britannica e quella italiana che nelle ultime settimane erano cresciute di intensità al punto da incidere sensibilmente sui rapporti tra i due Paesi. Il contenuto di quel colloquio -di cui non è stata trovata documentazione negli archivi italiani (ma si veda in BD, vol. XVIII, D. 295 il resoconto di Drummond) -fu, a quanto da qui risulta, comunicato a Mussolini, allora in Libia.

4 In base a queste istruzioni, Ciano ebbe, il 18 marzo, un altro colloquio con l'ambasciatore Drummond. Anche di questo colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani: si veda il resoconto di Drummond ibid .. D. 312.

5 Da A.C.S., Autografi del Duce. Ed. in MussoLINI, Opera omnia, vol. XLII, p. 180.

6 La decisione di Mussolini fu comunicata il giorno successivo da Ciano all'ambasciatore Drummond (BD, vol. XVIII, D. 305) e ad Attolico perché ne informasse il governo tedesco (T. 599/116 R. del 18 marzo). Si veda per il seguito il D. 300.

287

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1928/40 R. Bruxelles, 17 marzo 1937, ore 20,55 (per. ore 22).

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 574 1 .

Ho rimesso testé a Spaak nostro memorandum del 12 corr. Glielo ho riassunto, dandogliene testuale lettura ultima parte.

Ministro degli Affari Esteri, nel ringraziarmene, ha detto che avrebbe studiato attentamente il documento ma che nostra proposta di prendere come base della discussione vecchia Locarno gli pareva intanto del tutto pratica nonché rispondente ad una concezione realistica della situazione. Per quanto riguarda più strettamente il Belgio, Spaak ha rilevato di nuovo che la questione sicurezza Belgio gli appariva ormai «matura» per una definizione. Questo accenno conferma quanto ho già replicatamente segnalato circa vivo desiderio del Belgio di sistemare al più presto sua posizione, ed uscire così fuori della situazione derivantegli da accordo di reciprocità di Londra2•

A tale ultimo riguardo, sciogliendo la riserva di cui al mio telegramma n. 35 3 , desidero segnalare che da informazioni di diversa fonte ho tratto impressione che si determini effettivamente, tanto da parte Francia quanto sopratutto da parte inglese, un certo interessamento ed una eventuale inclusione dell'Olanda in un sistema di garanzia di tutti i Paesi Bassi 4 .

Da parte sua, questo ministro d'Olanda mi ha però ribadito non avere suo governo modificato noto punto di vista costantemente contrario a chiedere o a dare garanzie di sorta.

288

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1930/201 R. Londra, 17 marzo 1937, ore 22,45 (per. ore 3 del 18).

Notizia proveniente da Salamanca, pubblicata oggi nella serata, di una nota delle Autorità di Valencia all'Inghilterra e alla Francia 5 per chiedere loro aiuto

l Vedi D. 267.

2 Vedi p. 237, nota 3.

3 Vedi D. 264.

4 Sic.

5 La nota, datata 9 febbraio, era stata consegnata al governo britannico e a quello francese il 13 febbraio. Si veda BD, vol. XVIII, D. 177 e DDF, vol. IV, D. 441, dove ne è riportato il testo.

contro forze governo Nazionale, offrendo come compenso concessioni territoriali nel Marocco spagnolo, ha qui fatto moltissima sensazione ed era oggi motivo alla Camera dei Comuni dei più vivaci commenti.

Foreign Office ha convocato giornalisti questo pomeriggio ed ha fatto loro seguenti dichiarazioni: nota di cui trattasi è effettivamente pervenuta Londra verso fine febbraio scorso ma suo contenuto e sua forma sono di natura tale che governo britannico non può prenderla in considerazione perché ciò significherebbe ripudio politica non intervento. Governo britannico si riserva di dare una risposta prossimamente.

289

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2004/04 R. Bucarest, 17 marzo 1937 (per. il 20).

Ho costantemente riferito alla E.V. circa le conversazioni che sotto gli auspici, anzi sotto il pungolo, della Francia e della Cecoslovacchia si svolgono da vari mesi per tentare di irretire la Romania in un sistema di mutua assistenza per la sicurezza in Europa Centrale.

A seguito della partenza del ministro Antonescu per Ankara 1 si avrà qui una breve battuta di arresto. Ma al ritorno del ministro degli Esteri si entrerà nella fase più pericolosa delle trattative perché sembra oramai accertato che Francia e Cecoslovacchia sono riuscite ad aggirare i due più gravi ostacoli che si erano presentati alla conclusione di un simile accordo e cioè da una parte il deciso atteggiamento dell'opinione pubblica romena a non ammettere impegni con i Soviet e dall'altra l'opposizione jugoslava ad assumere impegni per la sicurezza della Cecoslovacchia nella eventualità di un conflitto con la Germania.

La riluttanza romena a legarsi direttamente con la Russia era stata aggirata, e vinta escludendo la Russia dalla trattativa e presentanto invece un progetto di patto plurilaterale tra i tre membri della Piccola Intesa e la Francia. Poiché tuttavia questo progetto si era a sua volta arrestato di fronte all'opposizione jugoslava, si sta ora cercando di smistare tale opposizione su un binario morto, sostituendo al patto plurilaterale due patti bilaterali tra Francia e Romania e tra Cecoslovacchia e Romania. A questa serie di patti, in cui il principio della mutua assistenza e i relativi obblighi verrebbero più o meno camuffati per non renderli troppo pesanti per la Romania, si ritiene che il governo di Belgrado, pur non partecipandovi, non potrebbe tuttavia opporvisi. La Romania si è lasciata, così, prendere nella sua stessa pania perché essa aveva finora mascherato la sua resistenza esclusivamente dietro l'opposizione jugoslava ad assumere impegni a favore della Cecoslo

1 Antonescu era partito il 15 marzo per una visita ufficiale ad Ankara ove si trattenne dal 18 al

21. Si veda in proposito il D. 301.

vacchia. Ora però che non si parla più di una partecipazione jugoslava ma soltanto dell'adesione del governo di Belgrado alla conclusione di tale serie di patti bilaterali, la Romania non ha più nulla da opporre e finirà quindi, molto probabilmente, per dover marciare.

Ritornato qui Antonescu, riprenderanno le sue conversazioni con il ministro di Francia, mentre le conversazioni romeno-cecoslovacche sembra saranno fatte avanzare di un passo in occasione della prossima riunione della Piccola Intesa a Belgrado.

Come a V.E. è noto, io ebbi a dichiarare al signor Antonescu ch'egli stava facendo una politica del tipo di quella di Titulescu, peggiorata. E gli dissi che almeno Titulescu negoziava direttamente con i Soviet il diritto di passaggio attraverso il territorio romeno, mentre egli si lasciava irretire e impaniare in una serie di obblighi verso la Cecoslovacchia che si sarebbero fatalmente risoluti in quello di non opporsi al passaggio, attraverso il territorio romeno, delle truppe sovietiche.

L'abile metodo seguito dalla Francia e dalla Cecoslovacchia nell'invogliare questo Paese ad indossare la camicia di Nesso ha avuto anche l'effetto di paralizzare le pressioni costantemente esercitate dal governo di Varsavia su quello di Bucarest: infatti, i progettati patti fra Cecoslovacchia e Romania e tra Francia e Romania non incidono, apparentemente, sulla alleanza polacco-romena perché di questi trattati i Soviet non sono parte. Essi infatti non appaiono sulla scena: ma sono il coro dietro le quinte e la Romania se ne accorgerà quando sarà troppo tardi.

Negli ambienti politici romeni constato una completa apatia circa i patti in discussione, di cui del resto solo pochissimi hanno avuto sentore e di cui nessuno comprende la portata e il pericolo.

290

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 918. Londra, 17 marzo 1937 (per. il 23).

Vorrei richiamare la Tua attenzione sul fonogramma 1 che ho inviato ieri sera martedì, subito dopo la seduta del sottocomitato per il non-intervento e nel quale ho riprodotto e riassunto i punti più salienti della discussione. Questa è durata due ore ed è stata abbastanza dura, sopratutto nei riguardi del delegato britannico Lord Plymouth, anzi soltanto nei suo diretti riguardi, si può dire. La seduta è finita bene per noi e il tentativo di Plymouth appoggiato dal sovietico, di «impostare» come argomento centrale della discussione la questione del ritiro dei volontari dalla Spagna è fallito. Ma la discussione ha rivelato chiaramente quali sono, e

1 T. per telefono 18801197 R. del 16 marzo, non pubblicato, il cui contenuto è qui indicato.

quali saranno, le linee dell'azione inglese, per cui ritengo non inutile delineare alcuni elementi emersi nel dibattito di ieri, sopratutto per quanto si riferisce alle evidenti «collusioni» nell'azione dei Rappresentanti inglese e sovietico.

L'ordine del giorno portava: Estensione dell'Accordo di non intervento ed altri aspetti dell'intervento indiretto (divieto di invio di soccorsi finanziari; questione dell'oro della Banca di Spagna; divieto all'invio di agitatori politici; e da ultimo questione del ritiro dei volontari). Già in questo documento preliminare era nascosta una trappola. Come Ti è noto, nelle precedenti discussioni sullo schema di controllo, sovietici ed inglesi, appoggiati naturalmente dall'ambasciatore di Francia, pretesero la pubblicazione di una dichiarazione di principio contenente l'assicurazione che il problema del ritiro dei volontari sarebbe stato il primo ad essere discusso dopo la conclusione dell'Accordo. Crolla, che durante la mia assenza si è battuto molto bene, è riuscito dopo molte vivaci discussioni ad imporre ed a far approvare un «ordine di discussione» dei problemi nel quale la questione dei volontari veniva per ultima e cioè dopo il dibattito sui soccorsi finanziari, sull'oro della Banca di Spagna, ecc., ecc.

Qualche giorno dopo, Eden, alla Camera dei Comuni, dichiarava che il Comitato, stabilito lo schema di controllo per terra e per mare, si sarebbe senz'altro occupato del ritiro dei volontari. Una numerosa schiera di parlamentari liberaloidi e di oratori filosocietari si incaricava di spargere ai quattro venti l'affermazione di Eden, presentando il problema del ritiro dei volontari come una questione di interesse vitale per la Gran Bretagna. La stampa antifascista non perdeva l'occasione per inscenare una delle sue solite acide campagne a sfondo apocalittico: «Bisogna imporre all'Italia e alla Germania il ritiro dei volontari. Il popolo spagnolo non più oppresso dai fascisti potrà eleggersi un governo liberale, democratico, parlamentare. È naturale che le Potenze fasciste non vogliano saperne di tutto ciò: l'Inghilterra, campione della democrazia, libertà, ecc., ecc.».

Stretto da un lato fra le dichiarazioni di Eden e la campagna antifascista e dall'altro dall'ordine delle discussioni da noi imposto, Plymouth ha ieri cercato di sostenere l'assurda tesi che tutti i problemi elencati nella dichiarazione dell'8 marzo avrebbero dovuto essere trattati contemporaneamente. Tesi presentata con malafede tanto palese che, non appena il rappresentante sovietico ha sollevato obiezioni forse facilmente superabili -nei riguardi della questione dell'oro della Banca di Spagna, Plymouth si è affrettato a proporre l'abbandono temporaneo di questo problema e l'inizio immediato dello st1..dio per il ritiro dei volontari.

In una prima fase della discussione mi sono limitato a insistere vivacemente perché l'ordine stabilito precedentemente fosse rispettato, e che tutte le questioni all'esame del Sottocomitato avessero la precedenza su quella del ritiro dei volontari. Plymouth ha allora girato la situazione e mi ha domandato se, qualora il rappresentante sovietico accedesse ad una soluzione di compromesso nella questione dell'oro, (nel senso cioè di affidare l'esame di questa questione ad una Commissione di Esperti finanziari), anche in questo caso io persistessi nella mia attitudine negativa, in una questione che il Governo Italiano aveva già in certo qual senso rivolta, in linea di principio, nella sua ultima nota diretta al governo britannico 1 . Ho

I Vedi D. 87.

è7

risposto seccamente che io mi rifiutavo di discutere la questione del ritorno dei volontari, e che null'altro avevo da aggiungere. Il Rappresentante bolscevico è venuto allora a rincalzo di Plymouth ed ha proposto che la questione del ritiro dei volontari fosse affidata allo studio di una Commissione che ne avrebbe riferito poscia al Comitato, facendo infine capire che ove ciò venisse fatto il governo sovietico avrebbe acceduto alla proposta di affidare ad una Commissione di Esperti finanziari lo studio della questione dell'oro. Questa proposta, come Tu ricordi, è stata fatta a suo tempo da noi e ripresa in seguito con molto interesse dalla Germania.

Ribbentrop, che ieri ha partecipato alla seduta, aveva, prima che cominciasse la discussione, cercato di convincermi che la procedura di nominare due commissioni l'una per l'esame della questione dell'oro l'altra per il ritiro dei volontari, era a suo avviso accettabile. Io ho spiegato a Ribbentrop che la questione dell'oro ha una scarsa probabilità di una soluzione e che avremmo pertanto fatto un ben cattivo affare ove avessimo accettato di discutere la questione del ritiro dei volontari in cambio dell'accettazione sovietica e inglese di discutere la questione dell'oro. Ribbentrop (che è, come Tu sai, un «falso» coraggioso) mi ha detto allora che era molto difficile per lui dopo che nella Nota tedesca si parla espressamente di ritiro di volontari, di mostrare apertamente un'attitudine in contrasto con il contenuto della Nota stessa. Ho replicato a Ribbentrop che io non avevo questi scrupoli, che bisognava assolutamente «bloccare» sin d'ora ogni discussione sul ritiro dei volontari, a qualunque costo, e che mi lasciasse fare limitandosi a seguire la mia azione senza prendere iniziative, secondo gli accordi presi a Roma fra il conte Ciano e l'ambasciatore di Germania 1• Ciò che Ribbentrop ha fatto, o meglio ha dato istruzioni di fare al suo Consigliere Ministro, avendo dovuto assentarsi durante il prosieguo della seduta. Quando il Rappresentante sovietico e Plymouth hanno tentato di dividere noi dai tedeschi, mostrando una visibile tendenza ad accedere alla loro richiesta di discussione sulla questione dell'oro, alla condizione di cominciare immediatamente l'esame della questione del ritiro dei volontari, Woermann non ha fiatato ed io ho creduto necessario, proprio a questo punto, di prendere la controffensiva contro il russo e l'inglese. Dopo avere dichiarato, ancora una volta, che mi rifiutavo di discutere la questione del ritiro dei volontari, ho fatto presente come lo schema di controllo formalmente approvato dal Comitato da più settimane sia rimasto lettera morta per l'incredibile ragione che il vertiginoso susseguirsi di progetti, riunioni e comitati chiamati a studiare nuovi problemi, hanno impedito materialmente una seria messa in opera delle misure approvate sulla carta. L'Italia Fascista, ho continuato, non si sarebbe prestata a questo gioco a bella posta preparato da Delegazioni interessate a sabotare il piano di controllo, le quali tentano gettare negli occhi del pubblico la polvere di nuovi progetti immancabilmente destinati al fallimento, e ciò al solo scopo di impedire al «modesto» schema di controllo approvato due settimane or sono, di entrare praticamente in azione.

Ho quindi domandato a nome del Governo Fascista l'immediata sospensione dell'esame di ogni nuovo problema, il rinvio delle riunioni del Comitato e l'intensi

1 Nella documentazione italiana non si è trovata traccia di conversazioni in proposito tra Ciano e l'ambasciatore von Hassell. Accenni su la questione si trovano in DDT, serie D, vol. IIL DD. 225 e 227.

ficazione dei lavori per la messa in atto del piano di controllo. Tutti i delegati, ad eccezione naturalmente del sovietico e dell'inglese, hanno dichiarato (perfino il francese) di condividere le mie critiche sull'inefficienza e sul ritardo nella messa in azione del controllo. A Plymouth non è rimasto che cedere a malincuore. Il bolscevico ha poco dopo scaricato il suo malumore intavolando una polemica col Delegato tedesco, sulle Isole Canarie.

Per il momento dunque non si parla più di ritiro di volontari, e l'attività del Comitato si sta rivolgendo alla messa in azione dello schema di controllo. È stato oggi finalmente possibile riunire per la prima volta l'ufficio del Segretariato, procedere alle nomine del personale, predisporre l'invio di controllori nei porti, decidere le istruzioni da impartire ai Capitani dei piroscafi, insomma far ruotare, sia pur lentamente, questa macchina nei cui ingranaggi i bolscevichi si illudevano poter continuare a sparger sabbia a piene mani.

Ho detto «per il momento» perché è fuori dubbio che gli inglesi ritorneranno assai presto sul problema del ritiro dei volontari. Le nostre Divisioni di Camicie Nere in Spagna sono diventate l'incubo quotidiano di tutta questa gente, dai laburisti antifascisti ai «die-hards» dell'estrema destra conservatrice. Questo stato di «incubo» traspare dalla stampa, dalle discussioni ai Comuni, dai contatti diretti con questi esponenti politici, e si traduce sempre in un livore polemico dove l'ansietà e la preoccupazione sono commisti al rancore e ad un astio rabbioso.

Dal giorno della conquista di Malaga vi è una specie di «rigurgito» di astio anti-italiano e antifascista che prende le forme e le espressioni più diverse ma che non è dissimile per nulla da quello che animava questi Signori durante i mesi del sanzionismo e della guerra abissina. I preti anglicani stanno di nuovo agitandosi con il loro consueto furore isterico, e dopo mesi di silenzio e di oblio del famigerato Tafari è di nuovo portato alla ribalta e fa di nuovo «notizia», come si dice in gergo di cronisti, nelle colonne dei giornali ufficiosi e non ufficiosi. Si dice che fra giorni verrà addirittura da Bath a Londra. Tu sei certamente al corrente della manovra diretta a fare in modo che l'Etiopia eviti di inviare una sua delegazione a Ginevra per la prossima Assemblea di maggio, in modo da trascinare e tenere in sospeso per altri cinque mesi, e cioè fino al mese di settembre, la questione dell'Etiopia a Ginevra.

Tu hai visto le mie segnalazioni sulla ignobile montatura a proposito dei «massacri» di Addis Abeba, e le cronache tutt'altro che obbiettive ed amichevoli sul trionfale viaggio del Duce in Libia. Ma quello che veramente ha passato in questi giorni il segno è la subdola perfida campagna fatta dai giornali, non solo di sinistra ma anche di destra, sui pretesi insuccessi militari italiani sul fronte di Madrid, e sulle «gesta» di un cosidetto Battaglione Garibaldi di fuorusciti italiani della Brigata rossa internazionale che avrebbe nientemeno che messo in rotta(?!), secondo i corrispondenti inglesi le Divisioni di Camicie Nere. Ti ho spedito stasera la prima raccolta dei ritagli stampa dai quali tu stesso potrai giudicare, ancora meglio che dal mio fonogramma quotidiano, la cattiveria di questa «brutta gente» e la loro perfidia nel cercare di accreditare tutte le notizie di fonte comunista che possano interpretarsi come a noi sfavorevoli.

Mi riservo di scriverti ancora, e di inviarti informazioni e impressioni dettagliate su tutti questi punti.

Per quanto riguarda la mia azione nelle prossime sedute del Comitato di non-intervento, particolarmente sulla questione del ritiro volontari io manterrò, sino a Tuo nuovo ordine, la linea di netta intransigenza adottata ieri, non consentendo alcuna discussione 1•

291

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 600/c.R. Roma. 18 mar:::o 1937, ore 2.

Suo n. 1502.

Confermi a Delbos che nessun volontario italiano è partito per la Spagna dal 20 febbraio. Risulta invece a noi che sarebbero partiti da vari porti francesi e continuerebbero a partire uomini e materiali per la Spagna. Altrettanto dicasi per la frontiera dei Pirenei. Le segnalazioni che ci pervengono in proposito sono quotidiane e sono del resto raècolte e pubblicate dalla stessa stampa francese. Non è dunque nostro desiderio istituire una polemica sull'argomento. Ma è ad ogni modo chiaro che Brigate Internazionali che si battono sul fronte rosso e l'enorme materiale da guerra di cui i rossi dispongono sono per tre quarti entrati in Spagna attraverso il territorio francese.

Nelle circostanze attuali, il nuovo passo internazionale inteso ad ottenere il richiamo di tutti i volontari stranieri dal territorio spagnolo cui Delbos le ha accennato, non è indubbiamente, né tempestivo, né opportuno. Una nuova eventuale iniziativa francese in proposito correrebbe il rischio di essere interpretata come una manovra e come tale suscettibile di intorbidare la situazione invece che di chiarirla. Quel che oggi assolutamente occorre è assicurare un efficace controllo marittimo e terrestre che, per ora. è soltanto sulla carta e, comunque, ben !ungi da un'attuazione adeguata.

Ricordi, d'altra parte, a Delbos che il Comitato di non intervento ha stabilito, a proposito d'ingerenza indiretta, un certo ordine di lavori che è necessario seguire perché risponde alla logica e alla realtà. Converrà cioè, prima di ogni altra cosa, discutere la questione degli aiuti finanziari, (compreso l'oro della Banca di Spagna) <11la quale il governo fascista annette una prevalente importanza in quanto ritiene che essa costituisca una delle fonti principali che alimentano il conflitto spagnolo. Poi quelle degli agitatori politici e della propaganda in qualunque forma compiuta.

Faccia osservarf che una ulteriore trattazione del problema del non intervento in forma saltuaria ed episodica, non può contribuire a quella pacificazione degli spiriti di cui Delbos giustamente si preoccupa.

Osservo per ultimo -e salta agli occhi a chiunque -~ che non vi è, né può esservi, alcuna connessione fra gli avvenimenti spagnoli e il riconoscimento francese della nostra sovranità in Etiopia, cui Delbos ha accennato3 .

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 277. 3 Per il seguito si veda il D. 298.

292

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1970/69 R. Budapest, 18 marzo 1937, ore 21,33 (per. ore 23,50).

Mio telegramma per corriere n. 046 del 7 corrente 1 .

Accanto malumore stampa e opinione pubblica nei riguardi nazismo, suscitato dalle recenti polemiche, sono confermate crescenti difficoltà col governo germanico. Da sicura fonte sono informato che lunghe trattative circa questione minoranze tedesche in Ungheria non hanno ancora condotto a risultati, date eccessive pretese germaniche. Testo delle dichiarazioni che dovevano essere fatte contemporaneamente da questo ministro delle Finanze e in Germania da Frick (mio telegramma per corriere n. 19)2 sembra alla fine concordato, avendo giorni fa governo ungherese accettato larghe concessioni anche di massima, su cui riferisco per corriere. Ma ora tedeschi pretenderebbero che dichiarazioni fossero fatte da Hafez e non più da Frick, anche per non esporre il partito, mentre governo ungherese sostiene che non si tratta di questione interna nazionale o di partito. Kanya sarebbe molto contrariato e nervoso ma propenderebbe trovare ancora opportunità conciliare «anche per non veder fallire sua politica di 15 anni», mentre altre personalità del governo e anche altri alti funzionari del ministero Affari Esteri sarebbero per atteggiamento decisamente enetgico verso la Germania.

È prevedibile che tale situazione influisca anche su colloqui odierni con Schuschnigg3 verso ancora più stretti rapporti fra Austria e Ungheria.

293

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. SEGRETO NON DIRAMARE Roma, 18 marzo 1937, URGENTE PERSONALE 607/57 R 4 . ore 22,30.

Arrivati a questo punto, dica subito a Stojadinovic che se si continua ad insistere da parte di Subotic su questioni di second'ordine rispetto alla portata politica spirituale e morale dell'accordo, si rischia di impantanarci in piccole discussioni di infecondo stile burocratico che ritarderanno di parecchio la conclusione

l Vedi D. 252.

2 T. per corriere 896/019 R. dello febbraio. Riferiva sul viaggio in Germania dell'allora ministro degli interni ungherese, Kozma, e sulle intese raggiunte in quella occasione circa il trattamento della minoranza tedesca in Ungheria.

3 In occasione della visita del Cancelliere austriaco a Budapest, sulla quale si veda il D. 316.

4 Minuta autografa.

dell'intesa. Ora, io sono d'accordo che conviene far presto e considero la data del 24 marzo la più utile ai reciproci fini. Ma se personalmente da parte di Stojadinovic non viene messo un fermo al gretto mercanteggiare dei suoi uffici, per tale data non potranno essere pronti i testi ed il rinvio dovrà fin d'ora venir preso in considerazione. Ciò non gioverà a niente, tanto più che la stampa dei Paesi ostili all'accordo comincia già il suo gioco.

294

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. SEGRETO NON DIRAMARE Roma, 18 marzo 1937, URGENTE PERSONALE 608/58 R. ore 24.

Punti di divergenza nel negoziato in corso quali risultanto dalle ultime istruzioni ricevute da Subotic sono i seguenti:

l) Accordo politico -Noi chiediamo che all'art. I sia mantenuta la frase «nel caso in cui una delle due Parti sia l'oggetto di aggressione non provocata da parte di una o più Potenze, l'altra parte si impegna ad astenersi da qualsiasi azione che possa favorire l'aggressore».

Gli jugoslavi si rifiutano ammenoché non si inserisca un altro articolo che dica: «Le Alte Parti contraenti convengono che niente nel presente accordo sarà considerato come contrario ovvero tale da pregiudicare gli impegni internazionali esistenti dei due Paesi». Tale redazione è per noi inaccettabile.

Noi proponiamo che tale articolo sia redatto nella forma seguente: «Le Alte Parti contraenti dichiarano che niente negli impegni di cui l'uno o l'altro Stato è parte, è contrario al presente accordo; e convengono che il presente accordo non porta pregiudizio agli impegni derivanti da Atti internazionali di cui tutti e due gli Stati sono parte».

Il) Albania -Gli jugoslavi ci propongono un nuovo testo per le lettere che dovrebbero essere scambiate tra i due Governi. In tale nuovo testo viene a stabilirsi:

l) che il rispetto della sovranità e l'indipendenza politica e della integrità dell'Albania è un interesse comune dei due Paesi; 2) che non esiste a questo riguardo alcun contrasto tra la politica dei due Paesi o circa i fini che i due Governi si propongono;

3) che i due Governi «si impegnano a non cercare alcun vantaggio speciale ed esclusivo di ordine politico, economico e finanziario che sia tale da compromettere direttamente o indirettamente l'indipendenza dell'Albania e si impegnano a procedere in comune all'esame amichevole di qualunque situazione che fosse incompatibile con le disposizioni contenute nelle loro lettere».

Ho detto a Subotic che il testo proposto così come è redatto non è accettabile. Non abbiamo nessuna intenzione di fare una politica che possa compromettere l'indipendenza albanese. La nostra attività in questi ultimi anni svoltasi in assenza di un accordo con la Jugoslavia è la migliore prova dei nostri propositi. Vogliamo evitare con la Jugoslavia qualunque contrasto a proposito dell'Albania e siamo anzi desiderosi di eliminare ogni sua preoccupazione circa le nostre intenzioni ma la Jugoslavia non può chiederci di rimettere in discussione quanto eventualmente non le garbasse di ciò che abbiamo fatto finora in Albania. Non avrei però difficoltà ad accettare la lettera in tale forma se contemporaneamente il Governo jugoslavo mi facesse una dichiarazione nel senso che la situazione attuale non sarà oggetto di discussioni future.

III) Insegnamento della lingua serbo-croato-slovena ed esercizio del culto in tale lingua-Sono pronto verbalmente a dare un'assicurazione generica del seguente tenore:

«Il Governo italiano esaminerà con benevolenza le domande dei cittadini italiani per quello che riguarda l'insegnamento privato, sotto il controllo dello Stato, della lingua slovena e della lingua serbo-croata, come pure l'esercizio del culto in queste due stesse lingue, naturalmente sotto riserva dell'osservanza delle leggi concernenti l'ordine pubblico».

Il signor Sl]botic ha presentato invece un testo di dichiarazione formale così concepita: «Il Governo italiano si dichiara pronto ad assicurare ai sudditi italiani di lingua serbo-croata-slovena il libero sviluppo della loro vita economica, culturale e religiosa. A questo scopo esso esaminerà con benevolenza le domande di questi sudditi italiani e procederà senza indugio alle misure appropriate di ordine amministrativo o altro per rendere possibile tale sviluppo e specialmente per permettere loro l'insegnamento sotto il controllo dello Stato nella loro propria lingua così come l'esercizio del culto, la pubblicazione dei libri e di giornali e qualunque altra manifestazione m questa lingua nel quadro delle leggi che concernono l'ordine pubblico».

Tale dichiarazione è evidentemente inaccettabile perché verrebbe a porre in questione tutto un nuovo inatteso e inesistente problema delle minoranze slovene e croate.

295

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE Berlino, 18 marzo 1937 (per. il 19 ). URGENTE PER CORRIERE 1974/013 R.

In una conversazione avuta oggi con Neurath, questi mi ha dato notizia di una offensiva diplomatica inglese in grande stile, a sfondo ed intenti antitedeschi e anti tali ani:

l) Vansittart, parlando con Franckenstein, ministro d'Austria a Londra, ha affacciato due precise proposte: a) cambiare l'orientamento della politica austriaca «estera» con abbandono dell'asse Roma-Berlino per quello Parigi-Piccola Intesa;

b) cambiare l'orientamento della politica «interna» austriaca, abbandonando l'asse Schuschnigg-Schmidt e facendo invece centro sul borgomastro di Vienna, Schmitz.

Il passo è stato fatto di pieno accordo con Parigi e Praga e si completa con la proposta di una restaurazione asburgica nella persona di Otto, con una monarchia a sfondo rosso-nero. L'Inghilterra sarebbe pronta a finanziare la restaurazione, in genere promettendo poi all'Austria, come contropartita alle concessioni interne ed esterne richiestele, un appoggio così diplomatico come economico.

La proposta è stata fatta pervenire direttamente a Miklas che, dopo averla tenuta chiusa nel suo cassetto per otto giorni, l'ha finalmente passata -sembra il giorno 12 -a Schuschnigg. Schuschnigg avrebbe fatto capire di non ritenere la proposta come accettabile (a domanda se egli, nella questione, si fidasse completamente di Schuschnigg, Neurath ha risposto: fino ad un certo punto).

Centro degli intrighi antitedeschi ed antitaliani a Vienna sarebbe il Rathaus: notati degli approcci recenti fra Schmitz (borgomastro) ed un esponente degli elementi popolari (Reinhart?).

2) Il Foreign Office ha analogamente chiamato ad audiendum il ministro di Grecia a Londra 1 , rimproverando apertamente alla Grecia di essere filo-germanica e filo-italiana. Un simile passo sarebbe stato ripetuto direttamente in Grecia.

3) Passo analogo, e agli stessi intenti, è stato fatto dall'Inghilterra anche in Portogallo.

* * *

La Germania, mi ha detto Neurath, rimane, di fronte a questa offensiva, tranquilla e più che mai decisa a seguire la sua via e a non mutare la sua politica. Questa la precisa conclusione cui -dopo aver appreso da Neurath la situazione -è arrivato proprio stamane il Fuhrer.

Neurath mi ha detto sperare in un prossimo accordo italo-jugoslavo. Esso sarà per l'Inghilterra -ha concluso -la risposta che si merita2 .

296

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1988/81 R. Ankara, 19 marzo 1937, ore 15,41 (per. ore 18,40).

Questo ministro di Jugoslavia 3 mi informa in via del tutto riservata e personale di avere portato a conoscenza del governo turco l'inizio a Roma di concrete

I Charalambos Simopoulos.

2 Questo telegramma fu ritrasmesso a Londra con T. segreto 627 /IlO R. del 24 marzo, omettendo, all'inizio, l'origine della notizia ed eliminando la parte finale successiva ai tre asterischi. Furono anche informati~ ciascuno per le parti di suo diretto interesse -i ministri a Vienna (T. segreto 626/51 R. del 23 marzo), a Lisbona (T. 621/51 R. del 21 marzo) e ad Atene (T. 620/44 R. del 21 marzo). Per il seguito si vedano i DD. 332 (da Londra), 360 (da Atene), 376 (da Vienna) e 402 da (Lisbona).

3 Branko Lazarevic.

trattative politiche fra l'Italia e la Jugoslavia in vista di un accordo del quale non si conoscono per altro, né portata, né concrete finalità. Ne è stata presa nota con molta soddisfazione aggiungendo che ci si augura una rapida e soddisfacente conclusione che gioverebbe a tutti i balcanici.

Ismet Pascià ha anche aggiunto che, «data la situazione odierna», la Turchia vede col massimo favore le trattative poiché -adesso -le relazioni italo-turche sono «estremamente cordiali».

Antonescu era già a conoscenza dell'inizio dei colloqui di Roma, i quali hanno fatto oggetto anche di conversazione con Aras e nella intonazione suindicata.

297

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 2001 /264 R. Salamanca, 19 marzo 1937, ore 18 (per. ore 1,30 del 20).

È venuto a vedenni d'urgenza ambasciatore di Germania che ha desiderato esaminare meco situazione politica militare. Abbiamo concordato sui seguenti punti:

l) periodo stato necessario per preparare attacco Guadalajara e periodo necessario da oggi per riorganizzare divisioni italiane costituiscono ai fini del nostro programma perdita di almeno due mesi;

2) superiorità di materiale e uomini, di cui ai primi di marzo disponeva Franco grazie agli aiuti italiani e tedeschi può ora considerarsi annullata completamente. Dobbiamo anzi constatare che dopo logoramento forze italiane, superiorità nemico in uomini e materiali è oggi sicuramente indiscutibile;

3) può prevedersi che detta superiorità nemica andrà da oggi gradualmente aumentando così che tra due mesi situazione potrà essere caratterizzata da grave inferiorità di Franco nei confronti dei rossi, a meno che Italia e Germania non (dico non) intendano ritirarsi dal Comitato di non intervento e ricominciare fornire Franco di uomini e materiale;

4) in relazione a quanto precede, ambasciatore di Germania dichiarami aver appreso avantieri da Roatta che il capo del governo avrebbe in animo di rispettare blocco solo qualora anche Stati democratici lo rispettino ed essere disposto a ricominciare forniture a Franco qualora altri Stati violino blocco. Ho risposto nulla conoscere in proposito da V.E. e neppure da Roatta che non (dico non) ha preso contatti con ambasciata;

5) premesso tutto quanto sopra, ambasciatore di Germania ritiene che il rispetto del blocco da parte dell'Italia e Germania sia particolarmente pericoloso e possa mettere a serio pericolo esito finale campagna di Spagna. In questo medesimo senso egli telegrafa oggi stesso al suo governo e mi ha pregato informarne governo italiano.

298

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1987/165 R. Parigi, 20 marzo 1937, ore 1,30 (per. ore 6). Telegramma di V.E. n. 600/c 1•

Ho parlato a questo ministro Affari Esteri giusta istruzioni impartitemi. Egli mi ha pregato di chiedere a V.E. se deve considerare conferma circa nessuna partenza di volontari italiani per la Spagna posteriormente al 20 febbraio u.s. come autorizzazione di valersene in un comunicato internazionale dato alla stampa francese che produrrebbe molto effetto. Ha negato da parte sua che dopo 20 febbraio, volontari

o materiale abbiano transitato attraverso porti francesi o Pirenei, precisando anzi che materiali erano stati tutti fermi fin dal giorno in cui fu deciso non intervento. Non esclude naturalmente qualche caso di contrabbando, ma inchieste private eseguite da giornalisti americani, cioè obbiettivamente, avevano constatato serietà dei provvedimenti adottati dal governo francese, ai propri confini con la Spagna.

Era lieto rilevare che V.E. desidera escludere polemica, tanto più che ciò corrisponde sue intenzioni. Conveniva sulla necessità assicurare d'urgenza controllo effettivo per mare e terra dato che nonostante miglior volere esso non è ancora perfetto. Conveniva pure sul lavoro metodico e secondo un certo ordine di lavoro del Comitato di Londra, ma ciò non escludeva a suo parere che Comitato stesso affrontasse senza senso politico problema del ritiro dei volontari. Gli constava che il governo britannico condivide suo parere così che governi di Londra e Parigi stavano esercitando pressione da un lato a Mosca per ottenere che U.R.S.S. recedesse obiezioni circa esame questione oro della Banca Spagna e dall'altra, a Roma, (Francia per mio tramite senza incaricarne proprio incaricato d'affari) per ottenere dall'Italia di recedere dalle proprie obiezioni circa volontari.

299

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1997/167 R. Parigi, 20 marzo 1937, ore 1,30 (per. ore 6).

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto di avere autorizzato agenzia Havas pubblicare testo nota diretta dal governo di Valencia ai governi francese ed inglese qualche settimana fa 2 , dato che nota stessa era stata pubblicata in In-

l Vedi D. 291. 2 Vedi p. 346, nota 5.

ghilterra. Delbos ha aggiunto che egli aveva dato alla nota stessa risposta puramente verbale.

Nota cominciava con l'esprimere desiderio del governo di Valencia di fare politica di collaborazione con governo francese e inglese sopratutto nella S.d.N., aggiungendo che questa collaborazione avrebbe potuto utilmente esercitarsi nel Marocco spagnolo dato che Fronte Popolare spagnolo era sempre stato ostile a politica coloniale.

Delbos ha osservato meco che evidentemente governo di Valencia avrebbe veduto con grande piacere inaridirsi fonti dalle quali 1 trassero maggior numero delle proprie forze.

Risposta verbale suddetta era consistita nel compiacersi per propositi manifestati di volere collaborare strettamente con governo di Londra e Parigi, ma nell'esimersi dall'entrare nel merito del problema sollevato circa Marocco spagnolo per seguenti ragioni:

l) perché mandato esercitato dalla Spagna deriva da un accordo tra Francia e Sultano 2 che fu accettato dalle altre Potenze e che Francia non può, né vuole modificare unilateralmente 3 ;

2) perché Francia diede recentemente alla Germania ed ottenne da essa garanzie concernenti disinteressamento, circa Marocco spagnolo. Francia lo aveva fatto del resto per le ragioni esposte al punto primo suddetto.

Ho ringraziato vivamente Delbos della comunicazione.

300

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 2014/138 R. Berlino, 20 marzo 1937, ore 14,55 (per. ore 16,45).

Fuehrer ha ieri esaminato questione rappresentanza tedesca cerimonie incoronazione a Londra.

Soluzione Ribbentrop ha dovuto essere scartata, come quella che, data situazione personale nella quale si è volutamente messo, essa sarebbe stata certamente male interpretata. Eliminate, d'altro canto, anche le soluzioni Goering e von Neurath anche come politicamente troppo rappresentative e significative, la scelta è caduta sul «Capo delle Forze Armate», von Blomberg, il quale sarà accompagnato

I Nota del documento: «Manca. Dovrebbe leggersi: nazionali».

2 Riferimento al trattato di Fez tra Francia e Sultano del Marocco del 30 marzo 1912 (testo in MARTENS, vol. VI, pp. 332-333) e alla convenzione di Madrid tra Francia e Spagna del 27 novembre 1912 (vedi p. 37, nota 2).

3 Si veda in proposito il D. 32.

359 da due rappresentanti subalterni, uno della Marina e l'altro dell'Aviazione. La notizia è stata comunicata stamane a questo ambasciatore inglese 1 .

301

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2034/83 R. Ankara, 20 marzo 1937, ore 17,55 (per. ore 21,30).

Antonescu partito iersera dopo tre giorni permanenza ad Ankara svoltasi con consueto cerimoniale. Conversazioni di varie ore con Aras ed Ismet avrebbero esaminato tutte questioni in corso, (rapporti con Russia questione Sangiaccato, situazione Mediterraneo, patto amicizia Bulgaria-Jugoslavia, trattative italo-jugoslave, ecc.) senza peraltro nulla aggiungere a quanto già esaminato ad Atene due settimane addietro 2 . Infatti, la conferenza balcanica in quella città ha tolto molto della importanza che la visita Antonescu avrebbe avuto se invece, come da precedente programma, avesse preceduto.

Ministro degli Affari Esteri romeno ha fatto qui eccellente impressione. Se evidentemente non ha mostrato lo spirito scintillante di Titulescu lo si è giudicato come uomo probo, retto e di maggior fondamento e di più sicura ... 3 che il suo predecessore col quale sono noti anche gli antagonismi con Aras. Particolarmente esaminato sarebbe stato il persistente sforzo francese per trasformare i patti che la Francia ha già con la Piccola Intesa in patti di mutua assistenza. Per quanto Romania, quale membro della Piccola Intesa, non abbia vincoli verso Turchia, tuttavia come membro della Intesa Balcanica non può prescindere dal sentimento turco. Ed Aras si è mostrato nettamente contrario al disegno francese.

Anche Antonescu in lungo e cordiale colloquio con me mi ha detto che Romania non riteneva fosse il caso di passare a tale traformazione dei patti Piccola Intesa-Francia poiché ciò avrebbe assunto aspetto ostile verso qualche Potenza, il che egli voleva assolutamente evitare. Del resto, mi ha aggiunto, le pressioni non sono tanto dalla Francia per suo conto quanto per conto della Cecoslovacchia che è dietro. In ogni caso, tale questione sarà definitivamente sancita in Belgrado nella riunione Piccola Intesa ai primi di aprile, riunione che sarà seguita dalla visita di Benès cui succederà, sempre a Belgrado, quella di Ismet con Aras.

Nel comunicato odierno si parla di «pronta messa in atto di decisioni prese ad Atene». Mi riservo telegrafare a V.E. quale interpretazione sarà data da Aras e dai circoli Ankara.

Sono anche stati largamente esaminati i rapporti economici diretti turco-romeni e stabiliti degli scambi cultura.

1 Con T. 6301124 R., Ciano rispondeva: «È stata qui apprezzata decisione presa. Lo faccia sapere

al Fuehrer e a Neurath».

2 Sic. La conferenza dell'Intesa Balcanica si era riunita ad Atene dal 15 al 18 febbraio.

3 Nota dell'Ufficio Cifra: <<manca».

302

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE Belgrado, 20 marzo 1937, ore 19,20 URGENTE RISERVATISSIMO 2020/63 R. (per. ore 22,30).

Telegramma di V.E. n. 57 1 e 582 .

Ho discusso a lungo ieri e stamane con Stojadinovic e con Andric.

Stojadinovic è uomo di arditi propositi. Al momento della conclusione è assalito da ogni sorta di perplessità e di timori. Attualmente è impressionato dallo stato delle nostre relazioni con l'Inghilterra ed assillato come mai, ha detto francamente, dalla paura che a Londra si prenda come un affronto ogni stipulazione del nostro Patto che non sia conforme all'ortodossia britannica.

Il colloquio di stamane ha portato ai seguenti risultati:

l) Articolo l del progetto concordato. Stojadinovic chiede a V.E. come un personale favore di non insistere per l'inclusione della seconda parte (aggressione) venendo così a cadere ogni necessità di una stipulazione aggiuntiva del genere di quella dell'articolo 7 del «progetto concordato» e di quello jugoslavo.

Presidente del Consiglio assicura di tutto suo impegno per un utile sviluppo futuro del Patto, qualora V.E. acconsenta a toglierlo sul momento dall'imbarazzo. Qualora, peraltro, V.E. esigesse invece il mantenimento della seconda parte dell'articolo l, allora Stojadinovic vorrebbe che fosse mantenuto l'articolo 7 del progetto Subotic («niente nel presente accordo sarà considerato contrario agli impegni internazionali esistenti dei due Paesi»). Peraltro sarà aggiunto «impegni che sono del resto pubblici», come è nel Patto dell'Intesa Balcanica. Tale specificazione apparente soddisfa dando esattamente la posizione degli impegni jugoslavi contemplati nella stipulazione dell'accordo.

2) Albania. Stojadinovic acconsente a che contemporaneamente alla firma del testo Subotic venga fatta da parte jugoslava, con nota verbale a noi diretta, una controdichiarazione con la quale sarà precisato che la situazione a tutto oggi non verrà posta in discussione in futuro.

3) Insegnamento ed esercizio culto serbo-croato-sloveno. Subotic riceverà testo di dichiarazione da sottoporre a V.E. molto più moderato nella forma e nelle pretese del precedente e che accennerà all'insegnamento: «delle lingue» e non «nella lingua». Tale dichiarazione potrebbe essere fatta da V.E. a Belgrado a mezzo della stampa. Stojadinovic vorrebbe, peraltro, avere una lettera personale a lui diretta da V.E. nella quale lo si informasse delle favorevoli disposizioni del governo fascista in argomento, in occasione firma del Patto.

Quanto precede è il risultato di lunghe pazienti discussioni, ma non ha alcun carattere impegnativo e mi sono limitato promettere riferire a V.E. per le sue

I Vedi D. 293. 2 Vedi D. 294.

361 definitive decisioni 1 Stojadinovic e le istruzioni che oggi stesso partiranno di qui per Subotic.

Presidente del Consiglio mi ha pregato vivamente di fare sapere a V.E. che egli è deciso più che mai concludere subito, stima che ogni ritardo è suscettibile diminuire effetti interni e internazionali del Patto in corso di negoziato.

303

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 613/150 R. Roma, 20 marzo 1937, ore 24.

Telegramma di V.E. n. 1562 .

Da un primo esame delle proposte avanzate da parte francese appare che, tanto nel loro insieme quanto nei loro dettagli, esse vanno grandemente al di là di quello che potevamo attenderci anche nell'ipotesi della maggiore larghezza da parte nostra; e ciò pure prescindendo dal fatto che proposte stesse investono anche questioni che (come quelle comprese nei punti 5 e 6 noto programma) 3 erasi convenuto esaminare in un secondo tempo. Proposte francesi superano quindi di assai limiti istruzioni entro cui nostra delegazione è autorizzata negoziare e appare pertanto opportuno che Guarnaschelli e Cerulli vengano Roma conferire salvo poi continuare negoziato. Ogni maggiore elemento di giudizio che da parte francese Le venisse intanto fornito potrebbe riuscire di giovamento per ulteriore svolgimento negoziato 4 .

304

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2083/056 R. Parigi, 20 marzo 1937 (per. il 23).

Sanguinosi avvenimenti di martedì scorso 5 sono stati vera e propria sommossa comunista. Infatti, riunione organizzata da Partito Sociale Francese era semplice

1 Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo indecifrabile».

2 T. 1933/156 R. del 17 marzo. Riportava le proposte avanzate da parte francese come base iniziale delle trattative per un accordo su gli interessi italiani e francesi in Africa Orientale. 3 Si veda in proposito il D. 167. 4 Le trattative italo-francesi per l'Africa Orientale furono sospese il 22 marzo. Un appunto della

Direzione Generale Affari d'Europa e del Mediterraneo in data 9 settembre chiarisce a questo proposito: «Le proposte presentate dal governo francese non apparvero e non sono in molte parti neanche lontanamente accettabili. Per non dare l'impressione di una rottura, fu convenuto che la delegazione italiana ripartisse per l'Italia per esaminare in dettaglio -d'intesa con gli organi tecnici -le proposte stesse; ma non fu lasciato alcun dubbio sul giudizio che se ne faceva>>.

5 Il 16 marzo, vi erano stati nel sobborgo parigino di Clichy dei gravi scontri, con morti e feriti, tra polizia, comunisti e aderenti al Partito Sociale Francese.

spettacolo cinematografico: esso era stato autorizzato da autorità; vi assistevano soltanto alcune centinaia di persone, comprese donne e bambini e si svolgeva tranquillamente.

Comunisti hanno colto pretesto riunione indetta da Partito Sociale Francese per dimostrare loro volontà intimorire governo e arrestare colpo di timone da questo dato a destra con sua mutata politica finanziaria. Analogo scopo ha avuto sciopero generale giovedì mattina che, per quanto svoltosi senza incidenti, è stato quasi totalitario e col quale correnti estremiste Fronte Popolare hanno cercato riaffermare loro influenza sulle masse.

Blum ha dichiarato volere accertare e punire responsabili, siano essi di sinistra

o di destra, e volere mantenere ordine. Governo spera poter ristabilire calma, contando anche sul fatto che prossima Esposizione rende evidente interesse generale mantenimento ordine. Tuttavia, Gabinetto appare seriamente indebolito poiché si è rivelata potenza masse organizzate ed è apparso chiaro che esse sfuggono al suo controllo. D'altra parte, comunisti si trovano anch'essi in cattiva posizione, in quanto governo di Fronte Popolare, che essi hanno sostenuto e che dichiarano di volere abbandonare, si è allontanato, almeno sul terreno finanziario, dai loro principi con conseguente perdita prestigio correnti estremiste Fronte Popolare. Radicali, da parte loro, hanno fatto sentire che sono decisi ad esigere dal governo azione energica per mantenimento ordine. Loro linea di condotta parlamentare dipenderà, in definitiva, da atteggiamento che assumerà governo nella discussione alla Camera di martedì prossimo, nella quale si discuteranno interpellanze presentate da due deputati moderati e per la quale Gabinetto porrà questione di fiducia 1•

305

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2085/069 R. Londra, 20 marzo 1937 (per. il 23).

Seguito mio telegramma in chiaro n. 211 del 19 corr. 2 .

Congedato Plymouth, Eden mi ha detto che desiderava parlarmi sulle relazioni generali anglo-italiane. Egli era costretto con vivo rammarico a constatare che esse non sono in questo momento così buone quale egli avrebbe sperato. Eden ha aggiunto di ritenere che principale ragione di questo peggioramento nelle relazioni anglo-italiane è dovuto alle inevitabili ripercussioni della guerra in Spagna. È da augurarsi che, una volta che questa sia risolta, la situazione migliorerà nuovamente fra i nostri due Paesi.

Ho risposto a Eden che non condividevo il suo modo troppo semplicista di giudicare la situazione e che non avevo alcuna intenzione di discutere con lui la

l Si veda in proposito il D. 423.

2 T. 19911211 R. del 19 marzo. Riferiva su la designazione degli agenti incaricati di effettuare il controllo marittimo delle coste spagnole.

situazione. Mi sono limitato a registrare il deterioramento avvenuto nei rapporti itala-britannici. «Tale deterioramento -ho continuato -si aggraverà vieppiù se il governo britannico non si deciderà una buona volta a mettere fine alle manifestazioni pubbliche e di stampa che offendono profondamente lo spirito italiano in quello che esso ha di più sacro. Ho ricordato a Eden la montatura ignobile dei così detti «massacri» di Addis Abeba 1 , la rinnovata attività antifascista e filo-abissina del Primate e del clero anglicano, le discussioni tutt'altro che amichevoli ai Comuni, le tendenziose notizie e gli ostili commenti al viaggio del Duce in Libia, la perfida ostinata speculazione giornalistica sulle notizie assolutamente false inviate dal governo comunista di Madrid circa pretese disfatte italiane in Spagna. «Ieri ho continuato -si è verificato un fatto che è il più grave di tutti. Intendo riferirmi alla cerimonia nella chiesa di Bloomsbury, organizzata dalla Abyssinian Association coll'intervento del clero anglicano e di Tafari, e l'ingiurioso discorso all'indirizzo del Duce e del popolo italiano pronunciato dall'arcidiacono della diocesi di Winchester2. Durante due anni di tensione itala-britannica nessuno in Inghilterra ha mai osato pronunciare parole così offensive all'indirizzo del Duce e del popolo italiano. E, cosa ancora più grave, questo discorso ingiurioso all'indirizzo del capo di un governo amico, alla presenza del negriero Tafari invece di essere ignorato, come avrebbe potuto essere, dalla stampa, è stato ieri sera e stamane largamente riprodotto anche nei giornali ufficiosi. Quando ciò sarà conosciuto in Italia non mancherà di provocare una viva e legittima reazione in tutto il popolo italiano. Io sono costretto ad elevare una formale protesta ed attendo di conoscere quale è la risposta che mi sarà data dal governo britannico».

Eden ha evitato dapprima di rispondermi. Poscia mi ha domandato se io avevo istruzioni da Roma di fare questo passo. Gli ho risposto che non avevo istruzioni ma che consideravo mio elementare dovere, come ambasciatore d'Italia, di protestare contro un'ingiuria fatta al mio Duce e di richiedere una deplorazione ufficiale da parte del governo britannico.

Eden mi ha dapprima replicato, assai confuso e imbarazzato, che egli non poteva esprimere ufficialmente deplorazioni, poi, correggendosi, mi ha detto che la risposta del governo britannico era la seguente: «Deploro queste manifestazioni polemiche ingiuriose da qualunque parte esse vengano. Il governo britannico non ha tuttavia modo e poteri di impedirle dato che in Inghilterra vi è libertà di parola e di stampa».

Ho replicato a Eden che questa sua risposta mi lasciava assolutamente insoddisfatto, e che non diversamente sarebbe stata considerata in Italia. Eden mi ha interrotto dicendomi che anche da parte italiana non sono mancati in questi ultimi tempi commenti ingiustamente ostili contro l'Inghilterra. Ho negato assolutamente che ciò sia vero. La stampa italiana è stata assolutamente corretta evitando perfino di raccogliere le provocazioni di quella britannica.

I Vedi p. 239, nota l.

2 Il canonico di Canterbury aveva celebrato nella chiesa di S. Giorgio a Bloomsbury un servizo funebre per commemorare le vittime dell'aggressione italiana all'Etiopia con una foltissima presenza di sacerdoti protestanti. Al termine. il decano di Winchcster aveva pronunciato un discorso in cui aveva accusato Mussolini di avere iniettato nel popolo italiano «il veleno del militarismo» e di credersi un Cesare mentre era soltanto un despota pazzo. In proposito Grandi aveva riferito ampiamente con T. 1971 /209 R. del 19 marzo. sottolineando come tutta la stampa avesse dato largo spazio all'avvenimento.

Eden ha ribattuto facendo riferimento alle apprensioni determinate in Inghilterra dalle manifestazioni cui ha dato luogo il viaggio del Duce in Libia, particolarmente nei riguardi delle genti islamiche e ad alcune frasi del discorso del Duce a Tripoli circa la democrazia britannica.

Ho interrotto vivacemente Eden dicendo che tutto ciò era semplicemente un parto della torbida fantasia di certi inglesi. Il problema dell'Islam non è soltanto un problema imperiale britannico; esso è anche un grande problema imperiale italiano. L'Inghilterra non può arrogarsi il diritto al monopolio della politica islamica. In quanto alle parole del Duce, esse erano di una tale chiarezza per cui ogni interpretazione tendenziosa fatta in Inghilterra non rivela altro che una malintenzionata volontà di polemica e di dissidi. «L'intervista data stamane dal Duce al Daily Mai/ 1 ~ ho continuato ~ è la conferma di quello che è il preciso ed inequivocabile pensiero del Duce. È necessario ~ho concluso ~che tutti gli inglesi, a cominciare da voi Eden, meditino attentamente e lungamente questa intervista del Duce».

Eden mi ha risposto che egli l'aveva letta col più grande interesse e che l'aveva già segnalata al Primo Ministro e ai suoi colleghi di Gabinetto. Eden ha continuato dicendo che «in Italia non ci si rende abbastanza conto delle difficoltà di politica interna britannica che impediscono assai spesso al governo di adottare una linea precisa di azione, quale esso stesso vorrebbe, imponendo invece una politica di cautela e di lenta evoluzione. In Italia si continua a credere che la politica inglese sia orientata in un senso antifascista, ed inoltre che il riarm_o britannico sia diretto contro l'Italia. Ciò è falso. Noi siamo contro i blocchi, le guerre di ideologie e crediamo che fra la nostra democrazia e il fascismo italiano si possa trovare un ragionevole e comune terreno di accordo. In quanto al riarmo sfido chiunque ad indicarmi una sola manifestazione ai Comuni, nella stampa, nei discorsi politici dalla quale si possa onestamente arguire che gli armamenti inglesi sono diretti contro l'Italia, mentre nessuno fa in Inghilterra mistero che essi rappresentano una misura di difesa contro la Germania. E allora perché tutta questa diffidenza italiana contro di noi? L'Inghilterra si è rassegnata ormai al fatto compiuto della conquista italiana in Etiopia. Noi abbiamo interamente dimenticato e non mostriamo rancori contro l'Italia».

Ho risposto ad Eden che l'Italia fascista non ha mai rifiutato di vivere e collaborare in pace anche con Paesi retti da regimi politici interni che il fascismo combatte. Prova è il fatto che il Duce è stato il primo, nel 1924, fra tutti i Paesi di Europa ad entrare in relazioni diplomatiche e commerciali con la Russia sovietica. Non è l'Italia fascista ma proprio al contrario l'Inghilterra democratica a provocare la politica dei blocchi e la guerra di ideologia. «Voi stesso non perdete una sola occasione ~ho detto ad Eden ~per presentare pubblicamente la collaborazione

l Nell'intervista rilasciata il 18 marzo a Ward Price, Mussolini ~allora a Tripoli ~aveva usato toni marcatamente distensivi dichiarando che dal punto di vista coloniale l'Italia era soddisfatta e pronta ad accordarsi con la Gran Bretagna su tutte le questioni concernenti l'Etiopia e i territori confinanti sotto controllo britannico. Circa la Spagna, Mussolini aveva ribadito ancora una volta che l'Italia non aveva mai chiesto al governo Nazionale delle basi nelle Baleari o in Marocco e non intendeva fare nulla anche in futuro che potesse violare, anche indirettamente, l'integrità territoriale della Spagna: una volta terminata la guerra civile, l'Italia non aveva l'intenzione di ingerirsi negli affari spagnoli. Il testo dell'intervista è in MussoLINI, Opera omnia, vol. XXVIII, pp. 148-150.

anglo-francese come una alleanza delle due grandi democrazie contro il pericolo delle dittature. In quanto al riarmo, è perfettamente vero che gli italiani sospettano, ed hanno ogni legittima ragione di sospettare, l'Inghilterra, sopratutto nel Mediterraneo. Voi mi ditt: che l'Inghilterra deve proteggere i punti più lontani dell'Impero. Questo sta bene per le navi. Ma contro chi sono fatte le fortificazioni a Malta, a Cipro a Caifa ed in genere in tutto il bacino mediterraneo? Non contro la Francia, né contro la Spagna, né la Grecia, né la Jugoslavia, né la Turchia. Se l'Inghilterra non nutrisse sentimenti ostili contro l'Italia non si riarmerebbe, come fa, nel Mediterraneo. È legittimo e naturale che alle nuove fortificazioni navali inglesi corrisponda un'altrettanta e più potente organizzazione difensiva mediterranea da parte dell'Italia. Circa l'Etiopia, sino a che l'Inghilterra continua a considerare «formalmente» a Ginevra e a Londra il fantoccio grottesco di un'Etiopia di fatto inesistente, e a dichiarare di «non» riconoscere la sovranità italiana, è chiaro che nessuno, dico nessuno, dei 44 milioni di italiani può prestare fede alle dichiarazioni amichevoli dell'Inghilterra».

Questo è il mio colloquio con Eden, durato circa mezz'ora. È Eden che mi ha mandato a chiamare e che ha provocato la discussione. Come V.E. ha visto, io mi sono limitato a ribattere in tono polemico, senza entrare nell'esame di argomenti o problemi specifici.

Eden mi ha fatto ieri sera la stessa impressione che mi ha fatto sempre, dal mese di ottobre ad oggi: intenzionato forse ad una politica di collaborazione coll'Italia ma incapace_ per il suo temperamento di parlamentare antifascista, pauroso e meschino, di prendere un'iniziativa coraggiosa e di assumersi una responsabilità suscettibile di alienargli il dubbio favore dell'antifascismo britannico.

306

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2105/057 R. Budapest, 20 marzo 1937 (per. il 24).

Un alto funzionario degli Affari Esteri ungherese, mio amico da molti anni, mi ha detto confidenzialmente quanto segue: qualche tempo fa un suo conoscente gli aveva narrato che suo fratello, ufficiale cecoslovacco (tenente Jahoda) era stato inviato in missione in Russia ed aveva avuto l'impre-ssione che vi fossero contatti ed intese fra circoli militari germanici e quelli dell'U.R.S.S.

Il mio amico non diede alcuna importanza alla segnalazione che non credé seria. Ma pochi giorni or sono un sottosegretario di Stato ungherese, che anche io conosco e che è stato ora in Germania, gli aveva confidato che, avendo interrogato Blomberg sulle cose di Spagna, questi gli aveva detto che in U.R.S.S. vi erano due correnti: il Comintern, decisamente favorevole all'intervento, ed i militari invece del tutto contrari. Il partito militare russo, avrebbe detto Blomberg, si augura che i russi di Spagna siano battuti, perché allora esso potrà avere la meglio e si potrà così pervenire ad accordi militari con la Germania. D'altra parte, fra i capi dell'Armata Rossa ve ne sono come Jegorov, capo di Stato Maggiore, che hanno frequentato scuole militari tedesche; Teodocevski è stato addetto militare russo a Berlino. Il funzionario in parola, di fronte a questa seconda segnalazione che confermava la prima e data la assoluta serietà della fonte, ne ha fatto oggetto di un promemoria al ministro degli Affari Esteri.

Quale che sia l'eventuale fondamento di quanto precede, mi permetto di raccomandare alla E.V. di tener segreta l'origine e i dettagli della segnalazione.

307

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2107/060 R. Budapest, 20 marzo 1937 (per. il 24).

Telegramma di V.E. n. 59 del 18 marzo 1 . Mi sono intrattenuto col ministro degli Affari Esteri nel senso delle direttive fornitemi dalla E.V.

Nel corso della conversazione, Kanya mi ha detto aver rilevato vari articoli della stampa sopratutto francese che avrebbero voluto insinuare che le conversazioni in corso fra l'Italia e la Jugoslavia avrebbero potuto essere l'inizio, di una politica di riavvicinamento con la Piccola Intesa. Accennandomi a ciò, egli mi diceva che naturalmente non vi prestava la minima fede e non vi annetteva personalmente alcuna importanza, ma pensava che forse per l'opinione ungherese-che avrebbe potuto in certo qual modo preoccuparsene -sarebbe stato utile trovare modo di ribattere queste voci e stroncare questa campagna tendenziosa.

308

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 57l/257. Ankara, 20 marzo 1937 (per. il 27).

Su qualche accenno di Aras, il quale non lascia ora sfuggire alcuna occasione per mantenere frequenti contatti con me e per dare intenzionalmente un'impronta di massima cordialità alle nostre conversazioni, ho ritenuto opportuno valermi dell'autorizzazione datami da V.E. con telegramma n. 40 del 14 corrente2 per esprimere a questo ministro degli Esteri il compiacimento dell'E.V. tanto per la

I Vedi D. 283, che è del 16 marzo. 2 Vedi p. 314, nota 3.

fiduciosa iniziativa da lui presa rivolgendosi a noi in una questione così delicata come quella delle riserve espresse da Berlino alla Convenzione di Montreux 1 , quanto per poi aver seguito i consigli di moderazione nella nota di risposta 2 , di cui V.E. aveva apprezzato la misura e l'equilibrio. Mi è sembrato inoltre conveniente esprimere ad Aras la fiducia di V.E. in un felice componimento della questione e nel ristabilimento di un'atmosfera di sicura cordialità fra Germania e Turchia.

Aras si è mostrato visibilmente soddisfatto delle mie parole e nel pregarmi, in termini calorosi, di ringraziare l'E.V. per questa rinnovata prova di riguardo, mi ha detto che avrebbe subito riferito la comunicazione al Presidente del Consiglio.

Mi sono valso della autorizzazione dell'E.V. tenendo altresì presente un concetto generale, che è poi quello di contribuire anche da parte nostra a mantenere vivi questi contatti quotidiani che finiscono col lusingare questo ministro degli Affari Esteri e dargli la sensazione che il colloquio così felicemente iniziato a Milano non ha soste. Per cui se in avvenire V.E. crederà saltuariamente incaricarmi di qualche personale comunicazione ad Aras su cose e questioni anche del tutto secondarie ma che possano comunque magari indirettamente interessare la politica turca, gliene sarò estremamente riconoscente poiché ciò mi darà modo di continuare a mantenere da parte mia la illusione di una confidenza e di una collaborazione cui si sarà sempre estremamente sensibili.

Aras ha quindi spontaneamente indirizzato la conversazione su una possibile visita di V.E. in Turchia, dicendosi preoccupato di non poter rendere le cortesie ricevute in Italia nella forma grandiosa ed al tempo stesso signorile da lui tanto apprezzata a Milano. Ha aggiunto che, tutto ben considerato, gli sembrava che 1!: data migliore appariva quella della festa della Repubblica (29 ottobre) quando, sia per la stagione che per concorso di circostanze, Ankara appariva nella sua veste più attraente.

Ho avuto occasione di informare il R. Ministero delle notizie più o meno sensazionali qui messe in circolazione per provocare, con la materialità dei fatti, il pratico risultato del ristabilimento di una cordialità di rapporti fra Italia e Turchia, e quasi per segnare le tappe di un auspicato evolversi dell'attuale situazione. Aggiungo anche come, evidentemente in seguito a ordini ricevuti, la stampa sia stata larghissima in favorevoli commenti tanto alle deliberazioni del Gran Consiglio\ guanto al viaggio del Capo del Governo in Libia. L'unica voce fuori tono (articolo dell'Haber del 12 corrente) ha dato luogo all'articolo dell'ufficioso Ulus del 15 corrente, che Aras mi ha lasciato chiaramente comprendere essere stato da lui stesso dettato. Quest'ultimo articolo ha prodotto profonda impressione in questi ambienti politici e diplomatici, tanto che alcuni colleghi m'hanno domandato se esso fosse il risultato di energiche pressioni esercitate da parte nostra (il che ho negato, attribuendolo a spontanea azione di Aras, che ho naturalmente informato di questa

I Vedi D. 222.

2 Vedi D. 258.

3 Il Gran Consiglio del Fascismo si era riunito dal 2 al 9 marzo e nella prima seduta aveva approvato un ordine del giorno che stabiliva <<la realizzazione di un piano per un ulteriore incremento delle Forze Armate» ed <<il raggiungimento del massimo dell'autarchia per quanto concerne il fabbisogno militare e il sacrificio anche totale, se necessario, delle esigenze civili a quelle militari» (testo in Documenti di Politica Interna::ionale, p. l 0).

mia risposta). L'articolo infatti, per il contenuto e per le circostanze in cui esso è apparso, vuole inequivocabilmente indicare, all'interno ed all'estero, che le direttive politiche del Governo turco sono nettamente mutate e che la Turchia è ora fermamente decisa a mantenersi estranea alle competizioni fra le Grandi Potenze, coltivando le sue amicizie e particolarmente quella con l'Italia, voluta e perseguita dal Capo del Governo italiano. Anche nella polemica recentemente sviluppatasi fra Italia e Inghilterra per gli armamenti, l'isola di Pantelleria, gli ultimi avvenimenti in Addis Abeba, le intenzioni attribuite all'Italia col potenziamento della Libia e la nostra politica verso i Musulmani, la stampa turca, mantenendosi strettamente neutrale, ha ampiamente riferito fatti e circostanze ponendo in luce i nostri argomenti ed in modo da accrescere il nostro prestigio già chiaramente affermatosi anche in questo Paese dopo la vittoria delle nostre armi in A.O.I.

V.E. conosce il mio giudizio sul conto di Aras (amo ripetere che è capace qualche volta di dire anche la verità!!) e le mie idee nei riguardi della Turchia. Ritengo ancora oggi che nulla di veramente stabile possa essere ancora costruito basandosi sulle parole di Aras e facendo centro sulla Turchia, almeno fin quando questa intenderà rimanere legata al carro inglese da un lato ed a quello sovietico dall'altro. L'Inghilterra continua qui, come ho già riferito, ad estendere la sua influenza politica attraverso la penetrazione economica e la collaborazione militare. Per noi, oggi come oggi, non vi sono troppe possibilità concrete di lavorare in profondità per soppiantare, o diminuire, qui l'altrui ed a noi nemica influenza, per quanto tuttavia non trascuri anche tale obiettivo. Il che però preciserò a V.E. unicamente se e quando nei vari miei assaggi supporrò od avrò qualche motivo per credere ad un risultato.

Ma la effettiva azione di Aras, così come ora si svolge nei nostri riguardi, sembrami per altro degna di nostra attenzione e di considerazione, tanto più che per il momento non parmi ve ne sia altra da potere utilmente seguire. È evidente, a parer mio, la intenzione di questo Ministro degli Affari Esteri di far subire alla politica del suo paese una battuta di attesa lasciando che i maggiori eventi attualmente in corso si sviluppino, e valersi del fattore italiano forse per sfruttare maggiormente le alleanze antiche e recenti. Egli ci spinge con ogni sorta di allettamenti affinché, si cooperi a far credere ad una maggiore intimità di rapporti fra Italia e Turchia ed alla possibilità di futuri concreti sviluppi. La sua pronta sollecitudine ad interessarsi pel nostro aviatore fatto prigioniero dai rossi di Spagna e la voce fatta correre in questi giorni di disposizioni impartite alla flotta turca per visitare prossimamente l'Italia, sono gli ultimi fatti che, secondo me, dovrebbero stare a dimostrarlo chiaramente.

Della ripercussione della attitudine in altri settori della ora a noi amica politica turca l'E.V. ha trovato prova nel telegramma che ho diretto ieri all'E.V. 1 e che qui trascrivo: «In seguito alla venuta ad Ankara dell'ambasciatore turco nell'U.R.S.S., è stato deciso in questi giorni che Aras si recherà a Mosca. Scopo della visita, che avrebbe luogo in giugno o in luglio, è di calmare le apprensioni e le suscettibilità sovietiche, rafforzatesi in questo ultimo periodo sia per l'aumento della influenza inglese che per la crescente cordialità dei rapporti italo-turchi». Base della nostra politica, mi ha detto Ismet, è l'alleanza con l'U.R.S.S. ma occorre di tanto in tanto

l T. 1989/82 R. del 19 marzo.

calmare le gelosie, anche se ingiustificate, degli amici. Sicché, a proposito della annunciata visita della flotta, è mia impressione che qui non si attenda altro che un cenno da parte nostra perché essa abbia luogo e costituisca così la migliore determinante per decidere poi il viaggio di V.E. in Turchia. A mio subordinato parere ci converrebbe, in questo momento, prestarci ad un giuoco che non ci costerebbe nulla e che non presenta per noi altro che possibilità positive. Mi si è inoltre espresso (dopo la visita fatta qui da Sobrero e Giordana e che ha lasciato eccellente impressione) il desiderio che un gruppo di giornalisti turchi effettui (su nostro invito) un viaggio in Italia, allo scopo di rendersi conto delle realizzazioni del Regime e per annodare personali e proficue relazioni fra i rappresentanti della Stampa dei due Paesi. Ritengo che converrebbe accogliere anche tale desiderio sia in considerazione del mutato atteggiamento di questa stampa che per le ripercussioni favorevoli che la visita avrebbe, per lo meno con la pubblicazione di una serie di articoli interessanti l'Italia. Pel momento, ed in attesa delle 'decisioni dell'E.V. al riguardo, mi sono limitato ad assicurazioni di carattere generico e tali da poter riprendere la questione in esame al momento opportuno.

Mi sono permesso di sottoporre tali considerazioni al benevolo esame dell'E.V. affinché Ella possa tenerne conto nel quadro generale della nostra politica. Ma si tratta di decidere, e ciò può farlo soltanto l'E.V., se per la nostra azione in Turchia ci convenga attendere nuovi e precisi risultati concreti nello sviluppo dei rapporti italo-turchi, prima di accondiscendere a manifestazioni di carattere esteriore come quelle della visita della flotta turca in Italia, di quella di V.E. qui, dell'invito a giornalisti turchi, ecc., oppure procedere a queste manifestazioni esteriori perché l'effettivo approfondirsi dei rapporti fra i due Paesi da esse poi derivi.

Parto da una constatazione. Dopo il primo colloquio avuto con Aras al ritorno dall'incontro di Milano' egli mi promise che avremmo ripreso l'argomento per conclusioni pratiche e concrete. Ho tre volte accennato al desiderio di continuare quel discorso, ed Aras ha lasciato cadere l'argomento. Ora egli è troppo furbo ed accorto per fare ciò a caso. Mi sono perciò chiesto se sia semplice manovra tattica,

o corrisponda a qualche intervento inglese preoccupato di un eccessivo approfondirsi delle relazioni italo-turche. Sarei portato a credere piuttosto a questo che a quella, poiché mi si afferma che questo ambasciatore di Inghilterra sarebbe profondamente irritato per la nuova situazione che si delinea fra Italia e Turchia.

Comunque concludo che accertare se lo schivare di Aras argomenti più concreti dipenda da uno od altro motivo è, per la mia tesi attuale, superfluo. Parmi dimostrato che possiamo disturbare e ritardare l'azione di chi opera ai nostri danni e ciò mi sembrerebbe sufficiente argomento per giustificare, che se non si avanza in profondità, lo si può in superficie. Al certo vantaggio di disturbare il lavoro altrui, si aggiungerebbero gli altri di aumentare il nostro prestigio, di disorientare almeno, se non di modificare favorevolmente a nostro riguardo, l'opinione pubblica turca, e di porre utili premesse per ogni possibile, se pur poco prevedibile, eventualità futura.

1 Nel corso di quel colloquio-sul quale l'ambasciatore Galli aveva riferito con T. 981148 R. del 9 febbraio -Aras aveva promesso che, al ritorno dalla conferenza dell'Intesa Balcanica ad Atene (15-18 febbraio), avrebbe preso contatto con l'ambasciatore per risolvere tutte le questioni concrete di cui Ciano lo aveva interessato.

Sarò quindi riconoscente all'E.V. se vorrà farmi avere le sue istruzioni per la particolare linea politica da seguire in Turchia adottando le decisioni che sembreranno più acconcie ai nostri fini, ed istruendomi del seguito da dare ai particolari argomenti di cui ho intrattenuto l'E.V. 1 .

309

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 2042/275 R. Salamanca, 21 marzo 1937, ore 12,25 (per. ore 17 ).

Decifri Ella stessa.

Nemico continua ad attaccare. Nostri volontari a parere di Roatta non, dico non, reggono più. Franco rifiutato fino ad ora sostituire nostri reparti con forze spagnole.

Su richiesta della Missione Militare domando anche nome ambasciata che Franco riceva immediatamente telegramma del Duce per ottenere subito sostituzione sopraindicata. Situazione aggravasi di giorno in giorno.

310

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2044/74 R. Budapest, 21 marzo 1937, ore 14 (per. ore 16).

Mio telegramma n. 73 2 .

Questo ministro degli Affari Esteri mi ha detto essere molto lieto dei colloqui con Cancelliere. Innanzitutto, Cancelliere austriaco ha rinnovato assicurazione (mio telegramma per corriere 47 del 6 corr.)3 che Ungheria non si sarebbe mai trovata di fronte a sorprese, perché egli non avrebbe mai fatto nulla nei riguardi restaurazione senza prima consultare Stati vicini, cioè, come ha precisato a mia domanda,

I Il documento ha il visto di Mussolini. Per la risposta di Ciano, si veda il D. 358.

2 T. 1990/73 R. del 19 marzo. Riferiva di avere avuto un colloquio con il Cancelliere Schuschnigg, allora in visita a Budapest, che aveva smentito fosse sua intenzione prendere delle iniziative per una restaurazione asburgica, ben conoscendo anche la posizione negativa assunta in proposito dal governo italiano.

3 T. per corriere 1706/047 R. del 6 marzo. Nel corso di un colloquio con il ministro Kanya, quest'ultimo gli aveva confidato che, a sua impressione, in Austria si era rimasti colpiti dalla «violenza» della presa di posizione del governo italiano sulla questione asburgica. Secondo Kanya, il problema non aveva, peraltro, carattere di attualità e comunque Schuschnigg gli aveva promesso, a suo tempo, che il governo ungherese sarebbe stato preavvertito di qualsiasi iniziativa in proposito.

oltre Italia «naturalmente» Germania e anche Cecoslovacchia. (È interessante notare che a Vienna Schuschnigg aveva parlato solo dei due Stati firmatari dei Protocolli di Roma -Telespresso ministeriale 27862 del 9 corr.) 1 .

Kanya ha aggiunto che scopo principale della visita era stato quello di riconfermare la saldezza dei Protocolli e darne pubblica dimostrazione per smentire completamente voci di altre pretese direttive, comparse ultimamente. La parte economica delle conversazioni, secondo Kanya, non contiene nulla di particolarmente importante.

311

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 2049/276 R. Salamanca, 21 marzo 1937, ore 14,45 (per. ore 21,15).

Decifri ella stessa.

Mi riferisco ai miei nn. 257 2 e 259 3 e riassumo mie personali impressioni sulla grave presente fase.

A mio avviso occorre anzitutto rendersi esatto conto della reale efficienza attuale delle nostre divisioni, nonché della possibilità di riorganizzarsi rapidamente e per conseguenza ... 4 dei mezzi materiali, morali, economici ... 5 è possibile che truppe siano oggi in parte depresse e disorganizzate, ma è anche certo che una gran parte di esse conserva alto spirito e virile volontà di rivincita. Bisogna saperle rianimare. Soltanto dopo di ciò potrà, secondo me, conoscersi se superiorità nemica, aumentando in uomini e materiali, il che è convinzione quasi generale, possa veramente decidere ad aprile o nel maggio sorti della guerra contro di noi.

A mio subordinato parere questo fondamentale quesito potrebbe essere collegato con la nostra azione nel Comitato di non intervento. Aggiungo che, prima di decidere sulla condotta militare, occorre intanto riportare le nostre relazioni con Franco, anche nel campo militare, al livello indispensabile di prestigio ... 6 , di chiara fermezza, dai quali... 7 indiscutibile autorità che spetta ai nostri valorosi reparti qui combattenti.

È poi necessario che il Comando interalleato funzioni in maniera effettiva, così da dare al Comando italiano il diritto di intervenire con piena efficacia nelle decisioni generali alle quali è legata la sorte di questa vera e propria guerra.

I Ritrasmetteva il D. 235.

2 T. segreto non diramare 1959/257 R. del 17 marzo. Conteneva una serie di considerazioni su la situazione militare dopo Guadalajara.

3 T. segreto non diramare 1993/259 R. del 18 marzo. Prendeva spunto dalla difettosa collaborazione tra forze italiane e spagnole nella battaglia di Guadalajara per sottolineare l'opportunità di una effettiva partecipazione italo-tedesca al comando generale delle operazioni.

4 Nota dell'Ufficio Cifra: «manca».

5 Nota dell'Ufficio Cifra «gruppo indecifrabile».

6 Nota dell'Ufficio Cifra «manca».

7 Nota dell'Ufficio Cifra «gruppo indecifrabile».

Debbo poi con sincero rammarico far presente che, da nostra fonte degna fiducia, mi viene riferito che generale Roatta darebbe l'impressione di non essere (dico non) più all'altezza del compito speciale, sia per il diminuito prestigio fra gli ufficiali, sia per l'indebolita posizione presso truppe, sia perché si sarebbe mostrato, con gli intimi collaboratori, dubbioso di assumere nuove responsabilità e quasi desideroso di essere richiamato. Tanto riferisco senza possibilità di controllo.

Comunque esiste crisi del Comando italiano. Essa è maggiore nel momento in cui tutti debbono armonizzare la propria condotta con l'energica consapevolezza che, anche se abbiamo fallito l'offensiva di Guadalajara, l'Italia fascista ha, in ogni caso, salvato la Spagna dalla sicura distruzione quando la sconfitta di Franco era imminente. Senza Benito Mussolini, questo tragico Paese qualche mese fa sarebbe perito.

Tutto ciò premesso, mi permetto consigliare rispettosamente di mandare subito in Spagna un generale, almeno di Corpo d'Armata, di indiscusso prestigio personale, di sintetica mentalità e di conoscenza politica del momento europeo, affinché egli possa per lo meno esaminare la complessa situazione sotto ogni aspetto e prospettare al governo fascista l'assoluta realtà e fornire tutti gli elementi di giudizio.

312

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 2052/279 R. Salamanca, 21 marzo 1937, ore 1,51 (per. ore 7,30 del 22).

Mio telegramma n. 264 1•

È rivenuto a vedermi ambasciatore di Germania per informarmi essere egli arrivato alla convinzione che se non (dico non) si rivede subito politica italo-tedesca nei riguardi del «non intervento», e blocco, tra due mesi o prima le sorti deila guerra in Spagna saranno decise contro di noi.

Egli è partito via aerea per Berlino per domandare al suo governo di decidere in conseguenza e prendere contatti con Attolico onde passare eventualmente per Roma, sembra con desiderio vedere Duce, ove sia gradito.

313

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AL MINISTRO A LISBONA, MAMELI

T. RISERVATISSIMO 621/41 R. 2 . Roma, 21 marzo 1937, ore 17,40.

Apprendo in via confidenziale che il Foreign Office avrebbe chiamato ad audiendum il ministro del Portogallo a Londra, rimproverando apertamente al

l Vedi D. 297. 2 Minuta autografa.

Portogallo di essere filo-germanico e filo-italiano. Un simile passo sarebbe stato ripetuto direttamente a Lisbona. Quanto precede per Sua personale informazione e riservato controllo 1•

314

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AL MINISTRO A LA PAZ, MARIANI

TELESPR. RISERVATISSIMO PERSONALE 209505/9. Roma, 21 marzo 1937.

Ringrazio la S.V. Ill.ma per le interessanti notizie fornite sulla politica interna di codesto Paese col telegramma n. 27 in data 16 corrente2 , e prendo atto con interesse di quanto il colonnello Toro le ha detto in merito alle sue simpatie per il fascismo. Credo tuttavia che potrebbe essere opportuno, presentandosene l'occasione, di chiarire al Presidente come i postulati ideologici del fascismo siano ben altra cosa dal socialismo di Stato nel senso comunemente attribuito a tale espressione.

Prego la S.V. Ill.ma di continuare a seguire attentamente gli sviluppi della politica interna di codesto Paese, senza perdere di vista le istruzioni di massima impartite dal R. Ministero con dispaccio n. 207054/C del 3 marzo corrente3 in materia di penetrazione politica nei Paesi dell'America Latina.

315

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T~LESPR. 634/307. Salamanca. 22 marzo 1937 (per. il 27).

Ho l'onore di qui unito trasmettere all'Eccellenza Vostra copia di un rapporto testé inviatomi dal R. Console in San Sebastiano, relativo ad un colloquio da questi avuto con il cardinale Gomà sulla questione basca.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA V ALLETTI ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO,

RAPPORTO 439. San Sebastiano, 21 marzo 1937.

Ho profittato della visita da me fatta ai legionari feriti in Pamplona per andare ad ossequiare il cardinale Gomà, arcivescovo di quella città.

1 L'8 aprile, non essendo ancora pervenuta la risposta da Lisbona, Ciano sollecitava Mameli a comunicare il risultato dei suoi accertamenti (T. 748/47 R.). Per la risposta, si veda il D. 402.

2 T. per corriere 1877/27 R. del 26 febbraio. Riferiva che il presidente Toro gli aveva espresso in termini particolarmente calorosi la sua simpatia per il fascismo che riteneva identificarsi con il socialismo di Stato da lui professato.

3 Non rinvenuto.

Il cardinale mi ha immediatamente parlato della questione basca come quella che gli sta più a cuore. Secondo il cardinale, il cinquanta per cento della responsabilità della situazione basca ricade sul clero. Egli ha insistito sulla cieca «testardaggine» dei preti baschi, aggiungendo che i provvedimenti ecclesiastici non possono riuscire a reagire su di essi. «Se il vescovo li condanna» ha detto testualmente il cardinale «essi si appellano al Papa, se il Papa li condannasse si appellerebbero a Cristo, se Cristo li condannasse si appellerebbero a tutta la Corte celeste».

La questione del clero basco, ha continuato il Cardinale, è fra le più difficili a risolversi. Infatti, politicamente si imporrà -una volta cessata in qualsiasi modo la resistenza basca -un trasferimento dei preti baschi in altre provincie spagnole e la loro sostituzione con curati spagnoli. Ma le autorità ecclesiastiche si dovranno opporre a tale provvedimento che riuscirebbe dannoso per l'esercizio del ministerio speciale a causa della lingua.

Il cardinale mi ha detto inoltre che a quanto gli risulta il generale Franco avrebbe recentemente fatto delle offerte ai baschi per la loro resa. La proposta garantiva la vita ai miliziani e ai capi meno compromessi. I più responsabili avrebbero dovuto emigrare all'estero. Franco, negando qualsiasi autonomia politica, avrebbe per contro offerto alle provincie basche una certa autonomia finanziaria e fiscale. È noto che una delle lagnanze delle ricche provincie basche era quella -nel regime precedente -di dover pagare delle imposte che andavano a vantaggio delle altre provincie. La nuova situazione proposta da Franco avrebbe dato delle garanzie in questo campo. Nessuna concessione e nessuna clemenza sarà usata ai baschi se essi si arrendono dopo la presa di Madrid.

Tramite delle trattative è stato per il governo basco il noto deputato Jauregui e per il governo spagnolo sembrami, per quanto egli non l'abbia detto, lo stesso cardinale Gomà. Le proposte non sarebbero però state accolte dal governo di Bilbao, la maggioranza dei voti del governo essendosi dichiarata contro. Sembra che esse siano state respinte per un sol voto, probabilmente quello di Aguirre.

Il cardinale, rendendosi conto delle difficoltà enormi delle trattative per una soluzione pacifica, ha espresso il suo vivo timore che il problema basco possa finire con una vera e propria carneficina. Il cardinale mi ha lasciato da ultimo intravvedere che egli considererebbe utilissimo un eventuale interessamento del governo italiano per ottenere la pacificazione. Egli ha aggiunto che, dato che la brevità del tempo gli impediva di intrattenersi più lungamente con me sul problema basco, avrebbe avuto piacere se io nei prossimi giorni fossi di nuovo andato a visitarlo.

316

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 1167/580. Vienna, 22 marzo 1937 (per. il 24).

Mi riferisco ai miei telegrammi nn. 78 e 79 del 20 corr. 1 per aggiungere qualche altra impressione comunicatami da Schuschnigg sul suo viaggio a Buda

l Con T. 2040n8 R. del 20 marzo, il ministro Salata aveva riferito in modo sintetico sul colloquio avuto con Schuschnigg al suo ritorno da Budapest e con T. 2041 n9 R., in pari data, aveva dato notizia delle reazioni e dei commenti provocati dal comunicato diramato al termine delle visita del Cancelliere. Il contenuto di entrambi i telegrammi è riportato nel presente rapporto.

pest. Non ripeterò ciò che il Cancelliere mi ha riferito di aver detto al Conte Vinci e che questi avrà a sua volta riferito all'E.V. Dirò, a questo proposito, che Schuschnigg mi ha parlato con molta simpatia del Conte Vinci e del favore che incontrano la personalità e l'opera del nostro ministro nei circoli politici della capitale ungherese.

l. -Poiché continuano negli ambienti diplomatici viennesi le dispute sul comunicato ufficiale delle conversazioni austro-ungheresi 1 , dirò che da parte dei colleghi, più o meno avversi ai Protocolli di Roma e all'asse Roma-Berlino, si manifesta in tali dispute sovra tutto il disappunto per l 'importanza politica assunta dal viaggio del Cancelliere austriaco a Budapest, rappresentato in primo tempo come semplice ricambio quasi privato e protocollare della visita di Daranyi a Vienna.

La così netta riaffermazione della fedeltà ai Protocol!i di Roma e il rilievo dato alla immutata efficacia dei Protocolli nella presente situazione e rispetto ad ogni sviluppo della stessa, hanno trovato la loro espressione e il loro rilievo più notevoli nel telegramma inviato al Duce2 . Tutto ciò ha inquadrato il convegno di Budapest in una cornice troppo ortodossa nei nostri riguardi per consentire ai soliti speculatori la ulteriore supposizione o speranza di deviazioni dei Governi austriaco od ungherese dalla nostra linea che è anche quella dell'accordo Roma-Berlino, non solo conciliabile ma anche coordinato, a traverso l'accordo l l luglio e i colloqui itala-germanici di Berlino e Berchtesgaden, con la linea fondamentale dei Protocolli Romani.

Da questo disappunto e da questa delusione deriva l'insistenza di tali circoli nella critica di alcune formule del comunicato. Ad una di queste critiche ho accennato nel mio telegramma n. 79. In verità, porsi come norma per l'avvenire dei rapporti con gli Stati danubiani lo stabilimento di «relazioni corrette» con quegli Stati è come riconoscere che tali relazioni sarebbero presentemente meno che corrette. Il che contrasta, almeno per ciò che riguarda l'Austria, con la realtà e specialmente con le parole molto cordiali rivolte, come sarà ricordato, il 14 febbraio da Schuschnigg a Praga e a Belgrado3.

Schuschnigg che ha lasciato questa parte del comunicato all'iniziativa e alla formulazione degli ungheresi, ravvisa nella frase poco felice un po' della congenita asprezza di Kanya, che è andata al di là delle stesse sue intenzioni. Egli, infatti, tendeva a crearsi con quel passo del comunicato un ponte allo sperato miglioramento dei rapporti tra l'Ungheria e la Jugoslavia, conseguente ai nuovi accordi politici ed economici tra Roma e Belgrado, dati a Budapest non solo come sicuri, ma anche come imminenti.

Altro rilievo si fà da quei critici al passo dove nel comunicato, ricordandosi il terzo anniversario della firma dei Protocolli di Roma, se ne sottolineano non

1 Il testo del comunicato, diramato il 19 marzo, è in Documenti di Politica Jnterna::ionale, p. 138. 2 Inviato il 19 marzo in occasione del terzo anniversario della firma dei Protocolli di Roma (testo ibid, p. 139).

3 Nel suo discorso al congresso del Fronte Patriottico. (vedi p. 238, nota 3), Schuschnigg aveva detto: «Siamo lieti di poter constatare che Vienna non è separata da Praga e da Belgrado da alcuna divergenza e che le nostre capitali sono legate da amichevoli relazioni».

solo la giusta idea fondamentale e le felici esperienze, ma anche «la immutata validità», quasi che tale valìdità fosse stata in questione e si volesse nel comunicato riconfermarla.

Schuschnigg oppone a questo cavillo, che nessuno affacciò mai dubbi sulla validità e che con quelle parole si è voluto piuttosto accennare a validità operante, cioè nel senso di efficacia, politica e pratica più che giuridica, anche e proprio di fronte ad ogni nuova situazione. Nulla di male, del resto, nella conferma di un concetto se anche chiaro, preciso e da nessuno contestato.

Mi sono soffermato su queste esteriorità formali solo perché deve prevedersi che di tali appunti si faccia eco qualche parte della stampa occidentale e cecoslovacca per cercar così di sminuire l'effetto sostanzialmente favorevole, direi anzi ottimo, prodotto in generale qui dal risultato del convegno di Budapest.

2. -Schuschnigg ha avuto dalle conversazioni con i ministri ungheresi l'impressione che nella situazione interna sia completamente ristabilita la normalità. Nel tentativo del così detto «Putsch» di destra 1 , scoperto e represso in tempo (in proposito il Cancelliere ha avuto molti particolari, più o meno inediti, anche sul modo della scoperta a traverso un genero del generale Roder, particolari che l'E.V. già conoscerà dalle relazioni del R. ministro a Budapest), si è fatto credere a Schuschnigg che, senza escludere qualche concorso di circoli germanici «irresponsabili», avesse parte prevalente l'antisemitismo, fenomeno che si accentuerebbe molto e non solo, come in Austria, nella capitale, ma anche e specialmente in larghe zone rurali in relazione a condizioni sociali ed economiche particolari nelle quali ha parte anche nelle provincie lo sfruttamento giudaico.

Di qui una coincidenza più accentuata del movimento di Destra con il movimento nazionalsocialista, coincidenza che può aver giustificato le prime impressioni di un diretto concorso nazista in quel tentativo di ribellione.

3. -Il presidente del Consiglio Daranyi appare persona non solo grata, ma di grande fiducia del Reggente.

Persona gratissima sarebbe il ministro dei honved generale Roder, al quale si preconizzerebbe per l'avvenire una sempre più decisiva influenza anche sulla politica generale del paese, interna e internazionale: una specie di maresciallo come in Polonia.

4. -Sulla restaurazione Schuschnigg si è limitato a ripetere, di sua iniziativa, il noto suo punto di vista e l'assicurazione, già data in varie riprese a Gombos e Kanya, che in nessun caso l'Austria avrebbe pensato ad affrontare praticamente quel problema senza aver prima preso contatto con tutti gli Stati vicini. Fra questi l'Ungheria sarebbe, dopo Roma e Berlino, la prima, siccome quella che, per ragioni storiche del più vicino passato e per ragioni politiche attuali, sarebbe la più direttamente interessata. Gli ungheresi sarebbero rimasti completamente soddisfatti. 'a

t Vedi D. 241.

I rapporti tra l'Ungheria e l'Italia, almeno nel tono delle conversazioni sono apparsi a Schuschnigg, se mai, anche migliori, piu calorosi, che al tempo di G6mb6s.

I rapporti con la Germania pur essendo sempre amichevoli, sarebbero ora alquanto «raffreddati». Non tanto in conseguenza di eventuali sospetti di partecipazione al recente tentativo di «Putsch», quanto per due altre cause piu concrete: a) la delusione per atteggiamenti incerti e anche negativi della Germania rispetto alla politica revisionistica dell'Ungheria (note parole di Goring e noti articoli di G6bbels) 1; -e sovra tutto b) le agitazioni e la propaganda pangermanista tra le minoranze tedesche dell'Ungheria. In quest'ultimo proposito gli ungheresi, e specialmente Kanya, sarebbero molto irritati.

5. --Quest'ultima irritazione spiega l'unanimità di austriaci e ungheresi nell'affermare, come fa il comunicato, che i Protocolli romani sono, oltre al resto, la migliore garanzia per lo sviluppo pacifico della Medieuropa e la tutela piu sicura contro ogni turbamento che ne venisse tentato. - 6. --Per ciò che spetta al «graduale» raggiungimento di migliori rapporti con gli altri Paesi danubiani, che è forse almeno in questa forma, il punto piu nuovo del comunicato di Budapest, Schuschnigg mi ha assicurato che nulla di preciso vi è preso in vista. Solo mi ha fatto rilevare che, gli ungheresi han parlato piu specialmente della Jugoslavia ed egli, Schuschnigg, ha, più che parlato, pensato più specialmente alla Cecoslovacchia. Ognuno dei due ha pensato allo Stato col quale ha ora rapporti per sè piu delicati e maggiore utilità a migliorarli.

Purtroppo, mentre l'Ungheria conta di avvantaggiarsi dei nuovi accordi che l'Italia sta per stringere con la Jugoslavia, l'Austria non vede analoga possibilità nei riguardi della Cecoslovacchia. Quelli che vorrebbero non disinteressatamente spianare la via verso Praga, non solo non si trovano sulla linea dei Protocolli romani, ma stanno in antitesi con la linea Roma-Berlino. Budapest trova a spianarle la strada verso Belgrado Roma e non ci trova contro Berlino. Vienna non ha per sè, sulla strada verso Praga, Roma e ci trova contro Berlino.

In generale, i rapporti tra Praga e Berlino preoccupano molto il Cancelliere Federale. Pur escludendone la possibilità nell'immediato avvenire, questo sentir parlare, di continuo, di una marcia germanica dentro la Boemia, gli prospetta una situazione delicatissima, che metterebbe a ben dura prova lo stesso Accordo dell'l l luglio. Egli non ha voluto per ora approfondir~l'argomento, nella fiducia che tale per lui dannata ipotesi sia fuori d'ogni possibilità oggi prevedibile.

1 Vedi D. 111.

Ma è problema da porre in prima linea per le prossime conversazioni con Schuschnigg, anche perché non sono per ovvie ragioni identici, tra l'Austria e Ungheria, i punti di vista circa l'esistenza e l'integrità della Cecoslovacchia.

7. -Sebbene qualche giornale viennese riparli ancora del viaggio di Miklas a Budapest per l'aprile, confermo quanto ho comunicato col telegramma n. 78. Col pretesto che gli appartamenti del Castello di Buda a lui destinati non sono facilmente riscaldabili (si pensa involontariamente alla stessa scusa messa innanzi da Belgrado per ritardare il viaggio di Benes), ma in verità perché non si è riusciti a protrarre, se non a far abbandonare, una visita di caccia di Goring in Ungheria, concordata già da tempo il 20-30 aprile, il viaggio del Presidente federale al Reggente è stato fissato tra Daranyi e Schuschnigg per la prima settimana di maggio.

Gli ungheresi desideravano che Schuschnigg ritornasse a Budapest con Miklas. Ma il Cancelliere ha fatto questa anticipata visita per liberarsene. Spera che gli ungheresi non insistano e che si accontentino di avere al seguito del Presidente Federale il segretario di Stato agli Esteri Dr. Schmidt.

8. -Più per ragioni parlamentari e per riguardo ai colleghi di Gabinetto, Daranyi ha desiderato che partecipassero a parte delle conversazioni, oltre a Kanya, anche i ministri delle Finanze e del Commercio e Industria e il segretario di Stato per l'Agricoltura. Ogni accordo concreto su materie economiche è stato rimesso a successive trattative tra i funzionari tecnici delle due parti. Gli ungheresi -mi ha osservato sorridendo Schuschnigg -sono contenti delle prospettive dei raccolti e pensano ormai come far rendere il più possibile il loro grano, a spese di Vienna e di Roma.

Sui commenti della stampa riferisco separatamente 1•

317

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 2103/288 R. Salamanca, 23 marzo 1937, ore 12,45 (per. ore 0,05 del 24).

Mio telegramma n. 2762 . Franco ha domandato vedermi. Ho premesso che non (dico non) sono autorizzato trattare questioni militari.

Mi ha pregato allora ascoltare onde riferire. Riassumo dichiarazioni durate tre ore:

l) Franco ha illustrato motivi tattici, psicologici, logistici e di comando per i quali secondo lui azione Guadalajara sarebbe fallita. Ha concluso che in proposito

I Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 311.

ha scritto lettera al Duce tramite Villegas 1• Suo linguaggio è stato strettamente tecnico. Ha molto accentuato scarso addestramento di alcuni reparti ed alcuni ufficiali.

2) Circa mancato attacco spagnoli sullo Jarama otto marzo ha ripetuto quanto avevami fatto indirettamente pervenire (vedi mio telegramma n. 272) 2 . A mia domanda ha però riconosciuto che generale Orgaz, dal momento che non (dico non) aveva altra forza per attaccare, avrebbe dovuto avvertirne Colli invece di tacere fino ultima ora: per tale reticenza è stato esonerato. Ha insistito che mancanza attacco spagnolo non (dico non) avrebbe provocato trasporto di rinforzi rossi sul fronte italiano come noi riteniamo.

3) Valutazione intrinseca che Franco fa della nostra offensiva rientrata è di episodio sfortunato senza ripercussioni gravi sul corso generale delle operazioni. Ho preso atto.

4) Circa situazione militare, Franco considera pessimistici giudizi dell'ambasciatore generale Faupel, di cui ai miei telegrammi 264 e 279 3 . Dichiara che pessimismo dello Stato Maggiore germanico è eccessivo. Sua opinione nemico avrà benefici morali transitori del suo successo Guadalajara ma essi non (dico non) potranno durare perché situazione rossi aggravasi ogni giorno.

Ha precisato quanto alla superiorità materiale nemica che essa è indiscutibile anche se non schiacciante come ritengono i tedeschi. Per impedire che si accresca progressivamente, Franco ritiene che sarà necessario Italia Germania sia pure copertamente non (dico non) applichino blocco come Francia, Russia già fanno. Ha chiarito non (dico non) avere bisogno di uomini ma solo di materiale bellico e forse di ufficiali per poter chiamare alle armi sue classi già istruite e finora non utilizzabili per mancanza armamenti. Per armamenti egli intende fucili, munizioni, mitragliatrici, munizioni, artiglierie leggere, munizioni, oltre aeroplani, carri armati. Ove questi mezzi gli fossero assicurati da Italia Germania, egli sarebbe sicuro di poter presto ristabilire equilibrio a vantaggio Nazionali. Mostrasi estremamente fiducioso nella vittoria finale.

5) Ritiene opinione pubblica nazionalista non (dico non) depressa ma preoccupata e afferma doverle dare prossimamente seria soddisfazione militare onde evitare scoraggiamento.

Fin qui colloquio.

Dai motivi insoliti toccati oggi da Franco, nonché dalla atmosfera non chiara del suo Stato Maggiore e dei dirigenti politici che lo circondano, controllano, dirigono, ho tratto ancora impressioni e sensazioni che mi convincono senz'altro sottoporre rispettosamente a V.E. opportunità che venga inviato al più presto generale Corpo d'Armata ai fini indicati nel mio telegramma n. 276.

1 La lettera, datata 19 marzo, era di presentazione del colonnello Villegas, incaricato di fare una relazione sull'accaduto e di esporre l'opinione di Franco circa i modi per porvi riparo. Nella lettera Franco qualificava la battaglia di Guadalajara come un semplice incidente (contratiempo) subìto dalle truppe volontarie, mentre indicava «la sgradevole ripercussione che nella propaganda rossa avrà la circostanza della cattura al nemico di un paio di centinaia di prigionieri e di una certa quantità di materiale».

2 T. segreto non diramare 2039/272 R. del 21 marzo. Riferiva su le spiegazioni che da parte spagnola venivano date al mancato coordinamento nell'azione di Guadalajara. 3 Vedi DD. 297 e 312.

318

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 2093/85 R. Ankara, 23 marzo 1937, ore 16,10 (per. ore 17,30).

Aras mi ha informato che iersera questo incaricato d'affari di Spagna 1 gli aveva fatto conoscere che Spagna aveva portato a conoscenza della S.d.N. 2 presenza truppe regolari italiane in Spagna considerando ciò violazione dell'articolo 10 del Covenant. Chiedeva perciò convocazione straordinaria Consiglio S.d.N.

Sembra che U.R.S.S. inciti appoggiare domanda di convocazione. Incaricato d'affari ha chiesto benevolmente appoggio turco. Aras mi dichiarava aver risposto che Turchia rispetterà come osservatrice suoi impegni. Articolo 2 del Patto di amicizia italo-turco 3 gli vietava prendere qualsiasi attitudine meno che amichevole verso l'Italia. Pertanto se riunione dovesse aver luogo e Turchia vi partecipasse sua attitudine non potrebbe essere che amichevole per l'Italia.

Aras ha aggiunto che confidava che tale sua risposta potesse influire su quella degli aneati balcanici tanto più poi che risposta da lui data era consona allo spirito delle decisioni prese nella riunione di Atene 4 .

Ho assicurato Aras che avrei senza indugio portato a conoscenza dell'E.V. sua risposta. Ne apprezzavo tutto suo valore nel quadro del rinnovato spirito della amicizia italo-turca da lui osservato con tanta ferma lealtà.

319

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 2102/42 R. Bruxelles, 23 marzo 1937, ore 20,40 (per. ore _24). Mio telegramma n. 41 5 .

Da fonti molteplici mi è stato confermato che il Quai d'Orsay agirebbe sempre più presso il Foreign Office, che già per suo conto sarebbe in questi ultimi tempi

l M.R. Begona y Calderon. 2 Con nota del 13 marzo. 3 Trattato di neutralità e regolamento giudiziario fra Italia e Turchia del 30 maggio 1928 (testo in

Trattati e convenzioni, vol. XXXVIII, pp. 111-118), prorogato di tre anni con protocollo del 25 maggio 1932 (testo ihid., vol. XLIV, pp. 335-336), prorogato al 29 aprile 1942 con scambio di note in data 31 maggio 1934 (testo ihid., vi. XLVIII, pp. 150-151).

4 Riferimento alla conferenza dell'Intesa Balcanica del 15-18 febbraio precedenti. Vedi D. 180.

5 T. 2068/41 R. del 22 marzo. Riferiva che, secondo quanto gli aveva dichiarato il segretario generale del ministero degli Esteri belga, Van Langenhove, re Leopoldo nel suo prossimo viaggio a Londra si sarebbe limitato a sostenere, nelle sue grandi linee, la politica da lui indicata nel discorso del 14 ottobre precedente senza però prendere iniziative concrete.

divenuto particolarmente diffidente verso la Germania, per una maggiore circospezione nella questione dei limiti relativi neutralità volontaria del Belgio. Francia sosterrebbe, in relazione garanzia unilaterale promessa al Belgio, tanto la permanente necessità di scambio di vedute tra gli Stati Maggiori, quanto la compatibilità degli obblighi derivanti dall'articolo 16 del Covenant con lo Statuto di neutralità volontaria desiderata dal Belgio.

Mentre per la prima questione vi sono qui correnti disposte ad ammettere, sotto determinate condizioni, possibilità di scambio di vedute di carattere tecnico fra Stati Maggiori Paesi limitrofi e garanti, per la seconda questione permane punto di vista esposto con il mio telegramma per corriere 013 del 12 corrente1 .

Voci, secondo le quali Re Leopoldo tratterebbe a Londra entrambe questioni, mi sono state di nuovo nettamente smentite iersera da personaggio di Corte. Tuttavia è da ritenere che S.M., di fronte incertezza esistente nel suo governo fra la parte cristiano-sociale, ligia al mantenimento integrale della sicurezza collettiva, e quella cattolico-fiamminga desiderosa trarre ogni logica conseguenza dal discorso de Re dell'ottobre, voglia rappresentare a Londra integralmente problema sicurezza belga sotto un punto di vista «nazionale», nella speranza di ottenere affidamenti atti ad accelerarne soluzione (mio telegramma n. 40 del 17 corrente)2•

320

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2110/225 R. Londra, 23 marzo 1937, ore 23,05 (per. ore 5 del 24).

Segnalo all'E.V. miei fonostampa di ieri n. 81 e 823 .

Tendenziosità e ostilità della stampa inglese verso l'Italia anziché diminuire è senza dubbio aumentata negli ultimi giorni. Mentre comunicati del governo Salamanca sono ridotti a poche righe o addirittura soppressi, tutte le perfide menzogne provenienti da governo social-comunista Madrid e contenenti ingiuriose falsità sul comportamento nostri volontari sono riportate in grassetto a colonne intere, presentate e accreditate con titoli e sottotitoli, i quali sotto ipocrita veste di notiziario rivelano un indirizzo generale di tendenziosità e di aperta ostilità contro l'Italia e contro il Regime.

Il rancore accumulato per la sconfitta africana e mediterranea del 1936 si traduce durante questi giorni in una specie di compiacimento velenoso per le asserite difficoltà che secondo giornali inglesi l'Italia fascista incontrerebbe nella sua azione militare in Spagna. Tutto ciò non è limitato soltanto ai soliti circoli di sinistra liberali e laburisti ma si estende anche a parecchi conservatori, i quali non esitano

1 Vedi D. 225, che è del 2 marzo. 2 Vedi D. 287. Su la visita a Londra di Re Leopoldo, si vedano i DD. 326 e 362. 3 Non pubblicati.

a dichiarare che una Spagna comunista, controllata dalla Russia lontana, è preferìbile ad una Spagna fascista alleata dell'Italia e della Germania.

È superfluo dire a V.E. che da una settimana a questa parte nulla ho lasciato intentato per cercare di arrestare e contenere particolarmente fra i conservatori questa ondata facinorosa, antifascista, velenosa e epidemica, e continuo a svolgere ogni possibile azione in questo senso, cercando aprire gli occhi questa stampa sui pericoli verso cui minaccia di trascinarli la loro cecità fanatica e settaria.

Ho creduto mio dovere protestare ieri di nuovo con Eden per il tono intollerabile della stampa inglese ed ho ripetuto stamane la mia protesta con Plymouth. Segue rapporto 1 .

321

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AL MINISTRO A VIENNA, SALA T A

T. 629/52 R. Roma, 23 marzo 1937, ore 24.

V.S. avrà rilevato come stampa internazionale abbia unanimemente interpretato ultimi incidenti 2 come una manifestazione politica contro l'Italia fascista. Sarà bene, se non l'ha già fatto, che Ella richiami su di ciò seriamente attenzione Cancelliere 3 .

322

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTO LI CO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1359/422. Berlino, 23 marzo 1937 (per. il 25).

Ho avuto ieri una conversazione col signor Megerle, collaboratoratore di politica estera della Berliner Borsen Zeitung e che, sia per le sue qualità personali -egli è ritenuto il miglior giornalista tedesco del momento -sia per le sue relazioni con i circoli di governo, rappresenta uno dei principali strumenti politico-propagandistici del Regime. Appunto per questo egli è stato, d'accordo fra l'Auswartiges Amt ed il ministero della Propaganda, posto alla testa del movimento

t Vedi d. 380.

2 Si riferisce agli incidenti avvenuti a Vienna il 21 marzo, in occasione della partita di calcio tra le nazionali d'Austria e d'Italia. Diversi giornali stranieri avevano indicato quegli incidenti come rivelatori dei veri sentimenti del popolo austriaco nei confronti dell'Italia.

3 Il giorno successivo, Salata compiva il passo prescrittogli presso Schuschnigg che, scartata l'ipotesi di un comunicato ufficiale che avrebbe dato un peso eccessivo alla cosa, faceva pubblicare sulla ufficiosa Reichspost un articolo per smentire che quegli incidenti avessero rivestito un significato politico (T. 2159/85 R. del 25 marzo).

per il riavvicinamento culturale austro-tedesco, ed incaricato di dare seguito e forma agli accordi presi in materia nella sua recente visita a Vienna da von Neurath.

Parlando degli accordi stessi e riannodandoli a quelli generali dell' 11 luglio, il Me gerle si è dichiarato convinto sostenitore della «politica Neurath », dei metodi -cioè -suasivi e concilianti, in antitesi con quelli aggressivi che per la loro stessa irruenza sono suscettibili di portare a reazioni non desiderate, né desiderabili. Secondo il Megerle, l'unico elemento fattivo ed attivo in Austria rimane naturalmente sempre quello nazionalsocialista, ma ha aggiunto di avere egli stesso avuto a Vienna contatti coi maggiori esponenti dei circoli nazionalsocialisti in Austria, e di averne avuto l'impressione che anche essi sono ormai convinti e quindi guadagnati alla causa della politica di penetrazione amichevole, lenta, graduale e pro tanto sicura.

A riprova di questo, il Megerle ha richiamato la mia attenzione sul contegno di estrema riserva mantenuto dalla stampa tedesca sugli ultimi avvenimenti austriaci (allontanamento del ministro dell'Interno signor Neustiidter-Stiirmer e sua pratica sostituzione coll'ex capo della Polizia, signor Skubl, noto per i suoi sentimenti antinazionali tedeschi) tenendo a specificare che l'atteggiamento in materia dell'organo del Partito, Volkischer Beobachter (articolo del 21 corrente) era l'effetto di istruzioni impartite da lui stesso.

lo ho detto che avevo notato tutto questo e me ne compiacevo ma che, avendo parlato in argomento anche von Neurath, mi ero convinto che l'atteggiamento stesso doveva avere spiegazioni e giustificazioni concomitanti, da ricercarsi in altri campi e settori della politica estera.

Il Megerle lo ha senz'altro riconosciuto, dichiarando che, effettivamente, ~ situazione austriaca e, quindi lo stesso contegno della Germania nei suoi riguardi, era dominato -ed è su questo punto specialmente che mi permetto attirare l'attenzione di V.E. -da considerazioni ed esigenze d'ordine ancora più generale, che si riconnettevano alle preoccupazioni per un possibile riavvicinamento austro-cecoslovacco.

Il signor Megerle mi ha quindi confermato che, durante le sue ultime visite a Vienna infatti, egli stesso aveva avuto la sensazione netta di rimescolii interni e di tendenze incomposte ed incerte, ma comunque già evidenti, verso orientamenti nuovi di politica estera. Egli afferma che effettivamente, in Austria, si sta adesso accentuando la tendenza ad accordi con Praga, a cui si guarda come al centro di un possibile asse trasversale Parigi-Praga in concorrenza, se non in antitesi, con l'asse Roma-Berlino. Il Megerle sostiene che i grandi riarmamenti, francesi da una parte ed inglesi dall'altra, non sono rimasti senza effetto sui circoli viennesi, i quali li sfrutterebbero ai propri fini, insinuando e creando dei dubbi sulla opportunità di persistere negli orientamenti vecchi. Un siffatto movimento farebbe capo al signor Hornbostel, segretario generale del ministero degli Affari esteri, il quale d'altra parte non avrebbe mai fatto segreto, anche in periodi anteriori, delle sue tendenze verso Praga da una parte e Parigi-Londra dall'altra. Il Megerle parlava anche al riguardo di «proiezioni» verso la Croazia come di elemento della nuova situazione ora in sviluppo a Vienna.

Senza entrare nel merito della situazione che ho dichiarato di non conoscere a fondo, io ho colto l'occasione per fare presente al Megerle come le notizie che egli mi dava di un rafforzamento delle tendenze austriache favorevoli ad un riavvicinamento con la Cecoslovacchia costituiscano la prova patente di una verità che la Germania non ha mai voluto comprendere, cioè che l'influenza italiana a Vienna è in fondo quella che più conviene persino agli stessi tedeschi, ogni attenuazione di quella influenza non potendo che risolversi a vantaggio di linee e direzioni contrarie ai più vitali interessi della Germania.

Quanto ai propositi enunciatimi per la sua attività nel campo «culturale» austro-tedesco, ho poi detto al Megerle che prendevo atto con compiacimento degli intendimenti stessi e che anzi, al suo prossimo viaggio a Vienna, lo avrei fornito di una presentazione personale per il nostro ministro senatore Salata, in modo da metterlo in condizione di lavorare per un riavvicinamento culturale austro-tedesco in pieno contatto col rappresentante dell'Italia 1•

323

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AI MINISTRI A BUDAPEST, VINCI, E A VIENNA, SALATA

T. 638/66 (Budapest) 53 (Vienna) R. Roma, 24 marzo 1937, ore 14.

Ho informato questo ministro d'Austria (di Ungheria) del mio viaggio a Belgrado. Di recente avevo avuto modo in più occasioni di metterlo al corrente del miglioramento che si veniva operando tra Italia e Jugoslavia. Nella mia conversazione odierna gli ho comunicato che tale miglioramento aveva trovato sua espressione in due accordi, uno politico e uno economico, già definiti e che saranno firmati a Belgrado in occasione della mia visita, dal Presidente Stojadinovic e da me. Tosto che la firma sia avvenuta, essi saranno comunicati a titolo amichevole a codesto governo.

Tanto l'accordo politico quanto quello economico tengono conto della situazione geografica dei due Paesi, della esistenza di molti interessi in comune e della complementarietà delle loro economie. Coll'accordo politico i due Paesi si impegnano al rispetto delle frontiere comuni e nel caso in cui uno di essi fosse oggetto di una aggressione non provocata l'altro si impegna a non favorire l'aggressore. Altre disposizioni sono intese ad assicurare lo sviluppo dei rapporti e la collaborazione dei due Paesi.

L'accordo economico si riattacca e allarga il criterio che aveva presieduto alla conclusione dei precedenti accordi del genere tra Italia e Jugoslavia e i due Paesi si accordano di accrescere i traffici rispettivi mediante un progressivo e opportuno allargamento dei contingenti. Esso è inteso come una base preliminare di una collaborazione economica ancora più stretta.

* Tanto l'accordo politico che l'accordo economico si completano a vicenda. Essi sono stati concepiti avuto riguardo ai rapporti non solo tra Italia e Jugoslavia, ma altresì ai rapporti tra Italia e Austria (Ungheria). Nella loro concezione e nella loro

I Il documento ha il visto di Mussolini.

385 definizione sono stati tenuti presenti dal lato politico e da quello economico lo spirito e le disposizioni dei Protocolli di Roma e a queste disposizioni e a tale spirito si avrà riguardo nella loro applicazione pratica. Così, il governo italiano tra l'altro vedrà con piacere (e in tal senso mi sono espresso e mi esprimerò con Belgrado) il miglioramento dei rapporti sia politici che economici fra Jugoslavia e Austria (Ungheria).

Quanto precede per informazione di V.S. e perché Ella ne faccia oggetto di apposita comunicazione a voce a codesto ministro degli Esteri, mettendo in rilievo soprattutto quanto si riferisce al nesso fra gli accordi colla Jugoslavia e i Protocolli di Roma.

Comunicazione dovrà rimanere confidenziale fin quando gli accordi non saranno stati firmati. *1•

324

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AL MINISTRO A BERLINO, ATTOLICO

T. 639/127 R. Roma, 24 marzo 1937, ore 12, 15.

Ho informato questo ambasciatore di Germania del mio viaggio a Belgrado. Di recente avevo avuto modo in più occasioni di intrattenermi con lui sul miglioramento che si veniva operando fra l'Italia e la Jugoslavia. Nella mia conversazione di ieri, gli ho comunicato che tale miglioramento aveva trovato la sua espressione in due accordi: uno politico e uno economico, già definiti e che saranno firmati a Belgrado in occasione della mia visita dal presidente Stojadinovic e da me. Oggi ne sarà rimessa una copia a titolo amichevole a questa ambasciata tedesca.

Coll'accordo politico i due Paesi si impegnano al rispetto delle frontiere comuni e nel caso in cui uno di essi fosse oggetto di un'aggressione non provocata, l'altro si impegna a non favorire l'aggressore. Altre disposizioni sono intese ad assicurare lo sviluppo dei rapporti e la collaborazione dei due Paesi.

L'accordo economico si riattacca e allarga il criterio che aveva presieduto alla conclusione di precedenti accordi del genere tra l'Italia e la Jugoslavia; e i due Paesi si accordano di accrescere i traffici rispettivi.

Tanto l'accordo politico che l'accordo economico si completano a vicenda. L'anomala situazione di una Jugoslavia che si appoggiava per la sua sicurezza

1 Analoga comunicazione fu fatta lo stesso giorno all'ambasciata ad Ankara (T. 636/44 R.) e alla legazione ad Atene (T. 636/48 R.), salvo per l'ultima parte del telegramma-indicata tra gli asterischi che era del seguente tenore: «Tanto l'accordo politico che l'accordo economico si completano a vicenda. Essi sono stati concepiti avuto riguardo ai rapporti non solo tra Italia e Jugoslavia ma altresì ai rapporti tra l'Italia ed altri Paesi e tra questi la Grecia (la Turchia) che con l'Italia ha più amichevoli relazioni, che è proposito del governo italiano non solo mantenere ma sviluppare e su cui gli attuali accordi con la Jugoslavia sono destinati per loro natura ad avere favorevoli ripercussioni. Quanto precede per informazione di V.E. (V.S.) e perché Ella ne faccia oggetto di apposita comunicazione a voce a codesto ministro degli Esteri. Comunicazione dovrà rimanere confidenziale fin quando gli accordi non saranno firmati».

Per il seguito, si vedano i DD. 331 (da Vienna), 348 (da Atene) e 353 (da Ankara). Non è stata trovata comunicazione in proposito da Budapest.

sulla Francia e, in genere, sul sistema della sicurezza collettiva, subisce colla loro conclusione una forte deviazione, che è destinata per forza di cose ~ e se gli accordi si applichino nello spirito in cui sono stati concepiti ~a diventare sempre maggiore, e a trasportare la Jugoslavia in un campo sempre più rispondente ai suoi veri interessi e alla sua posizione geografica, in più stretta connessione quindi coll'Italia e la Germania, come è stato ripetutamente rilevato nei colloqui che, a suo tempo, ho avuto al riguardo con Goering e Neurath.

Quanto precede per informazione dell'E.V. e perché Ella ne faccia oggetto di comunicazione a voce a codesto ministro degli Esteri, comunicazione che dovrà rimanere confidenziale fin quando gli accordi non saranno stati firmati.

325

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. 737/20 R. Roma, 24 marzo 1937, ore 18.

Ho approfittato della presenza di codesto ministro degli Esteri 1 per informarlo del mio viaggio a Belgrado. Gli ho detto che il miglioramento che da tempo si veniva operando tra Italia e Jugoslavia e di cui avevo avuto occasione di tener parola a questo ministro di Albania 2 aveva trovato sua espressione in due accordi, uno politico e uno economico, già definiti e che saranno firmati a · Belgrado in occasione della mia visita dal Presidente Stojadinovic e da me. Tosto che la loro firma sia avvenuta essi saranno comunicati a titolo amichevole a codesto governo.

Tanto l'accordo politico quanto quello economico tengono conto della situazione geografica dei due Paesi, della esistenza di molti interessi in comune e della complementarietà delle loro economie. Coll'accordo politico i due Paesi si impegnano al rispetto delle frontiere comuni e nel caso in cui uno di essi fosse l'oggetto di una aggressione non provocata l'altro si impegna a non favorire l'aggressore. Altre disposizioni sono intese ad assicurare lo sviluppo dei rapporti e la collaborazione dei due Paesi.

L'accordo economico si riattacca e allarga il criterio che aveva presieduto alla conclusione dei precedenti accordi tra Italia e Jugoslavia e impegna i due Paesi all'aumento dei traffici rispettivi mediante un progressivo e opportuno allargamento dei contingenti.

Tanto l'accordo politico che l'accordo economico si completano a vicenda. Essi sono stati concepiti avuto riguardo ai rapporti non solo tra Italia e Jugoslavia, ma altresì ai rapporti tra Italia ed altri Paesi specie l'Albania con cui l'Italia è in così strette relazioni d'amicizia.

I Il ministro Libohova si era fermato alcuni giorni a Roma in forma privata, di ritorno da un suo viaggio a Parigi.

2 Non è stata trovata documentazione in proposito.

Italia e Jugoslavia si sono anzi scambiate delle precise dichiarazioni relative al rispetto della sovranità, della indipendenza politica e della integrità territoriale dello Stato albanese 1• Queste dichiarazioni contenute in lettere segrete ma il cui contenuto sarà portato confidenzialmente a conoscenza di codesto governo si inspirano al criterio di eliminare ragioni di malintesi e di attriti per modo che i rapporti con l'Albania e i suoi interessi politici ed economici abbiano a trovare (come è mio fermo intendimento) ogni possibile vantaggio.

Quanto precede per Sua informazione e perché Ella ne faccia oggetto di apposita comunicazione a voce a Re Zog, richiamandosi alla mia conversazione con Libohova. Comunicazione dovrà avere carattere confidenziale 2 .

326

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 2129/43 R. Bruxelles, 24 marzo 1937, ore 24,40 (per. ore O ~O del 25). Mio telegramma n. 423.

Mi risulta che Re Leopoldo, più che discutere le due questioni di cui al mio telegramma predetto, ha rappresentato nel modo più reciso ad Eden la volontà del Belgio di porre fine agli impegni derivantegli dagli accordi di Londra del 19 marzo scorso4 . Sua Maestà avrebbe chiaramente detto che in una eventuale guerra franco-tedesca, in cui non venisse invaso il Belgio, il popolo belga si rifiuterebbe assolutamente di prendere le armi. Questa «situazione di fatto» doveva dunque prevalere contro qualsiasi apparente responsabilità giuridica che si volesse per avventura dedurre per il Belgio dagli accordi di Londra; che ad ogni modo il Belgio, che ha sempre dato a detti accordi un mero valore transitorio, era pronto a denunziarli per conto proprio qualora Londra e Parigi non gli venissero prontamente incontro con una comune dichiarazione nel senso desiderato da Bruxelles.

Eden avrebbe assentito e promesso; ed anche la Francia pare finalmente impegnata in modo analogo.

Sulla questione generale della sicurezza belga, che questo governo comincia a considerare in modo anche più radicale di quanto non trasparisse dal discorso del Re dell'ottobre scorso (esso non vorrebbe più partecipare a nessuna nuova Locarno, pago di una situazione analoga a quella dell'Olanda, con eventuale garanzia unilaterale) riferisco con telegramma per corriere5 su cui mi permetto attirare attenzione di V.E.

I Vedi D. 340, lettera C. 2 Per la risposta si veda il D. 342.

3 Vedi D. 319. .

4 Si riferisce al progetto di accordo tra le Potenze locamiane presentato il 19 marzo 1936 da Belgio, Francia, Gran Bretagna e Italia (testo in BD, vol. XVI, D. 146).

5 Vedi D. 328.

327

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2148/233 R. Londra, 24 marzo 1937, ore 22,45 (per. ore 6 del 25).

Con mio telegramma per telefono 232 1 ho trasmesso resoconto seduta di ieri. Come V.E. avrà rilevato, discussione ha superato in asprezza tutte le sedute che hanno avuto luogo sino ad ora. Manovra rappresentanti inglese, francese e russo si è delineata chiaramente sin da principio. Nei giorni scorsi governi inglese e francese hanno fatto dirette pressioni a Mosca scopo che il governo sovietico receda dal suo atteggiamento intransigente e consenta nomina sottocommissione, richiesta dai tedeschi e da noi, per esame questione oro Banca Spagna. Scopo evidente di valersi di questa dimostrazione di arrendevolezza russi per vincere resistenza da noi fatta sulla questione ritiro volontari e per fare adottare anche per quest'ultima identica procedura di quella adottata per la questione oro. Plymouth ha proposto infatti senz'altro nomina Sottocommissione tecnica per esame questione ritiro volontari.

Mi sono opposto risolutamente alla discussione di questa questione, secondo le istruzioni ricevute.

Rappresentante sovietico si è allora rivolto direttamente a me, domandandomi con insinuazione palese, se Italia intendesse venire meno alla proposta fatta nelle sue note 5 e 25 gennaio us. 2 che i volontari italiani si ritirassero da Spagna.

Ho risposto seccamente al rappresentante sovietico che non avevo nulla da aggiungere alla dichiarazione già fatta ed ho aggiunto che alla sua domanda diretta non potevo se non rispondere «Sono sicuro che nessuno dei volontari italiani in Spagna avrebbe consentito lasciare territorio spagnolo prima che la guerra civile sia termina t a»3 .

Discussione tempestosa che è seguita (e durante la quale rappresentanti francese russo e inglese si sono spinti fino a pronunciare parole di velata minaccia), ha rivelato chiaramente quale era il giuoco antifascista preparato dagli inglesi, francesi e russi:

l) Fare una decisa pressione sull'Italia per costringerla ad accettare discussione sul problema ritiro dei volontari.

2) Sfruttare una nostra eventuale adesione al ritiro volontari presentando nella stampa e opinione pubblica internazionale il ritiro volontari italiani come conseguenza fatale e necessaria della pretesa sconfitta italiana in Spagna.

3) Tentare di dividere su questo punto l'Italia da Germania.

l Nota dell'Ufficio Cifra: «non risulta giunto all'Ufficio Cifra». Un'annotazione inserita nella raccolta telegrammi dice: «il T. 232 da Londra è stato annullato dall'ambasciata».

2 Vedi rispettivamente i DD. 22 e 87.

.l In un telegramma con cui riferiva in modo più ampio sull'andamento della seduta (T. 2138/236

R. del 24 marzo), Grandi così riportava «testualmente» la sua dichiarazione: «Poiché il rappresentante sovietico mi ha rivolto diretta domanda. desidero dichiarargli che io spero e sono sicuro che non un solo volontario italiano lascerà la Spagna prima che la guerra sia terminata».

Seduta si è sciolta dopo sette ore di acre discussione alla fine della quale Plymouth ha concluso che esame questione ritiro volontari rimaneva per il momento sospesa.

Dopo la seduta, Plymouth è venuto a parlarmi dichiarandosi principalmente dolente della necessità in cui egli si era trovato di osteggiare la mia azione ma che il governo britannico, premuto dall'ambiente non certo favorevole alla Italia che è alla Camera dei Comuni, si trovava nella necessità tenere questa attitudine.

Ho ribattuto a Plymouth che l'intollerabile campagna governativa e di opposizione, deliberatamente indirizzata offendere con ogni sorta di tendenziose menzogne i più sacri sentimenti del popolo italiano, senza che da parte del governo britannico si sia fatto nulla per impedirla e contenerla, sta determinando fra i due nostri Paesi insolita situazione di cui non all'Italia resta tutta intera la responsabilità. Ho aggiunto che per quanto riguarda Italia fascista niente meglio della discussione di oggi poteva essere più istruttivo e rivelatore di quelle che sono le vere finalità della polemica nei riguardi dell'Italia.

Come V.E. avrà rilevato dal mio fono stampa stamane 83 1 la mia ferma risoluta attitudine di ieri, sebbene completamente travisata dalla cronaca malevola e tendenziosa, è valsa a spostare sul tema della intransigenza italiana la velenosa campagna antifascista sui pretesi insuccessi militari in Spagna. La perfida insinuazione del rappresentante sovietico nel Comitato sui nostri insuccessi e quelle ancora più esplicite di certi deputati antifascisti alla Camera dei Comuni (mio telegramma

n. 229)2 richiedono pertanto una pronta e precisa risposta.

Rabbiosa concordata reazione dei rappresentanti russo, francese ed inglese, nonché della stampa antifascista di fronte alla nostra azione di ieri, è la migliore prova che essa ha colto nel segno.

328

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2259/020 R. Bruxelles, 24 marzo 1937 (per. il 29).

Mio telegramma n. 43 3 . Sempre più trasparente diviene il progressivo cambiamento del punto di vista di questo governo circa il complesso problema della sicurezza del Paese.

Quanto era stato previsto in dipendenza del discorso reale del 14 ottobre, può dirsi ormai sorpassato e, sebbene le nuove idee non siano ancora perfettamente definite, pure possono così essere rappresentate le finalità a cui attualmente si tende:

l) l'immediato ottenimento dalla Francia e dall'Inghilterra di una comune pubblica dichiarazione constatante la fine degli obblighi derivanti al Belgio dagli

I Non pubblicato.

2 T. 2112/229 R. del 24 marzo. Riferiva su un'interrogazione alla Camera dei Comuni del laburista Henderson che aveva usato frasi ironiche a proposito degli insuccessi dei volontari italiani in Spagna.

3 Vedi D. 326.

accordi di Londra del marzo 19361 , i quali supponevano, da parte del Belgio, reciprocità di garanzie.

Come V.E. lo ricorderà, questa domanda fu già rivolta da van Zeeland ad Eden nella visita da lui fatta a Londra nel dicembre scorso: e ne è oggetto il mio telegramma n. 222 del 2 dicembre 1936 2 .

In generale, qui si è sempre ritenuto che quegli obblighi furono assunti in via temporanea, subito dopo l'occupazione della Renania, nella viva attesa di un nuovo Locarno che si prevedeva dovesse concludersi non oltre qualche mese; che quindi, essendo passato da allora un anno e non essendo stato definito alcun altro istrumento, essi sono divenuti per se stessi caduchi e nulli. Ad ogni modo, in mancanza di una dichiarazione comune franco-inglese, il governo belga ha pensato financo ad una sua diretta denunzia. Ma questo punto è ormai sorpassato giacché il Re Leopoldo nella sua odierna visita a Londra3 avrebbe ottenuto, come mi è stato dichiarato dal segretario generale del ministero degli Affari Esteri, la desiderata dichiarazione franco-inglese, la cui pubblicazione dovrebbe avvenire al più presto.

2) Il Belgio, resosi così immune da ogni impegno locarniano, dà evidenti segni di non risentire più il bisogno di partecipare in verona veste ad un nuovo Locarno. Esso mostra ormai di ritenere che ogni sua partecipazione a conferenze od istrumenti concernenti la sicurezza occidentale, anche se essa dovesse significare esclusivamente l'ottenimento di garanzie unilaterali, finirebbe sempre per compromettere lo stato di assoluta indipendenza o di neutralità volontaria, cui profondamente si inspira.

3) Il pensiero che si va facendo strada -e di cui ho avuto di recente conferma da un'alta personalità -è che l'accettazione, in un solenne trattato, di garanzie unilaterali, oltre che subordinare l'inviolabilità delle frontiere nazionali alla durata stessa di detto trattato ed al permanente accordo tra i firmatari garanti, presupporrebbe in un modo o nell'altro, anche a prescindere dalla controprestazione di una vera e propria garanzia da parte del Belgio, qualche impegno verso i garanti, con evidente pregiudizio del concetto di stretta indipendenza che vuolsi raggiungere. Si vuole cioè escludere che l'indipendenza del Belgio possa anche lontanamente dipendere da un patto, o da una qualsiasi forma contrattuale.

Viceversa <>i comincia a sostenere che gli inconvenienti di cui sopra potrebbero non essere ravvisati in un impegno che le Potenze firmatarie del vecchio Locarno formassero, indipendentemente del Belgio, in un nuovo Locarno, od in un qualsiasi altro istrumento, nel quale venisse riconosciuto che esse considererebbero come casus foederis anche la violazione delle frontiere del Belgio; od in un impegno in cui dette Potenze, sempre indipendentemente d'ogni intervento belga, offrissero un'autonoma garanzia individuale e collettiva nei rispetti dell'inviolabilità delle frontiere di questo Paese.

4) Alla luce di tali premesse queste sfere dirigenti esaminano con la più grande attenzione se e fino a che punto possano sussistere gli impegni esteri, che ancora incombono al Belgio, ossia gli scambi derivanti dall'appartenenza a Ginevra.

Per quanto riguarda gli obblighi di Stato Maggiore, si comincia a non considerarli neppure sotto la forma di scambi di vedute meramente tecnici con le grandi

l Vedi p. 237, nota 3. 2 Vedi serie ottava, vol. V, D. 525. 3 Vedi D. 362.

Potenze limitrofe. Evidentemente, si teme che ciò inquinerebbe quell'assoluto concetto di indipendenza cui si tende. Per ciò è probabile che la tesi ufficiale sarà quella di invocare puramente e semplicemente le dichiarazioni fatte dal primo ministro alla Camera dei Deputati, nel difendere la nuova legge militare, ossia, «Il nous faut un système militaire qu 'il ne soit, de façon permanente, tourné con tre personne, ni lié aux dispositions militaires de qui ce soit. Notre organisation militaire constitue une mécanique qui peut étre tournée dans n 'import e quelle direction pour parer à n 'import e quelle difficulté».

5) Per quanto riguarda i futuri rapporti del Belgio con la S.d.N., mi è assai difficile esser preciso. Tuttavia, in una recente conversazione confidenziale col segretario generale, ho raccolto la netta impressione che ormai il governo belga, malgrado le forti pressioni dei socialisti e dei comunisti sostenitori della sicurezza collettiva, vada più oltre delle stesse cautissime istruzioni date il mese scorso al signor Bourquin, presidente del Comitato ginevrino per le riforme del Covenant, e di cui è oggetto il mio telegramma per corriere n. 013 del 2 corr. 1

Difatti, si parla adesso dell'impossibilità della applicazione di ogni genere di sanzioni e, per quanto riguarda l'art. 16, e soprattutto il diritto di passaggio di truppe che si rechino al soccorso di un aggredito, più che ribadire l'antica teoria che tale passaggio non dovrebbe dipendere da una decisione del Consiglio della

S.d.N. ma dalla diretta autorizzazione del governo belga, si osserva che tale passaggio diventerebbe pericoloso per la sicurezza stessa del Paese, e quindi da vietarsi in ogni caso, specie quando lo Stato aggressore sia uno Stato confinante.

6) In tale stato di cose, risulta evidente che il governo belga cerca di avvicinarsi il più possibile allo stato internazionale dell'Olanda ed alle vedute che si formulano all'Aja nei riguardi delle future limitate relazioni che dovranno intercedere con Ginevra relativamente alla sicurezza collettiva ed alla portata dell'articolo

16. Donde ne risulta un sempre più vivo desiderio di intesa con l'Olanda, nell'apparente desiderio di formare con essa una situazione particolare ben distinta, con un identico statuto internazionale. Ed in tale senso va ormai compreso l'accenno fattomi da Spaak e di cui al mio telegramma n. 35 dell'Il corrente2 .

329

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 657/320. Salamanca, 24 marzo 19373 .

Con relazione ai telegrammi che ho inviati a V.E. dal IO marzo ad oggi, concernenti le operazioni militari sul fronte di Guadalajara, mi propongo di lumeggiare col presente rapporto alcuni aspetti della complessa situazione, che gli avvenimenti di questi giorni hanno in parte messa in luce.

l Vedi D. 225. 2 Vedi D. 264. 3 Manca l'indicazione della data d'arrivo.

Italia e Spagna. -Nelle mie precedenti comunicazioni ho messo in qualche evidenza l'ingratitudine spagnola verso l'Italia, la freddezza che circonda gli italiani, nonché il pudore e vorrei dire la vergona dei ceti dirigenti per aver dovuto domandare aiuto agli stranieri 1; le malcelate sopravviventi simpatie per la Francia e l'Inghilterra da parte degli elementi colti e delle classi superiori 2 . L'insuccesso dell'azione ultima dei volontari italiani ha messo in evidenza più cruda questi elementi, così che la situazione può ora riassumersi, con pieno ossequio alla verità, come segue:

L'ingratitudine verso l'Italia, che finora non erasi infiltrata negli strati popolari, simpatizzanti per noi e per la Germania, va diffondendosi; materialista ed egoista, lo spagnolo bada a realizzare benefici concreti; quando questi difettano, lo spagnolo ridiventa anche nelle apparenze duro ed arido, come nella sostanza;

-mi viene riferito (e in piccola parte ho dovuto io stesso constatare) che nel Quartiere Generale, al naturale e vivo rincrescimento per il mancato accerchiamento della capitale, fatto che si sperava avvenisse a più o meno breve scadenza, è purtroppo subentrato un senso quasi di assurda soddisfazione per l'insuccesso degli italiani, cioè ha agito quello spirito di casta, di gelosia professionale, di tecnicismo arido, che -occorre dire -il nostro Comando aveva senza necessità umiliato;

-quanto alla parte dell'opinione pubblica che chiamiamo aristocratica, intellettuale e borghese, che circonda anche Franco, essa ha partecipato alla soddisfazione dello Stato Maggiore nel vedere ritornare sulle posizioni di partenza soldati italiani che «erano venuti a salvare la Spagna» e ha per altra parte avvertito l'ammonimento della efficace campagna propagandistica dei rossi, che hanno abilmente tentato di trasformare la guerra civile tra comunismo e nazional-militarismo (non può parlarsi di fascismo spagnolo per ora) in «guerra di indipendenza della Spagna contro l'invasione italiana provocata da Franco che ha venduto la Patria allo straniero»; debbo constatare che detta propaganda rossa ha attirato su di noi sentimenti di rancore anche nella Spagna nazionalista;

-inoltre, le conseguenze politiche, arbitrarie quanto si vuole ma che hanno fatto lievito, che gli elementi a noi contrari clerico-massonici vogliono trarre dall'insuccesso di Guadalajara, possono così riassumersi: non bisogna farsi dominare dalle circostanze attuali e darsi in braccio all'Italia e alla Germania senza riserve, perché la concretezza e l'utilità dell'amicizia di questi due Stati presenta gravi incovenienti: l) Italia e Germania costituiscono un sistema politico, parziale e transitorio che in Europa è «all'opposizione» sotto tutti i punti di vista; 2) Italia e Germania sono due Paesi sforniti di grandi mezzi e che non hanno grandi capitali in Spagna; 3) Italia e Germania dovrebbero essere considerati da ogni buon conservatore spagnolo come due regimi tendenzialmente «sovversivi», cioè di sinistra; meglio converrebbe al conservatorismo spagnolo accettare ora l'aiuto italo-tedesco e tenersi pronto a riavvicinarsi ai partiti tradizionalisti francese e inglese appena essi potranno riprendere il potere a Londra e a Parigi: inglesi e francesi non imporranno loro di schierarsi dalla loro parte nel conflitto europeo, e nella politica

l Vedi D. 172. 2 Vedi D. 158.

interna non imporranno un regime «socialista», come Italia e Germania tentano di fare: questa campagna deve aver raggiunto nei corridoi dei partiti un tale livello che la Falange-con la quale mi sono messo in contatto-ha spontaneamente reagito, pubblicando un manifesto di amicizia per noi e per la Germania, che non ha alcuna ragione di essere apparente, ma che ha trovato un posto naturale e simpatico nell'atmosfera sopra descritta.

In tutto questo, Franco -gelido, femminile e sfuggente come sempre -dà ragione a tutti ma in sostanza, come ho informato con i miei telegrammi, ha evitato

o rifiutato finora un contatto diretto con Francia e Inghilterra, che non sia il riconoscimento di diritto: però egli guarda con occhio vitreo, come se questo avvenire non lo riguardasse, al futuro dei rapporti itala-spagnoli.

È superfluo che io ripeta a V.E. che alle campagne sul tipo di quella che ho sopra accennata l'Ambasciata reagisce energicamente, con i mezzi a sua disposizione, negli ambienti ufficiali e presso la massa, tirando diritto alla difesa delle posizioni nostre; il volume di prestigio e di interessi fascisti da proteggere in Spagna è troppo ingente perché si adottino sistemi delicati e fragili di azione tradizionale che non darebbero d'altronde alcun risultato.

Reazione della massa. -Occorre ora, per integrare l'informazione su questa materia in continua trasformazione, riferire intorno alle ripercussioni che le giornate di Guadalajara hanno avuto nella massa che sta sotto il governo del generale Franco e che è tendenzialmente socialista se se ne toglie la lieve crosta bianca costituita dall'aristocrazia e dal capitalismo.

L'apatia della massa non è stata profondamente scossa, né può dirsi che si noti uno stato di preoccupazione; questo sia perché i dodici più o meno milioni di spagnoli che son di qua non hanno un'idea esatta di quello che accade sul fronte, sia perché il governo nulla fa per dare alle popolazioni il senso della realtà spirituale in cui l'incredibile tragedia spagnola si svolge: anzi!

Il fatto che l'occupazione di Madrid -salvo provvedimenti eccezionali e che non potrebbero esser presi senza la collaborazione d'Italia e di Germania -è ritardata almeno di due o tre mesi; il fatto che la soluzione militare e quindi politica è oggi meno vicina di ieri; il fatto che in questa circostanza la figura del Generalissimo appare, meno reale, meno efficiente e sembra un po' confondersi nelle nebbie del rinvio; tutto ciò non ha impressionato troppo lo spirito pubblico: ignaro e rassegnato, esso ha intuito, ha in parte saputo, ma non ha reagito: così che solo alcuni elementi più coscienti, più attivi e più moralmente responsabili, si domandano oramai se non sia venuto il momento di dire alla Spagna nazionale alcune parole dure, di spingerla ad un costume anche di vita pubblica e privata più consono alle circostanze, di esigere che un maggior numero di giovani vada a battersi al fronte, ecc. La Falange, che dietro mio indiretto suggerimento aveva già ritirato i suoi reparti dalle località dove si eseguono le fucilazioni, intenderebbe ora assumere iniziative dirette ad eccitare la fierezza, lo spirito di sacrificio, la rinunzia ad alcune condizioni di vita comoda e in generale un senso di maggiore dignità umana e nazionale. Ne ho io stesso parlato, s'intende a mio nome personale, al generale Franco, che ha mostrato di concordare meco sulla necessità di dare un più denso contenuto alla campagna di resistenza e che ha affermato che lo spirito pubblico comincia ad essere preoccupato; perfino mi ha dichiarato che entro un mese occorrerà dare una soddisfazione militare ai combattenti, parte dei quali lascerebbero intendere che altrimenti farebbero la marcia su Salamanca; ed infatti sta accarezzando l'idea di una eventuale offensiva all'estremo Nord, per conquistare possibilmente Bilbao e far cadere una parte della fortezza basca: ma finora non vedo che Franco voglia consentire alla Falange di iniziare la propaganda morale ed anzi ho l'impressione si proponga di soffocarla: forse il suo pensiero è che non gii conviene arrivare a Madrid seguito dai due partiti nazionali in lotta tra loro e che gli conviene invece procurarsi prima una clamorosa vittoria che si identifichi col suo nome e lo esalti, per poi assumere tono più autoritario nei riguardi dei partiti stessi ed imporre una formula unica, che dia a lui non solo la presidenza o reggenza dello Stato ma anche la direzione di fatto del futuro partito totalitario.

Questi elementi costituiscono non solo l'atmosfera ma anche la sostanza della vita politica della retrovia e della capitale, mentre le popolazioni acquistate al regime nazionale si mostrano indifferenti o completamente sfiduciate in qualsiasi regime o sordamente ostili.

Al clima nebuloso ed incerto sopra descritto, i rossi fanno il possibile per tentare di opporre polemicamente una loro «realtà»: cioè fanno uno sforzo, finora puramente propagandistico, per dare la sensazione che la Spagna rivoluzionaria, cessati i massacri, epurate(?) le fila, cominci ad organizzarsi come regime: legislazione operaia, assistenza sociale, educazione popolare, ecc.: questo è falso ma l'obbiettivo del Governo di Valencia è di far credere che sia vero: questa propaganda, in sostanza, mira a persuadere le popolazioni nazionaliste che se di qui si sta bene si sta bene anche di là e che perciò non vale la pena di continuare una guerra fondata sulla falsa necessità di distruggerre un regime bolscevico che in realtà a Barcellona e Madrid non esiste: infine, la Spagna rossa ora vuoi far credere che sta democratizzandosi: nota tattica del Comintern.

A mio avviso il nemico è moralmente, e forse anche materialmente, battibile rapidamente da chi sappia andare a cogliere con l'energia necessaria la vittoria matura: ma questo non spetta a me dire 1 .

330

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 1391. Berlino, 24 marzo 1937 (per. il 27).

Il Gr. Uff. Renzetti è stato ricevuto-per la prima volta-da Hitler il18 marzo. Allego un appunto che, a mia richiesta, mi ha fornito -ma soltanto oggi sul contenuto del colloquio.

I Il 30 marzo, Musso lini telegrafava all'ambasciatore Cantalupo: «Bisogna reagire attraverso Generalissimo, stampa e Falange al determinarsi e durare di stati d'animo quali quelli prospettati dal Suo rapporto del 24 marzo e soprattutto con un contegno riservato e irreprensibile in ogni senso da parte di tutti i legionari» (T. segreto non diramare 687/280 P.R. del 30 marzo. La minuta è autografa di Mussolini).

ALLEGATO.

RENZETTI ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

APPUNTO. Berlino, 18 marzo 1937.

Ho avuto oggi un colloquio con Hitler, il quale mi ha dichiarato quanto segue:

L'Inghilterra non perdonerà mai all'Italia lo scacco datole nella questione abissina, come non perdonerà mai alla Germania di aver aiutato l'Italia -(gli ho fatto osservare che l'Inghilterra non perdonerà alla Germania le varie altre questioni) -e vuole prendersi la rivincita, cercando di colpire separatamente le due Nazioni. È necessario quindi, ha soggiunto, di non fare il gioco dell'Inghilterra; la quale attualmente agisce in Austria con lo scopo di provocare manifestazioni antitedesche, e in Russia per sospingerla a costruire un forte numero di incrociatori corazzati.

Una parte delle somme stanziate per gli armamenti inglesi, ha proseguito Hitler, verrà destinata certo al servizio di propaganda ed ai fuorusciti (ho fatto osservare che vengono sovvenzionati anche degli elementi che si ritengono fidati).

Il Cancelliere mi ha poi detto che Egli non ha preso alcuna decisione in merito alla Delegazione da inviare in Inghilterra, per la cerimonia dell'incoronazione del Re. Io non voglio, ha soggiunto, rompere tutti i ponti con l'Inghilterra, e ciò nell'interesse tedesco ed italiano.

Alla fine del colloquio, Hitler ha espresso il vivo desiderio di incontrarsi con il Duce, per chiarire le varie questioni. L'incontro, ha detto, potrebbe avvenire nella prima quindicina di luglio.

Ho avuto la chiara sensazione che il Cancelliere abbia ancora dei dubbi sulla politica italiana e soprattutto sulla portata dell'appoggio italiano alla Germania. Egli non mi ha fatto però nessun accenno al riguardo; è soltanto da alcune reticenze e dal tono di voce usato in qualche momento del colloquio che ho tratto tale impressione.

331

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2184/86 R. Vienna, 25 marzo 1937 ore 13,40 (per. ore 15,30).

Ho fatto Cancelliere federale comunicazione ordinatami con telegramma n. 53 1•

Cancelliere federale ringrazia V.E. particolarmente per considerazione tenuta degli interessi austriaci e del proposito manifestato di esercitare autorevole influenza per migliorare rapporti tra Austria e Jugoslavia. A questo proposito Cancelliere federale apprende che nella prossima conferenza Piccola Intesa a Belgrado2 si vuole non solo che si rinnovino riserve per restaurazione absburgica

I Vedi D. 323. 2 Nei giorni 1°-2 aprile.

ma anche richiedere dal governo austriaco espresso impegno di rinunziare definitivamente restaurazione monarchica. Tale richiesta a cui Schuschnigg dichiara che non potrebbe in nessun caso aderire, sarebbe atta acuire gravemente rapporti tra Austria e Piccola Intesa.

Richiesta non sarebbe necessaria, bastando note dichiarazioni fatte da Schuschnigg 1 , le quali se sono state ritenute sufficienti da Italia e Germania possono, secondo Schuschnigg, tranquillizzare anche Stati Piccola Intesa. Cancelliere federale sarebbe molto grato a V.E. se volesse fin da ora parlarne in tal senso con Stojadinovic 2•

Eliminata questa eventualità, Schuschnigg è pronto trattare con Belgrado su ogni argomento e non vedrebbe alcuna difficoltà a più stretti rapporti politici ed economici tra Belgrado e Vienna. Telegrafato Roma e Belgrado.

332

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 2177/242 R. Londra, 25 marzo 1937, ore 20,15 (per. ore l del 26).

Riferiscomi telegramma di V.E. n. 1103 .

Mie informazioni fiduciarie mi confermano che Foreign Office, d'accordo con Quai d'Orsay, sta effettuando sul governo austriaco pressione per staccare il governo di Schuschnigg dall'influenza di Roma e orientare politica austriaca verso Praga e i satelliti della Francia.

Sulla stessa linea Foreign Office, sempre d'accordo con Quai d'Orsay, sta esercitando pressione su vari governi degli Stati centro-balcanici e questa azione è stata intensificata dopo che la politica di avvicinamento itala-jugoslavo è entrata nella sua fase definitiva.

A tale proposito è sempre più evidente il disappunto che (malgrado comunicato ufficioso in senso contrario fatto pubblicare nella stampa governativa di stamane), Foreign Office e circoli governativi britannici non riescono a nascondere ... 4 per i risultati ideali e concreti dell'accordo fra Roma e Belgrado e per le accoglienze tributate al conte Ciano.

l Nel discorso del 14 febbraio (vedi p. 238, nota 3).

2 Il 28 marzo, Ciano rispondeva: «Ho parlato con Stojadinovic, il quale mi ha escluso qualsiasi intenzione da parte della Piccola Intesa di compiere un passo formale a Vienna in materia di restaurazione monarchica absburgica nel senso indicato da V.S. con telegramma n. 86. Tanto può comunicare a Schuschnigg» (T. 674/55 R. del 28 marzo).

3 Vedi p. 356, nota 2.

4 Nota dell'Ufficio Cifra: «manca».

333

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2192/245 R. Londra, 25 marzo 1937, ore 20,15 (per. ore 3,30 del 26). ·

Ieri ha avuto luogo riunione Gabinetto, durante la quale è stata discussa situazione rapporti italo-britannici.

Secondo informazioni, da me raccolte stanotte, si sarebbero verificate in seno Gabinetto, come è avvenuto sempre, due tendenze distinte. Una favorevole a una politica contro Italia. Qualcuno ha osato persino parlare di possibile blocco navale davanti le coste spagnole per impedire eventuale affluenza di volontari italiani, e di fronte unico fra Inghilterra Francia e Russia contro Italia. La seconda tendenza si è manifestata invece preoccupata dello stato di grave tensione cui si è giunti fra l'Italia e Inghilterra in questi giorni; si è dichiarata contraria a lasciarsi trascinare più oltre dal pericolo manovre bellicose dell'antifascismo britannico e favorevole ad una rapida distensione della situazione.

Ha prevalso, come sempre, una via di mezzo, nel senso di agire immediatamente per moderare campagna antitaliana della stampa e chiarire possibilmente atmosfera con Italia, mantenendo nello stesso tempo, la più stretta cooperazione con governo francese per eventuali iniziative da prendere di accordo, onde impedire Italia eventuale violazione recenti accordi divieto invio volontari Spagna. Gabinetto ha infine deciso alla unanimità, che Inghilterra permanga fedele alla politica non intervento Spagna.

Ieri pomeriggio parola d'ordine data alla stampa ufficiosa ed ai circoli conservatori alla Camera dei Comuni era di moderare tono polemico contro l'Italia. Giornali della sera sono usciti con richiesta (mio telegramma n. 234) 1 contenente appello alla calma.

Circa moderazione rilevata dal mio fonogramma 842 , stamane tutta la stampa, ad eccezione giornali dell'opposizione laburista e liberali, presenta un netto cambiamento di fronte e si limita dare grande risalto di cronaca, ma senza commenti, alle corrispondenze da Parigi su attitudine polemica che avrebbe assunto contro l'Italia il governo francese e sulla richiesta che detto governo francese avrebbe fatto alla Germania perché eserciti azione moderatrice sull'Italia.

Questa è la caratteristica della situazione nella riunione di stamane giovedì, ore 13.

Oggi si svolgeranno, come è noto a V.E., interpellanze alla Camera dei Comuni sui cosiddetti «fatti» di Addis Abeba 3 . Mi risulta che iersera nei corridoi Camera dei Comuni membri conservatori Gabinetto facevano presso deputati laburisti e liberali opera di persuasione perché desistessero da troppo violenti attacchi contro l'Italia fascista, spiegando che nell'attuale momento tali attacchi deplorevoli imba

1 T. 2143/234 R. del 24 marzo che riproduceva l'articolo di fondo deli'Evening Standard. 2 Fonogramma stampa. Non pubblicato. 3 Vedi p. 239, nota l.

razzavano azione internazionale governo. Telegraferò nuovamente a V.E. stanotte, dopo terminato dibattito Camera dei Comuni 1 . È opportuno attendere risultato tale discussione prima di formulare impressioni complessive giornata impegnata dietro le quinte.

334

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI,

T. SEGRETO NON DIRAMARE 649 R. Roma, 25 marzo 1937, ore 20,30.

Ricevo tuo rapporto contenente resoconto seduta comitato non-intervento 2• È necessario che tu orienti tua azione su quanto ti esporrò e che ha importanza fondamentale.

l) Non intendo mandare e non manderò altri uomini in Spagna, né masse, né gruppi e tale netta dichiarazione ho fatto verbalmente ieri 24 a un colonnello emissario di Franco3 .

2) Non ritirerò uomini dalla Spagna sino a quando non sia vendicato l'insuccesso più politico che militare di Guadalajara. I rossi hanno ripreso forse meno di un terzo del territorio conquistato dai nostri ma, poiché l'obiettivo è mancato, l'insuccesso c'è stato. Lo stesso Franco in una lettera mandatami a mezzo dell'emissario succitato 4 trova grave il fatto politico e mediocremente importante quello militare.

3) Avuta sul fronte di Madrid o sopra un altro qualsiasi fronte la rivincita, io non escludo l'eventualità di un ritiro dei nostri reparti se gli altri, beninteso, si impegneranno a fare altrettanto. Uno dei motivi che mi fa prospettare questa eventualità è atteggiamento degli stessi spagnuoli che fu di dispetto dopo Malaga e oggi è indefinibile, ma non simpatico anche se non si voglia accettare al cento per cento quanto rapporta il Cantalupo che parla di italiani circondati dalla «gelida indifferenza degli spagnuoli la quale si tramuterà -dice Cantalupo -in aperto rancore» 5 .

4) Poiché, circa il ritiro dei volontari, si tratta di affidare l'esame del problema a un sottocomitato tecnico, io credo che si possa accettare in tesi di principio tale proposta salvo poi a provarla come inapplicabile o a ritardarne l'applicazione sino a quando le nostre forze non si siano presa una completa rivincita, il che secondo. quanto ci viene comunicato dalla Spagna potrebbe accadere fra dieci o quindici giorni.

l Grandi riferiva successivamente (T. 2182/247 R. del 26 marzo) che nel dibattito ai Comuni si erano succeduti da ogni settore dei fortissimi attacchi all'Italia per i fatti di Addis Abeba, attacchi che si erano poi estesi a tutta la politica coloniale dell'Italia, considerata come una minaccia alle posizioni britanniche, e all'azione dell'Italia in Spagna.

2 Si riferisce, probabilmente, al T. 2138/236 R. per il quale si veda p. 389, nota 3.

3 Su questo colloquio non è stata trovata documentazione.

4 Vedi D. 317 e p. 380, nota l.

5 Si veda su l'argomento il D. 329.

5) Poiché il dibattito sui volontari è soltanto sospeso, tu puoi far sapere nel momento che stimerai il più opportuno a Lord Plymouth che tu non hai nulla in contrario a che tale argomento sia rimesso all'ordine del giorno di una prossima seduta del Comitato del non intervento nell'attesa delle istruzioni di Roma che viceversa tu conosci dal presente telegramma.

6) Appena ricevuto il presente, telegrafa.

335

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2191188 R. Ankara, 25 marzo 1937, ore 20,38 (per. ore 1,30 del 26).

Mio telegramma n. 63 1•

Aras, nel confermarmi che si terrebbe in maggio Assemblea straordinaria S.d.N., ha risposto a mia domanda che aveva già pensato, in caso di assenza sabotatrice dei delegati abissini, di suggerire che Segretariato della S.d.N., constatata loro assenza, invitasse governo fascista a mandare suoi delegati a Ginevra aggiungendo che, ove gli abissini dovessero presentarsi successivamente, si sarebbero prese le decisioni relative alla situazione di fatto.

336

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2181/181 R. Parigi, 25 marzo 1937, ore 21,10 (per. ore 0,10 del 26).

Da fonte attendibile ho appreso che articoli dei giornali francesi di questa mattina concernenti questione spagnola, secondo i quali Delbos avrebbe ieri, nei suoi colloqui con l'ambasciatore di Germania e d'Inghilterra 2 , prospettata la necessità esplicare azione concreta per impedire nuove violazioni non intervento da parte del R. Governo, sono stati direttamente ispirati dal Quai d'Orsay. Infatti, in una riunione confidenziale di giornalisti tenuta iersera, capo Ufficio stampa, Comert, avrebbe riassunto colloquio Delbos -sir Georges Clerk -Welczeck ed esposto azione che governo francese si propone svolgere per salvaguardia suoi vitali interessi.

I Vedi D. 223.

2 Si veda, per il contenuto del colloquio tra Delbos e l'ambasciatore Clerk, DDF, vol. V, D. 186 e BD, vol. XVIII, D. 339; per il colloquio Delbos-Welczeck, DDT, Serie C, vol. III, D. 235 e qui il D. 337.

337

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2186/182 R. Parigi, 25 marzo 1937, ore 21,10 (per. ore l del 26). Mio telegramma n. 181 1•

Ho avuto occasione di incontrare oggi questo ambasciatore di Germania.

Durante conversazione egli mi ha detto che nel colloquio da lui avuto ieri con Delbos, ministro degli Affari Esteri francese aveva attirato sua attenzione su risposta data dal conte Grandi al Comitato non Intervento di Londra, relativa al richiamo volontari2 , e gli aveva chiesto cosa ne pensasse.

Conte Welczeck mi ha detto avere risposto che politica tedesca in Spagna aveva come unico obbiettivo impedire stabilimento bolscevichi in detto Paese: in ciò politica italiana e politica tedesca avevano stessi scopi; egli quindi si spiegava e giustificava atteggiamento governo italiano. Da parte mia, non ho mezzo per controllare se affermazioni ambasciatore di Germania corrispondano effettivamente a quanto ha dichiarato a Delbos ma esse appaiono esatte poiché stessa stampa francese ispirata dal Quai d'Orsay pubblica obiezioni che ambasciatore di Germania avrebbe formulato in risposta al passo di Delbos, nel senso che stato d'anarchia dei rossi spagnoli renderebbe difficile richiamare dei volontari e Germania non intenderebbe occuparsi dei novemila tedeschi antifascisti che combattono per il governo di Valencia.

338

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, SALATA,

T. 651/45 R. Roma, 25 marzo 1937, ore 24.

Data situazione generale e aumentata tensione per affari di Spagna, ritengo che visita Schuschnigg debba essere rinviata alla seconda metà aprile. Occorre inoltre un lasso di tempo necessario fra le recenti manifestazioni italofobe dei viennesi3 e la visita in Italia del loro Cancelliere 4 .

l Vedi D. 336. 2 Vedi d. 327. 3 Vedi p. 383, nota 2. 4 Con T. 2241/88 R. del 27 febbraio, Salata riferiva di aver effettuato la comunicazione a Schu

schnigg, il quale, nel prenderne atto, aveva manifestato la preoccupazione che un nuovo rinvio del viaggio, già più volte annunciato a Roma e a Vienna, potesse dar luogo ad interpretazioni spiacevoli nella stampa occidentale.

339

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 2169/22 R. Roma, 25 marzo 1937, ore 18 (per. ore 19,40).

Nel parlarmi della Lettera Apostolica ai vescovi della Germania 1 , il cardinale segretario di Stato mi ha dichiarato formalmente che la Santa Sede non desidera la rottura con il Reich2 . La Lettera Apostolica era pronta da qualche tempo. Ne era stata rimandata varie volte la pubblicazione nella speranza di un miglioramento nella situazione, che non si è verificato. Il Papa, premuto da più parti, ha dovuto alla fine prendere posizione e lo ha fatto senza preoccuparsi delle conseguenze. Mi è stato autorevolmente assicurato che alcuni consiglieri del Pontefice avrebbero voluto che il documento papale colpisse tutti i regimi totalitari. Pio XI ha respinto tali suggerimenti.

In Segreteria di Stato si teme il peggio. Il cardinale Pacelli mi ha detto che il nunzio a Berlino avrebbe dovuto avere, il 21 corrente, un colloquio in Cancelleria, che gli era stato fissato per trattare una speciale questione che si trascinava da tempo. Il colloquio è stato disdetto dopo la pubblicazione della Lettera ai vescovi. A monsignor nunzio è stato dichiarato che tutta la questione dei rapporti fra il Reich e la Santa Sede dev'essere studiata ex-novo, per cui la conversazione prediposta non aveva più ragione d'essere.

Il cardinale segretario di Stato non mi ha fatto espressa domanda di un intervento dell'E.V. a Berlino; ma non mi ha nascosto il vivo desiderio della Santa Sede di essere aiutata in questo momento per evitare una rottura e agevolare un accomodamento 3 .

340

ACCORDI ITALO-JUGOSLAVI A. TRATTATO D'AMICIZIA ITALO-JUGOSLAVO

Sa Majesté le Roi d'Italie, Empereur d'Éthiopie et au nom de Sa Majesté le Roi de Y ougoslavie, !es Régents Royaux,

1 Epistola Apostolica Mit brennender Sorge del 14 marzo (testo in Acta Apostolicae Sedis, vol. 29, pp. 145-167). Il documento fu letto nelle chiese tedesche il 21 marzo.

2 Il 23 marzo, l'ambasciatore Pignatti aveva comunicato che la Santa Sede non desiderava che nei commenti della stampa italiana fosse messo in rilievo che la lettera pastorale rispecchiava l'opposizione del Vaticano al nazismo. La Santa Sede sottolineava che si trattava invece di «un documento di carattere dottrinario» e non desiderava che vi fosse attribuita un'intenzione polemica (appunto Buti). Sul documento Ciano ha scritto «Sì» ed il capo di Gabinetto De Peppo ha annotato: «telefonato alla Stampa (Gabinetto) 24-3-XV».

3 Questo telegramma fu comunicato all'ambasciatore Attolico con l'aggiunta: «Prego V.E. di voler esaminare l'opportunità di una sua azione presso cotesto governo nel senso e nei limiti suggeriti dal cardinale segretario di Stato» (T. 740/151 R. del 7 aprile). Per il seguito della questione si veda il D. 466.

considérant qu'il est de l'intérèt des deux Pays ainsi que de la paix générale de resserrer entre eux les liens d'une amitié sincère et durable et désireux de donner à cette amitié une base nouvelle et d'ouvrir une ère nouvelle dans les relations politiques et économiques entre les deux Etats;

persuadés que le maintien et la consolidation d'une paix durable enti-e leurs Pays sont aussi une condition importante pour la paix de l'Europe; ont décidé de conclure un accord et à cet effet ont désigné pour leurs plénipotentiaires respectifs à savoir:

Sa Majesté le Roi d'ltalie, Empereur d'Éthiopie:

Son Excellence le Comte GALEAzzo CIANO di CORTELLAZZO, son Ministre des Affaires Etrangères.

Au nom de Sa Majesté le Roi de Yougoslavie, les Régents Royaux:

Son Excellence Monsieur le Dr. MILAN STOYADINOVITCH Président du Conseil des Ministres, Ministre des Affaires Etrangères,

Lesquels, après avoir échangé leurs pleins pouvoirs, reconnus en bonne et due forme, son t convenus des dispositions suivantes:

Art. l.

Les Hautes Parties contractantes s'engagent à respecter leurs frontières communes ainsi que les frontières maritimes des deux Etats dans l' Adriatique; et dans le cas où l'une d'Elles soit l'objet d'une agression non provoquée de la part d'une ou de plusieurs Puissances, l'autre Partie s'engage à s'abstenir de toute action qui puisse favoriser l'agresseur.

Art. 2.

Au cas de complications internationales et si les Hautes Parties contractantes tombent d'accord que leurs intérèts communs sont ou pourront ètre menacés, Elles s'engagent à se concerter sur les mesures à prendre pour les sauvegarder.

Art. 3.

Les Hautes Parties contractantes réaffirment leur volonté de ne pas recourir dans leurs relations réciproques à la guerre comme un instrument de leur politique nationale, et de régler tous les différends ou conflits qui pourraient surgir entre Elles par des moyens pacifiques.

Art. 4.

Les Hautes Parties contractantes s'engagent à ne pas tolérer sur leurs territoires respectifs ou aider de n'importe quelle facon toute activité qui serait dirigée contre l'intégrité territoriale ou l'ordre établi de l'autre partie contractante ou qui serait de nature à porter préjudice aux relations amicales entre les deux Pays.

Art. 5.

En vue de donner à leurs relations commerciales existantes un essor nouveau, plus approprié aux rapports amicaux établis entre leurs deux Pays, les Hautes Parties contractantes sont d'accord de raffermir et d'élargir leurs échanges commerciaux actuels ainsi que de rechercher !es conditions d'une collaboration économique plus étendue. A cette fin, des accords spéciaux seront conclus dans le plus bref délai.

Art. 6.

Les Hautes Parties contractantes conviennent que rien dans le présent Accord ne sera considéré comme étant contraire aux engagements internationaux existants des deux Pays et qui d'ailleurs sont publics.

Art. 7.

Le présent Accord aura une durée de cinq ans. Sauf dénonciation dans le délai de six mois avant son expiration, il sera prolongé d'année en année par tacite réconduction.

Art. 8.

Le présent Accord sera ratifié. Il entrera en vigueur le jour de l'échange des instruments de ratification. Cet échange aura lieu à Beograd le plus tòt que faire se pourra.

EN FOI DE QUOI !es dits plénipotentiaires ont signé le présent Accord.

Fait à Beograd, le 25 mars mi! neuf cent trente sept en deux exemplaires, dont un a été remis à chacune des Hautes Parties contractantes.

GALEAZZO CIANO Dr. M. STOYADINOVITCH

B.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO, STOJADINOVIC 1

LETTERA 2852. Belgrado, 25 marzo 1937.

l'ai l'honneur de communiquer à V otre Excellence que je considère !es dispositions de l'art. 3 de l' Accord signé aujourd'hui à Beograd com me étant conclues dans l'esprit du Pacte de Paris (Briand-Kellogg) du 25 aoùt 1928.

c.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO, STOJADINOVIC 2

LETTERA 2853. Belgrado, 25 marzo 1937.

Au moment de procéder à la signature de notre Accord en date d'aujourd'hui, V otre Excellence a bien voulu me déclarer que le Gouvernement Y ougoslave con si-

l Una lettera dello stesso tenore fu inviata da Stojadinovié a Ciano (n. 699 in pari data). 2 Una lettera dello stesso tenore fu inviata da Stojadinovié a Ciano (n. 701 in pari data).

dère qu'il est de l'intéret commun de nos deux Pays de respecter la souveraineté, l'indépendance politique et l'intégrité territoriale de l'Etat Albanais.

En donnant acte à V otre Excellence de cette déclaration, à laquelle correspond une déclaration identique du Gouvernement ltalien, je suis heureux de constater qu'aucun contraste ne pourrait exister à ce sujet entre les politiques de nos deux Pays, de meme qu'au sujet des buts à atteindre par nos deux Gouvernements.

Par conséquent, le Gouvernement ltalien s'engage à ne pas chercher aucun avantage spécial ou exclusif d'ordre politique, économique ou financier de nature à compromettre directement ou indirectement l'indépendance de l'Etat Albanais, et il s'engage à procéder en commun avec le Gouvernement Yougoslave à l'examen amicai de toute situation qui pourrait se présenter et qui serait incompatible avec les dispositions ci-dessus énoncées.

D.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO, STOJADINOVIC

LETTERA 2854. Belgrado, 25 marzo 1937.

J'ai le plaisir de vous informer qu'avant de quitter l'ltalie pour venir vous rendre visite, mon Gouvernement, sur ma suggestion, a donné des instructions aux autorités italiennes compétentes pour qu'elles examinent avec bienveillance les demandes des ressortissants italiens pour ce qui concerne l'enseignement privé de la langue serbo-croate-slovène sous le contròle de l'Etat, ainsi que pour l'exercice du culte, la publication de livres et d'un ou plusieurs journaux et autres manifestations d'ordre culture! (associations culturelles etc.), dans la mème langue, dans le cadre des lois concernant l'ordre public.

E.

LA LEGAZIONE A BELGRADO AL MINISTERO DEGLI ESTERI JUGOSLAV0 1

NOTA VERBALE SEGRETA 141. Belgrado, 25 marzo 1937.

Au moment de la signature de l'Accord les deux Ministres se sont donnés les assurances verbales suivantes:

Par l'expression «ordre établi», employée à l'art. 4 de l'Accord signé aujourd'hui, il y a lieu d'entendre aussi toute activité dirigée contre la vie ou l'intégrité corporelle des Chefs des deux Etats, des membres des Familles Royales, des Chefs et membres des Gouvernements des deux Pays, ainsi que des Représentants des pouvoirs publics.

l Una nota verbale dello stesso tenore fu inviata dal ministro degli Esteri jugoslavo alla legazione d'Italia a Belgrado (n. 700 in pari data).

F.

LA LEGAZIONE A BELGRADO AL MINISTERO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO

NOTA VERBALE SEGRETA 142. Belgrado, 25 marzo 1937.

Conforrnément aux lettres échangées aujourd'hui concernant l'indépendance de l'Albanie, le Gouvernement italien n'envisage de fournir aucune aide financière ou technique au Gouvernement Albanais soit pour le développement des fortifications existantes, soit pour la construction de nouvelles fortifications.

G.

LA LEGAZIONE A BELGRADO AL MINISTERO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO

NOTA VERBALE SEGRETA CONFIDENZIALE 143. Belgrado, 25 marzo 1937.

Toute activité individuelle dirigée contre l'intégrité territoriale et l'ordre établi de l'Etat Y ougoslave, y compris tout fai t dirigé contre la vie des perso nn es exerçant des prérogatives importantes d'ordre gouvernemental ou administratif, ainsi que l'existence de toute organisation se livrant à une activité similaire, sont à présent et seront pour l'avenir défendues.

H.

LA LEGAZIONE A BELGRADO AL MINISTERO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO

NOTA VERBALE STRETTAMENTE SEGRETA 144. Belgrado, 25 marzo 1937.

l. Pavelitch et Kvaternik et !es autres chefs seront internés.

2. -Il sera rendu impossible aux dits chefs et aux autres individus suspects de l'activité dont à la communication secrète en date d'aujourd'hui n. 143, de se livrer d'une manière quelconque à une telle activité, ainsi que d'entrer en contact avec !es autres personnes et avec l'étranger. 3. -Un certain nombre de ces personnes pourrait ètre dirigé individuellement ou par petits groupes comme travailleurs dans !es Colonies Italiennes. 4. -La police italienne fera connaìtre dans la période de trois semaines à compter d'aujourd'hui à la police yougoslave !es lieux où !es personnes ci-haut mentionnées sont internées ou confinées. 5. -La police italienne fera connaìtre dans la période de trois semaines à compter d'aujourd'hui à la police yougoslave !es noms de toutes !es personnes dont il est question dans l'alinéa 2 et qui se trouvent actuellement sur le territoire italien. 6. -Un fonctionnaire de la police yougoslave sera admis à entrer en contact avec la police italienne par rapport à ce qui précède.
1

LA LEGAZIONE A BELGRADO AL MINISTERO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO

NOTA VERBALE CONFIDENZIALE 145. Belgrado, 25 marzo 1937.

Au moment de la signature de l' Accord le Ministre des Affaires Etrangères d'Italie a fait la communication verbale suivante:

«Le Gouvernement Yougoslave ayant attiré l'attention du Gouvernement Italien sur les difficultés qui se posent au sujet de la nationalité de certains habitants de Mahovljani, et ayant manifesté le désir de voir aplanir ces difficultés, le Gouvernement italien s'est déclaré prèt à prendre en favorable considération ce désir du Gouvernement Y ougoslave en vue d'une graduelle et amiable élimination des dites difficultés.

L.

ACCORDO SUPPLEMENTARE AL TRATTATO DI COMMERCIO E DI NAVIGAZIONE DEL 14 LUGLIO 1924 E AGLI ACCORDI ADDIZIONALI DEL 25 APRILE 1932, DEL 4 GENNAIO 1934 E DEL 26 SETTEMBRE 1936, RELATIVO ALL'AMPLIAMENTO DEGLI SCAMBI COMMERCIALI, ATTUALMENTE ESISTENTI FRA I DUE PAESI, NONCHÉ ALLO SVILUPPO DEI RAPPORTI ECONOMICI GENERALI, FRA L'ITALIA E LA JUGOSLAVIA

Sa Majesté le Roi d'Italie, Empereur d'Éthiopie et au nom de Sa Majesté le Roi de Y ougoslavie, les Régents Royaux, en vue de donner un essor nouveau à leurs relations commerciales existantes, plus approprié aux rapports cordiaux entre leurs deux Pays; de raffermir et d'élargir les échanges commerciaux actuels sur une base d'équilibre; de s'assurer un traitement plus équitable et plus conforme au but susindiqué; de contròler l'application des dispositions prévues à cet effet; de rechercher les conditions d'une collaboration économique plus étendue; ont décidé de conclure un accord et à cet effet ont désigné pour leurs plénipotentiaires respectifs à savoir: Sa Majesté le Roi d'Italie, Empereur d'Éthiopie: Son Excellence la Comte GALEAZZO CIANO di CORTELLAZZO, son Ministre des Affaires Etrangères.

Au no m de Sa Majesté le Roi de Y ougoslavie, les Régents Royaux:

So n Excellence Monsieur le Dr. MILAN STOYADINOVITCH Président du Conseil des Ministres, Ministre des Affaires Etrangères.

Lesquels, après avoir échangé leurs pleins pouvoirs, reconnus en bonne et due forme, sont convenus des dispositions suivantes:

Art. l.

L'Italie accorde à la Yougoslavie des contingents supplémentaires d'importation, en dehors de ceux prévus et fixés dans !es arrangements antérieurs à celui-ci. Ces contingents seront établis ultérieurement.

Dans le but de faciliter l'utilisation des contingents par rapport aux permis d'importation, !es autorités compétentes de deux Pays collaboreront dans des formes et selon des modalités à établir par le Comité permanent économique italo-yougoslave prévu à l'art. 4 du présent Accord.

Art. 2.

La Y ougoslavie accorde à l'Italie le payement par la voi e de clearing de certains produits spéciaux, dont la quantité ou la valeur seront fixées ultérieurement et pour lesquels on exige actuellement le payement en devises.

Art. 3.

Les Hautes Parties contractantes s'engagent à se reconnaìtre une égalité de traitement, outre celle provenant de l'application normale de la clause de la nation la plus favorisée, qui est à la base de tous leurs rapports économiques, de façon qu'aucune discrimination ne puisse se produire au détriment de l'un ou de l'autre de ces deux Pays par rapport à n'importe quel pays tiers et à n'importe quel produit.

L'établissement de cette égalité de traitement, de son étendue, de son rapport au régime douanier, des produits auxquels elle se refère et des pays vis-à-vis desquels elle s'appliquera, sera confié au Comité permanent économique italo-yougoslave.

Art. 4.

Les Hautes Parties contractantes sont d'accord de constituer au plus tard un mois après l'entrée en vigueur du présent Accord, le Comité permanent économique italo-yougoslave prévu au Protocole de l' Accord Additionnel du 25 avril 1932.

En plus de la tàche indiquée au Protocole susmentionné le Comité aura à s'occuper du contròle de l'application des différentes dispositions contractuelles, aussi bien que de la recherche continuelle de l'amélioration des échanges commerciaux et de l'élargissement de la collaboration économique entre !es deux Pays.

Ce Comité devra se réunir tout au moins une fois par an alternativement dans l'un et l'autre des deux Pays. La prémière réunion devra avoir lieu dans le délai de trois mois à partir de la mise en vigueur du présent Accord.

Le nombre des membres du Comité sera fixé d'un commun accord entre !es deux Gouvernements. Tous !es membres cependant ne devront pas participer nécessairement aux réunions du Comité, leur présence pouvant dépendre de la nature de la matière à discuter.

Art. 5. Cet Accord supplémentaire ne constitue que la base préliminaire d'une collaboration économique plus étendue, pouvant revètir la forme d'une entente régionale plus étroite. Le Comité Permanent sera chargé d'en étudier les traits fondamentaux et d'en proposer l'étendue.

Art. 6.

La durée du présent Accord reste liée à celle de l' Accord politique signé en date de ce jour.

Art. 7.

Le présent Accord sera ratifié. Il entrera en vigueur le jour de l'échange des instruments de ratification. Cet échange aura lieu à Beograd le plus tòt que faire se pourra.

EN FOI DE QUOI les dits plénipotentiaires ont signé le présent Accord.

Fait à Beograd, le 25 mars mil neuf cent trente-sept, en deux exemplaires, dont un a été remis à chacune des Hautes Parties contractantes.

GALEAZZO CIANO Dr. M. STOYADINOVITCH

341

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, Q. MAZZOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2214/74 R. Gerusalemme, 26 marzo 1937, ore 14 (per. ore 15,25).

Appena rientrato dalla Mecca venerdì scorso, Gran Mufti ha lanciato proclama invitante musulmani a mantenersi tranquilli. Proclama diversamente accolto: stampa araba divisa pro e contro tale gesto. Contrariamente voci subito corse, atto non è stato richiesto da Autorità mandataria ma deciso con Ibn Saud del quale Gran Mufti è stato ospite durante pellegrinaggio.

Alla Mecca, Gran Mufti ha conferito con capi di ogni Paese colà convenuti e tutti concordano nell'ostilità alla Gran Bretagna, nella solidarietà alla causa araba palestinese, e nel riconoscere essere Italia unica grande Potenza in cui arabi possono avere fiducia. Tutti si attendono, anzi, prove manifeste recenti dichiarazioni, nell'azione italiana in seno alla Commissione permanente dei mandati e nell'opera politica che capi arabi confidano l'Italia vorrà svolgere sopra nazioni a lei più vicine.

Alto Commissario britannico giunto stesso giorno ha portato da Londra commutazione condanna a morte di sei arabi in lavori forzati e lo stesso per un settimo rimasto in sospeso. Ma se ciò è considerato prima conseguenza pra

tica della politica italiana, arabi attendono unanimi decisione Commissione e ripetono essere pronti tutto osare. Frattanto ebrei sentono che l'ora non è propizia e, mentre Weizmann corre a Londra, revisionisti si preparano all'iniziativa di nuove violenze 1 .

342

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2228/29 R. Tirana, 26 marzo 1937, ore 20,40 (per. ore 5,15 del 27 ). Telegramma di V.E. n. 202 .

Ho fatto prescritta comunicazione: riassumo il pensiero espressomi dal Re nel lungo colloquio che è seguito.

Egli ha espresso nell'insieme la sua ammirazione per il nuovo successo diplomatico di cui valuta tutta la difficoltà e la importanza. Mi ha chiesto espressamente di pregare V. E. di voler essere interprete presso il Duce dei suoi sentimenti di inalterabile devozione e gratitudine.

Egli ha dimostrato una qualche amarezza per il fatto di non essere stato tenuto più dettagliamente al corrente delle conversazioni con la Jugoslavia per la parte concernente l'Albania ed ha espresso la speranza che il governo fascista, riponendo in lui ogni fiducia, voglio in avvenire tenerlo informato di eventuali ulteriori conversazioni concernenti l'Albania in dipendenza degli odierni accordi. Attende intanto con ansietà la comunicazione del contenuto delle lettere segrete.

Alcuni anni fa egli ha stretto con il fascismo un'alleanza che mai l'Albania aveva pensato di concludere con i precedenti governi; egli ha quindi piena fiducia che il fascismo non abbandonerà in questo momento l'opera di rigenerazione dell'Albania e mi ha ripetuto la frase relativa al punto 2o del mio telegramma n. 16 del 12 novembre scorso3 e cioè che «i rapporti italo-albanesi devono essere considerati dal governo fascista come un fatto di politica interna, indipendente dai fatti di politica estera»; da parte sua egli consacrerà con devozione ed affetto tutte le sue forze agli sviluppi della collaborazione italoalbanese.

I migliorati rapporti italo-jugoslavi non potranno accomodare odì di razza fra serbi e albanesi secondo gli ideali della nazione albanese; per parte sua egli si dichiara convinto che un periodo di tranquillità nella politica estera albanese sotto l'egida dell'Italia, possa essere di grande giovamento all'Albania che tanto cammino deve ancora compiere sulla via del progresso.

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 325. 3 Non pubblicato.

343.

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2210/184 R. Parigi, 26 marzo 1937, ore 20,55 (per. ore l del 27). Mio telegramma n. 181 1 .

In seguito a notizie da Londra, secondo le quali propositi manifestati da questo ministro degli Affari Esteri all'ambasciatore d'Inghilterra 2 avrebbero trovato accoglienze fredde da parte del governo britannico, tendenza odierna è di sdrammatizzare la situazione. Si sente già che manovra diplomatica e giornalistica, che nelle intenzioni di Delbos doveva portare a pronto richiamo dei volontari, è destinata ad insuccesso. Tentativo di dissociare azione tedesca da quella italiana appare ormai fallito. Proposito portare questione intervento in Spagna a Ginevra viene messo in sordina.

R. addetto navale mi riferisce avere impressione che al ministero della Marina francese non siano state prese in questi ultimi giorni speciali misure e che ambienti navali continuano ad essere calmi.

344

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 2310/067 R. Budapest, 26 marzo 1937 (per. il 31).

Mio telegramma 74 3 e precedenti.

Un mio collega di solito bene informato mi ha detto di sapere da sicura fonte tedesca che Schuschnigg e Kanya hanno lungamente parlato 4 delle relazioni con la Germania e dell'attività tedesca nei due Paesi (mio telegramma n. 69)5 e che alla fine delle conversazioni avrebbero deciso che il Cancelliere nella prossima visita a Roma avrebbe esposto la situazione al R. Governo interessandolo a intervenire in qualche modo a Berlino per arginare la propaganda germanica. Il Cancelliere avrebbe anche accennato alle possibilità di un avvicinamento alla Cecoslovacchia ma avrebbe trovato Kanya irremovibile.

A proposito delle voci di tendenze verso una confederazione danubiana, mi è stato detto da buona fonte che Eckhardt si sarebbe recato in Cecoslovacchia circa

' Vedi D. 336. 2 Sir George Russell Clerk. 3 Vedi D. 310. 4 Nell'incontro di Budapest del 18-19 marzo sul quale si veda il D. 316. 5 Vedi D. 292.

un mese fa chiamatovi da Hodza e che anzi il suo viaggio avret?be dato luogo a un piccolo incidente perché il ministro di Cecoslovacchia 1 , ignaro della cosa, aveva dapprima negato il visto a Eckhardt che figurava nella lista nera della legazione.

Mi risulta anche che il ministro di Cecoslovacchia è stato da Kanya tornando a dirgli che dopo le ultime polemiche questo poteva essere un buon momento per unire le forze nei riguardi della Germania. Kanya ha sviato il discorso dicendo press'a poco quanto ha detto a me e cioè che l'amicizia per la Germania era indispensabile per l'Ungheria.

345

COLLOQUI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO, STOJADINOVIC

APPUNTO. Belgrado, 26 marzo 1937.

Prima di procedere alla firma dei documenti già concordati a Roma, il Presidente Stojadinovic ed io abbiamo compiuto un largo giro di orizzonte per informarci reciprocamente delle direttive di politica estera dei due Paesi e per concordare l'azione da svolgere in futuro.

Ho per il primo parlato al Presidente Stojadinovic, con molta chiarezza, senza infingimenti e riserve, tenendo a fargli capire che era intendimento del Governo Fascista di dare all'accordo italo-jugoslavo una portata ampia e un contenuto solido.

Allorché egli ha avuto conoscenza della nostra situazione, delle nostre direttrici di marcia e del nostro programma, ha parlato con altrettanta franchezza. Ha cominciato col dire che, data la posizione geografica della Jugoslavia e in considerazione di quelle che sono le possibilità politiche del suo Paese, egli rifugge dall'idea di fare una politica europea e più ancora da quella di una politica mondiale, volendo conservare invece alla Jugoslavia il ruolo principale e determinante nella Penisola balcanica. Titulescu, che era portato da vanità personali a volersi occupare di cose più grandi di lui, ha messo sovente la Romania in una posizione difficile, dalla quale forse neanche oggi è riuscita a trarsi.

I rapporti con l'Italia sono ormai definiti dagli accordi firmati il 25 Marzo. Ma questi accordi non sono se non la prima benché più difficile tappa verso l'alleanza dei due Paesi che anche Stojadinovic considera naturale e fatale per necessità economiche, politiche e storiche.

Con la Francia i rapporti della Jugoslavia sono ormai affievoliti. In questi ultimi tempi la Francia ha proposto alla Piccola Intesa di stringere una alleanza militare, alleanza che avrebbe dovuto essere diretta a difendere la Cecoslovacchia da una minaccia di aggressione germanica. Stojadinovic ha con ogni pretesto ritardato di quattro mesi la risposta. Adesso non intende più ritardarla e si propone

l Mi1os Kobr. 2 Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 151-162.

di far conoscere le sue decisioni in occasione del prossimo Convegno della Piccola Intesa, che avrà luogo a Belgrado il lo aprile. Risposta nettamente negativa. Così come sarà negativa la risposta all'eventuale e probabile proposta di alleanze bilaterali tra Francia e Jugoslavia e tra la Francia e gli altri Paesi della Piccola Intesa.

Stojadinovic così spiega le ragioni della sua nuova politica:

Noi non abbiamo ricevuto e non riceviamo niente dalla Francia. Economicamente, per la Jugoslavia vale zero. Finanziariamente, abbiamo contratto con la Francia dei debiti che paghiamo regolarmente, a un tasso di usura. Militarmente, essa è stata fino ad ora, insieme alla Cecoslovacchia, la principale fornitrice di armi. Ma non ci ha regalato una sola baionetta. Quello che abbiamo preso lo abbiamo pagato, così come pagheremo l'Italia, dato che in futuro intendiamo concentrare nel vostro Paese e in Germania le nostre ordinazioni di materiale bellico. Aggiungerò che l'influenza culturale e morale che la Francia ha sinora esercitato sul nostro Paese, è divenuta veramente deleteria e disgregatrice: stampa e letteratura sono le espressioni della mentalità giudaica, massoneggiante e comunistoide della Francia di Blum.

Del resto quando noi ci eravamo impegnati ad una politica militare di collaborazione con la Francia, la situazione era del tutto diversa. Si prevedeva che, in seguito ad una offensiva tedesca contro la Cecoslovacchia, l'Italia avrebbe reagito in senso antigermanico ed avrebbe permesso alle truppe francesi -così almeno ci è stato detto a Parigi -di attraversare la valle del Po per andarsi a battere in Austria, contro le truppe del Reich. Tutto ciò ormai è sfumato. Qualora la Germania attaccasse la Cecoslovacchia, noi dovremmo, col debole e incerto aiuto militare romeno, invadere l'Ungheria, per portarci in aiuto dei cecoslovacchi. Ma anche ammesso che a noi sia possibile di occupare totalmente l'Ungheria (ed io considero ciò molto difficile), arriveremmo alla frontiera ceca soltanto in tempo per incontrare i resti del battuto esercito di Praga. Alle nostre spalle avremmo la sterminata ostile Ungheria. Di fronte, le vittoriose armate tedesche. Un incontro sgradevole ed un rischio che non possiamo far correre al popolo jugoslavo. Tanto più che esso non prova alcun sentimento di ostilità verso i magiari e nessuna solidarietà con la Cecoslovacchia. Dalla prossima riunione di Belgrado nascerà un ulteriore raffreddamento di rapporti tra la Francia e la Jugoslavia e forse un urto aperto. Mi si accuserà di egoismo. I francesi accusano sempre di egoismo chi non è disposto a farsi ammazzare per loro. Ciò mi lascia completamente indifferente, dato che sono riuscito a concludere con l'Italia un accordo, che considero fondamentale per la politica del nostro paese.

Per quanto concerne invece la Piccola Intesa, ritengo che essa, almeno formalmente, non subirà trasformazione. La Cecoslovacchia ha tutto l'interesse di lasciare i cocci alloro posto per non far senz'altro apparire dove, come e quanto il vaso sia rotto. Ma sta di fatto che, mentre i rapporti tra Jugoslavia e Romania rimarranno inalterati, e cioè solidali e cordiali, quelli invece tra questi due Paesi e la Cecoslovacchia si ridurranno ad una vuota formalità.

Benes mi ha detto che quando si accorgerà di non poter più contare sulla Piccola Intesa, sulla Francia e sulla Società delle Nazioni, troverà sempre il modo di mettersi d'accordo con i tedeschi. Per parte mia l'ho consigliato e lo consiglierò in tal senso. Coloro, e cioè i francesi e gli inglesi, che lo consigliano alla resistenza ad oltranza nei riguardi di Hitler, sono gli stessi che consigliarono il Negus alla resistenza armata nei confronti dell'Italia. Senza di loro probabilmente Hailé Selassié sarebbe ancora ad Addis Abeba. Mussolini ve lo avrebbe lasciato, alle sue dipendenze. Per la Cecoslovacchia la situazione si presenta analoga: allorché le cose si complicassero veramente e la Germania passasse all'azione, coloro che oggi incoraggiano l'ostilità di Praga contro Berlino, si allontanerebbero e Benes si troverebbe solo.

Passando ad esaminare i rapporti della Jugoslavia con l'Austria il Presidente Stojadinovic ha detto che egli ritiene che l'Anschluss sia inevitabile. L'Austria, così com'è, non ha, né le condizioni morali, né quelle materiali per vivere. Ciò nonostante conviene ritardarlo per quanto possibile. Ma questo ritardo dovrà essere fatto con mezzi tali da non provocare un conflitto o soltanto un attrito con la Germania.

D'altra parte, egli considera con maggiore serenità il problema pangermanista da quando ha creduto possibile la realizzazione di una intesa prima, e di una alleanza in futuro, tra Jugoslavia ed Italia. Intorno all'asse Roma-Belgrado si polarizzeranno, ad Anschluss realizzato, tutti quei Paesi che debbono per la loro vita opporsi alla calata tedesca verso l'Adriatico o lungo la valle del Danubio. Il blocco che ne sorgerà sarà tale da dissuadere i tedeschi da ogni insano tentativo.

Conviene aggiungere che il fatto che la Germania abbia insistito a Roma ed a Belgrado per un'intesa tra gli italiani e gli slavi del sud, depone molto favorevolmente nei riguardi delle intenzioni, anche remote, del popolo tedesco. Se realmente il nazismo puntasse verso l'Adriatico, sarebbe stato di una imperdonabile miopia nel facilitare tale unione, destinata a divenire operante in ogni settore nel caso di una minaccia tedesca. Anzi avrebbe dovuto adoperarsi per rendere insanabili le incomprensioni e i conflitti tra l'Italia e la Jugoslavia.

Tutto ciò, comunque, vale per un futuro aleatorio e certamente molto lontano. Allo stato degli atti i rapporti tra la Jugoslavia e la Germania sono ottimi. Checché il mondo ne pensi essi sono, da qualche tempo a questa parte, molto migliori di quanto non siano i rapporti tra Jugoslavia e Francia. Già una forte attività militare e commerciale si sviluppa fra i due Paesi. La collaborazione di Belgrado all'asse Roma-Berlino si deve considerare acquisita, anche perché tale asse rappresenta il baluardo effettivo contro la minaccia più grandemente temuta dalla Jugoslavia: quella del comunismo.

L'influenza rossa è stata deleteria per tutti i popoli, ma particolarmente pericolosa appare a Belgrado ove la identità della razza, l'affinità del temperamento, l'analogia della lingua, renderebbero in special modo facile il compito a quei propagandisti bolscevichi che riuscissero a portare l'infezione delle loro idee tra gli slavi del sud.

Il comunismo~ a dire di Stojadinovic ~non è ancora largamente diffuso in Jugoslavia. Ha fatto una certa presa nelle classi intellettuali e particolarmente tra gli studenti universitarì di Belgrado ove lo professano un paio di centinaia tra i settemila giovani che frequentano le Università.

Tra i Croati si è abbastanza radicato e anche, ma meno, in alcuni centri sloveni. Contro tale minaccia reagisce vivamente il Governo e soprattutto funziona attivamente la solida e sana barriera costituita dai piccoli proprietarì di campagna e dalle grandi masse agricole che formano l'ossatura della Nazione jugoslava.

I rapporti con l'Ungheria sono migliorati e tendono ancora a migliorare. Di recente il Governo di Budapest ha offerto a Stojadinovic un patto unilaterale di non aggressione, che egli trova di massima accettabile. Concluso tale patto, la Jugoslavia a breve scadenza emanerebbe un nuovo statuto delle minoranze ungheresi, che non dovrebbe apparire quale contropartita del primo, ma che in realtà sarebbe opportunamente concordato con l'Ungheria.

Stojadinovic intende marciare in questa direzione. Io l'ho incoraggiato, aggiungendo che il miglioramento delle relazioni tra Belgrado e Budapest influirà in un senso positivo e benefico sui rapporti Roma-Belgrado.

Per quanto concerne la Romania, Stojadinovic dimostra un maggiore ottimismo di quanto non lo animasse allorché Titulescu era Ministro degli Esteri. Verso quest'ultimo si è espresso in termini duri e spregiativi. Lo ha accusato di aver legato la Romania alla Russia per calcoli personali e forse addirittura per esserne stato corrotto. Titulescu aveva concordato con Mosca il passaggio delle truppe russe attraverso la Bessarabia per portarsi all'attacco della Germania. Ma Re Carol e Tatarescu, nei recenti colloqui con Stojadinovic, hanno affermato che tale politica è ormai apertamente sconfessata e che non permetteranno mai alle truppe russe di entrare in quella Bessarabia che una volta invasa, sia pure come alleati, continuerebbero a mantenere come mascherati oppressori e magari come nemici aperti.

La Romania adesso persegue una politica di amicizia con la Jugoslavia e con la Polonia e ciò con evidente funzione antirussa. Ma soprattutto la politica jugoslavofila è indispensabile al Governo di Bucarest. Stojadinovic non attribuisce che uno scarso peso militare ai romeni. Ma fa grande conto delle loro risorse agricole e delle loro illimitate riserve di petrolio. «Comunque -egli ha detto -o la Romania farà parte del nostro sistema, e allora avremo a nostra disposizione il grano e i pozzi di petrolio; o la Romania sarà contro di noi e, in breve tempo, i pozzi li avremo ugualmente».

Egli si è quindi occupato della posizione in cui si troverà la Romania dopo aver rifiutato le offerte di alleanza francese e mi ha chiesto quanto noi fossimo disposti a fare in favore di Bucarest.

Ho risposto che la nostra amicizia con i magiari ci impediva di andare troppo oltre nelle relazioni con i romeni, pur non esistendo, all'infuori del revisionismo ungherese, alcun contrasto tra l'Italia e la Romania. Anzi, di recente, avevamo concluso un trattato di commercio' che triplica quasi i nostri scambi. Se un giorno, com'io speravo e ritenevo possibile, si trovava tra Bucarest e Budapest un modus vivendi, noi avremmo potuto fare molto di più. Per ora, comunque, Stojadinovic poteva dire ad Antonescu che, nella nuova situazione che sta per determinarsi nei Balcani e nell'Europa danubiana, l'Italia è disposta a considerare con maggiore attenzione e con una cordialità più viva che non nel passato, la nazione romena.

Ottimista nei confronti del patto bulgaro-jugoslavo -Stojadinovic ritiene che le relazioni tra i due popoli si svolgeranno con un ritmo di crescente cordialità e che la saldatura operata tra bulgari e serbi è destinata a mantenerere paralleli i destini futuri delle due nazioni slave.

Buoni rapporti sono quelli che esistono oggi fra la Jugoslavia, la Turchia e la Grecia. Ma in realtà rapporti non molto serrati e, a quanto mi è stato dato di capire, non privi di numerose riserve mentali per quanto concerne il futuro.

Oggi la Jugoslavia è un paese territorialmente soddisfatto. È quello che dalla grande guerra ha ricavato di più. Nel 1912 la Serbia contava due milioni e 400

1 Trattato commerciale del 13 febbraio 1937 (testo in Trattati e Convenzioni, vol. LI, pp. 86-104).

mila abitanti. Dopo la guerra balcanica salì a 4 milioni. Adesso gli jugoslavi sono oltre 15 milioni e il ritmo della natalità è assai promettente. I problemi che oggi si presentano alla Jugoslavia non sono quelli di una espansione territoriale. Per almeno dieci anni, la costruzione di opere pubbliche, il potenziamento dell'economia nazionale, la elevazione spirituale e culturale del popolo, saranno le mète cui tenderà il Governo. Ma quando un giorno larghi orizzonti e nuovi sbocchi saranno richiesti dal vigore di vita del giovane popolo jugoslavo, penso che sarà proprio nella direzione della Grecia e della Turchia che la marcia avrà inizio.

Ben poco Stojadinovic si è preoccupato dell'Albania. Essa-ha detto-aveva una grande importanza allorché la diplomazia europea riusciva a tenere lontane e nemiche l'Italia e la Jugoslavia. Rappresentava per noi un'arma puntata nel fianco. Ma oggi, nel nuovo clima non vi è più alcuna ragione di considerarla tale e il problema albanese ritorna ad assumere le sue vere proporzioni: quelle di un modesto problema locale. Ho concordato con Stojadinovic. E per debito di lealtà gli ho detto che mi preparavo, nel giro di poche settimane, a fare una visita a Re Zog, così come avevo visitato le capitali di tutti i paesi amici ed alleati. Da parte di Stojadinovic nessuna abbiezione.

Dei grandi paesi lontani, il Presidente Stojadinovic ha parlato soltanto dell'Inghilterra come di quella che, senza alcuna ragione diretta, pretende o aspira ad esercitare una influenza notevole sulla politica jugoslava.

«Durante le sanzioni l'Inghilterra ha cercato di spingere la Jugoslavia ben più lontano di dove siamo arrivati nella politica di ostilità all'Italia. Cessate le sanzioni l'Inghilterra ha continuato a lusingarci e a prometterei un aiuto nel Mediterraneo. Noi non ne abbiamo bisogno. Intanto mi domando se l'Inghilterra è in grado di aiutare noi o qualsiasi altro paese nel Mediterraneo, dato che essa ha dovuto così ripetutamente sollecitare il nostro aiuto allorché si è trovata ai ferri corti con voi. E poi, io non ho fiducia nel riarmo britannico. Il gioco del poker è un gioco anglo-sassone e tutti noi sappiamo che il bluff si usa molto spesso per cercare di salvare almeno una parte del proprio denaro. Anche se l'Inghilterra porterà a termine il suo riarmo materiale, ciò non significherà che essa abbia assunto di nuovo il suo ruolo nel mondo. Più che le armi valgono gli uomini. Ed io nutro molti dubbi sulla volontà e sullo spirito di combattimento dell'odierno popolo britannico. Da troppo tempo ha fatto assegnamento sul miracolismo societario per essere oggi in grado di impugnare la spada. Io, la Società delle Nazioni, non la tengo in nessun conto. Ne faccio parte, e debbo continuare a farne parte, più per necessità di opinione pubblica e per forza di inerzia che non per mia convinzione personale. Ho l'onore di non essere mai stato a Ginevra e questo onore intendo di conservarlo per sempre. E anche il patto che ho stretto con voi, e che nonostante i possibili cavilli della interpretazione è certamente un patto al di fuori e magari anche contro la S.d.N., è una prova della mia scarsa simpatia per Ginevra. Il formale riconoscimento dell'Impero italiano ne è un'altra. Allorché francesi e inglesi protesteranno per quello che chiamano il riconoscimento de jure, risponderò loro che io non avevo il mezzo per fare un riconoscimento de facto. E se si lamenteranno dell'avere io preso tale decisione senza informarli, risponderò che nemmeno Londra e Parigi mi hanno informato quando hanno soppresso la Legazione ad Addis Abeba. Così come mi propongo di rispondere alla Francia, la quale, nonostante i comunicati Havas, non ho mai informata del corso delle trattative con Roma, che il suggerimento di fare un accordo con l'Italia mi è proprio venuto dal loro Presidente del Consiglio. Allora era Lavai, adesso è Blum. Non è colpa mia se in Francia, il Governo e le idee combiano così ·spesso».

* * *

Ho cercato di riassumere con una certa larghezza i colloquì avuti con il signor Stojadinovic. Essi rispecchiano la sua personalità, che mi ha fatto una reale profonda impressione. Stojadinovic è un fascista. Se non lo è come affermazione aperta di partito, lo è certamente per la sua concezione dell'autorità, dello Stato e della vita. La sua posizione nel Paese è preminente. Con l'appoggio del Principe Paolo, che mi ha dichiarato avere per lo Stojadinovic una illimitata fiducia e una cordiale simpatia, e operando alla testa di un partito che raccoglie la gran maggioranza del Paese, Stojadinovic ha adesso e più si prepara ad assumere nel futuro, la figura dittatoriale in Jugoslavia. È animato da una volontà irriducibile ed ha una mentalità chiara ed aperta. I suoi piani si rivelano assai manifesti dalle cose che mi ha detto e che ho prima riassunto. Nei riguardi dell'Italia egli ha certamente l'intenzione di portare molto oltre l'opera di unione e di collaborazione. D'altra parte, firmando il patto del 25 Marzo, egli, e me lo ha detto, si è nettamente impegnato a marciare su tale strada. E dalle impressioni che ho avuto nel mio breve soggiorno in Jugoslavia ho tratto il convincimento che per noi vi sia grande vantaggio ad intensificare l'azione comune coi nostri vicini di oriente.

Anche nel campo economico Stojadinovic intravvede sempre più larghe possibilità. Per quanto concerne l'autarchia militare del sistema italo-jugoslavo, le materie prime dei nostri vicini e la nostra attrezzatura industriale si completano in modo felice.

A tal fine Stojadinovic ed io siamo rimasti d'accordo di restare in contatto per preparare e sottomettere al Duce, a suo tempo, un vasto piano di attività.

Cogli accordi di Belgrado e soprattutto nell'atmosfera che, a Belgrado, Stojadinovic ha determinato, io credo che la collaborazione italo-jugoslava sia destinata a svilupparsi e a giuocare un ruolo determinante nella Penisola Balcanica e nell'Europa Danubiana. Conviene adesso da parte nostra svolgere un'accurata attività per potenziare queste condizioni di favore. Intanto bisogna vedere largo e lontano e non soffermarci sui piccoli problemi di carattere personale, che alcuni interessati cercano e cercheranno di agitare per compromettere la nascente amicizia e la futura alleanza fra Italia e Jugoslavia.

Con Stojadinovic siamo rimasti d'accordo di dissipare subito, e in forma diretta, qualsiasi equivoco che dovesse prodursi in futuro o qualunque sospetto che immancabilmente i Paesi delusi dalla nostra unione tenderanno di insinuare nel nostro o nel loro animo per intorbidare quelle acque, che intendiamo mantenere chiare.

A tal fine, ed oltre i normali mezzi diplomatici, Stojadinovic mi ha accreditato per eventuali comunicazioni riservate ed urgenti, il fratello, deputato alla Scupcina e suo collaboratore. Per casi analoghi, io gli ho indicato Anfuso.

Inoltre, data la vicinanza, potremo vederci con una certa frequenza. Nell'agosto, si propone, ed io lo ho incoraggiato, di venire a passare qualche giorno al Lido di Venezia. Più tardi, in novembre, sarà a Roma per rendere omaggio al Duce. E si potrà, in futuro, pensare anche ad una visita del Reggente Paolo.

Poi conviene che l'industria, la banca e la cultura si orientino decisamente verso questo nuovo naturale singolarissimo sbocco dell'Italia Fascista. A Belgrado, come in nessun'altra capitale europea, ho trovato una profonda conoscenza della lingua e della cultura italiana. Non soltanto tra i vecchi, ma anche nelle nuove generazioni, cioè fra coloro che si sono affacciati alla vita mentre più violento era il contrasto fra le due Nazioni adriatiche, la conoscenza vaga o precisa dell'italiano è quasi generalizzata nelle classi più elevate.

Se ciò è stato possibile durante i venti anni di aspra frizione, tutto lascia credere che nel nuovo clima che gli accordi hanno determinato e più ancora determineranno, l'Italia potrà in breve e vantaggiosamente rimpiazzare in Jugoslavia proprio quella Francia, che fino ad ora si è tanto adoperata per tenercene così scrupolosamente lontani 1 .

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 1438. Berlino, 26 marzo 1937 (per. il 29).

Eccoti un altro appunto del Renzetti sopra un suo colloquio col generale Goring2 . Arrivederci a Roma.

ALLEGATO

RENZETTI ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

APPUNTO. Berlino, 22 marzo 1937.

Ho avuto oggi un lunghissimo colloquio con G6ring. Tra le tante affermazioni e dichiarazioni che egli ha fatto, riferisco le seguenti che mi sembrano le maggiormente interessanti:

L'Inghilterra ha chiuso le porte all'Italia; la Germania invece tiene ancora la punta del piede nello spiraglio della stessa porta. L'Inghilterra potrebbe raggiungere un accordo con l'Italia soltanto qualora rinunciasse-(alcuni inglesi avrebbero già prospettato tale possibilità) -al Mediterraneo e concentrasse la propria attività verso l'Africa del Sud, da cui le Indie sono facilmente raggiungibili.

È di massima favorevole ad una maggior intesa economica itala-germanica. Per giungervi occorre però risolvere, sia pure in alcuni anni, il problema austriaco, del quale egli avrebbe parlato recentemente al Duce, oltre che fissare con esattezza, in quali quantità e per quanti anni, l'Italia si obbligherebbe a ritirare i prodotti tedeschi. Ciò allo scopo di poter convenientemente aumentare la produzione delle fabbriche germaniche.

L'Italia potrebbe fornire alla Germania, aiuto che G6ring ha definito prezioso, i cereali. Sui prodotti abissini non è possibile fare assegnamento, non solo in quanto oggi non sono note le possibilità di quella zona, ma soprattutto in quanto, in caso di conflitto con l'Inghilterra, non si potrebbe forse contare sulle possibilità di un intenso traffico navale.

Le battaglie navali non si vincono con gli aeroplani -le esperienze che egli ha fatto compiere recentissimamente lo dimostrano -occorrono navi. La Germania ne avrà di qui a cinque anni. È lieto che l'Italia imposti presto due corazzate da 35.000 tonnellate.

I Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Il documento reca il timbro: «visto dal Duce».

La estrazione delle piriti di ferro in Germania ha dato e darà ottimi risultati: da 11 a 12 milioni di tonnellate annue. Si tratta, è vero, di materiale di qualità inferiore, ma esso ben lavorato diventa adatto alla costruzione di buon acciaio. Rottami di ferro sono ormai diventati rarissimi sui mercati mondiali; l'unica partita disponibile, piccolissima del resto, è stata acquistata per 800.000 marchi, in questi giorni, dalla Germania.

In caso di conflitto, la Germania occuperebbe l'Austria per assicurarsi le vie di comunicazione con i Balcani.

Goring ha poi fatto un tour d'horizon che ritengo superfluo riferire, in guanto le sue considerazioni ed opinioni sono note. Da segnalare è la sua sfiducia verso l'Ungheria-e la indifferenza dimostrata verso la Spagna della quale ha appena parlato. La Cecoslovacchia sarebbe naturalmente la Nazione che immediatamente verrebbe occupata in caso di conflitto.

Ha poi espresso la speranza che l'Italia crei, in Abissinia un forte esercito e fabbriche di armi e munizioni per poter minacciare le colonie inglesi: che inoltre l'Italia, una volta che Franco abbia vinto, non si ritiri completamente dalla Spagna.

Goring ha inviato un suo fiduciario negli Stati Uniti, per tentare di ottenere materiali e denaro.

Alla fine del colloquio, Goring mi ha dichiarato che si recherà prossimamente, in via privata, in Italia, e che in tale occasione, farebbe una visita al Duce: ha poi delegato per la questione dell'intesa economica il Sottosegretario Korner il quale, d'accordo con le Autorità italiane, dovrebbe costituire un comitato ristrettissimo al quale verrebbe demandato lo studio della questione. Detto comitato dovrebbe agire in tutta segretezza.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2232/148 R. Berlino, 27 marzo 1937, ore 14,14 (per. ore 17,10).

Segretario di Stato Affari Esteri, Dieckhoff, che ho veduto stamane, mi ha messo al corrente conversazione avuta da S.E. il Capo del governo con Hassell 1 . Egli ha tenuto a confermarmi che non vi è stata, né può esserci, alcuna differenza di atteggiamento tra i due Paesi a proposito dei volontari e ha sottolineato che il contegno della stampa tedesca (vedasi anche giornali di stamane) lo prova ampiamente. Segretario di Stato per gli Affari Esteri ha anche aggiunto che, nella conversazione avuta il 24 con ambasciatore di Germania a Parigi, Delbos, pur tenendo un linguaggio piuttosto «serio» -al quale ambasciatore ha risposto adeguatamente-non ha mai chiesto alla Germania di agire, in una qualsiasi maniera, sull'Italia 2 .

Dieckhoff ha colto infine occasione per congratularsi vivamente della conclusione dell'accordo italo-jugoslavo.

l Di questo colloquio tra Mussolini e von Hassell, avvenuto il 25 marzo, non è stata trovata documentazione. Secondo il resoconto dell'ambasciatore tedesco (in DDT, serie D, vol. III, D. 236), la conversazione aveva avuto come argomento principale l'episodio di Guadalajara e le sue conseguenze. Era stato il sottosegretario Bastianini in un precedente colloquio a parlare dei tentativi di separare la Germania dall'Italia effettuati dai francesi che esprimevano vivo apprezzamento per la condotta più riservata di Berlino e per la tendenza dei tedeschi a disinteressarsi delle vicende spagnole. Von Hassell aveva risposto che, di ritorno dal suo soggiorno a Berlino, era in grado di escludere in modo assoluto che la Germania intendesse seguire una politica del genere. Anche del colloquio Bastianini-von Hassell non è stata trovata documentazione.

2 Si veda in proposito il D. 337.

348

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2248/69 R. Atene, 27 marzo 1937, ore 15,05 (per. ore 21,15).

Telegramma di V.E. n. 48 1•

Ho fatto questo ministro Affari Esteri comunicazioni di cui al telegramma n. 48 nei termini e nella maniera pescrittami.

Signor Metaxas mi ha chiesto di ringraziare V.E. per l'atto amichevole cortesia ed ha aggiunto che notizia degli accordi fra l'Italia e la Jugoslavia non poteva che far piacere alla Grecia, la quale, mentre era alleata della Jugoslavia, era altresì legata da un patto di amicizia ali'Italia 2 colla quale aveva e desiderava intrattenere rapporti sempre più cordiali. Il governo greco, che d'altra parte aveva sempre auspicato il miglioramento dei rapporti fra Belgrado e Roma, non poteva quindi che compiacersi degli avvenuti accordi.

Il sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, al quale ho ripetuto la comunicazione, mi ha poi detto di condividere pienamente l'opinione di V.E. che cioè gli attuali accordi avevano una favorevole ripercussione sui rapporti tra l'Italia e gli altri Paesi balcanici e, soprattutto, sui rapporti tra Italia e Grecia giacché essi tolgono al Patto Balcanico quella punta antitaliana che alcuni avevano voluto attribuirgli in contemplazione della eventualità di un conflitto italo-jugoslavo. La Grecia, che con Venizelos e con Metaxas aveva per quanto la concerneva fatto le più ampie riserve circa il funzionamento del Patto Balcanico in una tale eventualità, si compiaceva perciò della nostra intesa con la Jugoslavia, che apportava oltre tutto un elemento chiarificatore al Patto Balcanico. Quest'ultimo assumeva ormai effettivamente il carattere di un patto di mutua difesa delle rispettive frontiere dei quattro alleati.

349

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 2250/63 R. Bucarest, 27 marzo 1937, ore 18,20 (per. ore 20,25).

L'accordo italo-jugoslavo ha rappresentato per questa opinione pubblica un energico ed inaspettato richiamo alla realtà. Sebbene governo romeno fosse informato da quello jugoslavo, non credeva tuttavia alla imminenza della conclusione ed è stato quindi colto di sorpresa e non ha avuto modo di preparare opinione pubblica.

l Vedi p. 386, nota l.

2 Trattato di amicizia, conciliazione e regolamento giudiziario tra Grecia e Italia del 23 settembre 1928 (testo in Trattati e Conven::ioni, vol. XXXVIII, pp. 480-488).

Nessun giornale si azzarda a diminuire portata accordo, cui vengono dedicate intere pagine e lunghi articoli di commento. La stampa a noi avversa, pur presentando accordo come un contributo alla pace (un avvicinamento dell'Italia alla Piccola Intesa?) lascia tuttavia trasparire la sua malcontenta irritazione per questo colpo maestro della politica fascista, che si mette ancora una volta in primo piano nell'Europa Balcanica, e non cela le sue preoccupazioni per il fatto che la Jugoslavia, membro della Piccola e della Intesa Balcanica, compia oggi un passo così deciso verso Roma, la quale più che punto terminale dell'asse Roma Berlino, tende a diventare il perno di tutto un sistema di equilibrio europeo. La stampa a noi favorevole, pur compiacendosi dell'accordo, non sa nascondere sua amarezza nel constatare che la Romania si è lasciata sopravanzare nel riavvicinamento con Roma. Detta stampa non si perita di incolpare la incerta, timida e contraddittoria politica seguita negli ultimi anni dalla Romania, la quale, invece di prendere a cuore i suoi interessi nazionali, continua ad inseguire le utopie ginervrine.

Mi interessava sentire gli apprezzamenti del signor Antonescu, che ha tenuto, in un lungo colloquio, a felicitare governo fascista per il grande successo conseguito. Mi ha detto che Romania è stata la prima a far pervenire alla Jugoslavia sua adesione al progettato accordo con Italia (il che mi è stato confermato dal mio collega jugoslavo), tuttavia neanche Antonescu ha saputo nascondere un certo accasciamento. Egli non credeva alla imminenza dell'accordo e lo vede arrivare proprio all'indomani del recente stupido incidente con l'Italia e la Germania 1 e constata che la Jugoslavia, dopo l'accordo con la Bulgaria, compie una nuova più audace mossa, mentre la Romania continua esser asfissiata dalle insistenti petulanti richieste franco-cecoslovacche per entrare in un sistema di mutua assistenza, richieste cui governo romeno, né sa opporre deciso rifiuto, né sa trovare sufficiente coraggio per marciare sull'asse Praga-Parigi.

350

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2261/64 R. Bucarest, 27 marzo 1937, ore 19,40 (per. ore 1,15 del 28).

Nel lungo colloquio avuto con Antonescu, egli ha tenuto a dire che il progettato accordo, che Francia e Cecoslovacchia pretendono, non si concluderà così presto. Mi è sembrato molto interessato, anzi ansioso, di conoscere se governo fascista sarebbe disposto concludere con la Romania un Trattato di amicizia sulle linee di quello firmato nel 1926 con il maresciallo Averescu 2 .

Ho fatto capire ad Antonescu che un concreto riavvicinamento tra l'Italia e la Romania non mi sembra possibile senza un previo chiarimento dei rapporti tra Romania e Ungheria.

l Vedi p. 248, nota 3.

2 Trattato di amicizia e collaborazione cordiale tra Italia e Romania del 16 settembre 1926. Testo in Trattati e Convenzioni, vol. XXVI, pp. 536-539.

Antonescu ha subito raccolto questo spunto, pregandomi adoperarmi presso questo mio collega di Ungheria a prendere contatti con lui sui problemi d'insieme dei rapporti fra Romania e Ungheria. Egli mi ha detto di essere disposto risolvere favorevolmente questione della parità di diritto, nonché concludere un Patto di non aggressione con l'Ungheria secondo ebbi già ad informare V.E. con mio telegramma n. 17 del 2 febbraio 1•

Ho assicurato Antonescu che al ritorno del mio collega Ungheria, recatosi a passare la Pasqua a Budapest, non avrei mancato di incoraggiarlo a riprendere contatti con lui.

Antonescu mi ha fatto d'altra parte comprendere che in occasione della prossima riunione Piccola Intesa a Belgrado, egli non avrebbe mancato di prendere contatti con Stojadinovic per studiare come potrebbe essere risolta questione della parità di diritto per l'Ungheria. Ha aggiunto che se riuscisse a intendersi con la Jugoslavia, gli sarebbe molto più agevole opera di persuasione sulla Cecoslovacchia per conseguirne necessaria adesione alla parità di diritto.

Ho ricordato ad Antonescu che l'Ungheria non è disposta a negoziare questione della parità di diritto durante i negoziati ed Antonescu mi ha fatto nuovamente capire che la mediazione italiana in questa materia potrebbe grandemente agevolare la ricerca di una soluzione felice.

351

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 2249/186 e 2246/187 R. Parigi, 27 marzo 1937, ore 22,50 (per. ore 7,30 del 28).

Ho veduto a mezzodì Léger, perché Delbos, che era rientrato nei giorni scorsi a Parigi, è ripartito ieri in congedo pasquale. Gli ho detto che avevo fatto ritorno qui perché governo fascista desiderava che mi rendessi esatto conto dell'azione diplomatica svolta negli scorsi giorni da Delbos2 . Essa aveva prodotto in Italia una impressione penosa e tale da lasciare strascichi funesti per le relazioni italo-francesi qualora non ottenessimo chiarimenti che riuscissero a modificarla.

Léger contrattaccò dicendomi che il resoconto dell'ultima seduta del Comitato di Londra3 aveva impressionato Delbos al punto da provocarne ritorno a Parigi. Di fronte atteggiamento del conte Grandi, che si era verificato dopo che era stato per due volte chiesto invano a Roma di poter fare uso pubblico della smentita di V.E. relativamente all'invio di volontari italiani in Spagna posteriormente al 20 febbraio4 , governo francese si era domandato se non esistesse pericolo che l'Italia denunziasse

I Vedi D. 115. 2 In proposito si vedano i DD. 336, 337 e 343. 3 Vedi D. 327. 4 Vedi D. 277.

422 impegni assunti di aderire alla politica di non intervento. Delbos aveva pertanto creduto di intrattenersi al riguardo con gli ambasciatori di Inghilterra e Germania.

Con il conte Welczeck, Delbos si era astenuto dal fare la minima allusione all'Italia. Era stato previamente riconosciuto nel corso di un esame fatto da Delbos e Léger che sarebbe stato di pessimo gusto ed in contrasto assolutamente con le relazioni cordiali esistenti fra l'Italia e la Francia di toccare nelle conversazioni con rappresentanti esteri un argomento che potesse avere apparenza di lagnanze verso l'Italia. Delbos era partito dal principio che il governo tedesco, il quale nel giugno scorso aveva assunto atteggiamento negativo di fronte ad una collaborazione con altre Potenze, mediante recenti dichiarazioni ed atti diplomatici aveva mostrato invece sincera intenzione di riprendere tale collaborazione. Egli aveva quindi, dopo questa premessa, detto al conte Welczeck che siccome Germania aveva mostrato comprendere e voler secondare politica di non intervento patrocinata dalla Francia, egli rivolgeva al governo del Reich un appello fiducioso perché adempisse alla sua parte di collaboratore di una opera di pace. Si era astenuto dal chiedergli di prendere posizione in un senso o nell'altro ed aveva invece parlato in linea generale e, tornava ad insistervi, senza menzionare l'Italia, nel senso che il Reich si mantenesse fedele agli impegni assunti.

Conte Welczeck aveva dato assicurazioni formali al riguardo, confermando che dal 20 febbraio non era partito più alcun volontario tedesco per la Spagna.

Léger mi disse che avrei potuto facilmente controllare presso mio collega tedesco quanto sopra esposto. I commenti inconsulti ed assolutamente immaginari dei giornali francesi e specialmente di quelli di opposizione circa colloqui diplomatici di Delbos furono motivati in parte della mancanza di una smentita ufficiale alle notizie dell'invio di 20 mila volontari italiani oltre termine fissato ed in parte dalla consuetudine francese, non mai infranta, di non dare alla stampa alcun comunicato circa conversazioni fra ministro degli Affari Esteri e i rappresentanti esteri. Ambasciatore di Germania fu il primo ad essere risentito da tali commenti e mandò il suo consigliere al Quai d'Orsay per manifestare il suo stupore e dispiacere al riguardo, avendo dovuto constatare che una conversazione diplomatica amichevole e priva di qualsiasi punta verso un terzo Stato era stata travisata completamente.

Quanto al colloquio con Sir. G. Clerk, esso era stato più particolareggiato ed aveva avuto per oggetto tre punti: l) procedura seguita e da seguirsi dal Comitato di Londra;

2) esame della situazione per constatare se dovessero ritenersi tuttora rispettati da tutti i contraenti gli impegni assunti e se e quando sarebbe stato il caso di ricorrere alla S.d.N. aderendo al desiderio espresso da Del Vayo;

3) controllo e sua applicazione.

Primo punto era stato discusso perché dichiarazioni del conte Grandi, che avevano suscitato tanta apprensione, erano state fatte relativamente ad una questione di procedura.

Esame del secondo punto era stato reso necessario dal timore menzionato più sopra, perché se l'Italia avesse denunziato impegni assunti e fosse passata ad una azione diretta, vale a dire ad un intervento palese in favore dei nazionali, si sarebbe verificato pericolo di conflitto internazionale che politica del non intervento era riuscita ad eludere. In tal caso, e soltanto allora, la Francia non sarebbe stata aliena da portare questione spagnola a Ginevra, mentre nella situazione presente essa vi è decisamente contraria, poiché si tratterebbe di accuse a questo o quello Stato in base a dati e fatti che non poterono esser comprovati.

Circa richiamo volontari, i sovietici reclamano un atteggiamento che la Francia non vuole seguire. Léger alludeva alla pretesa di Maisky di indagare se volontari italiani appartenessero a corpi militari costituiti. Quanto a ciò governo francese propende per esame della possibilità del richiamo di tutti volontari, tanto più che qualora questo progetto venisse adottato cadrebbero indagini patrocinate dai sovietici.

Circa il terzo punto, Delbos rilevò che controllo in mare può essere eseguito senza indugio perché navi trovansi nelle zone loro assegnate, ma per essere efficace esso dovrebbe svolgersi contemporaneamente a quello terrestre. I commissari principali di questo sono sul posto, ma mancano tuttora quelli appartenenti a piccoli Stati cui saranno affidati compiti secondari e la cui assunzione fu decisa a Londra soltanto nell'ultima seduta. Si spera che controllo possa funzionare al più presto, alla fine della settimana prossima.

Dopo avermi riferito in questi termini i due colloqui di Delbos con ambasciatore di Germania e Inghilterra, Léger insistette sulla circostanza che ministro degli Affari Esteri non pensò menomamente a mettere in causa Italia. Del resto, se egli avesse avuto questo pensiero, l'elementare correttezza nonché la cordialità dei rapporti esistenti tra Italia e Francia lo avrebbe indotto a rivolgersi direttamente a governo italiano.

Atteggiamento e linguaggio da me tenuti a Léger a proposito quest'ultima sua affermazione, non poterono lasciare sussistere in lui alcun dubbio che accettavo le sue parole come una scusa non richiesta e cioè come un riconoscimento legittimità del nostro risentimento.

Léger mi riparlò poi dei 20.000 volontari e della smentita fatta, chiedendomi se a Roma non avessi chiesto che governo francese fosse autorizzato a renderla pubblica. Gli ricordai che V.E. riteneva inutile istituire una polemica al riguardo e, poiché Léger insisteva nel dire che i comunisti e socialisti ed anche parte dei radicali rinfacciavano al governo di tollerare simili violazioni, credetti leggergli a mia volta i dati contenuti nel telegramma n. 646/C di V.E. 1•

Léger mi chiese se ne facevo oggetto comunicazione ufficiale, nel qrutl caso avrebbe assunto informazioni e poi risposto. Qualora avesse potuto smentire, riteneva utile che se ne fosse data, pubblica notizia.

Risposi che non ero stato incaricato di alcuna richiesta ufficiale a riguardo.

Egli si mostrò spiacente perché con questo metodo permane il dubbio e opinione pubblica può credere che i governi si ingannino a vicenda. Ripetè che riteneva poter rendere pubblica smentita.

Non vi è dubbio che sull'azione dei giorni scorsi di Delbos influirono principalmente considerazioni di politica interna perché partiti di sinistra, irritati per atteggiamento del governo nel cedere prima alle pressioni dei radicali in materia finanziaria e nel non biasimare ufficialmente poi la polizia che reagì subito durante

1 T. 646/C del 24 marzo. Comunicava i dati degli aiuti che, secondo le segnalazioni della Missione Militare in Spagna, erano stati inviati tra il lo e il 20 marzo ai governativi spagnoli e che comprendevano, tra l'altro, 1300 volontari e 99 aerei (50 francesi, 35 cecoslovacchi, IO sovietici e 4 olandesi).

i moti Clichy 1 , stanno agitandosi ed insistendo per azione energica del Quai d'Orsay nei riguardi Spagna.

Léger stesso ammise meco che stamane vari deputati comunisti e deputati socialisti si erano recati da lui per protestare contro atteggiamento non sufficientemente risoluto della diplomazia francese.

Alla fine della mia conversazione con Léger, questi mi disse mio ritorno a Parigi sarebbe stato rimarcato probabilmente e avrebbe formato oggetto commenti svariati. Poiché egli avrebbe veduto nel pomeriggio Presidente della Repubblica per riferirgli circa politica internazionale, mi chiedeva se e che cosa potesse dirgli a proposito intenzioni dell'Italia nei riguardi della Spagna e della politica del non intervento.

Gli ho risposto che poteva dirgli che governo italiano era stato meravigliato e si era risentito della levata di scudi ad opera governo francese. Nulla poteva ciò giustificare, in quanto atteggiamento energico del conte Grandi, come per il passato, era risposta meritata ad un atteggiamento ostilissimo di parte della pubblica opinione e della stampa britannica prima, francese poi, verso l'Italia.

Il governo italiano non aveva mutato e non mutava sua adesione alla politica di non intervento. Esso pertanto non avrebbe mandato ulteriormente volontari in Spagna. Ritenevo che se fosse stato proposto a Londra di esaminare possibilità di ritirare volontari, Italia vi avrebbe data sua adesione, la quale non toglieva naturalmente che delicata questione sarebbe stata poi esaminata sotto tutti i suoi aspetti.

Léger mi disse che questa dichiarazion~ era quanto mai soddisfacente e avrebbe prodotto la migliore impressione nei confronti governo francese.

L'impressione generale tratta dai miei colloqui e dall'atteggiamento stampa è che pallone deve considerarsi sgonfiato.

352

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 2256/188 R. Parigi, 27 marzo 1937, ore 23,05 (per. ore 3,45 del 28).

Telegramma di questa ambasciata n. 1822 e mio telegramma n. 1803 .

Non risulta ... 4 esatto quanto mi ha detto Léger perché Welczeck mi ha informato che Delbos aveva rinfacciato all'Italia invio di 20 mila volontari posteriomente 20 febbraio, negato consenso alla pubblicazione della smentita data all'incaricato di Francia a Roma5 e poi ripetutagli da me 6 , appartenenza dei volontari a corpi armati del R. Esercito e della Milizia che risultava da dati e fotografie possedute

I Vedi D. 304.

2 Vedi D. 337.

3 Riferimento errato. Si tratta probabilmente del T. 2249/186 R. del 27 marzo, qui pubblicato con il n. 351.

4 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile».

5 Si veda in proposito il D. 277.

6 Vedi D. 298.

dal governo francese, facilitazioni ai volontari ed infine contegno del conte Grandi che aveva dichiarato di «non ammettere» che si discutesse ritiro volontari ancorché esso fosse stato preconizzato tanto dalla Germania che dall'Italia. Delbos aggiunse che questa serie di fatti mostravano da parte dell'Italia intenzione di violare impegni formali assunti ed in ogni caso che essa non faceva alcun conto della Francia che si era fatta iniziatrice politica di non intervento come se si trattasse di un «Potenza di 18° ordine» (sic), mentre questa era Stato confinante con Spagna e doveva tenere per sicurezza proprie comunicazioni con Africa del Nord. Tutto ciò era insopportabile e quindi egli aveva parlato testè all'ambasciatore d'Inghilterra e parlava ora a quello di Germania per richiamare loro attenzione sopra necessità attenersi strettamente agli impegni assunti per impedire fallimento politica non intervento, unica salvaguardia del mantenimento pace europea.

Conte Welczeck, dopo aver preso parti dell'Italia su vari punti, aveva risposto che proprio governo aveva mantenuto impegni assunti non mandando alcun volontario in Spagna dopo data stabilita. Domandò poi a Delbos quale fosse portata del suo passo e fece ciò perché esposizione delle lagnanze francesi contro Italia non era stata conclusa da alcuna domanda di intervento presso governo italiano da parte della Germania, né dalla enunciazione di alcun provvedimento che governo francese intendesse proporre agli altri Paesi.

Delbos gli aveva risposto che egli faceva unicamente appello alla volenterosa collaborazione della Germania nella sincera applicazione della politica di non intervento in Spagna.

Conte Welczeck aveva effettivamente manifestato suo stupore al governo perché giornali francesi avevano scritto che la Germania era stata invitata da Delbos ad «intervenire» presso Italia e che egli stesso avrebbe detto cose del tutto infondate. Constatava che, di fronte tradizionale e rigoroso silenzio del Quai d'Orsay circa colloqui diplomatici, giornali parigini inventano spesso e volentieri con grave danno dei buoni rapporti tra Francia e Stati esteri.

353

L'AMBASCIATORE A ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2389/011 R. Ankara, 27 marzo 1937 (per. il 3 aprile).

Telegramma di V.E. n. 44 1• Con n. 91 2 ho telegrafato a V.E. sinteticamente le dichiarazioni fattemi da Aras. Le riferisco qui di seguito con maggiore ampiezza. «Il governo turco ed io siamo estremamente soddisfatti della imminente conclusione di nuovi rapporti amichevoli fra Italia e Jugoslavia. Abbiamo incoraggiato

I Vedi p. 386, nota l.

2 T. 2193/91 R. del 25 marzo. Riferiva di avere effettuato il passo prescrittogli con Aras che aveva espresso la sua soddisfazione per il ravvicinamento italo-jugoslavo e per i suoi riflessi su la situazione balcanica.

in ogni possibile modo Stojadinovic al riavvicinamento con l'Italia. Egli vi era già propenso, ma certo senza il nostro assenso così esplicito ed incoraggiante, la volontà sua avrebbe subito qualche intralcio e non si sarebbe realizzata senza ostacoli. Aggiungo del resto che dopo avere conosciuto il vostro ministro a Milano mi sono persuaso che il suo spirito chiaro avrebbe certo agevolato il riavvicinamento che era indispensabile, senza di che il nostro sistema balcanico avrebbe zoppicato, perché mancante di una delle sue indispensabili basi. I buoni rapporti turco-italiani e turco-greci sarebbero sempre stati imbarazzati dalla mancanza di uguali rapporti italo-jugoslavi. Ora che essi sono così chiaramente e decisamente ristabiliti nulla più manca alla pace balcanica ed alla cooperazione dell'Italia con gli Stati della Balcania. Perciò vi dico che la stessa nostra eccellente impressione e sincero compiacimento sarà anche ad Atene. A Bucarest la impressione sarà buona, ma di un grado lievemente inferiore al nostro poiché vi sono colà oscillazioni nella opinione pubblica e diversità di concezioni nel governo.

È inutile vi dica che Berlino sarà soddisfattissima dell'accordo. Ma lo si sarà anche a Londra dove del resto si conosceva già quanto stava per concludersi fra Roma e Belgrado. Si giudicherà soltanto il momento intempestivo dal punto di vista inglese. Ma in politica i momenti non si possono scegliere (dice sempre Aras) ma occorre prenderli quando vengono.

A Praga e Parigi si sarà scarsamente soddisfatti, in quanto si riterrà che la Jugoslavia si allontana di fatto sempre più dal loro sistema che poi si appoggia sostanziamente a Mosca.

Noi turchi dobbiamo in ogni caso prendere il buono che ci riguarda. Per la Turchia il patto i tal o-jugoslavo che viene dopo il gentlemen 's agreement e dopo l'incontro di Milano significa sicura pace nei Balcani, tranquillità assoluta nel Mediterraneo orientale, illimitata possibilità di cooperazione dei Balcani con Italia.

Dite questo al vostro ministro ed aggiungete che la Turchia si rallegra con lui della sua pronta illuminata azione».

354

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. 672/45 R. Roma, 28 marzo 1937, ore 24.

Quanto comunicato da V.E. con telegrammi nn. 85 1 e 922 risulta anche questo ministero da fonte sicurissima. La prego, pertanto, alla prima occasione, di voler esprimere ad Aras il nostro vivo apprezzamento per l'atteggiamento tenuto in tale circostanza.

I Vedi D. 318.

2 T. 2202/92 R. del 26 marzo. L'ambasciatore Galli comunicava di avere appreso «da fonte sicurissima» che il ministro degli Esteri spagnolo aveva inviato all'incaricato d'affari ad Ankara un contrordine circa il passo relativo alla convocazione del Consiglio della S.d.N. (per il quale si veda il D. 318) ma che il contrordine era giunto troppo tardi.

355.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE S.N. Mosca, 28 marzo 1937 (per. il 6 aprile).

Ieri, con telegramma d'ufficio n. 33 1 , ti ho riferito circa una richiesta fattami da Litvinov per quel che riguarda le informazioni da noi fornitegli sui due piroscafi sovietici, il Komsomol e lo Smidovic. Credo utile però aggiungere ora qualche maggiore ragguaglio.

A prima impressione la domanda di Litvinov mi è parsa piuttosto sospetta e mi sono chiesto a che cosa essa effettivamente mirasse. Ricapitolo i precedenti:

Il 15 corr. il vice Commissario agli Esteri, Krestinski, incontrandomi ad un ricevimento, mi chiedeva a titolo personale di interessarti ad ottenere dal governo di Franco delle informazioni «sull'equipaggio della motonave Komsomol (che sarebbe stata affondata nel Mediterraneo occidentale verso il 14 dicembre) e sulla nave Smidovic della quale non si aveva qui alcuna notizia» 2 .

Molto cortesemente tu mi telegrafasti subito 3 che avresti chiesto le notizie desiderate per mezzo del nostro ambasciatore a Salamanca. Successivamente, con telegramma n. 19 del 25 corr. 4 , tu mi hai fornito le informazioni ricevute da Cantalupo e cioè: «L'equipaggio del Komsomol travasi internato a Puerto Rea!. Il piroscafo Smidovic era stato sottoposto a visita ma poi rilasciato». Con ciò si rispondeva con precisione ai due punti specifici della domanda sovietica.

Il giorno dopo, dovendomi recare al Commissariato degli Esteri per consegnare personalmente a Litvinov una mia nota relativa agli alloggi del personale dell'ambasciata. chiesi di vedere anche Krestinski. il quale però mi fece rispondere di essere molto occupato e di non poter ricevermi in quel giorno. Decisi allora di comunicare allo stesso Litvinov le informazioni ricevute a proposito delle due navi, e lo feci appunto nel corso della conversazione di avant'ieri. Litvinov mostrò di apprezzare molto il tuo intervento per ottenere notizie che stavano molto a cuore al suo governo e mi pregò di trasmetterti i suoi ringraziamenti personali. Sul merito delle notizie fornitegli non fece alcun commento 5 .

Il giorno dopo, cioè ieri, avendolo incontrato alla rappresentazione di un film alla quale il Narkomindiel aveva invitato il corpo diplomatico, egli mi chiamò in

1 T. 3905/33 R. del 28 marzo, non pubblicato. L'argomento è qui indicato.

2 In proposito l'ambasciatore Rosso aveva riferito con T. 1893/30 R. del 16 marzo.

3 Con T. 615/16 R. del 20 marzo.

4 T. 3899/19 P.R. che è del 24 marzo.

5 Di questo colloquio Rosso aveva dato notizia con T. per corriere 2415/36 del 26 marzo. Sul terreno politico, riferiva l'ambasciatore, la conversazione si era portata su la durissima polemica in corso tra la stampa dei due Paesi e a questo proposito Litvinov aveva lasciato capire che «a condizioni di reciprocità, egli sarebbe sempre favorevole ad una tregua nella campagna di insulti reciproci».

disparte 1 e mi disse: «A proposito delle notizie che mi avete dato ieri temo che ci sia stato un equivoco e vi sarei molto grato se voleste telegrafare ancora al conte Ciano per mettere in chiaro le cose». Mi stupii di questa richiesta e gli chiesi di spiegarmi in che cosa egli temeva fosse incorso equivoco. Al che egli rispose: «lo credo che l'equipaggio internato sia quello dello Smidovic e non quello del Komsomol».

Gli ripetei che non riuscivo a comprendere la ragione di tale dubbio, visto che le notizie che le autorità nazionaliste spagnuole avevano dato a Cantalupo rispondevano appunto ai due punti posti da Krestinski. Litvinov però insistette sulla possibilità di un equivoco «perché -egli disse -secondo le nostre informazioni il Komsomol è affondato con tutto l'equipaggio, mentre lo Smidovic, che secondo le informazioni di Salamanca sarebbe stato rilasciato subito dopo la perquisiziùne, non ci ha più dato alcuna notizia di sé».

Gli feci rilevare che se Krestinski mi aveva chiesto di ottenere informazioni sull'equipaggio del Komsomol, ciò voleva dire che a Mosca stessa non si escludeva che l'equipaggio stesso avesse potuto salvarsi.

Litvinov parve non voler rilevare questa mia osservazione e ripetè con insistenza la sua preghiera di telegrafarti «per chiarire le cose». Prima di dare alle famiglie dell'equipaggio del Komsomol la buona notizia telegrafata da Cantalupo egli desiderava essere ben sicuro che l'equipaggio era effettivamente salvo e che non c'era stato equivoco con l'equipaggio dello Smidovic.

Tutta questa faccenda mi pareva poco chiara, e prima di telegrafarti, mandai un segretario al Narkomindiel perché parlasse col signor Weinberg, capo dell'Ufficio che si occupa delle cose italiane, e cercasse di fare un po' più di luce sulla faccenda. Feci dire al Weinberg che non intendevo prestarmi a sotterfugi e che, prima di chiedere al mio ministro di rivolgersi una seconda volta a Salamanca per ottenere informazioni che interessavano il governo sovietico, volevo essere sicuro che non si giuocava la commedia.

Il Weinberg, che era già al corrente della mia conversazione con Litvinov, protestò altamemente che non vi era alcun sotterfugio. Egli riconobbe che effettivamente Krestinski mi aveva sollecitato ad ottenere informazioni sull'equipaggio del Komsomol, ma osservò che Litvinov per suo conto nutriva dei dubbi sulla possibilità di salvataggio di tale equipaggio, e tale dubbio spiegava la di lui ansietà a ricevere una conferma delle notizie fornite da Salamanca. Ripetè che il governo sovietico «aveva molto apprezzato la cortesia del ministro Ciano nell'assumere le informazioni sulle due navi e che gli sarebbe stato anche più riconoscente se volesse e potesse confermargli -possibilmente con qualche maggior ragguaglio -le notizie già fornite».

Il funzionario che parlò con Weinberg ebbe l'impressione che il Narkomindiel fosse in buona fede e che non ci fosse alcuna manovra sotto la nuova domanda di Litvinov. Pur non essendone completamente sicuro (in questo ambiente non si può fare a meno di diventare sospettosi di tutto) ho creduto doveroso telegrafarti per metterti al corrente della cosa, anche perché ho pensato che, se a Roma si hanno informazioni sicure su quel che è effettivamente successo ai due piroscafi

1 Su questo colloquio l'ambasciatore Rosso aveva riferito con T. 3905/88 PR. del 28 marzo il cui contenuto è riportato qui.

sovietici ed ai loro equipaggi, sarà più facile rendersi conto costì dei moventi della domanda di Litvinov.

Sempre sullo stesso argomento voglio aggiungere qualche cosa che non ho telegrafato perché avrebbe richiesto spiegazioni troppo lunghe, ma che mi sembra valga la pena di esserti segnalata.

Nella sua conversazione col funzionario dell'ambasciata, il signor Weinberg ha avanzato, ad un dato momento, una idea formulata all'incirca nei seguenti termini: «Noi siamo grati all'ambasciatore-egli ha detto-di essere intervenuto presso il conte Ciano per avere notizie sui nostri piroscafi ed abbiamo molto apprezzato la cortesia del vostro ministro nell'interessarsi ad ottenere queste notizie da Salamanca. Naturalmente, oltre alle notizie, siamo molto ansiosi di ottenere la liberazione degli equipaggi internati. Si tratta di equipaggi di navi mercantili che le autorità nazionaliste spagnuole non dovrebbero avere troppa difficoltà a lasciare in libertà. Noi non possiamo però trattare col governo di Franco col quale non abbiamo alcun contatto. Credete voi che il ministro Ciano sarebbe disposto ad interessarsi in questo senso?».

Davanti a questa domanda il funzionario dell'ambasciata si astenne naturalmente dall'esprimere qualsiasi parere, pur non nascondendo una certa sorpresa abbastanza giustificata. Il Weinberg proseguì allora:

«Beninteso si tratta di una mia idea personale che vi chiedo di sottomettere a

S.E. Rosso come tale. Io mi rendo conto che nel momento attuale una richiesta del genere può sembrare piuttosto strana. Non si tratta però soltanto di chiedervi un favore, ma anche di cercare la via per un possibile miglioramento dei nostri rapporti. È certo che se il conte Ciano intervenisse presso il governo di Franco a favore della liberazione degli equipaggi delle nostre navi mercantili, il governo sovietico apprezzerebbe vivamente un tale atto e la nostra opinione pubblica ne sarebbe molto favorevolmente impressionata. Ciò potrebbe essere l'inizio di una «détente » che noi continuiamo a desiderare».

Questa la sostanza dell'idea avanzata dall'alto funzionario del Narkomindiel, che intanto rivela una cosa interessante: e cioè, che nonostante la violenta campagna di stampa di queste ultime settimane, Litvinov non ha ancora rinunciato del tutto alla speranza di un miglioramento di rapporti con l'Italia.

Non ho bisogno di dirti che io non mi lascio emballer da prospettive del genere. Mi rendo conto che le nostre relazioni con Mosca devono essere considerate in funzione della politica generale del fascismo e che, quando occorra, esse possono essere sacrificate anche completamente. Credo però non sia senza utilità per te di sapere che, se le circostanze lo consigliassero, si può ancora oggi contare sulla possibilità di un cambiamento di attitudine da parte sovietica. Io non posso far altro, naturalmente, che segnalarti questa possibilità, perché tu solo puoi giudicare se sia o meno il caso di approfittarne.

Se crederai di darmi qualche indicazione del tuo pensiero al riguardo te ne sarò molto grato, e ciò per mia utile norma nel parlare con questi signori. Perdona questa lettera personale troppo prolissa, ma che era forse un completamento necessario delle mie comunicazioni d'ufficio 1•

I Il documento ha il visto di Mussolini.

356

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

T. 677/131 R. Roma, 29 marzo 1937, ore 24.

Il corrispondente da Berlino del Times, analizzando l'atteggiamento presente della Germania nei riguardi della guerra civile spagnola, scrive: «l sostenitori di una politica più prudente hanno visto indubbiamente la loro tesi rafforzata dallo studio del programma di riarmo britannico e di tutte le sue ripercussioni, quali sono risultate, fra l'altro da un rapporto dell'addetto militare germanico a Londra 1• L'enciclica del Papa2 ed i rovesci degli italiani in !spagna con i loro effetti sull'opinione pubblica sono venuti ad appoggiare coloro che consigliano la prudenza ed un certo rallentamento nel riarmo, benché ci siano sempre quelli che non hanno perduta la speranza di vedere la Germania proseguire una politica di avventura in Europa».

Fatte le opportune indagini, voglia riferirmi quanto vi sia di attendibile in tale corrispondenza. Mi interessa particolarmente di conoscere l'effettivo stato d'animo odierno dei tedeschi nei riguardi della situazione spagnola 3 .

357

L'AMBASCIATA A SALAMANCA AL CAPO DELLO STATO SPAGNOLO, FRANCO

NOTA VERBALE SEGRETA. Salamanca, 29 marzo 1937.

L'Ambasciata di Sua Maestà il Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia, ha l'onore di pregare a Sua Eccellenza il Generalissimo Franco di voler prendere in considerazione quanto verrà ad esporre per incarico del Governo Fascista, ed anche a nome personale di Sua Eccellenza il Capo del Governo medesimo.

La fraterna comprensione, con la quale il popolo italiano segue l'eroico movimento nazionale spagnolo, è motivato dall'affinità degli ideali, dalla complementare missione della Spagna e dell'Italia nell'Europa, e dal fatto che l'Italia ha per prima e sola combattuto lo stesso pericolo che oggi conosce e combatte con tanto valore e decisione la Spagna Nazionale.

Conseguenza di questa comprensione è l'appoggio che l'Italia ha, fin dall'inizio del movimento liberatore, prestato al Governo di Sua Eccellenza Franco, sia sul terreno politico internazionale sia nello svolgimento della lotta armata. Pertanto il Governo Fascista desidera. e ritiene utile parlare con quello Nazionale spagnuolo con la sincerità che troppo spesso esula dalle normali relazioni internazionali: ed è sicuro che Sua Eccellenza Franco gradisce e ricambia questo sistema di consultazione reciproca.

1 Leo Geyr Von Schweppenburg. 2 Si riferisce all'enciclica Mit brennender Sorge del 14 marzo precedente. 3 Per la risposta si vedano i DD. 364 e 397.

Il Governo Fascista è convinto che uno dei problemi che si presentano oggi con carattere di particolare urgenza e importanza, nella lotta condotta in Spagna contro il comunismo, è quello dell'atteggiamento nei confronti delle popolazioni attualmente sotto il dominio dei rossi, a misura che esse vengono liberate dall'esercito nazionale: ugualmente per i combattenti.

Il Governo Fascista, fondandosi sull'opportunità di rendere per quanto possibile meno duro e sanguinoso il raggiungimento della vittoria comune, e quindi della pacificazione, fa presente che sarebbe utile far conoscere in modo notorio per tutti, se non addirittura pubblico, le categorie di delitti contro la sicurezza dello Stato punibili con la pena capitale: così che i combattenti nemici, le popolazioni ancora sottoposte al giogo rosso, e le stesse popolazioni già acquisite al Governo Nazionale, conoscano chiaramente che la valutazione dei delitti è basata da parte della Giustizia Militare, oltre che sull'indiscussa equità del Governo Nazionale Spagnuolo, anche sulla longanimità, comprensibile e giusta ove si tengano presenti le condizioni psicologiche speciali delle popolazioni conseguenti alle contingenze di questa terribile lotta.

Nel fare presente quanto precede, il Governo Fascista si fonda, oltre che su motivi umanitari, di carattere generale, pienamente condivisi da S.E. Franco, anche su quella che ritiene essere la via migliore per giungere ad una rapida pacificazione.

La conoscenza, da parte delle popolazioni sotto il dominio dei rossi delle favorevoli disposizioni del Governo Nazionale nei loro confronti, gioverà senza dubbio ad indebolire fortemente la resistenza nemica, e quindi si risolverà in una economia sensibile di sacrifici e di tempo; beneficio incalcolabile, anche ai fini della tensione internazionale provocata dagli avvenimenti spagnoli. Alcune severità, conseguenti senza dubbio ad abusi inevitabili, data la complessità della situazione e la passionalità di molti degli elementi di lotta, hanno dato buon gioco alla stampa «democratica» di tutto il mondo per portare violenti attacchi contro il Governo Nazionale, anche a Ginevra.

L'Italia sa, per propria recente esperienza, quali difficoltà può creare, nell'opinione pubblica avversaria e nella diplomazia, una poderosa organizzazione quale quella della cosidetta «stampa democratica».

Per gli avvenimenti di Spagna, il fenomeno è da considerarsi come particolarmente grave, perché si svolge qui una guerra di ideologie, e pertanto capace di appassionare oltre misura tutti gli spiriti.

Il Governo Fascista, per la parte che gli compete, non può non fare presente al Governo spagnolo tale pericolo, che si acuirà dopo la occupazione di centri importanti, come ad esempio Madrid o Valencia.

Pertanto esso si permette di sottoporre nello spirito dell'amicizia più sincera e rispettosa a Sua Eccellenza Franco l'opportunità che le disposizioni che verranno prese in merito, siano comunicate tempestivamente, sia alle popolazioni sotto il dominio dei rossi, come ai reparti operanti, e che ne venga curata la rigida applicazione, così che sia possibile ottenere quei grandi risultati e benefici morali, che potranno consistere: nella maggior disposizione delle truppe nemiche ad arrendersi, nella maggior disposizione delle popolazioni sottomesse ai rossi di facilitare in vari modi l'avanzata dei nazionali, e anche nella maggior disposizione delle popolazioni già acquisite di collaborare attivamente nell'opera di restaurazione di Sua Eccellenza Franco.

A tale proposito, e tenendo presente lo stato d'animo giustamente eccitato dei nazionali nei confronti dei prigionieri rossi, il Governo italiano sottopone anche l'opportunità che, meno che per casi particolarmente gravi, i processi o quanto meno le esecuzioni, vengano rinviate per esempio a pacificazione degli spiriti avvenuta, quando sarà più agevole fare una perfetta discriminazione delle responsabilità individuali.

L'Ambasciata d'Italia ha l'onore di pregare Sua Eccellenza Franco di volerla cortesemente mettere in condizione di riferire a Sua Eccellenza Mussolini le determinazioni che il Governo Nazionale riterrà di prendere in merito a quanto precede, anche allo scopo di fornire all'Italia informazioni esatte utili da diffondere nei contatti internazionali, e rispettosamente riafferma i suoi sentimenti di profondo ossequio.

358

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. 675/46 R. 1 . Roma, 30 marzo 1937, ore l.

Suo rapporto 257 2 .

In linea di massima nulla osta all'accettazione dell'invito per una mia visita in Turchia alla data suggerita da Aras e cioè fine ottobre. Nel frattempo potrebbe aver luogo la visita della flotta turca ai porti italiani, preferibilmente in estate, e potremmo anche organizzare il viaggio dei giornalisti secondo il suo suggerimento.

V.E. potrà esperimersi in tal senso con Aras, dicendo che i due avvenimenti dovranno servire alla preparazione della mia andata ad Ankara.

Approvo il programma di azione ch'Ella mi ha sottoposto, concordo circa i fini cui esso tende e lascio a V.E. di sviluppare l'azione nei termini e nella forma che riterrà più indicati.

Per quanto concerne, poi, la nostra adesione a Montreux credo che tra breve, sciogliendo la riserva fatta a Milano, potremmo comunicarla al governo turco. Ma di ciò, salvo nuovo ordine, non parli.

359

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2305/97 R. Ankara, 30 marzo 1937, ore 20,30 (per ore 0,30 del 31).

Questo ministro Jugoslavia in via confidenziale e personale mi ha detto pochi giorni or sono che Aras gli ha esposto che, essendosi ora chiariti i rapporti fra

l Minuta autografa. 2 Vedi D. 308.

433 Italia e Jugoslavia e date le eccellenti relazioni ormai ristabilite con la Turchia che completano quelli con Grecia, egli aveva in mente di proporre un accordo completo, sia politico che militare, fra le tre Potenze balcaniche e Italia. Di questo suo progetto egli avrebbe intrattenuto Stojadinovic a Belgrado quando egli vi accompagnerà Ismet Pascià (12 aprile). Mio collega ha già comunicato quanto precede a Belgrado 1•

360

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 2304/80 R. Atene, 30 marzo 1937, ore 20,40 (per. ore 21,35).

Suo telegramma riservatissimo n. 44 2•

Contrariamente alla mia prima impressione 3 , dalle indagini e dal controllo eseguito, sia direttamente che per mezzo di terzi, dovrei escludere che il governo britannico abbia fatto ultimamente ad Atene passo analogo a quello che, secondo informazioni confidenziali di codesto Ministero, è stato fatto dal Foreign Office presso ministro Grecia a Londra. Dalle mie indagini risulta soltanto confermato quanto sull'argomento ho precedentemente comunicato a V.E. e cioè:

l) che nel novembre scorso questo ministro d'Inghilterra non nascose al governo greco il suo disappunto per il rinvio sine die della visita della flotta greca a Malta e per il grande rilievo dato dall'opinione pubblica e dalla stampa ellenica alla parte presa dal governo e dalla Marina italiana ai funerali di Re Constantino4 .

2) che lo stesso ministro d'Inghilterra nel gennaio di quest'anno avrebbe protestato presso il governo greco per la marcata preferenza data da esso all'industria germanica per una fornitura di materiale di guerra ammontante a circa 65 milioni di marchi. Gli fu risposto che l'ordinazione era stata resa necessaria dall'enorme congelamento ellenico in Germania.

1 Su la questione si veda il D. 435.

2 Vedi p. 356, nota 2.

3 In precedenza, il ministro Boscarelli aveva telegrafato: «Notizia di cui al telegramma di V.E. n. 44 riservatissimo sembrami molto verosimile. Essa spiegherebbe non solo insistenza con la quale mi sono state rivolte domande circa rapporti italo-inglesi di cui al mio telegramma per corriere n. 21 del 12 corr. ma anche un lieve riserbo che mi è parso di notare in questi ultimi tempi nel contegnio di Metaxas. Indagherò in ogni modo riservatamente e riferirò» (T. 2073/65 R. del 22 marzo).

4 Vedi serie ottava, vol. V, D. 317 e 511.

361

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, FORMENTINI

T. 6S9no R. Roma, 30 marzo 1937, ore 22.

Molti rapporti e notizie da Vienna segnalano accentuarsi in tutta Austria di una ostilità generale contro Italia e italiani. Avendone occasione faccia intendere che perdurare tale atteggiamento può avere ripercussioni di ordine politico sulle relazioni fra Italia e Vienna. È per questo che io ho pregato Schuschnigg di rinviare alla seconda metà di aprile suo viaggio a Roma.

362

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2356/078 R. Londra, 30 marzo 1937 (per il 2 aprile).

Mio telegramma n. 2161.

Re Leopoldo, nei tre giorni trascorsi a Londra, ha seguito il programma precedentemente fissato e che conserva alla sua visita un carattere privato. Ha avuto lunedì sera, 22 marzo, all'ambasciata del Belgio, colloqui con Eden e con Baldwin, intorno ai quali è stato mantenuto il massimo riserbo. La stampa ha accolto la persona del Sovrano e gli scopi evidenti della sua visita con unanime simpatia.

Mentre mi riservo riferire ulteriormente quanto mi sarà possibile accertare al Foreign Office, dove la maggior parte degli alti funzionari sono stati assenti nei giorni scorsi per le vacanze pasquali, comunico intanto alcune impressioni raccolte in vari ambienti sugli echi della visita.

l) Risulta confermata l'iniziativa presa al riguardo dal governo britannico, che ha cercato di farsi mediatore tra il Belgio e la Francia e di persuadere Parigi che di fronte alla proclamazione della nuova politica belga, ogni atto di ostilità o di esitazione non poteva che giovare alla Germania. Lo spirito realistico inglese ha finito col prevalere sui risentimenti francesi, e lo stesso Hitler, con le sue ripetute dichiarazioni in favore del Belgio, ha affrettato questa evoluzione politica della Francia.

2) Puntando sulla persona del Re Leopoldo, e sui ministri al potere (van Zeeland e Spaak), cercando anche di aiutarli a sconfiggere Degrelle e il rexismo, il governo britannico tenta di dare alla nuova politica neutrale del Belgio, fin dai

I T. 2828/216 R. del 20 marzo. Riferiva che, secondo informazioni di fonte attendibile, la visita del Re del Belgio a Londra era stata provocata da un'iniziativa del governo britannico, il quale aveva fatto presente l'utilità di conversazioni per definire la posizione del Belgio nei confronti di un eventuale nuovo Patto occidentale.

suoi nuovi inizi, una impostazione favorevole agli interessi di Londra e quindi anche di Parigi. Da informazioni attendibili mi risulta che, in seguito alle conversazioni avute con Re Leopoldo, Inghilterra e Francia stanno preparando una dichiarazione comune da farsi nei prossimi giorni, allo scopo anche di influenzare l'esito delle elezioni a favore di Van Zeeland nella sua lotta contro Degrelle. Questa dichiarazione conterrebbe il riconoscimento della nuova posizione politica assunta dal Belgio, nonché l'affermazione di massima che il governo britannico e quello francese sarebbero disposti a garantire, in certe condizioni, la sicurezza e l'integrità del Belgio senza chiedere alcun impegno di reciprocità.

3) Le questioni sulle quali dovranno ancora svolgersi conversazioni per via diplomatica, come seguito ai colloqui di Re Leopoldo, riguardano la definizione dell'atteggiamento del Belgio verso il Patto della S.d.N. (art. 16) e verso futuri accordi di Stato Maggiore con la Francia.

Gli accordi a tre stipulati nel marzo 1936 I, e dai quali il Belgio desidera sottrarsi per il carattere antitedesco che essi hanno assunto, possono viceversa considerarsi come virtualmente abbandonati.

363

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 304/128 R. Stoccolma, 30 marzo 1937 (per. il IO aprile).

A proposito dei recenti viaggi di Sandler a Londra e Parigi 2 , e delle conversazioni tenutevi, ho sentito accennare alla speranza che la prossima Assemblea ginevrina, dedicata all'Egitto, possa dare modo di risolvere finalmente il problema del riconoscimento del nuovo Impero etiopico; ma al tempo stesso, è stata ventilata la possibilità che i delegati etiopici, prospettandosi la certezza della loro non ammissione, vengano dai circoli amici consigliati a non presentarsi, togliendo così all'Assemblea il destro di aprire ai membri la strada del riconoscimento, col mezzo indiretto dell'esclusione della delegazione negussita. L'evenienza, a quanto ho inteso, imbarazzerebbe gli interessati al prestigio della Lega, ai quali occorre il via di Ginevra per riconoscere la conquista italiana e che, a difetto dell'esclusione della della delegazione etiopica, non sembran vedere per ora un'altra via decente per provocare, all'Assemblea del maggio, quella nuova situazione che permetterebbe di ricondurre i loro rapporti diplomatici coll'Italia su un piede completamente normale.

l Vedi p. 237, nota 3.

2 Il ministro delgi Esteri svedese, Sandler, era stato in visita dal 15 al 18 marzo a Londra, dove aveva avuto un colloquio con Eden, e dal 18 al 21 marzo a Parigi, dove si era incontrato con Delbos.

364

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA 1453. Berlino, 30 marzo 1937 (per. il 6 aprile).

Con il tuo telegramma n. 131 di oggi 1 , segnalando la corrispondenza del Times che mi è dato ora di leggere per intero, ci chiedi quanto vi sia di attendibile nei riguardi del lavoro che compirebbero a Berlino taluni sostenitori di una politica tedesca «più prudente». E ci domandi anche cosa qui si pensi effettivamente oggi circa la situazione spagnola.

S.E. l'Ambasciatore Attolico, giunto stamane a Roma e che ha seguito con grande attenzione tutte le ultime battute e gli aspetti dell'atteggiamento tedesco in quella materia, potrà fornirti a voce tutti gli elementi perché ti sia possibile formarti un quadro esatto in proposito.

Per conto mio, riservandomi ulteriori eventuali informazioni, desKiero aggiungere che, particolarmente negli ambienti dei giornalisti stranieri qui residenti, fonte naturale di informazioni per il corrispondente del Times, le voci circa un atteggiamento tedesco di maggiore prudenza, a causa del riarmo inglese e degli avvenimenti di Spagna, non sono nuove. Le troverai riassunte in quella corrispondenza della Nation beige comunicataci con il telespresso n. 209833/C Aem. del 24 u.s. 2 . Ma in realtà, in questo periodo di stasi pasquale, non è apparso qui alcun indizio che possa far supporre un qualche «colpo di freno».

Naturalmente l'episodio di Guadalajara, per quanto non apparso sulla pubblica stampa, ha avuto anche qui qualche ripercussione, specialmente, penso, in taluni ambienti militari. Ma, come mi è dato rilevare dal telegramma di istruzioni inviato dal Duce all'ambasciatore Grandi 3 , esso, che è stato un insuccesso più politico che militare, sarà tra breve senz'altro cancellato da una nostra nuova vittoria, che farà sparire anche qui ogni traccia di quel certo malessere al quale ho sopra accennato 4 .

365

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2330/99, 2332/100 e 2329/101 R. Ankara, 31 marzo 1937, ore 20,32 (per. ore 3,15 del 1° aprile).

Ho trovato ieri Aras estremamente eccitato contro la Francia. Mi ha detto che per spirito conciliativo era stato accettato compromesso di Ginevra 5 . Questo era

I Vedi D. 356, che è del 29 marzo. 2 Non rinvenuto. 3 Vedi D. 334. 4 Il documento ha il visto di Mussolini. 5 Vedi p. 118. nota 2.

437 stato rappresentato dalla stampa turca come grande successo, ma in realtà costituiva grande sacrificio rispetto al postulato turco. Adesso Turchia non intendeva rinunziare ad una linea di quello che Ginevra le assicurava. Controprogetto francese era canzonatorio. In più, Francia compiva ogni sorta di intrighi e muoveva popolazione siriana, specie curda, contro turchi che ogni giorno vedevano morire qualcuno dei loro.

Atteggiamento di De Martel a Bagdad era anche intrigante. Si voleva guadagnare i curdi dell'Irak. Ma manovre francesi sarebbero vane.

Pazienza era tuttavia a suo limite. Turchia, se si continuasse così, avrebbe posto tutta la questione frontiera siriana sul tappeto. Intanto, le premeva persuadere Inghilterra e Russia, cioè due Potenze maggiormente legate a Parigi, della malafede francese e della sua pericolosità. A tale fine, invierebbe loro, come a tutti gli alleati ed amici, comunicazioni precise su organizzazione di bande in territorio siriano e su delitti che queste commettono con incursioni in Turchia. Si farebbero anche alla frontiera dimostrazioni militari. Ma era possibile che, o prima o poi, truppe turche per punire rei sconfinassero.

Francia voleva ricattare Turchia imponendole una alleanza che era stata sempre rifiutata, petché non le recherebbe nessun vantaggio, bensì un pesante sospetto tedesco nel quale la Turchia non voleva incorrere.

Non ho nascosto ad Aras mia sfiducia sui metodi indicatimi per raggiungere postulato turco che noi riconoscevamo fondatissimo. Gli ho confermato simpatia di V.E., aggiungendo che se si presentassero effettivamente possibilità concrete di dare nostro appoggio, questo non sarebbe mancato da parte degli italiani.

Nel lungo colloquio di ieri, Aras ha affermato:

-che Francia è in un momento che gli sembra rassomigli a quello della Spagna prima del movimento franchista. Governo è preso da contraddittorie tendenze. Era perciò necessario che tutte le Potenze facessero un fronte unico nell'interesse della Francia stessa per impedirle azioni inconsiderate e minacciose della pace europea.

-che fra queste poneva recentissime mosse di Delbos 1 che, credendo ad incondizionato appoggio inglese, aveva tentato separare Germania e Italia.

-che scopo Delbos (ed ha insistito su mie negative volute appunto per meglio sentire sicurezza sue asserzioni) «il quale aveva presentito anche Stato Maggiore», era infliggere ad Italia serio scacco diplomatico nella questione spagnuola, ma forse anche giungere ad un conflitto nel quale Inghilterra e Francia coalizzate avrebbero potuto sperare avere ragione dell'Italia.

-che la Francia era inquietissima per la sua situazione internazionale. Specialmente accordo italo-jugoslavo aveva prodotto a Parigi colossale irritazione poiché si vedevano antichi alleati ed amici andarsene ad uno ad uno. Le occorreva quindi per ragioni interne ed esterne ad ogni costo riprendere suo antico prestigio.

Ha concluso che niente era più pericoloso per la Francia che credersi appoggiata mentre aveva perduto ogni appoggio, (ciò che, mi ha detto, era da molti anni costante affermazione di Ismet Pascià cui i fatti davano ora piena ragione). Fortuna

l Vedi DD. 336, 337 e 343.

nell'ultima settimana la saggezza inglese e lo spmto pacifico italiano avevano prevalso. Però intanto Turchia pagava il maggiore peso della rabbia francese.

Ho ascoltato, solo mettendo in luce chiarissime prove di sicura volontà pace data da V.E., dall'accordo anglo-italiano al patto con la Jugoslavia.

Lascio ad Aras responsabilità sue affermazioni che ho avuto impressione venissero da ambasciatore di Turchia a Parigi 1• Se si è fatto quasi vanto di essere vittima della Francia che lo ritiene il maggiore responsabile del riavvicinamento balcanico all'Italia, la sua indignazione è per i metodi usati dalla Francia. È però mia impressione che le minaccie ricorrere ad estreme misure per risolvere questione Sangiaccato siano, almeno per ora, un bluff tattico.

Nel mio colloquio di ieri, ho espressamente evitato di dare qualsiasi appiglio perché Aras potesse eventualmente parlarmi del progetto che mi aveva confidato questo ministro di Jugoslavia 2 .

Solo passo del suo discorso che può avere importanza è rammarico che V.E. non fosse già al potere quando egli a Stresa 3 insistè per la conclusione del patto del Mediterraneo Orientale. Adesso che ha potuto apprezzare la pronta comprensione dell'E.V. è sicuro che sue offerte non sarebbero state vane e situazione internazionale odierna sarebbe perciò ben diversa poiché pieno accordo italo-balcanico sarebbe già concretato realmente.

Noto che allora si trattava di includere nell'accordo anche la Romania che egli non avrebbe adesso nominato a questo ministro di Jugoslavia. Mi sembrano interessanti accenni contenuti nel giornale Repubblica segnalato col telegramma stampa di ieri4 .

366

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2335/102 R. Ankara, 31 marzo 1937, ore 21,35 (per ore 3,15 del Jo aprile).

Telegramma di V.E. n. 465 .

Ho creduto lasciare fermo principio di invito ufficiale a V.E.

Perciò nella mia conversazione di ieri con Aras gli ho detto sapere con fondamento che ove ambasciatore di Turchia a Roma avesse compiuto il passo da lui accennato il 27 corr.6 , V.E. avrebbe accolto con piacere l'invito per l'epoca che fosse giudicata più opportuna, ed eventualmente anche per la festa della Repubblica turca.

I Suaz Davaz.

2 Vedi D. 359.

3 Riferimento alla Conferenza di Stresa del 5-20 settembre 1932 per il rafforzamento economico dell'Europa sud-orientale.

4 Non ritracciato.

5 Vedi D. 358.

6 Aras aveva detto all'ambasciatore Galli che entro qualche giorno avrebbe incaricato l'ambasciatore a Roma di invitare ufficialmente Ciano a visitare la Turchia (T. 2243/95 R. del 27 marzo).

Aras ha mostrato la più evidente compiacenza e soddisfazione. Egli farebbe fare invito da suo rappresentante costà fra qualche giorno, quando cioè fosse in chiaro epoca in cui Tatarescu venisse ad Angora per la visita da tempo annunziata e più volte rinviata. Sembra ora che essa potesse effettuarsi per fine aprile, ma se ciò non fosse possibile non potrebbe aver luogo che per il 29 ottobre. In tal caso egli avrebbe desiderato ritardare al novembre quella di V.E., affinché essa potesse verificarsi col maggiore onore possibile. Ha poi osservato che, se per il sentimento turco visita al 29 ottobre sarebbe la più gradita, stava anche in fatto che festeggiamenti anche militari, organizzati appositamente per V.E., darebbero più risalto alla venuta della E.V. Comunque, ha concluso, che nessun personaggio avrebbe avuto accoglienze quali quelle che il governo turco intendeva riservare a V.E.

Ho successivamente posto la conversazione sulla visita della flotta turca. [Gli ho detto che] V.E. ha rilevato le pubblicazioni stampa e mi aveva perciò incaricato di far sapere che ove la flotta turca visitasse un porto italiano vi avrebbe trovato le accoglienze le più cordiali che possano essere attribuite a Paese amico come la Turchia. Se per deciderla occorreva un invito ufficiale, considerasse come tale il mio passo. Gli ho pur ricordato che visita ufficiale della marina italiana a Stambul datava dal 1932 né era mai stata restituita.

Aras mi ha ringraziato calorosamente. Porterebbe immediatamente a conoscenza del Presidente della Repubblica e del governo desiderio di V.E. In fatto, poteva subito assicurare V.E. che la visita si farebbe e l'invito era senz'altro accettato. Non poteva precisarmi però epoca; ciò dipendeva da ragioni tecniche e condizioni di fatto. Si metterebbe a tale scopo in contatto con capo dello Stato Maggiore (dal quale dipende la marina). Non appena la visita fosse anche praticamente possibile considererebbe mio passo come invito ufficiale e ne darebbe pubblica notizia.

Ha accennato necessità restituire visita alla prima occasione. Gli ho accennato come periodo più opportuno i mesi di agosto e settembre e Napoli come porto più indicato. Ho rimandato per ragioni tattiche ad altro momento invito a giornalisti.

367

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2383/05 R. Bucarest, 31 marzo 1937 (per. il 3 aprile).

Ho riferito alla E.V. le nuove aperture fattemi dal signor Antonescu circa le possibilità di un riavvicinamento italo-romeno 1 , come ho riferito la mia risposta sulla oppurtunità che una eventuale presa di contatto con noi fosse preceduta da un chiarimento dei rapporti tra Budapest e Bucarest.

Il signor Antonescu è partito stamane per Belgrado per partecipare alla conferenza della Piccola Intesa. Secondo egli mi disse, si proponeva avere un intimo

I Vedi D. 350.

440 scambio di idee con Stojadinovic per sondare le disposizioni circa l'eventuale riconoscimento alla Ungheria della parità di diritti: dopo di che, sempre secondo mi ha promesso, egli avrebbe cercato di esercitare con Stojadinovic una efficace pressione sulla Cecoslovacchia.

Resisteranno queste promesse, questi buoni propositi, alle more del viaggio? E resisteranno esse alla atmosfera dei rapporti tra Jugoslavia e gli altri due membri della Piccola Intesa, atmosfera influenzata dalla disinvolta indipendenza dimostrata dal sig. Stojadinovic nel tessere i suoi accordi con Roma e con Sofia? E non sarà il signor Antonescu indotto a cercare una solidarietà piuttosto con Praga che con Belgrado? Questi punti interrogativi sono un riflesso diretto della crisi, della grave crisi, che la politica romena oggi attraversa. Per non rompere con Parigi, la Romania «deve» puntare su Praga: ma ciò significa in sostanza scostarsi da Varsavia e rimanere sulla strada di Mosca, cosa, quest'ultima, che la Romania, né vuole, né può. Donde la riluttanza ad impegnarsi in un sistema di mutua assistenza che faccia perno intorno a Praga.

Ma se questa strada è difficile, altrettanto è disagevole quella che, sull'esempio di Belgrado, porterebbe la Romania a gravitare intorno all'asse Roma-Berlino. Troppi legami spirituali uniscono Parigi a Bucarest, perché essi possano essere strappati o soltanto allentati. Tutta la mentalità romena, checché si dica o si speri a Berlino, resta attaccata a Parigi. La Romania non può imboccare la strada di Berlino oltre che per resistenza spirituale anche per il fatto che se la Russia non è un'amica desiderabile, è una nemica detestabile. Nonostante l'accentuarsi del conflitto tra fascismo e bolscevismo, la Romania considera con minor disagio la possibilità di un riavvicinamento con Roma, anche perché essa spera, in pectore, che un giorno, vicino

o lontano che sia, un altro Lavai potrebbe risalire sul Rome-Express.

Come dovere inerente alla mia missione, ho costantemente cercato di render meno greve l'atmosfera dei rapporti italo-romeni. Per saggiare tuttavia la volontà e la possibilità di questo Paese di un sincero riavvicinamento con noi, senza sottintesi e senza riserve espresse o inespresse, ho avuto costante cura di mettere innanzi, come pregiudiziale, il problema dei rapporti fra Budapest e Bucarest. Per la prima volta, in quattro anni, ho trovato minor rigidità, minor resistenza a condizionare, subordinare, i rapporti italo-romeni a quelli magiaro-romeni. È un utile assaggio: e ciò mi conferma nella convinzione che solo quando la Romania, innanzi allo oscurarsi dell'orizzonte della politica in Europa danubiana, vedrà l'inevitabile necessità di coprirsi dalla parte di Budapest, solo allora il tentativo di inglobare la Romania nella nostra orbita potrà avere qualche speranza di successo.

Quale interesse può presentare per noi il guadagnare questa pedina al nostro giuoco? La risposta mi sembra ovvia. A parte la circostanza che la Romania per quanto oggi debole, anzi debolissima, è tuttavia un diaframma verso la Russia sovietica (diaframma che sostenuto dalla Polonia e progressivamente, spiritualmente rafforzato all'interno, potrebbe un giorno presentare qualche efficienza), non c'è dubbio che la Romania rappresenterebbe anche oggi, nel sistema della resistenza economica italiana all'aggressione altrui, un mercato complementare di primissimo ordine. Le sanzioni insegnano. Su tre milioni di tonnellate di petrolio che noi abbiamo importato dal primo febbraio 1935, inizio della preparazione bellica, al primo dicembre 1935, inizio effettivo delle sanzioni, ben due milioni di tonnellate ci sono pervenute dalla Romania, e tengo a ricordare, fra l'altro, che le abbiamo pagate in lire carta: un milione di tonnellate di petrolio, se pure pagate in oro, ci è poi venuto dalla Romania dal primo dicembre 1935 al giorno della vittoria.

Qualunque siano le direttive che in un futuro prossimo o lontano mi perverranno dalla E.V. circa lo sviluppo che convenga dare, in questo settore, al patto italo-jugoslavo, è comunque interessante seguire fin da ora la crisi che tormenta questo Paese, crisi che da oltre tre mesi io cerco di rendere più travagliata con passi ripetuti e precisi sia presso il Re, sia presso i membri del governo, per dimostrare che un'eventuale adesione alle proposte che pervengono loro da Praga e da Parigi impedirebbe alla Romania ogni ricerca di un'altra strada meno pericolosa. Allo stesso tempo, senza nulla sollecitare, io affaccio a questi signori il problema dei rapporti tra Roma e Bucarest. Questi ripetuti interventi, nonché quelli parallelamente fatti dal ministro di Germania, il quale però evita sempre ogni accenno all'Ungheria, hanno certamente avuto qualche utile effetto: non fosse altro quello di turbare vieppiù l'animo di questa gente. Detto ciò, devo aggiungere che le insistenze francesi continuano. Questo governo rilutta e rifiuta di mettere le sue divisioni a disposizione di Praga e, implicitamente, il suo territorio a disposizione dei Soviet. Ma il giorno in cui la Francia, abbandonato l'accordo multiplo di mutua assistenza ed abbandonato il progetto di una serie di accordi a due (Praga-Bucarest e Bucarest-Parigi), avesse l'accortezza di proporre la conclusione soltanto di un'alleanza franco-romena, (patto militarmente nullo perché una mutua assistenza tra Francia e Romania non potrebbe mai essere spostata dal piano teorico a quello effettivo ma politicamente decisivo perché legherebbe la Romania allo stesso sistema di alleanze in cui già trovansi Praga e Mosca) quel giorno la Romania sarebbe una pedina definitivamente perduta. Ecco perché, quali che siano le deliberazioni, anche se negative, della Piccola Intesa a Belgrado, occorre sorvegliare molto da vicino la situazione.

È certo che il patto italo-jugoslavo ha avuto fra i tanti suoi meriti anche quello di rappresentare un energico tempo d'arresto alle conversazioni franco-cecoromene. Ma è da prevedere che esse riprenderanno. Sta a noi di decidere che cosa si debba fare per far naufragare ogni tentativo francese di far slittare la Romania in campo a noi avverso. L'aggiogamento della Romania al carro della mutua assistenza, anche se espresso soltanto con un trattato a due (Parigi-Bucarest) legherebbe in ogni caso questo Paese a un sistema politico contro il quale noi siamo oggi schierati.

368

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

Tokio, 31 marzo 19372 .

Avevo incontrato Sato una volta sola due anni fa in un pranzo. Il colloquio avuto con lui dopo la sua nomina a ministro per gli Affari Esteri mi ha confermato nella prima impressione, essere egli cioè uomo di quella rapidità di intuito che i

l Manca l'indicazione del numero di protocollo. 2 Manca l'indicazione della data di arrivo.

giapponesi intelligenti acquistano spesso quando abbiano passato molti anm m occidente. Che Sato fosse contrario al patto nippo-tedesco è certo, e lo ha ammesso egli stesso con il mio collega di Germania, spiegando la sua opposizione con la preoccupazione per gli effetti di tale patto sulla politica di molte Potenze occidentali verso il Giappone, e aggiungendo però che poiché esso era stato ormai concluso egli vi avrebbe tenuto fede. Non è invece certo che la sua partenza da Parigi sia stata dovuta a ciò; a ogni modo da tempo si diceva che gli sarebbe stato chiesto di lasciare libera quell'ambasciata, a somiglianza di quanto è stato fatto in questi ultimi anni con vari altri capimissione, né vecchi, né incapaci. Come già scrissi vi è ingorgo nei gradi medi del servizio, e i giovani premono molto: «Mors tua vita mea». È frequente il rimprovero di liberalismo da loro mosso ai funzionari più anziani, ma per quanto l'accusa derivi forse da sollecitudine più per il bene personale che non per il generale, essa è assai spesso fondata. Contro Sato è corsa voce vi sia stato un movimento di protesta di giovani funzionari anche dopo il suo primo discorso accolto così favorevolmente tanto da questo parlamento quanto dalla stampa democratica internazionale; e anche nel suo caso credo essi non abbiano errato attribuendogli tendenze liberaleggianti. Può darsi però che la sua nomina sia in parte dovuta proprio a queste. Il patto nippo-tedesco e l'avvicinamento all'Italia hanno peggiorato le già non buone relazioni del Giappone oltre che con la Cina con le grandi Potenze democratiche e con i sovietici. E poiché ora si vogliono migliorare, può essere stata considerata utile premessa la scelta di un ministro per gli Affari Esteri cui nessuno attribuisce le tanto paventate così dette tendenze fasciste: simili scelte sono qui sempre gradite ai consiglieri della Corona, quand'anche non suggerite da essi.

Questo generale miglioramento di relazioni è desiderato in modo speciale non solo con la Cina ma anche con l'Inghilterra e con la Russia, e ciò oltre che per i benefici diretti che si spera ricavarne, anche per quelli indiretti che si crede ne deriverebbero in quanto dovrebbe essere favorito dall'una e non intralciato dall'altra il buon esito delle trattative con la Cina stessa. E fra i due Stati la maggiore importanza è data all'Inghilterra, perché questa potrebbe essere di più efficace aiuto al Giappone in Cina, mentre verso di essa non vi sono le stesse pregiudiziali di politica interna che esistono verso l'altra. Non è la prima volta, dalla fine dell'alleanza nippo-inglese, che qualche tentativo di intesa è stato fatto da una parte o dall'altra, ma è prevedibile che anche questi nuovi non concluderanno nulla d'importante, specie dopo che Tokio, rifiutato l'accordo navale, ha respinto anche la limitazione dei calibri dei cannoni, argomento importante e costoso per la Gran Bretagna nel quale un Giappone arrendevole avrebbe potuto assicurarsi notevoli vantaggio in cambio. Ora l'Inghilterra ha da difendere il suo prestigio in tutta l'Asia e i suoi immensi interessi in Cina, e non si vede come ciò potrebbe conciliarsi con la politica del Giappone in Cina e in Asia, qualora questo non s'imponesse costrizioni e rinunce che i militari non accetterebbero, e alla fin fine neanche l'opinione pubblica la quale cela forse in cuore la vana speranza di salvare con la capra dei suoi permanenti interessi anti-inglesi il cavolo di quelli transitori filo-inglesi.

A cercare d'ottenere l'inizio del miglioramento di tali rapporti vale anche nel caso specifico la consueta tattica del Giappone di non voler mostrare parteggiar troppo per l'uno o per l'altro degli aggruppamenti occidentali, così da lasciare gli osservatori sempre perplessi sulle sue vere intenzioni. Di recente il pendolo si è molto allontanato da questa linea mediana di proclamata neutralità nella sua oscillazione verso un lato, ed ecco il Giappone quasi affannarsi a mostrare di allontanarsi molto anche verso l'altro lato come a compensare lo scarto: i vari discorsi conciliativi di Sato sono stati, e saranno forse ancora, accompagnati da articoli di giornali nei riguardi della Cina e dell'Inghilterra e anche, benché in tono minore, della Russia esibenti un favore di disposizioni che si guardano dal mostrare verso di noi e verso la Germania. Questa tattica generica si presta nel caso specifico ad agevolare la politica che Sato vuole attuare, così come vi si prestano le manifestazioni di favorevoli intenzioni dell'Inghilterra con la sostituzione di questo suo ambasciatore 1 considerato, credo non a torto, come ostile ai giapponesi, con qualche dichiarazione in Parlamento e con qualche articolo di giornale (per quello che se ne vede qui) aventi un tono che invita alla discussione e vuoi fare sperare nei suoi risultati; vi si presteranno anche, per quanto riguarda la Russia, il simile conciliante contegno che prevedibilmente seguirà qui l'ambasciatore sovietico 2 nel suo imminente ritorno da Mosca.

Senonché la questione importante è quella della sostanza e non della forma, quella cioè non delle parole ma dell'animus dei giapponesi in questi tentativi di miglioramento di relazioni specie con l'Inghilterra. Ora io credo che nei parlamentari, nei liberali, nei consiglieri della Corona c'è per davvero il desiderio di un mutamento, il quale pur non potendo più voler dire un ritorno all'antica alleanza significhi un'amicizia salda e durevole. Amicizia la quale oltre ai vantaggi diretti, oltre a quelli indiretti derivanti da un ritorno di possibilità di nuove espansioni economiche in Cina, dovrebbe annullare il valore del patto nippo-tedesco mantenendo lontani dal Giappone i pericoli d'essere preso negli ingranaggi d'una guerra europea il giorno in cui i congegni si muovano (sotto il pretesto che se il Giappone con l'aiuto inglese può assicurarsi maggiori vantaggi in Cina è preferibile non si impelaghi nelle beghe europee) e riconducendolo al rimpianto regime parlamentare con relativo allontanamento dei militari dalla vita pubblica. L'occasione potrebbe essere offerta appunto dal presente desiderio della opinione pubblica di migliori relazioni: da cosa nasce cosa e quando ci si fosse avviati sulla strada degli accordi si crede sarebbe più agevole proseguirvi. È difficile dire sin da ora se tale sia l'animo anche di Sato o se egli parli in un modo e pensi in un altro, ma dal poco che per adesso se ne può giudicare quella possibilità sembra probabile. Per i militari invece le apparenti buone disposizioni celano una riserva mentale di opportunità transitoria: militari e marinai serbano immutata fede nelle necessità morali e materiali non solo di espansione ma anche di predominio sull'opposto continente, divergendo tra loro solo circa la mèta prossima perché questi volgono le loro mire più a meridione di quelli.

Come ho riferito altra volta, malgrado errori e debolezze i militari rimangono i più forti, e quindi le possibilità di una solida e durevole intesa con l'Inghilterra e di conseguenti sperati effetti sul patto nippo-tedesco e sulla politica interna del Paese non paiono fondate, oltre che per le intrinseche difficoltà, per l'opposizione di essi. Tuttavia, se Sato si manterrà entro i limiti di manifestazioni di buona volontà non accompagnate non solo da animo disposto a rinunce e sacrifici ma neanche da espressioni verbali che lo facciano supporre, non vi è da prevedere incontrerà per ora serie opposizioni. Alle ragioni già esposte altre se ne devono qui aggiungere.

I Sir Robert H. Clive. 2 Konstantin Yurenev.

I militari sembrano rendersi adesso conto dell'insufficienza della loro preparazione bellica, credere nella necessità di non precipitare gli avvenimenti, di giungere ad un'intesa con una Cina che è temibile non nella pace ma in una guerra contro i sovietici, di provvedere agli immediati interessi politici ed economici della loro patria. E sembrano rendersi conto di altro, cioè della minore simpatia per loro della popolazione specie nelle città. Finché con le violenze all'interno si accompagnavano i successi all'estero, questi facevano dimenticare o trascurare quelle; ma i progressi in Cina si sono fermati, la situazione si è capovolta, l'orgoglio giapponese si è sentito umiliato, e l'opinione pubblica che non ha più ragione di compiacimento guardando all'altra sponda ha volto meglio la sua attenzione all'interno. I maggiori gravami derivanti dai bilanci militari straordinari le hanno confermato l'insufficienza degli armamenti, ed essa' sembra volere ora una politica che appaia più conciliante verso l'estero e meno agitata all'interno e pertanto economicamente più redditizia. I militari non hanno finora compreso che l'uso della forza a nulla vale se la forza non ha un'idea alta e precisa da attuare; può distruggere ma non ricostruire. Ciò è apparso nella rivolta del 26 febbraio 1936: uccisi alcuni uomini di Stato, impadronitisi del centro della città, i militari non hanno saputo trame alcun profitto: oltre a vaghe affermazioni di ricostituzione morale e politica, non avevano idee da far valere, né uomini che le facessero valere, non hanno sollevato dinanzi al popolo alcuna insegna che esso potesse vedere, accettare, seguire, onde questo è rimasto intimorito prima e malcontento poi, e l'unico frutto della rivolta è stato di confermare che non si poteva continuare come per il passato senza tuttavia indicare come si dovesse procedere nell'avvenire.

Questa mancanza di un preciso contenuto spirituale e materiale nel movimento dei militari, nel quale non si discerne che la loro retta intenzione e il loro disgusto per il parlamentarismo, è dovuta alla mancanza di uomini capaci, che, come già dissi, sappiano dare forma concreta ai diffusi ma vaghi bisogni di rinnovamento, e si facciano confessori e propagatori del loro credo e sappiano raccogliere il popolo intorno a sé e trascinarlo dietro di sé. Così si spiega come tanti giapponesi di intelligenza e coltura, fra cui deve annoverarsi Sato, siano avversi ai militari. Dalla restaurazione imperiale a oggi la coltura è stata qui occidentale, e d'un occidente democratico, sia esso inglese per gli aristocratici, americano per la gente d'affari, tedesco per gli scienziati. Questa coltura democratica giapponese diffusa fra tanti sdegna i militari come i rappresentanti della sola forza bruta, e se anche non si oppone apertamente per amor di patria o paura o interesse, non è disposta a mutare i convincimenti politici che l'ammirata democrazia occidentale insegna essere sacri e immutabili, a sostenere l'esercito nei suoi piani di rinnovamento politico, a lavorare in comune con esso per il comune bene. Sembra a quei giapponesi che rinnegare i principì democratici voglia dire rinnegare la civiltà umana, e non vedono

o non vogliono vedere quel che è avvenuto ed avviene nei parlamenti e non vogliono paragonarlo con gli Stati in cui vige un regime d'autorità. Gli anni di maggior potere del parlamentarismo sono qui stati quelli di maggior corruzione, e anche oggi chi legga i resoconti della Camera non può non sentire noia, disgusto e talvolta anche disprezzo. E non può non sentire simpatia per questi militari, che benché violenti fino alla crudeltà, semplici ignoranti vogliono, pur senza saper chiaramente dir come, una vita politica più alta e pura nella quale il bene dello Stato prevalga sul vantaggio dei singoli. Nessuno può prevedere che cosa avverrà il giorno in cui si attueranno qui i mutamenti che essi hanno in animo. Ma è diffusa convinzione che un ritorno a un regime quale era stato fino al '30 non è più possibile e che è difficile proseguire anche nel presente stato di cose, nel quale del resto si vanno attuando forme sempre meno consone ai principi democratici. Il precedente Gabinetto aveva pochi rappresentanti dei partiti, e questo non ne ha nessuno. Come sarà composto il prossimo, o quello che succederà al prossimo?

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2068/524. Washington, 31 marzo 1937 (per. il 12 aprile).

L'atteggiamento di ostilità nei nostri riguardi della stampa e di gran parte dell'opinione pubblica americana, da me già precedentemente segnalato in varii rapporti 1 , è andato negli ultimi tempi inasprendosi. Nelle ultime settimane dovrei dire che il primato degli attacchi, che finora era stato prerogativa della Germania, è passato a noi.

Ciò ha bisogno di qualche parola di commento. Ho già indicato che l'opposizione contro la politica del Regime è di doppia natura: c'è una parte ideologica ed una parte più propriamente politica.

Per quanto riguarda la parte ideologica, non c'è molto da fare. È innegabile che su quasi tutti i punti noi ci troviamo nel momento attuale in netta antitesi con quelle che sono le correnti di pensiero dominanti nella grandissima maggioranza di questo Paese. Si potranno attenuare i termini ma il dissidio di fondo non è sopprimibile. Questo Paese è democratico e noi siamo anti-democratici; questo Paese è pacifista e noi siamo per gli armamenti; questo Paese è per la libertà di commercio e noi siamo per le autonomie economiche. Quindi in questo campo delle grandi direttive politico-ideali non c'è da farci nessuna illusione che si possano trovare dei punti di contatto e di accordo. Ed aggiungo che, a mio modo di vedere, non è neanche opportuno andare troppo in cerca di questi punti di contatto perché, mentre non si raggiungerebbe l'effetto voluto, d'altra parte si darebbe un'idea completamente falsa della nostra dottrina e del nostro movimento. L'affermazione che, per il consenso di tutto il popolo al Regime, l'Italia possa essere considerata una democrazia è argomento che può essere accennato una volta tanto ma non può essere portato a fondo. Quello che si può fare invece (senza naturalmente deflettere in nulla dalla nostra linea politica, né alterare le caratteristiche del nostro movimento) è di evitare certe forme di presentazione dei nostri problemi e certe asprezze di linguaggio che qui suscitano una forte reazione.

Quest'ambasciata cerca appunto di seguire tale linea. In altre parole, è secondo me -perfettamente inutile affermare che fascismo e democrazia nel senso

1 Si veda in proposito il D. 197.

americano, possano identificarsi; si può invece spiegare perché il fascismo sia una necessità in Italia e favorire un'intesa fra i due Paesi, sulla base della reciproca comprensione e del reciproco rispetto.

Dico subito per6 che non è da attendersi che gli americani facciano un gran sforzo per venire incontro in quest'opera di comprensione. L'americano è ingenuo e presuntuoso e rimane saldamente attaccato ai luoghi comuni del regime democratico, che trae le origini dalle più gelose tradizione della sua storia.

Il fatto di parlare un linguaggio incomprensibile agli americani è per noi un evidente handicap a differenza, ad esempio, di quanto avviene coi russi che ormai nella presentazione dei loro problemi hanno adottato i termini e le forme delle cosidette grandi democrazie occidentali. Questo linguaggio le Potenze fasciste non possono e non vogliono adoperare, e l'americano, superficiale ed ignorante delle cose d'Europa, accoglie più facilmente le ragioni che gli sono presentate nei termini della propria lingua anche se conserva verso le stesse un fondo di legittima diffidenza.

Questa forma di incomprensione che potrà essere attenuata, ma difficilmente eliminata, non deve preoccuparci oltre misura. Ci sono stati dei periodi in cui il fascismo, anche se non amato, è stato visto in questo Paese senza ostilità: è vero che allora ~è questione anteriore la guerra etiopica ~il fascismo non era stato ancora identificato con i termini di imperialismo, militarismo, dittatura; ma si sapeva per lo meno che fascismo significava antidemocrazia e antiparlamentarismo.

In particolare, poi, per quanto riguarda l'atteggiamento di questo Paese nei riguardi del fascismo e del bolscevismo è da prevedere che la situazione debba modificarsi.

Il pericolo bolscevico, come ho già rilevato in antecedenti rapporti 1 , non è sentito dagli Americani, che vivono alla giornata, perché effettivamente oggi questo pericolo non ha assunto forme tali da allarmare. Ma chi vede più lontano deve rilevare che la minaccia qui viene da due parti: da un lato, la intelligentia ebraica bolscevizzante che prende sempre più piede nelle università e nei Colleges (esclusi naturalmente quelli cattolici); dall'altro, i movimenti operai che assumono forme sempre più estreme e che domani potranno trasformarsi con relativa facilità da movimenti sindacali in movimenti politici. Siamo oggi probabilmente in un momento di crisi di trasformazione della organizzazione civile e sociale americana. Fino ad ora qui le organizzazioni operaie, sindacaliste, socialiste, comuniste, non avevano una grande consistenza, perché mancava un'effettiva ragione di solidarietà fra i lavoratori: questo era il Paese delle sconfinate possibilità e quindi anche i più umili pensavano che domani avrebbero potuto elevarsi passando in un'altra classe economico-sociale. Ora queste possibilità sono molto più ridotte e l'organizzazione sociale del Paese sta assumendo dei caratteri di maggiore stabilità e definitività. L'operaio più che mantenersi la porta aperta per la futura ascensione di domani, sente l'interesse di una solidarietà coi suoi compagni per migliorare la comune situazione di oggi. E quindi il sorgere di più vaste e più efficienti organizzazioni operaie e la improvvisa fortuna del signor Lewis che rappresenta i metodi di lotta più estremi e più violenti.

Queste considerazioni mi inducono a pensare che la situazione, che potrà trasformarsi più rapidamente di quanto generalmente si pensi, evolverà in nostro

l Vedi p. 164, nota l.

favore. Ci sono dei sintomi, appena percettibili ma abbastanza diffusi, di un principio di intolleranza verso il predominio degli ebrei e c'è un movimento di allarme già pronunciato per il dilagare degli scioperi col sistema dell'occupazione delle fabbriche. Tutto ciò ancora qui, come ho detto, non si ricollega direttamente al bolscevismo, ma non può tardare molto che anche gli americani dovranno aprire gli occhi e constatare i rapporti di relazione che esistono fra questi vari fenomeni.

* * *

Non è dunque il dissidio ideologico che ha portato alla tensione attuale ma sono piuttosto i nostri atteggiamenti precisi nel campo politico e più particolarmente la nostra azione etiopica, la cui ripercussione però, a parte qualche saltuario sussulto, va smorzandosi; il presunto accordo fra le Potenze fasciste che qui si vede come una minaccia alla pace e soprattutto il nostro intervento in Spagna che forma il punto centrale degli attuali attacchi contro di noi.

In questo Paese, fatte alcune molto ristrette onorevoli eccezioni, non si capisce assolutamente nulla delle ragioni ideali della nostra azione pro Spagna nazionale e del vantaggio che ne può derivare per la sicurezza e la pace di Europa e di tutto il mondo. Nella no~tra azione non si vede altro che una forma di aggressione, una guerra non dichiarata fatta al governo legittimo di Spagna ed a tutto il popolo spagnuolo. Franco non è che il capo di una cricca che invade il proprio Paese per soggiogarlo a fini particolari con l'aiuto degli stranieri e dei mori. Tale convinzione è così diffusa e radicata che tutti gli sforzi di chiarificazione che qui si tentano, d'accordo con i rappresentanti della Spagna nazionale, cadono nel vuoto.

Dovrei dire che da un certo punto di vista il nostro intervento in Spagna incontra maggiore incomprensione della stessa nostra impresa etiopica. Abbiamo il caso di corrispondenti che erano stati favorevoli alla nostra impresa etiopica e che hanno ora assunto atteggiamento a noi ostile. L'atteggiamento americano poi su questo punto è influenzato fortemente dalle notizie e dai commenti tendenziosi che vengono dall'Europa. Ma anche questo, che è oggi il principale motivo di contrasto, non mi preoccupa per l'avvenire. Quando i rossi di Madrid saranno battuti e gli Italiani saranno ritirati dalla Spagna, quest'episodio sarà presto dimenticato ed allora con tutta probabilità le acque si calmeranno. In fondo, la mia impressione è che ci sia un cumulo di circostanze che ha provocato l'attuale tensione, ma che qui non ci sia affatto un partito preso di ostilità contro il nostro Paese. Devo anzi rivelare che due episodi della nostra politica recente, e precisamente il gentlemen 's agreement con la Gran Bretagna e l'accordo con la Jugoslavia, hanno suscitato qui la reazione più favorevole e la stampa non ha esitato a registrarli come due atti di saggezza politica che contribuiscono efficacemente alla pacificazione dell'Europa e del mondo.

Per quanto si possa fare una previsione per l'avvenire va considerato da una parte che una perfetta intesa non ci potrà essere mai. Ho già detto che il dissidio ideologico è, entro certi termini, insopprimibile; d'altronde anche alcuni atteggiamenti politici come il nostro avvicinamento alla Germania continueranno a suscitare delle diffidenze e delle critiche; ogni ripresa della nostra polemica coll'Inghilterra susciterà qui delle reazioni contro di noi. D'altra parte, è mia impressione che, superata l'asprezza determinata dall'attuale situazione spagnuola, i nostri rapporti con l'America potranno ritornare normali e forse anche cordiali.

* * *

Ci si chiede ora se, data questa situazione, convenga da parte nostra pensare a qualche azione di carattere eccezionale per riportare l'opinione pubblica americana ad una visione più realistica delle cose d'Italia.

Inteso che si continua in pieno nello svolgimento del programma esposto con il mio rapporto n. 684/193 del 4 febbraio u.s. 1 , credo che un'azione di carattere eccezionale nel momento attuale sarebbe sprecata. L'ambiente è così montato contro di noi che ogni azione del genere cadrebbe nel vuoto.

Ritengo invece che una tale azione specialmente nel campo della stampa e della pubblicità potrà essere fatta utilmente per affrettare il ristabilimento di condizioni normali non appena l'atmosfera cominci a rischiararsi con la cessazione di quelle condizioni che, come il nostro intervento in Spagna, inaspriscono il dissidio sostanziale fra l'Italia e l'America che può essere limitato al campo ideologico.

In conclusione, pur tenendone il dovuto conto, non ritengo che debba essere sopravalutata l'importanza di queste manifestazioni della stampa e dell'opinione pubblica americana quando si considerino nel quadro complessivo dei rapporti fra i nostri Paesi; né ritengo che valga la pena di fare dei sacrifizi eccezionali per riparare a questa situazione che ha certamente carattere transitorio. Ci può importare fino ad un certo punto che qualche redattore o corrispondente ebreo di giornale americano scriva un articolo più o meno ostile all'Italia, mentre l'aumentata potenza e l'aumentato prestigio del nostro Paese sono al di sopra di ogni discussione e fanno sentire in pieno il loro peso.

370

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 713/235. Varsavia, 31 marzo 1937 (per. il 5 aprile).

Gli accordi di Belgrado, la cui rapida conclusione ha prodotto sensazione in questi ambienti politici dato anche l'attuale momento internazionale, costituiscono l'avvenimento di politica estera che in questi giorni è al centro dell'interesse e dell'attenzione di questa opinione pubblica. L'accoglienza favorevole al riavvicinamento italo-jugoslavo, delineatasi in questi ambienti fin dalle prime notizie della visita di Vostra Eccellenza a Belgrado, si è andata confermando ad allargando in un senso di soddisfazione.

Nel complesso dei commenti che tutti i giornali, a cominciare da quelli ufficiosi, dedicano all'avvenimento, è da rilevare anzitutto che la stipulazione degli accordi di Belgrado viene nettamente riconosciuta come un successo della politica italiana, la quale, senza l'aiuto di mediazioni interessate, è riuscita a dare una soluzione chiara e pacifica al problema che era ritenuto insolubile delle relazioni italo-jugo-

I Illustrava le attività propagandistiche da svolgere negli Stati Uniti per migliorare l'immagine del fascismo e dell'Italia.

slave; viena fatta anche la dovuta parte al senso di realismo di cui ha dato prova la Jugoslavia. Si riconosce inoltre che l'Italia essendosi garantita dalla parte della Jugoslavia, acquista maggiore libertà nel Mediterraneo e maggiore influenza nella soluzione dei problemi che ad esso si ricollegano e potrà con maggiore tranquillità dedicarsi all'opera di consolidamento e di valorizzazione dell'Impero.

Oltre alle ragioni sentimentali alle quali fa richiamo l'ufficiosa Gazeta Polska, la quale scrive: «con l'Italia siamo legati da potenti ed indissolubili legami culturali e dal ricordo delle comuni lotte sostenute per l'indipendenza e dell'aiuto fornito dall'Italia alla Polonia nella sua opera di liberazione dagli oppressori e con la Jugoslavia siamo legati dalla parentela linguistica e dai ricordi storici» le ragioni della soddisfazione polacca per la conclusione degli accordi di Belgrado sono da ricercarsi fra le seguenti:

a) in primo luogo una ragione di ordine generale: gli accordi italo-jugoslavi costituiscono un importante fattore di pace, perché riequilibrano uno dei punti più nevralgici di Europa;

b) detti accordi faciliteranno il riavvicinamento della Jugoslavia con l'Ungheria; c) la soluzione del problema delle relazioni italo-jugoslave è stata raggiunta mediante accordi diretti bilaterali, cioè col sistema che è appunto quello sempre preconizzato dalla Polonia e da essa attuato, come ricordano ora con compiacenza questi giornali, per regolare i suoi rapporti con la Germania e con l'U.R.S.S.

Ma una ragione più profonda, per quanto ancora cautamente manifestata dagli organi ufficiosi, va ricercata nel fatto che gli accordi italo-jugoslavi indeboliscono la Piccola Intesa e creano un nuovo equilibrio nell'Europa centro-orientale che non mancherà di avere i suoi sviluppi. Su quest'aspetto importantissimo dell'avvicinamento italo-jugoslavo l'opinione di questi circoli dirigenti avrà modo di precisarsi, non appena saranno conosciuti i risultati dell'attuale Conferenza della Piccola Intesa 1 .

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. SEGRETO NON DIRAMARE. Tirana, 1° aprile 1937, ore 2,30. PERSONALE 699/23 R.

La mia conversazione con Libohova 2 non aveva avuto, né la reazione da Lei segnalata3 , né Libohova aveva accennato ad una tale possibilità. Comunque, ove le comunicazioni da me fatte a Libohova e quelle precedenti fatte a Villa, nonché quelle di cui ho incaricato la S.V. prima della firma del Patto italo-jugoslavo e

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 325 3 Vedi D. 342.

(quello che più conta) i testi pubblicati e il contenuto della lettera di cui Le invio copia a parte 1 (perché Ella ne metta confidenzialmente al corrente Re Zog a mio nome) lascino ancora dei dubbi ed amarezza nell'animo del Re, V.S. potrà rinnovare le più formali assicurazioni che l'Italia non ha affatto l'intenzione ~è superfluo di dirlo ~di abbandonare l'opera di rigenerazione dell'Albania. Il governo fascista continuerà come prima (insisto su questo punto) ad assistere lo sviluppo e il progresso dello Stato albanese.

Non era possibile tenere al corrente Sua Maestà dei dettagli della redazione della lettera perché questi non sono stati definiti che da ultimo. Egli, e per lui il suo ministro sono stati informati, però, da tempo (e successivamente e più in dettaglio è stato informato Libohova) che la lettera, come gli accordi in genere, avrebbero avuto come scopo essenziale e come caposaldo il rispetto dell'indipendenza dell'integrità albanese; ed è questo che conta.

Come Ella potrà rendersi conto e come potrà rendersene conto Re Zog, l'indipendenza e l'integrità territoriale dell'Albania non escono infatti menomate da tale lettera. Vi trovano anzi una garanzia di più, di cui l'Albania e l'Italia, come sua alleata, non possono che rallegrarsi. Così come in genere ne escono facilitate e liberate da dubbi e preconcetti le relazioni e la collaborazione italo-albanese.

Circa eventuali minacce jugoslave e greche, a cui il Re le ha accennato ~Suo rapporto del 22 marzo 2 incrociatosi col mio telegranna n. 20 del 24 marzo3 ~e a parte ogni considerazione ~ io sono stato guidato dal criterio che il fatto che la Jugoslavia si sia impegnata in confronto dell'Italia al rispetto dell'indipendenza e della integrità albanese, unito al fatto che l'Albania è nostra alleata, costituiscono una più ampia e sicura garanzia contro ogni preoccupazione del genere. È stato anzi per questa ragione e per togliere ogni motivo di diffidenza o di sospetto, e quindi per rendere più libera la nostra collaborazione coll'Albania, che non ho avuto difficoltà ad informare il governo jugoslavo che non mi proponevo di dare aiuti finanziari al governo albanese per la costruzione di nuove fortificazioni o per il rafforzamento di quelle esistenti, fortificazioni alle quali non consta che il Re abbia mai portato speciale interesse dal punto di vista albanese (Telespresso n. 210493/101)4 . Di tali assicurazioni

V.E. potrà pure informare confidenzialmente Re Zog. Nessun'altra intesa o impegno esiste coll'Jugoslavia. Gli accordi vigenti coll'Albania restano pertanto inalterati. Essi continueranno ~

è appena il caso di osservare ~ad essere regolarmente applicati e perfezionati sulla base dell'esperienza, come sta già avvenendo. Re Zog, come in passato, potrà rivolgersi fiduciosamente all'Italia per tutto quanto riguarda gli interessi suoi e del suo Paese.

In occasione del mio prossimo incontro col Re, per cui ho già dato assicurazioni a Libohova, mi propongo del resto di avere un esauriente e personale scambio di vedute e di esaminare tutta quanta la materia dei rapporti coll'Albania in quello spirito di amicizia e di alleanza al quale la politica dell'Italia continuerà inalterabilmente ad ispirarsi.

l Vedi D. 340, lettera C. 2 Non rinvenuto. 3 Vedi D. 325. 4 Non rinvenuto.

372

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2341/93 R. Vienna, 1° aprile 1937, ore 19,15 (per. ore 21,35).

Segnalo ad ogni buon fine che Schuschnigg mi ha comunicato stasera in via confidenziale avere appreso da fonte sicura che il servizio informazioni segreto alle Colonie partito nazionalista germanico avrebbe diramato ieri da Berlino e da Monaco di Baviera ai giornali ed uffici dipendenti seguente notizia: «Viaggio Cancelliere Federale Schuschnigg in Italia è stato vietato personalmente da Mussolini». Si sarebbe data, in dipendenza tale notizia, l'istruzione di iniziare una campagna contro Schuschnigg. Notizia sarebbe stata trasmessa anche alla sezione di Roma del partito nazionalista germanico 1 .

373

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 2362/257 R. Londra, 1° aprile 1937, ore 21,50 (per. ore 2,10 del 2).

Giornali ufficiosi dànno stamane molto rilievo alla tua conversazione di ieri con Drummond2 e la commentano come un segno favorevole per una ripresa di amichevoli rapporti fra Italia e Inghilterra.

Come tu avrai rilevato da mie segna1azioni stampa, mentre organi laburisti e liberali continuano nella loro campagna antifascista, giornali ufficiosi da mercoledì ultimo scorso cioè dal giorno successivo al discorso del Duce del 23 marzo3 sono andati smorzando tono di violenta ostilità. Questo ultimo comincia a delinearsi esattamente dal giorno della presa di Malaga ed è andato successivamente aumentando sino a raggiungere lo stato di tensione acuta dal 13 al 23 febbraio. Vi è stato ancora in seguito un tentativo di recrudescenza circa pretesi incidenti antitaliani a Belgrado4 e a proposito menzogne pretesi provvedimenti Viceré Graziani contro

1 Ciano rispondeva con T. 726/61 R. del 4 aprile che il viaggio di Schuschnigg in Italia poteva avere luogo nella seconda metà di aprile e che da parte austriaca si poteva rendere di pubblica ragione la notizia.

2 Vedi D. 384.

3 Il 23 marzo, Mussolini aveva pronunciato a Roma un discorso nel quale aveva fatto un riferimento duramente polemico alla «tempesta cartacea» suscitata contro l'Italia dalla stampa britannica affiancata dall'«oratoria isterica ed ipocrita di certi pulpiti anglicani». Il testo del discorso è in MussoLINI, Opera omnia, vol. XXVIII, pp. 152-153).

4 Nella stampa internazionale era stato dato notevole spazio alla notizia di manifestazioni antitaliane avvenute a Belgrado in occasione della firma del trattato italo-jugoslavo che, si diceva, era considerato dall'opinione pubblica jugoslava come «un tradimento agli alleati e ai Patti balcanici».

Camicie Nere 1• La pronta recisa smentita da Te diramata 2 e poscia fatta illustrare nell'articolo di Gayda3 (che è stato largamente riprodotto in tutti i giornali inglesi) ha troncato il nuovo tentativo.

Parola d'ordine che Foreign Office continua a dare alla stampa e negli ambienti giornalistici (gli unici presenti a Londra in questi giorni, essendo assenti completamente uomini politici) è di moderare attacchi contro Italia fascista e di continuare a commentare con favore Tua visita Belgrado, stipulazione accordi Italia-Jugoslavia prossimi accordi Italia-Turchia e Tua probabile visita ad Angora.

Ti riferirò dettagliatamente stati d'animo contraddittori attraverso cui è successivamente passato governo britannico nel valutare e presentare al pubblico Tuo viaggio a Belgrado e accordo italo-jugoslavo 4 .

Oggi parola d'ordine è di «marcare» differenza tra attitudine favorevole assunta dall'Inghilterra in confronto attitudine assunta dalla Francia verso la nuova politica italo-jugoslava. Ecco le caratteristiche di questa fine settimana.

Lunedì con la ripresa dell'attività politica normale col ritorno a Londra membri del governo e Parlamento sarà possibile approfondire mie impressioni.

Mia sensazione è che recente tempesta nei rapporti italo-inglesi finirà con l'aver ripercussioni benefiche. Gli inglesi hanno cercato di ignorare e addirittura di nascondere al pubblico storica intervista del Duce al Daily Mail del 19 marzo5 . Discorso del Duce del 23 marzo ha avuto come immediato salutare effetto di arrestare l'Inghilterra nelle chine pericolose della campagna antifascista ed ha poscia costretto inglesi a meditare sulla portata delle dichiarazioni africane del Duce. Queste costituiscono punto di partenza della nuova fase dei rapporti italo-inglesi.

374

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO,

T. 2365/260 R. Londra, 1o aprile 1937, ore 21,30 (per. ore 5,45 del 2).

Da fonte confidenziale mi si riferisce che conversazioni di carattere riservato stanno avendo luogo in questi giorni fra Quai d'Orsay e Foreign Office per gettare

l Il 30 marzo, il Times aveva pubblicato una corrispondenza da Addis Abeba nella quale si affermava che 200 tra soldati e Camicie Nere erano stati espulsi dall'Etiopia perchè colpevoli delle sanguinose rappresaglie compiute dopo l'attentato del 19 febbraio, che il Maresciallo Graziani era ancora degente in ospedale e che in Etiopia le autorità italiane chiudevano tutte le case di commercio straniere.

2 Per mezzo di un comunicato pubblicato il 31 marzo sui giornali italiani.

3 In un articolo su Il Giornale d'Italia del 31 marzo dal titolo «La verità dei fatti» Virginio Gayda aveva accusato alcuni gruppi britannici «non tutti irresponsabili» di agire in modo da favorire <mna programmatica politica britannica ostile» all'Italia. L'articolo aveva poi sostenuto energicamente la piena legittimità dei provvedimenti presi nei confronti delle ditte Mohamed Ali e Besse alle quali era stata revocata la licenza di commerciare nell'Impero perchè colpevoli di svolgervi attività politica contro l'Italia, vicenda che, oltre ad avere avuto una certa eco nella stampa, aveva dato luogo a ripetuti passi da parte della diplomazia britannica e francese.

4 Vedi D. 380.

5 Vedi p. 365, nota l.

basi di una intesa navale franco-inglese nel Mediterraneo, prendendo come pretesto ipotesi che Italia e Germania vengano meno agli impegni internazionali circa divieto invio di volontari e materiale di guerra in Spagna. Governo francese, allo scopo evidente di introdurre nuovi elementi di perturbamento nelle relazioni italo-inglesi, avrebbe preso l'iniziativa di proporre a Londra un accordo di cooperazione navale sul tipo di quello che governo britannico, nel settembre 1935, propose a Parigi e venne poscia concluso fra Inghilterra e Francia 1 coll'impegno che esso divenisse operante nel caso di eventuale «aggressione» da parte dell'Italia contro una delle parti contraenti per il fatto di applicare quest'ultima sanzioni stabilite dalla S.d.N. Foreign Office ha risposto per ora all'iniziativa francese né accettandola né respingendola ma domandando invece dei chiarimenti sull'estensione e portata di tale proposta.

375

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2387/074 R. Vienna. JO aprile 1937 (per. il 3).

Mio telegramma odierno n. 922 .

Il Cancelliere Federale mi ha comunicato che aveva nella settimana scorsa fatto scrivere all'incaricato di affari d'Austria a Belgrado 3 d'intrattenere all'occasione il direttore degli affari politici di quel ministero degli Esteri sulla convenienza che alla prossima riunione del consiglio della Piccola Intesa fosse evitato, con eccessive e non necessarie richieste all'Austria, ogni inasprimento della questione della restaurazione monarchica in questo Paese.

Alcuni giorni dopo la conversazione tra l'incaricato di affari austriaco e il direttore degli affari politici jugoslavo, questi convocò il rappresentante austriaco per fargli a nome di Stojadinovic la seguente comunicazione:

l) la Jugoslavia manteneva il suo punto di vista negativo nei riguardi della restaurazione absburgica in Austria;

2) per non creare imbarazzi al governo austriaco e per fare cosa gradita al ministro italiano degli Affari Esteri (V.E. era già partito da Belgrado), il presidente del Consiglio jugoslavo non porterà di propria iniziativa in discussione, in seno alla prossima riunione del Consiglio della Piccola Intesa, il problema della restaurazione absburgica;

3) qualora tale problema, come, del resto, avviene in ogni sessione della Piccola Intesa, fosse dalla Romania o dalla Cecoslovacchia rimesso in discussione,

1 Convenzioni militari del 9-10 dicembre 1935 (vedi BD, vol. XV, D. 361 e appendice II).

2 T. 2333/92 R. del lo aprile. Comunicava, in forma più sintetica, che Stojadinovic aveva dato assicurazione a Vienna di non sollevare alla prossima riunione della Piccola Intesa il problema della restaurazione asburgica e di fare il possibile per impedire un inasprimento della questione.

3 E. Lurtz.

la Jugoslavia non lo potrebbe impedire, ma in questo caso Stojadinovic avrebbe cercato di fare del proprio meglio per contribuire ad evitare ogni maggiore inasprimento della questione.

Il Cancelliere Federale aveva fatto pervenire a Stojadinovic i più vivi ringraziamenti per tali dichiarazioni che erano atte a giovare agli interessi di entrambi i Paesi.

Schuschnigg mi esprimeva la sua più viva riconoscenza per l'E.V. a cui doveva anche questo più favorevole atteggiamento del governo di Belgrado.

Apprendo che, avendo Hornbostel pregato, per incarico del Cancelliere, questo ministro di Francia 1 d'interessare il suo governo ad intervenire nello stesso senso a Praga, Delbos fece rispondere che non riteneva opportuno d'ingerirsi in tale questione. Questa risposta negativa di Parigi (che può essere anche sintomatica per il recente contegno francese nell'affare della restaurazione in Austria) ha accresciuto il grato apprezzamento del Cancelliere Federale per il pronto ed efficace interessamento della E.V.

376

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO PER CORRIERE 2385/076 R. Vienna, Jo aprile 1937 (per. il 3).

Telegramma per corriere di V. E. (segreto) n. 684 del 30 marzo u.s. 2•

Il Cancelliere Federale ha fatto interrogare Frankenstein, senza accennare alla fonte della sua informazione, sulle voci di offerte fatte a lui da Vansittart e che egli avrebbe inoltrato direttamente a Miklas. Il ministro d'Austria a Londra non solo ha smentito il fatto, ma ha assicurato che, né il segretario permanente al Foreign Office, né altri gli avevano mai accennato a simili proposte.

Indipendentemente da ciò, continua qui lavorio di agenti -a cui ho accennato nel mio telegramma n. 843 -che trovano in alcuni circoli terreno adatto; ma non tanto per un orientamento politico verso Praga, quanto per un avvicinamento a Londra che, più ancora che Parigi, esercita qui sempre una grande attrazione.

L'inasprimento delle nostre relazioni con l'Inghilterra mette sempre a dura prova qui specialmente i circoli della finanza e quelli, molto larghi, interessati al movimento dei forestieri, gli uni e gli altri tradizionalmente orientati verso i Paesi anglosassoni. Poiché l'influenza di tali circoli e di tali interessi è ragguardevole, ne seguo con la maggiore attenzione l'attività, rimasta sinora senza effetto sugli atteggiamenti del governo federale.

I Gabriel Puaux.

2 Ritrasmetteva il D. 332.

3 T. segreto non diramare 2171/84 R. del 25 marzo. Comunicava, in risposta alla richiesta di informazioni in proposito (vedi p. 356, nota 2), che niente risultava circa le proposte fatte da Vansittart al ministro Frankenstein ed escludeva «in via assoluta» che tali proposte o altre consimili fossero giunte al presidente Miklas o a Schuschnigg. L'attività di alcuni «agenti irresponsabili» non aveva nessun effetto.

377

IL CAPO DI GABINETTO, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, Jo aprile 1937.

L'Incaricato d'Affari di Germania mi ha pregato di portare a conoscenza di

V.E. che il governo tedesco vorrebbe proporre a quello turco di mettere in vigore le clausole di Montreux, fra Germania e Turchia, con uno scambio di note. Unica riserva l'esclusione della Società delle Nazioni. I negoziati non sono ancora cominciati fra i due Governi, comunque durerebbero da due a tre mesi.

Il Governo tedesco ritiene che sarebbe vantaggioso per l'Italia come per la Germania se l'adesione italiana avvenisse contemporaneamente a quella tedesca. Se però S.E. Ciano ha ragioni per concludere prima, la Germania non se ne dorrà.

Il Governo tedesco gradirebbe, in ogni modo, conoscere, se possibile, le nostre decisioni 1 .

378

L'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI TRANSOCEANICI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

0

APPUNTO. Roma, aprile 1937.

Da varie parti giunge conferma della notizia di una certa tendenza del nuovo Gabinetto giapponese verso un riavvicinamento oltreché con la Cina e la Russia anche con l'lnghilterra 2 . Tendenza non imprevista né inattesa perché prima ancora di lasciar Parigi per il Giappone e prima ancora di sapere che sarebbe stato destinato ad assumere il portafoglio degli Esteri, Sato si era già espresso in termini di deplorazione verso la politica del Gabinetto precedente che concludendo il patto nippo-tedesco avrebbe secondo lui alienato al Giappone la simpatia della Francia dell'Inghilterra e degli Stati Uniti.

Nessuna meraviglia quindi che, assumendo Sato il portafoglio degli Esteri, sia pure in un Gabinetto in prevalenza militare, non solo le sue dichiarazioni abbiano marcato un tono di sensibile anglofilia, ma anche che l'Ambasciata giapponese a Londra abbia preso contatti col Governo britannico in vista di un possibile accordo generale sulle questioni di reciproco interesse dei due Paesi.

l Si veda in proposito il D. 396.

2 In questo senso si era espresso da Tokio l'ambasciatore Auri ti (T. 2217 /l 08 R. del 26 marzo), il quale peraltro sottolineava che i contrasti del Giappone con l'Unione Sovietica e con la Gran Bretagna nascevano da «ragioni collegate con suoi fini ideali e materiali cui non può rinunciare» e che anche un'intesa con Nanchino presupponeva che il governo cinese chiarisse il proprio contegno verso Mosca e fosse meno ligio di fronte a Londra. L'ambasciatore riteneva. pertanto, di poter escludere che nella politica estera giapponese si potessero verificare dei mutamenti sostanziali.

Tuttavia il R. Ambasciatore in Tokio ritiene che tale nuovo atteggiamento giapponese difficilmente potrà imprimere un mutamento sostanziale alla politica estera del Giappone persistendo nel Paese ed in seno allo stesso Governo la prevalenza dell'elemento militare, la quale aumenta le difficoltà di seria intesa fra i due Stati, i cui interessi in Estremo Oriente sono in molti punti antitetici.

Comunque se, come pare, il Giappone per varie considerazioni non ultima delle quali la tema di rimanere isolato fra gli Stati Uniti da un lato e il riarmo inglese dall'altro, può essere stato indotto a tentare un riavvicinamento coll'Inghilterra, sembrerebbe opportuno non tardare eccessivamente ad assicurare una collaborazione italo-giapponese (sempreché, beninteso, tale collaborazione appaia desiderabile).

Vi sono attualmente possibilità:

l) di sviluppare quelli accordi culturali il cui promettente inizio ha coinciso con le recenti visite delle LL.EE. Severi e Tucci in Giappone;

2) di favorire la pronta conclusione dei negoziati commerciali italo-giapponesi che sono attualmente qui in corso e che, superata qualche difficoltà di dettaglio, possono giungere rapidamente a positivi risultati;

3) di dar corso al progetto di collaborazione tecnico-industriale italo-giapponese per la produzione di materiali di guerra in Giappone su licenze di costruzione italiane di cui, con la piena approvazione di S.E. Auriti si è fatto interprete il Colonnello Scalise R. Addetto Militare in Tokyo 1 .

379

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

0

TELESPR. RISERVATISSIMO 1500/464. Berlino, aprile 1937 (per. il 3).

Come ho avuto occasione di segnalare con il mio telegramma n. 1502 l'avvenimento più importante della settimana, per la politica interna tedesca, è stato l'incontro avvenuto a Monaco il 30 marzo tra il Cancelliere Hitler ed il generale Ludendorff. E di maggiore rilievo che non forse il fatto in sé stesso, è stato g comunicato del D.N.B. pubblicato per darne notizia in forma uffisiale al popolo tedesco. Con ciò evidentemente si è voluto tirare fuori dall'ombra la figura del generale Ludendortl sul quale poco a poco andava scendendo, per forza di cose e di tempo, e ad onta degli sforzi fatti, con la sua intransigente originalità, dal vecchio Generale, il velo dell'oblio.

1 Un'annotazione sul margine del documento dice: «Visto da S.E. il Ministro che approva in massima. 2 aprile».

2 T. 23181150 R. del 31 marzo. Magistrati riferiva dell'incontro Hitler-Ludendorff che, data la ben nota ostilità del generale nei confronti del Vaticano, poteva costituire «una prima, indiretta ma significativa risposta di Hitler alla Mit brennender Sorge, tanto più che l'incontro si era svolto nella cattolica città di Monaco e all'indomani delle celebrazioni pasquali».

Molti si domandano infatti oggi per quali ragioni il Cancelliere Hitler abbia desiderato personalmente questo nuovo incontro con il suo antico sostenitore del 1923, il quale, come è noto, aveva voluto, soltanto due anni fa, fargli, in certo modo l'affronto di rifiutare il bastone di Maresciallo che il governo nazionalsocialista aveva intenzione di offrirgli.

Probabilmente alla pacificazione ha concorso da parte del Cancelliere Hitler, la cui caratteristica è sempre di basare le proprie azioni su un concetto quasi ascetico di «fedeltà» verso gli antichi compagni di lotta, la necessità psicologica di far sparire definitivamente tutti quei contrasti che lo avevano allontanato dalla persona che, bene o male, era al suo fianco nel tragico putsch di Monaco del novembre 1923.

E forse, per quanto oramai, come ho sopra accennato, perfino negli ambienti militari, nei quali poco a poco si fanno strada i giovani sorti alla vita dell'esercito del dopoguerra, la figura del Generale non abbia più l'antica importanza, si è voluto anche dare all'interno ed all'estero l'impressione che l'ultima figura ancora sopravissuta, con il Maresciallo von Mackensen, del gruppo dei grandi generali tedeschi, abbia dovuto in definitiva riconoscere apertamente l'opera compiuta dal regime nazionalsocialista a favore della potenza della nuova Germania.

Ma soprattutto sembra dover aver contribuito all'incontro ed alla riconciliazione (e di quest'idea appare essere anche la stessa nunziatura apostolica di Berlino) lo stato d'animo esacerbato del Cancelliere nei confronti del conflitto con la Santa Sede, autrice della dura Enciclica lanciata, nei giorni scorsi, a condanna dei sistemi nazionalsocialisti1 .

Occorre infatti ricordare come il generale Ludendorff e la signora Ludendorff siano stati sempre all'avanguardia, anche in tempi recentissimi, di una tendenza tedesca nettamente «anti-vaticana» e siano stati gli autori di varie pubblicazioni, più o meno ben viste dal governo e dalla polizia di stato, contenenti violenti attacchi alla Roma pontificia.

Ora evidentemente il governo nazionalsocialista e più particolarmente il Cancelliere Hitler, per quanto abbiano nettamente imposto alla stampa tedesca il più assoluto silenzio nei riguardi dell'Enciclica del Pontefice, preparano una qualche reazione, in un tempo più o meno vicino, destinata ad aggravare la tensione oggi esistente e dovuta all'intransigenza delle due parti. Mi riservo in proposito di riferirne all'E.V. in separato rapporto 2 .

Primo atto di una tale situazione potrebbe così essere questo incontro di Monaco, città cattolica per eccellenza, dove risiede il cardinale Faulhaber e dove, a quanto viene riferito, le celebrazioni religiose pasquali hanno assunto quest'anno una forma particolarmente significativa.

L'abbraccio ideale tra il vecchio Generale avversario di ogni forma confessionale ma particolarmente di quella che si inspira al Vaticano, ed il Capo dello Stato tedesco non può in definitiva, apparire se non un chiaro indice di uno stato d'animo che potrebbe, come ho detto, portare a conseguenze di indubbia gravità.

La stampa tedesca, dopo aver posto in risalto il comunicato del D.N.B., si è limitata a brevissimi commenti nei quali si esalta la figura militare e politica

I Vedi p. 402, nota l. 2 Vedi D. 388.

dell'antico capo di Stato Maggiore del Maresciallo Hindenburg, nuovamente passato sotto le bandiere dalla croce uncinata.

Aggiungo infine che, secondo alcune voci, il governo nazionalsocialista intenderebbe offrire una seconda volta al Ludendorff il bastone di Maresciallo: un giorno adatto per la consegna potrebbe essere lo stesso 20 aprile, data del genetliaco del Fiihrer, a simiglianza di quanto avvenne lo scorso anno per il ministro della Guerra del Reich, generale von Blomberg 1•

380

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 1128. Londra, ] 0 aprile 19372 .

Ti invio la prima raccolta di quanto è stato pubblicato nella stampa inglese durante la scorsa settimana sulla Tua missione a Belgrado e sulla conclusione dell'accordo itala-jugoslavo. Credo Ti interesserà darvi uno sguardo. Come hai visto, le ripercussioni in Inghilterra di questo avvenimento internazionale ~che io considero di importanza e di valore non inferiore all'Asse Roma-Berlino, vale a dire come il «secondo» pilastro maestro della politica estera fascista ~ sono state vaste e profonde. Non vi è dubbio che gli ambienti politici britannici hanno seguito il Tuo viaggio a Belgrado con attenzione, con interesse e con preoccupazione non minori del Tuo viaggio a Berlino alla fine di ottobre 1936. Dopo una settimana di commenti e di interpretazioni le più svariate l'interesse non è affatto diminuito. L'articolo retrospettivo (che segnalo alla Tua attenzione) pubblicato dal Times proprio stamane sulla nuova situazione determinatasi nel Bacino Danubiano, per effetto del successo della politica fascista nei confronti della Piccola Intesa, ne è la prova.

«Mussolini scores again» è il commento popolare corrente che si fa oggi in Inghilterra sul nostro accordo con Belgrado. La misura del successo italiano è data non soltanto da quanto pubblicano i giornali e le riviste politiche, ma ancora più dalla preoccupata attenzione (che gli sforzi governativi e dei commentatori ufficiosi non riescono a mascherare) con cui, tutto all'improvviso, i circoli politici inglesi stanno prendendo ai problemi dell'Europa orientale e danubiana.

Per gli inglesi la carta geografica dell'Europa centrale, danubiana e balcanica, non ha avuto mai se non un mediocre interesse. Non ripeterò qui quello che ho scritto tante volte sull'attitudine britannica nei confronti della questione austriaca.

l Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Manca l'indicazione della data d'arrivo.

Orbene, gli Inglesi i quali non si sono mossi, limitandosi a versare per pura decenza qualche lagrima di coccodrillo, in seguito all'assassinio di Dollfuss nel luglio 1934, hanno rizzato da una decina di giorni le orecchie alla notizia della conclusione dell'accordo italo-jugoslavo. Il successo italiano e la nostra politica autenticamente rivoluzionaria nell'Europa centro-danubiana ha costretto questa gente a «scoprire» improvvisamente questa parte dell'Europa. Io sono oggetto in questi giorni delle più strane domande su quello che potrà essere lo sviluppo futuro della nuova politica italiana nell'Europa centro-orientale, adesso che il Duce ha in sua mano una leva così solida quale il nuovo Asse Roma-Belgrado ed ha quindi la possibilità di determinare, sollevando questa leva, nuove imprevedibili scosse nella già malferma situazione politica dell'Europa centro-orientale.

Su quella che è stata l'effettiva «azione» del governo britannico prima, durante e dopo l'Accordo da Te negoziato e concluso, Tu hai da Belgrado informazioni più conclusive di quelle che io non possa darTi. Giudicando dagli elementi della mia osservazione quotidiana, da dichiarazioni di membri del Gabinetto e di persone assai vicine a Downing Street e dello stesso Foregn Office, dal notiziario informativo e confidenziale raccolto ogni giorno, sono portato a concludere che il governo britannico ha fatto tutto quello che era in suo potere per impedire o almeno ostacolare la conclusione del nostro Accordo con Belgrado.

È assai interessante, ed anche istruttivo, seguire i passaggi successivi nell'attitudine ufficiale britannica di fronte a quanto avveniva fra Te e Stojadinovic. Ciò permette di valutare quale è stato e quale è l'effettivo pensiero del governo britannico, al di fuori di quello che il Foreign Office fa dire nei suoi giornali ufficiosi e di opposizione i quali sono diventati pieni ad un tratto, esattamente da mercoledì 24 marzo, di ditirambiche approvazioni e addirittura di «congratulazioni» per la nuova politica italiana verso la Jugoslavia.

Sono molto interessanti a tale proposito i «pc;;i» ufficiosi ispirati dal Foreign Office attraverso i redattori diplomatici. Si dice che l'Inghilterra «welcome the ltalo-Jugoslav Agreement... in view of the excellent relations between England and Jugoslavia» e che «...The Agreement is comp!ementary to the Anglo-Italian declaration of January 2nd. and thus in ji11l accord ll'ith the British Mediterranean policy»; e poi ancora « ... in London it is felt that Italy deserves congratulations no less t han Jugoslavia»; e poi « ...the Agreement is vie1red li'it h suspicion by C::echoslovakia ... ». Insomma, a leggere tuttociò, sembra quasi che il governo britannico consideri l'accordo Roma-Belgrado come un successo diretto della sua azione politica, e si preoccupi perfino di quelle che potranno essere altrove ingiuste sgradevoli ripercussioni ... Ha finto persino di non accorgersi il governo britannico, così suscettibile sempre per tutto quanto possa sembrare come offesa alla sacra maestà della Lega delle Nazioni, che l'accordo di Belgrado è stato concluso fuori del quadro ginevrino, anzi «contro» Ginevra in quanto esso contiene il riconoscimento dell'Impero italiano e significa per lo meno che la Jugoslavia ha fatto su questo punto causa comune cogli Stati dell'eresia anti-ginevrina! Non una parola di protesta e neppure di dissenso per tuttociò.

Queste frettolose, tardive e goffe manifestazioni di consenso, in contrasto così stridente con quella che è stata l'azione del governo britannico diretta a far naufragare l'accordo prima che esso fosse concluso, non significano altro che il tentativo di mascherare «incassandola», quella che è stata per il governo di Baldwin e di Eden un 'effettiva sconfitta diplomatica. In questi esatti termini è stata giudicata dai gruppi dei nostri ex-amici conservatori ed imperialisti, i quali non sono riusciti a nascondere una reazione di dispetto alla notizia della conclusione dell'accordo, e di questo «dispetto» dei conservatori si è fatta eco lo stesso organo dei conservatori di destra, la Morning Post del 27 marzo, il quale è stato proprio l'unico giornale britannico non anti-fascista, a dare spazio e credito ai pretesi incidenti anti-italiani di Belgrado 1 ed a visibilmente compiacersene! La verità è che i conservatori imperialisti si sono resi subito conto dell'importanza e del valore dell'accordo, quale nuovo Statuto della Pace Adriatica, e l'influenza che esso è destinato ad assumere nella politica, necessariamente anti-britannica dell'Italia nel Mediterraneo.

In un primo tempo il governo ha fatto di tutto per circondare di silenzio l'avvenimento. Il primo indirizzo dato dal Foreign Office è stato nel senso di «svalutare» nell'opinione pubblica internazionale, nei circoli politici, alla Camera dei Comuni e nella City l'accordo Roma-Belgrado. Poi, improvvisamente, sono apparse mercoledì 24 marzo le prime note ufficiose in senso esattamente contrario e gli uffici stampa di Downing Street e del Foreign Office hanno diramato istruzioni ai giornali ufficiosi di riprodurre estesamente e di commentare favorevolmente tutte le notizie relative all'accordo Itala-Jugoslavo.

Ciò avveniva, come ho detto, il 24 marzo, esattamente poche ore dopo il discorso del Duce in Piazza Venezia 2 e nel momento in cui la tensione itala-britannica aveva raggiunto il suo vertice acuto. È del 24 marzo la riunione del Gabinetto nella quale la maggioranza (in opposizione ad alcuni propugnatori della cosiddetta politica «forte» contro l'Italia) preoccupata degli effetti della reazione italiana alla campagna antifascista britannica, riconosceva che la situazione era giunta ad uno stato di tensione effettivamente pericolosa per la Gran Bretagna e decideva di intervenire per far cessare ogni ulteriore polemica e per indirizzare nuovamente l'azione britannica verso una distensione dei rapporti coll'Italia nel quadro del Gentlemen 's Agreement del 2 gennaio.

Mi risulta che alla riunione del Consiglio dei ministri del 24 marzo l'accordo Itala-Jugoslavo è stato oggetto di discussione e di esame e che, dopo avere riconosciuto che l'avvenimento non si poteva considerare in senso favorevole agli evidenti interessi della Gran Bretagna nel Mediterraneo, è stato tuttavia deciso di fare ad esso, non foss'altro in apparenza, buona e favorevole accoglienza, e ciò per i seguenti motivi:

l) Per mascherare di fronte all'opinione pubblica britannica l'insuccesso dell'azione diplomatica inglese.

2) Per dare al Duce la prova delle effettive intenzioni da parte del governo britannico di «smobilitare» e rimettere le relazioni itala-britanniche nel piano di una passabile normalità.

3) Per il dubbio che pur dovendosi presentemente considerare l'accordo itala-jugoslavo come un indebolimento delle posizioni inglesi nel Mediterraneo, tale accordo possa nel futuro divenire una linea di resistenza contro la pressione tedesca

I Vedi p. 452, nota 4. 2 Vedi p. 452, nota 3.

in direzione dello stesso Mediterraneo, e quindi «giocare» alla lunga indirettamente a favore degli stessi interessi britannici.

Questa è, ad ogni modo, la spiegazione che il Foreign Office ha dato nella mattinata di giovedì a questo ambasciatore di Francia, il quale era letteralmente furioso per l'improvviso cambiamento che, a sole dodici ore dalla tempestosa giornata del 23 marzo, si era operato nel governo britannico, sia nei riguardi dell'accordo italo-jugoslavo, e sia nella situazione dei rapporti italo-britannici in generale.

L'improvviso cambiamento di fronte britannico si è effettuato esattamente in un momento dopo che Blum, Delbos e le sinistre antifasciste francesi (i soliti Paladini di Francia che conosciamo!) erano scesi in campo con grande fracasso illudendosi di sfruttare ai propri fini anti-italiani e antifascisti la tensione acuta nei rapporti italo-britannici, e rifarsi anche della sconfitta inflitta alla politica delle alleanze francesi dalla conclusione dell'accordo da Te firmato a Belgrado. Il tutto si è risolto alla fine in una doppia sconfitta per la politica della Francia socialista.

Non vi è dubbio che, a parte il valore intrinseco dell'accordo nella politica internazionale, il «momento» scelto per la sua conclusione non poteva essere più felice e più tempestivo, e la sua importanza agli effetti dei risultati della battaglia internazionale che l'Italia fascista si è trovata improvvisamente costretta ad affrontare in seguito agli avvenimenti di Spagna, è stata di carattere decisivo, così come lo è, durante le fasi acute di una battaglia, l'intervento devastatore di una grande carica di cavalleria, la quale non solo può decidere delle sorti di una battaglia ma riesce quasi sempre a dirigere il nemico in ritirata verso quella direzione che sceglie il capitano vincitore. Questa è, del resto, la legge fondamentale della tattica di Mussolini nel campo di battaglia come nell'azione internazionale.

Credo che Tu debba essere contento dei risultati della Tua missione a Belgrado.

381

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. SEGRETO 706/64 R. Roma, 2 aprile 1937, ore l.

Telegramma di V.E. n. 108 1 .

Per opportuna riservatissima conoscenza di V.E. comunico che da informazioni assolutamente sicure risulta confermato che ambasciata giapponese a Londra avrebbe preso contatti col governo britannico in vista di un possibile accordo generale fra i due Paesi sulle questioni di rispettivo interesse in Estremo Oriente. Prego

V.E. di seguire colla massima attenzione eventuali possibili sviluppi di questa iniziativa giapponese, senza però fare per ora alcun uso delle presenti informazioni.

I Vedi p. 456, nota 2.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2373/103 R. Ankara, 2 aprile 1937, ore 15,40 (per. ore 21,40).

Attuale riunione di Belgrado dei ministri degli Affari Esteri della Piccola Intesa è seguita qui con ogni possibile attenzione.

Tendenza seduta di oggi contraria a trasformare legami Francia Piccola Intesa è immutata. Anzi, Aras ha espresso ieri (con consuete violente diatribe contro Francia) a questo ministro di Jugoslavia sua indignazione per attacchi stampa francese contro Stojadinovic. Ma sussiste anche in pari tempo qualche preoccupazione per crescente affermazione dell'indipendenza di Stojadinovic dal sistema politico cui Jugoslavia è legata. Non è quindi senza qualche sospettosa inquietudine che ogni di lui mossa è vigilata. Vi è in fondo il timore che dopo il patto di amicizia e sicurezza bulgaro-jugoslavo, e più ancora dopo che Belgrado ha assicurato i suoi confini orientali, il blocco balcanico possa scindersi in due.

Le idee di nuovi legami tra Italia e Stati balcanici (non si parla ancora di Romania) che Aras ha nuovamente sviluppato ieri al ministro di Jugoslavia, mirano appunto impedire tale temuta scissione e, in ogni caso, evitare che dall'accordo itala-jugoslavo derivino sviluppi che lascino la Turchia non sufficientemente garantita nel Mediterraneo.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2440/082 R. Londra, 2 aprile 1937 (per. il 6).

Mio telegramma n. 078 del 30 marzo u.s. 1 .

In assenza di Vansittart ho avuto con Sargent, che lo sostituisce al Foreign Office, una lunga conversazione sul Belgio. Gli ho chiesto anzitutto in qual modo egli valutasse i risultati della visita a Londra di Re Leopoldo.

Sargent mi ha risposto che la visita aveva avuto utili effetti, ma nessun risultato immediato e tangibile, come in alcuni ambienti si era cercato di far credere. Il Re aveva avuto con Eden e Baldwin conversazioni di carattere generale, dalle quali la posizione del Belgio era emersa in termini più chiari, in una atmosfera di simpatia e di comprensione da parte inglese. In tutto ciò nulla di nuovo ma un'altra tappa compiuta verso il generale riconoscimento e adattamento europeo alla nuova poli-

l Vedi D. 362.

tica del Belgio. L' Inghilterra, ha detto Sargent, non ha, fin dall'inizio nell'ottobre scorso manifestato alcuna ostilità verso questa nuova politica. Ma essa deve procedere di conserva con la Francia e si rende ragione della diversa attitudine francese, determinata da precedenti impegni militari nonché da motivi di contiguità geografica tanto col Belgio quanto con la Germania. L'Inghilterra constata con piacere la favorevole evoluzione di cui la Francia ha dato segno in questi ultimi tempi, nei riguardi del Belgio. Ma essa non può e non vuole forzare o affrettare questo delicato sviluppo e perciò ogni atto di pubblico e formale riconoscimento della nuova posizione del Belgio, da parte dell'Inghilterra, è subordinato all'esistenza di analoghe disposizioni da parte della Francia.

Poiché questa dichiarazione di Sargent mi lasciava intendere che l'elemento di ritardo, nel processo di «adattamento», era rappresentato esclusivamente o quasi esclusivamente dal governo francese, gli ho chiesto a che punto si trovassero le questioni concrete che dividevano ancora il Belgio dalla Francia; e cioè: l) l'interpretazione belga del paragrafo 3 del Patto della S.d.N.; 2) la questione degli accordi militari del marzo 1936 1; 3) la questione delle nuove intese di Stati Maggiori fra il Belgio e la Francia.

Sargent mi ha risposto che il Belgio non ha mai disconosciuto i suoi obblighi derivanti dal Covenant, e si è soltanto arrogato la facoltà di giudicare se una determinata situazione implicasse la messa in opera delle misure previste dagli obblighi stessi. Giuridicamente non v'era nulla da ridire: tutti gli Stati firmatari del Patto della S.d.N. avevano assunto analoga posizione nei riguardi degli obblighi in essa sanciti. Si trattava perciò unicamente di una questione politica, o in altri termini di uno stato d'animo generale del Belgio che desse alla Francia un senso di affidamento sul modo come esso avrebbe inteso e applicato i suoi obblighi. Per l'Inghilterra, l'elemento essenziale era costituito dalla capacità e dalla volontà del Belgio di difendersi contro qualsiasi aggressione, in particolare, ha soggiunto e sottolineato Sargent, contro un'aggressione aerea o una violazione della integrità territoriale belga da parte di aeroplani stranieri. Occorreva che il Belgio non entrasse insensibilmente nello stato d'animo di una neutralità passiva, e che, per evitare di essere trascinato in un conflitto, finisse col risolversi a non opporre più resistenza a passaggi di tr1,1ppe o di aeroplani sul suo territorio. Il governo britannico metteva questa sola condizione alla concessione da parte sua di una garanzia al Belgio senza reciprocità.

Riguardo al secondo punto (accordi militari del marzo 1936) il governo britannico conveniva che questi accordi avevano carattere provvisorio, e non pensava che da parte della Francia vi fossero serie difficoltà a considerarli sorpassati. Occorreva tuttavia per ragioni psicologiche che questa estinzione degli accordi del marzo 1936 non venisse proclamata se non contemporaneamente all'instaurazione di massima e al riconoscimento di una sistemazione nuova e definitiva.

Riguardo al terzo punto (nuovi accordi di Stati Maggiori), Sargent mi ha detto che l'Inghilterra non era direttamente interessata ma che comprendeva e condivideva in questo campo i desideri della Francia. Una garanzia data non poteva essere efficace se non si predisponevano i mezzi della sua eventuale applicazione.

l Vedi p. 237, nota 3.

Ho osservato a mia volta a titolo puramente «accademico» che, in tal caso, poiché la Germania era chiamata a dare una identica garanzia, non le si poteva negare la possibilità di stipulare analoghe intese con lo Stato Maggiore belga.

Sargent ha risposto che il governo britannico, mentre considerava come una possibilità concreta l'invasione del Belgio da parte di truppe tedesche, non poteva che escludere dal terreno della pratica realtà l'ipotesi di una invasione del Belgio da parte di truppe francesi. Altra cosa sarebbe stata il libero passaggio di truppe contemplato nell'art. 16 del Covenant e volontariamente accettato dallo Stato belga per rendere possibile l'esercizio della resistenza collettiva contro l'aggressore.

Ho replicato a Sargent che sul terreno delle ipotesi mi sembrava azzardato di limitare l'esame della questione alla sola eventualità di un'aggressione tedesca contro il Belgio. Cosa accadrebbe invece se si verificasse il caso contrario? Come si può escludere a priori in un modo assoluto il caso che la Francia si trovi a violare la neutralità belga in un eventuale conflitto con la Germania? Non si può negare alla Germania il diritto di premunirsi contro questa eventualità mediante intese di Stato Maggiore col Belgio.

Sargent dopo aver mostrato un certo imbarazzo, ha dichiarato che evidentemente il Belgio è libero di avere conversazioni militari con chi vuole ma che le intese plurilaterali in questo campo si neutralizzano e vengono perciò, a diminuire, anziché aumentare, le garanzie di sicurezza. Il Belgio, ha proseguito Sargent, deve persuadersi che la sua assoluta neutralità è impossibile perché in un conflitto franco-tedesco esso è destinato irrimediabilmente ad essere coinvolto con una parte o con l'altra. L'allentamento di certi vincoli non deve e non può implicare una neutralizzazione assoluta, che si è già dimostrata irrealizzabile nel 1914, e che sarebbe oggi in contraddizione con l'esistenza stessa del Patto della S.d.N.

Ho chiesto a Sargent, se, su tutti i problemi ancora insoh.1ti nei rapporti fra Belgio e Francia e Belgio e Inghilterra, erano in corso conversazioni diplomatiche. Sargent ha risposto affermativamente. Ha aggiunto che le prospettive aperte da queste conversazioni erano favorevoli e che egli non escludeva la possibilità di discutere e di firmare, ad una data non troppo lontana, un Patto occidentale limitato al solo Belgio, nell'attesa del Patto che dovrebbe coprire l'intera frontiera renana, e le cui probabilità di attuazione appaiono oggi molto scarse.

Ho detto a Sargent che in molti ambienti politici e giornalistici londinesi si era parlato di una dichiarazione comune anglo-francese, da farsi nei primi giorni di aprile, e che doveva costituire un riconoscimento da parte della Francia e dell'Inghilterra della nuova posizione del Belgio.

Sargent, senza escludere che di tale dichiarazione si fosse parlato (egli mi ha dato anzi l'impressione che per causa della Francia la dichiarazione stessa era stata rinviata), ha nettamente smentito questa voce. Mi ha detto anzi che se un giorno si ritenesse conveniente procedere ad una simile dichiarazione, che andrebbe fatta dai firmatari degli accordi di marzo 1936, l'Italia, che ha partecipato alla discussione degli accordi stessi, pur senza dichiararsi da essi impegnata, verrebbe invitata dal governo britannico a partecipare, se essa lo desideri, alla dichiarazione comune riguardante il Belgio.

Pur mostrando un ovvio interesse a quest'ultima dichiarazione di Sargent ho evitato di dargli qualsiasi impressione su quello che potrebbe essere, in questa eventualità, l'atteggiamento del governo fascista.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

LETTERA PERSONALE 3063. Roma, 2 aprile 1937.

Ho visto Drummond 1 il quale ha cominciato il colloquio (*) lamentandosi per le difficoltà e l'atteggiamento troppo duro assunto, a suo dire, dall'amministrazione coloniale nei riguardi degli interessi britannici in Etiopia.

Ha particolarmente protestato, in forma però molto riguardosa, per il fatto che avendo egli già da parecchi giorni indirizzato una nota a Palazzo Chigi per conoscere le ragioni che avevano determinato il provvedimento di espulsione della ditta Mohammed Alì, egli non aveva ancora ricevuto risposta mentre aveva già letta sul Giornale d'Italia la risposta ai suoi quesiti 2•

Non sono stato in grado di rispondergli poiché in realtà l'amministrazione coloniale ha proceduto senza tenermi al corrente. Per il futuro, ho già chiesto al Duce, che ha acconsentito, che il coordinamento tra le due amministrazioni sia mantenuto in forma più stretta.

Drummond è passato quindi a parlarmi della ripresa di polemiche di stampa tra Roma e Londra e si è occupato particolarmente del discorso del Duce3 , chiedendomi quali spiegazioni avessi da dargli in merito. Come bene immagini gli ho risposto che sulle parole del Duce non si possono dare spiegazioni di sorta; che esse hanno per loro conto un pieno ed evidente valore che ogni chiosa o interpretazione non potrebbe in nessuna forma modificare. I discorsi del Duce, per noi fascisti, fanno testo. Così gli ho risposto e su questo argomento non ho ammesso di continuare il colloquio. Ma parlando invece della polemica di stampa, ho «fatto il punto» e gli ho fatto rilevare come dopo la breve tregua del gentlemen 's agreement, le ostilità siano proprio state riprese ad iniziativa della Gran Bretagna.

Primo colpo di fuoco: l'invito al Negus4 , lo sfortunatissimo e inopportunissimo invito al Negus, che in Italia ha prodotto una spontanea indignazione in ogni classe sociale. Dopo di ciò era difficile rifare la storia minuto per minuto delle iniziative di attacco partite da un settore o dall'altro. Ma sta di fatto che quando

1 Il colloquio aveva avuto luogo il 31 marzo.

(*) «Aggiungo che ha fatto-come dice la stampa-le congratulazioni per il Patto di Belgrado» (annotazione autografa di Ciano a fondo pagina).

2 Vedi p. 453, nota 3.

3 Vedi p. 452, nota 3.

4 Alle cerimonie per l'incoronazione di Giorgio VI.

due Paesi come l'Italia e l'Inghilterra, sono appena usciti e faticosamente usciti da una crisi come quella determinata nei loro rapporti dal conflitto etiopico, basta un incidente qualsiasi per determinare una ripresa di frizione che immediatamente, non essendo ancora sopiti i vecchi rancori, assume un carattere particolarmente vivace. Non ho mancato, naturalmente, di far conoscere a Drummond come la turpe speculazione fatta sull'episodio di Guadalajara che ormai, da osservatori neutri e non sempre benevoli è stato giudicato un limitatissimo incidente di carattere locale e privo di qualsiasi valore militare, abbia ferito quanto il popolo italiano ha di più caro e cioè il suo orgoglio militare.

Drummond ha dovuto convenire che in realtà, nella stampa inglese, si era andati troppo oltre ma per parte sua doveva anche far rilevare che la stampa italiana aveva reagito con altrettanta e forse più decisa violenza. Ma, al di fuori delle polemiche di stampa, rimanevano le vere intenzioni dei due Paesi: aveva l'Italia l'intenzione di aggredire l'Inghilterra o l'Inghilterra quella di aggredire l'Italia? No: Drummond ed io abbiamo concordato su questa sicurezza ed allora egli, cambiando tono e dichiarando che mi parlava a titolo personale (ma questo è un vecchio sistema al quale egli ha sempre ricorso durante le trattative per l'accordo mediterraneo), mi ha detto se, a mio giudizio, un riconoscimento formale dell'Impero da parte britannica sarebbe valso a far tornare l'azzurro nei rapporti fra i due Paesi. Gli ho risposto nettamente di si. Ciò avrebbe avuto il valore di provare che l'Inghilterra non metteva né intendeva più in futuro mettere in discussione la piena e totalitaria sovranità italiana sull'Etiopia: avrebbe dato l'impressione a tutti coloro che in Europa speculano sui dissensi italo-britannici che essi oramai appartenevano al passato e che l'Inghilterra non intedeva costruire su di essi la sua politica futura; avrebbe indubbiamente migliorato i nostri rapporti anche con altri Paesi dato che la Francia, che sta così a cuore all'Inghilterra, non avrebbe esitato a seguire l'esempio britannico, e riconoscendo anch'essa l'Impero, avrebbe potuto facilitare una ripresa di relazioni, almeno normali, tra Roma e Parigi.

Drummond ha preso atto di queste mie dichiarazioni e mi ha detto che non avrebbe mancato di dare questo suggerimento a Londra informando di quella che era stata la mia immediata reazione.

Tanto ho desiderato comunicarti per tua notizia. Ma al di là della cronaca, ti voglio aggiungere che è mia impressione che Drummond abbia agito su istruzioni del suo Governo. Mi pare che per ora noi non si debba far niente. Nessuna fretta e nessuna iniziativa. Ma credo che un riconoscimento formale e solenne dell'Impero fatto dall'Inghilterra dentro o fuori della Lega, prendendo essa o facendo prendere ad un Paese satellite l'iniziativa, è destinato ad avere risultati molto fecondi. Il Duce, cui ho riportato quanto sopra, è favorevole alla cosa. Certo che la prossima Assemblea della Lega è ancora lontana: da oggi al 26 maggio molta acqua passerà ancora sotto i ponti del Tevere, della Senna e del Tamigi. Perciò se gli inglesi credessero, ma sempre prendendo loro ogni iniziativa, di compiere un gesto o almeno di far pubblicamente conoscere fin da ora questa intenzione di riconoscimento dell'Impero, il vantaggio sarebbe significativo e certamente si eviterebbero nuove polemiche e nuovi risentimenti, che nell'atmosfera odierna possono verificarsi da un momento all'altro per una qualsiasi ragione.

Ti sarò grato se vorrai farmi conoscere il tuo pensiero e le tue previsioni.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 656/306. Ankara, 2 aprile 1937 (per. il IO).

Ho già segnalato all'E. V. il sentimento di questo governo nei confronti del concluso accordo itala-jugoslavo (mio telegramma n. 91 del 25 marzo)' ed il conseguente atteggiamento della stampa (mio telegramma n. 94 del 26 marzo)2 . Quest'ultima è stata assolutamente unanime nel commentare con ogni favore l'importanza dell'avvenimento, sia direttamente, dal punto di vista italo-jugoslavo, sia indirettamente, dal punto di vista delle relazioni fra il nostro Paese e quelli aderenti all'Intesa Balcanica. Di ciò l'E.V. si è certamente reso conto dalla lettura dei consueti bollettini trasmessi quotidianamente dall'ufficio stampa di questa ambasciata.

Ho altresì riferito all'E.V. (mio telegramma n. 97 del 30 marzo) 3 delle confidenze fatte da Rustu Aras a questo ministro di Jugoslavia, circa il suo proposito di intrattenere prossimamente Stojadinovic sulla opportunità di promuovere una più stretta intesa politico-militare fra Italia, Jugoslavia, Turchia e Grecia. La Romania non sarebbe inclusa in tale progetto (mio telegramma n. l01 del 31 marzo)4 . Checché ne sia del progetto di Aras, è sintomatico che la stampa turca abbia già chiaramente accennato alla possibilità di realizzarlo. Così la République ed il Cumhuriyet del 30 marzo (V.E. non ignora che il noto Yunus Nadi, amico personale del Presidente della Repubblica, è sempre bene informato di quanto si pensa in alto loco) scrivono quanto segue:

«C'est une vérité desormais très claire que l'Italie est d'ores et dejà decidée à entretenir de bonnes relations avec l'Entente Balkanique. On peut dire que l'entrevue de Be1grade a été le plus grand pas fait dans ce but. Il est aussi possible de prévoir qu'on n'en restera pas là et que le cycle sera complété par J'extension de ces relations aux divers autres pays de l'Entente Balkanique».

E anche l' Açik Soz del 31 marzo si esprime nello stesso senso, anche se più velatamente: « Les Etats de ce groupement, liés par des dispositions sérieuses d'entraide dans tous les domaines, ne peuvent que se réjouir de voir disparaìtre des sources éventuelles de dangers de guerre. Par l'accord d'Ankara, qui parait devoir suivre celui de Belgrade, une amitié indissoluble sera établie entre l'Italie et !es Etats de l'Entente Balkanique et ce sera un grand pas vers l'abolition à peu près complète de tout danger de guerre pour !es Etats de ce groupement».

I Vedi p. 426, nota 2.

2 T. 2203/94 R. del 26 marzo. Attirava l'attenzione su un articolo relativo agli accordi ilalo-jugoslavi pubblicato dal giornale ufficioso Ulus.

l Vedi D. 359.

4 Vedi D. 365.

386.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1275/582. Mosca, 2 aprile 1937 (per. il 12).

Mio rapporto n. 922/435 del l O marzo u.s. 1•

Ho già segnalato a V.E. l'attenzione colla quale il governo sovietico segue gli sviluppi politici nei Paesi danubiani e nei Balcani: attenzione accompagnata da una marcata preoccupazione per le ripercussioni che qui si teme possano risultare dall'attività che svolgono in quei settori le diplomazie italiana e tedesca. L'U.R.S.S. non ha però una propria politica danubiana e balcanica di carattere positivo, limitandosi essa ad appoggiare quella dei due Paesi che seguono una linea d'azione sostanzialmente conforme agli interessi sovietici: cioè della Francia e della Cecoslovacchia.

Data l'atmosfera di diffidenza che circonda oggi le nostre relazioni con Mosca, non è certo facile per me di ottenere dal Narkomindiel informazioni ed impressioni dirette al riguardo. Mi tengo però in contatto coi rappresentanti diplomatici di alcuni Paesi amici, e pel loro tramite mi è dato di tanto in tanto conoscere quel che il signor Litvinov ed i suoi collaboratori pensano della situazione nei Paesi danubiani e balcanici.

Così questo ministro d'Ungheria, recatosi in questi giorni a Budapest per un breve congedo, è venuto recentemente ad informarmi del contenuto di una conversazione da lui avuta col commissario del Popolo per gli Affari Esteri alla vigilia della propria partenza.

Il signor Jungerth-Arnothy mi ha appunto confermato le preoccupazioni di Litvinov per la situazione nell'Europa sud-orientale. Litvinov non ha nascosto i suoi dubbi e timori guanto alla saldezza della Piccola Intesa. Ha mostrato al tempo stesso un particolare interesse a conoscere il pensiero ungherese sulle possibilità di un miglioramento dei rapporti fra Budapest e Praga. A tale riguardo avrebbe vagamente accennato -secondo quanto mi ha riferito il collega -a certe speranze francesi di lavorare utilmente per un accordo fra Ungheria, Austria e Cecoslovacchia. Litvinov si è pure interessato a conoscere il sentimento prevalente tanto in Austria guanto in Ungheria di fronte al problema della restaurazione monarchica, mostrandosi in massima favorevole a quella austriaca (e ciò evidentemente per il suo significato anti-tedesco), mentre ha rilevato i pericoli di una restaurazione in Ungheria. In linea generale, Litvinov avrebbe poi espresso l'opinione che per gli interessi della pace (ciò che vuol significare, in bocca sua, per gli interessi dell'U.R.S.S.) è di molto preferibile che Vienna e Budapest continuino a gravitare nell'orbita italiana, anziché in quella tedesca.

A sua volta, questo ministro di Bulgaria, dopo una conversazione al Narkomindiel, è venuto a riferirmi che Litvinov in fondo si disinteressa dell'Intesa Balca-

I Non rintracciato.

nica, dalla quale non si attende alcuna attività veramente utile e che egli vedrebbe morire senza alcun rimpianto. (Questa attitudine si spiega facilmente quando si tenga conto che l'U.R.S.S. non ha relazioni diplomatiche con la Jugoslavia, che i suoi rapporti colla Grecia sono lungi in questo momento dall'essere cordiali e che dopo Montreux anche le relazioni con Ankara si sono di molto raffreddate). Per contro, anche col signor Antonov il commissario per gli Affari Esteri ha mostrato un vivo interessamento per la sorte avvenire della Piccola Intesa 1•

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1288/590. Mosca, 2 aprile 1937 (per. il 12 aprile).

Mio rapporto n. 1238/574 del 31 marzo u.s. 2 .

La pubblicazione in lingua francese della relazione di Stalin, apparsa ora sul settimanale Le Journal de Moscou, mi offre l'occasione di richiamare ancora una volta l'attenzione di V.E. su questo interessante documento, del quale trasmetto qui accluso la traduzione integrale. Vale la pena di leggerla per intero, anzitutto perché nel suo stile pesante e con le sue continue ripetizioni, la prosa di Stalin rivela in modo caratteristico la personalità dell'uomo e la sua forma mentis. In secondo luogo, dal testo del documento escono con molto maggior rilievo che non da un semplice riassunto le direttive fondamentali del programma che Stalin ha imposto al massimo organo politico dell'U.R.S.S.

1 Il documento ha il visto di Mussolini. L'ambasciatore Rosso così telegrafava successivamente: «Ambienti sovietici vedono nell'ultima riunione della Piccola Intesa sintomi di una sua prossima disgregazione. Ne fanno risalire responsabilità alle grandi Potenze (vedi Francia) per avere mostrato eccessiva debolezza di fronte alla politica aggressiva dei Paesi fascisti» (T. 2426/37 R. del 5 aprile).

2 Riferiva su la relazione tenuta da Stalin il 3 marzo precedente al Comitato centrale del partito comunista (e resa pubblica) su l'esigenza di sicurezza del regime. L'ambasciatore Rosso così commentava: «Bisogna riconoscere che le ammissioni fatte da Stalin, nella sua relazione, sono assai gravi e significative. L'avere egli dichiarato che in tutte o quasi tutte le organizzazioni sovietiche, sia economiche che amministrative e di partito, esistono infiltrazioni trotzkiste, vuoi dire che malgrado la lotta senza quartiere, durata dieci anni e con metodi non certo blandi, l'attuale dittatura non sarebbe riuscita, non solo a liquidare, ma neppure a ridurre le diverse correnti opposizioniste che si fanno passare tutte sotto il nome di trotzkismo. Vi sono adunque delle ragioni più profonde che non il semplice fatto del trotzkismo, e queste non possono essere trovate che nel senso diffuso di malcontento delle masse popolari. La relazione di Stalin beninteso non vuole ammettere l'esistenza di questo malcontento, e perciò accusa i quadri del partito di incapacità e di degenerazione. Tale tattica è comprensibile, ma non impedisce di pensare, come ho già detto, che il male abbia radici più profonde.

Resta a domandarsi se la relazione Stalin rappresenti una prova della debolezza del regime. L'induzione porterebbe a crederlo, se non vi contrastasse il fatto che il Dittatore sovietico intende affrontare la consultazione popolare sulla base della nuova legge elettorale democratica. Ed allora la domanda potrebbe essere formulata in altri termini: Nel timore di un conflitto internazionale, nel quale la dittatura sarebbe posta alla prova del fuoco, ha Stalin forse voluto stringere ancora più i freni perchè il Paese risponda ai compiti della difesa del comunismo russo? In tal caso si spiegherebbe anche il rinato timore dell'accerchiamento capitalista, con cui Stalin cerca ora di polarizzare l'opinione pubblica sovietica». Sul documento c'è la stampigliatura: «Visto dal Duce».

Si tratta in verità di una svolta importante nella vita del partito comunista sovietico. Il Dittatore ne mette a nudo le debolezze e le manchevolezze e lo sprona rudemente ad un'azione meglio coordinata, più intelligente e più energica.

Colpisce subito la violenza della critica diretta contro tutte le gerarchie, alte e basse. Stalin non teme di affermare che il tradimento si è annidato anche nei quadri superiori dell'organizzazione sovietica. Si tratta -egli dice -di una piccola minoranza, la quale però ha potuto esplicare la sua azione sabotatrice approfittando della ingenuità, della cecità, della faciloneria e della colpevole compiacenza della maggioranza dei gerarchi. La parola d'ordine per l'avvenire deve quindi essere: massima sorveglianza! Sorveglianza continua, attiva, senza tregue né debolezze, con immediata repressione di qualsiasi movimento di opposizione. Ciò significa evidentemente che d'ora innanzi la disciplina di partito sarà imposta con un rigore anche più ferreo di quello del passato.

Colpisce ugualmente l'ampiezza della parte dedicata dal rapporto alla stigmatizzazione del «trotzkismo». Non sorprende molto la violenza di linguaggio colla quale Stalin definisce come volgari delinquenti i seguaci del suo antico collega dell'epoca leninista, ma non si può a meno di rilevare l'importanza e la gravità che egli mostra di attribuire al movimento trotzkista, e ciò sembra indicare che non soltanto fra i comunisti all'estero, ma anche nell'U.R.S.S. esistono delle forti correnti che condividono le idee dell'autore della «Rivoluzione tradita». Mettendo le odierne filippiche di Stalin in relazione con le risultanze dei due ultimi processi «anti-trotzkisti» 1 , si è portati a pensare che le stupefacenti confessioni degli imputati siano state molto più genuine e sincere di quel che a prima vista non erano apparse. Si ha anzi l'impressione che col suo rapporto al Comitato Centrale Stalin abbia voluto giustificare presso il pubblico sovietico, come presso quello mondiale, la severità dei tribunali sovietici.

È poi degno di nota che Stalin, per spiegare l'origine ed illustrare i moventi degli atti di sabotaggio e di tradimento attribuiti agli agenti trotzkisti, abbia voluto risuscitare lo spettro dell'« accerchiamento capitalista», citando apertamente la Gestapo tedesca e gli uffici di spionaggio giapponesi.

«Non è forse chiaro -egli chiede-che fin quando esisterà l'accerchiamento capitalista, continueranno ad esistere nel nostro seno i sabotatori, gli spioni, gli agenti provocatori e gli assassini inviati alle nostre retrovie dagli agenti degli Stati stranieri? Di questo si erano dimenticati i nostri compagni di partito, i quali sono stati presi alla sprovvista. Ed ecco perché l'attività di diversione e di spionaggio degli agenti trotzkisti al soldo della polizia segreta giapponese e tedesca è stata una sorpresa per taluni dei nostri compagni».

Qui vien fatto di chiedersi se Stalin possegga effettivamente le prove dell'asserita attività spionistica e sabotatrice diretta da Tokio e da Berlino, oppure se egli abbia voluto esagerare il pericolo straniero onde impressionare il pubblico sovietico e renderselo solidale nella lotta contro gli avversari del regime.

La conclusione del rapporto, formulata in una specie di «dodecalogo» del perfetto sovietico, si può riassumere in poche parole: «Bisogna distruggere sistematicamente qualsiasi opposizione». A questo in fondo si riducono le direttive

l Vedi p. 119, note 2 e 3.

politiche che Stalin assegna al Comitato Centrale del Partito; ed è questa verosimilmente la politica che egli applicherà in attesa delle elezioni «democratiche» volute dalla nuova Costituzione.

Pongo nuovamente a me stesso la domanda che mi son fatta (mio rapporto n. 903/422 dell'8 marzo u.s.) 1 quando ho commentato le decisioni prese dal Comitato Centrale per la riforma del partito secondo il principio del cosiddetto «centralismo democratico»: Si tratta di una prova di forza o di debolezza?

Per me si tratta di una\l)rova di forza. L'aver sciorinato pubblicamente i panni sporchi, mettendo in piena luce manchevolezze e tradimenti da parte di proprii gregari, significa a mio avviso che Stalin si sente sicuro dell'approvazione delle masse popolari e che egli conta sul loro appoggio (unitamente a quello della Ghepeù) per mantenere salda la propria autorità dittatoriale.

È stato comunque un atto di coraggio e di fermezza che ritengo destinato ad imporsi sulla congenita apatia ed abulia della popolazione sovietica. Mi sono posto anche una seconda domanda: A che cosa mira effettivamente Stalin con questo suo programma di raddrizzamento e di trasformazione del partito?

Ho discusso l'argomento con alcuni colleghi del Corpo Diplomatico i quali, per la lunga loro permanenza in questo Paese e per la conoscenza che hanno degli uomini e delle cose sovietiche, sono meglio in grado di interpretare gli sviluppi della politica interna dell'U.R.S.S.; e da queste consultazioni ho tratto la convinzione che Stalin si proponga di spingere innanzi il processo di normalizzazione della vita sovietica in senso prettamente russo. A tale intento egli deve rinnovare i quadri del partito per eliminare quegli elementi che sono rimasti ancora legati alla ideologia rivoluzionaria dell'internazionalismo trotzkista e sostituirli con uomini fidati e sicuri. Per questa rinnovazione egli conta sul consenso popolare che prevede gli verrà espresso dalle prossime elezioni. Conta ugualmente sul concorso fedele delle due più solide organizzazioni sovietiche da lui particolarmente curate e beneficate: la Ghepeù e l'Armata Rossa.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 1529/470. Berlino, 2 aprile 1937 2

A distanza di oltre dieci giorni dalla lettura, avvenuta dai pergami di tutte le principali Chiese cattoliche della Germania, dell'Enciclica del Pontefiche Pio XI sulla situazione religiosa in Germania 3 , nessuna presa di posizione ufficiale da parte delle Autorità del Reich, è, fino ad oggi, avvenuta.

I Vedi D. 254. 2 Manca l'indicazione della data d'arrivo. 3 Vedi p. 402, nota l.

La stampa, come ebbe ordine di non pubblicare, non dico il testo o parte di esso, ma neanche la notizia della promulgazione della Enciclica stessa, continua a mantenere il più assoluto riserbo.

Solamente il foglio ufficioso Diplomatisch-Politische Korrespondenz in una nota, anch'essa non data ai giornali quotidiani e dalla R. Ambasciata trasmessa a suo tempo alla Stefani, ha esposto nuovamente il concetto del governo nazionalsocialista (già precedentemente illustrato in un articolo del VO!kischer Beobachter) nei confronti del Concordato del 1933, ritenuto non intangibile ed eterno ma mutevole con il tempo, ed è giunto a formulare l'ipotesi che la Santa Sede intendesse essa stessa spingere la situazione agli estremi per far cadere, ai suoi fini, e perchè «stanca del Concordato stesso» quell'accordo in discussione: ipotesi che ha, come è noto, provocato un nuovo intervento di carattere diplomatico, per quanto in via amichevole, del nunzio apostolico presso la Wilhdmstrasse.

In attesa di una qualche presa di posizione nazionalsocialista, occorre constatare come non manchino ogni giorno nuovi sintomi per definire l'attuale situazione come particolarmente tesa. Ieri, come ho accennato all'E.V. con il mio rapporto n. 1500/464 del l o corrente1 , si è avuto l'incontro tra il Cancelliere Hitler e l'« antivaticano» per eccellenza, generale Ludendorff; oggi, episodio piccolo ma particolarmente significativo, mi viene comunicato che, per un ordine del ministero della Propaganda del Reich, l'Ufficio della Censura Cinematografica ha deciso di tagliare senz'altro dalla pellicola I condottieri, prodotto di una collaborazione itala-tedesca lanciato proprio in questi giorni con vivo successo nelle principali città della Germania, tutte le scene che potessero porre in rilievo la potenza spirituale del Pontefice romano e lo spirito religioso delle popolazioni del secolo di Giovanni dalle Bande Nere!

A sua volta, ieri, il ministro Hess nel discorso tenuto ad Amburgo ha indirettamente ma indubbiamente accennato all'Enciclica ed alle accuse in essa contenute allorché ha dichiarato che il regime nazionalsocialista «fa del vero Cristianesimo» quando attacca la Gottlosigkeit ossia l'ateismo del bolscevismo e quando, a mezzo dell'opera del Soccorso Invernale, aiuta efficacemente centinaia di migliaia di indigenti e di bisognosi.

L'indizio maggiormente preoccupante sulla gravità dell'attuale situazione dei cattolici in Germania è dato dalla constatazione che non vi è oggi, si può dire, nessun tentativo efficace di avvicinamento tra Berlino e la Santa Sede. Si può anzi dire che nei due campi regni sovrana la più assoluta intransigenza. Da una parte, la Santa Sede ed il suo organo direttivo, la segreteria di Stato, si appellano all'assoluto diritto di vedere il Cancelliere del Reich tener fede, senza eccezioni, alla firma apposta al Concordato stipulato da von Papen. Dall'altra, il governo del Reich, appellandosi, nel campo del diritto internazionale, al fatto che, per quel Concordato, doveva sempre sottointendersi la formula rebus sic stantibus dichiara che oggi, dopo quattro anni di regime nazionalsocialista, questo ha il pieno diritto di avocare completamente a sè, al di fuori e al di sopra di ogni scuola confessionale, l'educazione della gioventù tedesca.

Data inoltre la tendenza, caratteristicamente germanica, di portare le situazioni all'estremo per un innato spirito di intollerenza che va fino all'eroismo del sacrificio,

I Vedi D. 379.

473 non è da escludersi che taluni tra i più accesi dei cattolici, che fanno capo particolarmente al cardinale arcivescovo di Monaco, preferiscano avviarsi sulla strada del martirio anziché su quella della riconciliazione. Con conseguenze quindi difficili a prevedersi, qualora, un bel giorno, le Autorità politiche del Reich si decidessero ad intervenire con la forza contro le manifestazioni, sostanzialmente antigovernative, che, per necessità di cose, si svolgono nell'interno dei Templi.

Tutto ciò potrebbe verificarsi da un momento all'altro anche perchè, ed in ciò forse la Santa Sede sembra non vedere molto chiaramente i limiti del problema, occorre tener sempre presente che, se è vero che il Cancelliere del Reich, Adolfo Hitler, è nato in Paese cattolico e che Monaco di Baviera, capitale del movimento nazionalsocialista, è anch'essa, di fede cattolica, è altrettanto esatto che la questione di tutto quanto concerne la vita e l'attività dei fedeli alla Chiesa di Roma è sempre in Germania un problema di minoranze, dato che contro 22 milioni di cattolici, pesano pur sempre 44 milioni di protestanti. E occorre in proposito aggiungere che quanti vivono in Paesi di confessione evangelica, quale la capitale del Reich, vedono chiaramente come l'opera di propaganda contro il Vaticano, iniziatasi ai tempi di Martino Lutero e tuttora proseguentesi attraverso l'interminabile serie di processi a carico di Ordini cattolici, particolarmente accusati di traffico di divise, abbia qui prodotto l'effetto di creare un profondo senso se non di netta ostilità, certo di assoluta indifferenza, nei confronti del problema cattolico in Germania.

E, d'altra parte, negli stessi Paesi renani e della Germania meridionale, per forza di cose, gli ostacoli che il governo oggi pone a coloro che non obbediscono alla sua legge educativa anticonfessionale, producono, poco a poco, come dimostrano chiaramente le statistiche delle recenti votazioni bavaresi sulla questione delle scuole, l'effetto che, per necessità di vita o per timore di rappresaglie o per l'innato spirito tedesco di disciplina verso l'Autorità costituita, le file dei militanti cattolici siano soggette, per quanto concerne la resistenza singola o collettiva, ad un vero processo di rarefazione.

Con tutto ciò, almeno fino alla vigilia dell'Enciclica, non si poteva dire che il governo nazionalsocialista desiderasse rompere ogni ponte. Varie infatti e non piccole sono qui oggi le preoccupazioni per i grandi problemi affrontati dal Terzo Reich nel campo internazionale e nel campo economico, per potersi prendere a cuor leggero il lusso di una guerra interna, anche se incruenta, di carattere religioso.

Proprio nei giorni precedenti alla promulgazione dell'Enciclica, il Prof. Guido Manacorda ha avuto, in proposito, a Berlino occasione di intrattenere dell'argomento alcuni eminenti uomini politici nazionalsocialisti tra i quali lo stesso Cancelliere Hitler, ed in tutti ha trovato, più o meno velato, come egli stesso ha avuto occasione di riferire direttamente all'E.V. 1 un certo desiderio di trovare una via di conciliazione.

Tra costoro, il ministro Frank, nella sua impulsiva ed un po' semplicista volontà di risolvere personalmente e direttamente i più gravi problemi, si è perfino dichiarato pronto a recarsi senz'altro a Roma per trattare del difficile problema con la stessa segreteria di Stato e con lo stesso cardinale Pacelli! E ciò nella sua veste di ministro, nato ed educato in Paese cattolico e data la circostanza che oggi,

1 Non è stata trovata documentazione in proposito. Circa i contatti avuti in Germania dal prof. Manacorda, si veda il D. 440.

come è noto, non vi è nel Gabinetto tedesco, dopo l'uscita di Eltz von Riibenach, nessun membro di fede cattolica.

Occorre aggiungere, inoltre, che, in fondo, dato il programma clamorosamente antibolscevico del Cancelliere e dei suoi collaboratori, l'Enciclica Divini Redemptoris 1 lanciata dal Pontefice sul bolscevismo poteva anche essere una certa pedana di intesa, se il suo effetto non fosse stato immediatamente distrutto dall'Enciclica sui cattolici della Germania 2• Anzi è interessante notare come, quasi onde morte che giunganò alla riva quando il mare ha già cambiato fisionomia, ancora nei primi giorni dopo la promulgazione della seconda Enciclica siano qui apparsi alcuni articoli, evidentemente preparati in antecedenza, nei quali si pone in luce l'alto valore spirituale ed il significato morale della rinnovata presa di posizione antibolscevica del Pontefice di Roma!

La R. Ambasciata, che ha già avuto occasione di segnalare più volte all'E. V. le battute e gli aspetti del delicato problema, non mancherà di successivamente riferire nei riguardi dei suoi futuri sviluppi.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1530/471. Berlino, 2 aprile 1937 (per. il 29).

Mi riferisco al telegramma dell'E.V. n. 138 3 ed al mio telegramma n. 1544 , ambedue di oggi.

Ho visto stamane il generale Goring, al quale, a seguito delle istruzioni pervenutemi, ho illustrato l'attuale situazione di Spagna ed ho rinnovato la richiesta perchè da parte tedesca si concorra efficacemente, con l'invio di materiali da guerra, al potenziamento delle forze del generale Franco. Nè è seguita una conversazione, durata circa un'ora e mezzo, della quale riassumo qui appresso i principali punti:

l) Spagna -Dopo aver ascoltato la mia relazione, il generale, con la scorta di una carta topografica al 100.000 della zona di Guadalajara, mi ha letto i brani più importanti dei rapporti pervenuti in questi giorni dagli ufficiali tedeschi che hanno assistito alle operazioni svoltesi in quel settore nella seconda decade di marzo. Si tratta

1 Epistola Enciclica Divini Redemptoris del 19 marzo (testo in Acta Apostolicae Sedis, vol. 29, pp. 65-1 06). 2 L'Epistola Apostolica Mit brennender Sorge, pur avendo data anteriore, fu resa pubblica due giorni dopo l'Epistola Divini Redemptoris.

3 T. segreto diramare 701/138 R. del 2 aprile. Tracciava un quadro della situazione militare dopo la battaglia di Guadalajara ed incaricava Magistrati di far presente a Giiring la necessità che anche da parte tedesca si inviasse la maggiore quantità possibile di materiale perché, a causa delle crescenti forniture sovietiche al governo di Valencia, i nazionali si trovavano in stato di inferiorità per quanto concerneva aerei e carri armati.

4 T. segreto non diramare 2375/154 R. del 2 aprile. Magistrati comunicava di avere effettuato con Giiring il passo prescrittogli e preannunciava l'invio di questo documento.

di rapporti molto circostanziati e precisi, secondo il costume degli ufficiali di Stato Maggiore germanici ma che evidentemente, come mi ha del resto fatto subito rilevare lo stesso Goring, rivelano anche lo scopo di far apparire in Germania la necessità di non adoperare per importanti operazioni belliche unità di volontari (leggi, nel caso tedesco, unità di S.A.) comandate da ufficiali non appartenenti all'Esercito attivo.

Quelle relazioni descrivono le cause principali tattiche dell'insuccesso e si limitano a considerazioni di carattere puramente tecnico-militare in un quadro ristretto. Viceversa il generale Goring non sembra dare alcun peso militare all'insucèesso stesso, «del quale si ebbero infiniti esempi e ben più gravi, su ogni fronte, durante la guerra mondiale». Si mostra invece preoccupato di talune conseguenze politiche che sembrano derivarne, particolarmente agli effetti della resistenza morale e dell'aggressività dei Rossi.

Egli è passato così alla lettura di un'interessante lettera caduta in mani tedesche (e già trasmessa, a quanto mi ha detto, alle competenti autorità italiane) inviata dal generale spagnolo repubblicano Linares ad un generale francese Coste-Doat che sembra dirigere oggi da Tolosa i rifornimenti e le mosse dell'esercito sovversivo. Questa lettera ha un tono particolarmente ottimistico in quanto, dopo aver elencato le forze organizzate dei Rossi (100.000 uomini armati con mezzi moderni e meccanici, 120.000 uomini armati con mezzi più antiquati e altre centinaia di migliaia di uomini di riserva) parla della possibilità di offensive in direzione di Toledo e sul fronte di Sigiienza. E accenna poi all'elevato spirito delle forze repubblicane ed all'efficacia dell'opera di propaganda comunista svolta tra i volontari tedeschi e italiani che militano nelle file di Franco.

Da altri documenti, ha continuato Goring, appare sempre più organizzato ed efficiente l'aiuto francese ai Rossi: aiuto che sembra diretto da un ufficio «antifascista» appositamente creato a Parigi dal ministro Faure e che va dall'invio di materiali da guerra e di volontari a quello di ufficiali di Stato Maggiore. Oggi, nei comandi rossi di Madrid, sembrano agire ben 27 ufficiali francese brévetés.

Dopo la lettura dei documenti ho chiesto al generale cosa i tedeschi intendessero praticamente fare per neutralizzare e possibilmente schiacciare questi aiuti francesi e sovietici, particolarmente pericolosi. Egli mi ha allora dichiarato, circa i materiali da guerra:

l) che la Germania è disposta ad inviare fucili e munizioni ma insiste sulla necessità che la distribuzione delle armi ai reparti spagnoli avvenga secondo disposizioni e sotto il controllo di un organismo centrale di Stato Maggiore nel quale tedeschi e italiani contino effettivamente (e qui il generale è ritornato sulla sua antica idea dello Stato Maggiore italo-tedesco, dato che il generale Franco «era buono per la guerra d'Africa ma per un campo di azione in Europa non sembra sufficientemente preparato»). Oggi infatti, come ha confermato durante la sua recente visita a Berlino lo stesso ambasciatore Faupel, si assiste in Spagna ad un vero sperpero di fucili e di munizioni, buttate queste ultime a cassette a destra e a sinistra, mentre interi reparti ne restano del tutto privi.

2) che la Germania intende rafforzare le proprie unità formate di elementi tecnici, particolarmente con ufficiali ed uomini del Genio militare (Pionieren);

3) che la Germania è disposta ad inviare nuovi aiuti in armi meccaniche anti-carro e antiaeree;

4) che, per quanto concerne l'aviazione, le informazioni tedesche non sembrano riconoscere una superiorità delle Forze rosse. Nell'episodio di Guadalajara effettivamente le forze aeree tedesche e italiane non hanno potuto essere efficacemente impiegate, ma ciò è dipeso unicamente dal fatto che esse per forza maggiore dovuta al cattivo tempo ed alle pessime condizioni dei .campi di aviazione, sono state obbligate all'immobilità. Viceversa, proprio in questi giorni, i bombardamenti della zona di Bilbao, eseguiti dalle forze germaniche con esplosivi di alta potenzialità, si sono dimostrati efficacissimi. Qualora il fronte di Bilbao dovesse cedere si renderebbero libere per altro impiego ottime unità da bombardamento. In totale, ha aggiunto il generale, la Germania ha finito per mobilitare per la Spagna circa 200 apparecchi, tra i quali alcuni, gli ultimi inviati, di tipo modernissimo. L'Italia, a sua volta, ha fatto moltissimo. In tale situazione -ha concluso -occorre non essere pessimisti circa la guerra aerea in Spagna.

Per quegli aiuti indicati nei numeri l), 2) e 3) e per l'invio di altri ufficiali dell'Esercito attivo, occorre pensare ai mezzi di trasporto. La notizia da me fornitagli, sulla base del telegramma inviatomi, che gli aiuti dell'U.R.S.S. giungono e giungeranno tranquillamente in Spagna perché imbarcati su navi spagnole che sfuggono conseguentemente al blocco imposto dal controllo internazionale, lo ha particolarmente interessato. Desidererebbe in proposito ottenere maggiori precisazioni perchè non comprende bene come il controllo stesso non si possa esercitare su navi di bandiera spagnola.

In conclusione -ha aggiunto il generale -il complesso problema spagnolo va ancora una volta osservato in tutti i suoi aspetti politici e militari, dato che esso non sembra doversi e potersi decidere a brevissima scadenza. A tale scopo il Cancelliere Hitler ha indetto a Berlino, per il giorno 11 del corrente mese, una riunione, sotto la sua personale presidenza (Hitler), di tutti gli elementi interessati e competenti. «Naturalmente -sono le parole del generale -le resistenze dei militari del ministero della Guerra per una maggiore partecipazione tedesca alla guerra di Spagna sono state e sono tuttora molto forti, e lo sapete. Ma occorre vedere il problema dal punto di vista politico, ossia molto più profondamente e sostanzialmente di quanto lo possano fare i soli militari». È quello che si vedrà nella riunione di Berlino.

2) Suo nuovo viaggio in Italia. Il generale conta partire per l'Italia, in automobile, con la signora Goring, un aiutante e due ispettori di Polizia, in forma privatissima, immediatamente dopo la festa genetliaca del Cancelliere Hitler, ossia il 21 o il 22 aprile. Dopo una sosta a Firenze, si recherà direttamente a Napoli, volendo la signora Goring fare una cura in un'isola del Golfo (Ischia?). Da Napoli egli si sposterà a Roma per essere ricevuto dal Duce e dall'E.V. La sua permanenza in Italia sarà in totale di due settimane. Non potrà quindi compiere in aprile la progettata visita in Ungheria e ha in proposito scritto oggi stesso al presidente del Consiglio Daranyi per informarlo di questa sua decisione.

3) Accordo italo-jugoslavo. La sua soddisfazione per l'accordo di Belgrado è incondizionata e senza limiti. Mi ha ricordato quanto egli abbia fatto per l'avvicinamento alla Jugoslavia e mi ha nuovamente parlato dei suoi rapporti di «vera amicizia» con il principe Paolo che regge il «miglior popolo dei Balcani». Le conseguenze dell'accordo nel campo della Piccola Intesa non tardano a farsi sentire. La Romania non manca di fare avances alla Germania ma dei vari Antonescu occorre non fidarsi troppo. In caso di guerra converrebbe forse avere più una Romania neutrale che non una Romania alleata ed aperta alle invasioni sovietiche. L'Ungheria si deve convincere che un irredentismo ed un revisionismo su tre fronti non sono pratici e realizzabili e deve quindi dirigere oggi la sua azione unicamente contro la Cecoslovacchia.

4) Italia, Germania ed Inghilterra. Ho accennato al generale la soddisfazione da noi provata nell'apprendere che, contrariamente a talune voci corse, egli non si recherà a rappresentare il Reich alle feste londinesi dell'Incoronazione. Ha decisamente affermato che è stata sua precisa volontà declinare l'incarico per quanto gli si fosse fatto sapere che sarebbe stato fatto oggetto di particolari attenzioni, anche sotto il punto di vista della sorveglianza della polizia britannica! E qui ha avuto parole forti contro la politica di Londra e contro la Camera dei Comuni che, insistendo in una sua funzione ed un suo compito di «Governante dell'Europa» vuole fare, in ogni seduta, il «processo» agli altri senza discutere i gravi problemi che riguardano la vita dell'Impero britannico! Mi ha poi accennato all'episodio di una sua recente discussione con tre dignitosi signori britannici i quali, venuti a trovarlo nel suo ufficio, non avevano trovato di meglio che raccontargli come l'opinione pubblica inglese non potesse chiudere gli occhi su quanto avviene nei Konzentrationslager (Campi di Concentramento) germanici! Egli si era tranquillamente alzato e preso un volume di una Enciclopedia conservata nella sua biblioteca, aveva mostrato ai tre britannici, alla Lettera K, la seguente definizione: «Konzentrationslager-Campi nei guaii sono riuniti sotto sorveglianza i prigionieri o la popolazione civile. Furono usati per la prima volta dagli Inglesi al tempo della guerra Boera».

E con la descrizione di questo episodio, che sembrava aver messo particolarmente di buon umore il generale, la conversazione ha avuto termine 1 .

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE. Londra, 2 aprile 1937 (per. il 9).

Il Tuo telegramma di ieri2 nel quale mi domandi se io ho fatto qualche comunicazione diretta o indiretta al Foreign Office o a Plymouth circa il contenuto delle istruzioni del Duce di venerdì 26 marzo u.s. 3 dato che la stampa francese e

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

2 T. 698/119 R. del 31 marzo. Ciano aveva chiesto a Grandi se aveva fatto qualche comunicazione al Foreign Office circa il contenuto delle istruzioni inviate da Mussolini il 26 marzo precedente (per le quali si veda il D. 334) perché nella stampa francese e britannica si parlava già della posizione che l'Italia era disposta a prendere nei riguardi del problema dei volontari in Spagna.

3 Vedi D. 334.

inglese hanno accennato alla posizione che saremmo disposti a prendere nel Comitato sulla questione del ritiro dei volontari in !spagna, mi ha aperto per così dire una nuova finestra sugli avvenimenti di queste due ultime settimane e mi ha permesso di avvalorare quelli che erano già i miei fondati sospetti sulla manovra colla quale francesi e inglesi hanno tentato di coprire la loro ritirata, epilogo della recente e spudorata farsa antifascista.

Come Ti ho telegrafato 1 , io non ho fatto ancora alcuna comunicazione diretta

o indiretta in relazione alle ultime istruzioni del Duce. Poichè queste ultime mi lasciavano facoltà di scegliere il momento opportuno, ho ritenuto che convenisse attendere che la polemica antifascista si smorzasse, onde non rischiare tendenziose interpretazioni su quella che sarà in definitiva la nostra attitudine nel proseguo delle discussioni sul problema del ritiro dei volontari. Giovedì mattina 25 marzo, varie Agenzie telefonarono all'Ambasciata domandando se era vera la notizia, fatta circolare dal Foreign Office, che io avevo avuto un colloquio con Plymouth prima della riunione del Gabinetto del giorno precedente mercoledì. Smentii subito la notizia, e riuscii a fermarla prima che circolasse. Erano infatti chiare le ragioni per cui il Foreign Office voleva a tutti i costi far credere che una discussione amichevole fra il Governo fascista e quello brittannico era intervenuta prima della riunione ministeriale di mercoledì. È proprio per questo che io ho evitato ogni contatto. Infatti non ho visto Plymouth che alle sedute del Comitato di martedì 23 e di mercoledì 24 marzo, e non mi sono recato dopo al Foreign Office se non avant'ieri. Plymouth, Eden e Vansittart erano del resto assenti e non saranno di ritorno se non nella prossima settimana. Non Ti nascondo che quando vidi nel Daily Telegraph di sabato 27 marzo riportata l'informazione che al Gabinetto Brittannico erano giunte, nella giornata di mercoledì 23, assicurazioni e chiarimenti da parte del Governo Fascista, e quando ho letto il riferimento fatto avant'ieri da Delbos intorno a pretese «spiegazioni» che il Governo Fascista avrebbe dato sull'attitudine italiana al Comitato di non intervento circa il ritiro dei volontari, sono stato indotto a pensare che l'informazione del Daily Telegraph potesse essere vera e che probabilmente a Roma si era giudicato opportuno mettersi in contatto col Governo Brittannico, e che la questione fosse stata trattata con Drummond. In questo errore non sono caduto soltanto io, ma molti a Londra.

Dal Tuo telegramma di ieri rilevo al contrario (non posso nasconderTi che la notizia mi ha fatto molto piacere) che nessuna assicurazione o spiegazione è stata data a Drummond su quella che è stata l'attitudine, da me spiegata nella seduta del Comitato di martedì 23, e che il tutto fa quindi parte, come a buona ragione sospettavo, della montatura franco-inglese. Rappresenta cioè un miserevole tenta

1 Si riferisce al T. 2366/263 R. del 2 aprile nel quale Grandi, dopo aver assicurato di non aver fatto nessuna comunicazione basata su le istruzioni di Mussolini, aggiungeva di essere rimasto sorpreso anche lui del fatto che la stampa francese e britannica fosse in grado di anticipare la posizione dell'Italia nel problema dei volontari.

Qualche giorno più tardi, Grandi telegrafava a Ciano di avere appreso nel corso di un colloquio con Eden che l'indiscrezione era venuta da Cerruti, il quale aveva detto a Léger di ritenere che la posizione intransigente tenuta da Grandi al Comitato di non intervento fosse stata disapprovata da Roma e che a Grandi fossero state inviate istruzioni di modificare il suo atteggiamento (T. segreto non diramare 4351/275 P.R. del 7 aprile). Su l'argomento Grandi tornava il 6 maggio in una lettera personale a Ciano di fortissima critica a Cerruti.

tivo di giustificare di fronte ai loro partigiani antifascisti la «macchina indietro» che l'Inghilterra precipitosamente ha fatto nella giornata di mercoledì e la Francia, non meno precipitosamente, in quella di giovedì, in seguito al fermo atteggiamento e alla prospettiva di una reazione ancora più vasta e profonda da parte del Governo Fascista.

lo ho raccolto giorno per giorno la documentazione della campagna infame che meditatamente è stata fatta in Inghilterra durante le due ultime settimane contro quello che noi abbiamo di più geloso e di più sacro, il valore dei nostri soldati e le virtù militari della nostra razza. Quello che è stato detto e stampato in Inghilterra durante questa «settimana santa» brittannica dal 13 al 23 marzo non è davvero credibile. Nei diciotto mesi di conflitto italo-abissino siamo stati ingiuriati e insultati in tutte le maniere, ma non una parola irrispettosa è stata mai detta sui nostri soldati e sul valore delle nostre truppe. Tutto il rancore accumulato e non digerito per la sconfitta africana e mediterranea è esploso ad un tratto rivelando, per chi ancora volesse illudersi del contrario, il vero viso e il vero animo dell'Inghilterra. In margine allo sfortunato incidente di Sigiienza questa gente ha inscenato una montatura antifascista di proporzioni grottesche e sinora non superate allo scopo di gettare del fango sull'Italia come Nazione e come razza di soldati ed illudersi così di strappare di fronte al mondo quel prestigio di Nazione militare che il Duce ha conquistato all'Italia Fascista sui campi di battaglia africani.

Quando martedì 23 marzo, in questa atmosfera di antifascismo asfissiante, io mi sono recato alla seduta del Comitato 1 che doveva discutere la questione del ritiro dei volontari in Spagna, mi sono rallegrato per avere avuto dal Duce e da Te le istruzioni di «bloccare» qualsiasi discussione su questo punto. Se non fossi stato in possesso di tali istruzioni le avrei sollecitate, perché in quella mattina di martedì 23, che ha segnato il vertice massimo della campagna velenosa, bisognava evitare qualsiasi cosa che potesse dare l'impressione di incertezza e di volontà di compromesso da parte nostra. Quando io sono entrato nella sala delle adunanze al Foreign Office ed ho visto le faccie del Russo, del Francese e dell'Inglese visibilmente ironiche e raggianti per quella che essi hanno chiamata la «nuova Caporetto italiana», mi sono ancora vieppiù persuaso che se vi era un giorno in cui noi dovevamo essere intrattabili e duri, e togliere a questi tre compari qualsiasi illusione, quel giorno era proprio la seduta di martedì 23 marzo. A v evo ancora nelle orecchie le risate stridule e soddisfatte con cui la Camera dei Comuni aveva accolto la sera prima una frase del deputato laburista Henderson: «Se il Comitato di non-intervento non fa presto a decidere il ritiro dei volontari, i volontari italiani stanno correndo così in fretta per conto proprio che essi saranno già giunti in Italia quando il Comitato avrà raggiunto le sue conclusioni».

Era anche troppo chiaro che se noi avessimo accettato martedì la discussione sul ritiro dei volontari, tutta la stampa antifascista avrebbe la sera stessa interpretato il nostro assenso alla discussione nel modo seguente: l'Italia si raccomanda ai buoni uffici del Comitato di Londra per salvare i resti delle sue truppe in ritirata. A questo risultato di propaganda antifascista miravano chiaramente i tre compari russo, francese e inglese. Bisognava dunque dimostrare subito che essi si erano

l Su la seduta del Comitato di non intervento del 23 marzo. si veda il D. 327.

480 sbagliati nel loro calcoli e bisognava, anche a costo di fare starnazzare e strillare le oche delle varie democrazie, dire almeno una parola in difesa di questi nostri volontari italiani in Spagna (i quali si sono battuti come leoni, e i morti lo dimostrano): dire cioè soltanto che i nostri volontari non avrebbero mai consentito di lasciare il suolo spagnolo prima della fine vittoriosa della guerra civile. Era il meno che si potesse dire in quel momento, e credo sinceramente che se non fosse stato detto sarebbe stata una colpa ed una debolezza grave. Meglio i rischi, inesistenti del resto, di un'attitudine intransigente che lasciare senza reazione l'insulto di «caporettismo» ai nostri volontari.

Tornando dopo la seduta all'Ambasciata, ho visto con autentica gioia fascista per le strade di Londra i grandi cartelloni che annunciavano il Discorso del Duce in Piazza Venezia nella stessa mattinata. Questo Discorso 1 è giunto esattamente nel momento in cui abbisognava che giungesse, ed il suo effetto è stato istantaneo. È il Discorso del Duce, e soltanto il Discorso del Duce del 23 marzo quello che ha arrestato gli inglesi, come un braccio forte, deciso e armato di frusta può fermare di colpo un cavallo imbestalito, giù per una china pericolosa. Tutto il resto sono storie. La polemica antifascista ha raggiunto il suo vertice acuto lunedì 22 nel pomeriggio. Per convincersene basta dare uno sguardo sommario alla stampa di quelle giornate. La stampa del mattino di martedì 23 marzo ha raggiunto, dal punto di vista degli insulti e delle infamie all'Italia e al Regime, il punto massimo.

Discorso del Duce è arrivato a mezzogiorno a Londra. Il Consiglio dei Ministri si è riunito nelle prime ore del pomeriggio e la situazione si è capovolta in poche ore. Le ultime edizioni dei giornali serali portavano già, per diretta ispirazione e istruzione degli uffici stampa del Foreign Office, articoli incitanti alla calma, e Eden, interrogato ai Comuni nel tardo pomeriggio, rispondeva non risultare al Governo Brittannico che l'Italia avesse violato l'Accordo di non-intervento per l'invio dei volontari in !spagna e che il Governo Brittannico aveva anzi ragione di ritenere che l'avesse rispettato, e che ad ogni modo non risultavano vere le notizie circa ulteriori invii di volontari da parte dell'Italia. La stampa di mercoledì mattina non aveva un solo-dico un solo-riferimento irrispettoso sul contegno militare dei nostri volontari in Spagna. Acqua sul fuoco, dunque da tutte le parti.

Il Consiglio dei Ministri aveva respinto le proposte dei soliti Ministri antifascisti che avevano insistito per una cosiddetta politica «forte» verso l'Italia ed aveva invece manifestato la sua più viva preoccupazione per la piega pericolosa che stava prendendo la tensione coll'Italia. Mi risulta che il Discorso del Duce è stato l'argomento centrale di cui si sono valsi gli esponenti delle correnti moderate e desiderose di effettuare immediatamente una distensione nell'atmosfera eccitata e avvelenata.

È dunque ancora una volta la reazione fascista, e soltanto la reazione fascista espressa con pacata e fredda durezza nelle parole del Duce quella che ha fermato gli inglesi costringendoli a riflettere seriamente sui pericoli cui essi andavano incontro, e non già pretese inesistenti assicurazioni, spiegazioni o comunicazioni da parte del Governo Fascista, secondo quanto il Foreing Office e il Quai d'Orsay hanno poi cercato di far credere nei giorni successivi per dare essi stessi una spiegazione alla loro ritirata precipitosa.

l Vedi p. 452, nota 3.

L'esperienza fatta durante il conflitto italo-etiopico ci ha dimostrato del resto in numerose occasioni che vi è soltanto un mezzo per arrestare gli inglesi nei loro tentativi di attacchi proditori. Questi mezzi non sono le dichiarazioni di amicizia, ma soltanto la determinazione e la dimostrazione di essere pronti a ritorcere con altrettanta violenza l'azione brittannica.

L'intervento del Governo sulla stampa e sui circoli antifascisti della Camera dei Comuni ha avuto un effetto immediato. Ciò valga ancora una volta a dimostrare in che cosa consiste la famosa libertà di opinione e di stampa della democrazia brittannica e l'asserita irresponsabilità governativa. Nel pomeriggio di mercoledì l'Inghilterra ha fatto macchina indietro. La parola d'ordine che correva ai Comuni e nelle redazioni dei giornali era di versare quanto più acqua nel fuoco si potesse sulla polemica antifascista contro l'Italia. Anche le cosiddette «dichiarazioni» alla seduta di martedì 23 del Comitato hanno perduto immediatamente qualsiasi attualità scandalistica. Esse infatti sono rimaste inquadrate nella cronaca della giornata di tensione di martedì 23, e nell'atmosfera di reazione fascista che le parole del Duce avevano determinato.

Ma ecco che quell'ineffabile e grottesco buffone di Delbos ha avuto ad un tratto la «trovata» delle dichiarazioni «inquietanti» dell'Ambasciatore d'Italia, dopo averle opportunamente travisate. Blum e Delbos, i soliti paladini di Francia, sono usciti dalla stalla con gran fracasso, quando già gli inglesi vi erano frettolosamente rientrati ed avevano chiuso financo la porta. La mossa antifascista del Fronte Popolare francese ha avuto l'epilogo che meritava. Tutto il mondo ha riso e li ha beffati. Primi fra tutti a beffarli sono stati proprio gli «alleati» inglesi, i quali li hanno piantati subito in asso aggiungendo che l'Inghilterra non era disposta (questi gentlemen!) ad appoggiare una crociata antifascista con obiettivi puramente partigiani. Tutto è finito in ventiquattro ore, come doveva finire. Ma ho letto con piacere che i giornali italiani hanno avuto l'ordine di commentare questo ultimo episodio della spudorata farsa antifascista con un «Memento» a tutti gli Italiani i quali non debbono dimenticare.

Delbos ha cercato dopo di giustificarsi gettando perfino la colpa sulle spalle del povero Ambasciatore di Francia a Londra il quale non lo avrebbe informato in tempo del voltafaccia inglese e delle «assicurazioni» (?!) che il Governo di Roma avrebbe fatto pervenire a quello di Londra prima della riunione del Gabinetto inglese di mercoledì 24 marzo. È lo stesso tema insomma del Daily Telegraph di sabato 27 marzo, il quale cercava a sua volta di giustificare l'intervento sedatore del Gabinetto Brittannico colla favola delle assicurazioni e spiegazioni italiane. Il Consiglio dei Ministri brittannico di mercoledì era effettivamente in possesso di un documento italiano testé giunto da Roma: questo era il Discorso del Duce di Piazza Venezia, il quale era chiaro nel suo significato immediato e lontano e conteneva, per l'Inghilterra, come per la Francia, tutte le spiegazioni occorrenti. Esso ha dato infatti agli inglesi la sensazione netta che ormai la situazione aveva raggiunto il vertice della tensione e che a questo passo le più gravi complicazioni fra Italia e Inghilterra potevano verificarsi. Queste complicazioni -almeno per ora -gli inglesi non desiderano, e cercano di evitare. Infatti, dopo che il Duce ha fatto loro passare di colpo la sbornia antifascista della «settimana santa», si avvertono indizi non privi di interesse che io sto seguendo attentamente e sui quali mi riservo di informarTi.

Si può veramente dire che l'attitudine antifascista brittannica sia modificata, nella sostanza, da quella che era una settimana fa? Il Governo ostenta, non vi è dubbio, l'intenzione e anche la palese preoccupazione di non peggiorare la situazione, ed a questo scopo mirano evidentemente gli articoli ispirati che per turno i giornali ufficiosi sono richiesti di scrivere e di pubblicare in questi giorni.

Ma se la campagna antifascista si è fatta più prudente non si può dire davvero che essa sia cessata. La continua alternativa di resipiscenze e recrudiscenze, che è la caratteristica di questi ultimi giorni, sta a dimostrarlo. È troppo presto, dunque, per trarre delle impressioni definitive.

La campagna antifascista, esplosa dopo gli avvenimenti di Sigiienza, covava dal giorno in cui è giunta a Londra la notizia della presa di Malaga da parte dei volontari italiani. Gli Italiani nelle Baleari dapprima, eppoi a Malaga, ossia alle spalle di Gibilterra e domani a Cartagena, e di fatto a Ceuta, Melilla e Tetuan, padroni insomma di quelle che sono le «vere» porte del Mediterraneo, questo è l'incubo che ha sconvolto gli inglesi. Questo incubo ha rinfrescato di colpo tutti i ricordi cocenti dell'umiliazione inflitta dall'Italia Fascista con la Fondazione dell'Impero Etiopico. L'improvvisa riapparizione, o meglio richiamo, a Londra di Tafari, in testa alla processione dei preti anglicani a Bloomsbury, la gazzarra tardiva, verificatasi dopo 15 giorni, sulle cosidette crudeltà ad Addis Abeba 1 , ecc., ecc., ecc., tutto ciò è venuto esattamente dopo le presa di Malaga, considerata come l'annuncio e il preludio ·di ulteriori operazioni nel settore spagnolo mediterraneo. La rabbiosa esplosione antifascista dopo l'incidente di Sigiienza si è maturata in quelle settimane.

Tu hai certamente dato uno sguardo al dibattito che ha avuto luogo giovedì scorso ai Comuni sui pretesi «fatti» di Addis Abeba, e che io ho creduto utile inviare nel resoconto stenografico integrale. Non vi è stato un solo oratore antifascista il quale non si sia riferito nelle sue irose contumelie contro l'Italia al pericolo che costituisce per l'Inghilterra la posizione militare che l'Italia Fascista possiede oggi in !spagna. È in questa atmosfera che gli stessi conservatori di destra non hanno esitato a deporre le loro pregiudiziali anticomuniste contro la Russia sovietica, ed io stesso mi sono sentito fare da due mangiacomunisti come Churchill e Lord Lloyd l'apologia della «nuova democrazia» sovietica che, secondo loro, sta uscendo dalla dittatura di Stalin ed affiancandosi alle Democrazie dell'Occidente. Non Ti è certamente sfuggita l'attitudine della Duchessa di Atholl, la quale fu per un anno intero in prima linea nel movimento anti-sanzionista a nostro favore, e venerdì scorso ha pronunziato ai Comuni un discorso di una tale violenza anti-italiana per nulla inferiore a quello pronunziato dal laburista Henderson.

Si è verificato insomma nelle settimane di tensione fino a martedì 23 una specie di fronte unico che andava dai die-hards dell'estrema destra conservatrice fino alle congreghe fanatiche dei preti bolscevizzanti. Su questa attitudine dei conservatori, che è a mio avviso la più importante, ma che io ritengo suscettibile di venire modificata, T'invierò a parte le mie impressioni e il resoconto di discussioni avute durante questi ultimi giorni con gli esponenti delle varie frazioni del Partito Con-

l Vedi p. 239, nota l.

servatore. Da tali discussioni si può rilevare assai meglio che da impressioni panoramiche alcuni elementi caratteristici della situazione, la quale presenta aspetti contradditori. Da una parte la polemica anti-fascista non ancora smorzata, dalla altra indizi positivi di resipiscenza nel Governo e in una parte dei Conservatori. L'uno e gli altri sembrano di nuovo orientati verso un chiarimento dei rapporti italo-britannici e una ripresa delle reciproche posizioni fissate fra Italia e Inghilterra nel gentlemen 's agreement del 2 gennaio u.s.

Come Ti ho telegrafato ieri 1 l'intervista africana del Duce al Daily Mai/2 rappresenta a mio avviso, il nuovo e fondamentale punto di partenza. È sulle dichiarazioni del Duce da Tripoli che io sto appunto svolgendo il mio lavoro fra i Conservatori, per riportarli ad un'apprezzamento più pacato della situazione e alla valutazione di quelli che sono, nel quadro di una leale intesa coll'Italia, gli interessi permanenti dell'Inghilterra in Africa, in Europa e nel Mediterraneo.

391

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 240ln3 R. Belgrado, 3 aprile 1937, ore 19,26 (per. ore 0,30 del 4).

Iersera non appena terminata la riunione del Consiglio della Piccola Intesa 3 Stojadinovic mi ha mandato il suo capo di Gabinetto a darmi comunicazione dei testi del comunicato ufficiale e delle dichiarazioni che si stavano per fare alla stampa, testo che invio con corriere odierno. Mi ha fatto poi pregare di informare V.E. che:

l) conformemente al suggerimento datogli da V.E., ha evitato che nel comunicato fossero fatti accenni inopportuni alla questione austriaca;

2) il noto progetto francese di un patto di mutua assistenza è da considerarsi come definitivamente sepolto. In compenso, ha dovuto, più che altro per dare soddisfazione ai suoi colleghi, acconsentire a che nel comunicato ufficiale figurasse una frase particolarmente amichevole nei riguardi della Francia. Egli conta che

V.E. ne comprenderà la portata in relazione alla delicata situazione che egli ha dovuto soddisfacentemente superare.

Ho veduto iersera stessa brevemente Stojadinovic il cui compiacimento era visibile. Mi ha detto che Antonescu si era unito a lui nettamente per controbattere le preoccupazioni di Krofta. Ed a proposito risultati della riunione del Consiglio Piccola Intesa, li ha definiti «un funerale di prima classe». Ho parlato anche con Krofta ed Antonescu. Il primo mi ha detto delle frasi generiche sopra

t Vedi D. 373. 2 Vedi p. 365, nota l. 3 Del l 0 -2 aprile. Il testo del comunicato ufficiale cui si fa qui riferimento è in Relazioni Interna

zionali, p. 253.

contributo benefico che il recente patto itala-jugoslavo reca alla pace centro-europea ed agli interessi stessi della Piccola Intesa nella considerazione che l'Italia non può che essere la prima a desiderare che la Cecoslovacchia non sia messa in pericolo e non sia aperto l'argine alla discesa germanica. Appariva peraltro agitato e deluso.

Quanto ad Antonescu, si è espresso calorosamente nei riguardi della radicale trasformazione delle nostre relazioni con la Jugoslavia e mi ha aggiunto che Krofta è un «dottrinario poco intelligente» che non si rende conto delle nuove circostanze e delle realtà attuali. Mi ha accennato miglioramento dei rapporti romenoungheresi. Vedrò più a lungo Stojadinovic dopo la imminente visita Benes e mi riservo di riferire ulteriormente.

392

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE URGENTE Belgrado, 3 aprile 1937 ore 14,04 RISERVATO 2393/74 R. (per. ore 15,30).

Stojadinovic mi prega di chiedere a V.E. di volergli far conoscere con la massima sollecitudine se in occasione visita di Benes e presidente del Consiglio turco egli possa fare leggere ai due i testi dei documenti recentemente sottoscritti in occasione del patto itala-jugoslavo e concernenti: l) Albania1; 2) Sloveni2 ; 3) Terroristi3 ;

Egli gradirebbe oltre tutto dimostrare che non ha nulla da nascondere. Comunque si rimetterà alle decisioni della E.V. 4 .

393

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI,

T. PERSONALE 723/87 R. Roma, 3 aprile 1937, ore 24.

Dica a Stojadinovic che abbiamo seguito con attento interesse l'andamento dei lavori della riunione di Belgrado 5 . Abbiamo preso atto col più vivo compiaci-

l Vedi D. 340. lettera C.

2 Vedi D. 340, lettera D.

3 Vedi D. 340, lettera G.

4 Ciano rispose con T. 723/87 R. del 4 aprile: «Sta bene per comunicazione, in via naturalmente personale, a Benes e Ismet pascià dei documenti indicati nel Suo telegramma 74».

5 Vedi D. 391.

mento dei risultati raggiunti, ottimi sotto ogni aspetto e del tutto conformi a quanto Stojadinovic aveva, nei suoi colloqui con me, preveduto.

394

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PER CORRIERE 705 R. Roma, 3 aprile 1937.

Mio telegramma per corriere n. 4139 /C del 31 marzo 1• Prego seguire attentamente e riferimi circa eventuali iniziative giapponesi dirette a raggiungere intesa con codesto governo su questioni Estremo Oriente 2 .

395

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2411/014 R. Belgrado, 3 aprile 1937 (per. il 5).

Ho avuto occasione di riferire verbalmente a V.E. durante la permanenza dell'E.V. a Belgrado, degli accenni fattimi da questo mio collega di Ungheria ad una proposta da lui avanzata a Stojadinovic in seguito ad istruzioni ricevute da Budapest, per una dichiarazione unilaterale di non aggressione nei riguardi della Jugoslavia, che avrebbe dovuto trovare compenso in dichiarazioni che questo Presidente del Consiglio avrebbe in precedenza fatto circa concessioni culturali alla minoranza ungherese. Sembrava che Stojadinovic fosse favorevolmente disposto nei riguardi della proposta e del progetto di dichiarazione ungherese sottopostogli dal signor de Alth. Senonché, non più tardi di ieri lo stesso ministro d'Ungheria mi ha detto che negli ultimi giorni ha trovato Stojadinovic più freddo e mal disposto per quanto concerne il progetto. Tanto che de Alth si prepara a partire, entro la settimana ventura, per Budapest, per riferire direttamente a Kanya circa tale situazione. Mi riservo, vedendo Stojadinovic, di cercare di accertare come stiano realmente le cose. Qualora esse siano effettivamente secondo afferma il ministro d'Ungheria, non sarebbe da escludersi che sulle primitive disposizioni di Stojadinovic abbiano potuto esercitarsi influenze e considerazioni da parte romena 3 .

1 Ritrasmetteva il T. 2217/108 R. del 26 marzo da Tokio, per il quale si veda p. 456, nota 2. 2 Per la risposta, si veda il D. 498. 3 Si veda per il seguito il D. 434.

396

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2422/020 R. Berlino, 3 aprile 1937 (per. il 5).

Mi riferisco al telespresso dell'E.V. n. 210.105/138 del 27 marzo u.s. 1 .

L'ambasciatore Dieckhoff, che regge tuttora la Wilhelmstrasse, nell'assenza del barone von Neurath, mi ha dato stamane lettura del telegramma direttogli da von Hassell, a seguito della conversazione avuta con l'E. V. il 30 u.s. 2 , e del telegramma di istruzioni inviato all'ambasciatore stesso in data l o aprile nei riguardi dell'atteggiamento della Germania nei confronti della Convenzione dei Montreux. La Wilhelmstrasse nulla vede in contrario perché l'Italia, nel quadro della sua rinnovata amicizia con la Turchia, si avvii verso un'adesione alla Convenzione. La Germania, per conto suo, insisterà presso la Turchia, a mezzo di una trattativa che può durare anche due

o tre mesi, per risolvere la questione a mezzo di un accordo diretto bilaterale. I tedeschi vedrebbero naturalmente di buon occhio se l'Italia attendesse a dare la sua piena adesione fino al momento nel quale le trattative turco-tedesche fossero giunte a buon porto ma, ripeto, la Wilhelmstrasse non intende affatto intralciare, per un tale suo desiderio, l'adesione italiana al momento ritenuto più opportuno.

Quanto alla sostanza della questione, l'ambasciatore di Turchia a Berlino3 non ha ancora fornito gli attesi chiarimenti alla nota di risposta turca del 9 marzo 4 , giudicata anche qui piuttosto oscura ed involuta. La Wilhelmstrasse attende quindi una seconda nota turca che risponda esaurientemente a quelle richieste, basate sullo sviluppo storico della questione degli Stretti, che avevano fatto oggetto della nota suppletiva tedesca e delle delucidazioni fornite al governo turco dall'ambasciatore del Reich ad Ankara nel gennaio scorso 5 .

397

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2419/022 R. Berlino, 3 aprile 1937 (per. il 5).

Mi riferisco al telegramma della E.V. n. 131 6 . Il segretario di Stato, ambasciatore Dieckhoff, mi ha stamane parlato della nota corrispondenza del Times da Berlino apparsa nel numero del 29 marzo u.s.

I Non rintracciato.

2 Su tale colloquio non è stata trovata documentazione. Un colloquio tra Ciano e von Hassell ebbe luogo il 29 marzo ma nel resoconto dell'ambasciatore tedesco (in DDT, serie C, vol. VI, D. 298) non vi sono accenni alla Convenzione di Montreux.

3 Hamdi Arpag.

4 Vedi D. 258.

5 Su la questione si veda il p. 692, nota 4.

6 Vedi D. 356.

487 relativa ad alcune tendenze tedesche di «liberarsi» sempre più dalla questione spagnuola. Egli mi ha detto che la corrispondenza stessa, ritenuta assolutamente tendenziosa, aveva già formato oggetto dell'attenzione della Wilhelmstrasse, il cui capo dell'Ufficio Stampa, ministro Aschmann, aveva avuto istruzione di far rilevare senz'altro quella tendenziosità al corrispondente berlinese del giornale di Londra.

L'accenno poi ad un rapporto dell'addetto militare tedesco a Londra nei riguardi degli armamenti britannici, rapporto che avrebbe costituito un elemento favorevole alla tesi di certi tedeschi desiderosi, sempre secondo la corrispondenza del Times, di abbandonare l'attuale linea politica, ha suscitato una vera sorpresa. Il segretario di Stato ha concluso affermando che la politica tedesca, basata sull'asse Roma-Berlino non ha subito e non subisce alcun mutamento.

398

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2444/065 R. Parigi, 3 aprile 1937 (per. il 6).

Mio telegramma per corriere n. 0379 del 19 dicembre 1936 1•

Nel corso di una mia conversazione con Léger, gli ho ricordato ieri quanto egli mi aveva detto qualche mese fa circa la mancanza di fondamento delle voci relative ad un patto di mutua assistenza fra gli Stati della Piccola Intesa, patto che sarebbe stato patrocinato dalla Francia. Ho aggiunto che il molto parlare che se ne faceva anche da parte della stampa francese e le notizie non soltanto dei giornalisti ma anche di fonte diplomatica che parlavano concordemente di insistenze francesi perchè tale mutua assistenza si realizzasse mi facevano ritenere che l'atteggiamento del Quai d'Orsay avesse subìto una radicale modificazione in questo frattempo, cosicchè lo pregavo di volermi, se lo credeva, fornire ulteriori notizie al riguardo.

Il signor Léger mi ha risposto che era lieto che gli avessi parlato di questo argomento, circa il quale non poteva che confermare intieramente quanto mi aveva detto nel dicembre scorso. Alla mia manifestazione di sorpresa, egli ha aggiunto che le pretese insistenze del governo francese sugli Stati della Piccola Intesa esistevano unicamente nella fantasia di giornalisti e venivano raccolte e considerate esatte da quei diplomatici che si lasciano spesso e volentieri trarre in inganno dalle notizie di stampa. Dopo questo preambolo, il signor Léger mi ha ripetuto innanzitutto che la situazione di diritto esistente tra la Francia da un lato e la Cecoslovacchia dall'altro era sostanzialmente diversa da quella esistente tra la Francia da un lato, la Romania e la Jugoslavia dall'altro. Col primo Stato la Francia aveva un vero e proprio patto di mutua assistenza cosicchè qualora uno dei due Stati fosse aggredito dalla Germania, l'altro dovrebbe intervenire immediatamente con tutte le proprie forze. Con la Romania e la Jugoslavia 2 esisteva soltanto l'impegno della consultazione in determinate

1 Vedi serie ottava, vol. V, D. 635.

2 Trattato tra Francia e Romania del IO giugno 1926 (testo in MARTENS, vol. XVII, pp. 5-12) e trattato tra Francia e Jugoslavia dell'Il novembre 1927 (testo ibid., vol. XVIII, pp. 347-354).

..

evenienze. Fra i tre Stati della Piccola Intesa esisteva il patto dell'assistenza reciproca soltanto nei riguardi dell'Ungheria, mentre qualora la Cecoslovacchia fosse aggredita dalla Germania, Romania e Jugoslavia non erano obbligate -se non in modo generico in forza dell'art. 16 del Patto della S.D.N.-ad assisterla militarmente.

Ciò non toglieva che i rapporti fra la Francia e la Romania come tra la Francia e la Jugoslavia fossero quanto mai intimi, dimostrando come le vere amicizie risiedano nello spirito più che nella lettera dei trattati esistenti tra loro. Nonostante ciò, sopratutto da parte romena, quando era ministro degli Esteri Titulescu, si era più volte insistito sul governo francese, specialmente durante le sessioni della S.d.N. a Ginevra, perché si integrassero gli accordi esistenti con un patto di reciproca assistenza, e da parte della Jugoslavia tale inziativa aveva sempre trovato un'eco simpatica, ancorché riservata, mentre naturalmente la Cecoslovacchia la aveva appoggiata con grande calore. Da parte francese era stato costantemente risposto alle varie proposte romene ed alle insistenze cecoslovacche sostenendosi il principio che un tale patto non sembrava indispensabile ma che in ogni caso non si avrebbe difficoltà a concluderlo tanto con la Romania e che con la Jugoslavia alla condizione peraltro che questi due Stati consentissero a stipularne anche fra di loro e con la Cecoslovacchia uno analogo. Perché la Francia assumesse un simile nuovo impegno che le avrebbe imposto l'obbligo di accorrere con tutte le sue forze armate in soccorso della Romania o della Jugoslavia qualora esse fossero aggredite da un altro Stato, le occorreva avere una contropartita. Ora, per la Francia non esiste che un solo pericolo di aggressione, quello della Germania. Nè la Romania, nè la Jugoslavia, per la loro posizione geografica, sarebbero state in grado di assistere la Francia aggredita, attaccando dal canto loro la Germania direttamente. Donde la necessità -sempre che esse insistessero per concludere un patto di assistenza con la Francia-di concluderne per conto proprio uno nell'ambito della Piccola Intesa, in modo da accorrere in aiuto della Cecoslovacchia che, essa, avrebbe dovuto in ogni caso dividere la sorte della Francia e sostenere l'urto delle forze germaniche. Lo scorso anno il governo cecoslovacco aveva preparato uno schema di accordo di mutua assistenza fra Stati della Piccola Intesa. Esso non ne aveva dato comunicazione ufficiale al governo francese ma questo aveva ugualmente avuto il modo di conoscerlo ed aveva espresso in modo ufficioso e discreto l'avviso che, così come era stato redatto, il patto medesimo non sembrava corrispondere intieramente allo scopo che i suoi ideatori si proponevano. Dopo d'allora, null'altro era stato fatto al riguardo. Il signor Léger concluse dicendo che questa e nessun'altra era la verità.

Rilevai, dal mio lato, che quanto egli mi aveva esposto circa le esigenze della Francia per l'eventuale conclusione del patto di mutua assistenza mi sembrava perfettamente logico. Ciò non toglieva, peraltro, che di fronte alla concordanza delle informazioni diplomatiche giusta le quali i rappresentanti francesi nelle capitali della Piccola Intesa si erano dati, negli ultimi mesi, molto da fare perché il patto di mutua assistenza medesimo fosse concluso, riusciva difficile ammettere che la Francia si fosse disinteressata del negoziato non riuscito.

Il mio interlocutore non ebbe difficoltà ad ammettere che risultava anche a lui l'attività che da parte di molti rappresentanti esteri si attribuiva ai ministri di Francia a Bucarest, Belgrado e Praga. Non poteva tuttavia che riferirsi a quanto mi aveva dianzi esposto per concludere che l'eventuale loro azione si era svolta entro i limiti indicati: nessun interesse speciale della Francia alla conclusione di un patto di assistenza con la Romania e con la Jugoslavia; nessuna ragione peraltro per opporvi un categorico rifiuto; subordinazione in questo secondo caso dei patti medesimi alla conclusione da parte degli Stati della Piccola Intesa di un patto di mutua assistenza fra di loro. Egli volle aggiungere che il governo francese, nell'adottare questa linea politica consistente essenzialmente nel non mostrare alcuna premura per la conclusione dei patti di cui si tratta, era stato guidato dal pensiero di guadagnare tempo per vedere se non sarebbe stato possibile fare accedere ai medesimi anche la Germania. In ogni caso, poi, i patti di cui si tratta, qualora conclusi, avrebbero dovuto essere considerati decaduti qualora fosse stato possibile concludere quel patto generale di non aggressione e mutua assistenza orientale che ad un dato momento era sembrato possibile, mentre oggidì deve essere relegato fra i sogni utopici.

Accennando alle molte voci di stampa recenti e sopratutto di questi ultimi giorni, l.éger fece un grande sfogo meco contro l'atteggiamento dei giornali-particolarmente di quelli francesi che attaccano con violenza la politica estera del governo di Fronte Popolare unicamente per motivi di politica interna -dichiarando che la diplomazia nel tempo presente si trova in una condizione di grande inferiorità di fronte a quella dell'ante-guerra perché allora la stampa taceva o parlava con moderazione e non esistevano le commissioni parlamentari che si occupano di problemi di politica estera. Oggidì, in Francia si porta alle stelle la politica di Delcassé. Ora, egli fece parte del personale addetto al gabinetto di Delcassé e poteva attestare che questo eminente uomo di Stato non fu mai disturbato nella sua azione dall'atteggiamento della stampa. Delcassé, come del resto quasi tutti i diplomatici dell'ante-guerra, ostentava di ignorare quanto dicessero i giornali, sostenendo che nelle Cancellerie si doveva lavorare esclusivamente in base ai documenti e alle comunicazioni ufficiali e che era pertanto dannoso prendere conoscenza delle correnti della pubblica opinione, dato che esse potevano in certi casi far deviare gli uomini di Stato dalla linea di condotta che veniva loro ispirata dall'esame coscienzioso di una determinata situazione politica.

Ho ritenuto riferire ragguagliatamente a V.E. la conversazione avuta col signor Léger, dato che dal controllo delle cose da lui dettemi potrà risultare forse quale sia la verità di una matassa estremamente intricata qual'è quella della mutua assistenza fra Stati della Piccola Intesa.

399

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2445/066 R. Parigi, 3 aprile 1937 (per. il 6).

Mio telegramma per corriere n. 065 1• Date circostanze nelle quali si riuniva Consiglio permanente Piccola Intesa2 , cioè a breve distanza da firma accordo

l Vedi D. 398. 2 Vedi D. 391.

490 italo-jugoslavo, attesa risultati seduta Belgrado era, nei circoli politici e giornalistici francesi, più viva che di solito.

Nonostante indifferenza affettata da Léger per mancata conclusione patti mutua assistenza tra Stati Piccola Intesa, opinione pubblica francese appare delusa, scorge nel comunicato di Belgrado 1 influenza accordo italo-jugoslavo e manifesta apprensione per possibili ulteriori svolgimenti situazione Europa orientale e balcanica secondo direttive italiane.

Infatti, concetti cui sono ispirati principali commenti possono riassumersi come segue:

Comunicato ha tenuto gran conto criteri informatori politica italiana, poiché non fa alcun accenno, nè alla questione absburgica, nè all'antirevisionismo, che pure sono stati finora due degli scopi essenziali della Piccola Intesa.

Oltre che dell'influenza italiana, comunicato risente anche delle migliorate relazioni con Austria e di una certa distensione di rapporti con Ungheria, sicché non sarebbe sorprendente se in avvenire situazione venisse a svolgersi nell'orbita dei Protocolli di Roma.

Qualcuno si consola prevedendo che quando Francia e Covenant saranno rinforzati (sic), Piccola Intesa tornerà mutare direttive, ciò che, intanto, costituisce ammissione nuova situazione odierna.

Circoli ufficiali, naturalmente, mettono in rilievo frase comunicato circa vincoli amicizia che legano Piccola Intesa alla Francia.

400

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2442/067 R. Parigi, 3 aprile 1937 (per. il 6).

Nel corso di una conversazione avuta ieri col signor Léger il discorso cadde anche sul recente viaggio del Re del Belgio a Londra 2 motivato dal bisogno che il Sovrano aveva sentito di esporre personalmente al governo britannico le ragioni per le quali il suo governo ed egli stesso, dopo la violazione del trattato di Locarno da parte del Reich, ritenevano necessario che il Belgio seguisse una nuova linea di condotta consistente nel proclamare la propria «indipendenza politica».

Il signor Léger mi disse che le informazioni pervenute al Quai d'Orsay concordavano circa il pieno successo della missione assuntasi da Re Leopoldo. Il governo britannico, che alla nuova politica belga era interessato anche più di quello francese a causa del grande valore che per esso rappresenta il Belgio come eventuale base aerea continentale, aveva riconosciuto il buon fondamento della nuova linea di condotta imposta al Sovrano ed al governo del Belgio da considerazioni di politica interna date le tendenze dei fiamminghi.

l Vedi p. 484, nota 3. 2 Vedi D. 362.

Ho chiesto al signor Léger se la Francia condividesse questo modo di vedere della Gran Bretagna, provocando così una sua risposta categorica che il governo francese aveva riconosciuto sin dal primo momento che l'atteggiamento del Belgio si poteva ritenere logico e quindi giustificato. Le solite campagne di stampa avevano fatto circolare voci del tutto infondate circa il malumore suscitato in Francia dal famoso discorso del Re Leopoldo 1 , mentre il Quai d'Orsay era già informato da vari mesi di quello che stava maturando nel Belgio e non vi aveva trovato nulla a ridire. Appena furono rese pubbliche le nuove disposizioni del Belgio, il ministro degli Affari Esteri aveva convocato al Quai d'Orsay gli altri ministri ed organi responsabili per l'esame della situazione dal punto di vista della difesa nazionale. Massima importanza avevano avuto le dichiarazioni del vice presidente del Consiglio Superiore dell'Esercito generale Gamelin il quale si era espresso nel senso che, per la Francia, il nuovo atteggiamento del Belgio costituiva un alleggerimento dei propri obblighi. Sinora infatti lo Stato Maggiore francese aveva dovuto considerare, in caso di aggressione del Belgio da parte del Reich o di minaccia grave di una simile aggressione, la necessità di concorrere con truppe francesi alla difesa della linea delle Ardenne, il che comportava una concentrazione notevole di forze nelle regioni del nord affinché esse fossero pronte per ogni evenienza ed al primo cenno di pericolo. Venuto meno questo compito le truppe stesse avrebbero potuto essere adoperate per altri scopi ed in settore diverso. Il generale Gamelin aveva naturalmente annunciato che si sarebbero spinti innanzi con energia i lavori per il prolungamento della linea Maginot sino al mare. Aveva pure espresso l'opinione che l'atteggiamento belga avrebbe potuto dissuadere lo Stato Maggiore tedesco dall'invadere nuovamente il Belgio dato che, costruita che fosse la linea Maginot completa, il passaggio per il vicino regno non avrebbe costituito per il Reich una via più agevole per attaccare la Francia. Qualora poi questi calcoli dovessero sventuratamente dimostrarsi errati e lo Stato Maggiore tedesco dovesse perseverare nel proposito di attaccare la Francia attraverso il Belgio e porlo ad effetto, il vicino Regno avrebbe, ammaestrato dalla dura esperienza della Grande Guerra, potuto pensare, anziché a tentare una inutile difesa nel territorio nazionale, a far passare quanti più uomini validi potesse al di qua della linea Maginot in modo da aumentare le riserve della Francia.

Dopo questo accurato esame della situazione militare, l'atteggiamento francese era stato stabilito nel senso di accedere intieramente al punto di vista del Belgio. Siccome, peraltro, la stampa si era sbizzarrita parlando di gran rancore della Francia verso il vicino Stato, il governo francese aveva creduto di chiamare l'ambasciatore del Belgio 2 al Quai d'Orsay dove gli era stato comunicato il perfetto accordo della Francia circa !'«indipendenza politica» proclamata dal governo belga.

Con un certo suo stupore, dato che la comunicazione stessa gli era sembrata una cosa logica e quindi naturalissima, qualche giorno dopo il Quai d'Orsay ricevette un ringraziamento caldissimo dal governo belga che si mostrava profondamente grato per una dichiarazione che eliminava ogni dubbio circa la politica della Francia.

Come vedevo, dunque, aggiunse il signor Léger, la Francia non aveva avuto alcuna ragione di attendere di conoscere quello che sarebbe stato deciso a Londra nei riguardi del Belgio, per stabilire il proprio atteggiamento. Caso mai, e dato

I Vedi p. 86, nota 2. 2 André de Kerchove.

anche che essa riconosce che la Gran Bretagna è interessata ancora maggiormente all'integrità del Belgio, la Francia poté influire a Londra perché il governo inglese accedesse, nonostante le grandi sue preoccupazioni sopratutto aeree, alla linea di condotta da essa stessa adottata.

Il signor Léger concluse ricordando che la Francia accorda naturalmente ed unilateralmente ogni assistenza al Belgio in caso di aggressione e che nulla fu mutato al riguardo dalla nuova politica belga.

Relata refero, non senza osservare che il signor Léger si mostrò assai abile nel far apparire sincera e volenterosa l'adesione della Francia all'atteggiamento assunto dal governo del signor V an Zeeland. La verità è però probabilmente alquanto diversa: mi risulta infatti che lo Stato Maggiore francese in un primo tempo fu assai male impressionato dalla proclamazione di una politica che non aveva creduto sino a quel momento possibile e che spostava radicalmente le sue previsioni ed i suoi piani di guerra. Aggiungo pure che, nonostante le dichiarazioni belghe secondo le quali devono cessare i contatti del proprio Stato Maggiore con quelli degli Stati confinanti, esistono tuttora continui scambi di vedute fra gli Stati Maggiori francese e belga. La cosa è del resto naturale perché, quali che possano essere i motivi che indussero il governo belga a seguire la nuova sua politica, una cosa è certa ed è che il Belgio non avrà mai da temere una invasione da parte della Francia, mentre la più elementare prudenza non può fargli scordare l'agosto 1914. Ragione questa per cui la linea Maginot prolungata sino al mare avrà probabilmente in territorio belga, sopratutto alla sua estremità occidentale, dei contrafforti che la possano integrare permettendo ai Belgi di conservare anche in una eventuale guerra futura un pezzetto di territorio a titolo simbolico.

401

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2446/087 R. Londra, 3 aprile 1937 (per. il 6).

Mio telegramma n. 071 del 22 marzo 1•

In una mia conversazione con Sargent (che sostituisce Vansittart nella sua assenza) gli ho detto che mi pareva opportuno cominciare fin d'ora ad esplorare le possibilità di una cooperazione economica e commerciale africana fra l'Italia e l'Inghilterra. Ho accennato in particolar modo al caso dei rapporti di traffico fra il Sudan e l'Etiopia (di cui il consigliere di questa ambasciata aveva già intrattenuto Campbell); rapporti che ritenevo suscettibili di svilupparsi con reciproco beneficio dei due Paesi, mediante qualche accordo provvisorio che potrebbe essere raggiunto

I T. per corriere 2357/071 R. che è del 27 marzo. Riferiva che, secondo le istruzioni ricevute (di cui non è stata trovata documentazione), il consigliere dell'ambasciata, Crolla, aveva avuto al Foreign Office un colloquio con il capo dell'ufficio Affari Egiziani, Campbell, in vista di un accordo per regolare i traffici tra l'Etiopia ed il Sudan, accordo che, come era stato sottolineato da Crolla, lo stesso Mussolini aveva auspicato nell'intervista al Daily Mai! dei 18 marzo (vedi p. 365, nota l). Campbell aveva evitato di assumere impegni circa l'avvio di una trattativa.

(come nel caso recente del Somaliland britannico) 1 indipendentemente da una sistemazione definitiva da concordarsi dopo il riconoscimento del nostro Impero.

Sargent mi ha risposto che mentre i rapporti fra l'Etiopia e il Somaliland (ed egualmente quelli fra l'Etiopia e il Kenia) sono abbastanza semplici e possono essere regolati anche con un accordo provvisorio, i rapporti fra l'Etiopia e il Sudan presentano aspetti complessi e coinvolgono una serie di questioni di fondo (Nilo Azzurro, ecc.) che non potrebbero essere lasciate in disparte e risulterebbero comunque automaticamente pregiudicate da un accordo provvisorio per il regolamento dei traffici.

Ho fatto osservare a Sargent che, o la sua risposta doveva intendersi come implicante l'intenzione del governo britannico di riconoscere l'Impero Italiano a breve scadenza e di addivenire quindi rapidamente ad accordi commerciali e di frontiera; o -in caso contrario -avrei dovuto constatare nella sua risposta un inspiegabile disconoscimento degli interessi commerciali etiopico-sudanesi, destinati a rimanere ancora per lungo tempo trascurati, nel solo desiderio di «far meglio» e di poterli sistemare in modo non provvisorio e parziale.

Sargent si è affrettato a rispondere che la mia prima ipotesi era quella giusta, e che-a suo avviso-il riconoscimento dell'Impero da parte dell'Inghilterra non avrebbe dovuto ormai troppo tardare.

Il mio colloquio con Sargent mi ha lasciato l'impressione che il Foreign Office intenda abbinare i negoziati per i traffici fra il Sudan e l'Etiopia con quelli che dovrebbero regolare la sistemazione definitiva degli interessi idraulici dell'Inghilterra nel Nilo Azzurro, ed eventualmente di altri interessi britannici nell'Etiopia Occidentale. Il governo britannico ritiene infatti di poter più vantaggiosamente negoziare in tale sede il riconoscimento da parte nostra degli interessi che gli stanno più a cuore.

402

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO PER CORRIERE Lisbona, 3 aprile 1937 2527/475/16 R. (per. il 9 ).

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 41 in data 21 marzo2 .

Secondo informazioni molto confidenziali che provengono da persona vicina a Salazar, vi erano già state rimostranze inglesi presso questo governo per l'atteggiamento portoghese filo-italiano e filo-tedesco. Il passo di cui al telegramma di V.E. sarebbe stato compiuto anche qui dall'ambasciatore d'Inghilterra nella settimana di Pasqua. Sarebbe in relazione:

l) all'atteggiamento sempre più marcato della stampa specialmente in nostro favore ed anche verso la Germania;

l Si riferisce allo scambio di lettere Cerulli-Plowman del 27 gennaio 1937 relativo ai diritti di pascolo e di abbeverata delle tribù che vivevano tra il territorio della Somalia Britannica e i territori etiopici ora controllati dagli italiani.

2 Vedi D. 313.

2) all'accoglienza negativa che recentemente sarebbe stata fatta a personalità inglese venuta a trattare la questione della fornitura di armi, mentre materiale bellico è già stato acquistato, sia da noi che in Germania. Sulla questione della fornitura delle armi il governo britannico starebbe particolarmente insistendo.

Secondo la stessa persona, questo governo sospetterebbe che il passo inglese possa questa volta essere stato provocato dallo stesso ambasciatore portoghese a Londra, Monteiro, nella sua anglofilia e dati i suoi precedenti con Salazar 1 .

È sintomatico che questo segretario generale del ministero degli Affari Esteri mi ha nei giorni scorsi ripetuto con manifesta preoccupazione che non comprende quale sia la politica inglese nei riguardi del conflitto spagnuolo, nè che cosa il governo britannico realmente voglia per la Spagna.

Ritengo di dover segnalare che è trapelata in questi ambienti politici e militari la notizia di una singolare risposta che il sottosegretario di Stato alla Guerra 2 avrebbe dato ad una personalità della Camera Corporativa, che gli avrebbe espresso ansietà per la lentezza con cui viene attuato il programma degli armamenti. Il sottosegretario avrebbe detto che non vi è nulla da temere perché Salazar ha tutto predisposto per avere, in caso di necessità, quanto occorra in quindici giorni. Tale risposta sibillina si ritiene possa riferirsi ad accordi o con l'Inghilterra o con la Germania. Dato lo stato attuale delle cose, si propende maggiormente ad interpretarla come riferentesi ad accordi con la Germania.

Qualunque sia il fondamento di verità della notizia, è difficile immaginare che un così breve periodo di tempo sia sufficiente a chiunque per fornire al Portogallo a parte la situazione che determinerebbe il caso di urgenza -tutti gli armamenti che non ha 3 .

403

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 666/313. Ankara, 3 aprile 1937 (per. il 9 ).

Il generale Ismet si appresta a partire per Belgrado, accompagnatovi da Aras, per restituire la visita fatta nell'ottobre scorso da Stojadinovic ad, Ankara.

I Armando Monteiro era stato allontanato dal suo posto di ministro degli Esteri nel novembre 1936, in seguito a dissensi con Salazar.

2 Fernando dos Santos Costa.

3 Il ministro Mameli telegrafava successivamente: «Da altra ottima fonte mi vengono confermate informazioni circa passo inglese, precisando che questo ministero degli Affari 'Esteri ha risposto negativamente ai tre punti su cui verteva. Essi sarebbero sostanzialmente così indicati: attitudine generale filo-italiana e filo tedesca, specialmente in relazione questione Spagna, questione fornitura armi e atteggiamento della stampa. Stessa fonte conferma anche indicazioni relative Monteiro» (T. 2632/91 R. del 13 aprile). Quest'ultimo punto era invece smentito dall'ambasciatore Grandi al quale erano state ritrasmesse (con T. 4922/C R. del 14 aprile) le notizie inviate dal ministro Mameli. Secondo Grandi, Monteiro aveva sempre mantenuto un atteggiamento di aperta solidarietà con la Germania e soprattutto con l'Italia e di indipendenza dall'influenza britannica, tanto da avere provocato le rimostranze ufficiali di Eden (T. per corriere 3948/0138 R. del 12 maggio).

Due fatti di profonda importanza si sono prodotti nel frattempo: il patto bulgaro-jugoslavo e quello itala-jugoslavo. Il timore del primo ed il presentimento del secondo sono i due motivi essenziali, dopo la conclusione del gentlemen 's agreement, che hanno determinato la Turchia a cercare un rinnovamento dell'amicizia itala-turca. Aras, con la sua consueta attività, ha giuocato in modo da far precedere l'incontro di Milano con V.E. alla visita che V.E. ha fatto a Belgrado; sicché ciò gli permette di affermare, con ostentazione, che l'amicizia itala-turca ha preceduto ed ha determinato (anche per suo insistente consiglio) i nuovi patti itala-jugoslavi. In effetti la verità sta proprio nel contrario: è stato cioè il presentimento di un fatale riavvicinamento della Jugoslavia all'Italia che ha costretto la Turchia ad accelerare i tempi della ripresa amichevole itala-turca.

Con i due patti suddetti l'Intesa Balcanica, che nel sistema politico turco era stata concepita in funzione antibulgara, antitaliana ed antislavo-balcanica è stata svuotata del suo contenuto essenziale; sicché, agli effetti turchi, si rende indispensabile un riadattamento del sistema balcanico per coordinarlo con le rinsaldate relazioni amichevoli con l'Italia, ottenendo, sotto altra specie, uguale risultato difensivo. Ciò spiega i propositi da Aras indicati sommariamente a questo ministro di Jugoslavia (miei telegrammi n. 97 e 101 1 , di cui egli intende intrattenere fra pochi giorni Belgrado: dare cioè un indirizzo nuovo ai rapporti Italia-Stati balcanici, legando militarmente e politicamente l'Italia a Jugoslavia, Grecia e Turchia. Questo programma dovrebbe peraltro essere attuato sull'asse Londra-Roma (senza quindi avere significato antinglese) poiché è canone fondamentale della politica turca odierna che per la pace del Mediterraneo Orientale si debbono in ogni possibile modo favorire i buoni rapporti itala-inglesi e la piena incondizionata applicazione del gentlemen 's agreement.

Quale può essere, da questo settore, e subordinatamente alla visione ben più ampia che V.E. può avere dei nostri interessi generali, il giudizio che noi possiamo formulare su queste idee di Aras, (delle quali peraltro egli non mi ha tenuto fin qui parola) mi propongo esporre qui di seguito, tenendo conto, nei limiti del possibile, di tutti gli aspetti della questione, anche se esorbitano dal mio campo di diretta competenza.

È necessario ricordare, innanzitutto, la direttiva storica che è additata dalla prima sistemazione strategica nel Mediterraneo Orientale, le cui tappe sono la occupazione di Tobruk e del Dodecanneso nel 1911, sistemazione rimasta incompiuta. Sarebbe stato altrimenti qualora i disegni anatolici del 19162 ci avessero dato almeno anche Makra e Marmariza. La soluzione quasi integrale del problema coloniale rende oggi ancor più necessario il completamento della nostra difesa strategica in questo settore del Mediterraneo.

Ciò premesso, ricordo quanto ho avuto occasione di riferire tanto da Belgrado quanto poi da questa sede, e cioè che è mia immutata, se pur subordinatissima convinzione, che la base più solida di ogni nostra azione è e deve essere la Jugoslavia, sia per il suo valore intrinseco che per la sua posizione geografica, rispetto all'Italia ed alle due Intese. Per quanto riguarda l'Italia infatti, la sicurezza delle frontiere

I Vedi DD. 359 e 365.

2 Riferimento alle trattative che dovevano concludersi con l'accordo di San Giovanni di Mariana dell'agosto 1917.

.

orientali e in Adriatico, le conferisce una maggiore libertà di movimento in Mediterraneo e le garantisce una via sussidiaria per i suoi rifornimenti dal Mar Nero. Per quanto riguarda le due Intese, far entrare la Jugoslavia nella nostra orbita politica significa svellerne il cardine centrale e svuotarle di contenuto. Gli effetti immediati dell'accordo italo-jugoslavo sulla Piccola Intesa sono del resto già evidenziati: la recente riunione di Belgrado lo ha chiaramente dimostrato.

Dal canto suo, la Jugoslavia, acquistata una notevole indipendenza dai sistemi cui pur continua ad appartenere, se ne varrà per adattare la sua situazione storico-geografica alla realtà: sistemare cioè i suoi rapporti con i vicini, soprattutto con quello che è più potente e potrebbe essere il più pericoloso, ed aprirsi ogni possibilità per una prevalenza slavo-balcanica.

Qualora, in un avvenire prossimo, la Jugoslavia, rendendosi del tutto indipendente dai sistemi politici che la vincolano, volesse fare nei confronti di Roma un ulteriore passo e giungere ad una alleanza politica e militare (sempreché ciò anzitutto rientri nelle finalità dell'E.V.) tutte le considerazioni che seguono e si riferiscono alle citate proposte di Aras andrebbero considerate sotto altro angolo visuale.

Nelle presente esposizione parto però dalla fondata ipotesi che Aras intenda prevenire uno sviluppo dei rapporti italo-jugoslavi; che se poi ciò si realizzasse effettivamente, non interesserebbe certo più nè Roma (anche in considerazione delle nostre direttive contrarie ai patti regionali), nè Belgrado gravare di soverchi pesi le proprie reciproche obbligazioni politiche e militari. Ciò non escluderebbe però la continuazione anzi il massimo incremento possibile delle amicizie bilaterali italo-turca e turco-jugoslava.

A questo punto non è forse inutile attiri la attenzione di V.E. su quanto mi ha detto, in modo confidenzialissimo, questo ministro di Jugoslavia. La visita di Ismet a Belgrado sarà completata (salvo imprevisti, ma il programma di massima e già fissato) da un viaggio nella Sciumadia ed in Bosnia fino a Cattaro. Si mostreranno cioè ad Ismet i due grandi serbatoi di magnifici soldati che sono queste due regioni jugoslave, ed Ismet vedrà l'arsenale di Kragujevc, la fabbrica di aeroplani di Kraljevo. Si vuole in sostanza mostrare ai turchi che se la Jugoslavia è rispettabile come fattore politico, essa è anche temibile come fattore militare, specialmente dopo che le sue preoccupazioni sulla frontiera orientale sono venute a cessare in seguito agli accordi di Belgrado, e soprattutto dopo che il patto bulgaro jugoslavo ha messo ai turchi tanta paura. (Le parole sottolineate sono le testuali del mio collega jugoslavo). La quale «paura» è poi anche uno dei motivi che giustificano le nuove idee di Aras.

Questo ministro degli Esteri, parlandomi qualche settimana fà del riavvicinamento italo-balcanico (era prima della riunione di Atene, e l'idea di sviluppi politici-militari non era ancora germogliata nel suo pensiero) me lo giustificò in modo molto seducente: la auspicata intesa, senza essere di per sè stessa antigermanica (ed i turchi non vorranno mai assumere per nessun motivo attitudine antigermanica), costituisce in fatto una barriera alla discesa politica della Germania verso Oriente.

Vi è molto di vero in quello che egli mi ha detto. Ma il suo ragionamento, con pochi spostamenti, si può applicare anche alla situazione italo-inglese, la quale costituisce il nuovo conflitto storico che sta all'agguato della pace europea. E lo ho detto ad Aras in aggiunta alle sue osservazioni.

L'Italia è da considerarsi ormai fra le Potenze soddisfatte, ha da svolgere un compito immane per mettere in efficente valore l'Africa Orientale e la Libia e prepa

.

rare quelle terre a ricevervi l'eccedenza della sua popolazione. Il governo fascista nulla ha lasciato e lascia intentato per normalizzare la situazione e ricondurre una proficua collaborazione fra i popoli. Gentlemen 's agreement, incontro di Milano, accordi di Belgrado sono le tappe più visibili della sua precisa volontà espressa senza possibilità di equivoci.

A questa volontà di pace, che poi chiunque guardi con occhi sereni la realtà della situazione deve giudicare corrispondere alle superiori e permanenti nuove necessità italiane, non fa riscontro identica attitudine in Inghilterra. lvi non è solo il Foreign Office che dirige la sua politica: vi sono altre potenti forze in opera. Il colossale riarmo ed il potenziamento strategico nel Mediterraneo Orientale, potenziamento che và dalla subordinazione militare dell'Egitto, alla vigilanza militare del Canale, al rafforzamento delle basi di Cipro, alla occupazione militare della Palestina (apparentemente per reprimervi la rivolta araba ma in realtà per restarvi con le truppe quanto più a lungo possibile), potevano far credere alla persistenza di pericolose tendeRze di certi circoli inglesi.

Ora, vi era certo un modo per evitare il verificarsi di situazioni tese da cui potrebbero poi derivare avventure pericolose e gravide di incognite per tutti. Ed era quello di dare la massima efficenza possibile al gentlemen 's agreement, e farlo divenire canone della vita europea in sostituzione di quello che era esistito prima del conflitto abissino: inattaccabile amicizia anglo-italiana.

Ma ve ne era anche un altro: far capire ai detti circoli inglesi, agognanti a torbide rivincite, che l'Inghilterra non avrebbe trovato negli Stati del Mediterraneo Orientale alcun appoggio, nè politico, nè strategico. Se quindi la sua idea di intesa itala-balcanica era giustificata dalla opportunità di far comprendere a Berlino che il Drang nach Osten era finalità politica da mettere nei musei, il riavvicinamento stretto fra Italia e Stati Balcanici poteva molto più sicuramente allontare ogni ipotetica possibilità di un riaprirsi del conflitto itala-britannico. Se la Turchia vuole effettivamente la pace mediterranea, e quindi la sua assoluta sicurezza, deve evitare anche la più lontana apparenza di possibile appoggio a quella parte che da un conflitto può sperare un vantaggio. Questa non è certo l'Italia.

Tali considerazioni (con diplomatica e studiata forma, poiché debbo partire dal presupposto che quanto io dico ad Aras può essere ripetuto cinque minuti dopo al mio collega inglese) ho svolto al ministro turco degli Affari Esteri e mi propongo sviluppare presentandosene nuovamente l'occasione.

Ma ciò che gli ho detto vale anche a giustificare le conclusioni del presente mio rapporto.

Subordinatamente quindi alla possibilità di un maggior rafforzamento dei rapporti itala-jugoslavi (semprechè l'E.V. lo ritenga per noi conveniente e la Jugoslavia possa ad un certo momento riacquistare la totale sua indipendenza) le recentissime idee di Aras, qualora accolte ed appoggiate a Belgrado, potrebbero essere prese in attento esame anche da noi.

Ostacolo alla nostra sicurezza mediterranea non è rappresentato dalla potenza turca ma dalla prepotenza inglese. V.E. si è degnata approvare il mio recente suggerimento di far luogo, finché possibile, a manifestazioni formali della amicizia itala-turca, poiché quanto meno esse possono servire a gettare qualche suspicione sul conto che l'Inghilterra può fare della fedeltà di Ankara ai suoi disegni. Ma si potrebbe fare qualche cosa di più utilizzando le stesse proposte di Aras ed attirando più decisamente la Turchia nella nostra orbita per tentare di determinare un processo dissociativo della intesa anglo-turca.

Non so comprendere come Aras trascuri la Romania, che, facendo parte della Intesa Balcanica, non può essere lasciata in disparte. V.E. rammenta che al progettato patto del Mediterraneo Orientale del quale si parlò proprio nei primi mesi del 1935 fece ostacolo la volontà turca di volervi inclusa la Rumania che noi invece rifiutavamo. Molte delle considerazioni esposte allora in occasione di quei progetti valgono oggi. Esse sono anzi rafforzate da quello che il conflitto italo-abissino ha dimostrato essere per noi assolutamente indispensabile nel Mediterraneo Orientale.

Per ciò l'idea di una serie di accordi bilaterali, che legassero a noi maggiormente gli Stati Balcani, può essere presa in attenta considerazione per il vantaggio immediato che ciò recherebbe in questo settore e le ripercussioni negli altri settori della nostra politica europea 1 .

404

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 2403/24 L 2405/25 R. Praga, 4 aprile 1937, ore 13 (per. ore 15,20).

Presidente della Repubblica Benes, che lascia oggi Praga diretto a Belgrado, mi ha convocato prima della partenza e mi ha pregato di far conoscere a S.E. il Capo del Governo e a V.E. quanto segue:

«È stata costante preoccupazione della Cecoslovacchia e sua personale vedere migliorare i rapporti fra Italia e Jugoslavia, cui ripercussione nei momenti sfavorevoli Praga ha dovuto subire pur non esistendo alcun motivo di diretto contrasto tra Italia e Cecoslovacchia. Perciò accordo testè raggiunto tra Roma e Belgrado è ragione sincera soddisfazione per nazione cecoslovacca che, mentre vi riscontra un rafforzamento e non un indebolimento della Piccola Intesa, vi intravvede possibilità conseguente migliore intesa fra Italia e Cecoslovacchia. Ministro degli Affari Esteri ha già espresso personalmente a Stojadinovic siffatto modo di vedere del governo cecoslovacco ed egli, Benes, recandosi Belgrado, ben !ungi dall'intralciare comunque ulteriore favorevole sviluppo dell'accordo italo-jugoslavo, che assicura al sud pace per lungo tempo pericolosamente minacciata da attriti fra Roma e Belgrado, confermerà sua piena approvazione e soddisfazione.

Benes ha rammentato che alla conclusione del Patto di amicizia italo-jugoslavo del 19242 tenne dietro conclusione analogo patto italo-cecoslovacco da lui firmato a Roma 3 . Per quanto possano ritenersi immutate le condizioni e non ben chiare attuali

I Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Patto di amicizia e di collaborazione cordiale tra Italia e Regno serbo-croato-sloveno del 27 gennaio 1924 (testo in Trattati e convenzioni, vol. XXXI, pp. 48-50).

3 Patto di collaborazione cordiale tra l'Italia e la Repubblica cecoslovacca del 5 luglio 1924 (testo ibid., vol. XXXII, pp. 13-14).

499 posizioni politiche internazionali, è ammissibile-ha detto Benes-che da una più stretta collaborazione economica di già in atto, da una più intensa cooperazione culturale e da una più appropriata intesa di stampa si possa giungere ad accordi politici anche fra Italia e Cecoslovacchia ai fini raggiungere conveniente sistemazione Centro-Europa in generale e un comune appoggio al consolidamento dell'indipendenza austriaca in ispecie, senza che ciò debba rivelarsi in contrasto con orientamento politico rappresentato da Asse Roma-Berlino, tanto più che accordo fra Germania e Cecoslovacchia è nel novero delle possibilità.

Benes mi ha poi detto che sua visita a Belgrado non ha alcuno scopo speciale rientrando nell'ambito del normale scambio di cortesie a sfondo politico fra Stati della Piccola Intesa. Visita sarà restituita da Principe Paolo in epoca non ancora fissata. Ha decisamente escluso che possa formare oggetto sue conversazioni a Belgrado il noto progetto francese riorganizzazione Piccola Intesa cui paternità Benes fa risalire a Titulescu che fin da due anni fa avrebbe proposto a Parigi patto mutua assistenza non accettato dalla Francia proclive realizzazione completo sistema alleanza fra Parigi -Praga -Belgrado -Bucarest. Ha quindi formalmente escluso che, in sostituzione progetto francese, Romania stia ora trattando con Parigi per patto bilaterale, come ha fermamente negato che trattative del genere siano in corso fra Cecoslovacchia e Romania (telespresso di V.E. n. 209704 del 24 marzo u.s.) 1 . Nessun lontano accenno al riguardo vi sarebbe stato in occasione recente visita Tatarescu a Praga 2

Accennando ai rapporti con i Sovieti, Benes, dopo avere insistito sullo stato di necessità che ha spinto Cecoslovacchia, stretta fra revisionismo e nazismo, a chiedere aiuto da un pezzo a Mosca, ha concluso testualmente così: «Sono un avversario dichiarato del bolscevismo; non permetterò mai la formazione di un Fronte Popolare in Cecoslovacchia».

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L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2408/87 R. Budapest, 4 aprile 1937, ore 16 (per. ore 20, 10). Telegramma di V.E. n. 70 del 31 marzo3 .

Ho avuto occasione di intrattenere questo vice mm1stro degli Affari Esteri sulla campagna manifestatasi in questi ultimi tempi in Austria contro l'Italia e italiani.

Barone Apor, in un primo tempo, ha mostrato di non esserne a conoscenza e di non comprenderne le ragioni. Se una ve n'era, mi disse per altro continuando,

1 Ritrasmetteva il D. 289. 2 Del 22-25 marzo precedenti. 3 Vedi D. 361.

poteva essere ricercata nell'atteggiamento dell'Italia nei riguardi restaurazione. Era comunque sicuro che articolo di Gayda sul Giornale d'Italia 1 non era piaciuto in Austria. Molti giornali inoltre avevano interpretato accordo itala-jugoslavo come occasione seppellire possibilità restaurazione legittimista. A suo dire la Francia, che lavora attivamente a Vienna, avrebbe potuto valersi di tale contingenza per crearci difficoltà.

Ho detto ad Apor che, comunque stessero le cose, manifestazioni nei riguardi Italia avevano assai sfavorevolmente impressionato l'E.V. tanto che, se tale stato di fatto dovesse perdurare, potrebbe avere ripercussione politica tra Roma e Vienna. Connessa a quanto sopra doveva considerarsi la preghiera rivolta da V.E. a Schuschnigg di rinviare il suo viaggio a Roma alla seconda metà di aprile.

A questo punto, forse fingendo di non capire, Apor si è mostrato meravigliato che il Cancelliere Federale, che desiderava recarsi a Roma subito dopo Pasqua, avesse «deciso» di rinviare il suo viaggio. Ho allora replicato e precisato che tale rinvio era avvenuto non per «decisione» di Schuschnigg ma in seguito a preghiera dell'E.V. Apor è rimasto visibilmente sorpreso.

Mi riservo parlare alla prima occasione a questo presidente del Consiglio ed a Kanya fino a ieri assenti per le Feste.

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L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 2450/344 R. Salamanca, 5 aprile 1937, ore 21,40 (per. ore 11,15 del 6).

Operazioni in corso nel settore Bilbao sono state precedute da negoziati fra governo nazionale e governo basco tramite noto Jaregui.

Gesuiti baschi convinti proprio errore hanno facilitato trattative persuasi che situazione non (dico non) potrebbe lungamente durare. Discussioni sono state tumultuose e sono fallite causa pressioni anarchiche comuniste che hanno obbligato ultimo momento governo basco ritirarsi dalle negoziazioni riaffermando volontà resistere fino all'ultima ora. Unico risultato di quanto sopra è che ora separatisti baschi moderati seguono operazioni in corso con intima speranza che truppe nazionali vincano. Anche in questi giorni continuano in forma vaga trattative ma non (dico non) sembrano destinate successo e comunque non (dico non) influiscono sulle operazioni militari. Le quali svolgonsi da ieri con ritmo lento. Sembra che Nazionali difettino di mezzi e non (dico non) escludesi arresto.

Sulla situazione generale riferirò verbalmente in modo da prospettare esaurientemente realtà.

1 Vedi p. 263, nota 2.

407

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2474/079 R. Vienna, 5 aprile 1937 (per. il 7).

Sulla conferenza del Consiglio permanente della Piccola Intesa a Belgrado non si hanno sinora alla Cancelleria Federale notizie dirette. Mi sono state comunicate le notizie trasmesse da Berger come prime impressioni di Palazzo Chigi.

Il comunicato di Belgrado 1 è apprezzato qui sopra tutto per quello che i suoi undici punti non dicono.

L'assenza di ogni accenno al Patto di mutua assistenza collettiva è considerata come la confessione del fallimento dell'iniziativa francese.

Qui si assicurava fino all'ultimo momento, da parte tanto francese quanto cecoslovacca, che Krofta avrebbe insistito, anche per incarico della Francia, sul noto progetto, pur con la prospettiva d'insuccesso, prevedibile dopo le già note obiezioni specialmente jugoslave, che l'accordo recente con l'Italia non era certo atto a mitigare.

Il differimento del progetto è interpretato qui come sepoltura definitiva, prova evidente e precisa della trasformazione subita, in onta alle solite affermazioni del comunicato, dalla struttura intrinseca e dalla efficienza politica della Piccola Intesa.

Così l'adesione data agli accordi bilaterali tra la Jugoslavia, l'Italia e la Bulgaria è considerata come accettazione coatta di una autonomia dei singoli membri dell'Intesa, indipendente dalla volontà, sino a poco fa assoluta, della Francia e del suo più diretto esponente, la Cecoslovacchia. Di qui il compiacimento viennese per la maggior prospettiva di accordi diretti, politici ed economici, tra i singoli Stati della Piccola Intesa e i singoli Stati dei Protocolli Romani, adombrato molto chiaramente nei «tre Stati vicini», a cui si accenna nell'ultima frase dell'articolo 6° del comunicato di Belgrado.

Ma più di tutto si è qui soddisfatti del silenzio serbato sul problema della restaurazione. Non si attendeva tanto. Certo la conferma delle deliberazioni delle precedenti sessioni del Consiglio Pemanente (art. 3 del comunicato) implica il mantenimento delle riserve dei tre Stati contro la restaurazione in Austria ed in Ungheria. Ma nel non aver insistito, tanto meno con le minacciate intimazioni al governo di Vienna, si ravvisa qui un segno della volontà dei tre governi di non ingombrare con nuove difficoltà lo sviluppo dei rapporti tra i singoli Stati della Piccola Intesa da una parte e l'Austria o l'Ungheria dall'altra. Di ciò si dà il massimo merito all'opera di V.E. (mio telegramma per corriere nr. 074 del 1° corr.)2•

Per una parola d'ordine data dalla Cancelleria, i giornali di qui hanno evitato di esagerare i sintomi di minore compattezza della Piccola Intesa e hanno invece messo un rilievo i punti del comunicato di Belgrado che aprono maggiori possibilità a contatti tra gli Stati del bacino danubiano, nella direttiva originaria dei Protocolli di Roma. In questo proposito si è messa in evidenza anche la risoluzione votata contemporaneamente dal Comitato della Conferenza iriterparlamentare di Roma.

I Vedi p. 484, nota 3. 2 Vedi D. 375.

Per gli atteggiamenti immediati o prossimi dell'Austria verso la Jugoslavia e la Cecoslovacchia mi riferisco al mio telegramma per corriere in data odierna nr. 080 1•

408

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2473/080 R. Vienna, 5 aprile 1937 (per. il 7).

Mio telegramma per corriere in data odierno n. 792 .

Prevale alla Cancelleria Federale il concetto di non prendere per ora alcuna iniziativa, nè verso Belgrado, nè verso Praga. Si vuole attendere l'incontro tra il Duce e il Cancelliere. Ad ogni modo, si considera più vicina e meno difficile qualche trattativa con Belgrado che con Praga. Verso Praga premono bensì note influenze e noti interessi occidentali. Ma, mentre la via di Belgrado è spianata dall'accordo italo-jugoslavo, la via di Praga è imbarazzata dalla tensione con Berlino, oltre che dall'alleanza con Mosca.

In risposta ai ringraziamenti di Schuschnigg per le assicurazioni date a V.E. (mio telegramma n. 92 e telegramma per corriere n. 074 del 1° corrente)\ Stojadinovic ha fatto dire al Cancelliere con calorosa premura che apprezzava vivamente i sentimenti espressigli.

Elementi di giudizio per un'eventuale primo passo verso la Jugoslavia sul terreno economico saranno raccolti da Schuller a Roma. Intanto, il 15 corrente assumerà la direzione della legazione austriaca a Belgrado il nuovo ministro Wimmer. Si attende anche la nomina del nuovo titolare della legazione jugoslava a Vienna, vacante da pochi giorni per la morte di Nastasijevic, che per il suo carattere e la lunga infermità ha ben poco contribuito ai buoni rapporti tra i due Stati.

Per una successiva trattativa anche politica, in relazione alla intese da prendersi tra il Duce, V.E. e il Cancelliere, non mancherebbero gli argomenti. Primo, il trattamento delle minoranze slovene nella Carinzia e di qualche gruppo tedesco-austriaco nella Carinzia. Si profila insieme la difficoltà del problema della restaurazione, non evitabile da parte jugoslava in una conversazione politica con l'Austria.

V.E. avrà notato la particolare insistenza con cui è stata smentita la voce di un viaggio di Schuschnigg a Belgrado. Prevale qui ancora una viva avversione contro la capitale della vecchia Serbia, in relazione all'assassinio, colà ordito, di Francesco Ferdinando e alle origini della guerra che portò allo sfacelo della monarchia degli Asburgo.

Sebbene sia prematuro parlarne, si devono tener presenti le difficoltà di un incontro tra uomini di Stato jugoslavi ed austriaci a Belgrado. Schuschnigg stesso ne aborre. Non potendosi pretendere che segua a Vienna, l'incontro che apparisse necessario od opportuno, dovrebbe essere differito sino all'estate. Allora, la residenza della Corte e del governo jugoslavo a Bled, così vicina al confine austriaco, potrebbe risolvere ogni difficoltà.

t Vedi D. 408. 2 Vedi D. 407. 3 Vedi p. 454, nota 2 e D. 375.

409

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO,

TELESPR. RISERVATO 1309/607. Mosca, 5 aprile 1937 (per. il 12).

Scorrendo la stampa sovietica delle ultime tre settimane, salta agli occhi un fatto piuttosto inatteso: la cessazione completa da parte di questi giornalisti di qualsiasi attacco o polemica contro la Germania.

La cosa non può far a meno di sorprendere chi era abituato a leggere le violente diatribe che Pravda ed Isvestia, per non parlare dei giornali minori, lanciavano giornalmente all'indirizzo della politica tedesca e delle personalità maggiori del nazismo. Tuttociò è cessato, evidentemente in obbedienza ad una parola d'ordine venuta dall'alto, e l'Italia è rimasta sola come bersaglio degli scribi ufficiali dell'U.R.S.S. Questo fatto è stato rilevato da varie rappresentanze diplomatiche come sintomatico e non è mancato chi ha voluto vedere in esso il segno precursore di una fase nuova nei rapporti fra Germania ed U.R.S.S. Contemporaneamente, nell'ambiente dei giornalisti esteri ha circolato la voce di approcci che sarebbero in corso fra Mosca e Berlino in vista di possibili accordi di carattere politico.

Le indagini da me fatte non hanno confermato tale voce, ed io sono quindi propenso a considerarla infondata o, per lo meno, prematura. Sta di fatto, però, che un certo cambiamento è effettivamente sopravvenuto in questi ultimi tempi nell'atmosfera dei rapporti tedesco-sovietici, cambiamento che non ha avuto alcuna appariscente manifestazione concreta ma che sembra essere indicato, oltre che dal mutato contegno della stampa sovietica, anche dal linguaggio che tengono da qualche tempo i membri dell'ambasciata di Germania. Si è notato, infatti, che essi usano oggi, nel parlare dell'U.R.S.S., un tono che non è più lo stesso usato un mese fa. Si sentiva allora, nei loro giudizi sulle cose sovietiche, una animosità che oggi viene molto mitigata fino a dare l'impressione di un'attitudine perfettamente obbiettiva ed imparziale. Si tratta, come ho detto sopra, più che altro di una differenza di tono, dovuta forse a ragioni contingenti di tattica ed alla quale non vorrei attribuire soverchia importanza. Mi è parso comunque che essa meritasse la pena di essere segnalata a V.E.

Non ho beninteso mancato di sondare in proposito il mio collega germanico, ed egli mi ha ripetutamente affermato non esservi nulla di nuovo nei rapporti fra Berlino e Mosca. Non escludo che il conte von Schulenburg sia stato sincero in questa affermazione. Ricordo tuttavia, come ho già avuto occasione di informare

V.E. in altra occasione, che l'ambasciatore di Germania a Mosca si è sempre mostrato formalmente conciliante nel trattare con le autorità sovietiche, che nella questione degli arresti dei sudditi tedeschi egli ha evitato di inasprire la polemica ed ha raccomandato, tanto al proprio quanto al governo dell'U.R.S.S. le soluzioni di compromesso; noto infine che, secondo quanto si dice in questi ambienti diplomatici, lo Schulenburg (antico ufficiale dell'esercito imperiale) sarebbe personalmente molto benvisto dai dirigenti della Reichswehr e che quest'ultima non avrebbe sempre condiviso l'animosità del partito nazista verso la Russia sovietica. Al tempo stesso si dice che negli alti comandi dell'Armata Rossa vi sono uomini che avrebbero conservato per la Reichswher, dai tempi della stretta collaborazione militare russo-sovietica, delle simpatie che la tensione politica degli ultimi anni non sarebbe riuscita a distruggere totalmente. Tali uomini -fra cui si conterebbe lo stesso maresciallo Voroscilov-sarebbero in cuor loro favorevoli ad un riavvicinamento alla Germania e, qualora se ne presentasse l'occasione favorevole, non mancherebbero di esercitare la loro influenza in questo senso.

Da tutto quanto precede non intendo nè posso concludere che un riavvicinamento del genere sia già in opera. Ritengo però che esso non debba venire del tutto escluso dalle possibilità di un futuro più o meno lontano, ed è per questa ragione che ho creduto doveroso segnalare dei sintomi che indicano per lo meno un certo allentamento della tensione finora esistente 1 .

410

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ATTOLICO, E A LONDRA, GRANDI, E AI MINISTRI A CITTÀ DEL MESSICO, MARCHETTI, E A LISBONA, MAMELI,

T. 731/c. R. Roma, 6 aprile 1937, ore l.

(Per tutti) Questo incaricato d'affari del Messico mi ha fatto pervenire una nota2 . Premette che le dichiarazioni nostro rappresentante nella seduta del Sottocomitato del 23 marzo 3 -fatte in relazione estensione accordo non intervento anche a Paesi extra-europei con particolare riguardo al Messico-hanno suscitato profonda sorpresa del suo governo che le interpreta come tentativo limitare indebitamente i suoi diritti sovrani in materia internazionale. Ricorda l'appello testé rivolto dal suo Paese alla Società delle Nazioni ed afferma che la politica di non intervento sin qui praticata prolunga il conflitto spagnuolo invece di accorciarlo. Aggiunge che neutralità bene intesa dovrebbe condurre a dare ogni appoggio alle autorità rosse di Valencia, che rappresenterebbero la volontà nazionale della Spagna, contro la fazione militare appoggiata da elementi estranei alla vita del Paese ed alle sue tradizioni politiche.

2) La delegazione italiana presso la Società delle Nazioni informa che il delegato del Messico a Ginevra ha consegnato al Segretariato una nota presso a poco analoga, omesso naturalmente il riferimento alle dichiarazioni di Grandi.

Eguale passo (e quindi senza tale ultimo riferimento) è stato fatto a Lisbona e a Lima. Secondo riferiscono i Regi Ministri nelle due predette capitali, note nello

l Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Non pubblicata. La nota porta la data del 31 marzo.

3 Nel corso di quella seduta, l'ambasciatore Grandi aveva affermato che il governo messicano si era «fatto tramite del più scandaloso contrabbando d'armi e di uomini verso la Spagna», per cui era urgente che le disposizioni dello schema di controllo ed ogni altra norma elaborata dal Comitato fossero estese «al Messico e agli altri Paesi extra-europei specialmente interessati alla guerra civile spagnola». Il Comitato aveva deliberato che i governi dei Paesi aderenti al non intervento fossero interpellati in merito.

stesso senso sarebbero state fatte pervenire alle grandi Potenze, agli Stati latino-americani e agli altri governi maggiormente interessati nella questione spagnuola.

3) Governo messicano, a quello che è dato giudicare e prescindendo dallo spunto polemico con l'Italia, puramente occasionale, intende con questa sua mossa parare iniziativa Comitato invitare anche Stati non aderenti accordo ad impegnarsi alla non ingerenza.

4) Mi propongo di rispondere al Messico quanto segue: confermare cioè che nella seduta del 23 marzo è stata -e non per la prima volta -sollevata la questione dell'estensione dell'accordo di non intervento ad altre Potenze che non fanno parte dell'accordo stesso. Notare che, secondo le informazioni pervenute, il Sottocomitato ha deciso che i vari rappresentanti dei Paesi aderenti al non intervento -e cioè 27 Stati europei -consultino i loro governi sull'opportunità che siano fatti passi presso gli Stati indicati affinché essi accettino di applicare le stesse norme che i 27 Stati predetti hanno unanimamente deciso di adottare. Infine, rilevare che il governo Italiano risponderà secondo il suo ben noto punto di vista, e cioè in senso esplicitamente affermativo.

(solo per Londra) Quanto precede per Sua informazione e norma. Avverto che nel comunicare quanto precede ai governi di Berlino e di Lisbona, ho aggiunto quanto segue:

(per tutti meno Messico City) Prego informare di quanto precede codesto governo. Ragioni del contenuto della risposta al governo messicano e delle istruzioni a Grandi sono ovvie. Converrebbe che anche codesto governo adottasse analogo atteggiamento. Prego telegrafare.

(solo per Messico City) Quanto precede per Sua informazione 1•

411

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, E ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 4530/145 R. Roma, 6 aprile 1937, ore 20,40. e 4530/305 P.R. 2

(Per tutti).

Risulta da fonte sicura che governo di Valencia sta svolgendo le più insistenti premure a Mosca per ottenere ulteriori invii di materiale aereo e di piloti per

l Da Lisbona, il ministro Mameli telegrafava di avere fatto la comunicazione prescrittagli al segretario generale del ministero degli Esteri che aveva concordato subito con il punto di vista italiano e, sentito Salazar, aveva poi inviato all'ambasciatore a Londra istruzioni di agire nel senso indicato da Ciano (T. 2483181 R. del 7 aprile).

Per la risposta da Berlino si veda il D. 418 e per quella da Città del Messico il D. 427.

2 Minuta autografa.

506 assicurareai rossi una netta superiorità nel campo dell'aviazione. A Valencia si è convinti che le sorti della guerra saranno decise dalla prevalenza delle forze aeree. Risulta che tra gli argomenti fatti valere presso il governo Sovietico a sostegno di tali tesi è stato citato l'appoggio dato dall'aviazione rossa alle truppe che difendevano Guadalajara e che avrebbe, secondo Valencia, avuto un'influenza decisiva sull'esito dell'azione. Parimenti all'aviazione si attribuiscono i recenti successi contro Queipo de Llano. Il governo di Valencia fa presente che l'aviazione nazionalista è in via di accrescimento e che presto potrà essere superiore a quella rossa come proverebbe l'offensiva aerea contro il fronte basco. Detta offensiva starebbe determinando una situazione considerata dai rossi di straordinaria gravità. Il governo di Valencia insiste, perciò, perché gli invii di apparecchi abbiano luogo d'urgenza.

(Solo per Salamanca) Porti quanto precede a conoscenza di Franco segnalandogli apprezzamenti dei rossi sulla situazione al fronte basco e gli comunichi anche che R. Governo oltre all'invio di 9 S. 79 già arrivati in volo e di 24 apparecchi da caccia (di cui 20 Cr. 32 e 4 Breda 65), arrivati in questi giorni con piroscafo, provvede a inviare altri 20 Cr. 32 e 4 Breda 80. Di quanto precede informi Colli.

(Solo per Berlino) Porti quanto precede a conoscenza di Goring e gli sottolinei importanza decisiva che si annette da parte dei rossi all'accrescimento delle forze aeree nazionali e ai loro risultati sul fronte basco. Gli dica che R. Governo oltre agli apparecchi di cui al mio telegramma n. 138 1 sta approntando l'invio di altri 20 Cr. 32 e di 4 Br. 80. Le informazioni che precedono mostrano la necessità di un ulteriore sforzo anche da parte della Germania.

412

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO,

T. PERSONALE 2472/271 R. Londra, 6 aprile 1937, ore 21,34 (per. ore 6 del 7).

Ho ricevuto e Ti ringrazio tua lettera del 2 aprile n. 30632 .

Impressione che Drummond ti ha dato corrisponde a quella che ho ricevuto dallo stesso Vansittart con il quale ho avuto oggi, a sua richiesta, conversazione non appena egli è stato ritorno Londra 3 .

Con mio telegramma n. 257 del lo aprile4 ti ho alluso mia sensazione che «recente tempesta nei rapporti itala-inglesi finirà per avere ripercussioni benefiche» e che dichiarazioni africane del Duce 5 costituiscono «punto di partenza

1 Vedi p. 475, nota 3.

2 Vedi D. 384.

3 Per questa conversazione si veda il D. 425.

4 Vedi D. 373.

s Riferimento all'intervista rilasciata il 18 marzo a Ward Price (vedi p. 365, nota l) e al discorso pronunciato il giorno precedente a Tripoli, nel quale Mussolini aveva dichiarato che l'Italia non aveva «disegni reconditi e mire aggressive contro chicchessia» e che entro il Mediterraneo e fuori gli italiani desideravano vivere in pace con tutti.

della nuova fase dei rapporti italo-inglesi». Si tratta, per ora, a mio avviso, di una tendenza più che di una precisa direttiva politica e soggetta quindi a possibile revisione e mutamento che esperienza indica essere malattia cronica del governo britannico.

Come ho informato 1 , Sargent è partito per Roma avantieri con la scusa del viaggio di riposo ma effettivamente con l'incarico prendere contatti, sondare il terreno e riferire impressioni. Aggiungo che a quanto mi risulta Sargent è stato incaricato di esplorare quali potrebbero essere nuove possibilità per politica Italia Inghilterra anche in relazione eventuale riconoscimento dell'Etiopia da parte del governo britannico.

Mi riservo riferire più dettagliatamente per lettera 2 .

413

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTJ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO,

T. RISERVATO PER CORRIERE 2456/26 R. Roma, 6 aprile 1937 (per. stesso giorno).

L'ambasciatore Attolico è venuto a vedermi in ambasciata, sabato scorso tre corrente. Mi sono espresso con lui nel senso del mio telegramma per corriere n. 22 del 15 marzo3 . Gli ho detto, in altri termini, che la Santa Sede non desidera la rottura. Essa è però preparata al peggio, se il Reich credesse di spingere la vertenza alla sue ultime conseguenze.

Il collega mi ha detto che si arriverà probabilmente alla rottura se la Santa Sede si rifiuta di conversare.

Ho domandato su quali basi potrebbero aggirarsi le trattative. Il R. Ambasciatore mi ha risposto che, a suo parere, il Reich potrebbe essere disposto a transigere riguardo al neo-paganesimo, alle pratiche per la sterilizzazione e simili. Al contrario, le Autorità naziste mantengono un'intrasigenza assoluta in tema di educazione della gioventù, pur dimostrandosi disposte di assicurare ai giovani l'insegnamento religioso.

Ho ripetuto stamane quanto precede al cardinale segretario di Stato. Egli non ha accolto male la mia comunicazione. Mi ha risposto che la Santa Sede non vuole rompere ed ha soggiunto ch'essa è sempre disposta a conversare.

Il cardinale Pacelli non si è pronunciato, in un senso o nell'altro, su punti posti innanzi dall'ambasciatore Attolico. Si è limitato a dirmi e a ripetermi, parec

1 Con T. 2432/267 R. del 5 aprile. Grandi aveva raccomandato che Sargent potesse riportare da Roma un'impressione che lo inducesse ad agire per un chiarimento dei rapporti italo-britannici, dato che Sargent, molto ostile alla Germania, «si era dimostrato sempre animato da un generale interesse verso l'Italia».

2 Vedi D. 425.

3 Vedi D. 339.

chie volte, che la Santa Sede è pronta oggi, come lo è sempre stata in passato, a parlare con il Reich. Il cardinale Pacelli non ha aggiunto nulla che potesse indicare sfiducia in eventuali nuove trattative con il Reich.

414

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO,

T. PER CORRIERE 2517/073 R. Parigi, 6 aprile 1937 (per. il 9).

Da vari giorni la stampa ed i circoli politici e diplomatici di Parigi fanno un gran parlare della pacificazione fra il Cancelliere Hitler ed il generale Ludendorff1 , ne discutono i metodi palesi e reconditi e ne traggono conseguenze che per quanto riguarda i francesi sono pessimiste.

Ieri poi è stata pubblicata la notizia, emanata dallo stesso generale Ludenforff, che il neo-paganesimo germanico da lui predicato sarebbe stato riconosciuto come legale, tal quale due branche della religione cristiana, quella cattolica e le varie chiese riformate. Essa produsse un'impressione vastissima, ancora accresciuta dalle notizie pubblicate stamane secondo le quali l'Osservatore Romano avrebbe assimilato il neo-paganesimo germanico al bolscevismo.

Nella visita da me fatta testé al signor Léger, il discorso cadde anche su questi avvenimenti. Gli chiesi quali notizie fossero pervenute al riguardo al Quai d'Orsay da Berlino. Egli rispose che l'ambasciatore François-Poncet aveva commentato la pacificazione fra il Fuehrer ed il generale Ludendorff in modo assai diverso dalla stampa francese. Egli scorgeva sopratutto in tale avvenimento un nuovo abile passo compiuto dal Cancelliere Hitler che si sforza da. molto tempo di eliminare tutte le divergenze separanti i tedeschi. François-Poncet non aveva, sino ad oggi, riferito nulla circa il riconoscimento ufficiale del neo-paganesimo di Ludendorff. Léger desiderava conservare pertanto la speranza che le notizie della stampa non fossero esatte e ciò tanto più che le notizie pervenute dall'ambasciatore di Francia a Berlino sembrano escludere nel Fuehrer l'intenzione di assumere verso la Chiesa cattolica un atteggiamento di sfida o anche di lotta. Egli nutrirebbe per contro intendimenti piuttosto concilianti e relativamente remissivi.

Léger aggiunse che se le notizie non ancora confermate risultassero esatte, ciò significherebbe la vittoria degli elementi razzisti intransigenti sopra le tendenze moderate. In tal caso potrebbe in breve tempo crearsi in Germania una situazione estremamente pericolosa di cui dovrebbero preoccuparsi tutti gli Stati, perchè avrebbe vaste ripercussioni di ordine morale, politico, sociale interessanti l'intiero mondo civile.

I Vedi D. 379.

415

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 2411/794. Parigi, 6 aprile 1937 (per. il 9).

Sono stato oggi dal signor Léger per trattare con lui talune questioni in sospeso, fra cui quella dell'ospedale italiano di Tunisi e quella del conflitto fra ascari francesi e gente Issa nella località di Gorgonei, in territorio etiopico.

La conversazione assunse un carattere più generale quando io insistetti sulla necessità di regolare sollecitamente, mediante lo scambio di note convenuto, la situazione di diritto dell'ospedale italiano di Tunisi, in modo da iniziare i lavori di costruzione di quello nuovo, che sono urgentissimi. Posi infatti in rilievo la grande importanza che il regolamento amichevole di tale problema avrebbe avuto in questo momento, giacché esso costituirebbe una prova delle intenzioni amichevoli della Francia verso l'Italia, intenzioni di cui si mena grande scalpore senza che sinora se ne veda alcun segno. Il signor Léger riconobbe che il Quai d'Orsay, che aveva promesso di esaminare il progetto di scambio di note da me rimessogli oltre un mese fa, era in colpa non avendomi dato una risposta e mi promise di interessarsi personalmente della cosa.

Visto che eravamo ormai sul terreno della politica generale, domandai al signor Léger se gli scambi di idee col governo britannico circa il modo migliore per addivenire al riconoscimento di diritto della sovranità italiana sull'Etiopia avessero continuato e se fossero giunti ad una conclusione (vedi mio telegramma per corriere del 3 marzo

u.s. n. 046) 1 . Non vi era infatti dubbio che il riconoscimento suddetto da parte dei governi di Parigi e Londra avrebbe avuto una grande ripercussione in tutto il mondo e contribuito enormemente a ristabilire fra l'Italia e la Francia, nonchè l'Inghilterra, relazioni che oggi sono purtroppo assai tese e che, per quanto riguarda specialmente la Francia, culminano nella assenza dell'ambasciatore della Repubblica da Roma.

Il signor Léger rispose che gli scambi di idee con Londra dei guaii avevo fatto menzione non avevano potuto purtroppo essere continuati. Il signor Corbin, che viene più volte durante un mese da Londra a Parigi preferendo esporre di persona le sue impressioni al Quai d'Orsay, trattare affari e ricevere istruzioni, gli aveva in due visite parlato della impressione deleteria prodotta su talune classi della società britannica dalle notizie pervenute da Addis Abeba circa il modo con cui era stato punito l'attentato contro il vicerè maresciallo Graziani 2 . Secondo il signor Léger le notizie di cui si tratta, che al Quai d'Orsay erano state conosciute otto o dieci

1 T. 1570/046 R. del 3 marzo. L'ambasciatore Cerruti aveva riferito che, a quanto gli risultava, gli uffici competenti del Quai d'Orsay e del Foreign Office avevano fissato di comune accordo la procedura da seguire qualora i loro governi avessero deciso di riconoscere l'impero italiano. Tale procedura sarebbe consistita in una dichiarazione fatta dalle delegazioni francese e britannica alla Società delle Nazioni nel senso che, data la situazione di fatto esistente in Etiopia, ogni singolo Stato era libero di decidere in merito: su questa premessa, Gran Bretagna e Francia. avendo interessi speciali in Etiopia ed avendo sottoscritto l'accordo !ripartito del 1906, comunicavano che era loro intenzione riconoscere la sovranità dell'Italia in Etiopia.

2 Vedi p. 239, nota l.

giorni dopo gli avvenimenti, e che egli, d'accordo col mm1stro Delbos, aveva provveduto a non lasciare trapelare in pubblico (ne parlarono, ad onore del vero, a Parigi soltanto i fogli estremisti: Humanité, Populaire, e l'Oeuvre in articoli di Madame Tabuis), avevano impiegato invece quasi un mese a raggiungere Londra. Nella capitale inglese se ne era però fatto un caso enorme nei giornali e la questione era stata portata dinanzi al Parlamento dando luogo a pubblici dibattiti e ad una dichiarazione dello stesso sottosegretariato di Stato permanente degli Affari Esteri. Dato questo stato di cose il governo francese non riteneva fosse il caso di riprendere, almeno per il momento, col governo britannico, la trattazione di un argomento tanto delicato perché esso sarebbe stato costretto a trincerarsi dietro la levata di scudi della opinione pubblica inglese.

Il signor Léger osservò che fortunatamente eravamo ancora a 50 giorni di distanza dal 26 maggio, data in cui si riunirà a Ginevra l'Assemblea della S.d.N., cosicché voleva sperare che in questo lasso di tempo l'atmosfera si sarebbe chiarita e che il governo britannico fosse in grado di assumere un atteggiamento conforme da un lato all'amicizia che vorrebbe presiedesse nuovamente alle sue relazioni con l'Italia, dall'altro, ai suoi interessi vitali nel Mediterraneo. Egli tenne però ad aggiungere -desiderando di essere sincero e di non lasciare quindi sussistere in me, nè dubbi, nè illusioni -che se i fatti accaduti ad Addis Abeba non avevano commosso l'opinione pubblica francese, anche perché erano stati opportunamente occultati, le difficoltà per la Francia di procedere al riconoscimento della sovranità italiana sull'Etiopia esistevano ugualmente ed erano non meno gravi ancorché diverso ne fosse il movente. Sapeva che il ministro Delbos, nelle sue conversazioni meco, aveva accennato agli ostacoli sorti in conseguenza dell'atteggiamento assunto dal governo fascista in Spagna.

Interruppi il signor Léger per dirgli ch'egli non ignorava certo che la connessione che il signor Delbos aveva voluto istituire tra la sovranità di diritto dell'Italia in Etiopia e la politica spagnuola del governo fascista era stata da me immediatamente dichiarata inammissibile. Il mio governo mi aveva poi impartito l'istruzione di confermare al signor Delbos che esso non riteneva di poter considerare nemmeno per un momento l'esistenza di un legame fra due questioni politiche che erano totalmente diverse.

Il signor Léger ammise di conoscere tale nostra risposta, osservò però che in politica ciascuno, almeno per un certo tempo, conserva le proprie opinioni cosicché non avrebbe servito gran che discutere due punti di vista così diversi. Egli riteneva viceversa necessario che ci rendessimo conto entrambi delle difficoltà assai serie che esistevano, difficoltà che il governo francese desidererebbe vivamente di eliminare dato che esso si rende perfettamente conto che occorre ridare ai rapporti italo-francesi quella normalità che con reciproca buona volontà potrebbe cedere nuovamente il posto ad una sincera cordialità.

Aveva accennato a delle difficoltà -proseguì il signor Léger -e queste erano a vero dire non solo serie ma anche numerose. A parte il profondo accoramento che produce su ogni francese l'insistenza con cui viene in solenni discorsi italiani posto in sempre maggiore rilievo il valore dell'asse Roma-Berlino, al quale si vogliono connettere anche avvenimenti politici che hanno diversa origine, egli doveva dirmi che non c'era parte del mondo in cui la politica dell'Italia da qualche mese a questa parte non stesse minando le posizioni della Francia. Particolarmente risentite erano le attività anti-francesi dell'Italia in Siria, in Tunisia, Algeria e Marocco e, come vedevo, si asteneva volutamente dal menzionare altri Paesi. Recentemente si era intrattenuto col Residente Generale in Tunisia, signor Guillon, ed aveva appreso da lui che l'atteggiamento delle autorità italiane nella Reggenza, da remissivo ch'era stato dopo gli accordi di Roma, aveva ripreso negli ultimi tempi l'antica invadenza. Nei moti nazionalisti musulmani dei possedimenti e territori di mandato francesi sarebbe stato vano negare che entrasse la mano dell'Italia, dato che le stesse autorità consolari non ne fanno mistero.

Si aggiunga a tutto il partito preso che sembra esistere da parte dell'Italia contro il commercio francese nell'A.O. italiana, caratterizzato dall'atteggiamento assunto nei riguardi della Ditta Besse 1 che è la maggiore impresa commerciale francese in quella regione. Gli erano stati segnalati articoli di giornali italiani in cui la Ditta stessa ed il suo proprietario venivano accusati di ogni sorta di nefandezze e disonestà. Ora egli doveva dirmi francamente che trovava deplorevole il sistema consistente nel coprire di pubbliche accuse un commerciante francese che, secondo il suo intimo convincimento, non era affatto un uomo disonesto e che se aveva potuto agire talvolta, per cause indipendenti dalla sua volontà, contro gli interessi dell'Italia, avrebbe dovuto avere il diritto di essere ascoltato e di potersi giustificare.

Ho risposto al signor Léger che per le lamentele concernenti l'asse Roma-Berlino non potevo far altro che pregarlo di ricordare gli errori commessi dai vari Gabinetti francesi durante la guerra itala-etiopica, soprattutto posteriormente al 7 marzo 1936.

I suoi accenni alla nostra azione anti-francese in varie regioni mediterranee erano vaghi cosicchè non avevo modo di rendermi esatto conto delle sue lagnanze. Quanto al caso Besse, formando esso tuttora oggetto di esame, non mi erano note le risultanze dell'inchiesta ordinata tosto che ricevemmo il reclamo del governo francese.

La conversazione terminò colla ripetizione da parte del signor Léger della speranza che il mese e mezzo che ci separa dall'Assemblea straordinaria della S.d.N. potesse apportare la pacificazione degli animi necessaria per regolare diplomaticamente la situazione dell'Etiopia.

Il signor Léger ricordò che vi erano bensì in Francia uomini politici e pubblicisti i quali si compiacevano della presente tensione itala-francese; essi erano peraltro una infima minoranza ed il Paese come il Governo voleva proprio l'opposto.

Egli non si perdeva dunque d'animo e confidava che, agendo allo stesso modo, avrei da parte mia cercato di fare tutto il possibile per superare un momento particolarmente delicato dei rapporti fra i nostri due Paesi.

Ogni mossa, per piccola che fosse, assumeva nella situazione presente un'importanza grandissima, dato che entravano subito in gioco considerazioni di politica interna. Occorreva dunque che nulla fosse omesso, dalle due parti, per evitare l'affiorare di nuovi scogli e per cercare di evitare con cura d'incagliarsi in quelli già esistenti.

La conversazione che ho riferito fedelmente a V.E. mi sembra della maggiore importanza. Essa fu improntata alla consueta grande cortesia dalle due parti, il che non impedì al signor Léger di lagnarsi meco con molta fermezza ed energia, soprattutto nei riguardi del caso Besse.

I Vedi p. 453, nota 3.

Ancorché il signor Léger abbia quasi evitato di parlare della Spagna, ebbi l'impressione che la preoccupazione per ciò che potrebbe ulteriormente accadere in quel Paese dominava tutta la conversazione ed ispirava ogni parola del mio interlocutore 1 .

416

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2492/272 R. Londra, 7 aprile 1937, ore 13,17 (per. ore 18,10).

Stamane Eden mi ha pregato andarlo a trovare. Era presente Plymouth.

Eden ha cominciato col dirmi che egli, d'accordo con Plymouth, aveva cercato evitare (resistendo alle richieste sovietiche) che Sottocomitato non intervento si riunisse appositamente in settimana e ciò allo scopo lasciare vieppiù smorzare polemiche dei giornali e migliorare nel frattempo atmosfera turbata nei rapporti fra l'Italia e l'Inghilterra. Eden ha continuato dicendomi che in vista formale richiesta fatta oggi da rappresentante sovietico per una convocazione urgente del Sottocomitato allo scopo esaminare proposta sovietica d'invio in Spagna Commissione investigazione sull'asserita presenza di truppe italiane regolari 2 , riesce difficile al presidente del Comitato procrastinare riunione.

Governo britannico -Eden ha detto è convinto che a parte la questione sulla competenza del Comitato di accogliere proposta sovietica, una discussione su tale proposta darebbe luogo a nuovi dibattiti incresciosi e perciò deve essere fatto ogni sforzo per evitarla. Lord Plymouth pertanto si riprometterebbe sottoporre nuovamente al Comitato la questione ritiro volontari davanti Commissione tecnica, facendo presente la oppotunità che esame proposte conclusive sia rinviato a quando Comitato avrà raggiunto sue conclusioni sulla questione ritiro volontari. Prima tuttavia di procedere in questo senso Eden, richiamandosi alle dichiarazioni da me fatte nella seduta del 233, secondo le quali obiezioni sollevate dall'Italia non erano di carattere definitivo ma si riferivano esclusivamente al particolare momento in cui discussione avveniva, mi pregava fargli conoscere anche in considerazione ... 4 atmosfera contro l'Inghilterra, se governo italiano avrebbe consentito nella prossima riunione ad accettare proposte Plymouth di affidare Commissione tecnici studio della questione ritiro volontari.

Ho risposto ad Eden che avrei riferito a V.E. e che mi riservavo dargli una risposta.

I Il documento ha il visto di Mussolini. Questo documento fu ritrasmesso, con telespresso 213134/C del 19 aprile, all'ambasciata a Londra con la seguente aggiunta: «Da quanto precede risulta che da parte francese si tende a far credere che le difficoltà per una soluzione definitiva della questione etiopica nella prossima Assemblea straordinaria della Società delle Nazioni sarebbero specialmente da parte inglese. Mi sarà gradito ricevere da V.E. informazioni e impressioni in proposito». Per la risposta dell'ambasciatore Grandi si veda il D. 524.

2 La proposta era stata avanzata dal delegato sovietico nella seduta del 24 marzo del Comitato di non intervento.

3 Per la quale si veda il D. 327.

4 Nota dell'Ufficio Cifra: «un gruppo indecifrabile».

Tenendo presente contenuto del telegramma n. 649 del Duce 1 mi riprometterei, salvo contrarie direttive, di comunicare a Eden nella giornata di venerdì che V.E. consentirebbe alla nomina commissione tecnica studio ritiro volontari, alla condizione che il Comitato ricusi ripresa in esame, o almeno rinvii indefinitivamente esame, delle proposte sovietiche.

417

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2488/83 R. Belgrado, 7 aprile 1937, ore 21,15 (per. ore 23,50).

Mio telegramma n. 792 . Ho veduto ier sera Stojadinovic alla legazione cecoslovacca. Mi ha detto di aver parlato francamente a Benes e mi ha espresso il desiderio di fare sapere a

V.E. che la via concordata in occasione degli accordi di Belgrado non ha subito la minima variazione e che è deciso a seguirla senza oscillazioni. Mi ha pregato di confermare a V.E. che il patto di mutua assistenza3 è definitivamente sepolto. Visita di Benes ha sigillato l'estrema speranza di attenuare la portata della nuova situazione creata dalla visita di V.E. a Belgrado.

Aggiungo a titolo di cronaca che ier sera alla legazione cecoslovacca erano invitati i principali esponenti depe varie opposizioni al governo di Stojadinovic. Dal canto suo, Benes mi ha detto che contava che l'accoglienza solenne fattagli a Belgrado non avrebbe incontrato malcontento da parte nostra. L'ho naturalmente assicurato del contrario.

418

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2493/165 R. Berlino, 7 aprile 1937, ore 21,40 (per. ore 23,50).

Telegramma di V.E. n. 731 del 6 corrente 4 . Neurath, consultato telefonicamente, è di avviso che nota messicana, sia una «impertinenza» e non meriti

I Vedi D. 334.

2 T. 2455n9 R. del 6 aprile. Riferiva che nei brindisi scambiati al pranzo ufficiale offerto al Presidente della Repubblica Cecoslovacca, Benes, in visita a Belgrado dal 5 al 7 aprile accompagnato dal ministro degli Esteri Krofta, il Principe Reggente si era «mantenuto abilmente nella nota tendenza assunta dalla Jugoslavia: Piccola Intesa sì, ma a condizione che faccia opera di pace e di collaborazione con tutti nell'interesse generale europeo».

3 Si riferisce al progetto francese di estendere la solidarietà tra gli Stati della Piccola Intesa al di là dell'ipotesi di un'aggressione da parte dell'Ungheria, attraverso un patto al quale avrebbe partecipato anche la Francia.

4 Vedi D. 410.

l'onore di una risposta, tanto meno immediata. Si riserva riesaminare questione al suo ritorno.

A vendo io peraltro fatto rilevare che nota va almeno subito parata in quanto manovra intesa a frustrare eventuali iniziative del Comitato Londra inceppandone libertà di azione, Dieckhoff si è mostrato disposto a mandare a Ribbentrop istruzioni nel senso di cui al paragrafo 5 1 del telegramma di V.E. Conclusioni: l) nessuna risposta per ora alla nota; 2) istruzioni ai rispettivi ambasciatori a Londra di consentire ad una estensione delle norme di controllo anche ai Paesi non partecipanti al Comitato.

419

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2522/075 R. Parigi, 7 aprile 1937 (per. il 9).

Mio telegramma per corriere n. 067 del 3 corr 2 .

A titolo di controllo delle informazioni datemi dal signor Léger, ho avuto ieri una conversazione col mio collega belga, durante la quale ho procurato di appurare come si fossero svolte le cose tra la Francia ed il Belgio circa la questione della «indipendenza politica» adottata da quest'ultimo Stato.

Il conte de Kerchove mi confermò che, in occasione di una sua visita al Quai d'Orsay un paio di mesi fa, il signor Léger, premettendo di parlare debitamente autorizzato dal ministro degli Affari Esteri ed in nome del governo francese, gli aveva comunicato l'adesione incondizionata della Francia ai nuovi concetti politici del governo belga. Tale comunicazione spontanea senza alcuna riserva ad accompagnata dalla conferma dell'impegno unilaterale della Francia di prestare assistenza al Belgio qualora fosse aggredito da un altro Stato, aveva prodotto la migliore impressione a Bruxelles ed il governo belga lo aveva incaricato di rendersi interprete di tali sentimenti presso il Quai d'Orsay.

Per quanto concerne il resto delle cose dettemi dal signor Léger, il conte de Kerchove confermò che lo Stato Maggiore belga si augura che la costruzione del prolungamento della linea Maginot sino al mare possa sconsigliare ai tedeschi di invadere il Belgio per attaccare da questo lato la Francia. Il mio collega ha aggiunto che il Belgio è fermamente deciso, qualora dovesse essere aggredito un'altra volta dal Reich, di seguire esattamente la linea di condotta del 1914, cioè di difendere accanitamente il proprio territorio e nulla più. A questo scopo lo Stato Maggiore belga aveva deciso di fortificare la linea della Schelda mediante la costruzione di fortini staccati, mentre la regione sita sulla sponda destra del fiume verrebbe allagata per arrestare l'avanzata dell'invasore. Il conte di Kerchove mi lasciò inoltre inten

l Sic. Leggasi «paragrafo 4». 2 Vedi D. 400.

dere che l'atteggiamento assunto dal governo francese toglieva ogni ragione di ulteriori conversazioni al riguardo «tra i due governi».

Alla mia richiesta se ciò significasse che continuavano le conversazioni fra Stati Maggiori, il mio collega evitò di rispondere esplicitamente !asciandomi peraltro comprendere che siccome la linea politica seguita dal suo governo non modificava uno stato di cose che era la conseguenza della situazione geografica del Belgio, questo Stato doveva pensare ai fatti suoi e prendere le necessarie precauzioni. Il che in altri termini mi sembra significare che gli Stati Maggiori francese e belga continueranno a tenersi in contatto.

420

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2552/06 R. Bucarest, 7 aprile 1937 (per. il 10).

Col precedente corriere 1 resi conto a V.E. delle nuove aperture fattemi dal signor Antonescu, prima della sua partenza per Belgrado 2 , circa le possibilità di un riavvicinamento italo-romeno. Ebbi cura di sottolineare le sue promesse e i suoi buoni propositi per raggiungere un fronte comune con la Jugoslavia, per avere così maggiore autorità di esercitare una pressione sulla Cecoslovacchia nel problema della «parità di diritti» per l'Ungheria.

Aggiungevo peraltro: «Resisteranno queste promesse, questi buoni propositi alle more del viaggio? E resisteranno all'atmosfera creatasi nei rapporti tra la Jugoslavia e gli altri due membri della Piccola Intesa in seguito alla disinvolta indipendenza dimostrata dal signor Stojadinovic nel tessere i suoi accordi con Roma e con Sofia? E non sarà il signor Antonescu indotto a cercare una solidarietà piuttosto con Praga che con Belgrado?».

Un primo incontro, ieri, con il ministro degli Esteri, signor Antonescu, dopo il suo ritorno da Belgrado, mi permette, se non di rispondere in maniera precisa e definitiva a tali interrogativi, di trarre almeno qualche fondata induzione sui risultati dei colloqui di Belgrado.

Dalle parole di Antonescu ho rilevato anzitutto che la Conferenza della Piccola Intesa si è aperta in un'atmosfera assai grave. L'offensiva contro l'accordo italo-jugoslavo è stata sferrata dal signor Krofta con parole amare, e non senza l'accusa che esso non solo metteva in pericolo, dal punto di vista politico, l'unità della Piccola Intesa, ma costituiva una vera e propria «infrazione» agli Statuti del cosidetto superstato, redatti da Benès e da Titulescu, con l'acquiescenza di Jeftic, nel febbraio del 19333 .

I Vedi D. 367.

2 Per la riunione del Consiglio della Piccola Intesa (1-2 aprile).

3 Si riferisce al trattato fra Jugoslavia, Romania e Cecoslovacchia sottoscritto a Ginevra il 16 febbraio 1933 (testo in MARTENS, vol. XXVIII, pp. 323-326).

Antonescu, invece, desideroso di non inasprire una polemica che avrebbe potuto essa stessa arrecare un nuovo colpo alla Piccola Intesa, ha esercitato azione moderatrice sul signor Krofta sostenendo la tesi che la Piccola Intesa non poteva avere, come sua direttiva, quella di impedire ai singoli componenti di instaurare rapporti di cordiale vicinato con gli Stati vicini, soprattutto quanto si trattava, per ciascuno dei tre membri della Piccola Intesa, del più potente vicino. La Romania, quindi, non vedeva con diffidenza, ed anzi si rallegrava delle nuove relazioni instaurate fra Roma e Belgrado, allo stesso modo che si sarebbe sinceramente . rallegrata se un giorno la Cecoslovacchia avesse potuto seguire la stessa via nei riguardi della Germania. Il rischiararsi dell'orizzonte politico di questa parte dell'Europa, era interesse comune.

Parole sagge, che corrispondono ad un sentimento che è certamente qui generalizzato. Quel che però Antonescu non ha detto (perché non si inquadrava con tale atteggiamento di saggezza e di moderazione) è che anche in Romania l'accordo fra Roma e Belgrado è stato considerato per quello che è, cioè un sintomo della debolezza della Piccola Intesa. Questo pensa lo stesso Antonescu e, a quattrocchi, lo dice pure: comunque a Belgrado egli ha fatto il nostro giuoco. L'atteggiamento di Antonescu trova conferma anche nel telegramma del ministro Indelli dalla E.V. comunicatomi col dispaccio n. 211067 /C del 3 corrente 1 . Tale polemica interna ha avuto però una fatale reazione sui «buoni propositi e sulle promesse» del signor Antonescu. La polemica è infatti sboccata nella richiesta del signor Krofta, alla quale il signor Antonescu ha dovuto associarsi, di mettere un fermo all'azione unilaterale e indipendente dei tre membri della Piccola Intesa, indipendenza che se poteva trovare una giustificazione negli interessi particolari e nazionali dei tre Paesi quando si trattava delle grandi Potenze circonvicine, (Italia, Germania e Russia) non trovava uguale giustificazione se riferita agli interessi «comuni» della Piccola Intesa, cioè nel campo dei rapporti con l'Ungheria.

Non risulta ancora in quale forma, in quali impegni e dentro quali limiti questo concetto sia stato tradotto. Ritengo si sia proceduto alla firma di un processo verbale nel quale i tre Paesi s'impegnano a non agire isolatamente nei riguardi dell'Ungheria, sia nella questione della parità dei diritti, sia per quanto concerne eventuali trattative e patti di natura politica. Tale impegno troverebbe un riflesso in certe dichiarazioni attribuite al presidente Stojadinovic dai giornalisti romeni e che ho fatto telegrafare da questo corrispondente Stefani. Su tale argomento Antonescu mi è apparso un poco imbarazzato: mi ha dato l'impressione di un uomo scoraggiato e depresso. Ho potuto dirgli: «Mi sembrate un uomo con le mani legate; con la volontà ma senza l'energia per agire». Non ha protestato. Ha insistito, però, sul desiderio della Romania di stringere più intimi rapporti con l'Italia e mi ha di nuovo esplicitamente chiesto se eravamo disposti a stipulare un trattato di amicizia come quello del 19262• Ho replicato, come al solito, presentandogli il piatto: Ungheria.

I Ritrasmetteva il T. 2343/72 R. da Belgrado. Il ministro Indelli aveva comunicato che la prima giornata del Consiglio della Piccola Intesa era stata caratterizzata «da vive manifestazioni delle preoccupazioni cecoslovacche per il recente accordo italo-jugoslavo», mentre l'atteggiamento di Antonescu era stato «assai comprensivo».

2 Vedi p. 421, nota 2.

Per quanto concerne, però, l'Ungheria ho trovato in lui, questa volta, maggior resistenza a condizionare i nostri rapporti con Bucarest a quelli tra Bucarest e Budapest. Mi ha detto: «Voi non potete stabilire una così stretta connessione: ciò varrebbe a metterei, legati, nelle mani degli ungheresi, ciò che voi non potete chiederci».

Pur obiettando quanto precede, egli ha peraltro insistito presso di me affinché sollecitassi il mio collega di Ungheria a prendere contatto con lui. Ciò che ho fatto. Il signor Bardossy si è affrettato a chiedere udienza ad Antonescu, che gliel'ha accordata immediatamente. Il colloquio tra Bardossy e Antonescu si svolgerà oggi, dopo la partenza di questo corriere, e mi riservo perciò riferire con il prossimo.

421

L'ADDETTO ALL'UFFICIO DI GABINETTO, CARUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO

APPUNTO. Roma, 7 aprile 1937.

Il corriere Trincheri ha consegnato, a Nizza, al signor Darwish Jahak, inviato dal signor Mousa Alami, fiduciario del Gran Mufti di Gerusalemme, la nota di

20.000 sterline, in valuta estera diversa. lo stesso ho, inoltre, incontrato a Nizza il signor Jahak.

Egli mi ha fornito le unite fotografie -da me richieste a suo tempo, al signor Alami -di cui alcune presentano un certo interesse come documentazione di violenze commesse dagli inglesi in Palestina in occasione degli ultimi moti. Si è parlato poi della situazione politica nel prossimo Oriente con particolare riguardo alla Siria, alla Palestina ed alla Transgiordania, e della nota fornitura di materiale bellico da farsi al Mufti.

Il signor Jahak mi ha detto che il viaggio fatto dal Mufti Hag Amin el-Husseini alla Mecca, in occasione dell'ultimo pellegrinaggio, è stato molto proficuo non solo per la Palestina, ma per i Paesi dell'Oriente Arabo in genere. Si sono, infatti, consolidati i legami che già univano il Regno Arabo-Saudiano, il Yemen, la Palestina e la Siria, fino al punto che è stata costituita una vera e propria associazione fra detti Paesi, associazione a carattere federativo, segreta, che svolgerà e regolerà un'azione comune, nell'interesse arabo-islamico, attraverso un Consiglio di delegati.

In tale forma di federazione non è ancora ben definita la posizione dell'Iraq che pure vi aderisce ed è escluso l'Egitto, pur avendosi con molti uomini politici egiziani contatti e legami. Gli argomenti del giorno fra quelli trattati nella recente riunione in Hegiaz, sono stati la questione di Alessandretta e quella Palestinese.

Il signor Jahak mi ha detto che tutti gli ambienti arabo-mussulmani del prossimo Oriente sono molto preoccupati per la minaccia turca al Sangiaccato, giacché sentono che la Turchia finirà, primo o poi, con l'impadronirsi di Alessandretta e, con Alessandretta, di Antiochia e di Aleppo, senza che i francesi abbiano la forza di far loro una seria opposizione.

Gli arabi naturalmente contano sull'Italia anche per tale questione, ma hanno la precisa impressione che anche noi si lasci fare, tanto che egli era stato incaricato di far pervenire in proposito al R. Governo un fervido appello.

In relazione a ciò mi è parso opportuno chiarire al signor Jahak: l) che il R. Governo, data la politica sempre seguita verso la Siria anche in considerazione di proprì precisi interessi, non può certo vedere di buon occhio la Turchia impadronirsi del Sangiaccato e tuttociò nonostante quanto si dica da parte

turca e da parte francese per compromettere le nostre buone relazioni con i Paesi arabi, ma oggi non avrebbe, nè il modo, nè il pretesto per poter comunque intervenire: 2) che dell'attuale situazione, assai critica per i siriani, i veri'responsabili

sono gli uomini politici della Siria che hanno concluso con la Potenza mandataria un trattato, assolutamente contrario ai loro interessi nazionali, il quale impone al Paese un vero e proprio protettorato, che la Francia ha già tradito; 3) che per evitare ogni pericolo non resta ai Siriani se non reagire violentemente sia contro i francesi che contro i turchi.

Ho aggiunto che era mia impressione personale che, qualora i nazionalisti siriani si fossero seriamente messi su tale via, noi, per dimostrare come i loro interessi ci stessero a cuore, saremmo forse stati disposti anche ad aiutarli, sia pure indirettamente e con molte cautele, dato che non possiamo assisterli da un punto di vista internazionale, essendo praticamente fuori della Società delle Nazioni ove le sorti di Alessandretta sono ormai già state compromesse, e non possiamo non preoccuparci di salvaguardare la nostra amicizia con la Turchia.

Della situazione palestinese il signor Jahak mi ha parlato nei termini consueti. I rapporti tra Arabi ed Ebrei ed Arabi ed Inglesi son0 sempre molto tesi e la tensione non presenta possibilità di attenuazione.

Nella prossima stagione calda, dallo stato attuale di rivolta, latente e continua, si passerà alla piena ribellione, tanto in Palestina che in Transgiordania. Perchè il movimento presenti serie possibilità di riuscita è, però, indispensabile che il Mufti possa disporre della nota partita di armi e munizioni, già da noi approntata, alla quale dovrebbe aggiungersi un certo quantitativo di pistole e di cartucce per fucili inglesi e tedeschi, di cui ci vennero già inviati i campioni.

Alla Mecca il Mufti avrebbe messo al corrente Ibn Saud di tale fornitura e avrebbe chiesto il suo aiuto perchè le armi siano sbarcate in Hegiaz e dall'Hegiaz passate in Transgiordania. Ibn Saud, pur mostrando le migliori disposizioni, del resto note, verso la causa Araba in Palestina, avrebbe fatto presente che, per non compromettersi, non vuole direttamente provvedere all'ordinazione ed al ritiro del materiale di cui trattasi. Egli è, però, deciso a consentire che detto materiale viaggi con lo stesso piroscafo con cui viaggerebbe altro materiale acquistato da lui in Europa e con esso sbarchi a Gedda. A tal fine egli avrebbe incaricato un suo agente di acquistare delle armi in Italia, in Belgio, o altrove, e di caricarle in un porto italiano o della Jugoslavia.

Noi dovremmo provvedere a far caricare il materiale destinato al Mufìi sullo stesso piroscafo.

L'agente di lbn Saud si rivolgerebbe ad una società italiana (sotto il nome della quale potrebbe agire il R. Ministero della Guerra) per chiedere il piroscafo, che, pertanto, potrebbe essere da noi convenientemente allestito.

Ho detto al signor Jahak che la cosa mi sembrava realizzabile, ma piena di difficoltà, per lo meno a prima vista, e che solo dopo averla fatta esaminare dalle Autorità competenti avrei potuto dargli una risposta. A tal fine siamo rimasti intesi di rivederci il 16 corrente, a Napoli, ove egli si imbarcherà per rientrare in Palestina.

Salvo contrari ordini di V.E. provvederò a far esaminare dal S.l.M. e, se del caso, anche del Gabinetto del R. Ministero della Marina, la possibilità di provvedere all'inoltro nel senso innanzi cennato 1 .

422

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1593/494 Berlino, 7 aprile 19372 .

Telecorriere di V.E. n. 4086 del 29 marzo3 . Ho letto le informazioni della R. Legazione a Budapest accennanti a tendenze del governo tedesco ad un riavvicinamento a Mosca. Voci in questo senso sono comparse e ricompaiono tuttora nella stampa internazionale: vedasi lo stesso articolo di fondo del Temps del 6 corrente relativo all'atteggiamento del generale Ludendorff, il quale anche egli -come Blomberg -sarebbe favorevole ad un riavvicinamento.

Le notizie in parola non hanno alcun fondamento. Quel che vi è di vero è soltanto che, come gli elementi militari tedeschi sono stati gli ultimi a distaccarsi dalla Russia Sovietica, così essi saranno sicuramente i primi a riavvicinarvisi se e quando ciò si presentasse possibile. Ma una tale possibilità in questo momento non -dico non -vi è, l'antitesi al bolscevismo costituendo ormai uno degli elementi costitutivi e dorsali -e nelle circostanze quasi necessari -del regime hitleriano.

423

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 2410/793. Parigi, 7 aprile 1937 (per. il 9).

Il voto di fiducia ottenuto alla Camera dei Deputati dall'On. Blum al termine del dibattito sui conflitti di Clichy 4 , non ha chiarito che superficialmente l'atmosfera politica del Paese, che rimane in realtà inquieto e agitato da profonde incertezze.

1 Una annotazione in calce al documento dice: <di S.l.M. (colonnello Anjoi) interpellato ha fatto presente di ritenere la cosa possibile. 10-4-1937. XV». Il documento ha il visto di Mussolini. Per il seguito si veda il D. 460.

2 Manca l'indicazione della data d'arrivo.

3 Ritrasmetteva a Berlino, Londra e Mosca il D. 306.

4 Sui fatti di Clichy (vedi D. 304) vi era stato un acceso dibattito alla Camera francese che si era chiuso con l'approvazione di una mozione concordata tra i tre partiti del Fronte Popolare. Nel riferire in proposito, l'ambasciatore Cerruti sottolineava l'influenza esercitata dalla mobilitazione della piazza organizzata dai comunisti e concludeva: «Avvenimenti di Clichy se non hanno prodotto-né sembrano dover per ora determinare -dislocazione maggioranza parlamentare, hanno però fatto svanire ottimismo che si era venuto formando dopo cambiamento politica finanziaria del governo e successo recente prestito. Correnti estremiste Fronte Popolare hanno così preso loro rivincita su scacco che avevano subito per effetto mutate direttive finanziarie e hanno dato una nuova prova loro ascendente su masse operaie e loro influenza extraparlamentare sul governo» (T. per corriere 2189/058 R. del 24 marzo).

La liquidazione parlamentare della sommosa comunista del 16 marzo, se ha infatti segnato una vittoria per il Governo, che è riuscito a mantenere ancora una volta intatta l'unità del Fronte Popolare, ha anche messo in rilievo i cronici mali dai quali è affetto questo Paese e la pericolosa strada che esso percorre al rimorchio di un Fronte Popolare che è il veicolo del marxismo in Francia.

Mentre i partiti di opposizione, privi di influenza sulle masse organizzate (anche quando numericamente forti come il Partito Sociale Francese), sono costretti a limitare la loro azione al campo parlamentare, ove la loro efficacia è pressoché nulla, il Partito Radica! Socialista misura le gravi conseguenze dell'aver-per un errato calcolo -aderito alla coalizione dei suoi più pericolosi avversari.

Nutriti di tradizione massonica e liberale, inadatti a comprendere l'evoluzione dei problemi sociali, i radicali, che sono gli esponenti tipici delle cosiddette classi medie e che hanno per decenni personificato la mentalità politica della Francia, vedono oggi gravemente minacciate le basi della loro cinquantennale tradizione di prestigio politico e di governo.

Imbarcandosi nella pericolosa crociera indetta dal Fronte Popolare per attuare in Francia un nuovo ordine sociale essi credettero di operare con abilità, pensando di potere eventualmente, al momento opportuno, modificare la rotta governativa e raccogliere senza sforzi una successione prestabilita dalla tradizione e dalla logica parlamentare. Ma essi non si accorgevano che l'esperienza iniziata dal Fronte Popolare implicava una modificazione profonda delle forze politiche del Paese e il trasferimento di una parte dell'autorità governativa ad organismi irresponsabili, estranei alle vicende parlamentari e tuttavia capaci di influire su di esse con tutto il peso delle masse organizzate.

La posizione dei radicali, partito elettorale e parlamentare, si è venuta pertanto indebolendo in proporzione dell'aumento delle forze dei socialisti e dei comunisti, partiti sindacali e antiparlamentari. Avulsi da una realtà che non seppero prevedere, ma alla quale sono oggi legati da imprudenti compromessi, i radicali ricercano ansiosamente il modo di liberarsi dalle alleanze contratte. La storia di questi ultimi mesi dimostra che la cosa è tutt'altro che facile e che, ad ogni velleità di dislocamento della frazione radicale dalla maggioranza di Fronte Popolare, le pressioni che il partito comunista e la Confederazione Generale del Lavoro esercitano sui loro riluttanti associati, sono tali e così persuasive da costringerli a rinunziare ai loro progetti, rimandandone l'attuazione a più propizia occasione.

Si è venuta così determinando una situazione di «eqttilibrio instabile» che, mentre sembra assicurare al Paese una relativa stabilità di governo, giustifica la sfiducia e la diffidenza di coloro che si rendono conto dei profondi mutamenti che stanno avvenendo nella compagine politica della Francia.

La trasformazione della Francia da Paese borghese in Paese socialista non è certo impresa di breve durata nè di sicuro risultato. Lo stesso On. Blum, frenando da un lato le impazienze dei comunisti e ammonendo dall'altro i radicali, ha più volte dichiarato che il Governo tende soltanto «a preparare l'avvento di una società socialista», ma non costituisce, di per sè, un regime socialista. All'affermazione del Presidente del Consiglio può riconoscersi il pregio della sincerità poiché le riforme attuate e quelle previste per il prossimo avvenire non sono tali da fare della Francia un Paese socialista.

Ma ciò che più pregiudica l'avvenire è meno il riformismo attuale quanto ~ preparazione profonda e tenace degli strumenti della società marxista di domani: «epurazione» graduale della burocrazia, della magistratura e degli stessi quadri dell'esercito; instaurazione di un sindacalismo di stato rivoluzionario, illegale ed onnipotente; organizzazione di milizie di partito; costituzione di depositi di armi e munizioni; creazione della mistica della lotta di classe per mantenere nelle masse lo spirito combattivo necessario alle grandi trasformazioni sociali; perseguimento di quella politica di instabilità dei salari e di demagogia economico-finanziaria che, mentre esautora le classi produttive con gli alti costi e l'elevata pressione fiscale, eccita le masse a sabotare la stessa produzione nazionale, intesa come privilegio ingiusto di una sola classe sociale.

Dinanzi a questo complesso di attività miranti alla detronizzazione del regime borghese che dal 1875 dirige le sorti della Francia, quale reazione viene oppostafuori del Parlamento -e da chi?

I partiti di estrema destra, quelli ai quali si suole attribuire l'immeritato appellativo di «fascisti» (Partito Sociale Francese e Partito Popolare Francese) raccolgono nelle loro fila un numero ingente di seguaci, ma si limitano ad un'attività di contropropaganda e dichiarano di non volere uscire dal terreno della legalità, da quel terreno -cioè -sul quale sono a priori battuti in breccia dall'aperto illegalismo dei metodi di governo del Fronte Popolare.

Il movimento dell' Action Française rimane circoscritto ad una cerchia di intellettuali ed è privo di profonde radici nell'anima popolare. Gli altri raggruppamenti, Jeunesse Patriottes, Francistes, Volontaires Nationaux o sono scomparsi per effetto dello scioglimento delle leghe o hanno fuso i loro magri effettivi con quelli dei due partiti principali anzidetti. Nessun ostacolo veramente serio sembra comunque poter venire da questi movimenti ad una azione politica che disponga -come dispone l'attuale governo -dell'appoggio di oltre 5 milioni di lavoratori inquadrati nella bolscevizzante Confederazione Generale del Lavoro.

Ostacoli di maggiore rilievo possono venire, invece, dalla resistenza attiva o passiva dei varì milioni di contadini e rurali che costituiscono uno strato compatto, per quanto lento e pigro, della popolazione francese e da un'eventuale organizzazione sindacale anti-marxista delle classi medie che si contrapponga e compensi, nella bilancia delle forze politiche, il peso della Confederazione Generale del Lavoro. Alla prima ipotesi è ispirato il movimento paysan di Dorgères, che ha dato sporadiche ma energiche prove di vitalità; alla seconda ipotesi il progetto, ventilato dall'On. Daladier in un suo recente discorso -e ripreso largamente da tutta la stampa moderata -della creazione di una Confederazione generale delle classi medie, attraverso la quale il Partito Radicale intravede la possibilità di una ricostituzione delle propie basi politiche.

Gli stessi comunisti non ignorano, d'altra parte, che in un Paese come la Francia le probabilità di successo della causa rivoluzionaria sono tanto maggiori quanto più la trasformazione sociale avviene per gradi ed abbia l'aspetto di una evoluzione.

La tattica da essi adottata è a tal riguardo sintomatica. Non partecipando direttamente al Governo, del quale costituiscono peraltro un sostegno essenziale, ~ tengono estranei alle responsabilità del potere, mentre, giovandosi della loro influenza sulle masse sindacate, mantengono e regolano secondo i loro fini l'agitazione sociale nel Paese. Non altro senso ha la fedeltà che i comunisti hanno confermato all'On. Blum, nei momenti in cui il Presidente del Consiglio ha dovuto transigere con le classi borghesi ed imporre delle «pause» alla propria azione riformatrice. Non saranno quindi i comunisti che provocheranno una crisi governativa, fintantoché almeno non riterranno di aver la forza di assumere il potere e la possibilità di mantenervisi.

Volendo trarre una conclusione dalle considerazioni che precedono si può dire che la Francia, più che ad una imminente e violenta trasforillazione sociale ~sempre possibile se nuove circostanze sopravvengano a modificare il corso attuale delle cose ~sembra avviata ad una crisi lenta e profonda, durante la quale il regime borghese-capitalistico della terza Repubblica verrà progressivamente disgregandosi se non saprà esprimere dal proprio seno forze, uomini e programmi rinnovatori.

Il Iato più drammatico della situazione francese odierna sta appunto nella totale mancanza, tra le fila della Francia repubblicana, conservatrice o radicale, di forze, di programmi e di uomini capaci di realizzare la riforma sociale in senso nazionale ed anti-marxista. Come in molti altri Paesi la democrazia liberale si rivela in Francia astratto sistema ideologico e non concreto sistema di governo.

La crisi si aggrava poi ~e si complica ~per effetto dello sfaldamento della politica estera francese, col conseguente accrescersi del timore di isolamento e di aggressione e per effetto dell'aumento delle influenze straniere nella politica interna del Paese. L'attività che esplica la Russia per alimentare la rivoluzione in Francia è cosa ben nota; meno noto, ma non meno certo, è l'interesse che l'Inghilterra prende alle vicende interne francesi.

L'esperienza che si compie attualmente in Francia non è diversa da quella già verificatasi in tutti i Paesi in cui le classi dirigenti non seppero rinnovarsi tempestivamente ed affrontare problemi nuovi con sistemi nuovi. Nè la Francia, Nazione continentale per eccellenza, unita per geografia, per tradizione e per innumerevoli vincoli alla vita politica degli altri Paesi europei può illudersi di rimanere estranea alla profonda evoluzione sociale e alla lotta di dottrine politiche che si svolgono nell'Europa contemporanea per effetto della crisi degli ordinamenti borghesi e liberali del secolo XIX 1 .

424

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2184/542. Washington, 'l aprile 1937 (per. il 18).

L'accordo italo-jugoslavo ha avuto in America un'ottima stampa ed è stato considerato un atto politico di primaria importanza per la conservazione della pace di Europa e nello stesso tempo una svolta nella politica degli accordi europei.

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

Se da qualche parte la nostra mossa è stata interpretata come un freno all'espansione tedesca nel bacino danubiano e nella penisola balcanica, da altre è stato considerato -e questa è una interpretazione più generale -come il principio di una disintegrazione del sistema francese di alleanze. Si prevede che alla Jugoslavia farà seguito la Romania e che la Cecoslovacchia rimarrà isolata.

Alcuni giornali mettono in rilievo l'opposizione di una parte dell'opinione pubblica jugoslava alla nuova linea politica seguita da Stojadinovic; altri parlano di un certo malcontento in Ungheria per quest'atto che sarebbe un indebolimento della politica revisionista; altri ancora insistono sul fatto che la Piccola Intesa è intatta e che il governo jugoslavo ha voluto soltanto approfittare di una offerta eccezionalmente favorevole fatta dall'Italia.

Tutte queste notizie non infirmano l'impressione prevalente che è quella che l'accordo sia un atto di pace e che sia una vittoria della politica italiana 1•

425

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 1241. Londra, 7 aprile 1937 (per. il 13).

Ti ringrazio vivamente della Tua lettera del 2 aprile 2 che ho ricevuto ieri mattina e nella quale mi informi dettagliatamente del Tuo colloquio con Drummond e delle impressioni che ne hai riportate. Esse coincidono, nelle linee generali, con le impressioni raccolte in questi giorni nell'ambiente politico del Governo e direttamente dallo stesso Vansittart col quale, come Ti ho telegrafato ieri sera 3 , ho avuto ieri nel pomeriggio una conversazione. Le cose che mi sono state dette non hanno un determinato e specifico interesse, ma esse rilevano tuttavia una tendenza e un indizio di orientamento nuovo sopratutto se inquadrate con altri elementi da me raccolti al Foreign Office e da persone assai vicine a Neville Chamberlain il quale sta già funzionando di fatto come Primo Ministro in attesa di succedere formalmente nella carica di Baldwin il 22 Maggio p.v.

Vansittart è tornato a Londra lunedì dopo le vacanze pasquali trascorse sulla Riviera Francese. Egli mi ha telefonato lunedì sera dicendomi che desiderava parlarmi. Ho pensato subito, non Te lo nascondo, che Vansittart intendesse farmi una delle solite sparate a freddo in materia di stampa, tanto per poter autorizzare Eden a rispondere a una delle tante interrogazioni presentate alla Camera sopra i cosidetti attacchi antibritannici della stampa italiana. Pertanto a scanso di ogni malinteso mi ero preparato nella mattinata una risposta scritta, nella quale respingevo, dichiarandola inaccettabile, ogni eventuale «representation» in materia di

l Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 384. 3 Vedi D. 412.

stampa e domandavo alla fine che tale mia risposta scritta facesse parte di qualsiasi eventuale risposta di Eden alla Camera dei Comuni.

Ho portato anche con me al Foreign Office la voluminosa documentazione della turpe campagna anti-italiana, per essere pronto a replicare forte e duramente se ce ne fosse stato il bisogno.

Non ce n'è stato invece alcun bisogno perché ho trovato Vansittart, dopo una ventina di giorni di assenza, e dopo quel pò pò di tempesta che è passata nelle relazioni fra Roma e Londra, ancora più accogliente ed amichevole di quanto non lo avessi trovato l'ultima volta. Egli ha cominciato col dirmi che non aveva nessuna questione specifica sulla quale egli dovesse parlarmi, ma che soltanto egli desiderava dopo qualche settimana di assenza riprendere un amichevole contatto e discorrere un po' in termini generali e preliminari dei rapporti italo-brittannici, salvo a continuare la nostra conversazione con più tempo e tranquillità una sera della prossima settimana a casa sua. Egli mi ha accennato, ma senza insistere, al suo rincrescimento nel constatare come le corrispondenze dei giornalisti italiani da Londra, segnalate giornalmente da Drummond, ·hanno un tono di asprezza polemica anti-brittannica in contrasto spesso stridente con gli articoli editoriali degli stessi giornali che usano nei riguardi dell'Inghilterra un linguaggio polemico, è vero, ma meno aspro e più pacato: egli mi pregava amichevolmente di intervenire presso i locali corrispondenti.

Ho replicato a Vansittart che non mi sembrava di constatare alcun divario tra quello che scrivevano i corrispondenti londinesi dei giornali italiani e i loro direttori in Italia ma che se anche fosse così, ciò era perfettamente comprensibile perché i corrispondenti londinesi sono stati testimoni oculari nonchè bersaglio quotidiano della turpe campagna anti-fascista che per 15 giorni consecutivi si è svolta in Inghilterra 1 e che ha ferito profondamente i sentimenti più gelosi e più sacri della Nazione Italiana. Ho aggiunto che la stampa italiana aveva dato un ammirabile esempio di «self restraint and self contro!» dal quale la stampa della democratica Inghilterra ha tutto da imparare. Ho riconosciuto che l'intervento tardivo ma deciso del Governo nella giornata di mercoledì ha contribuito a smorzare nella stampa di destra e di sinistra conservatrice gli attacchi velenosi contro l'Italia, il che, ho osservato, sta a dimostrare che quando il Governo Brittannico vuoi intervenire sulla stampa egli ne ha i mezzi e la possibilità.

Vansittart mi ha risposto che egli non intendenva difendere o scusare la stampa inglese, la quale in quest'ultimo periodo si era comportata effettivamente in un modo biasimevole. Circa l'intervento del Governo, egli dopo avermi ripetuto la solita storia che il Governo non può nulla etc. etc., non ha resistito alla tentazione di farmi credere, non senza pavoneggiarsi, che effettivamente il Governo aveva fatto poco ma che egli era personalmente intervenuto telefonando dalla Riviera Francese ai singoli direttori di giornali. Sebbene la cosa non attacchi, pure gli ho lasciato credere subito che ne ero convinto, e l'ho ringraziato per quest'altra dimostrazione che egli, Vansittart, aveva dato di coraggio e di intelligenza politica.

I Il giorno precedente, l'ambasciatore Grandi, nel trasmettere un opuscolo del Centro Italiano di Propaganda di risposta alla pubblicazione Under the Axe of Fascim di Salvemini, aveva scritto a Ciano che occorreva intensificare l'azione «per controbattere la campagna antifascista, la quale sta assumendo nuovamente delle proporzioni che non erano state raggiunte neppure durante il conflitto italo-abissino» (lettera 1145 del 6 aprile. La lettera reca il visto di Mussolini che ha sottolineato la frase qui riportata).

«Questo precedente, ho continuato, costituisce per voi un obbligo morale di continuare nell'azione di chiarimento nei rapporti italo-britannici così scossi e turbati da una velenosa campagna dell'antifascismo britannico. Voi solo potete effettivamente prendere un'iniziativa coraggiosa che segni finalmente l'inizio di un capitolo nuovo nella storia dei rapporti italo-britannici».

Vansittart, che è indubbiamente un uomo di ingegno ma confusionario e vanesio, mi ha risposto dicendomi che effettivamente egli stava pensando e persuadendosi sempre più della necessità di accelerare i tempi per togliere di mezzo una delle cause, sul terreno psicologico certo la più importante, della permanenza del malessere attuale nei rapporti italo-inglesi, e cioè, il riconoscimento da parte britannica della sovranità italiana in Etiopia, provocando a Ginevra nella prossima Assemblea di Maggio, una decisione collettiva che dia in un certo qual senso la mano libera al Governo Brittanico. «Disgraziatamente i fatti di Addis Abeba e la speculazione che attorno ad essi è stata fatta in Inghilterra 1 rendono la mia azione più difficile, ma sopratutto la mia azione è resa difficile dal malumore crescente nelle file dei Conservatori i quali ritengono l'Italia ormai definitivamente alleata della Germania e quindi perduta ormai definitivamente per qualsiasi sistema politico di resistenza alla minacciante pressione tedesca».

Vansittart mi ha a questo punto accennato a un discorso fattogli recentemente da Ribbentrop sopra il sentimento unanimemente ostile dell'Italia contro la Gran Bretagna, sopra i preparativi militari italiani nel Mediterraneo e nel Mar Rosso, che gli Italiani ritengono necessari e stanno accelerando sin d'ora nell'eventualità di un conflitto con la Gran Bretagna. Vansittart ha concluso dicendo che purtroppo i malintesi e i contrasti fra Italia e Inghilterra, durati troppo tempo e affondati troppo ormai nel vivo, avevano già arrecato al «Re di Prussia» degli sproporzionati vantaggi.

Ho risposto a Vansittart che non vi era dubbio che il deterioramento sempre più marcato nelle relazioni fra i nostri due Paesi, anche dopo la conclusione del gentlemen 's agreement, non poteva non determinare situazioni che certamente la Gran Bretagna aveva l'evidente interesse di allontare. Tutto quello che si è verificato è esclusivamente la conseguenza della politica assurda seguita dall'Inghilterra nei confronti dell'Italia. Poiché egli, Vansittart, voleva la mia personale impressione, ebbene io credevo che la Gran Bretagna non avesse ormai più se non un margine piccolissimo nelle sue future possibilità di politica verso l'Italia. Gli errori accumulati in due anni dall'Inghilterra alla fine si scontano. Il Governo Brittannico si trova, a mio avviso a quel punto che gli inglesi chiamano la «eleventh hour» della loro politica. Se entro cioè il mese di maggio, prima e durante l'Assemblea di Ginevra, il Governo Brittannico non avrà avuto il coraggio di risolvere nettamente la questione del riconoscimento dell'Impero Italiano, troncando così ogni incertezza e tergiversazione e instaurando in pari tempo una politica di effettiva comprensione e di collaborazione sul terreno dei fatti con l'Italia Fascista, non vedevo chiaro nel futuro dei rapporti italo-brittannici. Dopo le esperienze assolutamente negative di questi mesi, l'Italia Fascista non è disposta ad aspettare oltre e a continuare a dar credito a quelle che sono le evasive dichiarazioni di buona volontà brittannica, le quali si traducono in realtà da una parte in una intensificazione sempre maggiore

I Vedi p. 239, nota l.

di armamenti contro l'Italia e dall'altra nel vano per quanto diretto tentativo di svalutazione internazionale del nostro prestigio militare e politico.

Vansittart mi ha risposto che egli era altrettanto persuaso di quanto io venivo dicendogli e che bisogna assolutamente in occasione della prossima Assemblea di Ginevra liquidare il fantasma etiopico sotterrandolo una volta per sempre. Poi bisogna pensare a qualche cosa di più nel campo della politica europea generale, inquantochè il pericolo tedesco si fa sempre più minaccioso e urgente. Ma non sarebbe consigliabile di discutere in questo momento eventuali possibili convenzioni itala-britanniche che fossero intese a regolare il disarmo o il riarmo reciproco. Ciò non mancherebbe di suscitare in Gran Bretagna delle vive opposizioni, e si finirebbe col fare nulla.

Ho replicato a Vansittart che nessuno pensava in Italia a ciò, e che l'Italia intendeva armarsi potentemente per essere sempre pronta a difendere i suoi interessi di Nazione e di Impero. Convenzioni di disarmo erano quindi fuori questione. Il colloquio si è fermato a questo punto.

Vansittart mi ha detto che desiderava rivedermi ancora la prossima settimana per continuare questa nostra conversazione di carattere, come egli insiste sempre nel dire alla fine dei suoi colloqui, «personale ed esplorativo».

Come Tu vedi, nelle parole di Vansittart ci può essere tutto e ci può essere nulla. Ma mettendo il suo atteggiamento di ieri in relazione con quanto Drummond Ti ha detto e tenuto conto dell'esperienza e conoscenza che ho di Vansittart, sono indotto a credere che da parte di Vansittart si sia arrivati non soltanto alla persuazione dell'utilità per l'Inghilterra di risolvere il problema del riconoscimento ufficiale de jure della sovranità italiana sull'Etiopia, ma che egli stia effettivamente lavorando per indurre il Governo britannico a risolvere in occasione della prossima Assemblea straordinaria della S.d.N., questa questione la quale permane un centro d'infezione patologicamente pericoloso alla normalità delle relazioni fra Italia e Inghilterra.

Avrei potuto facilmente «andare più sotto» nella mia conversazione con Vansittart, ma non l'ho fatto per due ragioni. La prima è perchè, come Tu giustamente osservi, pur continuando a incoraggiare questa gente ad adottare una determinata linea di azione, non bisogna tuttavia dar loro l'impressione che noi prendiamo iniziative di sorta e sopratutto che abbiamo fretta. I risultati sarebbero in questo caso contrari a quelli che ci ripromettiamo. La seconda ragione è perché non ho voluto con Vansittart entrare a parlare dei rapporti italo-tedeschi, come Vansittart avrebbe invece voluto e come costantemente vorrebbe in ogni sua conversazione. Infatti, tutto quello che si può ottenere nel corso di una discussione da Vansittart dipende quasi esclusivamente dal grado di apparente consenso che uno dimostra alla sua politica anti-tedesca. E questo è un punto delicato. Come ho avuto occasione di scriverTi tante volte, Vansittart non ha nella sua azione che una sola formula, che un solo riferimento, che un solo obiettivo, che un solo punto fisso: l'assedio militare e politico della Germania e in sostanza la preparazione della guerra contro la Germania. Tutto quello che può presentarsi in funzione diretta o indiretta di questo suo programma è da lui raccolto favorevolmente. Tutto quello che può essere di ostacolo o che non presenta elementi utili a questo suo programma viene da lui immediatamente scartato e respinto.

Per guadagnare Vansittart bisogna, a mio avviso, fargli credere tre cose: l) che l'Italia è seriamente orientata verso l'alleanza militare permanente con la Germania; 2) che a questa politica di impegno permanente con la Germania l'Italia è costretta dall'attitudine ostile dell'Inghilterra verso l'Italia; 3) che il Governo Brittannico è ancora in tempo a impedire che questa alleanza italo-tedesca, la quale costituisce un pericolo e un danno potenziale di assoluta gravità per l'Inghilterra, si verifichi, ma che il margine per la sua azione in questo senso è diventato brevissimo, per cui se non accelera i tempi l'Inghilterra si troverà irremissibilmente davanti al fatto compiuto. Tutto ciò, beninteso, è un carosello per uso esclusivo dialettico e tattico con Vansittart.

La realtà è diversa. L'Asse Roma-Berlino è, a parte tutto il resto, la leva più potente di cui possiamo servirei nella nostra politica di fronte all'Inghilterr~. Il gentlemen 's agreement del 2 gennaio è la conseguenza diretta del Tuo viaggio a Berlino e della nuova intesa fra noi e la Germania. Sino a che l'asse Roma-Berlino si mantiene vitale e saldo l'Inghilterra volente o nolente verrà a patti con noi. Quello che Ti ho scritto a tale proposito nel mio rapporto del 6 novembre 1 , prima che gli Inglesi si orientassero verso la conclusione del gentlemen 's agreement è oggi, a mia modesta opinione, più attuale che mai:

«... molti inglesi si fanno delle illusioni che la questione austriaca possa risorgere ancora improvvisamente a separare i due Paesi fascisti. Ma se l'Italia e la Germania mostreranno all'Inghilterra sempre più di costituire un blocco compatto, senza incrinature, senza angoli morti, senza tentazioni di sfruttare a proprio vantaggio le difficoltà dell'altro, decisi a presentare un fronte comune colle altre Potenze, la politica brittannica sarà costretta a venire a patti con Roma e anche con Berlino, accettando cioè quelle condizioni che Roma e Berlino detteranno a Londra per garantire e mantenere in Europa quella pace che tanto preme al Governo Brittannico. Tutto ciò lo hai illustrato con straordinaria efficacia al Fiihrer e a Neurath, e qui sta, a mio avviso, la chiave dei successi che la politica tedesca e la politica italiana dovranno registrare ancora nel futuro nei confronti dell'Impero Brittannico ... ».

Ad ogni modo io non ho creduto, e Tu ne indovini facilmente la ragione, dar troppa corda a Vansittart su questo delicato terreno. Ribbentrop non ha, è vero, questi miei scrupoli nelle sue conversazioni con Eden e con Vansittart. Ma ritengo comunque necessario richiamare su questo punto la Tua attenzione: qualsiasi lavoro che abbia la prospettiva di una qualche efficacia al Foreign Office e in mezzo ai Conservatori di destra dipende in gran parte dall'esposizione di questa formula: Italia e Germania sono fidanzate ma non ancora sposate. Dipende da voi se questo matrimonio avverrà o no.

Giovedì l o aprile Ti ho telegrafato 2 , come sintesi conclusiva di due settimane effettivamente pesanti e difficili: «È mia sensazione che la recente tempesta nei rapporti italo-inglesi finirà coll'avere benefiche ripercussioni. Gli Inglesi hanno cercato di ignorare e addirittura di nascondere al pubblico britannico la storica intervista data dal Duce il 19 marzo3 a Tripoli al Daily Mai/. Il discorso del Duce del 23 marzo4 ha avuto come immediato effetto salutare di arrestare l'Inghilterra nella pericolosa china della campagna antifascista ed ha costretto poscia gli Inglesi

l Vedi serie ottava, vol. V, D. 368. 2 Vedi D. 373. 3 Vedi p. 365, nota l. 4 Vedi D. 452, nota 3.

a meditare sulla portata delle dichiarazioni africane del Duce. A mio avviso queste costituiscono il punto di partenza della nuova fase dei rapporti italo-britannici».

Quando scrivevo questo telegramma non avevo ancora ricevuto la Tua lettera, nè io avevo ancora riveduto Vansittart al suo ritorno. La Tua lettera ha avvalorato le mie sensazioni. Queste ultime provenivano dalle impressioni raccolte negli ambienti del Foreign Office, fra gli amici più vicini a Eden, fra i nostri ex amici conservatori di destra e del centro, e sopratutto dai miei contatti discreti e indiretti con lo stesso Neville Chamberlain.

Io non credo affatto che Vansittart ami l'Italia. Penso anzi esattamente il contrario. La frase attribuitagli parlando degli Italiani: «Quei maledetti venditori di gelati» probabilmente è vera perché gli somiglia. Ma egli è convinto (e ritengo che io non debba far nulla per diminuire questa sua convinzione la quale provvisoriamente può servirei) che l'Italia possa essere riguadagnata presto o tardi al fronte anti-tedesco. Per questo, ripeto, credo effettivamente che Vansittart, mentre da una parte spinge Drummond a farTi le dichiarazioni recenti, dall'altra lavora presso Eden e sopratutto presso i Membri del Gabinetto a nostro favore. Fino dove le sue possibilità giungeranno specie nei riguardi di Eden, qui è tutto l'interrogativo.

Eden odia i tedeschi non meno di Vansittart. Ma odia gli Italiani ancora più dei Tedeschi. Come lui ve ne sono molti in Inghilterra in questo momento, e il loro odio dipende soltanto dal fatto che non ci possono più disprezzare o proteggere. Vansittart è, a modo suo, un coraggioso. Eden è sostanzialmente un democratico vile, pronto a cambiare parere, dal nero al bianco, solo se un deputato laburista dall'ultimo banco dell'opposizione accenna a far la voce grossa. Egli non ha rinunciato affatto al suo ambizioso disegno di diventare il Primo Ministro e Capo di un'eventuale futura coalizione che includa liberali di sinistra e gli stessi laburisti. Neville Chamberlain, che ha 69 anni, è considerato da Eden e dai «giovani turchi» del partito conservatore come una soluzione di transizione dopo Baldwin, la quale ha per loro il vantaggio di allontanare insieme a Baldwin anche Simon e sopratutto Hoare che è il più temibile e anche il più giovane dei quattro. Ora Eden rimane l'ostacolo maggiore per un chiarimento sostanziale dei rapporti italo-brittannici. Egli non esita nei suoi discorsi confidenziali con amici, soprattutto di sesso femminile alle confidenze colle guaii è particolarmente sensibile, a sostenere che Vansittart, come Churchill e altri si fanno delle illusioni quando sperano di poter distrarre l'Italia dalla sua Intesa con la Germania, intesa la quale riposa sulla necessità per i due Regimi dittatoriali di puntellarsi e difendersi contro le democrazie, e che alla lunga fra Italia e Gran Bretagna sarà impossibile evitare che si venga alle mani per sapere chi deve comandare alla fine nel Mediterraneo.

Questi discorsi Eden li fa, ma sopratutto io credo che questo sia il suo effettivo pensiero. Il che non vuoi dire che Eden non sia portato a riconoscere l'utilità o meglio la necessità per la Gran Bretagna di un «armistizio» con l'Italia Fascista. La sua volubilità di opportunista lo induce a considerare anche i vantaggi concreti di lasciarsi aperta la strada sulla quale cerca d'indirizzarlo Vansittart. Non vi è dubbio che la reazione italiana alla turpe campagna antifascista delle scorse settimane ha indotto in questi giorni Eden a esplicare un'azione effettivamente sedatrice specialmente negli ambienti di sinistra alla Camera dei Comuni.

L'Inghilterra in questo momento, dal Re all'ultimo pescatore della Cornovaglia, vuole godersi, senza preoccupazioni, turbamenti o tensioni di ordine internazionale l'imminente festino dell'Incoronazione. La City vuole, da questi due mesi di carnevale londinese, il quale si presenta come un colossale affare nel campo commerciale e finanziario, trarre tutto il possibile beneficio. La classe dirigente brittannica, senza distinzione di partito politico, capisce e crede fermamente che dal successo di quest'avvenimento, il quale richiamerà a Londra tutto l'Impero, dipende in sostanza l'inizio di una era non solo di prosperità imperiale, ma anche di una coesione nuova fra gli Stati e i territori dell'Impero.

Eden sa perfettamente che il popolo inglese vuoi essere assolutamente tranquillo in questi mesi e non gli perdonerebbe mai se, per effetto di una mossa sbagliata, si verificassero in questo periodo turbamenti o anche soltanto incresciose polemiche di ordine internazionale.

Se io dovessi prestar fede a quel che mi dicono gli amici di Eden dovrei concludere che egli in occasione dell'Assemblea di Ginevra esplicherà un'azione intesa a liquidare in un senso definitivo la questione della sovranità italiana in Abissinia. Leeper, che è l'uomo di maggior confidenza e il capo effettivo del «gang» personale di Eden al Foreing Office, mi diceva l'altra sera queste precise parole: «Voi avete tutto sommato ragione di lamentarvi della campagna anti-fascista fatta in Inghilterra. Ma voi non dovete dimenticare tuttavia l'umiliazione che l'Italia ha inflitto all'Inghilterra un anno fa.

Quest'umiliazione brucia ancora nel fondo del nostro animo di inglesi. Quando si è saputo che i volontari italiani erano stati battuti in Spagna molti inglesi sono stati presi come da un'ubbriacatura di giubilo. Eden è intervenuto personalmente per arrestare questo processo psicologico pericoloso, che poteva compromettere per lungo tempo i risultati favorevoli del gentlemen 's agreement. Eden è deciso di risolvere per l'Assemblea prossima della Lega delle Nazioni la questione della Sovranità italiana in Etiopia. Bisogna finirla una volta per sempre».

Fino a che punto tuttavia Eden resisterà alle pressioni contrarie del fanatismo societario e anti-fascista di Londra e di Ginevra, questo è un altro affare. L'esperienza di questi due anni c'insegna troppe cose su questo punto.

Ti ho già segnalato un lavorio che si sta sviluppando concordemente tra il Segretario di Ginevra, alcune zone del Quai d'Orsay e del Governo popolare di Blum e gli anti-fascisti britannici per evitare che nella prossima Assemblea della fine di Maggio sia esaminata la questione dell'appartenenza dell'Abissinia alla Lega, in modo da rimandare di altri 3 o 4 mesi qualsiasi decisione e per conseguenza mantenere vivo il malessere che questa situazione crea nei rapporti italo-brittannici. Su questo malessere l'anti-fascismo ginevrino, francese e inglese punta come sul «trump card» della loro azione contro l'Italia. Per raggiungere ciò i societari ginevrini e parigini hanno escogitato perfino il trucco che Tafari non invii alcun delegato per l'Assemblea straordinaria del Maggio in modo da lasciare la questione aperta fino al prossimo Settembre. Ad ogni modo sull'atteggiamento di Eden, e quindi in definitiva del Governo Brittannico che parlerà e agirà attraverso di lui a Ginevra, sarebbe di un ottimismo imprudente e prematuro fare previsioni fino a dopo che Eden avrà lasciato Ginevra.

Ho accennato prima a Neville Chamberlain: io credo che, tutto considerato, noi guadagneremo nel cambio tra Baldwin e lui. Baldwin, che ho avuto già occasione parecchie volte di definire il Giolitti brittannico, ha sempre nella sostanza appoggiato l'azione anti-italiana di Eden valendosene e utilizzandola ai fini della sua politica interna. Alla base di questa sua attività, c'era quel superficiale senso di disprezzo delle vecchie generazioni brittanniche verso l'Italia e il suo disinteresse anche troppo visibile alle questioni di politica estera in generale. Per Baldwin le fortune dell'Inghilterra e il benessere dell'umanità intera erano rappresentati dalla fortuna del Partito Conservatore.

Neville Chamberlain è esattamente l'opposto di Baldwin. La sua mentalità è quella del Conservatore Vittoriano che esisteva in Inghilterra prima dell'ultimo trentennio di trasformismo radico-liberale. È un uomo che ha le sue convinzioni, ma soprattutto il buon senso pratico di un mercante di Birmingham. Ha discreto coraggio, è anti-tedesco come tutti i conservatori ma disposto ad accordarsi provvisoriamente con la Germania, è geloso della posizione di prestigio dell'Inghilterra verso chiunque e in primo luogo nei confronti dell'Italia, ma è disposto parimenti a ricercare con l'Italia un terreno pratico di accordi i più duraturi possibile.

Durante il conflitto italo-abissino egli ha sempre camminato a ritroso nella politica sanzionista di Baldwin e di Eden. È stato a fianco di Hoare (pur essendone personalmente felice per la sua caduta) nel dicembre 1935 e alla fine, quando ha veduto il movimento anti-sanzionista forte abbastanza e sopratutto quando si è reso conto che la conquista italiana dell'Abissinia era una cosa inevitabile, ha preso una netta posizione prima nel Gabinetto, poi nei Comuni e poi nel Paese fino a sfidare pubblicamente la coalizione societaria e antifascista col suo famoso discorso 1 in cui chiamò i societari e i sanzionisti affetti da pazzia canicolare.

Mi risulta, e questo me lo ha detto lo stesso fratello Austen Chamberlain qualche giorno prima della sua morte improvvisa, che egli è deciso a far di tutto perché i rapporti italo-britannici rientrino finalmente in uno stato amichevole e normale, liquidando anzitutto ogni residuo del periodo di tensione del conflitto italo-abissino, prima fra tutto la questione del riconoscimento della sovranità italiana in Etiopia.

È stato Neville Chamberlain nella seduta del Consiglio dei Ministri del 23, se le mie informazioni sono esatte e credo che lo siano, a richiamare il Gabinetto in modo autoritario alla necessità di finirla con queste periodiche e sadiche campagne velenose contro l'Italia.

Ti posso raccontare anche un altro episodio abbastanza sintomatico. Lady Chamberlain (la vedova di Sir Austen) in procinto di partire l'altro giorno per Firenze e per Roma, era stata incaricata personalmente dal cognato Neville Chamberlain di recarsi a ringraziare il Duce della parte presa al suo lutto recente. Lady Chamberlain avrebbe dovuto profittare di quest'occasione per farsi latrice d'un messaggio personale di Neville Chamberlain al Duce. Questo messaggio scritto di pugno di Neville Chamberlain (e che io ho veduto perché Lady Chamberlain me l'ha fatto vedere) conteneva un saluto di Chamberlain per il Duce e un caldo ringraziamento per la parte che il Duce e la Nazione Italiana hanno preso al recente lutto della famiglia, nonché la sua ferma speranza che i rapporti italo-brittannici possano entrare, fra non molto, in un'atmosfera di maggior fiducia.

Neville Chamberlain aggiungeva nel suo appunto per Lady Chamberlain, che essa avrebbe dovuto pregare il Duce di non considerare le recenti «regrettable»

I Discorso del IO giugno 1936 al «Club dei 900» con il quale Chamberlain aveva preso posizione in favore dell'abolizione delle sanzioni.

531 manifestazioni di stampa come un indizio dell'attitudine dei dirigenti responsabili della politica brittannica e aggiungeva di confidare che il Duce avrebbe, soprattutto nel prossimo futuro, considerato come manifestazioni dell'attitudine della politica brittannica soltanto quelle che il Primo Ministro brittannico avrebbe avuto occasione di far pubblicamente o di far pervenire al Duce stesso direttamente o indirettamente. Poi, all'ultimo momento, Neville Chamberlain sembra che abbia cambiato parere per non far cosa sgradita a Eden al quale lo stesso Chamberlain ha creduto di dover accennare della sua intenzione di stabilire un contatto col Duce prima della sua nomina ufficiale a Primo Ministro. Eden a quanto si mi assicura, ha pregato Chamberlain di non farlo. E per ora la cosa è rimasta così. Io so tutto ciò dalla confidenza di Lady Chamberlain e di Lord Tyrrell, il quale è molto vicino a Chamberlain, e che aveva caldamente approvato il suo progetto di mettersi in diretta comunicazione col Duce. Tyrrell è naturalmente infuriato contro Eden.

Ad ogni modo è prevedibile che Neville Chamberlain una volta a Downing Street controllerà, e questa del resto è la previsione generale, l'azione personale di Eden sulla politica estera brittannica, assai più di quel che non abbia fatto Baldwin, incanalandola e dirigendola per lo meno con una coerenza e una continuità che la volubilità nervosa e partigiana di Eden non ha ad essa dato certamente sinora.

Nella mia ultima lettera del 2 di Aprile' Ti ho parlato dell'attitudine dei Conservatori. Dovrei ripetere a proposito dei Conservatori quello che ho già detto circa Vansittart. Durante il conflitto italo-abissino i Conservatori più influenti quali Churchill, Austen Chamberlain, Lloyd, Amery, etc. hanno costituito il freno costante all'azione societaria e anti-italiana del Gabinetto. Essi sono stati inoltre coloro che hanno dato vita e autorità a quel movimento anti-sanzionista brittannico il quale si è imposto alla fine decisamente alla volontà del Governo e della Camera dei Comuni. Quest'attitudine a noi favorevole degli esponenti più autorevoli del Partito Conservatore era basata allora esclusivamente sul convincimento che una volta liquidata con soddisfazione dell'Italia la Questione abissina l'Italia sarebbe ritornata alla cosidetta politica anti-tedesca del fronte di Stresa. Questa fu sopratutto la ragione che spinse i dirigenti del Partito Conservatore ad opporsi alla politica sanzionista e anti-italiana.

Gli avvenimenti che vannò dall'Accordo italo-austro-tedesco dell'Il luglio 1936 alla presa di Malaga dell'8 Febbraio 1937 hanno convinto gradatamente i Conservatori che i loro calcoli e il loro convincimento nei riguardi dell'Italia era stato erroneo e che il Fascismo, tutto sommato, li ha beffati. Qualcuno, specialmente dopo la presa di Malaga, ha dichiarato di pentirsi amaramente dell'azione svolta in senso anti-sanzionista. Lo stesso gentlemen 's agreement del 2 di gennaio è stato accolto con favore sì dai Conservatori, ma accompagnato da tali prudenti riserve da domandarsi se effettivamente essi l'approvavano o no.

È superfluo che io Ti faccia i racconti particolareggiati di tutte le conversazioni, i discorsi e i contatti che io ho avuto ultimamente con questi nostri ex-amici Conservatori di destra e del centro. Ad alcune delle loro manifestazioni io non do certo l'importanza che essi ritengono io vi attribuisca. Ognuno di costoro parla ed agisce come se si preparasse ad essere il futuro Primo Ministro britannico. Bisogna far loro credere di condividere questa loro speranza.

t Vedi D. 390.

Churchill, ad esempio, lunedì 22 marzo ha domandato di vedermi urgentemente pregandomi di far sapere al Duce subito che egli riteneva la situazione giunta ad uno stato effettivamente pericoloso e che ogni eventuale ulteriore invio di volontari in Spagna avrebbe provocato, secondo quanto gli constava direttamente, qualche seria misura di carattere navale da parte del Governo francese e inglese. Churchill appariva effettivamente nervoso e desideroso di contribuire ad evitare il peggio fra Italia e Inghilterra nonchè di mostrare, a modo suo, il suo attaccamento personale e la sua ammirazione «non venuta mai meno» per il Duce.

Potrei raccontarti a decine di questi scorci, non privi d'interesse del resto, che mi fornisce il mio lavoro quotidiano in mezzo ai conservatori, che io ritengo dobbiamo riguadagnare a poco a poco, perché la loro influenza è in ultima analisi spesso decisiva sulla condotta del Governo britannico.

L'intervista data dal Duce al Daily Mai! da Tripoli è stata ed è in questi giorni la base fondamentale della mia azione e del mio lavoro.

Riuscirà la corrente, chiamiamola così, Vansittart, a non prolungare oltre la fine di Maggio la definizione della questione del riconoscimento de jure oppure si lascerà Eden alla fine trascinare di nuovo dall'anti-fascismo societario il quale sta preparando a Londra per le prossime settimane, e col volonteroso concorso dei socialisti francesi e cecoslovacchi, una dimostrazione societaria (sono in arrivo da Parigi Pierre Cot e da Praga Madame Masaryk per una grossa dimostrazione all' Albert Hall, col solito Ceci] risuscitato dopo quasi un anno di silenzio) il cui scopo indiretto e evidente è quello di congelare questa effettiva volontà del Governo Brittannico di liquidare gli ultimi residui della questione etiopica?.

Qualsiasi previsione sarebbe azzardata sopratutto considerate le esperienze del passato. Tutta la vita inglese è regolata da un empirismo effimero che riesce a volte incomprensibile persino a chi segua da vicino il diagramma di questa loro esasperante mutevolezza. (È proprio per loro il verso di Shelley: «0 mutevolezza tu sei l'unica cosa vivente ed eterna»).

Come Tu dici giustamente: «Da oggi al 26 Maggio molt'acqua passerà sotto i ponti del Tevere, della Senna e del Tamigi».

Quello di cui credo noi possia~o prendere atto in questo momento è di una tendenza che esiste effettivamente in seno al Governo britannico. È superfluo aggiungerTi che io faccio di tutto perchè questa tendenza prevalga e si manifesti alla fine con atti concreti e definitivi di Governo.

P.S. -Per l'interesse che la cosa potesse in seguito eventualmente avere, tieni presente che i miei rapporti personali con Neville Chamberlain sono ottimi.

Non ho creduto opportuno di andarlo a trovare in questi giorni e mi asterrò dal farlo (ci troveremo insieme a colazione giovedì prossimo) anche perché non ritengo conveniente dare a Neville Chamberlain, e tanto meno in questo momento, l'impressione che gli corriamo dietro. Ma se in futuro, dopo che egli sarà ufficialmente a Downing Street, potesse eventualmente essere di qualche interesse far pervenire direttamente e personalmente a Chamberlain qualche comunicazione importante da parte del Duce o da parte Tua, tieni ciò presente 1 .

I Il documento ha il visto di Mussolini.

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IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE. Berlino, 7 aprile. 19371•

Due parole per dirti una mia impressione personale, di carattere per quanto possibile generale e riassuntivo, sull'atteggiamento delle Autorità responsabili del Reich e quindi della stampa tedesca nei confronti ed a seguito dei combattimenti della zona di Madrid dello scorso marzo.

Premetto che, come tu stesso hai ripetutamente segnalato alla nostra R. Ambasciata, vi è stata, alla fine del mese, una grossa «ventata» di notizie, contronotizie, informazioni, sensazioni, apparse sulla stampa straniera, e particolarmente su quella antifascista, intese a dare l'impressione di un netto rallentamento tedesco nella questione di Spagna e di una «disillusione» germanica nei confronti delle capacità belliche italiane.

Ora viceversa dobbiamo onestamente dire che sulle varie centinaia di giornali che si pubblicano in Germania, non è mai uscita una parola capace di ingenerare in questo Paese un senso di sfiducia nei riguardi della collaborazione itala-tedesca ed in generale nei confronti dell'Italia.

La sola famosa corrispondenza della National Zeitung di Essen del 25 marzo (dico famosa perchè ha formato oggetto, tra l'altro, secondo la segnalazione del notiziario da Berna del 30 marzo, trasmessoci in accompagnamento alla copia della lettera direttati da Alfieri, di un articolo di fondo delle Basler Nachrichten), unico esempio in materia, non era che un modesto quinto di colonna di seconda pagina, della quale ad ogni buon fine ti accludo la traduzione integrale.

Similmente le maggiori Autorità del Reich, con le quali siamo rimasti sempre in contatto, non hanno mai dato segno di nervosismo o di dubbi e non si sono mai atteggiate a critici o a consiglieri.

L'origine effettiva di tutte quelle voci berlinesi mi risulta, quasi con certezza, risalire alle conversazioni di un giornalista di nazionalità tedesca ma corrispondente di un giornale straniero, il quale, particolarmente negli ambienti dei giornalisti esteri qui residenti, ha diffuso, a destra e a manca, gonfiandole a dismisura, talune impressioni riferite, in rapporti o in lettere private (il giornalista in questione è un ex ufficiale che mantiene ottimi rapporti con elementi di questo Ministero della Guerra) da qualche ufficiale tedesco in servizio in Spagna.

Quelle relazioni di carattere tecnico, alle quali ho accennato nel mio rapporto relativo alla conversazione con Goring 2 , dato che questi me ne ha lette personalmente un certo numero, non nascondono certamente l'insuccesso militare di Guadalajara e cercano di spiegarne, «alla tedesca», le cause tattiche e logistiche. Ma, come ti ho detto in quel mio rapporto, esse considerano tutte un campo molto ristretto, trattando unicamente di un episodio limitatissimo negli sviluppi e nelle conseguenze.

l Manca l'indicazione della data d'arrivo. 2 Vedi D. 389.

L'Ambasciatore si riserva di scriverti direttamente sull'argomento, dopo aver completato le nostre indagini nei confronti di quelle due trasmissioni (rispettivamente in lingua francese ed in lingua inglese) delle Agenzie Balkan-Radio e Transocean Copyright segnalate dal ministero dell'Interno nelle intercettazioni radio telegrafiche.

Ma, e di questo siamo effettivamente testimoni ogni giorno, la nuova tempesta anti~scista «montata» per Guadalajara non ha avuto praticamente alcuna ripercussione in Germania, anche nei confronti, e cio è particolarmente interessante, dci rapporti anglo-tedeschi. Nuova prova è la odierna campagna contro il Governo sudafricano e conseguentemente anti-inglese.

Questo volevo subito dirti in attesa delle notizie riassuntive che l'Ambasciatore, come ti ho accennato, ti invierà tra brevi giorni 1 .

Aggiungo, passando ad altro argomento, che a quel documento inviatoti in traduzione con la mia precedente e trasmessomi da G6ring2 von Blomberg, che ne ha accennato all'Ambasciatore, non semb +ra dare, a differenza del Presidente prussiano, grande importanza 3 .

427

IL MINISTRO A CITTÀ DEL MESSICO, MARCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2525/30 R. Città del Messico, 8 aprile 1937, ore 21,45 (per. ore 10,10 del 9).

Telegramma di V.E. n. 731 4 .

Nota analoga a quella diretta a V.E. da incaricato d'affari Messico è stata inviata a tutti i governi presso i quali questo Paese ha rappresentanza diplomatica. Per noi soltanto vi è stata aggiunta relativa atteggiamento italiano Sottocomitato Londra, aggiunta determinata anche da una frase comparsa in un numero del Giornale d'Italia in cui si faceva esplicito riferimento a Messico.

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto oggi che sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri è autore della Nota e fervido propugnatore punto di vista messicano. Egli mi ha fatto lungo commento che riassumo qui appresso.

Messico ha parlato all'Italia ed al Mondo ma con gli occhi rivolti agli Stati Uniti. Il giorno che qui scoppiasse un rivolgimento questo governo vuole poter

t Vedi D. 441.

2 Il 5 aprile Magistrati avere inviato a Ciano una lettera con allegato un documento, fattogli pervenire da Giiring, nel quale si affermava che le forze del governo di Valencia ora erano dirette da uno Stato Maggiore costituito da ufficiali francesi di carriera, il quale aveva a disposizione forze sufficienti per avviare delle operazioni offensive di largo respiro. In proposito, si veda anche il D. 389.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

4 Vedi D. 410.

contare su aiuto da tutti i governi con cm e m formali rapporti diplomatici, mentre vuole che quegli stessi governi si astengano da qualsiasi aiuto ai ribelli. Aiutare in simili circostanze un governo con cui si è in normali relazioni non è naturalmente un dovere ma solo un diritto che ogni Paese si riserva esercitare secondo le circostanze: per esempio, qualche governo dittatoriale Centro America non riceverebbe aiuto da Messico, il quale peraltro si asterrebbe in ogni caso dall'aiutare ribelli. Messico non può considerare intervento vendita armi e• munizioni a un governo che giudica legalmente costituito e sussistente: per questo esso è e sarà contrario accettare qualsiasi limitazione ai suoi rapporti con governo Valencia.

Mio interlocutore ha finito dicendo che unici governi che hanno assunto atteggiamento definitivo sono italiano e messicano, che per comprendere atteggiamento Messico bisogna tener presente popolo americano ed in specie contiguità geografica e antecedenti storici di questo Paese con gli U.S.A.

Aggiungo per parte mia che tutti gli elementi di destra e gran parte opinione pubblica in genere disapprovano presa di posizione del Messico che giudicano eccessiva, inutile, pericolosa, più che altro ispirata a simpatia di questa Amministrazione verso un governo di sinistra ed anche a desiderio di fare parlare di sé.

428

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 2521/357 R. Salamanca, 8 aprile 1937, ore 22 (per. ore 7,45 del 9).

R. Console in San Sebastiano telegrafa:

«Padre gesuita Pereda che è stato solo ed unico tramite delle note trattative ufficiose fra Franco e governo Aguirre, affermami credere che Bilbao nelle attuali condizioni sarebbe assai probabilmente disposta arrendersi se Franco concedesse vita popolazione permettendo capi traslocarsi. Sarebbe però necessario che tali condizioni fossero garantite da governo straniero. Pereda riterrebbe possibile venga eventualmente accettata da Bilbao garanzia del governo italiano. Pereda offresi prendere eventualmente immediati contatti con governo Bilbao. Egli ritiene tuttavia che azione diplomatica incontrerebbe opposizione ambiente militare Franco».

Resto in attesa di istruzioni 1 .

1 Ciano così rispondeva: «Siamo favorevoli alla iniziativa, alla quale Ella dovrà accordare ogni possibile appoggio, tenendomi informato degli sviluppi della questione. Faccia presente a Franco il vantaggio che ne deriverebbe per poter poi sgretolare anche i governi di Valencia e Bilbao». (T. 765/324

R. dell'Il aprile). Si veda, per il seguito, il D. 448.

429

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 8 aprile 1937.

Ho dato visione al Re delle lettere segrete scambiate fra l'Italia e la Jugoslavia in merito alla Albania 1 e gli ho fornito le assicurazioni di cui al telegramma di

V.E. del 1° corr.2 .

Il Re mi ha confermato la piena sua fiducia che V.E., anche se minore potrà d'oggi in avanti essere l'interesse che l'Albania presenta per l'Italia, non abbandonerà l'opera iniziale per portare le condizioni dell'Albania ad un livello più armonico alla situazione di alleata dell'Italia Fascista.

Mi ha ricordato il colloquio da lui avuto col ministro Indelli 3 la scorsa estate pregandomi di porre in evidenza dinanzi a V.E. quanto egli, per venire incontro a desiderio dell'E.V., avesse modificato quello che era allora il suo punto di vista. Mi ha anche ricordato quanto già nella mia udienza di presentazione delle credenziali mi aveva detto e che cioè aveva composto un Gabinetto di amici dell'Italia per esser sicuro che i suoi propositi di condurre una politica grata a V.E. trovassero fedeli esecutori, ma che era pronto a modificare ancora la compagine ministeriale con elementi anche più affezionati al fascismo ove V.E. lo trovasse utile per rendere più efficace l'opera di assistenza che l'E.V. dimostrava di voler consentire nei riguardi d eli' Albania.

Mi ha infine pregato di trasmettere a V.E. la seguente comunicazione: «Non ho mai pensato di contrastare, nè l'accordo italo-jugoslavo, nè alcuna altra azione politica che l'Italia ritenesse per sé vantaggiosa. Quando S.E. Ciano verrà a Tirana sarò molto lieto di avere a questo riguardo un esauriente scambio di idee in modo che resti ben chiarito fra noi: l) quel che S.E. Ciano crede di poter fare in Albania nel comune interesse; 2) quel che Egli ritiene che noi possiamo fare con le nostre forze senza che ne derivi alcun inconveniente diretto o indiretto per l'Italia; 3) quel che S.E. Ciano ritiene desiderabile che noi non facciamo affatto.

Io sono intimamente persuaso che ogni successo del fascismo è in senso lato un rafforzamento della situazione politica albanese e sono quindi pronto ad astenermi dal prendere iniziative che, se anche potrebbero recare all'Albania piccoli vantaggi immediati le farebbero perdere d'altro lato vantaggi maggiori. Una dissociazione della Piccola Intesa recando vantaggi all'Italia ne porterebbe anche all'Albania.

S.E. Ciano al quale esprimo la mia gratitudine per le espressioni rassicuranti e cordiali che ha voluto farmi pervenire potrà al momento della Sua venuta qui rendersi personalmente conto dei sentimenti miei e del mio Governo. Se non potremo far molto come ricevimento ufficiale data la limitatezza dei nostri mezzi Egli constaterà almeno con quale cuore l'Albania lo accoglierà suo ospite e festeg

l Vedi D. 340, lettera C. 2 Vedi D. 371. 3 Non è stata trovata documentazione di tale colloquio.

gera m Lui il Ministro degli Affari Esteri d'Italia ma soprattutto la personalità politica più vicina al Duce cui io sono così devotamente kgato, e l'Uomo di fede e di pensiero, l'intrepido Pilota dell'impresa africana» 1 .

430

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 787/252 Varsavia, 8 aprile 1937 (per. il 12).

Le impressioni di questi circoli politici e di questa opinione pubblica sulla riunione a Belgrado del Consiglio della Piccola Intesa sono concordi nell'ammettere un profondo disgregamento dei vincoli esistenti fra i tre Stati. Il lungo comunicato pubblicato a Belgrado il 2 corrente al termine della riunione 2 , qui si osserva, non può ingannare nessuno, perchè non riesce a nascondere sotto le espressioni generiche il fallimento della conferenza. Qui appare evidente che questa non poteva non fallire al suo scopo, dopo la conclusione degli accordi itala-jugoslavi, e quindi tanto la conferenza stessa che il viaggio di Benes a Belgrado non hanno avuto altro effetto, ad avviso di questi ambienti politici, che quello di far risaltare la crisi che travaglia la Piccola Intesa.

È appunto sotto tale titolo e altri analoghi che giornali ufficiosi come la Gazeta Polska e giornali di opposizione dedicano i loro larghi commenti alla nuova situazione nell'Europa danubiana. L'atteggiamento di questa stampa è perfettamente conseguente, quando si consideri l'avversione della Polonia alla Piccola Intesa e particolarmente alla politica di Praga. Nell'analisi degli elementi che determinano l'attuale situazione e nella valutazione di essa questi giornali mettono specialmente in rilievo i punti seguenti:

a) vi sono due problemi che hanno unito i Paesi della Piccola Intesa e che potrebbero continuare a tenerli uniti: il revisionismo ungherese e la restaurazione degli Absburgo: quando uno di questi due problemi entrava in giuoco, allora i tre Paesi si trovavano d'accordo. Ma oltre ad essi ciascuno dei tre Paesi ha dei problemi particolari: la Romania deve pensare alla Russia ed ai Balcani, la Jugoslavia all'Italia ed ai Balcani, la Cecoslovacchia alla Germania ed alla Russia. Questi problemi si pongono per i tre Paesi sotto aspetti diversi, perchè diversi sono i loro rispettivi interessi: di qui le divergenze tra loro.

b) la crisi della Piccola Intesa trae le sue origini dall'alleanza ceco-sovietica, la quale minacciava di introdurre la politica di Mosca nell'Europa danubiana: tale situazione ha spinto la Jugoslavia a concludere prima il patto di amicizia con la Bulgaria e poi ad accettare gli accordi con l'Italia, volendo Belgrado sottrarsi alle influenze ceche e francesi per non dover subire quelle sovietiche.

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi p. 484, nota 3.

c) gli accordi itala-jugoslavi hanno fatto fallire il «piano Benes» o ceco-francese per un patto di mutua assistenza, che si cercava di imporre alla Jugoslavia e alla Romania rispettivamente con la Cecoslovacchia.

d) detti accordi costituiscono altresì uno scacco per Ginevra: il patto di Belgrado non prevede la sua registrazione alla Società delle Nazioni e con la clausola della neutralità colpisce la dottrina societaria che prevede la guerra generale contro l'aggressore.

e) con la crisi della Piccola Intesa, la funzione direttiva di tale aggruppamento che Praga si era assunta con l'appoggio francese passa a Belgrado che a sua volta si è incamminata in una via diversa da quella che conduce a Parigi.

Mentre anche questi organi ufficiosi, che indubbiamente rispecchiano il punto di vista di queste sfere dirigenti, hanno apertamente svolto nei loro articoli e commenti i concetti sopra accennati, l'Agenzia d'Informazione Politiche ufficiosa di questo ministero degli Affari Esteri ha pubblicato un comunicato che pur sottolineando l'importanza degli accordi di Belgrado e il contributo alla pace che essi apportano, è apparso alquanto anodino e reticente riguardo alla Conferenza della Piccola Intesa e ai suoi risultati.

Si acclude per documentazione, il testo di tale comunicato 1 .

431

IL MINISTRO DEGLI ESTERI,CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO,

T. SEGRETO NON DIRAMARE 751/154 R. Roma, 9 aprile 1937, ore 18.

A seguito dei miei precedenti analoghi telegrammi 2 informo che, per rafforzare l'aeronautica di Franco, abbiamo proceduto ai seguenti invii di apparecchi da caccia: 24 apparecchi già sbarcati da dieci giorni a Cadice, 24 apparecchi sotto carico ed in partenza, 24 in allestimento per essere inviati entro prossimi giorni. Dei 72 caccia in questione, 60 sono CR 32 e 12 Breda 65, cioè l'ultimissimo tipo di nostra produzione.

Bisogna adesso far presente a Goering che, specialmente in seguito all'arrivo degli aeroplani cecoslovacchi, i rossi hanno una superiorità numerica su di noi. Riteniamo, quindi, che anche la Germania debba rafforzare i suoi reparti da bombardamento. A giudizio del Duce almeno 50 nuovi apparecchi tedeschi dovrebbero essere subito inviati.

Svolgete l'azione del caso e riferite 3 .

l Non pubblicato. 2 Vedi D. 411. 3 Per il seguito, si veda il D. 441.

432

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO

PROMEMORIA 1 . Roma, 9 aprile 19372

La situazione politico-militare della Spagna nel nono mese di guerra civile.

Sciolgo col presente le riserve da me avanzate da Salamanca nel telegramma di risposta al Duce, che mi chiedeva il quadro politico-militare 3 , e riassumo la situazione qual'è.

I fattori politici e quelli militari nel nono mese della guerra civile, non vanno d'accordo tra loro, sebbene confluiscano almeno tendenzialmente verso uno sbocco comune: perciò è necessario esaminarli separatamente, e poi tentare, con le debite riserve e con tutte le cautele dello specialissimo caso, una sintesi almeno a grandissime linee.

I fattori politici.

Politicamente la situazione attuale è caratterizzata dal tentativo debolmente condotto da Franco, di impadronirsi di tutti i partiti e fondare sulla fusione di essi la propria posizione personale di futuro Capo dello Stato, Capo del Governo e Capo delle forze politiche e sindacali della futura Spagna totalitaria. Dette così, con necessaria ma ingannevole brevità, le cose sembrano acquistare una immediatezza e una concretezza che invece non corrispondono se non in piccola parte alla realtà: la quale offre, al contrario, dispersione di forze, mancanza di prestigio del Capo, incertezza del futuro, organica intima storica debolezza del Paese: l'Italia del Secolo XIX, percorsa e battuta però non solo da idee e sentimenti anacronistici ma anche da correnti estremamente audaci e utopistiche: castigo delle vecchie Nazioni che non si son tenute a pari con i tempi.

Il tentativo di Franco ai fini sopraindicati non è condotto da lui personalmente, perché egli non ha l'acutezza, l'energia, la cultura politico-sindacale necessarie per riuscire in un così vasto programma, né, a mio avviso, la volontà: ma la famiglia, i consiglieri, coloro che lo hanno prigioniero, coloro a cui egli deve tutto, nonché forse la sua segreta avversione per la Falange, lo spingono a salvaguardare il proprio avvenire e quello del movimento che egli ha con dubbia consapevolezza capeggiato e la cui fase conclusiva non lo seduce, né lo spinge ad un'energica conclusione costruttiva ma anzi lo sgomenta, lo impaurisce, lo fa indietreggiare e lo lascia dubbioso di sé stesso e del suo Paese.

1 La copia del documento qui utilizzata è deteriorata in tre punti, ciascuno di una riga.

2 L'ambasciatore Cantalupo aveva lasciato Salamanca il 5 aprile diretto a Roma su richiesta di Ciano.

3 Con T. 664/270 R. del 27 marzo, Mussolini, nell'incaricare Cantalupo di assicurare a Franco che anche dopo l'episodio di Guadalajara egli poteva contare sull'appoggio dell'Italia, aveva chiesto all'ambasciatore di inviargli un telegramma «di compendio della situazione attuale». Cantalupo aveva risposto (T. 2314/324 R. del 30 marzo) di non essere in grado, per il momento, di inviare il compendio richiestogli, dato che la situazione era «satura di elementi transitori e contradittori» ed aveva chiesto di poter rispondere entro due o tre settimane.

Chi lavora per lui ai fini politici di cui sopra? Soprattutto il fratello Nicolas, anima mediocre, cultura elementare, persona di disinteresse discutibile e di idee che in Italia il prete Sturzo aveva tentato di realizzare nel 1920; il quasi ministro degli Esteri, Sangroniz, di origine democratico-cristiano, uomo di assoluta infedeltà, di eccezionale furbizia e dotato di quel freddo ma passionale cinismo spagnolo che ha caratterizzato la tradizionale politica della monarchia dal 1500 ad oggi. Collaborano tutti i reazionari, i generali, i preti, tutta la gente che rivuole un posto (la storia della politica spagnola è anche storia di posti), coloro insomma che aspettano la restaurazione dell'aristocrazia, dei privilegi economici e morali, dei feudi politici, della divisione secolare tra le classi e il mantenimento della cultura e igiene sociale al bassissimo livello attuale.

Coloro che sostengono Franco in buona fede, in quanto lo ritengono incline nel loro medesimo senso, costituiscono il peggio della Spagna e intendono che essa rimanga l'ultima fra la Nazioni europee. Coloro invece che sostengono Franco in mala fede, perche sanno che egli non è fascista ma lo ritengono utile tuttavia ora alla testa dell'esercito -falangisti, operai, classi popolari, intellettuali dispersi, preti anticlericali, militari insoddisfatti, anime semplici, oltre ad alcuni industriali e capitalisti di larghe vedute moderne -rappresentano il meglio della Spagna, e la vogliono più forte, più libera, più moderna, più organizzata, più produttiva, più colta e più capace di partecipare alla vita generale dell'Europa.

Franco si barcamena e inganna gli uni e gli altri: questa è la verità.

Franco dovrebbe fondere tutto questo buono con tutto questo cattivo, e tirarne fuori una Spagna nuova. Questo in teoria: nessuno crede che egli potrà riuscire, Con queste ... due eccezioni: che i tradizionalisti dicono che egli potrà, a patto che realizzi il loro programma e abbandoni il falangismo; ed i falangisti affermano che egli potrà, a patto che realizzi il loro programma e abbandoni quello dei tradizionalisti: il che vuoi dire che gli uni e gli altri ritengono possibile un successo pieno di Franco, a condizione che esso sia basato ... non sulla fusione delle forze nazionali, ma sul trionfo dell'una forza contro l'altra!

Cioè, nel cuore di ogni spagnolo, combattente o militante o politicante, c'è l'intima sinistra speranza che la fusione non riesca: si trasporti questa realtà spirituale e psicologica, cioè questo decrepito Paese sul fronte di combattimento, faccia a faccia con quel coacervo di socialismo, comunismo, separatismo, di spirito rivoluzionario generico, tendenza al nuovo e al giovane, di aspirazione anche approssimativamente fascista -poiché così è -che caratterizza le forze nemiche e si vedrà quanto sia fondato il triste dubbio di molti stranieri che si trovano dalla parte di Franco, compresi ufficiali e soldati italiani, se sia veramente compito dell'Italia Fascista quello di aiutare la formazione e il consolidamento di un regime conservatore reazionario, pretesco e militaresco, in un Paese latino: si tenga sempre presente che nel campo rosso vi sono forse falangi di giovani che nutrono ideali approssimativamente affini ai nostri, oltre ad una popolazione a [ ......... ] fascista potrebbe aspettarsi i migliori benefici morali e materiali, e che da un regime reazionario non potrebbe aspettarsi che il permanere dell'attuale stato di decadenza, di vecchiaia e di indebolimento progressivo. E si concluderà che la nostra posizione ideale di fronte alle due Spagne va esaminata rapidamente e con spietato spirito di autocritica.

Evidentemente il compito dell'Italia fascista-fissato inizialmente da V.E. è invece di favorire quanto è possibile la fusione oggi di tutte le forze nazionali al servizio di Franco e della causa dell'ordine in un blocco unitario politico spirituale e corporativo, che possa servire domani di base allo Stato totalitario, nel quale Stato s'intende che dovrebbero trovare posto anche tutte le forze ora disseminate nel campo rosso, che siano capaci di partecipare, a crisi finita, alla grande opera di restaurazione nazionale, sopra tutto nel campo sociale, legislativo, ed amministrativo: queste sono state le istruzioni di V.E. sempre.

Vediamo ora quali percentuali di probabilità l'attuale realtà spagnola presenti in favore di questo pensiero dominante del Governo Fascista, che potrebbe riassumersi così: fascistizzare la Spagna.

Riassumendo necessariamente per sommi capi, anche a costo di essere imprecisi, i fattori della situazione essi si riducono sempre a tre: Franco, tradizionalisti, falangisti.

Ho detto che cosa vorrebbe fare Franco: fondere i due partiti in uno, fondere le varie milizie nell'esercito, assumere la direzione di tutto ciò, farsi proclamare Capo del partito, Capo del Governo e Reggente della monarchia. Questo programma gli è stato suggerito dagli amici, dai consiglieri e anche da noi: ritengo che egli non abbia quasi nessuna delle attitudini indispensabili per realizzarlo. È ora di dire con linguaggio antidiplomatico che Francisco Franco è un caro uomo ma un povero uomo: privo di idee, scarsissimo di sentimenti, di modestissima lettura, di ambizioni forse appena familiari, di concezioni generali antiquate e inerti, estremamente lontano dall'idea dello Stato moderno, frigido e atono, estraneo all'Europa moderna, quanto di meno fascista possa immaginarsi.

Questo non esclude che l'avviamento eventuale della situazione, l'aureola di prestigio che rapidamente e in vastissima misura gli conferirebbero la vittoria militare e la sconfitta dei rossi, l'appoggio che almeno due Potenze gli darebbero nella sua opera volta ai fini sopracitati e la irreparabile assenza di qualsiasi altro capo politico e militare, dico questo ultimo elemento sopratutto, facciano giuocare in suo favore una vasta serie di possibilità propizie al suo futuro arrivo al posto di Capo del partito, Capo del Governo e Reggente della monarchia.

l tradizionalisti: essi possono suddividersi in milizia e partito: le milizie non danno preoccupazione in quanto sono disposte a fondersi con la milizia falangista, con la quale hanno fatto la guerra. Il partito propriamente detto invece offre più tenace resistenza perché il suo programma è questo: fondersi, va bene, ma da pari a pari e non lasciarsi assorbire individualmente dalla Falange; non solo, ma fondersi va bene a patto che Franco assuma la direzione di tutto il Paese, di tutto il partito e di tutto il governo, poiché soltanto ove questo si realizzi i tradizionalisti sarebbero garantiti dalla persona stessa di Franco prigioniero in mani loro, e la futura azione di governo, pur facendo posto ad una qualche rimodernatura sociale legislativa economica amministrativa, avrebbe sempre come fondo la mentalità e gli interessi dei generali, dell'alto clero, della finanza internazionale, delle influenze franco-inglesi, del latifondo, del capitalismo spietato e in sostanza la mentalità più tipicamente antifascista che l'Europa conosca: la mentalità contro la quale Benito Mussolini ha fatto la rivoluzione in Italia e contro la quale soltanto noi possiamo restare in Spagna. In conclusione, i tradizionalisti anche se firmeranno un giorno un pezzo di carta di fusione con i falangisti, non per questo diventeranno falangisti: il troppo facile paragone tra nazionalisti italiani e fascisti con tradizionalisti spagnoli e falangisti, è scemo:

542 perché nel primo caso vi era identità di ideali e di scopi e nel secondo Vl e opposizione. Il sentimento fusionista dei tradizionalisti è transitorio, opportunistico e falso: in verità essi vogliono governare la Spagna come dieci anni fa ma con la complicità acquistata più o meno a buon prezzo dei falangisti, per giustificare di fronte all'Europa il successo nazionale della rivoluzione e sopratutto per poter schierare contro i rossi, a crisi risolta, tutta la rimanente Spagna e svolgere una politica conservatrice nuovamente fondata sull'apparente consenso delle maggioranze, dopo i sette anni di repubblica che essi considerano come una parentesi.

I falangisti infine rappresentano una parte soltanto dell'elemento nuovo, voglio dire della Spagna giovane, non passato al comunismo: l'altra parte ~ provvisoriamente con i rossi ma non è comunista: è forse fascista o socialista o nazionalista o separatista, ma è soltanto prigioniera dei comunisti: ha preso il colore rosso perché l'atmosfera era rossa: quando l'atmosfera non sarà più rossa si vedrà che i nostri fratelli spirituali in Spagna ~ fratelli minori, ingenui, primitivi, cafoni quanto si vuole ma fratelli per gioventù, per ideali, per tendenze, per desiderio di rinnovare la Patria ~ stanno in piccola parte fra i rossi e in grande parte fra i falangisti: questa è la verità. Tutti gli altri spagnoli o non possono interessarci perché non hanno idee e sentimento; o sono nostri nemici perché antifascisti dichiarati o comunisti sanguinari; o sono nostri nemici perché vecchia gente stupida e reazionaria, latifondista e clericale, priva di ideali in politica estera, ripugnante minoranza aristocratica che vende il Paese allo straniero.

Ma questa Falange che cosa è oggi? È un immenso fiume che cerca e va facendo il suo Ietto: riceve contributi da tutti i rigagnoli laterali e fa scivolare la sua massa d'acqua là dove trova un passaggio, là dove può incanalarsi, dove può abbreviare la sosta; cerca naturalmente la sua vera strada, il suo vero decorso, che lo conduca al suo vero obbiettivo che esso vagamente intravede e che cerca di identificare grossolanamente col nostro fascismo; ma non sempre può seguire la buona direzione perché non ne ha la piena iniziativa, né la tecnica, poi perché il Paese è arretratissimo e non si presta a ricevere idee nuove già organiche, poi perché è osteggiata sordamente e abilmente da tutti i consiglieri di Franco e infine perché reca nel proprio seno tendenze alla scissione e alle autonomie locali. Il suo attuale capo, Hedilla, è degno avversario di Franco, povero uomo, anche lui, spirito elementare, di una incultura senza lacune, testardo e apolitico, di formazione nettamente popolaresca, di animo buono ma diffidente, debole con i suoi, minacciato nel suo stesso partito da abili rivali e gruppi che vogliono sostituirlo.

Mentre scrivo, la situazione è questa: Franco o per meglio dire Nicolas Franco, agisce d'accordo con i secessionisti che sono nell'interno della Falange per metter fuori Hedilla e sostituirlo con un capo disposto a fare la fusione alle condizioni volute dalla camarilla reazionaria e tradizionalista che circonda Franco. Riusciranno o non riusciranno a condurre così la Falange ai piedi dell'aristocrazia, non posso dire: molto dipende dalla situazione militare: se il Nord dovesse cadere, Franco ne ricaverebbe immenso aumento di prestigio e potrebbe perfino imporre la propria volontà nella politica interna: in tal caso la grande ma fragile, eterogenea e sabbiosa massa falangista potrebbe sgretolarsi al sole della vittoria di Franco. È un'ipotesi che non va scartata: l'ho sempre messa in buon posto nei miei calcoli di probabilità. Ma se Franco non vince, se non vince a Bilbao, se non libera [ ......... ] di posizione e la Spagna resta per qualche anno divisa in due, due Spagne tutte e due incapaci di vincere e incapaci di riconciliarsi, che cosa avverrebbe allora della Falange? Ecco un quesito che merita in ogni caso di essere tenuto in evidenza, poiché in una immobilizzazione eventuale del fronte militare la Falange passerebbe facilmente all'opposizione contro la classe dirigente militare incapace di vincere la guerra e tenterebbe la seconda ondata, tutti i giorni minacciata dalla propaganda falangista. E potrebbe anche spingersi, sul cammino dell'opposizione, fallita l'alleanza con i conservatori, alla ricerca di un'alleanza addirittura con i rossi, non per bolscevizzare la Falange ma per falangizzare i rossi: cioè per creare una seconda repubblica patriottica e moderata, socialista ma nel quadro dello Stato, fiera nella politica estera, degna nell'opera legislativa, capace di risolvere il problema sociale con la collaborazione di tutte le classi; una repubblica che la Falange sogna social-fascista, capace di mettere da parte il rancore del sangue e l'atroce odio che divide gli spagnoli è tale da orientarsi tutta contro la vecchia Spagna.

Il sottoscritto pensa che, se Franco non riesce a fare della Falange un partito suo, essa è destinata insomma a perseguire futuri sviluppi rivoluzionari, che potranno anche svolgersi contro Franco e in collaborazione con quella parte dei rossi che oggi lavora efficacemente per far dimenticare gli orrori comunisti e per far credere all'Europa che stia formandosi a Madrid, a Valencia e a Barcellona una realtà social-democratica perfettamente accettabile almeno da alcuni Stati d'Europa.

In queste condizioni -e in esecuzione sempre degli ordini ricevuti -ho ritenuto e ritengo ancora pericoloso per l'Italia impegnarsi a fondo o con Franco o con la Falange o con i tradizionalisti; ritengo pericoloso buttarsi con gli uni o con gli altri, poiché significherebbe procurarsi l'inimicizia in ogni caso di una metà dei contendenti; per mio conto ho fatto azione di controllo, di orientamento, di avvicinamento fra tutte le parti in lotta, ispirando nel medesimo senso tutti, così da tendere al difficile scopo perseguito dal governo fascista ma garantendo ad esso piena libertà, dico piena ed assoluta, per qualsiasi azione che esso intendesse svolgere domani. Ritengo che ancora così bisogna continuare fino a quando così continuerà la situazione: ho anche sempre detto al mio Governo la piena verità.

La mia modesta azione è stata ispirata al concetto fondamentale di non fare uso dell'energia se non quando avessi avuto la certezza di ottenere un risultato concreto: nei 4 7 giorni della mia permanenza finora in Spagna, questo momento non si è presentato: perciò aspettandolo ho fatto uso soltanto di influenza e non di forza. Se avessi fatto diversamente avrei cacciato una spada in un materasso.

Ora c'è l'ipotesi che Bilbao, e forse il Nord, vogliano arrendersi: se questo avvenisse, potrei tentare, ove V.E. me lo consigliasse, di sfruttare un così grande momento ai fini della politica interna e condurre Franco, nell'ora del successo e dell'entusiasmo, alla fusione dei Partiti, ma non quale egli la concepisce -cioè quasi contro la Falange-sibbene come noi e i falangisti la concepiamo ma come Hedilla non sa realizzar la: cioè, per parlar chiaro, in modo da gettare finalmente le basi della fascistizzazione della Spagna alle spalle della Francia ed assicurare così all'azione futura dell'Italia nella Penisola Iberica delle fondamenta larghe solide e durevoli, costituite dal regime stesso della nuova Spagna, reso a noi fedele legato e docile dalla sua stessa intima formazione spirituale e legislativa.

O si presenta una così fatta ipotesi e allora varrà la pena di tentare d'imporsi: questa sarebbe certo una politica: e finché non si può fare meglio continuare nella modesta azione finora seguita.

I fattori militari.

Dopo la mancata occupazione di Madrid, è possibile esaminare la situazione militare al nono mese di guerra e trame conclusioni oramai necessarie forse anche ai fini della politica internazionale d'Italia.

Allorché un paio di mesi fa il governo fascista dovette conoscere che la situazione militare presentava l'ipotesi accentuata se non della caduta di Madrid in seguito ad una vasta operazione, almeno dell'accerchiamento della capitale, che poi sarebbe caduta per assedio, deliberò opportunamente di inviare l'ambasciatore, allo scopo di raccogliere i frutti a noi spettanti per il contributo che abbiamo dato al salvataggio della Spagna dal pericolo comunista. Il concetto essenziale era questo: avendo ricevuto la Spagna nazionale dai due governi amici un forte quantitativo di aiuti in uomini e mezzi, attraversando i rossi un periodo di palese inferiorità militare oltre che di asprissima crisi politica, e dovendo i due governi amici di Franco partecipare a brevissima scadenza alla politica internazionale detta del non intervento e del blocco, ne risultava la necessità che Franco avendo in quel momento a sua disposizione superiorità militare e morale ed un determinato numero di settimane per raggiungere un grande successo prima dell'inizio del blocco, non dovesse perdere tempo e dovesse raggiungere una tappa di avvicinamento immediato alla vittoria: così da potere per lo meno rendere stabile, e per qualche tempo definitiva, la superiorità dei nazionalisti sui rossi. A questi obbiettivi fu predisposta l'azione di Guadalajara.

Poiché essa non ebbe i risultati sperati, ne sono conseguiti due e forse tre mesi perduti, un considerevole sebbene militarmente modesto successo del nemico, in sostanza un annullamento almeno parziale dei fini che coll'azione stessa ci proponevamo e una sosta della quale occorre profittare per una rapida revisione della situazione generale a tutti i fini.

Nel momento in cui scrivo, può considerarsi che il fronte Nord ed il fronte che divide la Spagna in due raggiungono complessivamente circa 2200 Km di lunghezza presidiati ove intensamente e ove a velo da forze nazionaliste ammontanti a circa 300.000 uomini e da forze rosse per circa 270.000: c'è dunque una lieve superiorità numerica in favore dei nazionali, né è possibile dire se questa superiorità sia anche qualitativa. Per quanto riguarda l'imminente futuro, può ritenersi che mentre Franco va chiamando alle armi, qualora riceva dall'Italia e dalla Germania i mezzi, circa 150.000 riservisti di età giovanile, anche i rossi possono chiamare un approssimativo numero di uomini, cosicché nella minore e migliore delle ipotesi potrà aversi un equilibrio delle forze, uomini cioè quasi uguali su un fronte e sull'altro. Ma non sembra che a questo equilibrio di forze umane possa far riscontro un altrettale equilibrio di mezzi: i vasti aiuti che i rossi hanno ricevuto negli ultimi mesi dalla Francia e dalla Russia (aviazione, cannoni, mitragliatrici, munizioni e carri armati) hanno spostato a danno dei nazionali il bilancio delle forze.

Se si tiene presente che l'Italia e la Germania non sembrano disposte in generale a rifornire senza limitazioni di mezzi i nazionalisti, se si tiene presente che i rossi hanno solo in piccola parte incominciato a mettere in linea gli aiuti di cui sopra e si proietti questa situazione nel prossimo futuro, bisogna concluderne che la superiorità nemica è ora, come ho segnalato ripetute volte, in progressivo aumento, e non è pertanto da escludersi che essa possa apportare ai rossi la possibilità: a) di resistere a tutte le nostre offensive contrattaccando ogni volta con successo come a Guadalajara, in modo da rendere praticamente nulle le iniziative nostre; b) addirittura di assumere iniziative e tentare di riacquistare almeno in parte la Spagna oggi in mano a Franco. (Mi risulta che l'ambasciatore di Germania ha sollecitato dalla Missione Militare tedesca il piano di evacuazione eventuale dei 5000 uomini di Hitler dalla Spagna).

La realtà oggi è dunque schematicamente rappresentabile come segue: superiorità nemica in probabile progresso; esito della guerra incerto, con tutte le conseguenze politiche prevedibili.

(Apro qui una grossa parentesi che speriamo i fatti non richiudano tra pochi giorni.

Bilbao. È ovvio che pur essendo le operazioni in corso nei paesi baschi destinate ad obbiettivi militari che non ancora comprendono la città di Bilbao, questa potrebbe però arrendersi per le note ragioni politiche. In tal caso Franco ricaverebbe un vantaggio morale serio e tale da restaurarlo sotto questo punto di vista in una situazione di pieno equilibrio con i rossi e ne riceverebbe anche un beneficio materiale per il riacquisto di molti paesi ricchi e produttivi. Ma ove la caduta eventuale di Bilbao potesse trascinare anche il crollo politico di tutto il Nord, ipotesi alla quale alcuni pensano, se ne avrebbe la eliminazione completa del fronte Nord dalla carta delle operazioni, il riacquisto ai nazionali della meravigliosa regione mineraria e industriale che va da San Sebastiano a Oviedo, nonché il recupero di circa 70.000 combattenti di buona esperienza che potrebbero essere trasportati immediatamente sul fronte di Madrid e infine un così strepitoso successo generale da mettere in assai grave condizione i rossi e da avviare forse ben rapidamente la guerra verso il suo finale militare e politico vittorioso per noi: è un'ipotesi e fra pochi giorni sapremo quanto vale. Nell'attesa occorre prescinderne e pensare che il Nord non cadrà: altrimenti, distratti da quella ottimistica e affascinante eventualità, sarebbe più diffi-[ ......... ] alla quale mi affretto onestamente a ritornare, chiudendo con questo gesto prudente la parentesi di Bilbao).

Ignoro come funzioni il comando nemico e nulla vieta di pensare che anch'esso viva alla giornata. Ma il nostro comando, cioè quello di Franco, vive male assai. E opera peggio. È diviso in 4 uffici che però non si collegano nell'azione del Capo ma sono 4 sezioni distaccate. Non parliamo della quasi assoluta mancanza di unità di azione tra il Generalissimo e i suoi principali collaboratori, compresi Mola e Queipo de Llano, poiché in realtà Franco, dopo di aver approvato il piano di una certa operazione, la affida e quasi direi la fitta ad uno dei generali di settore, i quali diventano responsabili dello sviluppo e delle conclusioni anche politiche dell'operazione, senza che il Capo intervenga se non per vaghi orientamenti e consigli. A questo comando spagnolo, di formazione molto domestica e irresponsabile, dovrebbero come è noto partecipare un rappresentante militare italiano ed uno tedesco, così da trasformarlo in Comando unico interalleato. Di tutto ciò non c'è neppure l'ombra, come ho detto nei miei telegrammi ed oggi ho voluto ritornare sull'argomento unicamente per dire che questa deficienza di consultazioni, e quindi di vedute collettive ed organiche sulla condotta della guerra, e cioè di un piano, è ragione di grave debolezza nostra, di continue incertezze, di mancanza di precisione e coscienza nella scelta degli obbiettivi, insomma di generale sconnessione: così non si potrebbe condurre neppure una guerra tra greci e rumeni.

Conclusioni provvisorie.

Tutto quanto sopra premesso, riassumo qui le mie provvisorie conclusioni, desunte dalla mia breve prima fase di lavoro.

lo -La situazione ·di politica interna e gli sviluppi prevedibilmente ambigui dei rapporti· internazionali di Franco, esigono a mio avviso che egli sia da noi diplomaticamente controllato in modo stretto, come ho ritenuto di dover fare finora. Non si può aver fiducia nella sua virilità e lealtà e occorre perfino dargli la sensazione che è controllato. Guai ad affidare soltanto a lui la stabilità dei nostri rapporti col suo Paese; forse lui non ci tradirebbe ma la sua Spagna certamente sì.

2° -La effettiva organizzazione di un comando unico interalleato sembra condizione pregiudiziale per il prossimo sviluppo della guerra, anche indipendentemente dall'impiego in massa o per divisioni delle nostre truppe; ciò sopratutto ai fini di fissare bene con Franco quale genere di guerra egli voglia continuare, in qual modo impiegare i mezzi di cui dispone, secondo quali diagrammi far coincidere gli obbiettivi militari con quelli politici, secondo quale direttiva egli voglia stabilire un piano generale di azione, che non può più affidarsi soltanto alla sua passione di comandante di truppe, né può essere rimandato senza che si corra il rischio di precipitare rapidamente in un genere bellico conclusivamente aneddotico.

3° -Una volta messo in piedi questo tavolo intorno al quale italiani e tedeschi e spagnoli dovrebbero decidere le operazioni, bisognerà esaminare senza ritardo se sia possibile, caduta o non caduta la fronte Nord, lanciare contro il nemico un'azione di masse, a carattere risolutivo, con forze sufficienti per la rottura e per lo sfruttamento del successo, in direzione evidentemente o di Barcellona o di Valencia

o di Madrid; azione che dovrebbe avvicinarci grandemente alla risoluzione della guerra; ed è ovvio che un'azione in massa non può condursi senza la massa, la quale neppure potrebbe essere costituita dai soli 70.000 uomini eventualmente recuperati sul fronte Nord, ma dovrebbe essere portata più o meno a 300.000 uomini con nuovi contributi spagnoli, tedeschi e italiani. Ma esisterà questa massa? Si vorrà costituirla?

4° -Se per ragioni generali bisognerà rinunziare alla detta azione in massa, cioè allo sfondamento del fronte rosso, è necessario fin da ora prevedere una lunga paralisi, un prolungarsi indefinito della guetra, che si trasformerebbe perciò in guerra di posizione, fino a quando non intervenissero o fattori politici interni (rivoluzione in una delle due Spagne) o fattori politici esterni (mediazione o più attiva forma d'interventi delle Potenze): cioè o discrasia interna di una delle due Spagne o sottomissione delle due Spagne insieme ad un intervento collettivo delle Potenze: è chiaro che sia l'una sia l'altra delle due dette soluzioni potrebbero essere nettamente nocive agli interessi italiani.

5° -Qualora né l'intervento esterno a fine pacificatore né sommovimenti interni portassero alla conciliazione, potrebbe prevedersi certo una lunga durata della guerra di posizione fra le due Spagne, ed il permanere del Paese così diviso in due anche per qualche anno, come forse è nel segreto desiderio dei nazionalisti e dei rossi, dal momento che la vittoria militare non sembrasse per nessuno dei due rapidamente ottenibile. Questa ipotesi che a noi sembra folle, è pienamente accettabile dal carattere, dalla tradizione storica, dalla incapacità dei due avversari a conciliarsi, dalla generale depressione e anche in parte dagli interessi odierni economici delle due Spagne: sono capaci di durare così dieci anni.

6° -Problema dei legionari italiani. La indispensabilità e l'urgenza per noi, di un successo che, su qualsiasi fronte spagnolo, ridia alle nostre truppe nel più breve tempo e con la maggiore notorietà possibile, e anche con la più scandalosa pubblicità internazionale possibile, il prestigio cui l'Italia ed esse medesime hanno indiscutibile diritto, cioè una rivincita chiara e netta, è tale che non ha bisogno di essere illustrata da me.

Si tratta invece di sapere quando, dove e come potremo impiegare le forze legionarie in modo da averne un successo militare pieno e indiscutibile. Non a me spetta di avanzare suggerimenti in proposito: ma per quello che conosco della situazione e pur tenendo il massimo conto della ricostituzione morale delle nostre truppe, debbo dichiarare che ritengo modesto il complesso delle forze italiane attuali in Spagna anche se vengano rafforzati i quadri, epurati i battaglioni, accresciuti i mezzi e mutato il comando. Modesto complesso, a mio subordinato avviso di profano, per poterlo portare oggi ad un nuovo cimento in massa, s'intende ove vogliano pregiudizialmente aversi garanzie totali di successo luminoso.

I calcoli di previsione dell'attivo e del passivo che deriverebbero da una soluzione felice o infelice, dopo l'esperienza della sordida speculazione antifascista per Guadalajara, consiglierebbero la prudenza.

Occorre in ogni caso sfruttare il vivo spirito di rivincita di grande parte dei nostri ufficiali e soldati, impiegandoli con abilità non solo militare ma anche politica, in una o magari in varie azioni, contemporanee e perché no su diversi fronti, in modo da poter contare varie giornate di successo militare, che dovrebbero essere potenziate e valorizzate da Franco sotto il pungolo dell'Ambasciata, la cui azione dovrebbe consistere in quel momento nel tirare il maggior frutto tnorale da una serie di operazioni nostre: maggior frutto possibile in Spagna e nel mondo.

7° ed ultimo punto, ed abbozzo di conclusioni. Fra sei od otto settimane mettiamo, il prestigio delle nostre truppe in Spagna sarà stato pienamente restaurato in faccia al mondo, oltre che in faccia agli spagnoli e quanto al Nord esso sarà o caduto o no.

Se il Nord sarà caduto, riterrei che l'Italia dovrebbe sviluppare subito una politica attiva ferma insistente e realizzatrice, onde concretare i benefizi del nostro formidabile contributo al successo di Franco, ed evitare con ogni mezzo il fatale tenta-[ ......... ] partecipare in pieno alla organizzazione del nuovo Stato. Sarà quello il momento in cui scenderà con tutte le sue risorse in campo l'Ambasciata, appoggiando la propria azione su 30.000 baionette.

Se invece il Nord non sarà caduto, dovremo rassegnarci assai malinconicamente alla continuazione indefinita della guerra: in tal caso l'Italia potrebbe essere portata a rivedere almeno parzialmente la propria posizione generale di fronte a quello che in ogni caso è per l'Europa il problema spagnolo, e, qualora si andasse verso una in tal caso desiderabile minor misura dello intervento italiano in quel Paese, potrebbe cominciarsi con l'accordare verso metà maggio un congedo all'Ambasciatore, in attesa degli avvenimenti, onde premere con nuovi modi sulla situazione: e così potrebbero modificarsi alcune altre linee principali della nostra attuale azione, eccitando in pari tempo attività diplomatiche internazionali atte a cercare una soluzione politica che, con la piena partecipazione dell'Italia, pacificasse la Spagna e ivi rendesse impossibile il regime comunista.

L'Ambasciata d'Italia a Salamanca non ha per ora altri sussidi informativi da offrire al Governo Fascista.

Questo promemoria è stato da me dettato alla macchina durante tre ore, che sono il primo momento di pausa nel lavoro necessariamente frammentario e monco svolto a Salamanca, specie dopo Guadalajara. Molte, moltissime altre cose, sia pur secondarie, possono concorrere a completare il quadro e sono, per esse, a completa disposizione di V ostra Eccellenza 1 .

433

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2557 /86bis R. Belgrado, IO aprile 1937, ore 16 (per. ore 18,30)

Stojadinovic mi ha detto che Antonescu, il quale durante riunione di Belgrado 2 ha nettamente dimostrato il suo pieno favore nei riguardi del patto italo-jugoslavo, gli ha espresso il desiderio che anche fra l'Italia e la Romania intervenga una manifestazione della cordialità rapporti fra i due Paesi. In tale ordine di idee, Antonescu proporrebbe di concludere intanto una convenzione culturale. Ha pregato Stojadinovic di presentire in proposito le disposizioni di V.E.

Ho detto Stojadinovic che avrei riferito quanto sopra e che ero certo che V.E. avrebbe tenuto a marcare la nuova situazione creata fra Roma e Belgrado facendomi avere p~r suo tramite la risposta preliminare attesa da Antonescu. Ho compreso che Stojadinovic lo gradirebbe moltissimo per evidenti ragioni.

l Il documento ha sulla prima pagina il timbro «Visto dal Duce». 2 Del Consiglio della Piccola Intesa {1°-2 aprile).

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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2568/88 R. Belgrado, IO aprile 1937, ore 20,50 (per. ore 3 del! '11).

Ho veduto oggi Stojadinovic per riassumere risultati della riunione della Piccola Intesa1 e della visita di Benes 2 .

l) -Patto itala-jugoslavo. Mi ha confermato la piena adesione di Antonescu. Da parte della Cecoslovacchia l'attacco è stato portato sopratutto su considerazioni di forma e di tempo: mancata comunicazione preventiva del testo del patto a Praga e Bucarest; precedenza della visita di V.E. e della firma sulla riunione della Piccola Intesa e sulla visita di Ben es;

2) -Patto di mutua assisten:::a 3• La formula trovata per seppellire progetto è stata quella del rinvio sine die della presa in esame dello stesso. Stojadinovic ed Antonescu hanno fatto valere opportunità di attendere per vedere come si metteranno le cose per la nuova Locarno.

Krofta ha poi fornito loro un argomento di rinforzo accennando a vaghe possibilità di conversazioni fra Praga e Berlino. Nel comunicato finale della riunione4 è stato inserito appositamente, alla fine del punto sesto, l'accenno ai rapporti con «tutti» i vicini. Comunque Stojadinovic ha già comunicato a questo ministro di Francia che la posizione assunta per tale rinvio può considerarsi costiture la risposta della Jugoslavia alla formale proposta di Parigi in argomento.

3) -Ungheria. Stojadinovic mi ha detto che, rendendosi conto della convenienza di non forzare una connessione delle situazioni locali, ha ripetuto a Krofta e ad Antonescu la stessa formula da lui usata al Senato, che cioè «governo jugoslavo non ha mai avuto intenzione concludere un qualunque accordo separato colla vicina Ungheria all'insaputa e senza consenso dei suoi alleati della Piccola Intesa, Romania e Cecoslovacchia». È stata ammessa peraltro in principio possibilità della conclusione di accordi bilaterali anche in occasione della discussione sull'ammissibilità del riarmo Ungheria.

Stojadinovic mi ha aggiunto che permangono integre le sue disposizioni nei riguardi di tale avvicinamento all'Ungheria, ma che occorre ciò avvenga senza precipitazione per evitare difficoltà od imbarazzi.

Intanto, egli è in contatto con questo mio collega di Ungheria per quanto è oggetto del mio telegramma per corriere n. 014 del 3 aprile5 .

l Vedi D. 391. 2 Vedi D. 417. 3 Vedi p. 514, nota 3. 4 Vedi p. 484, nota 3. 5 Vedi D. 395.

È sempre intenzionato mettersi m rapporto con esponenti locali minoranza ungherese, lasciando che governo di Budapest faccia poi o meno luogo alla dichiarazione progettata ma comunque in modo che tutto ciò non appaia costituire il risultato di un accordo in contrasto con gli impegni assunti recentemente 1•

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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2572/89 R. Belgrado, IO aprile 1937, ore 20,50 (per. ore l dell' 11).

Telegramma di V.E. n. 802•

Da qualche sondaggio da me fatto non risulta che Stojadinovic sia stato messo al corrente del progetto di Riistii Bey circa legami collettivi Balcani con l'Italia. Parlandomi, anzi, recentemente di Aras, mi ha detto che egli è in difficoltà con Mosca dopo il convegno di Milano e che sa che sta cercando di riparare. Stojadinovic, del resto, non è uomo da prendere in concreta considerazione progetti espostigli nel corso di una visita di Aras di cui egli conosce le preoccupazioni sostanziali di fronte alla nuova situazione itala-jugoslava.

In linea generale, comunque, questo presidente del Consiglio mi ha ripetutamente e categoricamente dichiarato che d'ora in poi in materia di impegni internazionali intende procedere in stretto contatto con V.E. ed averne il preventivo consiglio.

436

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2570/87 R. Atene, IO aprile 1937, ore 21,05 (per. ore 22,45)

Parlandomi della recente riunione del Consiglio della Piccola Intesa 3 , il signor Mavrudis mi ha detto che, tanto essa quanto recente visita di Benes nella capitale jugoslava4 avevano messo in evidenza la differenza di concezioni poli-

I Si veda in proposito il D. 576. 2 T. 707/80 R. del 2 aprile. Ritrasmetteva il D. 359. 3 A Belgrado, il l0 -2 aprile. 4 Vedi p. 514, nota 2.

551 tiche fra il governo di Praga e quello di Belgrado. Mentre il primo, fedele seguace della politica del Quai d'Orsay, era strenuo sostenitore teorico sicurezza collettiva e dei patti di mutua assistenza sotto l'egida S.d.N., il secondo aveva mostrato coi fatti preferire ad essa accordi bilaterali coi vicini al di fuori istituzione ginevrina.

Krofta e Benès si erano battuti a Belgrado per fare accettare dagli alleati proposte francesi del patto di mutua assistenza fra tutti gli Stati della Piccola Intesa con la Francia, mentre Stojadinovic aveva sostenuto l'inopportunità di tale nuovo legame ed era riuscito a fare respingere la proposta. La stessa differenza di direttive si era prospettata fra Presidente cecoslovacco ed il Reggente jugoslavo e traspariva anche nei brindisi scambiati fra quei due capi di Stato. Quanto a Romania, essa aveva, a parere del mio interlocutore, sostenuto una parte meno decisa di quella degli altri alleati, giacché Antonescu, se da un lato non voleva scontentare Parigi, dall'altro temeva di mettersi, come Titulescu, in contrasto con Stojadinovic.

Da tutta la conversazione, ho riportato impressione che anche questo governo ritiene che le due ultime manifestazioni di Belgrado hanno gravemente nociuto alla solidarietà della Piccola Intesa ed alla politica ed al prestigio dei francesi nell'Europa danubiana.

437

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, A TTOLICO. A BRUXELLES, PREZIOSI, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 758/C.R. Roma, 10 aprile 1937.

L'incaricato d'affari di Francia ha fatto verbalmente presente che il suo governo gli ha dato istruzioni di ricordare che sin dall'ottobre scorso il conte di Chambrun aveva esposto a questo ministero il punto di vista francese circa l'interpretazione data dai memoranda italiani alla garanzia di Locarno 1 .

Il conte di Chambrun aveva allora sostenuto non potersi tale garanzia qualificarsi come «congiuntiva», bensì come «individuale e collettiva». Poiché l'ultimo memorandum italiano del 12 marzo2 insiste su tale interpretazione, il signor Bionde! ha avuto istruzioni di far presente, «dans la forme la plus amicale, mais la plus

1 Non è stata trovata documentazione di un passo in proposito effettuato nell'ottobre 1936 dall'ambasciatore di Francia. Peraltro dalla documentazione francese risulta che la posizione del Quai d'Orsay fu chiarita da Léger a Cerruti, allora in partenza per Roma dove forse ne riferì a voce, e che l'ambasciatore de Chambrun fu incaricato di ribadirla (vedi DDF, vol. III, D. 404).

2 Vedi D. 268.

nette» che l'interpretazione di garanzia congiuntiva è, secondo il governo francese, decisamente contraria:

a) all'art. l del trattato di Locarno (Les hautes Parties contractantes garantissent individuallement e collectivement ecc.); b) all'art. 4, par. 2 (dés que le Conseil de la S.d.N. chacune d'elles s'engage à prèter ........ ); c) all'art. 4 par. 3 (En cas de violation flagrante ..... chacune des autres Puissances contractantes s'engage ... ).

Il governo francese insiste dunque ancora una volta sul carattere «individuale e collettivo» della garanzia stessa» 1 .

438

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ATTOLICO, A LONDRA, GRANDI, E A MOSCA, ROSSO

T. SEGRETO PER CORRIERE 770 R. Roma, IO aprile 1937.

È stata segnalata la conclusione di un accordo fra i governi tedesco e sovietico a carattere principalmente militare. Esso contemplerebbe anche questioni commerciali e finanziarie. Eden ne avrebbe di recente intrattenuto Ribbentrop. Secondo altra fonte, l'accordo in questione sarebbe stato concluso fra Voroscilov e Goering.

Nonostante inverosimiglianza notizia, stampa internazionale ha d'altra parte riportato in questi giorni informazioni circa presunte correnti che si disegnano sopratutto nella Reichswehr in favore di un riavicinamento con la Russia sovietica. Analoga interpretazione è data, in parte, al riavvicinamento HitlerLudendorff2.

Quanto precede per informazione e perché voglia V.E., ad ogni buon fine, seguire la questione sulla quale sono però del tutto scettico 3 .

I Da Berlino l'ambasciatore Attolico comunicava di avere appreso dall'esperto giuridico della Wilhelmstrasse, Gaus, che uguali riserve erano state avanzate dal governo francese alla Germania tramite l'ambasciata a Parigi. Il ministero aveva avvertito l'ambasciatore Welczeck «che esso considerava la congiuntività come una concezione a carattere ed effetti più politici che giuridici» (telespresso 1744/549 del 15 aprile).

A sua volta, l'ambasciatore Cerruti telegrafava di ignorare quali istruzioni fossero state date al conte de Chambrun nell'ottobre precedente ma che comunque Léger allora gli aveva ribadito che la garanzia data da Italia e Gran Bretagna nel trattato di Locarno «non era da considerarsi solidale nel senso che venendo meno una venisse meno l'altra» (T. per corriere 2819/089 R. del 19 aprile).

2 Vedi D. 379.

3 Su la questione si veda quanto veniva successivamente comunicato da Londra (D. 439), Berlino

(DD. 465, 474 e 495) e Mosca (DD. 478 e 489).

439

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2535/092 R. Londra, IO aprile I937 (per. il I3).

Le voci secondo le quali si starebbe delineando un riavvicinamento fra la Russia e la Germania, sopratutto per opera dei rispettivi Stati Maggiori ed ambienti militari, sono state largamente commentate a Londra ma vi hanno trovato scarso credito. Preoccupazioni sorte al riguardo sono state rapidamente smorzate in questi circoli governativi che hanno posto in dubbio la fondatezza della notizia. Negli ambienti del Foreign Office si ritiene che la voce sia stata messa in circolazione dal governo sovietico, allo scopo di impaurire la Francia, sulla cui recente politica Mosca ha fatto ripetutamente comprendere di non essere soddisfatta, e richiamarla così ad un più stretto e fedele legame con l'U.R.S.S.

440

IL FUNZIONARIO ADDETTO ALL'UFFICIO DI GABINETTO, LANZA D'AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO SEGRETO. Roma, IO aprile I937.

Dopo l'udienza accordatagli ieri mattina dal Sommo Pontefice, il prof. Manacorda, dovendo improvvisamente rientrare a Firenze, mi ha pregato di passare dal suo albergo per mettermi al corrente dei risultati della sua visita in Vaticano. In tale occasione egli mi ha pregato di riferire all'Eccellenza Vostra quanto segue.

L'udienza, durata circa quaranta minuti, è stata improntata ad un carattere di benevola affabilità da parte del Santo Padre. Questi è apparso al Manacorda fisicamente affaticato e moralmente abbattuto. Sopratutto ha colpito Manacorda, nel corso di questo colloquio, la sfiduciata ed amareggiata rassegnazione che traspariva dalle parole e dall'atteggiamento del Sommo Pontefice.

Al Santo Padre Manacorda ha riferito il risultato -già noto all'Eccellenza Vostra -della sua recente conversazione con il Fiihrer 1 e, premettendo che le sue impressioni sullo stato d'animo di Hitler e dei dirigenti tedeschi circa i rapporti tra la Germania e la Santa Sede era anteriore alla recentissima Enciclica anti-nazista 2 , ha attirato la sua attenzione sulle buone disposizioni manifestate da Hitler nei riguardi di possibili dirette trattative tra Vaticano e Reich in vista di dirimere le cause dell'attuale gravissima tensione. In particolare, Manacorda ha riferito al Papa la soddisfazione con la quale Hitler aveva accolto la recente Enciclica anti-comuni

l Vedi p. 474, nota l. 2 Vedi p. 402, nota l.

sta 1 che, agli occhi del mondo germanico, per la prima volta aveva decisamente schierato il cattolicesimo tra gli avversari del bolscevismo, e l'assicurazione avuta dal Fuhrer sulla possibilità di un modus vivendi circa l'osteggiata legislazione relativa alla «sterilizzazione». Egli ha inoltre illustrato al Santo Padre, in base alle sue recenti esperienze germaniche, le imprevedibili conseguenze di un simile stato di tensione e la sincera preoccupazione manifestata al riguardo dallo stesso Hitler.

Il Santo Padre, dopo avere ascoltato con interesse la dettagliata esposizione di Manacorda, ha dichiarato di nutrire ben poca fiducia nella sincerità delle intenzioni del Fuhrer e dei dirigenti nazisti, la cui politica religiosa e sociale egli aveva dovuto, in questi giorni, decisamente bollare su pressanti insistenze degli stessi vescovi tedeschi; ed ha affermato che ulteriori prevedibili inasprimenti nelle persecuzioni dei cattolici tedeschi non sarebbero stati che uno dei tanti aspetti dell'attuale fosco caos europeo, che la Chiesa Cattolica avrebbe sopportato, come sempre, con cristiana rassegnazione. Poi, dopo aver premesso questo sfiduciato giudizio, il Sommo Pontefice ha aggiunto che prendeva tuttavia atto della comunicazione di Hitler «con molta considerazione» e che non scartava, qualora il Fuhrer avesse preso lui stesso l'iniziativa ufficiale di un diretto e segreto negoziato, la speranza di poter raggiungere un modus vivendi tra Vaticano e Reich. Egli ha concluso il suo pensiero dichiarando testualmente «sono sempre pronto non solo ad ascoltare ma anche a trattare; lo faccia sapere a Berlino».

Dall'udienza del Sommo Pontefice e dai colloqui avuti in questi giorni in Vaticano, con il cardinale Pacelli e monsignor Pizzardo, il prof. Manacorda ha tratto le seguenti impressioni.

l) -Papa Ratti è oramai un uomo scorato e stanchissimo, e nelle anticamere vaticane si prevede assai prossima la sua fine. In un improvviso ritorno di vitalità, dopo il recente miglioramento dei suoi numerosi mali, Egli ha voluto, con l'antica vivacità, prendere di fronte alla Storia posizione nei riguardi del comunismo e del nazismo. Questo sforzo volitivo dà tutta l'impressione di «un canto del cigno».

2) -Il Santo Padre considera caotica la situazione politica, economica e sociale dell'Europa e su di un suo possibile raddrizzamento ha perso ogni fiducia. Tuttavia nei limiti delle sue forze -ed ha in proposito voluto velatamente far comprendere a Manacorda che le sue possibilità sono ogni giorno più limitate nel caso specifico dei rapporti col nazismo, egli personalmente sarebbe disposto ad iniziare, su di una concreta proposta di Hitler, immediati negoziati.

3) -Negli ambienti vaticani le tendenze democratiche e sinistreggianti stanno consolidandosi, particolarmente su forti pressioni straniere, in vista di un imminente Conclave. Questi ambienti sono tutti decisamente anti-nazisti.

In relazione alle istruzioni impartitegli dall'Eccellenza Vostra ed agli accordi intercorsi tra lui ed il Fuhrer, il prof. Manacorda stenderà subito in tedesco una parziale relazione del colloquio con il Sommo Pontefice, che farà rimettere personalmente all'Eccellenza Vostra per un riservato inoltro al Cancelliere germanico 2 .

I Vedi p. 475. nota L 2 Il documento ha il visto di Mussolini. Per il seguito si veda il D. 482.

441.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 1669/521. Berlino, IO aprile 1937 (per. il 12).

A telegramma V.E. n. 154 del 9 aprile 1 e precedenti 2•

Riassumo qui appresso l'azione che questa ambasciata, conformemente alle istruzioni ricevute dalla E.V. ha svolto in relazione alla situazione spagnola: Colloquio Magistrati Goring del 2 u.s. 3 . Colloquio mio con Blomberg del 5 u.s. 4 . Colloquio dell'addetto aeronautico con S.E. Milch dell'8 u.s. Colloquio dell'addetto militare con S.E. il generale Keitel dell'8 u.s.

V.E., che è stata già regolarmente informata del risultato dei primi due colloqui, troverà ora in allegato dei brevi resoconti degli ultimi due. Da essi V.E. vedrà:

l) che lo sforzo che la Germania sta compiendo per guanto riguarda invio di materiali in Spagna è tutt'altro che trascurabile; 2) che la direzione delle operazioni spagnole è ~anche per quanto riguarda l'aviazione~ praticamente passata dal generale Goring al Maresciallo Blomberg.

In vista di quanto sopra e onde mettere il generale Goring ~ col quale le pratiche erano state iniziate~ in possesso di un documento ufficiale e di governo, da sottomettere quindi allo stesso Fuhrer, io gli ho diretto in data di oggi una lettera riassuntiva, nella quale ho messo in particolare evidenza le ultime richieste contenute nel telegramma n. 154 della E.V. in data di ieri.

Con mio telegramma del 95 ho a mia volta richiamato l'attenzione della E.V. sull'opportunità che tutte le richieste di aiuti ai nazionalisti spagnoli vengano avanzate qui anche direttamente dal generale Franco 6 .

ALLEGATO I

L'ADDETTO AERONAUTICO A BERLINO, TEUCCI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

PROMEMORIA. Berlino, 8 aprile 1937.

In seguito alle istruzioni di V.E. mi sono recato quest'oggi dal Generale Milch onde metterlo al corrente delle ultime intercettazioni al riguardo di pressanti richieste di apparecchi e di piloti rivolte alla Russia da parte del Governo di Valencia e della decisione italiana di inviare in Spagna altri 20 C.R. 32 e 4 Ba 88.

I Vedi p. 475, nota l.

2 Vedi p. 475, note 3 e 4.

l Vedi D. 389.

4 Il colloquio aveva avuto come argomento la fornitura di cannoni anticarro. Le premure di Attolico a tale proposito avevano avuto una risposta positiva (T. per corriere 2529/023 del 7 aprile). 5 T. 4418/167 del 9 aprile. Istruzioni nel senso indicato da Attolico furono inviate all'ambasciata a Salamanca con T. 762/323 R. del IO aprile. 6 Il documento ha il visto di Mussolini.

Nel mentre pregavo il Sottosegretario di Stato di dar conto di quanto sopra al Ministro Goring, aggiungevo l'invito all'aviazione tedesca di voler concorrere al nuovo contributo italiano col decidere l'invio al Generale Franco di altre forze da bombardamento.

Il Generale Milch, mentre mi dava assicurazione di riferire in merito ~oggi stesso ~ al Ministro Goring, mi comunicava che in base a recenti disposizioni, l'unica autorità tedesca competente a decidere l'invio di materiale in !spagna era il Ministro della Guerra; riteneva perciò opportuno ne fosse reso edotto il Maresciallo Blomberg del quale era indispensabile ottenere la preventiva approvazione.

Egli mi comunicava inoltre che era in corso l'invio di 8 caccia He 51 richiesti dal Governo di Franco e di alcuni idrovolanti He 59 (da bombardamento leggero) per la base di Malaga; a questi verrebbe affidato il particolare compito di tenere d'occhio il «Jaime l 0 » e di tentarne la distruzione.

Secondo il Generale Milch, i tedeschi avrebbero inviato in !spagna oltre 180 milioni di marchi di materiale aeronautico; dei 200 apparecchi complessivamente inviati, almeno cento sarebbero da considerarsi tuttora efficienti e in piena attività (60 da bombardamento e 40 fra caccia e ricognizione).

Le forze da bombardamento tedesche avrebbero lanciato sinora complessivamente 1000 tonnellate di esplosivo; qualche squadriglia avrebbe raggiunto delle punte di 8-9 tonnellate giornaliere. Oltre che per gli ultimi successi fotograficamente documentati della propria aviazione da bombardamento (distruzione di due centrali elettriche, di un treno blindato ecc.) il Generale Milch sarebbe specialmente soddisfatto per il comportamento del nuovo caccia Messerschmitt 109 (480 Km orari), gli esemplari del quale esistenti in !spagna, si sarebbero rapidamente imposti sulla caccia nemica.

Il Generale Milch stima che l'aviazione rossa disponga attualmente di un nucleo di 60 apparecchi da caccia e da bombardamento in piena efficienza, costruiti in Russia su licenza americana e capaci di sviluppare velocità fra i 350-400 chilometri orari; afferma però, in base ai rapporti in suo possesso, che i piloti rossi combattono con scarso spirito di sacrificio e non osano addentrarsi nel territorio in mano dei nazionali. Ritiene inoltre che l'artiglieria

c.a. pesante (calibro 88 mm) a disposizione di Franco, abbia dimostrato nettamente la sua superiorità nei confronti dell'avversaria.

Dal complesso del colloquio, ed in base anche alla lettura datami dal Generale Milch, della lista del materiale bellico da spedirsi col piroscafo sotto carico (30.000 fucili, 30.000.000 di cartucce, un forte numero di batterie anticarro, varie diecine di tonnellate di bombe d'aeroplano ecc.) ho riportato l'impressione che i tedeschi stiano proseguendo con larghezza di mezzi nell'opera di rifornimento del fronte nazionale spagnuolo.

ALLEGATO Il

L'ADDETTO MILITARE A BERLINO, MARRAS, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

PROMEMORIA. Berlino. 8 aprile 1937.

Ho conferito col Generale Keitel, al quale ho esposto quanto indicato nel telegramma 145 1 , mettendo in evidenza la decisiva importanza che i rossi attribuiscono all'aumento delle forze aeree nazionaliste.

Il Generale Keitel mi ha assicurato che la questione verrà esaminata con la massima buona volontà e si è riservato di farmi conoscere le decisioni del Maresciallo v. Blomberg. In relazione alle varie considerazioni espostegli ha fatto presente: a) la Germania continuerà a mantenere a numero le proprie unità di aviazione in Spagna e ciò richiede già un notevole sforzo, dato il forte logoramento di materiale e di personale;

I Sic. Si tratta del T. 154 (vedi D. 431).

41l

b) gli invii in Spagna hanno turbato notevolmente la formazione delle nuove unità di aviazione, che deve attuarsi in questa primavera. È da ricordare che il Ministro Goring, aveva in passato messa la condizione che nessun nuovo invio dovesse compiersi oltre marzo, appunto per non turbare il programma di ampliamento;

c) non si è persuasi che l'aviazione possa ottenere risultati decisivi;

d) la situazione delle opposte forze aeree viene giudicata certamente favorevole ai nazionalisti, ai quali i tedeschi hanno recentemente inviato materiali molto moderni. L'artiglieria contraerea ha inoltre dato prova di una grande efficacia.

Ho avuto l'impressione che il Generale Keitel non avesse avuto ancora conoscenza del colloquio del nostro Addetto Aeronautico col Generale Milch.

Ritengo probabile che la Germania faccia ancora qualche sforzo per aderire al nostro desiderio ma in misura limitata.

442

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2521/844. Parigi, 10 aprile 1937 (per. il 13).

Poche settimane or sono, l'on. Blum, costrettovi da una situazione finanziaria criticissima, annunziava al Paese la necessità di una «pausa» nell'attività riformatrice del governo e si proclamava sostenitore di una politica economica liberale. Occorre infatti -egli disse -consentire all'economia nazionale un adattamento graduale alle nuove leggi sociali ed imporre un tempo di arresto all'incessante incremento degli oneri gravanti sul bilancio dello Stato. Noi rifuggiamo -egli aggiunse -da ogni forma di economia autarchica e dittatoriale e vogliamo restaurare le finanze pubbliche stimolando la libera circolazione dei capitali nel libero gioco delle forze economiche.

Le parole del presidente del Consiglio sollevarono non poco scalpore: radicali e moderati vi scorsero un segno di resipiscenza, i comunisti un segno di debolezza. Il successo del prestito dei IO miliardi sembrò comunque -per opposti ma convergenti motivi -fornire motivo di soddisfazione tanto agli alleati che agli oppositori del governo e, per cio' stesso, costituire una garanzia di tranquillità per l'avvenire.

I conflitti di Clichy 1 e gli avvenimenti poi succedutisi hanno inferto un colpo assai grave a queste rinascenti speranze e hanno messo in rilievo la contraddizione esistente tra il desiderio di seguire una politica economica liberale e la necessità di attuare una politica sociale dominata da esigenze demagogiche.

Lo sciopero generale imposto da una frazione estremista della Confederazione Generale del Lavoro, la ripresa delle agitazioni operaie nella regione parigina, a Lione, a Brest, a Nantes e in molti altri luoghi hanno seriamente compromesso la «pausa» auspicata dall'on. Blum. Mentre i sindacati dell'edilizia minacciano di incrociare le braccia sui cantieri dell'Esposizione se il governo non assicura il finanziamento dei lavori successivi all'apertura dell'Esposizione, l'On. Blum è costretto dalle pressioni degli elementi sindacali estremisti a mettere in stato di accusa

t Vedi D. 304.

il Partito Sociale Francese, minacciato di prossimo scioglimento prima ancora che l'autorità giudiziaria abbia reso nota la propria sentenza.

Questo progressivo slittamento dell'autorità costituita verso un regime di illegalità e di arbitrio non sfugge al partito radical-socialista che esprime manifestamente il proprio malumore e-per la prima volta dacché si è associato a socialisti e comunisti -si accinge a dar prova di sé organizzando una manifestazione di massa, com'è quella che deve aver luogo il 18 corrente a Carcassonne con l'intervento di 10.000 giovani radicali. Il concentramento delle organizzazioni giovanili radicali è un'evidente replica alla manifestazione di Crei!, ove il 28 marzo 10.000 iscritti alle formazioni giovanili socialiste sfilarono militarmente inquadrati e in uniforme alla presenza di tre ministri socialisti.

Nella stessa giornata del 18 aprile si produrrà un altro avvenimento degno di particolare rilievo: la riunione straordinaria del Consiglio Nazionale del partito Socialista, indetta per deliberare sul problema dell'eventuale esclusione dal Partito di quegli elementi ultrarivoluzionari ·che giudicano insufficienti le realizzazioni compiute dal governo di Fronte Popolare ed auspicano una trasformazione rapida ed energica dell'ordine sociale francese.

La crisi che minaccia attualmente la compattezza del partito socialista ha le sue origini nella costituzione stessa del Fronte Popolare, il cui programma di riforme, pubblicato nell'autunno 1935, apparve agli estremisti del partito socialista inadeguato ad esprimere la profonda volontà di rinnovamento che animava il popolo francese. Le vicende dell'«esperienza Blum» hanno accentuato sempre più il distacco di questa corrente di estrema sinistra dall'ortodossia ufficiale del Partito ed il movimento ha assunto in questi ultimi mesi un'evidenza che non permetteva più di conservare il silenzio. Prima del Congresso Nazionale, indetto a Marsiglia per la fine di aprile, il Partito Socialista ritiene opportuno prendere netta posizione contro il frondismo di carattere trotskista e leninista che si è sviluppato nel suo seno ed è quindi assai probabile che varie esclusioni verranno pronunziate dal Congresso Nazionale straordinario a danno di elementi riluttanti ad accettare la disciplina del Partito. Di queste esclusioni si avvantaggerà quel complesso di gruppi ed organizzazioni che fanno capo alla IV internazionale, o gravitano intorno ad essa: «Partito operaio internazionalista» (sezione francese della IV internazionale); Partito Comunista internazionalista; Unione Comunista; Gruppo Internazionale, ecc.

Si ingannerebbe peraltro colui che da simili circostanze deducesse un concreto indebolimento del settore social-comunista del F.ronte Popolare. Il comune interesse a lottare contro l'ideologia trotskista della rivoluzione permanente e integrale crea un nuovo motivo di solidarietà tra il partito comunista e quello S.F.I.O. ed è sintomatico che proprio nell'attuale periodo i comunisti intensifichino la loro campagna per la fusione dei due organismi in un unico grande partito operaio, che disporrebbe di effettivi e di mezzi d'azione ingentissimi, guaii mai conobbe la vita politica francese.

L'eventualità di questa fusione non contribuisce indubbiamente a calmare le apprensioni della pubblica opinione. Ciò nonostante, e malgrado le persistenti incognite economiche e finanziarie, il più tenace ottimismo continua ad ispirare le parole e gli atti del governo che dalla prossima Esposizione Internazionale sembra attendere risultati importantissimi per il successo dell'esperienza intrapresa 1 .

I Il documento ha il visto di Mussolini.

443

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 768/138 R. Roma, 11 aprile 1937, ore l.

Suo 272 1 .

V.E. può comunicare a Eden, in conformità alle istruzioni del Duce, che governo fascista acconsente in via di principio alla nomina di una Commissione tecnica per lo studio della questione del ritiro dei volontari. Naturalmente Comitato dovrà respingere o, almeno, indefinitamente rinviare, proposte sovietiche di cui al suo telegramma n. 273 2• Confermo che discussione tali proposte provocherebbe da parte nostra immediata richiesta di esame delle gravi e recenti violazioni sovietiche e francesi all'accordo di non intervento, di cui soltanto una piccola parte -e non la più importante -è stata riassunta da Gay da il 7 e 1'8 corrente3 .

444

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2582/91 R. Budapest, 11 aprile 1937, ore 21,25 (per. ore 0,50 del 12).

Secondo le istruzioni verbali di V.E., appena giunto qui 1'8 corr. mi sono intrattenuto con Kanya circa considerazioni Stojadinovic a proposito convegno Piccola Intesa (telespresso 211478 del 6 corrente) 4 .

Per quanto concerne stato attuale conversazioni con Jugoslavia, come ho riferito per corriere 5 (dato che ministro degli Affari Esteri mi aveva detto che ministro d'Ungheria a Belgrado ne aveva parlato a Indelli) Kanya mi ha detto in sostanza che qualche settimana fa Stojadinovic aveva mostrato di accogliere col massimo calore una sua proposta. Egli gli aveva anche sottoposto una formula di una sua dichiarazione unilaterale, sul tipo di quella contenuta nel Patto Kellogg, domandando in cambio garanzie circa minoranze. Ma dopo il convegno della Piccola Intesa, Kanya aveva visto mutare radicalmente atteggiamento Stojadinovic, che avrebbe dichiarato considerare la formula non soddisfacente.

t Vedi D. 416.

2 T. 2491/273 R. del 7 aprile. Grandi aveva riferito che, secondo quanto gli era stato comunicato da Lord Plymouth, il governo sovietico intendeva presentare come propria al Comitato di non intervento la documentazione raccolta dal governo di Valencia su la presenza di truppe italiane in Spagna.

3 Con gli articoli «Ancora cifre e fatti» e «l rifornimenti stranieri ai rossi. Gli interventi sovietici», entrambi su Il Giornale d'Italia.

4 Ritrasmetteva il D. 391.

5 Con rapporto 4550n59 del1'8 aprile, il ministro Vinci aveva già riferito sul suo colloquio con Kanya in termini identici a quelli usati in questo telegramma. Il rapporto, pervenuto il 14 aprile al ministero, ha il visto di Mussolini.

Questo ministro degli Affari Esteri mi ha detto che allo stato attuale delle cose non credeva di poter riproporre una nuova formula, convinto che atteggiamento attuale di Stojadinovic debba attribuirsi a influenza Cecoslovacchia e Romania e nell'impossibilità di trattare contemporaneamente anche a Praga e a Bucarest, come, secondo Kanya, sarebbe desiderio Piccola Intesa. Ministro degli Affari Esteri pensava tuttavia di fare alla prima occasione una dichiarazione genericamente cortese verso la Jugoslavia, pur confermandomi suo scetticismo già manifestatomi in passato.

Ho visto iersera questo ministro di Jugoslavia -notoriamente francofilo -il quale confermandomi attuale stasi conversazioni, mi ha chiaramente detto:

l) -che la situazione della Jugoslavia verso gli altri membri della Piccola Intesa è ben diversa nei riguardi dell'Ungheria che non nei riguardi di altri Stati: ad esempio, nei riguardi dell'Italia e della Bulgaria la Jugoslavia non aveva impegni definitivi ed era completamente libera di trattare ma esistono invece impegni fra i tre Stati nei riguardi dell'Ungheria, né la Jugoslavia può sottrarvisi.

2) -Era stato un errore che la stampa ungherese avesse già parlato di poter scardinare la Piccola Intesa con un riavvicinamento ungaro-jugoslavo: tanto più forte era stata la reazione sulla Jugoslavia della Cecoslovacchia e della Romania.

3) -Se opinione pubblica ungherese si era mostrata favorevole ad un riavvicinamento, non si poteva dire altrettanto dell'opinione pubblica jugoslava, presso la quale, secondo il mio collega, un riavvicinamento con l'Ungheria non incontrava favore.

Ciò confermerebbe quanto mi aveva detto Kanya circa la difficoltà, attualmente assai aumentata, di trattare separatamente con la Jugoslavia 1 . Attiro anche attenzione di V.E. su un articolo del Lidove Noviny dell'S corr.

Anche per mia eventuale norma di linguaggio con questo governo, sarei grato a V.E. farmi conoscere quanto risulti a Belgrado circa trattative ungaro-jugoslave.

445

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 771 R. Roma, 11 aprile 1937.

In relazione ai negoziati costà intrapresi per la sistemazione degli interessi italiani e francesi in A.O. prego confermare al Quai d'Orsay che da parte nostra restiamo in attesa di conoscere le proposte francesi circa i diritti di transito per le

I Il ministro Vinci telegrafava successivamente di avere avuto un altro colloquio con il ministro di Jugoslavia il quale gli aveva confidato che Stojadinovic era rimasto assai male impressionato per l'entità delle richeste avanzate dagli ungheresi fin dai primi contatti ed aveva poi sottolineato che la Jugoslavia non era in condizione di fare delle concessioni all'Ungheria senza un accordo con gli altri due governi della Piccola Intesa (T. per. corriere 2791/074 R. del 15 aprile).

merci da percepire a Gibuti nella nuova situazione. Come è noto a V.E. le proposte formulate dai francesi mancano di questo elemento.

Come è già stato fatto presente costì, la nostra richiesta è che i diritti di transito a Gibuti siano fissati in misura inferiore a l'uno per cento stabilito dall'accordo italo-inglese per i diritti di transito attraverso il Somaliland. E ciò sia perché il traffico per Gibuti è di molto superiore a quello previsto attraverso i porti britannici (Zeila: 50-Berbera: 200-Gibuti: circa 400 tonnellate di media giornaliera), sia perché occorre tener conto dell'enorme aumento di traffico verificatosi a Gibuti a seguito dell'istaurazione della sovranità italiana sull'Etiopia, aumento che ci dà diritto a facilitazioni. (Prima del conflitto: circa 150; oggi 400 tonnellate di media giornaliera, che presto giungeranno a 600, e alla fine dell'anno saranno portate a 800). Richiamo sul significato di questi dati tutta l'attenzione di V.E.

Altra alternativa sarebbe quella di istituire a Gibuti una zona franca, con amministrazione autonoma, per i traffici con l'A.O.I.

Nel corso della conversazione in proposito al Quai d'Orsay, V.E. potrà dire che per alcune delle proposte francesi è tuttora in corso l'esame dal punto di vista tecnico; che il progetto d'accordo relativo al transito delle persone da Gibuti appare poter costituire in massima una base di discussione; che infine le proposte che hanno una prevalente portata politica non sembra tengano conto del fatto che l'Italia, sovrana dell'Etiopia, non può in alcun modo ammettere limitazioni all'esercizio della propria sovranità, né del fatto che clausole di trattati che avevano a loro presupposto l'esistenza di uno Stato africano di civiltà inferiore non possono oggi, che lo Stato etiopico ha finito di esistere, essere più invocate nei confronti dell'Italia.

V.E. potrà aggiungere che, malgrado tali difficoltà, da parte nostra si continua ad essere desiderosi di pervenire ad una intesa con la Francia per la sistemazione dei reciproci rapporti in A.O., sistemazione che dovrà però ispirarsi alla nuova situazione esistente in detta regione; nonché ad una valutazione più alta degli interessi dei due Paesi.

446

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2539/285 e 2596/288 R. Londra, 12 aprile 1937, ore 20,54 (per. ore 6 del 13).

Riferimento mio telegramma n. 272 1 e 734 2 di V.E.

Eden mi ha ieri pregato passare da lui e mi ha domandato con palese ansioso interesse se avevo avuto risposta da Roma circa questione ritiro volontari e quale sarebbe stata attitudine Italia nella prossima riunione del Comitato.

I Vedi D. 416. 2 Nota del documento: «Riferimento errato, trattasi forse del n. 138». Si veda, in effetti, il D. 443.

Ho risposto Eden che situazione andava oggi esaminata in relazione al fatto nuovo della recente provocatoria nota sovietica 1 , la quale, oltre che denunziare l'Italia di inesistenti violazioni (il governo britannico sa perfettamente che tutto ciò è menzogna), osa avanzare impudente richiesta inviare Commissione Spagna per accertare se volontari italiani sono o non truppe dell'esercito regolare. Prima che Comitato proceda oltre nei suoi lavori, il governo fascista desidera conoscere che cosa Comitato intenda fare della nota sovietica. In caso che quest'ultima dovesse ricevere una qualunque considerazione e seguito da parte Comitato, ciò provocherebbe da parte nostra richiesta immediata di discussione di tutta una serie gravi violazioni quotidiane e recentissime sopratutto da parte Francia e Russia. Italia è pronta affrontare una discussione siffatta, ma è ovvio che questa ultima non potrebbe naturalmente che ostacolare notevolmente e probabilmente sospendere esecuzione del Piano di Controllo che già procede lentissimo. Si tratta di sapere se il governo britannico intenda o non di opporsi a quest'ultima ... 2 e sabotatrice manovra sovietica.

Eden ha risposto dicendo che egli non vedeva particolare inconveniente se il Comitato modificasse proposta sovietica estendendo invio Commissione investigatrice alle due parti in conflitto. Con probabilità tale proposta sarebbe stata respinta da una delle due Parti e quindi cadrebbe da sé. Ad ogni modo era intenzione del governo britannico di rinviare indefinitivamente proposta sovietica dichiarandola non d'attualità in quanto che è assorbita dall'esame della questione più importante dei volontari.

Ho replicato a Eden che non condividevo affatto sua opinione di ricorrere alla eventuale opposizione delle parti in conflitto in Spagna per fare decadere di fatto proposta sovietica. Nota sovietica è stata diretta espressamente contro l'Italia fascista. Comitato ha obbligo di respingerla. Il governo fascista non può neppure accettare rinvio indefinitivamente, che lascerebbe comunque sussistere nell'ordine del giorno tale questione e autorizzerebbe rappresentante sovietico in seguito a chiederne la discussione. Prima di dare una risposta definitiva da parte nostra ritiro volontari e lasciar cadere eventualmente nostre obbiezioni fatte nella seduta Sottocomitato, occorre conoscere in modo preciso seguito che sarà dato alla nota sovietica. Da quello che sarà dunque deciso sulla nota sovietica dipenderà andamento delle future riunioni Comitato.

Eden mi ha risposto di non potersi negare che io ponevo problema in termini generici di assoluta chiarezza. Governo britannico aveva a cuore sopratutto che Comitato iniziasse studio questione del ritiro volontari. Egli si sarebbe pertanto messo subito in relazione con il governo francese per convincerlo ad adottare linea da me indicata. Avrebbe quindi conferito anche con rappresentante sovietico, e ci saremmo di nuovo riveduti oggi per un esame definitivo della questione.

Nel corso del colloquio Eden mi ha chiesto se egli poteva, in risposta alle interrogazioni che avranno luogo oggi Camera dei Comuni, comunicare che sono attualmente in corso fra governo britannico e governo italiano conversazioni per il seguito da darsi alla questione ritiro volontari.

I Presentata al Comitato di non intervento il 7 aprile. 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «due gruppi indecifrabili».

Ho risposto a Eden che non (dico non) mi sembrava opportuno che egli facesse una comunicazione del genere la quale, oltre non rispondere all'esattezza dei fatti, potrebbe dare luogo ad interpretazioni delle quali egli stesso sarebbe il primo a dolersi.

Eden mi ha assicurato che non farà dichiarazione, e si limiterà ad una risposta generica.

447

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2533/29 R. Praga, 12 aprile 1937, ore 21,05 (per. ore 0,05 del 13).

Mio telespresso n. 478/337 in data 7 corr. 1 .

Capo di Gabinetto Esteri che ha partecipato lavori Belgrado mi conferma che prima seduta Consiglio Krofta, nell'esprimere soddisfazione Cecoslovacchia per accordo itala-jugoslavo, ha richiamato, d'accordo Antonescu, attenzione Stojadinovic su mancata osservanza procedura sancita da patto Piccola Intesa. Presidente del Consiglio dei ministri jugoslavo avrebbe chiarito ragioni che lo avevano indotto seguire eccezionalmente procedura non conforme impegni vigenti cui avrebbe tuttavia promesso attenersi esattamente in avvenire.

Circa noto progetto francese 2 , capo di Gabinetto mi ha detto che se ne è parlato pur sapendosi anticipatamente che non se ne sarebbe fatto nulla. Belgrado, infatti, ha mantenuto sue obiezioni, quindi esame progetto è stato d'accordo rimesso a miglior tempo anche in attesa eventuali differenti orientamenti di sicurezza che potrebbero derivare da attesa nuova Locarno.

Della Restaurazione absburgica se non si è fatto alcun accenno nel comunicato è stato però messo a verbale scambio di idee in proposito conclusosi con riaffermazione concorde opposizione Piccola Intesa la quale d'altronde non ha ritenuto necessaria alcuna sua manifestazione in presenza della netta opposizione Germania, Italia.

Sarebbero state poi rimosse apprensioni romene circa patto bulgaro-jugoslavo avendo Stojadinovic data assicurazione formale che non esiste alcun protocollo segreto fra Belgrado e Sofia.

Verrebbe così confermato che in sostanza riunione Belgrado non ha concluso nulla di positivo ed ha occupato suo tempo a rimettere possibilmente in piedi decaduta fiducia fra i tre associati.

1 Commentava i presumibili risultati della riunione del Consiglio della Piccola Intesa del 1°-2 aprile a Belgrado.

2 Vedi p. 514, nota 3.

448

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 2540/367 R. Salamanca, 12 aprile 1937, ore 22,15 (per. ore 7,30 del 13).

Telegramma di V.E. n. 367 1•

Ho intrattenuto generale Franco oggi su note trattative per resa Bilbao. Per quanto convinto importanza che caduta Bilbao avrebbe agli effetti indebolimento governo Valencia e Barcellona, si è mostrato scettico circa risultati trattative, osservando che si trascinano già da tempo e che finiranno coll'essere superate dagli avvenimenti poiché a suo avviso Bilbao dovrà, fra non molto, arrendersi alla forza delle armi.

Circa condizioni poste per la resa assicura aveva già fatto sapere anche a mezzo della radio che vita popolazione sarà rispettata.

Quanto a indulgere verso i capi non ha nulla in contrario. Già ora numerosi dirigenti rossi partono quotidianamente da Bilbao su navi inglesi. Concludendo le trattative, Franco sarebbe disposto ad ordinare alla flotta nazionale di lasciare libero il passaggio a navi inglesi che intervenissero per mettere in salvo i capi responsabili della resistenza.

Ho accennato al desiderio dei baschi di eventuale intervento inglese o italiano per il rispetto alla vita della popolazione. Il generale mi ha fatto chiaramente intendere che lo riteneva superfluo.

Ho invitato console S. Sebastiano seguire e incoraggiare azione di Pereda. Riservomi riferire.

449

IL MINISTRO A PRAGA, DE F ACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2592/1332 R. Praga, 12 aprile 1937, ore 23 (per. ore 6 dell3).

Questo ministro sovietico 3 ha fatto oggi presente al ministero degli Affari Esteri disappunto del governo di Mosca per l'approvazione data dalla Piccola Intesa all'accordo italo-jugoslavo. Ha messo in rilievo inopportunità seguire la via tracciata da Belgrado, la quale porterebbe la Piccola Intesa a gravitare nell'orbita di Roma.

l Nota del documento: «riferimento errato». Si tratta, in effetti, del telegramma di Ciano di cui a

p. 536, nota l. 2 Il n. 133 di protocollo particolare è errato. 3 Sergej Alexandrovski.

450

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI

LETTERA PERSONALE SEGRETA 3339. Roma, 12 aprile 1937.

Il Prof. Manacorda, che ha avuto recentemente dei contatti con alte personalità della Santa Sede, mi ha segnalato -con l'appunto che qui unito riservatamente ti trasmetto -alcune sue impressione sullo stato d'animo che regnerebbe nelle anticamere vaticane in previsione di un prossimo Conclave.

Benché le tendenze segnalate non ci siano sconosciute, ritengo utile ed opportuno che esse siano, per quanto possibile, individuate e che fin da ora si studino le nostre possibilità per ogni evenienza 1•

Dai suoi recenti colloqui in Vaticano 2 il prof. Manacorda ha tratto l'impressione che si considera molto prossima la fine di Papa Ratti e che, in previsione di un imminente Conclave, già è in atto un'azione pre-elettorale da parte di varie forze interessate alla elezione del nuovo Papa. Tali forze sono in maggioranza orientate verso idee e concezioni politiche democratiche.

Manacorda, che ha premesso di non conoscere quale fosse in proposito l'atteggiamento del Governo Fascista, si permette di attirare l'attenzione dell'Eccellenza Vostra sulla necessità di partecipare fin da ora, con opportune pedine, a questo giuoco di influenze.

451

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTÀ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 2215/207. Zagabria, 12 aprile 1937 (per. il 17).

Riferisco di seguito le impressioni più serie che ho potuto raccogliere tra i croati di qui, sotto l'aspetto più specialmente politico, nei riguardi del trattato italo-jugoslavo del 25 marzo u.s.

La grande massa dei croati è rimasta più che altro meravigliata, ma, a parte il primo momento, non ho notato reazioni rumorose e vaste. Ci sono state voci poco favorevoli e qualche ingiuria: in una settimana però la sgradevole impressione era passata, e ho l'impressione che solo i comunisti -anche con qualche dimostrazione, già segnalata-hanno tentato di sfruttare l'avvenimento. I democratici del partito del defunto Pribicevic -non numerosi e da anni decisamente antifascisti -hanno colto l'occasione per ripetere le loro frasi stereotipiche sui danni delle dittature e

l Si veda, a questo proposito, il D. 456. 2 Vedi D. 440.

566 sui vantaggi della democrazia; i loro fogli hanno poca importanza e la gente non vi ha fatto troppo caso.

Quanto ai macekiani e al loro capo, dopo quanto egli aveva ripetutamente affermato nell'ultimo anno di poco amichevole verso il fascismo, non c'è da stupirsi se hanno ostentato una certa indifferenza verso il patto e le conseguenze di esso, nei riguardi delle simpatie italiane per la loro causa. Essendosi essi oramai palesemente orientati verso le democrazie anglo-francesi e subendo, specialmente negli ultimi mesi, qualche influenza comunista, avevano piuttosto l'aria di sfruttare il timore di Belgrado che l'Italia li aiutasse, per cercare di ottenere dai serbi migliori condizioni, nell'eventualità di un accordo entro lo Stato jugoslavo. Davano cioè la sensazione di voler sfruttare le simpatie italiane allo scopo suddetto, piuttosto che di voler lealmente collaborare con l'Italia, se si fosse presentata l'occasione di qualche nuova sistemazione da queste parti. Ora hanno ripreso il vecchio ritornello dei tempi dell'Austria, che cioè degli italiani non c'è da fidarsi, che la nostra politica è machiavellica, ecc.

I frankiani o paveliciani (assoluta indipendenza), che pare formino ormai la grande maggioranza dei croati, sono stati veramente colpiti dall'accordo e hanno mostrato subito il loro dolore. Poi hanno incolpato Macek e i suoi di avere, con le note errate dichiarazioni antifasciste, disgustato l'Italia e provocato l'accordo. Ora vanno ripetendo di essere in attesa delle istruzioni che farà loro pervenire il capo Pavelic e che credono essere l'accordo una semplice manovra politica italiana, senza durature conseguenze nei loro riguardi. Idee analoghe hanno anche i clericali, che cercano di staccare definitivamente i frankiani, per indurii a formare un fronte «clerico-fascista-autonomista», per opporsi al comunismo e così raggiungere più facilmente la liberazione.

Voce unanime è poi che l'accordo stretto dall'Italia col governo del signor Stojadinovic non può avere che un limitatissimo valore, per il fatto ~ del quale qui tutti sono convinti ~che lo Stojadinovic non rappresenta nemmeno il popolo serbo e che la sua permanenza al governo non sarà lunga. Il fatto stesso ~nelle idee qui generalmente correnti ~ non avrebbe altro valore che quello di una temporanea iniezione nel corpo moribondo dei centralisti jugoslavi.

Dai resoconti-traduzioni della stampa croata V.E. avrà visto che i commenti sono stati pochi e freddi: la maggior parte ha riguardato la speranza di una maggior ripresa degli scambi commerciali fra i due Stati. Il noto giornale Novosti, di pretta ispirazione governativa, dopo qualche giorno di tregua, ha ripreso le sue malignità antitaliane e antifasciste. Ho veduto che in quindici giorni, le nostre autorità lo hanno sequestrato nove volte, per notizie «false e tendenziose». Ciò giustificherebbe l'osservazione che molti di qui mi hanno fatto, che cioè i serbi difficilmente manterranno l'impegno preso di astenersi dalle rivendicazioni nazionali nella Venezia Giulia: invece che dai serbi, faranno apparire come volute dai croati tali rivendicazioni e continueranno a sovvenzionare i fuorusciti slavi e le loro istituzioni come per il passato. La stampa croata, aiutata dai denari dei centralisti e dello Stato Maggiore serbo avrebbe, nei nostri riguardi, da sostenere tale parte ingrata.

Mentre ho riferito a V.E. quanto precede, cercando di essere quanto più possibile fedele e accurato nel raccogliere e vagliare le notizie, mi permetto di suggerire che, nei riguardi del dott. Pavelic e degli altri maggiori esponenti della emigrazione croata che ora sono in Italia, sia proceduto con una certa cautela e senza urgenza, per il caso che si dovesse prendere verso di loro qualche provvedimento definitivo. Ciò dico per assoluto scrupolo di dovere, dopo tanti anni che mi occupo di cose jugoslave: V.E. vedrà quale-conto Ella vorrà fare di questo mio suggerimento.

452

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. PERSONALE 779 /l00 R. l. Roma, 13 aprile 1937, ore 1,30.

Ti prego di voler comunicare a Stojadinovic quanto segue:

0 ) Abbiamo seguito col più vivo interesse l'andamento della Conferenza della Piccola Intesa 2 e della visita di Benes a Belgrado 3 . Sono stato lieto di constatare come tutto sia andato secondo i piani che Stojadinovic mi aveva esposto durante la mia permanenza costà e sui quali eravamo totalmente d'accordo.

2°) Per quanto concerne la Romania, confermo che è nostro intendimento arrivare anche con Bucarest ad una intesa, se pure, per evidenti ragioni, non così stretta come con Belgrado. Però, come dissi a Stojadinovic, esiste tuttora lo scoglio ungherese. Capisco che per il governo romeno è difficile far dipendere il nostro riavvicinamento da un accordo con Budapest; ma bisogna che si rendano conto che, senza pur mettere i due fatti in connessione diretta, noi desideriamo veder migliorare le relazioni tra Ungheria e Rumenia. Ciò sarà facilitato se, come io desidero e attendo in seguito a quanto mi fu assicurato da Stojadinovic, si potrà appena possibile addivenire ad un'intesa tra Budapest e Belgrado. Allo stato degli atti, un accordo culturale tra noi e la Romania non raggiungerebbe lo scopo: metterebbe il campo a rumore e non determinerebbe nessun legame degno di nota.

Quindi ringrazio Stojadinovic, ma lo pregherei di voler per ora collaborare a creare tra noi e Bucarest quel clima che desideriamo e che consideriamo adatto per farvi poi sviluppare una solida e costruttiva amicizia. Anch'io mi adopero in tal senso. Se Stojadinovic ha qualche osservazione da fare o suggerimento da dare, sarò ben lieto di ascoltarlo.

3°) Alla fine del mese mi recherò a Tirana per visitare Re Zog, così come ho fatto con gli altri Capi di governo dei Paesi amici o alleati. La visita è priva di qualsiasi carattere o sottinteso politico. Non si faranno negoziati né atti diplomatici4 .

I Minuta autografa. 2 Vedi D. 391. 3 Vedi D. 417. 4 Si vedano, per il seguito, i DD. 470 e 475.

453.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2642/298 R. Londra, 13 aprile 1937, ore 22,50 (per. ore 6,35 del 14).

Plymouth mi ha pregato stamane di passare da lui. Mi ha chiesto anzitutto se avevo difficoltà che Comitato fosse convocato per giovedì p.v. Ho risposto che stava bene. Plymouth ha continuato dicendomi che in seguito dichiarazioni da me fatte a Eden avantieri (mio telegramma n. 285) 1 , Eden si era messo subito in comunicazione con governo francese e aveva incaricato lui, Plymouth, di fare energiche pressioni su questo rappresentante sovietico perché ritirasse sua nota2 contenente proposta investigazione circa esistenza truppe italiane regolari in Spagna.

Ho interrotto Plymouth per dirgli che io non avevo chiesto il ritiro nota da parte del governo sovietico. Io avevo chiesto semplicemente che Comitato respingesse proposta sovietica dichiarandola inaccettabile. Soltanto a queste condizioni governo fascista avrebbe aderito a che Comitato riprendesse in esame questione del ritiro volontari con la nomina di una sottocommissione tecnica incaricata di esprimere parere consultivo sulla questione. Governo fascista d'altra parte -ho continuato -è pronto nella riunione di giovedì a dimostrare incompetenza del Comitato ad esaminare nota sovietica ed a confutare una dopo l'altra miserabili menzogne in essa contenute. Ho concluso dicendo a Plymouth che per tale discussione io avevo già preparato dati e documenti ed ho ritenuto opportuno anticipare e illustrare subito a Plymouth punti più salienti di queste mie eventuali dichiarazioni.

Plymouth, rilevando esattezza della mia sicura risposta, ha aggiunto che governo britannico preferisce tuttavia che governo sovietico ritiri completamente sua proposta, e ciò per evitare nel Comitato una discussione la quale non mancherebbe di inasprire maggiormente situazione che è già delicata. Plymouth ha continuato informando che governo dei Soviet messo di fronte alla probabilità che Comitato respinga sua proposta si è mostrato propensa ritirarla, e che governo francese, sollecitato da Londra, sta svolgendo a Mosca azione in tale senso. Plymouth spera di avere per domani una risposta ufficiale dal rappresentante sovietico, nella quale governo dei Soviet dichiari ritirare nota. In questo caso, ha concluso Plymouth, Italia avrebbe intera soddisfazione, e governo britannico confida quindi che governo fascista non solleverà più obiezioni alla nomina Commissione tecnica per questione ritiro volontari.

Ho risposto a Plymouth che, verificatosi questo caso, io non avrei sollevato più obiezioni. Così siamo rimasti intesi.

Se tutto andrà giovedì secondo quanto preannunziato da Plymouth, resta ancora una volta comprovato: l 0 ) che abbiamo fatto benissimo ad opporci ad ogni discussione sul ritiro volontari nella seduta del 23 Marzo; 2°) che abbiamo fatto benissimo a condizionare revisione nostro atteggiamento al rigetto assoluto della

I Vedi D. 446. 2 Vedi p. 563, nota l.

proposta sov1et1ca; 3°) che soltanto nostra minaccia di fare nella prossima seduta una replica di quanto è avvenuto nella seduta precedente del 23 ha spinto e deciso Inghilterra a premere su Mosca e Parigi per seppellire manovre antifasciste preparate di accordo fra spagnoli rossi, francesi e russi 1 .

454

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 1698/532. Berlino, 13 aprile 1937 (per. il 16).

Il R. addetto militare ha avuto oggi conferma dal col. Scheller (si tratta dell'ufficiale di Stato Maggiore tedesco che accompagnò il ministro Goring a Roma, per la riunione del 14 gennaio) che nella giornata di ieri il maresciallo von Blomberg e il generale Goring hanno esaminato insieme le nostre richieste relative alla opportunità che la Germania intensifichi i suoi invii di materiale da guerra per la Spagna. Riporto qui appresso il rapporto del Marras:

«Colonnello Scheller mi ha oggi comunicato che v. Blomberg e Goring hanno ieri esaminato insieme nota richiesta e concluso, con rincrescimento, che attuale fase di trasformazione dell'aeronautica tedesca non consente inviare in Spagna nuove unità. Assicurano invece che, oltre recenti notevoli invii di materiali, Germania manterrà in efficienza numerica tutti i reparti e dotazioni attualmente dislocati in Spagna, sostituendo regolarmente materiali inservibili e personale.

A richiesta mi ha chiarito che saranno mantenuti a numero anche i 100 apparecchi circa affidati a equipaggi spagnoli.

Ho domandato se si fosse considerato che un'affermazione dell'aviazione tedesca in Spagna avrebbe maggiore utilità materiale e morale che non disporre in Germania di alquante squadriglie in più. Mi ha risposto che tale affermazione dipende essenzialmente dallo stretto concorso con le truppe terrestri e che perciò l'occasione sarà fornita dalla futura offensiva delle forze italiane.

Richiestogli apprezzamento situazione, Scheller ha risposto non essere sicuro completo risultato attuale offensiva su Bilbao; che una vittoria italiana potrebbe aprire la via a trattative politiche e che in tale nuova situazione potrebbe venire esaminata la proposta di sgombrare dalla Spagna tutti i volontari. Ciò anche per il

I Ciano rispondeva: «Suo 298 e precedenti. Confermo che siamo disposti ad accettare nomina sottocomitato tecnico per lo studio della questione del ritiro dei volontari soltanto a condizione che proposte sovietiche siano ritirate o che Comitato le respinga senz'altro come inaccettabili (T. 787/148

R. del 14 aprile).

A seguito di ciò, Grandi, nella seduta del 15 aprile del Comitato di non intervento, dichiarava di essere disposto a riprendere la discussione sul ritiro dei volontari, mentre da parte sua l'ambasciatore Maiski dichiarava di non insistere perché fosse posta in discussione la richiesta, avanzata nella nota sovietica del 7 aprile, di un'indagine su la presenza di forze regolari italiane in Spagna.

Nella stessa seduta, il Comitato stabiliva che il piano di controllo terrestre e marittimo sarebbe stato posto in esecuzione a partire dalla mezzanotte del 19 aprile.

fatto che permanenza reparti italiani e tedeschi in Spagna non potrà prolungarsi indefinitamente.

Atteggiamento britannico nei riguardi blocco Bilbao viene definito «perfettamente inglese» nella usa doppiezza.

Si ritiene che con applicazione effettiva controllo, forze navali italiane e tedesche potranno tagliare afflusso a porti rossi Mediterraneo, che rappresentano principale via rifornimenti».

Onde apprezzare nella sua giusta misura il concorso che, nonostante il rifiuto di inviare nuove unità, l'aviazione tedesca si prepara a continuare a favore di Franco, giova tener presente che, secondo comunicazioni fatte precedentemente dal Generale Goring alla R. Ambasciata, la Germania avrebbe nel complesso inviato in Spagna 152 apparecchi con equipaggi tedeschi e 106 apparecchi affidati ad equipaggi spagnoli. La decisione quindi di von Blomberg e di Goring riguarderebbe il mantenimento in efficienza di circa 250 apparecchi 1•

455

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1702/536. Berlino, 13 aprile 1937 (per. il 16).

V.E. avrà seguito i commenti a cui il fatto della riconciliazione Hitler-Ludendorff2 ha dato luogo. Sopra certa stampa straniera si è voluto vedere nell'avvenimento, il sintomo e la conseguenza della crisi dei rapporti fra la Chiesa Cattolica e la Germania.

Ho avuto occasione di attingere al riguardo informazioni da fonte sicura e sono in grado di escludere che la riconciliazione di Hitler coll'antico condottiero della grande guerra, già compagno del Fiihrer nel Putsch del 1923 -riconciliazione che è stata il coronamento della restituzione alla Germania del suo onore e della conseguente glorificazione delle sue forze militari -possa avere il significato di una manovra più

o meno anti-religiosa. A far nascere qualche dubbio in proposito hanno certamente contribuito le dichiarazioni che lo stesso Ludendorff ha fatto, evidentemente sotto le pressioni della moglie, che è ancora più fanatica di lui nel sostenere il noto movimento della «Deutsche Gotterkenntnis» (Cognizione tedesca di Dio).

Appunto a controbattere questa impressione è stato, a mezzo del Deutsches Nachrichten-Bureau, pubblicato-soltanto all'estero peraltro-il seguente comunicato:

«La conversazione, che recentemente è avvenuta fra il Fiihrer ed il generale Ludendorff ha provocato varie supposizioni sul futuro impiego del generale nel quadro delle Forze Armate tedesche, come pure sull'influenza e l'importanza in Germania del movimento d'idee rappresentato dal Ludendorff. Quelle supposizioni,

l Il documento ha il visto di Mussolini. Il rapporto di Marras qui riprodotto e le osservazioni finali di Attolico furono comunicati al generale Bastico con telespresso 02246 del 18 aprile perché ne informasse Franco.

2 Si vedano i DD. 379 e 414.

secondo quanto viene comunicato, su analoga richiesta, da fonte autorizzata, si basano su di un giudizio errato sulla conversazione fra il Fiihrer ed il Condottiero.

Si sottolinea il fatto che la conversazione non ha avuto moventi politici o militari, ma semplicemente umani e personali. Tanto in circoli importanti del Partito Nazionalsocialista, quanto nel nuovo Esercito tedesco, vi era da tempo forte rammarico per il fatto che, in conseguenza dell'atteggiamento particolare assunto dal Generale Ludendorff, fosse avvenuto un allontanamento fra il grande condottiero della Guerra mondiale e le forze ricostruttrici della nuova Germania. Mediante la conversazione col Fiihrer, quell'allontanamento ha potuto essere superato.

Per quanto riguarda gli aderenti, insignificanti per numero, del movimento di idee del Generale, non vi è affatto l'idea di imporre delle limitazioni, le quali del resto non esistono in confronto di altri simili movimenti di idee. Anche la rassegna mensile diretta dal Generale Ludendorff «Alla sacra fonte della Forza tedesca», continuerà ad essere pubblicata. In questo senso deve essere intesa anche una dichiarazione pubblicata dalla stessa rassegna, in cui il Generale parla della parità di diritti degli aderenti della «confessione tedesca di Dio» (Ludendorff). D'altra parte, non si sa qui nulla circa una riammissione della «Lega Tannenberg».

È evidente l'intenzione del comunicato di cui sopra di sminuire l'importanza dell'avvenimento riconducendolo ad un fatto «umano e personale».

Si aggiunga anche che essendo sopraggiunto, dopo pochi giorni, il genetliaco del Generale Ludendorff, il Fiihrer si è limitato ad inviargli un semplice telegramma, di cui non è stato dato alla stampa neppure il testo, astenendosi, come egli invece ha fatto in molti altri casi analoghi, dal recarsi dal festeggiato per presentargli personalmente i suoi auguri.

Alla distanza di appena due settimane dal fatto si può già dunque dire che la riconciliazione Hitler-Ludendorff rappresenta un fatto sorpassato, se non addirittura dimenticato. Inutile quindi preoccuparsi anche di altre interpretazioni date al fatto da giornali amici come il Times ed il Temps ... anche nei riguardi dell'Italia 1•

456

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 954/326. Roma, 13 aprile 1937 (per. stesso giorno).

Ho ricevuto il dispaccio segreto dell'E.V. del 12 corrente, n. 33392 , al quale ho l'onore di dare, con questo mio rapporto, risposta preliminare.

Il Papa ha ripreso con fervore la sua vita consueta, ricevendo. numerose visite e pronunciando discorsi agli sposi, ai pellegrini stranieri e financo alle maestranze vaticane. Il miglioramento inatteso delle condizioni di salute del Pontefice dovuto alla sua forte fibra, è stato facilitato dal riposo assoluto al quale, per quanto a malincuore,

l Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 450.

Egli si è assoggettato. La ripresa dell'attività costituisce, però, per il Santo Padre un giornaliero pericolo. Tutti lo sanno e tutti ne parlano, in Vaticano. Il Papa ha davanti a Sé due mesi di fatiche che potrebbero riuscirGli fatali. Egli compie gli 80 anni il 31 di maggio p. v., ma si teme che, prima di quella data, possa soggiacere agli strapazzi ai quali volontariamente si sottopone. Il lo di giugno, il Pontefice intenderebbe trasferirsi a Castelgandolfo. Se non avviene prima una catastrofe, è probabile che riesca a superare l'estate, nella tranquillità del soggiorno della villa papale, soggiorno che, a varie riprese, si è dimostrato particolarmente giovevole alla Sua salute.

Che sia in corso un certo lavorìo pre-elettorale, è esatto. Ad esso partecipano, più specialmente, il laicato cattolico e i numerosissimi monsignori che popolano le Sacre Congregazioni, che sono in fondo dei grossi ministeri. Le alte cariche ecclesiastiche vaticane e specialmente i cardinali, sono più guardinghi. I Cardinali debbono esserlo anche perché Pio X, comminò la scomunica maggiore a quei Porporati che, prima della vacanza della Sede, si occupassero della successione. Questa circostanza, canonicamente grave, obbliga come ho detto, i Cardinali a una grande prudenza e specialmente a non confidarsi con estranei.

La tendenza che il prof. Manacorda ha constatato esiste in modo indubitato. Non solo la Santa Sede, ma tutta la Chiesa paventa i regìmi totalitari. Prego l'E.V. di volere scorrere le ultime tre pagine del mio rapporto del l o del corrente mese, n. 86l/280 1 , sulle tre Encicliche Pasquali2 , che tratta appunto del suddetto argomento. Mi permetto di richiamare, pure, a questo proposito, il quarto periodo del mio telegramma riservato del 25 marzo n. 22 3 . La notizia concernente le pressioni fatte sul Papa perché, nella Sua lettera all'Episcopato germanico, colpisse tutti i regìmi to.talitari, è stata data alla R. Ambasciata da monsignor Pizzardo.

Per quel che riguarda le tendenze democratiche del Sacro Collegio, in opposizione ai regìmi totalitari, si può affermare senz'altro che i cardinali tedeschi, buona parte di quelli nord-americani e inglesi e quasi tutti i Cardinali francesi, non daranno il loro voto a un cardinale che abbia manifestato simpatie per regìmi fascisti.

Questa tendenza trova seguaci anche fra i Porporati italiani. Vi sono alcuni cardinali che non hanno nessuna simpatia per il fascismo e ve ne sono altri, e sono molti, che, in questo momento, mascherano accuratamente i loro sentimenti. Questi ultimi hanno accentuato il loro atteggiamento dopo la malattia del Pontefice.

Fra i Cardinali italiani simpatizzanti per il fascismo ve ne sono almeno due che, da quando si parla di Conclave, si sono imposti il più assoluto riserbo e non amano attirare l'attenzione sulla loro persona: ho nominato i Cardinali Nasalli-Rocca e Salotti. Il primo ha fatto sapere, indirettamente, alla R. Ambasciata il vero motivo di questa sua sopravvenuta riserva. Da parte mia, per quanto non creda probabile nelle presenti condizioni l'elevazione alla Sacra Tiara del Cardinale Arcivescovo di Bologna, non saprei non approvare il suo prudente atteggiamento.

A completo chiarimento del mio pensiero aggiungo che, a mio subordinato parere, nella probabile imminenza di un Conclave noi dobbiamo assecondare l'at-

I Non rintracciato.

2 Riferimento alla Lettera Pastorale del 14 marzo ai vescovi tedeschi (vedi p. 402, nota 1), all'enciclica Divini Redemptoris del 19 marzo (vedi p. 475, nota l) e alla Lettera Apostolica alla Chiesa messicana Nus es muy conocido del 28 marzo (testo in Acta Apostolicae Sedis, vol. 29, pp. 200-211).

3 Vedi D. 339.

teggiamento riservato dei Porporati italiani, evitando scrupolosamente di spingerli a manifestazioni compromettenti, che oggi sarebbero più che mai sorvegliate e notate. È proprio il momento di mirare alla sostanza, passando sopra alla forma.

Chiunque sia il futuro Papa, sia esso straniero o italiano a tendenze non troppo favorevoli ai regìmi totalitari, Egli dovrà fare oggetto di speciale considerazione le relazioni della Santa Sede con l'Italia. Il nuovo Papa non avrà che a guardarsi attorno per trovare materia di riflessione. Egli constaterà che le situazioni gravi e incresciose per la Santa Sede, sono molte anzi troppe (Germania, Spagna, Belgio, U.R.S.S.) e non Gli passarà mai per la mente di aggiungerne altre. In Italia i rapporti fra Stato e Chiesa sono buoni, direi quasi ottimi, e il nuovo Papa dovrebbe essere pazzo se pensasse scientemente di intorbidarli.

Quest'ultima considerazione sarà del resto fatta anche in Conclave. Vi sono Cardinali di provati sentimenti italiani che non mancheranno al momento opportuno di fare riflettere i loro colleghi, anche stranieri.

Per concludere, credo alla possibilità dell'elezione di un Papa di scarsa simpatia per i regìmi totalitari, ma non credo, rebus sic stantibus, all'elevazione al Pontificato di un Papa antitaliano. Intendo con questo affermare che la fiducia nel Duce è assoluta e indiscussa in tutte le Gerarchie dell'Episcopato e del Clero, in Italia. Ci saranno, direi anzi che ci sono, dei Vescovi e dei Sacerdoti italiani che nutrono scarse simpatie per il fascismo, ma oso dire che, se non proprio la totalità, la grandissima maggioranza dei Cardinali, dei Vescovi e dei Sacerdoti italiani mettono il Duce al di fuori e al di sopra di tutto, lo approvano e lo ammirano.

Mi riservo di ritornare sull'argomento e di fornire dati per quanto possibili precisi, che spero di potere raccogliere 1•

457

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE. Berlino, 13 aprile 1937 (per. il 20).

L'Ambasciatore ti ha ufficialmente scritto2 circa l'azione qui compiuta, a seguito delle tue istruzioni telegrafiche, per far presente ai tedeschi l'assoluta necessità di maggiormente potenziare le Forze di Franco. Aggiungo, per tua personale conoscenza, qualche altra notizia.

Come ricorderai, le nostre domande di materiale concernevano: a) pezzi anticarro, b) fucili e munizioni, c) aviazione da bombardamento. Per il punto a) i tedeschi hanno provveduto alla spedizione di 120 pezzi anticarro, numero che mi sembra molto rilevante. Il calibro è 37 mm. Per il punto b) i tedeschi, secondo quanto mi informa ora il nostro R. Addetto Militare, inviano alcune migliaia di fucili con munizioni.

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 441.

Per il punto c) l'Ambasciata ha vivamente insistito, particolarmente presso il Generale Goring, allo scopo desiderato. E l'Ambasciatore ha scritto in proposito al Generale stesso una lunga ed esauriente lettera, sabato scorso. Domenica mattina è venuto a vedermi il capo di Gabinetto di Goring, il quale mi ha dato le seguenti informazioni:

a) I tedeschi hanno in totale inviato in Spagna 152 apparecchi, con equipaggi provenienti dalla Germania e di nazionalità germanica, oltre 106 apparecchi affidati ad equipaggi spagnoli. Per la maggior parte si tratta di aeroplani da bombardamento.

b) Il Generale Goring intende mantenere in efficienza questo numero totale, all'incirca, di 250 apparecchi, numero qui ritenuto rilevantissimo.

c) Il Generale Goring, pur non ritenendo «decisivo» l'elemento Aviazione nella campagna di Spagna (e ricorderai in proposito quanto egli ebbe a dire durante le conversazioni romane) cercherà di inviare qualche altra unità.

Su questo ultimo punto apprendo invece ora che ha avuto luogo ieri la prevista riunione Goring -von Blomberg per esaminare tutta la questione dei soccorsi a Franco. Sembra che il Maresciallo si sia dimostrato irremovibile nella concessione di altri aiuti di apparecchi da bombardamento, data l'attuale fase costruttiva dell'Aviazione germanica. E anche il Generale Goring ha dovuto rinunciare ad eventuali nuovi invii. Tutto quindi fa prevedere che i tedeschi si limiteranno a mantenere efficiente quel numero suindicato di circa 250 apparecchi. Essi fanno in proposito notare come l'Aviazione da bombardamento impieghi un numero di uomini ed imponga un uso di materiali molto superiori a quelli richiesti dall'Aviazione da caccia.

Il Generale Goring, il quale, come sai, trascorrerà il periodo 22 aprile-7 maggio (a quanto sembra) in Italia, si riserva di parlare con il Duce e con te di tutto il complesso problema degli aiuti a Franco 1 .

458

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. SEGRETO NON DIRAMARE PERSONALE Roma, 14 aprile 1937, 784/101 R. ore 21.

Prego S.V. voler comunicare a Stojadinovic che, in relazione a quanto forma oggetto accordo segreto di cui alla nota verbale di codesta R. Legazione del 25

I Il documento ha il visto di Mussolini. Il potenziamento dell'aviazione legionaria era l'oggetto anche di una missione che il generale Aimone Cat compiva qualche giorno più tardi presso Goring. Quest'ultimo faceva presente che, secondo informazioni sicure, l'aviazione tedesca sul posto risultava perfettamente sufficiente per adempiere ai suoi compiti e che la Germania intendeva mantenere in efficienza, con opportuni rimpiazzi, 250 apparecchi, che sarebbero stati aumentati di numero soltanto se i sovietici avessero proceduto «ad altri fortissimi invii» (Cat a Ciano, lettera del 17 aprile. Anche questo documento ha il visto di Mussolini).

marzo u.s. n. 144 1 , sono stati immediatamente adottati provvedimenti di cui all'accordo stesso 2 .

Pavelic e Kvaternik sono regolarmente confinati e si trovano in condizioni di non poter svolgere alcuna attività. Analogamente per tutti gli altri indistintamente. Circa venti di essi chiedono di tornare in Patria a condizione che non sia adottata contro di loro alcuna rappresaglia.

Sarebbe pertanto opportuno che funzionario di codesta polizia, di cui al n. 6 dell'accordo su riferito, partisse per l'Italia in conformità accordo medesimo, che da parte nostra può considerarsi completamente attuato.

459

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI

T. 4937/45 P.R. Roma, 14 aprile 1937, ore 23.

Suo telegramma n. 463 .

PregoLa seguire con ogni cura questione fornitura armi richiestaci da codesto governo. Non sfuggirà infatti a V.S. portata che avrebbe, agli effetti generali ed a quelli particolari dei rapporti italo-saudiani, effettuazione di detta fornitura che siamo da parte nostra disposti a facilitare nel miglior modo.

Telegrafi in proposito, riferendo anche se codesto Governo si è, oltre che a noi, rivolto ad altri governi ed eventualmente a quali, per rifornirsi di armi 4 .

460

L'UFFICIO DI GABINETTO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 14 aprile 1937.

Nella scorsa estate, il Gran Mufti di Gerusalemme chiese, pel tramite di un suo fiduciario venuto in Italia: un aiuto finanziario che fu concesso ed è tuttora corrisposto; -armi e munizioni che furono promesse.

l Vedi D. 340, lettera H.

2 Il ministro lndelli rispondeva che Stojadinovic aveva preso nota della comunicazione e si era messo in contatto con Macek al quale aveva lasciato il compito di indicare i nomi di coloro che potevano rientrare in patria senza che nei loro confronti fossero presi dei provvedimenti (T. 2733/97 R. dell7 aprile).

3 T. 4450/46 P.R. del IO aprile. Riferiva di avere comunicato al governo saudiano, secondo le istruzioni che gli erano state inviate il 4 aprile precedente (T. 4403/42 P.R.), che l'Italia era disposta a vendere all'Arabia Saudita mitragliatrici e fucili di cui si attendeva di conoscere la quantità e il tipo richiesti.

4 Sillitti rispondeva (T. 4780/51 P.R. del 17 aprile) assicurando la massima cura nella questione ed aggiungendo che niente faceva pensare che l'Arabia Saudita intendesse rivolgersi ad altri governi per il suo fabbisogno d'armi.

Per l'invio delle armi e delle munizioni, dopo maturo esame, si riconobbe che il mezzo migliore sarebbe stato quello di farle pervenire, via Hegiaz, con l'aiuto di Ibn Saud.

Recentemente il Mufti ha fatto conoscere1 che Ibn Saud sarebbe d'accordo per la seguente soluzione:

Egli acquisterà in Italia o in altro paese estero armi e munizioni per suo conto. Per il trasporto delle armi e delle munizioni da lui acquistate, il suo agente si servirà di un piroscafo italiano. Su tale piroscafo dovrebbe essere imbarcato anche il materiale destinato al Mufti, che, sbarcato a Gedda, sarebbe poi, passato in Transgiordania, con ogni cautela, attraverso agenti di fiducia delle tribù di confine.

Il Mufti assicura che Ibn Saud è d'accordo e ciò potrebbe anche essere confermato dal fatto che effettivamente il Re dell'Hegiaz ha chiesto di provvedere in Italia all'acquisto di una partita di armi. Se l'accordo esiste, va tenuto presente che gli inglesi avranno certamente notizia del materiale che sarà sbarcato a Gedda, ma nulla potranno sapere della effettiva destinazione del medesimo a meno che lo stesso Ibn Saud non lo dica (ipotesi illogica). Qualora sapessero che il materiale stesso è passato in Palestina, non potrebbero dolersene che con Ibn Saud.

Nella ipotesi, invece, che il Re dell'Hegiaz non fosse d'accordo, contrariamente a quanto il Mufti assicura, si potrebbero incontrare delle difficoltà per lo sbarco delle armi e delle munizioni a Gedda, ma si potrebbe trovare, allora, una soluzione di ripiego, dicendo ad esempio, che erano destinate in Africa Orientale, o allo stesso Ibn Saud in dono (Chekib Arslan ci ha ripetutamente fatto sapere che egli aspettava un dono del genere).

In ogni caso il rischio maggiore che si correrebbe sarebbe quello di perdere il materiale. Un emissario del Mufti attende una risposta per il 16 corrente a Napoli 2 .

461

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL COMANDANTE DEL CTV IN SPAGNA, BASTICO

TELESPR. PERSONALE 2177. Roma, 14 aprile 1937.

In via strettamente personale porto a conoscenza di V.E., per gli opportuni controlli e le eventuali misure da prendere, quanto ha segnalato recentemente il R. ambasciatore a Salamanca 3 sullo stato d'animo e le opinioni di alcuni ufficiali di Stato Maggiore del nostro corpo legionario in relazione alla situazione politica della Spagna Nazionale.

Negli Stati Maggiori l'ambasciatore avrebbe notato, riferendosi anche a conversazioni avute con ufficiali superiori (il comandante del Servizio Informazioni, il

l Vedi D. 421. 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 3 Il documento, qui riassunto, non è stato rintracciato.

comandante Rossi, ecc .... ), la mancanza di fiducia nelle ragioni ideali adottate dai nazionali spagnoli per combattere il governo di Valencia. L'ambasciatore afferma che degli ufficiali da lui interrogati non gli hanno nascosto il loro scoramento per dover combattere a favore del gruppo militare capitanato da Franco, il quale personifica una casta feudale assolutamente all'oscuro dei bisogni del Paese e inadatta a poter provocare una consapevole riforma dello Stato spagnolo su basi di giustizia sociale.

L'ambasciatore dice di aver inteso affermare da tali ufficiali che «il loro cuore era dall'altra parte» intendendo con questo essi dire che, premettendo di essere fascisti e convinti della necessità di fare trionfare il fascismo in Spagna, scorgevano nella parte della Spagna contro cui combattevano una grande, informe massa popolare desiderosa di un nuovo ordine morale e politico, ricercare violentemente una forma di Stato che permettesse alla Spagna di rompere i legami con il passato e creare una nazione moderna e non avulsa dall'Europa. È naturale che Mosca si fosse accaparrate le aspirazioni di questa massa disonorandola col suo marchio ma appunto per questo ~ pensavano tali ufficiali ~ il fascismo doveva tentare un'opera di redenzione verso di essa. Viceversa essi si rendevano conto che attraverso i metodi di Franco poca salute sarebbe venuta alla Spagna e non si celavano amarezza e sorpresa per dover concludere che il loro trionfo avrebbe tutto al più assicurato alla Spagna una tranquillità molto effimera e a prezzo di troppo sangue. Questo non può impedire ~ dice l'ambasciatore ~ che gli ufficiali italiani ~ salvo i casi denunciati ~si dimostrino fedeli alla consegna e disposti a combattere fino all'ultimo.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. URGENTE 1762/557. Berlino, 14 aprile 1937 (per. i/17).

Telespresso n. 211986/C del 10 corrente 1 .

Con mie precedenti comunicazioni ho già informato l'E.V. della progressiva chiarificazione avvenuta nell'attitudine olandese rispetto all'offerta di garanzia avanzata oltre un anno fa da Hitler2 . In sostanza, l'Olanda aveva già fatto sapere a questo governo che, mentre si rifiutava di partecipare ad una qualunque pattuizione in materia, pure avrebbe visto di buon occhio ed anzi accolto con riconoscenza una obbligazione tedesca di rispetto della propria indipendenza. Sono ora in grado di aggiungere che, con recente passo, compiuto sabato 10 corrente presso il signor Gaus, questo ministro dei Paesi BassP ha, non solo confermato quanto

l Non rintracciato.

2 Riferimento al memorandum del governo tedesco del 7 marzo 1936 su la questione renana (testo in DDT, serie C, vol. V, D. 3, allegato).

3 C. van Rappard.

578 egli aveva in proposito già dichiarato, ma ha anche aggiunto, a nome del suo governo, che l'Olanda non considererebbe come completa quella qualunque sistemazione a cui si addivenisse in sede locarniana a proposito dell'indipendenza belga se essa non contemplasse, allo stesso tempo e allo stesso titolo, anche l'indipendenza dell'Olanda.

Come V.E. vede, l'Olanda tende ad identificare sempre più la sua posizione a quella belga, stabilendo così col Belgio, in materia di indipendenza, una specie di fronte comune.

Il signor Gaus, informandomi di quanto sopra, ha anche aggiunto che nel prendere atto, naturalmente solo ad referendum, delle dichiarazioni del ministro Rappard, egli aveva anche immediatamente rilevato che, in questo caso, l'Olanda avrebbe dovuto essa stessa assumere, in una forma da stabilire, un'obbligazione di carattere negativo, simile a quella che la Germania aveva già chiesto al Belgio, che assicurasse della propria volontà di non partecipare ad atti di belligeranza contro la Germania od alcuno altro degli Stati garanti.

Il passo di cui sopra mi sembra molto interessante anche perché obbliga a prendere posizione in materia anche l'Italia. L'aggiungersi, tuttavia, dell'Olanda complica in certo modo anche la questione belga, inquantoché possono non militare a favore dell'Olanda le stesse ragioni che militano invece a favore del Belgio. Comunque, anche per riguardo al Belgio, sono in grado di aggiungere che Schacht, di ritorno da Bruxelles 1 dove ha visto, sia il Re, sia il presidente del Consiglio ed il ministro degli Esteri, mi ha assicurato che il governo belga non sembra alieno, dopo tutto, dall'accettare, per quanto in una forma da studiarsi, la famosa «contropartita» domandata dalla Germania.

Converrà, per il momento, stare a vedere.

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IL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 3. Gedda, 14 aprile 1937 (per. il 29).

Con telegramma n. 49 2 , in data d'ieri, ho riferito a V.E. circa quanto il Sottosegretario ad interim per gli Affari Esteri, S.E. Yussuf Yassin, mi ha detto in merito alla fornitura di armi richiesta dal Governo Saudiano.

Per corriere ho l'onore di aggiungere ora che S.E. Yussuf Yassin, il quale tratta la questione durante l'assenza di S.E. Fuad Hamza, è venuto personalmente a trovarmi in legazione e prima di cominciare a parlarmi della fornitura delle armi mi ha fatto delle dichiarazioni di carattere generale che qui appresso segnalo.

l In visita il 13-14 aprile. Vedi i DD. 464 e 477.

2 T. 4621/49 P.R. del 13 aprile. Riferiva che il sottosegretario agli Esteri saudiano aveva prospettato l'acquisto di 10.000 moschetti, mentre per le mitragliatrici attendeva di conoscere qualche dettaglio tecnico.

Prima di tutto ha voluto assicurarmi che i rapporti da lui tenuti con questa legazione sono stati sempre ispirati alla massima lealtà e sincerità e che con la stessa lealtà e sincerità egli intendeva continuare i suoi rapporti anche durante la mia missione. Appunto perché intendeva parlarmi con sincerità, ha aggiunto che il governo saudiano non dimenticherà mai l'aiuto ricevuto dal governo italiano, col consentire, non ostante la sua dichiarazione di neutralità, che l'esercito di lbn Saud, nel momento in cui esso avanzava nell'Hegiaz, potesse ricevere rifornimenti da Massaua e potesse in conseguenza riuscire ad occupare anche Gedda.

Per questo appoggio decisivo ricevuto, il governo saudiano, a dire di S.E. Yussuf Yassin, serba imperitura gratitudine al governo Italiano e sente che in esso può avere completa fiducia. Da quì il suo trattamento di preferenza verso l'Italia, specialmente rispetto all'Inghilterra, nella quale non può avere alcuna fiducia avendo constatato e constatando ad ogni momento l'azione che il governo inglese spiega continuamente per ostacolare la politica di affermazione del Re lbn Saud, ed ogni attività nazionalistica del mondo arabo. S.E. Yussuf Yassin ha citato in particolare l'azione inglese in Palestina e il pericolo che per la sicurezza del territorio saudiano rappresenta il movimento degli ebrei della Palestina. Egli inoltre ha messo in rilievo la posizione geografica del Regno Arabo-Saudiano, circondato com'è da Paesi che si trovano sotto l'influenza diretta o indiretta inglese, ed ha detto che in considerazione di tale posizione il governo del Re Ibn Saud deve agire con la massima prudenza. Non deve sorprendere, quindi, egli ha continuato, se la politica saudiana potrà in qualche occasione sembrare favorevole od anche ligia all'Inghilterra. Il governo saudiano è costretto a tenere una simile attitudine, ma ciò non deve mai far dubitare della sua amicizia sincera verso l'Italia e del trattamento preferenziale che esso, per gratitudine, intende usare verso di noi.

S.E. Yussuf Yassin ha concluso dicendo di avere voluto farmi queste dichiarazioni, perché tiene a che la politica del suo governo sia sempre compresa e bene interpretata dal governo italiano e da questa legazione e che, in conseguenza, nessuna ombra di sospetto possa cadere sugli ottimi rapporti attualmente esistenti. Data la situazione sopra esposta, il governo saudiano per proteggersi meglio dall'azione inglese, intende dare, sempre a dire di S.E. Yussuf Yassin, il maggiore impulso possibile alle sue forze militari, rivolgendosi all'uopo al governo italiano. Da quì la sua richiesta di fornitura di armi, in merito alla quale ho riferito da ultimo col telegramma sopra indicato n. 49.

Sono qui da troppo poco tempo e conosco personalmente troppo poco S.E. Yussuf Yassin, per permettermi di esprimere un parere sulla sincerità delle dichiarazioni da lui fattemi. Mi sembra però che la preferenza già dimostrata dal governo saudiano verso il nostro Paese per la formazione e lo sviluppo della propria aeronautica militare, non possa non rappresentare un elemento di giudizio favorevole alla sincerità delle dichiarazioni di S.E. Yussuf Y assi n. Lo svolgimento finale delle trattative in corso per la fornitura di armi potrà rappresentare un altro buon elemento di giudizio.

Non mancherò di portare al riguardo la mia maggiore attenzione e di favorire quanto più possibile la conclusione della fornitura in corso, riferendo in proposito a V.E., mano a mano e con ogni maggiore sollecitudine e dettaglio.

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2749/027 R. Bruxelles, 15 aprile 1937 (per. i/19).

Mio teleposta n. 356 del 6 aprile 1•

La visita di Schacht 2 ha fatto molto rumore; ma questo è stato provocato in gran parte dagli stessi ambienti governativi belgi, desiderosi di dare risalto alla nota missione economica affidata da Londra e da Parigi a van Zeeland 3 , e di dare l'impressione che il Primo Ministro ha virtualmente dato mano al suo compito, mettendosi senz'altro in diretto contatto con uno dei principali interlocutori internazionali.

Allo Schacht non è certo sfuggita la piccola manovra belga e l'opportunità, che conseguentemente gli si offriva, di tirarne buon gioco, sia col mostrarsi arrendevole e bene intenzionato nei suoi colloqui ufficiali, e sia sovratutto col rassicurare l'opinione pubblica belga sulle intenzioni tedesche in momento così delicato come l'attuale, in cui la Francia e l'Inghilterra premono in ogni modo su Bruxelles per correggerne a proprio vantaggio l'intenzione di pervenire ad una politica di assoluta indipendenza. Donde la sua tutt'altro che riservata intervista alla stampa, la quale contiene indubbiamente punti di speciale importanza sia sul terreno politico che economico. Invio a parte l'intervista stessa, nel testo più diffuso.

Desidero intanto segnalare quelle notizie che non compaiono nelle dichiarazioni pubbliche dello Schacht o che vi sono state appena sfiorate e che io ho appreso da ottima fonte in via del tutto riservata.

Non è esatto che lo Schacht non si sia occupato di questioni politiche. Avendogli Re Leopoldo richiesto che cosa si pensasse in Germania sulla nuova politica del Belgio, lo Schacht ha risposto che, pur non occupandosi di questioni politiche, egli era in grado di affermare che essa era accolta con simpatia; che la Germania era pronta a dare, come era stato chiaramente annunziato dal Cancelliere 4 , ogni garanzia al governo di Bruxelles; che però il Reich si attendeva anche che Belgio desse a Germania tutte le necessarie garanzie sia per evitare che il territorio belga potesse servire come base per mire offensive anglo-francesi, od eventualmente anche da parte di altri Stati, in base od in relazione all'articolo 16. Il Re avrebbe risposto, assicurandolo che la politica belga resterà quella indicata nel discorso reale del 14 ottobre, e cioè tendente ad una assoluta indipendenza.

Inoltre, lo Schacht, in relazione all'eventuale collaborazione germanica al riassetto economico europeo, ha fatto chiaramente comprendere che la Germania, pur essendo ben disposta in principio, non potrebbe tuttavia trascurare la previa soddisfazione di alcune condizioni, ossia la sistemazione dei debiti tedeschi e la questione delle materie

l Non rintracciato.

2 TI governatore della Reichsbank era stato in visita a Bruxelles il 13-14 aprile. Le dichiarazioni alla stampa fatte in quella occasione da Schacht, alle quali si fa qui di seguito riferimento, sono riportate in Rela::.ioni Interna::.ionali, p. 304.

3 Riferimento alla missione che, su invito dei governi francese e britannico, il Primo Ministro belga si apprestava a compiere in diverse capitali europee e negli Stati Uniti allo scopo di accertare la possibilità di ridurre gli ostacoli al commercio internazionale.

4 Vedi p. 207, nota 3.

581 prime, in connessione con quella coloniale. Circa quest'ultima, ho appreso che lo Schacht avrebbe fatto chiaramente intendere che, ferma restando la questione di principio della restituzione integrale di tutto l'antico dominio coloniale, tuttavia essa restituzione potrebbe avvenire gradualmente, cominciando da quei territori che hanno un vero e proprio interesse per le materie prime. Lo Schacht avrebbe precisato che detta restituzione dovrebbe avvenire alle seguenti condizioni:

l) -la restituzione della piena ed assoluta sovranità tedesca, al di fuori di ogni forma di mandato;

2) -l'inserimento del sistema monetario ed economico coloniale in quello della Germania, non escludendo però qualche applicazione del principio della porta aperta, come stabilito pel Bacino del Congo;

3) -il ricupero iniziale (che forse esaurirebbe le altre aspirazioni tedesche) del Togo e del Camerun.

Circa il problema del riassetto europeo, lo Schacht nei suoi colloqui col van Zeeland si sarebbe mantenuto essenzialmente sulla falsariga della sua intervista. Da parte sua, van Zeeland ha manifestato una certa perplessità sull'atteggiamento definitivo che sarà per prendere tanto il governo di Berlino, quanto quello di Roma, relativamente alle condizioni della loro eventuale adesione.

Ho appreso altresì che lo Schacht, in tutti i suoi colloqui, ha tenuto a sottolineare che se egli non trovava difficoltà ad esporre le sue idee personali ed in parte quelle del suo governo, ciò non doveva esser compreso in nessun modo come una sollecitazione di mediazione o di intercessione, a Londra e a Parigi.

Dalla stessa fonte ho appreso che le disposizioni di Parigi, circa il complesso delle aspirazioni germaniche, sono assai incoraggianti: lo Schacht si recherà colà fra qualche settimana.

Invece Londra non comprende, né favorisce le aspirazioni stesse; e sarebbero anche da attribuirsi esclusivamente a Londra le vive pressioni e resistenze che sono state recentemente esercitate sul Belgio per la questione della sicurezza del sistema Belgio-Olanda.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1755/550. Berlino, 15 aprile 1937 1•

Faccio seguito al mio telegramma n. 173 in data di ieri 2•

La voce di un accordo, a carattere principalmente militare, fra il governo sovietico ed il governo tedesco, è semplicemente assurda. E da escludersi che alcuna traccia possa trovarsene in conversazioni fra Eden e Ribbentrop, il quale ultimo fa riposare la stessa sua «ragione d'essere» di uomo di partito e di diplomatico, proprio sulla sua assoluta ed insopprimibile avversione al bolscevismo.

I Manca l'indicazione della data d'arrivo. 2 T. 2564/173 R. del 14 aprile. Preannunciava la risposta per corriere al D. 438.

La versione, secondo la quale l'accordo anzidetto, di contenuto questa volta commerciale, sarebbe stato concluso fra Goring e Voroscilov può trovare una benché minima apparenza di verità nelle proposte di acquisto di materiale bellico a suo tempo fatte avanzare da Voroscilov al generale Goring e di cui V.E. avrà visto traccia nella conversazione Goring-Magistrati del 12 febbraio u.s. (mia lettera n. 0658 del 13 febbraio u.s.) 1 . Ma appunto da quella stessa conversazione V.E. avrà anche appreso quale sia stata la sorte riservata a quelle proposte.

Per quanto si riferisce al riavvicinamento Hitler-Ludendorff, mi trovo di aver già implicitamente risposto col mio telespresso in data 13 aprile2 , il cui contenuto sono in grado di confermare e ribadire in base a conversazioni avute collo stesso barone von Neurath. Posso aggiungere che persino l'ambasciatore sovietico a Berlino, Suritz, non attribuisce a quel riavvicinamento valore alcuno.

Gli scopi di queste notizie tendenziose, specialmente di fonte francese, sono stati ieri abbastanza bene illustrati da un articolo sulla Berliner Borsen Zeitung del signor Megerle, il quale è ritenuto ormai il giornalista più autorevole e più ufficioso al tempo stesso del regime nazionalsocialista. È la Francia che, minacciata da slittamenti verso la Germania, tende, ad effetti interni come esteri, a mantenere vivo lo spauracchio di una alleanza fra le due Potenze militarmente più forti e la costituzione di una «tenaglia tedesco-russa».

Ciò premesso, non intendo disconoscere che, in condizioni normali e in sistemi politici che rispondessero al gioco delle forze naturali, un riavvicinamento fra Germania e Russia non sarebbe plausibile e quindi anche, sotto certe condizioni, possibile. Ma, in primo luogo, non bisogna confondere quelli che potrebbero essere i rapporti naturali fra i due Paesi in quanto tali ed i rapporti che possono esistere fra Russia e Germania infeudate, la prima, ad un regime bolscevico e, la seconda, ad un regime nazionalsocialista, e costituenti quindi l'una di fronte all'altra un'antitesi altrettanto insopprimibile quanto incompressibile.

Nonostante, tuttavia, l'antitesi dei due regimi io sono sicuro-e l'ambasciatore dell'Unione Sovietica a Berlino, Suritz, me lo ha confermato egli stesso ancora ieri -che il governo di Mosca desidererebbe una relativa détente nei raporti germano-sovietici. Sono anche sicuro che una analoga, relativa détente debba essere desiderata dalle correnti moderate dell'opinione pubblica tedesca e dallo stesso Auswartiges Amt. Ma, in primo luogo, si tratterebbe di una détente ripeto sempre molto «relativa», utile soltanto a togliere alle relazioni fra i due Paesi quell'asprezza che costituisce una permanente minaccia di rottura; in secondo luogo, anche questa semplice, relativa détente si scontra contro una resistenza guanto mai formidabile, e cioè l'esistenza di una alleanza franco-sovietica.

Fino a quando l'U.R.S.S. mostrerà di voler cooperare con la Francia in una direzione fatalmente e nettamente anti-tedesca, essa non si potrà attendere che, anche a prescindere da ogni ragione di regime, la Germania le sia amica 3 .

l Vedi D. 161.

2 Vedi D. 455.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

Con riferimento a questo telespresso, l'ambasciatore Attolico telegrafava successivamente: «Permettomi attirare l'attenzione di V.E. su stampa tedesca odierna che, richiamandosi alle dichiarazioni del Cancelliere del 30 gennaio, smentisce unanimemente e recisamente ogni possibilità di riavvicinamento tedesco-sovietico. Da notare anche le dichiarazioni nello stesso senso delle Isvestia» (T. 2739/176 R. del 18 aprile). Su l'articolo delle Isvestia, si veda il D. 478.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, A TTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1756/551. Berlino, 15 aprile 1937 (per. il 17).

Non ho mancato, sulla scorta delle comunicazioni dell'E.V. in data 8 e 9 corrente,-telegrammi n. 151 1 e n. 7502 per corriere, -di intrattenere sull'argomento tanto il segretario di Stato signor Dieckhoff quanto il barone von Neurath. L'esito dei miei sondaggi è stato positivo. Ritengo infatti, e me l'ha confermato quasi espressamente anche ieri sera il barone von Neurath, che qui non si abbia l'idea di arrivare ad una rottura. Occorre tuttavia che la situazione non sia inasprita.

Come V.E. sa, il governo tedesco ha fatto presentare al Vaticano una protesta 3 , basata sopratutto sulla considerazione che lo stesso indirizzarsi che ha fatto il Papa, a mezzo dell'Enciclica 4 , direttamente ai cattolici-e per questioni che dopo tutto erano o potevano restare oggetto di negoziati diretti fra i due governi -costituisce un procedimento per se stante anticoncordatario. La nota insiste sul fatto che l'attitudine assunta dal Pontefice nell'invitare i cittadini tedeschi di religione cattolica a resistere alle disposizioni del governo nazista in materia scolastica (scuola unica) è, dal punto di vista del diritto interno come internazionale, inammissibile. Ciò premesso, il governo del Reich non deriva da tutto questo alcuna conseguenza catastrofica, lasciando così aperte le porte ad eventuali negoziati.

Si noti che, mentre della protesta fatta a Roma è stata data ai giornali di stamane, e dopo lunga discussione fra Neurath ed il Fiihrer, una brevissima notizia -e ciò specialmente ad uso interno e per dare una certa soddisfazione ai circoli estremisti del partito -dall'altra parte è stato evitato di pubblicare il testo della protesta, con ciò impedendo polemiche suscettibili di ulteriormente invelenire la situazione.

Ciò è già prova di una certa buona volontà e, se effettivamente si vuole quando che sia -arrivare ad una distensione, è necessario che anche da parte della Santa Sede, si dia prova di tatto e misura.

Occorrerà peraltro, prima di pensare a distensioni, attendere qualche tempo. Soltanto in un secondo momento si potrà studiare la possibilità-che io peraltro accennavo anche ieri al barone von Neurath, e che questi sembrava non escluderedi qualche conversazione sulle basi indicate nel mio colloquio con il conte Pignatti 5 .

Bisognerà però fin da ora che il Vaticano si ponga e risolva un problema di importanza pregiudiziale e cioè se gli convenga -tanto più ora che per mezzo dell'Enciclica papale ha già fatto ricorso agli estremi rimedi -di lasciare che il tempo svuoti di ogni contenuto e renda lettera morta il Concordato, cosa che indubbiamente avverrebbe se il Vaticano si ostinasse ad una difesa negativa delle proprie posizioni, oppure se non sarebbe preferibile negoziare, naturalmente su nuove e più

I Vedi p. 402, nota 3. 2 Ritrasmetteva il D. 413. 3 Nota presentata il 13 aprile. Su di essa si vedano i DD. 467 e 483. 4 Riferimento alla Lettera Apostolica ai vescovi tedeschi del 14 marzo (vedi p. 402, nota l). 5 Vedi D. 413.

realistiche basi. Giacché, quando il Concordato fosse in fatto definitivamente svuotato di ogni e qualunque contenuto, non so quali conversazioni su quali basi e sopratutto con quale profitto sarebbe eventualmente possibile di contemplare 1 .

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 965/330. Roma, 15 aprile 1937 (per. il 16).

Mio telegramma per corriere 6 c.m. n. 262 .

L'ambasciatore di Germania ha fatto pervenire ieri al cardinale segretario di Stato una nota 3 in risposta alla Lettera Apostolica diretta ai Vescovi tedeschi due settimane or sono4 .

La notizia è già stata ampiamente diffusa dai giornali, ma, specialmente da parte della ambasciata tedesca, si mantiene tuttora un grande riserbo circa il contenuto della comunicazione. In Segreteria di Stato ho tuttavia avuto conferma che le osservazioni del governo tedesco sono state interpretate nel senso che si cerca una via di accomodamento. Ad ogni modo la nota sostiene la tesi che le proteste del Vaticano rappresentano un'inammissibile ingerenza della Santa Sede negli affari interni del Reich.

Stamane l'ambasciatore von Bergen si è a lungo intrattenuto col cardinale segretario di Stato ed il colloquio deve evidentemente essersi aggirato su questa delicata questione.

Mi riservo di riferire notizie più precise, non appena avrò visto il cardinale Pacelli 5 .

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L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 919/440. Salamanca, 15 aprile 1937 {per. il 19).

Per opportuna conoscenza dell'Eccellenza Vostra, ho l'onore di qui unito trasmettere un rapporto direttomi dal Regio Console in San Sebastiano in merito alla situazione basca.

1 Questo documento fu ritrasmesso all'ambasciatore presso la Santa Sede con T. per corriere 827

R. del 22 aprile e con la seguente aggiunta:«Quanto l'E.V. mi comunica circa il desiderio tedesco di non giungere ad una rottura con la Santa Sede [vedi D. 467] trova conferma nel rapporto del R. Ambasciatore a Berlino che qui sotto trascrivo. V. E. potrà nei modi e nelle forme che crederà opportune dare al cardinale Pacelli notizia delle impressioni raccolte da S.E. Attolico nele sue conversazioni con von Neurath e con Dieckhoff». L'ambasciatore Pignatti compì il passo prescrittogli il 24 aprile.

2 Vedi D. 413. 3 Testo in DDT, serie D., vol. I, D. 646, allegato. 4 Vedi p. 402. nota l. 5 Si veda in proposito il D. 483.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA V ALLETTI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. POSTA 689. San Sebastiano, 13 aprile 1937.

Il governo di Bilbao che fino a qualche giorno fa intendeva ancora negare la gravità della situazione, non sembra più al momento attuale voler celare il pericolo. I comunicati ufficiali pubblicati sulle riunioni notturne del governo protratte fino a mattina, la mobilitazione marina delle classi 36, 28 e 29 e terrestre delle classi 37, 29 e 30, gli stessi bollettini militari non nascondono più la gravità del momento.

Sintomatiche per rivelare lo stato d'animo in Euzkadi sono le dichiarazioni fatte da Aguirre l'otto corrente. Il presidente confessa che i ribelli sono riusciti a creare «una situazione delicata che non è più grave solo per l'eroismo dei patriotti baschi». Nelle stesse dichiarazioni Aguirre lascia comprendere in quali difficoltà si trovi per affermare la sua autorità di fronte agli elementi di estrema sinistra. Egli infatti minaccia le più severe sanzioni contro «tutte le provocazioni e tutte le rappresaglie di coloro che intendono soppiantare il governo nell'esercizio del suo potere».

Le dichiarazioni di Aguirre sono tanto più interessanti in quanto esse sono state !_!! gran parte censurate nella stampa madrilena (ad esempio l'A B C). Ciò dimostra che il governo della repubblica si è accorto che senza volere Aguirre ha parlato troppo chiaro.

Certo, la situazione dell'enclave basco premuto dalla offensiva di Mola è quanto mai pericolosa.

Gli unici aiuti a portata di mano, quelli asturiani, (vedi mio 550 del l corr.) 1 non sono arrivati a causa della nota complessa situazione politica. Il governo asturiano si è limitato a lasciar tornare a Bilbao i resti dei battaglioni baschi già ingaggiati ad Oviedo. Pare che abbia detto avere Euzkadi uomini più che a sufficienza per difendersi.

Per contro, Valencia ha l'evidente desiderio di salvare Bilbao. A parte le offensive sugli altri fronti, essa cerca in tutti i modi di confortare i baschi e incitarli alla lotta. Così Uribe, il ministro della Agricoltura della repubblica presente a Bilbao, nelle sue recenti dichiarazioni alla stampa, ha usato lo sprone economico, ammonendo che il fascismo causerebbe la rovina di Euzkadi cedendo tutte le fonti di ricchezza allo straniero.

Ma a parte i conforti morali, Valencia può solo con estrema difficoltà apportare a Euzkadi degli aiuti in materiali e in viveri. Due sole vie esistono: l'aria e il mare. Quanto alla prima la repubblica mostra la migliore volontà. Ho già telegrafato alla

E.V. che Hidalgo de Cisneros ha promesso 50 apparecchi. Ma l'invio degli aerei incontra gravi difficoltà, dovendo evitare la strada più corta ove l'aviazione nazionale era già in allarme per tentare invece la via più lunga di Francia (vedi apparecchi caduti a Limoges, Tolosa, Mont de Marsans).

Quanto al mare, sembra che l'ultima parola sia all'Inghilterra. Essa si trova oramai al bivio e dovrà chiarire la sua posizione: o romper! a solennemente con Franco infrangendo anche a rischio di seri incidenti il blocco nazionale del Cantabrico o mollare i protetti baschi.

Se Franco cedesse sulla questione del blocco comprometterebbe l'efficacia della offensiva di Mola. Infatti, solo se i baschi si convincono che non hanno a sperare in validi aiuti in

l T. posta del lo aprile, trasmesso al ministero con telespresso 788/377 dell'ambasciata a Salamanca in data 7 aprile (perv. il 19). Il console Cavalletti rilevava il prevalere tra i dirigenti baschi della corrente favorevole ad una resistenza ad oltranza ma osservava che difficilmente gli asturiani avrebbero sguarnito le difese del loro territorio per aiutare i baschi alla cui scarsa combattività attribuivano l'insuccesso delle precedenti operazioni nella zona di Oviedo.

materiali o viveri da nessuna parte, potranno le tendenze favorevoli alla resa prevalere, a meno che le estreme sinistre e la FAI riescano a prendere il potere per fare di Bilbao il secondo sanguinoso distrutto Irun. L'Inghilterra però (vedi mio telegramma odierno) 1 fino ad ora sembrerebbe voler irrigidirsi nel non riconosèere a Franco il diritto di blocco e apparirebbe decisa a continuare i suoi commerci con Bilbao 2 .

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IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTÀ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 2324/221. Zagabria, 15 aprile 1937 (per. il 17).

Sono già state segnalate a V.E. tre dimostrazioni antitaliane avvenute nei giorni passati in questa città, le quali, pur non avendo assunto una forma molto violenta, sono da ricordare per il fatto che da oltre due anni niente di simile era avvenuto in Croazia. Nell'assumere riservate informazioni circa le origini e gli scopi di questa ripresa antifascista, sono venuto a sapere quanto segue.

Dopo la firma del trattato di amicizia del 25 marzo u.s., c'è stato un vigoroso lavorìo da parte degli amici delle democrazie anglo-franco-cecoslovacca, per sfruttare, ai fini specialmente antifascisti, il supposto risentimento croato nato dopo il trattato stesso.

Quando il presidente Benes fu di ritorno al suo Paese, con una piccola sosta a Zagabria, della comitiva dei giornalisti cecoslovacchi che lo accompagnavano rimase guì il signor Uberto Ripka, direttore del Lidovy Noviny, che mi si dice sia l'organo personale del presidente. Tale giornalista si è fermato qui alcuni giorni per portare i saluti personali del presidente Benes al signor Wilder, noto capo locale del partito democratico dell'ex ministro Pribicevic, ed ebbe anche alcuni colloqui, accompagnato dal Wilder, col dott. Macek e col dott. Kosutic. Gli fu offerto un grande banchetto e dicono che abbia lasciato una forte sovvenzione in denaro al giornale croato Hrvatski Dnevnik.

Lo scopo reale di tutto quanto precede sarebbe quello di far iniziare una campagna antitaliana e antifascista in Jugoslavia, senza che peraltro essa debba apparire in aperta contraddizione con lo spirito degli accordi di Belgrado del 25 marzo. L'azione ora dovrebbe essere guidata dal locale console cecoslovacco e fa una certa impressione il fatto che il presidente Benes, capo di uno Stato amico, abbia in tal modo accentuato le sue simpatie verso i democratici e i macekiani locali, che sono pur sempre alla opposizione di fronte al governo di Belgrado.

Appena partito il Ripka, è qui giunto per 4 o 5 giorni il ministro britannico a Belgrado signor Campbell, il quale ha avuto, sia dalle autorità del governo che dai capi del partito di Macek, festosissime accoglienze, con ripetuti pranzi, ricevimenti, ecc. Ad uno di questi avrebbe parlato ai giornalisti nel senso di accentuare le simpatie della democrazia britannica verso gli jugoslavi e i croati, augurando che sia prossima la fine degl'interni dissensi, affinché questo Stato si fortifichi come lo

I Questo telegramma, inviato all'ambasciata a Salamanca, non è stato ritrovato. 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

richiede la sua missione di baluardo della democrazia nei Balcani. Anche il ministro inglese, a mezzo di un suo fiduciario, avrebbe lasciato andare non poche migliaia di dinari ai giornali croati.

Risultato di tutti questi maneggi fin troppo palesi, sono state le dimostrazioni antitaliane già riferite e un altro feroce tafferuglio scoppiato ieri alla Università tra croati di Macek e frankiani, nei quali si ebbero parecchi giovani feriti e vari arresti. Furono poi distribuiti manifesti che mando in traduzione a firma «Gli studenti antifascisti», cosa questa assolutamente nuova, poiché finora tutte le manifestazioni antitaliane alle quali ho assistito non avevano mai avuto impronta così esclusivamente antifascista.

Le predette informazioni mi vengono dalle persone che circondano l'ex ministro Trumbic e devo ritenere che siano quanto mai vicine alla verità 1•

470

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 2699/96 R. Belgrado, 16 aprile 1937, ore 18,45 (per. ore 21,45).

Telegramma di V.E. n. 1002 .

Ho informato Stojadinovic della prossima visita di V.E. a Tirana, del carattere e della portata che avrà. Presidente del Consiglio ha accolto notizia come cosa attesa ed ha ringraziato della comunicazione.

Stampa locale dà qualche succinta informazione della visita ponendola in relazione con la nuova situazione creatasi, anche nei riguardi albanesi, in seguito agli accordi di Belgrado.

471

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2747/130 R. Ginevra, 16 aprile 1937 (per. il 19).

Mio informatore venuto ieri da Parigi, dove ha avvicinato personalità interessanti, mi ha riferito i seguenti dati che comunico a titolo di notizia e con le dovute riserve. Situazione interna francese -È dominata dalla paura delle classi medie e dal disfacimento morale della borghesia. Non è tanto l'audacia delle classi estreme che

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 452.

determina una atmosfera piena di incubo, quale è quella che pesa oggi sulla Francia, quanto la paura e l' effacement della borghesia che determinano il clima per ogni sorpresa e la premessa per un movimento rivoluzionario. Fuga di capitali, preordinati piani di evasione al primo indizio di sommovimento, somma confusione e disorientamento negli ambienti che dovrebbero reagire contro lo strapotere dell'estremismo:~ destra praticamente inesistente. Il solo Doriot avrebbe in realtà un seguito di audaci. La posizione personale di Blum non sarebbe delle più rosee. L'ala sinistra del socialismo gli desterebbe maggiori preoccupazioni dello stesso partito comunista.

La politica estera della Francia si farebbe per 4/5 a Londra. Il Quai d'Orsay, peraltro, preoccupato della solidità dell'asse Roma-Berlino desidererebbe fare qualcosa per staccare l'Italia dalla Germania e molte speranze si fondano sul dissidio tra il Fiihrer e il Vaticano che a lungo andare dovrebbe finire per avere le sue ripercussioni anche sui rapporti tra il fascismo, alleato al Vaticano, e il nazismo razzista e nemico della Chiesa romana.

Tuttavia il mio osservatore ha potuto rendersi conto che l'ostilità del Front Populaire è più viva nei confronti del fascismo che nei confronti del socialnazionalismo.

Secondo il mio informatore la Francia non prenderà nessuna iniziativa in occasione della prossima Assemblea della S.d.N. per avviare il problema etiopico verso una soluzione liquidatoria.

Atteggiamento inglese nella questione spagnola-Dalle informazioni che ha avuto a Parigi, avvicinando anche personalità britanniche il mio informatore così riassume il punto di vista del governo di Londra sul problema spagnolo. Il Gabinetto Baldwin non desidera il trionfo dei rossi perché teme l'eventualità della costituzione di una repubblica sovietica nel Mediterraneo e ciò per le conseguenze che questo evento avrebbe non solo per l'integrità politica e territoriale del Portogallo, ma anche perché una Spagna sovietica costituirebbe una testa di ponte per la propaganda in tutta l'Africa mediterranea con ripercussioni gravi anche dal punto di vista dell'integrità imperiale britannica. Se Mosca stendesse un braccio sul Mediterraneo, l'Inghilterra sentirebbe una grave minaccia pesare sul suo impero. A ciò aggiungasi che un trionfo totale dei rossi costituirebbe quasi inevitabilmente la premessa di una sempre maggiore spinta rivoluzionaria in Francia, senza contare, beninteso, la perdita totale di beni e di interessi inglesi in Spagna che sono rilevanti.

D'altra parte, il Gabinetto Baldwin non vuole neppure il trionfo di Franco, perché ciò implicherebbe non solo una straordinaria vittoria morale per il fascismo, ma anche un tale inevitabile aumento dell'influenza e della potenza italiana nel Mediterraneo da costituire un altro grave pericolo per la Gran Bretagna.

Ecco perché Londra auspica una soluzione di compromesso e desidererebbe vedere ricostituirsi in Spagna una repubblica democratica indipendente.

La proposta fatta da Churchill ai Comuni.pochi giorni or sono è in quest'ordine di idee e Londra, secondo il mio interlocutore, riprenderà il progetto di mediazione a breve scadenza sperando che con l'evacuare i volontari stranieri, con l'assicurare in un primo tempo una dittatura militare e col far tornare alle urne in un secondo tempo gli spagnoli, possa essere realizzata quella che è la sua aspirazione ultima e precisa e cioè che in Spagna non trionfino, né Mosca, né Roma 1•

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

472

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1401/557. Londra, 16 aprile 1937 (per. il 20).

Le dichiarazioni di Eden sulla «liquidazione» dell'incidente di Keelung 1 , opportunamente coincisa con l'arrivo a Londra del principe Chichibù, qui venuto a rappresentare suo fratello l'Imperatore alle cerimonie per l'incoronazione di Giorgio VI, hanno rappresentato l'occasione per tutto un fiorire di manifestazioni sulla cordialità degli attuali rapporti anglo-giapponesi.

«È per me fonte di viva soddisfazione-ha dichiarato il principe Chichibù in un suo messaggio alla stampa al momento dell'arrivo-che vi siano stretti vincoli di amicizia tra la Gran Bretagna ed il Giappone, vincoli che hanno resistito alla prova del tempo e che, sono fiducioso, verranno ulteriormente rafforzati ... »; parole e frase di semplice occasione ma alle quali si è stati qui felici di dare il massimo e più favorevole rilievo e che vengono messe in relazione con un recente «radicale mutamento» che si sarebbe verificato nell'atteggiamento di Tokio verso l'Inghilterra.

In verità, la conclusione della nota intesa anti-comunista fra Germania e Giappone aveva qui provocato, come ho avuto occasione di segnalare, una profonda preoccupazione malamente mascherata con atteggiamenti di indifferenza e di scetticismo, atteggiamenti ai quali faceva infatti immediatamente riscontro una attiva azione diretta ad impressionare il governo di T okio con i pericoli di una politica del genere.

Indebolimento della posizione del Giappone in Cina, difficoltà in Manciukuò, enorme potenziamento della macchina militare sovietica in Oriente, della politica filo-tedesca nell'opinione pubblica giapponese sono alcuni fra gli argomenti sui quali si è imperniata una vera e propria campagna stampa, troppo monotona per non esser ispirata, intesa a dimostrare gli inconvenienti per il Giappone di una politica filo-tedesca e, per converso, i vantaggi di un ritorno alla vecchia amicizia con l'Inghilterra.

L'equanimità con la quale è stato qui accolto il rifiuto giapponese per la limitazione delle artiglierie navali2 e, in questi giorni, il «rattoppamento» dell'incidente di Keelung, lasciano chiaramente comprendere come tale «campagna» non si sia limitata a manifestazioni giornalistiche soltanto ma venga accompagnata da una effettiva -se pur discreta -azione diplomatica che merita esser attentamente seguita 3 .

l Il 7 ottobre, 1936, alcuni marinai britannici erano stati oggetto di maltrattamenti a Keelung (Chee lung), nell'isola di Formosa da parte delle autorità giapponesi. Ne era nato un serio incidente per il rifiuto del governo di Tokio di aderire alle richieste di riparazione avanzate da Londra sul quale l'ambasciatore Grandi aveva riferito a più riprese (T. per corriere 11001/0539 R. del 3 novembre; telespresso 3631/1055 del 24 novembre 1936). Il 13 aprile 1937, dopo che le autorità civili di Formosa avevano espresso ufficialmente il loro rincrescimento, Eden aveva dichiarato ai Comuni di considerare chiuso l'incidente «in modo accettabile» (telespresso 1369/543 del 14 aprile).

2 Il 22 marzo precedente era stato annunciato ufficialmente a Tokio che il Giappone non intendeva aderire agli accordi per la limitazione delle artiglierie navali a 14 pollici.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

473

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 946/451. Salamanca, 16 aprile 1937 (per. il 23).

Ho l'onore di trasmettere all'E.V. l'acclusa copia di un rapporto inviatomi dal

R. Console in San Sebastiano riguardante la situazione basca.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CAV ALLETTI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. POSTA 704. San Sebastiano, 14 aprile 1937.

L'ambasciata d'Inghilterra in S. Juan de Luz, dopo aver dato ufficiale notizia al comandante militare del Bidassoa, Troncoso, del telegramma ministeriale contenente la decisione di non riconoscere il blocco nazionale alle coste basche per non avere Franco la qualità di belligerante, gli ha poi comunicato le note previdenze prese dalla Gran Bretagna per evitare incidenti, le quali di fatto annullano o quasi la decisione di principio da me telegrafata.

Il comandante, il quale è stato il tramite di tutte le trattative fra Franco e l'ambasciata d'Inghilterra a S. Juan de Luz, non mi nascondeva la sua soddisfazione per le ultime decisioni della Gran Bretagna. Egli mi ha aggiunto di avere prove che la Gran Bretagna aveva tutto predisposto per assumere una specie di protettorato sullo Stato basco. Gli risulterebbe che il console inglese in Bilbao, Stevenson, aveva già preparato un accordo per la cessione di un porto e di una miniera, oltre a vantaggi commerciali, all'Inghilterra in cambio di una alta tutela inglese sulla repubblica di Euzkadi.

Invece l'Inghilterra, messa al bivio, (mio 689 del 13 corr.) 1 , pur mantenendo la questione di principio, si è dovuta rassegnare, almeno per ora, a praticamente abbandonare i baschi separatisti. Il voltafaccia dell'Inghilterra ha fatto grande impressione negli ambienti diplomatici di S. Juan de Luz, ove non si aspettava tale cambiamento di direttiva. L'ambascia·tore d'Argentina2 manifestandomi la sua sorpresa aggiungeva essere questo il secondo grave colpo che riceve la supremazia marittima inglese dopo quello italiano. L'evidente intenzione inglese di evitare ad ogni costo gravi incidenti, come sarebbero probabilmente avvenuti se l'Inghilterra oltre che irrigidirsi sul principio di diritto avesse insistito nella pratica, potrebbe essere un utile sintomatico indizio per gli eventuali sviluppi della politica inglese nella questione spagnola.

L'attitudine inglese non potrà non avere una influenza considerevole sui baschi, i quali si dovranno convincere che l'unico efficace aiuto per trattenere la offensiva di Mola è il cattivo tempo.

Riterrei che il momento attuale potrebbe essere psicologicamente il migliore per eventuali trattative sulla resa di Bilbao. A questo proposito aggiungo, in riferimento al mio telespresso 624 dell'8 corrente3 , che l'ex-deputato basco Areilza, uno degli uomini

I Vedi D. 468, allegato.

2 Daniel Garcia Mansilla.

3 Non rintracciato.

politici più quotati di qui, il quale come tutti i baschi della Spagna nazionale desidera ardentemente di veder risolta politicamente la questione basca, mi ha spontaneamente espresso le stesse idee del padre gesuita Pereda. Anche egli ritiene che al momento attuale i baschi accetterebbero la intimazione di Mola (più forse qualche assicurazione per il clero), se essi si fidassero. L'unica cosa che potrebbe rassicurarli sarebbe l'intervento di un governo estero, e Areilza ritiene che nelle presenti angoscie i baschi sarebbero lieti di accettare una garanzia del R. Governo.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 1807. Berlino, 16 aprile 1937 1•

Ai quesiti rivoltimi in relazione ad un possibile riavvicinamento russo-tedesco ho già, in via ufficiale, risposto con rapporto del 15 aprile2 che mi sembra-e ne sono lieto -avere trovato conferma nelle contemporeanee informazioni pervenute al ministero: da Londra, per quanto riguarda la tendenziosità in genere della campagna di stampa (telecorriere 14 aprile n. 4924)3 e da Parigi, per quanto riguarda il riavvicinamento Hitler-Ludendorff (telecorriere 13 aprile n. 4868)4 .

Il rapporto Rosso inviatomi con tua segreta del 13, n. 3373 5 , e che mi è pervenuto solo ieri, non apporta in fondo elementi nuovi, all'infuori della constatazione di una certa sosta, specie da parte sovietica, negli attacchi di stampa. In proposito sono in grado di darti delle spiegazioni confidenzialissime e di cui ti prego di non far cenno, né a Hassell costà, né alla stessa ambasciata nostra a Mosca.

Premetto che, come ho accennato già nel mio rapporto del 15 corrente, vi è da parte di Mosca un deciso desiderio di détente. «le ne vous cache pas», mi ha detto Suritz accomiatandosi da me giorni fa, «que mon Gouvernement désire vivement de normaliser ses rapports avec l'Allemagne». Posso ora aggiungerti -ed è questa l'informazione che ti prego di tenere assolutamente segreta -che, a prescindere dalle avances di indole commerciale già fatte attraverso Goring e che non è da escludere possano sotto altra forma essere rinnovate anche in seguito, un netto tentativo di approccio è stato testé compiuto da Mosca attraverso Nadolny, l'antico ambasciatore di Germania a Mosca, il quale, fautore convinto della amicizia russo-tedesca, ne divenne a suo tempo così fermo assertore presso il proprio governo, che questo dovè invitarlo senz'altro a dimettersi. È Nadolny che -intimo amico

I Manca l'indicazione della data d'arrivo.

2 Vedi D. 465.

3 Ritrasmetteva il D. 439.

4 Ritrasmetteva il D. 414.

5 Ciano aveva trasmesso ad Attolico il D. 409 con una lettera personale nella quale osservava che quanto riferiva Rosso poteva essere messo in relazione «con tutta una serie di notizie che gli venivano da fonti diverse circa pretesi accordi conclusi o da concludersi tra Germania e Russia».

di Voroscilov, con cui montava spesso a cavallo la mattina a Mosca ~ mentre cercò a suo tempo di salvare il salvabile degli antichi rapporti russo-tedeschi, racchiudendone la «fiamma» in quella che egli credeva la roccaforte Voroscilov-Blomberg, ha, per espresso desiderio di Mosca, rinnovato proprio in questi giorni dei tentativi di approccio. La cosa è stata risaputa, e fortemente biasimata, dal Fiihrer il quale si è riservato di richiamare personalmente all'ordine il Nadolny, chiamandolo ad audiendum per uno dei prossimi giorni.

Orbene, è appunto questa circostanza ~vale a dire lo svolgimento dell'azione Nadolny ~che deve avere consigliato il Narkomindiel a rallentare gli attacchi di stampa alla Germania, incoraggiato anche dal fatto (su cui mi permetto richiamare qui la tua attenzione anche agli effetti nostri) che la campagna antirussa sui giornali tedeschi è ormai limitata ai soli giornali di partito.

Ma, a parte questo, nell'attitudine della Germania verso la U.R.S.S. (dico Germania verso U.R.S.S. e non U.R.S.S. verso Germania) nulla vi è di mutato. Io ne ho avuto conferma anche stamane attraverso questo ambasciatore di Polonia1 che è il più interessato e il più qualificato insieme a sorvegliare i rapporti russo-tedeschi e che, per opportuna precauzione, ho fatto interpellare dal ministro del Belgio col quale, per la sua provenienza da Varsavia, egli ha maggiore dimestichezza ed intimità.

Ciò premesso, per guanto riguarda l'U.R.S.S., devo però dirti che i circoli tedeschi sono tuttavia pervasi da un desiderio generale di détente. Qui si è convinti sempre più e sempre più generalmente che la Germania non può continuare in eterno a litigare con l'universo mondo e deve alleggerire in conseguenza le proprie posizioni politiche, rendendole meno impervie ai compromessi ed alle intese. Mai come ora è alto il clamore contro Goebbels, accusato di condurre una politica cieca e puramente negativa: vedi la ritirata clamorosa cui il medesimo è stato obbligato nei riguardi dell'Austria; le proteste sollevate in certi circoli di partito persino per le reazioni tedesche contro i discorsi La Guardia; la estrema riserva, imposta direttamente dal Fiihrer, a proposito dell'Enciclica, ecc.

Mai come ora i circoli tedeschi sembrano avvertire la pesantezza della situazione spagnola (sintomatico al riguardo anche il passaggio di ogni competenza in materia da Goring a Blomberg e il successivo schierarsi del primo a favore di una politica sempre più conservativa); desiderare una distensione con l'Inghilterra (so da fonte sicura che il linguaggio tenuto da Ribbentrop a Eden negli ultimi colloqui ha mutato di tono); preconizzare intese ed accordi commerciali ed economici di carattere generale (visita Schacht a Bruxelles: mio rapporto odierno n. 1806 /570) 2 .

Questo bisogno di distensione ~erga omnes ~va qui, ripeto, guadagnando terreno ogni giorno di più, e ~ sotto l'assillo delle difficoltà economiche e delle loro ripercussioni negli strati popolari più bassi ~ i circoli più ragionevoli del partito. Ove quel bisogno riuscisse veramente ad affermarsi, se ne avvantaggerebbero persino, per quanto ultimi, i rapporti germano-sovietici 3 .

I Jozef Lipski. 2 Vedi D. 477. 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

475

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 2745/98 R. Belgrado, 17 aprile 1937, ore 21,35 (per. ore 1,40 del 18).

Ho fatto a Stojadinovic comunicazione di cui al telegramma di V.E. n. 100 1•

Per quanto concerne punto secondo -Romania -Stojadinovic si attendeva evidentemente la semplice risposta fornitagli. Mi è sembrato perfettamente convinto che questione vada affrontata più a fondo che non con una convenzione culturale e che, comunque, situazione ungherese sia elemento essenziale del clima che occorre predisporre. Mi ha chiesto se poteva esprimersi con Antonescu nel senso dell'idea prospettatagli. Gli ho risposto che poteva fare quanto riteneva più utile ad una situazione per la quale mi constava che V.E. desiderava agire in stretta intesa e collaborare con lui.

Stojadinovic mi ha a sua volta confermato l'intenzione di fare altrettanto per ciò che concerne la sua azione politica.

Nei riguardi del punto terzo -Albania -oggetto del mio telegramma 96 2 , Presidente mi ha detto che ministro di Jugoslavia a Tirana 3 avrebbe avuto istruzioni di limitarsi di fronte governo albanese a rimettersi alle comunicazioni che V.E. ed il ministro Jacomoni avrebbero fatte colà per quanto concerne accordo intervenuto.

476

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2768/086 R. Parigi, 17 aprile 1937 (per. il 20).

Telegramma per corriere di V.E. n. 771 R. AEM.III dell'Il aprile corr. 4•

Poiché il signor Léger è tuttora assente da Parigi ho veduto stamane il conte di Saint Quentin al quale ho cominciato a chiedere se fosse in grado di comunicarmi il risultato degli studi compiuti dalle competenti autorità francesi per poterei fare proposte circa i diritti di transito per le merci da percepire a Gibuti, nella nuova situazione.

Saint Quentin ha cominciato coll'osservare che, a dire il vero, pareva al governo francese che toccasse al governo italiano di far conoscere le sue controproposte circa i vari punti trattati durante i negoziati di Parigi, o anche soltanto menzionati

I Vedi D. 452. 2 Vedi D. 470. 3 Radivoje Jankovic. 4 Vedi D. 445.

senza propriamente discuterli. Era infatti stato convenuto col governo italiano di procedere all'esame delle varie questioni che interessavano l'Italia e la Francia nell'A.O.I. per trovare le soluzioni che soddisfacessero entrambi i Paesi amici. Si erano iniziate le trattative, che erano state ad un dato punto sospese a richiesta dell'Italia. Egli non intendeva discutere le ragioni che ci avevano indotto a tale sospensione. Trovava peraltro non perfettamente normale che il governo italiano chiedesse al governo francese di presentargli delle proposte anche per le tariffe da applicare alle merci transitanti da Gibuti, vale a dire di fornirgli in totalità elementi per giudicare la posizione assunta dalla Francia nei negoziati di cui si tratta, mentre da parte sua il governo italiano era stato ed era tuttora molto riservato e pareva restio a manifestare il proprio punto di vista.

Ho risposto a Saint Quentin che egli era in errore e glielo avrei dimostrato nello svolgimento della nostra conversazione. Mi premeva insistere sull'importante problema del transito delle merci a Gibuti e della tariffa che sarebbe stata loro applicata globalmente, trattandosi di una questione d'importanza vitale per noi. Gli ricordai che la tariffa concordata con gli inglesi per il Somaliland era dell'uno per cento ad valorem, cosicché se il governo francese annetteva dell'importanza ed esso ne annetteva di fatto una grandissima -a che le merci dirette in Etiopia transitassero per Gibuti, doveva agire di conseguenza, anzi farci condizioni più vantaggiose di quelle degli inglesi.

Saint Quentin obbiettò che le condizioni di Gibuti erano assai diverse di quelle di Zeila e Berbera, perché nel porto francese vi erano banchine di approdo per le chiatte ed un'organizzazione ragguardevole che mancava, almeno per il momento, totalmente nei due approdi del Somaliland. Sarebbe pertanto stato veramente fuori di luogo una richiesta da parte dell'Italia di accordare alle merci transitanti per Gibuti un trattamento analogo a quello concordato per esse a Zeila e Berbera.

Ribattei che dovevo, giusta le istruzioni ricevute, dirgli invece che noi insistevamo non soltanto per ottenere che la tariffa fosse uguale a quella concordata con gli inglesi, ma anche inferiore all'uno per cento ad valorem. La nostra richiesta non soltanto non era quindi fuori di luogo, ma trovava la sua ragione di essere nell'aumentato traffico del porto di Gibuti, dato che le merci che la ferrovia avvierà in Etiopia sono già salite attualmente da 150 tonnellate al giorno a 400 tonnellate e queste aumenteranno rapidamente a 600 e prima della fine d'anno ad 800 tonnellate. Gli ho pure citato la cifra delle merci italiane giacenti nel porto di Gibuti (tonnellate

35.272 al l o aprile) per mancanza di mezzi di trasporto.

Saint Quentin si mostrò alquanto risentito, disse che l'atteggiamento da noi assunto avrebbe convinto sempre più il ministero delle Colonie ed i circoli coloniali, influentissimi in Francia, che la politica perseguita dall'Italia in A.O.I. mirava ad escludere, anzi a combattere ogni attività francese, cosa che era in contrasto assoluto con gli accordi di Roma, in base ai quali la Francia aveva rinunciato a qualsiasi influenza politica in Etiopia, ma si era riservata la tutela dei propri interessi economici in quella regione. Il Quai d'Orsay cercava di controbattere tale opinione che era ormai assai diffusa, anzi fortemente radicata negli elementi coloniali, sopratutto in seguito al trattamento da noi fatto subire alla casa Besse. I reclami presentati in proposito dal governo francese non avevano sinora sortito alcun effetto. Non si era anzi nemmeno riusciti ad avere una spiegazione qualsiasi. Egli conosceva i metodi applicati dalle amministrazioni militari in tutti i Paesi e non si formalizzava

quindi di certi eccessi che gli sembrava fossero stati connessi nei riguardi della Casa Besse 1 e di altri cittadini francesi. Non poteva però celarmi la non favorevole impressione riportata dal non avere il R. Ministero degli Affari Esteri creduto dare delle spiegazioni al governo francese circa gli incidenti segnalatigli, mentre viceversa la stampa italiana se ne era occupata affermando cose non esatte.

Ho risposto a Saint Quentin che nulla potevo dirgli del caso Besse, mancando di istruzioni. Respingevo peraltro la supposizione da lui menzionata che il governo italiano intendesse eliminare dall'A.O.I. sistematicamente ogni attività francese. Credevo sapere che molti cittadini francesi, i quali si comportavano correttamente, potevano esercitare indisturbati le loro attività commerciali in Etiopia. La ferrovia, che era il maggiore interesse francese nel nostro Impero, non aveva certo da lagnarsi dell'atteggiamento estremamente corretto, anzi amichevole delle autorità italiane.

Egli mi aveva parlato del ministero delle Colonie francese come di un dicastero che per forza di cose tendeva· a frapporre ostacoli al regolamento degli interessi italo-francesi nell' A.O.I. perché attribuiva al governo italiano delle intenzioni non favorevoli agli interessi francesi. Dovevo dirgli che il governo italiano non può preoccuparsi di quanto pensa questo o quel dicastero francese. Quello che a noi interessa è l'atteggiamento che intende assumere il governo francese e per esso il ministero degli Affari Esteri. Lo conoscevamo in parte attraverso le proposte che ci erano state fatte, proposte che desidereremmo vedere integrate, come gli avevo detto dianzi, dalla comunicazione di quella concernente il transito delle merci di Gibuti.

Saremmo così stati in grado di far conoscere al governo francese le nostre contro-proposte. Potevo dirgli sin d'ora che gli organi competenti italiani stavano in questo momento esaminando le proposte francesi, una delle quali, quella concernente il transito delle persone da Gibuti era apparsa tale da costituire, in massima, una base di discussione.

Non potevo invece, con mio rincrescimento, dirgli che le proposte aventi una prevalente portata politica avessero prodotto buona impressione in Italia perché esse non avevano tenuto conto del fatto che, sovrana dell'Etiopia, l'Italia, non può ammettere limitazioni alla propria sovranità. Si erano inoltre da parte del governo francese fatti accenni a clausole di trattati che avevano a loro presupposto l'esistenza di uno Stato africano di civiltà inferiore, clausole che non potevano quindi assolutamente più essere oggi invocate nei confronti dell'Italia.

Saint Quentin si mostrò stupito di quanto gli dicevo, sostenendo che il governo francese si era studiato, nel formulare le sue proposte, di dimostrare all'Italia che, agendo in conformità degli accordi di Roma, esso non perseguiva in A.O.I. alcuno scopo politico ed agiva quindi soltanto come avrebbe potuto fare una compagnia industriale o commerciale intesa a difendere i propri interessi materiali. Mi chiedeva quindi di indicargli se lo potevo, qualche punto che ci avesse prodotto l'impressione da me menzionatagli.

Gli dissi allora che, nei riguardi della ferrovia ad esempio, era rimasta in sospeso la questione del controllo, che noi non potevamo certo accettare fosse esercitato nei nostri riguardi secondo le norme vigenti al tempo del governo

l Vedi p. 453, nota 3.

596 etiopico. Se potevamo consentire al permanere di un certo controllo doveva essere inteso che il controllore francese avrebbe risieduto normalmente in territorio francese, così come quello italiano avrebbe risieduto in territorio italiano, salvo naturalmente a poter compiere viaggi lungo le linee da controllare nei territori rispettivamente italiano e francese. Saint Quentin osservò che non avevamo nemmeno lasciato al governo francese il tempo materiale di esaminare la questione del controllo. Ricordava viceversa, che, appunto perché il governo francese è convinto che la situazione è radicalmente mutata in Etiopia, esso stesso aveva dichiarato che intendeva affidare alla cura dell'Italia la sicurezza dei ponti e delle opere d'arte lungo tutto il percorso della ferrovia in territorio italiano. Quanto gli avevo detto circa il controllo gli sembrava argomento che avrebbe potuto essere agevolmente discusso e risolto.

Parlai allora dell'importantissima questione dei tronchi trasversali che noi dovevamo avere la facoltà di costruire, fermo restando il principio che non doveva essere costruita una ferrovia parallela e quindi concorrente di quella attuale. Avendo Saint Quentin ripetuto le solite obbiezioni velate ma assolutamente intransigenti gli dissi molto chiaramente che questo sarebbe stato precisamente il punto in cui si sarebbe veduto se la Francia intendeva difendere i suoi interessi non con criteri politici ma soltanto con preoccupazioni di ordine commerciale. Che cosa temeva la Francia? Che l'Italia costruisse la ferrovia da Assab a Dessié e che mediante un tronco che si staccasse dalla ferrovia attuale unendosi alla nuova ferrovia stornasse su Assab parte del traffico. A mio giudizio questo timore non era molto fondato ed in ogni caso mostrava che in Francia non ci si rendeva esatto conto dello sviluppo che l'Etiopia, in mano degli italiani, avrebbe preso in brevissimo tempo. Qui si riteneva che qualunque ferrovia in Etiopia farebbe una concorrenza illecita a quella attuale. Ora era necessario che la Francia si persuadesse che l'Italia procederà in Etiopia alla costruzione di tutte le strade, ferrovie o di altra specie, che giudicherà necessarie e che essa intende naturalmente svolgere tale programma in piena sovranità, senza pertanto essere costretta a discutere al riguardo con chicchessia. Gli dicevo ciò affinché egli si rendesse conto dell'impressione pessima prodotta sopra di noi dalla pretesa francese che ci impegnassimo a discutere con la Francia qualsiasi costruzione ferroviaria che potesse ledere gli interessi di quella presentemente esistente. Questa pretesa era prettamente politica e non come Saint Quentin sosteneva puramente commerciale.

Saint Quentin interloquì che la Francia sta in questo momento pensando a spendere una ventina di milioni per migliorare il porto di Gibuti, costruendo una banchina che permetta l'approdo delle grosse navi attraverso un canale che dovrà essere dragato continuamente. Come poteva essa affrontare tale ingente spesa se non fosse sicura che il porto di Gibuti conserverà la sua attuale attività ed anzi l'accrescerà? Questa era la ragione per la quale la Francia ci chiedeva di discutere con noi le costruzioni ferroviarie che potessero arrecare danno alla sua ferrovia; era una ragione commerciale e non politica.

Ribattei che avrei compreso che la Francia ci dicesse di non voler essere esposta al pericolo di vedere il porto di Gibuti inattivo e che ci facesse quindi delle proposte atte ad eliminarlo. Ma le proposte stesse avrebbero dovuto avere un carattere puramente commerciale, di equa suddivisione del traffico e non apparire come quelle presentateci una menomazione della nostra sovranità. Gli facevo presente che anche una eventuale suddivisione equa del traffico avrebbe presupposto da parte francese la riduzione dei diritti di transito delle merci da Gibuti, dato che in caso contrario il governo italiano non avrebbe certamente potuto indurre gli esportatori a preferire la via di Gibuti ad un'altra più economica dal punto di vista dei diritti di transito. Saint Quentin obbiettò che il maggior esportatore sarebbe sempre stato il governo italiano, cosicché il mio argomento non gli sembrava tale da dovere creare soverchie preoccupazioni alla Francia.

Accennai pure al problema delle scuole francesi, dicendo che indubbiamente avremmo tenuto presente il legittimo desiderio del governo della Repubblica di poter avere a Dire Daua una scuola per i figli degli impiegati francesi della ferrovia e degli altri residenti francesi. Viceversa non avremmo certamente potuto accedere alla richiesta di poter far frequentare tale scuola dagli indigeni. Essi erano ormai sotto il dominio dell'Italia e dovevano quindi, oltre la loro lingua, imparare in primo luogo l'italiano. La stessa cosa dovrà succedere e succederà naturalmente anche per gli impiegati francesi della ferrovia se essi vorranno mantenere cordiali rapporti con le autorità italiane. Imparare l'italiano era del resto semplice e facile per i francesi, sempre che vi mettessero della buona volontà.

Siccome al principio della conversazione avevo accennato alla eventualità che il governo francese consentisse a concederci nel porto di Gibuti una zona franca, il che eliminerebbe di colpo la questione dei diritti di transito per le merci, Saint Quentin che non aveva reagito subito, ricordò a questo punto il mio accenno e mi disse che la Francia non poteva pensare ad una tale soluzione. Non dubitava che ci saremmo facilmente resi conto delle ragioni che l'obbligavano ad agire in tal modo. Gibuti non era infatti un porto che servisse ad altri territori all'infuori dell'Etiopia. Dare quindi all'Italia un punto franco nel porto avrebbe corrisposto a far morire di colpo Gibuti. Questo sarebbe stato veramente troppo chiedere da uno Stato che ha speso denari per Gibuti e che ha bisogno di questo possedimento per molteplici ragioni, in connessione cogli altri suoi possedimenti transoceanici.

Saint Quentin mi disse infine che egli ed il Quai d'Orsay si domandavano se il governo italiano desiderasse realmente di giungere ad un accordo circa gli interessi reciproci in A.O.I. La sospensione delle trattative che era sembrata plausibile quando avvenne e la successiva nessuna premura manifestata da parte nostra di riprenderle destavano dei dubbi che egli sarebbe stato contento di sapere infondati, ma che per il momento esistevano.

Mi espressi pertanto conformemente all'ultima parte del telegramma per corriere di V.E. dimostrandogli come le preoccupazioni ed i dubbi di cui mi aveva parlato non avessero fondamento. Osservai che il passo che stavo compiendo doveva anzi costituire una prova lampante delle migliori nostre intenzioni. Avendo constatato che il governo francese non sembrava inspirarsi a concetti tali da agevolare la felice conclusione delle trattative, il governo italiano aveva stimato opportuno di integrare queste ultime a mezzo di un'azione diplomatica chiarificatrice. Mi auguravo di aver potuto portare il mio contributo a quello che era l'intento del governo fascista e lo assicuravo che rimanevo oggi come per il passato convinto fautore di un accordo completo per l'A.O.I. fra Italia e Francia e che ero persuaso che esso potrebbe essere raggiunto se ci si comprendesse e si eliminassero timori e sospetti infondati.

477

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1806/570. Berlino, 17 aprile 1937 (per. il 19).

V.E. avrà rilevato le notizie riportate dalla stampa internazionale circa la visita di Schacht a Bruxelles 1• A quanto mi risulta, esse, per quanto generiche, sono però relativamente esatte.

Del resto, Schacht che in occasione della visita Azzolini 2 ho avvicinato in questi ultimi giorni assai spesso, mi ha confermato di essere stato molto contento della sua visita a Bruxelles, ma di non avere raggiunto anche perché non lo poteva, alcun risultato concreto. «Si tratta, egli mi ha detto, di un lavoro di zappa, eminentemente preparatorio, che io ho cominciato credo con successo, ma che dovrà essere continuato».

La situazione, secondo Schacht, sarebbe la seguente. Le tre Potenze democratiche che hanno concluso il noto accordo monetario tripartito 3 , si sono accorte che quell'accordo da sé non cammina e che per renderlo efficace bisogna assolutamente estenderne il quadro, sopratutto comprendendovi la Germania e l'Italia. Schacht si è mostrato favorevole a questa estensione, dichiarando francamente di non attribuire ai piani quadriennali e simili alcun carattere definitivo, essi costituendo invece una necessità puramente contingente alla quale la Germania sarebbe felice di sottrarsi sempre che gliene fosse data la possibilità.

Al riguardo egli ha chiaramente accennato che nessun accordo economico, e quindi nessuna entrata della Germania nell'accordo monetario, con conseguente stabilizzazione generale delle valute, sarebbe possibile senza che a questo riavvicinamento economico rispondesse anche una chiarificazione delle obbligazioni economiche internazionali della Germania, chiarificazione che dovrebbe abbracciare oltre al regolamento della questione dei debiti esteri e del problema delle materie prime, anche quella delle colonie ... Ciò premesso tuttavia, Schacht ha insistito sulla volontà di cooperazione della Germania ed ha autorizzato van Zeeland, diventato ormai in questo campo l'uomo di fiducia dell'Inghilterra, a darne l'assicurazione al governo inglese.

Ho chiesto a Schacht come mai egli avesse creduto di insistere, parlando con van Zeeland, anche sulle colonie, e ciò conoscendo gli umori in materia dell'Inghilterra. Schacht mi ha risposto che egli lo aveva fatto, sia perché effettivamente lo ritiene una condizione obbiettivamente necessaria per un ritorno della Germania alla cooperazione economica europea, sia anche perché le sue informazioni sono che l'Inghilterra, dopo tutto, non è così fondamentalmente avversa alla soluzione del problema coloniale tedesco come generalmente si crede.

' Su di essa si veda anche il D. 464.

2 Il governatore della Banca d'Italia, Vincenzo Azzolini, era stato in visita a Berlino dal 15 al 17 aprile e si era incontrato con Schacht e con von Neurath.

3 Vedi p. 250, nota 4.

Schacht mi ha anche accennato al fatto che la finanza americana sarebbe ormai debitamente matura e quindi pronta ad entrare in azione in Europa. Essa ne è per altro trattenuta, almeno per il momento, dall'Inghilterra. Comunque, van Zeeland non mancherà di sondare meglio le acque anche in quella direzione, ed è appunto a questo che deve attribuirsi la notizia già corsa di un suo viaggio negli Stati Uniti.

Interpellato da van Zeeland sulle possibilità di una conferenza economica generale, Schacht vi si è mostrato decisamente contrario, sia per ragioni pratiche e di principio, sia perché effettivamente egli non ritiene che il momento vi sia propizio. Che anzi, Schacht avrebbe dichiarato a van Zeeland di essere contrario a delle riunioni anche se limitate ad un gruppo ristretto dei maggiori Paesi interessati.

Quel che per ora si può utilmente fare è -secondo Schacht -continuare nei contatti personali (sembra che van Zeeland non mancherà di prendere contatto anche con l'Italia) e nella preparazione dell'opinione pubblica inglese, la quale potrebbe non essere aliena da opportune concessioni sempre che fosse messa in presenza di una possibilità di détente politica generale. Ho ragione anzi di ritenere che Schacht, appunto per incoraggiare un tale movimento, avrebbe persino prestato benevolo ascolto alle esortazioni di van Zeeland in materia di limitazione degli armamenti. L'argomento fatto valere da van Zeeland in proposito ed a cui Schacht apparrebbe propenso a dare un certo peso sarebbe il seguente, che cioè l'Inghilterra vedrebbe con favore una intesa in materia sempre che essa avvenisse relativamente presto sì da permetterle di tradurla in una economia attraverso la riduzione dei propri, formidabili preventivi di riarmo. In questo caso ed a queste condizioni, l'Inghilterra sarebbe pronta anche ad offrire adeguate contropartite.

Schacht è ritornato, oltre che soddisfatto della sua visita e delle conversazioni avute, semplicemente entusiasta dell'alto criterio politico mostrato dal Re del Belgio, di cui egli non mette in dubbio la sincera ed ormai precisa volontà di assoluta indipendenza anche nei riguardi della Francia e dell'Inghilterra 1•

478

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1492/681. Mosca, 18 aprile 1937 (per. il 26).

Mio rapporto n. 1309/607 del 5 corrente 2 .

Ieri per la prima volta la stampa sovietica ha rilevato -per smentirle -le voci che hanno recentemente circolato all'estero a proposito di un riavvicinamento, e perfino di supposti accordi, fra l'U.R.S.S. e la Germania.

I Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 409.

Commentando le dichiarazioni fatte da Schacht ai giornalisti di Bruxelles 1 , le Isvestia qualificano il viaggio del Governatore della Reichsbank alla capitale belga come parte della manovra nazista diretta a calmare i sospetti provocati ovunque dalla politica aggressiva di Berlino. A tale manovra non sarebbero estranee appunto le voci di trattative con Mosca, che il giornale sovietico insinua siano state messe in circolazione dagli stessi tedeschi.

Si tratta dunque di una indiretta smentita dell'organo ufficioso del Commissariato per gli Affari Esteri a quanto si sussurrava anche negli ambienti diplomatici di Mosca ed a cui questa ambasciata di Germania per parte sua continua a negare qualsiasi fondamento. Ho constatato tuttavia che l'ambasciata di Francia sembra attribuire una certa importanza a questi rumori che mi risulta aver segnalato a Parigi.

Sull'argomento non ho raccolto finora alcun elemento positivo ed io sono incline a credere che, esclusa senz'altro l'ipotesi di accordi fra i due governi, si tratti unicamente -almeno per ora -di tendenze conciliative che incomincerebbero a manifestarsi in taluni ambienti dei due Paesi, e più precisamente fra i dirigenti della Reichswehr e quelli dell'Armata Rossa.

Seguirò comunque con particolare attenzione questo speciale aspetto della politica sovietica e non mancherò di riferire quanto mi riesca di constatare in proposito2 .

479

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2465/613. Washington, 19 aprile 1937 (per. il 3 maggio).

Il locale corrispondente del Paris Soir, giornalista che gode qui di una certa autorità, parlando giorni or sono col locale rappresentante dell'Agenzia Stefani, ebbe a dirgli che in Francia sono particolarmente preoccupati per la possibilità di un avvicinamento fra la Germania e la Russia.

In Francia si considera che la Germania, di fronte al riarmo delle Potenze cosiddette democratiche, giudichi sempre più difficile una guerra. Ora, se la Germania non può risolvere la propria crisi economica interna con una guerra, deve andare in cerca di un'altra soluzione e precisamente di qualche largo mercato di sbocco. In Francia si ritiene che, mentre è difficile che la Germania possa trovare in altri Paesi la possibilità di collocare i suoi prodotti industriali, ciò le riuscirebbe relativamente facile in Russia dove le necessità sono tali che l'industria nazionale, per quanto progredita, non potrebbe soddisfarle.

l Vedi p. 581, nota 2. 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

Tale problema di nuovi sbocchi sarà per la Germania tanto più acuto il momento in cui dovrà trasformare la propria industria, che oggi è nella massima parte industria di guerra, in industria di pace. Questa preoccupazione francese è alimentata da un certo atteggiamento più remissivo della Germania nelle questioni internazionali di cui sarebbero un sintomo anche le recenti dichiarazioni fatte da Schacht a Bruxelles' che accetta il principio di una conferenza economica con la partecipazione della Russia.

480

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 814/348 R. Roma, 20 aprile 1937, ore 4,30.

Si rechi da Franco e gli dica che il Duce ha ascoltato con interesse il discorso da lui pronunciato ieri alla radio 2 . Il Duce è d'avviso che urge tonificare la vita politica della Spagna Nazionale e di costituire il partito unico di governo, risultante dalla fusione dei falangisti e dei requetés con un capo ammesso a far parte del Consiglio dei ministri rinnovato ed ampliato. Occorre procedere subito a detta fusione prima che la speculazione internazionale si impadronisca dei fatti di Salamanca 3 .

481

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, CANTALUPO

T. 818/351 R. Roma, 20 aprile 1937, ore 23.

Dica a Franco che il Duce si compiace con lui del decreto firmato ieri che scioglie i partiti e unifica falangisti e requetés nella Falange spagnola e tradizionalista.

1 Durante la sua visita del 13-14 aprile (vedi DD. 464 e 477).

2 Il 18 aprile, Franco aveva pronunciato un discorso in cui aveva invocato l'unità di tutti gli spagnoli nella lotta contro il comunismo ed aveva promesso delle vaste riforme politiche e sociali (testo in Relazioni Internazionali, pp. 303-304).

3 Si riferisce ai disordini avvenuti il 17 aprile a Salamanca tra falangisti di opposte fazioni dopo che il capo della Falange, Hedilla, era stato sostituito alla direzione del partito da un triunvirato di suoi oppositori. Franco era intervenuto facendo arrestare i membri del triunvirato. Su tutto ciò aveva riferito con TI. 2719/376 R., 2720/379 R. e 2730/380 R. del 17 aprile l'incaricato d'affari, Bossi, il quale aveva rilevato come l'intervento di Franco fosse stato influenzato dalla convinzione che Hedilla rappresentasse nella Falange la tendenza più favorevole ad un accordo con i Requetés come premessa per la creazione di un partito unico.

482

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI

LETTERA PERSONALE SEGRETA 3576. Roma, 20 aprile 1937.

Ti invio qui unita una lettera riservatissima scritta dal prof. Guido Manacorda dopo il suo recente colloquio con il Sommo Pontefice circa la nota questione dei cattolici tedeschi.

Tale lettera dovrà essere consegnata personalmente al Fiihrer o da te, se possibile, o dal principe d'Assia, a cui dovresti nel caso far cenno di questa iniziativa di Manacorda. L'eventuale risposta di Hitler potrebbe passare per gli stessi tramiti.

Ti prego di darmi un cenno di assicurazione e ti saluto affettuosamente 1•

ALLEGATO

IL PROFESSOR MANACORDA AL CANCELLIERE DEL REICH, HITLER

LETTERA PERSONALE. Firenze, 14 aprile 1937.

Il 9 corrente ho avuto l'onore di essere ricevuto dal Santo Padre 2 . Autorizzato da V.E. in forma così benevola, mi sono permesso di informarlo esattamente sul contenuto della udienza accordatami dall'E.V. il 10 marzo3 .

Dalle gravi parole del Santo Padre, visibilmente impregnate di dolorosa amarezza, mi sembra che, a prescindere da ogni particolare, le seguenti dichiarazioni meritino principalmente di essere sottolineate.

Il Santo Padre resta in attesa, dopo la sua Enciclica 4 , di una concreta proposta da parte di V.E. o del Governo del Reich. Egli è e sarà sempre pronto «non soltanto ad ascoltare ma anche a trattare». Per quanto riguarda il passato, egli è pienamente persuaso di avere adoperato tutti i mezzi per evitare, al momento opportuno, l'acuta crisi attuale. Anche in futuro egli non si discosterà certamente da questa direttiva. Da ultimo, egli sottolinea ancora espressamente che il cattolicismo è da considerare come la più grande forza che combatte e combatterà sempre il bolscevismo per immutabili ragioni di principio. Questo egli ha ancora una volta indiscutibilmente dimostrato dinanzi al mondo intero, nella sua ultima Enciclica 5 .

Due giorni dopo ebbi l'onore di essere ricevuto dal Segretario di Stato Cardinale Pacelli. Da lui ripetutamente invitato, mi sono permesso di sottoporre ad una severa critica il Concordato6 da lui stesso in gran parte elaborato e poi firmato. Naturalmente egli ha difeso la sua opera con moltissima abilità. Ciò non di meno si è dichiarato pronto a studiare

1 Magistrati rispondeva il 24 aprile assicurando di aver fatto pervenire la lettera nelle mani di Hitler. Un'eventuale risposta sarebbe stata consegnata a lui personalmente.

2 Vedi D. 440.

3 In proposito si veda il D. 388.

4 Vedi p. 402, nota l.

5 Vedi p. 475, nota l.

6 Vedi p. 232, nota l.

accuratamente una via di uscita dall'attuale situazione, che rispetti i principi intangibili della fede cristiana. A questo proposito, egli ha richiamato la mia attenzione sul fatto che la parola «pace» costituisce la radice del suo stesso cognome. È vero che, allorché io accennai un paio di volte al fatto che ogni trattativa sulla base dello stretto mantenimento del vecchio Concordato, sarebbe oziosa, egli ha sottolineato la mia affermazione soltanto con un silenzio meditativo, ma da tutto il corso del nostro colloquio, ho riportato l'impressione che egli probabilmente non nutre nel suo animo una differente opinione.

Nel portare tutto ciò a conoscenza dell'E.V., manifesto l'avviso che proprio ora sia giunto il momento indispensabile per porre mano con ogni prudenza, ma anche senza ritardo, al programma che ebbi l'onore di esporre a V.E. a Berlino, programma che il Duce considera assai favorevolmente e che il Cardinale Pacelli stesso, se ho esattamente interpretate le sue prudenti dichiarazioni, non ritiene cattivo.

Si tratterebbe dunque, anzitutto, di un sondaggio delle due parti, strettamente segreto e al di fuori della via diplomatica, che almeno portasse ad una forma di reciproca sospensione di polemiche, prediche, attacchi nella stampa e dai pulpiti, processi, ecc.

Appena si fosse ristabilita una relativa tranquillità in tutti e due i campi, dovrebbero seguire delle vere trattative, parimenti in forma assolutamente segreta, che dovrebbero sfociare in un nuovo Concordato spiritualmente giusto, praticamente applicabile, vantaggioso alle due parti e da osservare strettamente.

Se l'E.V. volesse avere la bontà di farmi giungere un primo cenno di assentimento di massima, come cattolico e amico dei tedeschi, sarei orgoglioso di offrire il mio modesto contributo a tutte e due la alte parti.

Se V.E. non avesse nulla in contrario, potrebbe far giungere in mie mani la Sua pregiata risposta per mezzo dello stesso alto intermediario che ha avuto l'amabilità di presentarle questa mia lettera 1 .

483

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1014/352. Roma, 20 aprile 1937 (per. stesso giorno).

Il cardinale segretario di Stato mi ha dato lettura di alcuni brani della Nota tedesca di protesta contro la recente Lettera Apostolica ai Vescovi del Reich 2 .

La Nota, firmata dal mio collega di Germania, è dura nella forma e nella sostanza, ma non rompe i ponti. Il governo del Reich accusa la Santa Sede di essere andata contro alle norme concordatarie, indirizzandosi direttamente al popolo tedesco su questioni per le quali erano in corso discussioni per la normale via diplomatica. La Nota afferma che il nazismo non può in nessun caso decampare dai principi sui quali fonda la sua dottrina, per cui la Santa Sede può tirarne le conseguenze. La responsabilità di ciò che potrà accadere sarà tutta sua.

Il cardinale mi ha detto che risponderà alla Nota. La risposta della Santa Sede sarà calma, ma risoluta. Il segretario di Stato crede che la vertenza sia in una

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi p. 585, nota 3.

fase seria, ma non è disposto a transigere su questioni di principio. Questo, egli mi ha detto è anche il pensiero del Papa.

Il cardinale Pacelli mi dice, poi, di avere saputo in via confidenziale, ma non ufficiale, che il Reich si propone di condurre a termine risolutamente la prima parte del suo programma con la totale soppressione delle Scuole confessionali. In seguito procederà all'abolizione degli assegni corrisposti dallo Stato al Clero cattolico per arrivare, in ultimo, alla creazione di una Chiesa nazionale.

Il segretario di Stato ha accennato alla visita fattagli nel 1933 dal signor Goering, dimostrandosene compiaciuto. Nell'ultima sua visita a Roma, nell'autunno scorso, pare -sempre secondo il Porporato che il ministro Goering avesse manifestata l'intenzione di fare una nuova visita in Vaticano, spintovi forse -così ha chiosato il cardinale-dal governo italiano. Sta di fatto, però, che la visita non ha avuto luogo -è sempre il segretario di Stato che parla -molto probabilmente ad istigazione dell'ambasciatore di Germania presso la Santa Sede. Il cardinale mi ha pregato di considerare la surriferita notizia strettamente confidenziale.

Se il ministro Goering, nel suo prossimo viaggio a Roma, si decidesse a fare visita al cardinale segretario di Stato, credo che l'incontro potrebbe avere una felice ripercussione sulle relazioni fra la Santa Sede e il Reich, le quali minacciano di volgere decisamente al peggio. È fuor di dubbio che il cardinale segretario di Stato lo vedrebbe molto volentieri.

484

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 992/473. Salamanca, 20 aprile 1937 (per. il 27).

Facendo seguito a precedenti comunicazioni all'oggetto a margine indicato, ho l'onore di trasmettere qui unito all'E.V. copia di un rapporto inviatomi del R. Console in San Sebastiano concernente la questione basca.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA V ALLETTI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. POSTA 734. San Sebastiano, 19 aprile 1937.

Il Padre Pereda S.J. mi ha detto che negli ultimi giorni sarebbero stati fucilati a Vitoria 14 nazionalisti baschi alcuni dei quali, e specialmente uno, in condizioni particolarmente crudeli ed ingiuste. Queste notizie sarebbero giunte ingigantite a Bilbao impressionando sempre più il governo basco. Sono errori, ha detto Pereda, che Franco non dovrebbe commettere, essi compromettono ogni eventualità di accordo e aumentano la diffidenza che nutrono i baschi per il governo nazionale. Questo, mi ha ripetuto Pereda, è il punto cruciale

4)

della situazione; i baschi non credono che Franco concederà loro salva la vita. Queste considerazioni mi sono state nuovamente confermate anche da un altro elemento.

Ho fatto avvicinare a Biarritz Andrea Irujo, fratello del ministro della repubblica e in costanti rapporti con Bilbao, da persona spagnola di mia piena fiducia, e gli ho fatto dire -senza naturalmente la minima allusione alla comunicazione della E.V. 1 -esiste la certezza che Franco è ancora disposto a concedere salva la vita alla popolazione e ai capi baschi se si arrendono.

Irujo ha risposto senza esitazioni di non crederlo; conosciamo, egli ha detto, la parola di Franco. Irujo ha invece mostrato di interessarsi vivamente alla eventuale astratta possibilità di una garanzia straniera. Con una garanzia di un governo estero, ha detto Irujo, la questione cambia aspetto.

Questi ed altri già riferiti elementi mi confermano nell'avviso che i baschi non accordano la menoma fiducia alle promesse di Franco, che del resto non sono state mai presentate nemmeno in maniera ufficiosa. Essi, come già comunicavo con il mio 334 dell'8 marzo scorso2 , sono in anticipo atterriti della repressione dei nazionalisti, di cui conoscono l'odio profondo, in caso di resa.

Ammoniti da tanti precedenti esempi sfavorevoli, esempi che non hanno cessato di prodursi, i baschi seguiteranno a vender cara la loro pelle. Reputando di essere al bivio fra la morte in trincea e la morte al muro, preferiscono la prima alternativa.

L'unico fatto che potrebbe convincerli ad arrendersi sarebbe un elemento che li garantisse che le misure di clemenza promesse da Franco verrebbero effettivamente e lealmente eseguite. Nessuno potrebbe farlo meglio dell'Italia che con le sue truppe sul fronte basco darebbe un elemento materiale alla mallevadoria.

Dato che però allo stato attuale delle cose non è possibile al Regio governo di intervenire, il padre Pereda, cui ho comunicato il contenuto del suo 875 3 , non nasconde la sua sfiducia nelle trattative. Egli tuttavia si recherà a S. Juan de Luz appena vi sarà Jauregui (il che sarà fra qualche giorno) e gli comunicherà che Franco ha nuovamente ribadito le assicurazioni di clemenza verso la popolazione e verso i capi.

Pereda mi avrebbe richiesto se, qualora il governo basco richiedesse espressamente la garanzia italiana, il Regio governo sarebbe disposto ad interessarsi 4 .

485

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 907/370. Tirana, 20 aprile 1937 (per. il 23).

Ho chiesto oggi al Re se vi fossero particolari argomenti sui quali egli desiderasse che io intrattenessi V.E. prima del suo viaggio a Tirana. Il Re mi ha risposto che egli non riteneva che le conversazioni dovessero avere qualche soggetto prestabilito, che egli desiderava avere con V.E. uno scambio di idee generali dal quale

1 Di questa comunicazione non è stata trovata traccia. Si tratta, probabilmente delle istruzioni inviate l'Il aprile da Ciano all'ambasciata a Salamanca (vedi p. 536, nota l) e che questa aveva trasmesso al console Cavalletti.

2 Vedi D. 261, allegato.

3 Non rintracciato.

4 Il documento ha il visto di Mussolini.

usc1sse rafforzata la fiducia di V.E. nel desiderio dell'Albania di incamminarsi decisamente sulle vie del progresso sotto la guida. dell'Italia. Egli si augurava che

V.E. dopo quanto avrà udito e visto in Albania, vorrà dedicare una parte della sua attenzione a maggiormente favorire l'assistenza a questo Paese il quale più che di contributi finanziari abbisogna dell'opera, che egli definisce missionaria, di alcuni esperti. Questi, egli ha aggiunto, sotto la guida della Legazione dovrebbero preparare il trapasso dalla vecchia concezione dello Stato che la maggior parte dei suoi funzionari aveva appresa in Turchia, a forme nuove che, nei limiti del possibile, prendessero a modello la spiritualità fascista.

Egli sapeva che in tutti i campi vi era in Albania tutto da fare: l'ossatura dello Stato e della Nazione erano creati, ma occorreva ora dare un contenuto economico e spirituale alla compagine Nazionale.

Egli riconosceva di avere scarse cognizioni in materia economica e sapeva che queste nessun albanese le possedeva: chiederebbe quindi a V.E. se non fosse possibile trovare in Italia una persona di alta competenza economica generale che consentisse a venire per qualche tempo in Albania allo scopo di studiare un serio piano di attività per il Ministero dell'Economia Nazionale.

Miglior giudice egli era della vita spirituale della Nazione e per questo egli era profondamente grato a V.E. per aver voluto consentire alla venuta quì di un tecnico per la politica assistenziale che potesse ad un tempo aiutarlo a raggiungere tre risultati: l) debellare eventuali tentativi del Comintern che, secondo le sue informazioni si proponeva di dedicare d'ora innanzi particolare cura all'Albania; 2) modificare lo spirito fazioso e individualistico albanese; 3) illuminare e rendere meno gretto lo spirito nazionalista albanese che per malintesa suscettibilità ed orgoglio aveva fatto più male che bene al Paese.

Nell'intento appunto di raggiungere una maggiore saldezza spirituale della Nazione, egli aveva fin quì dedicato le sue maggiori cure e riposte le sue maggiori speranze nell'esercito. Se oggi, a seguito dell'accordo itala-jugoslavo si desiderava che egli riducesse ancora l'esiguo numero di quattro battaglioni di cui si componeva l'esercito albanese, egli era pronto a farlo: ciò che egli riteneva essenziale era il mantenimento e il perfezionamento di un certo numero di ufficiali, che a suo avviso dovevano costituire non solo i quadri dell'esercito, ma della Nazione.

Come egli mi aveva già detto nell'ultimo colloquio, egli si proponeva di richiedere verso quali campi V.E. gradisse di vedere avviata l'attività albanese, quali vie essa potesse seguire senza dispiacere a V.E. e quali iniziative essa dovesse astenersi dal prendere.

Volendo riassumere l'impressione che ho tratto dal colloquio odierno dovrei dire che il Re confida sopratutto di ricevere da V.E. la parola di definitiva assicurazione che il Governo Fascista, a seguito dell'accordo itala-jugoslavo non abbandonerà l'opera di assistenza all'Albania della quale dopo le dure e salutari prove degli scorsi anni, è oggi più vivamente sentita la necessità.

Da tutto il corso della conversazione è inoltre apparso che in questo momento la maggiore preoccupazione del Re è quella che il soggiorno qui riesca a V.E. il più gradito possibile 1•

l Il documento ha il visto di Mussolini.

486

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE RISERVATA. Parigi, 20 aprile 1937 1•

Ho avuto oggi occasione di intrattenermi con il Presidente Lavai al quale ho naturalmente chiesto come giudichi la situazione politica del suo Paese.

Mi ha risposto che gli avvenimenti di Clichy 2 sono stati un salutare avvertimento. Se una simile sparatoria fosse avvenuta in Auvergne o in Normandia, cioè lontano da Parigi, essa non avrebbe prodotto che un'impressione assai scarsa sui parigini, ma avvenuta [vicino] alla capitale diede da riflettere a molti. La polizia si comportò bene e fece uso delle armi, com'era logico, essendo stata attaccata dai comunisti. Si sfatò così la leggenda che la polizia fosse in combutta con gli estremisti e saltò agli occhi di tutti che la polizia serve per mantenere l'ordine e che se qualcuno cerca di turbarlo aggredendo i tutori dell'ordine stesso, questi sparano perché tale è il loro dovere.

Quanto alla situazione del Governo di Fronte Popolare, il Presidente Lavai non crede che esso possa essere scalzato dalla secessione dei radicali oppure dall'abbandono dei comunisti e di parte dei socialisti. Sono cose che si dicono ma che non si fanno, perché tutti sono contenti di essere al potere. Egli è invece sicuro che Blum cadrà per forza di cose in autunno di fronte alla situazione finanziaria che porrà il franco nel più grave pericolo. Quando i francesi si renderanno conto che il franco pencola e che da un giorno all'altro potrà subire una nuova e grave svalutazione, insorgeranno ben inteso solo pacificamente e Blum se ne andrà da solo. Quanto alla sua successione l'uomo politico maggiormente quotato è sempre Daladier. Lavai, conoscendo il carattere dell'uomo, non ripone in lui grande fiducia; ritiene peraltro che la sua scelta avrebbe il vantaggio di dare al Paese la certezza che l'Esercito riceverebbe, in determinate circostanze, l'ordine di salvaguardare la sicurezza all'interno.

Le varie leggi votate dal Parlamento durante il governo di Fronte Popolare resteranno naturalmente in vigore. Siccome esse sono peraltro state fatte in fretta e contrastano con la logica, esse potranno essere pian piano rivedute e rese più conformi all'interesse degli stessi lavoratori.

Gli risultava da notizie pervenutegli da Londra che gli inglesi, lenti come sempre a rendersi conto delle situazioni, erano, peraltro, dopo molti mesi di entusiasmo per Blum, diventati piuttosto scettici, anzi critici, nei suoi riguardi. Guardano ora con favore verso Daladier e dichiarano che un eventuale ritorno di Lavai al potere sarebbe visto molto male in Inghilterra.

«Questa», aggiunse testualmente Lavai, «è la logica della politica». Quando nel settembre 1931 l'Inghilterra si trovò in una situazione finanziaria disastrosa, l'incaricato d'affari britannico, Campbell (attualmente Ministro a Belgrado) lo

1 Manca l'indicazione della data d'arrivo. 2 Vedi D. 304.

chiamò al telefono alla una e mezza di notte dicendogli di avere urgenza di parlargli. Egli si alzò e scese nel suo Gabinetto al Ministero dell'Interno, dove si trovava in quel mòmento la Presidenza del Consiglio. Campbell, giunto pallido e tremante, gli comunicò che secondo notizie giuntegli da Londra la Banca d'Inghilterra non sarebbe stata in grado di far fronte ai suoi impegni nella mattinata dello stesso giorno se la Francia non l'avesse aiutata. Egli chiedeva quindi al Presidente del Consiglio di Francia aiuto e consiglio. Lavai gli rispose che avrebbe dovuto convocare il Consiglio dei Ministri, cosa che non poteva evidentemente fare alle due del mattino. Prendeva in ogni caso sopra di sé la responsabilità e lo autorizzava a comunicare al Governo britannico che la Banca di Francia avrebbe assistito con tutti suoi mezzi la Banca d'Inghilterra. Come consiglio dava quello di rivolgersi pure a Washington: se peraltro gli Stati Uniti non avessero creduto di assistere dal loro lato la Banca d'Inghilterra la sua decisione sarebbe rimasta inalterata. Campbell, colle lagrime agli occhi, gli disse che l'Inghilterra non avrebbe mai scordato questo suo gesto così generoso e spontaneo. «Per avere invece voluto evitare» continuò letteralmente Lavai «che l'Inghilterra e l'Italia venissero alle mani durante il conflitto etiopico mi sono attirato le ire di Londra, che pronuncia minacce per il caso di un mio ritorno al potere e nessuna riconoscenza nemmeno dall'Italia».

Ho creduto citare l'episodio suddetto perché esso è interessantissimo.

Lavai si è poi informato degli attuali rapporti italo-francesi. L'ho messo al corrente di quanto si era passato negli ultimi mesi ed ho accennato alle difficoltà, certo non insormontabili, sorte durante le trattative per l'A. O .I. Egli osservò che se il Quai d'Orsay avesse applicato alla lettera gli accordi di Roma, giusta i quali la tutela degli interessi puramente economici francesi si doveva limitare alla zona della ferrovia, non avrebbero dovuto esservi difficoltà. Parlando del Conte de Saint Quentin disse che egli ha vedute alquanto ristrette, conformi del resto alle tradizioni del Quai d'Orsay, ma che era un gentiluomo ed un onest'uomo, fra i migliori funzionari del Ministero degli Affari Esteri.

Nei riguardi di Léger, disse che questi è a suo giudizio tutt'altro che sicuro di conservare il suo posto sotto un altro Ministero, perché è molto attaccato dagli elementi nazionalisti che lo accusano di nutrire idee troppo «Fronte Popolare». Siccome è però molto furbo e conosce indubbiamente assai bene l'ingranaggio del Quai d'Orsay, non sarà cosa facile sbarcarlo e sostituirlo.

Lavai mi ha poi detto di avere visto il suo collega ed amico ex-Ministro Louis Marin, capo dei gruppi di destra alla Camera francese. Era stato recentemente a Roma ed era molto accorato perché non gli era stata accordata l'udienza chiesta al Duce. Egli aveva detto a Marin che se lo avesse informato della sua intenzione di recarsi a Roma e di poter vedere il Duce, egli si sarebbe rivolto personalmente a me pregandomi di intervenire in suo nome presso te per ottenere che S.E. il Capo del Governo ricevesse quel vecchio e sincero amico dell'Italia, che nel Parlamento francese conta assai.

Lavai aggiunse che soffriva nel leggere le polemiche che si stavano svolgendo nella stampa italiana e francese. Era al corrente della campagna violenta di stampa condotta in Inghilterra contro il Fascismo, e sua figlia, ritornata in questi giorni da un viaggio agli Stati Uniti, gli aveva detto che era rimasta esterrefatta dall'ondata di anti-fascismo americano.

Seguiva col maggiore interesse gli avvenimenti di Spagna augurandosi, per il bene del proprio Paese, che Franco vincesse o che per lo meno si giungesse ad un onorevole componimento fra i due partiti avversi, impedendo il trionfo dei comunisti. Notizie fornitegli recentemente da persona che era stata vario tempo con Franco gli lasciavano sperare nella vittoria di quest'ultimo.

487

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI

T. PER CORRIERE 822 R 1 . Roma, 21 aprile 1937.

Faccio il punto per quanto concerne la Romania. Subito dopo l'accordo di Belgrado, i rumeni presero contatto con noi per conoscere se saremmo stati disposti a concludere un patto analogo o sulle linee di quello stretto con la Jugoslavia. Anche Stojadinovic, che aveva verbalmente raccomandato un riavvicinamento tra noi e Bucarest, ha in questi giorni parlato a Indelli della possibilità di fare qualche cosa2 e, per cominciare, ha suggerito un patto culturale. L'ho ringraziato dell'offerta di collaborazione ma gli ho detto che un tale inizio non sarebbe il più indovinato, anzi comprometterebbe le più ampie possibilità future.

In realtà, io penso che dopo Belgrado bisogna, a tutti i fini della nostra politica attuale e futura, agganciare Bucarest. Ma, mentre per gli jugoslavi consideravo sufficiente informare Budapest, penso che invece, per fare un accordo con i rumeni, bisogna avere il preventivo gradimento magiaro. È in questo senso che V.S. dovrà costì lavorare: far comprendere, sia pure in linea preliminare, a Kanya che una intesa italo-romena, oltre a rafforzare la nostra posizione sarà anche di grande vantaggio per l'Ungheria, in quanto, dando con essa il colpo di grazia alla Piccola Intesa, si verrà a spezzare il sistema di accerchiamento anti-magiaro, e si permetterà a Budapest di concentrare le sue batterie sul più facile e più redditizio obiettivo cecoslovacco.

Kanya, parlando con me, disse che considerava possibile il raggiungimento di un modus vivendi con i romeni. Il momento, a mio avviso, sarebbe buono. E penso -anzi mi risulta -che i romeni, ansiosi di allinearsi sull'asse Roma-Belgrado, sarebbero disposti a fare più ampie concessioni ai magiari sul terreno delle minoranze. Noi stessi, in un certo senso, potremmo funzionare da mediatori ufficiosi.

Riassumendo:

l) dopo Belgrado, la tappa della nostra avanzata nei Balcani è Bucarest; 2) non faremo però niente prima che gli ungheresi abbiano dato il nulla osta ad un accordo; 3) bisogna facilitare il riavvicinamento magiaro-rumeno, al fine di ottenere questo nulla osta.

l Minuta autografa. 2 Vedi D. 475.

Quanto precede lo ho, più o meno, detto a Villani 1 . Ma sarà bene che V.S., nelle sue conversazioni cominci a tastare il polso a Kanya e, nel modo che giudicherà più adatto lo cominci ad orientare verso queste nostre direttrici di marcia. E, naturalmente, mi riferisca particolareggiatamente 2 .

488

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2822/093 R. Parigi, 21 aprile 1937 (per. il 22).

Telegramma di V.E. n. 208 3 .

Ho esposto oggi ragguagliatamente a Léger situazione che si è andata creando da vari mesi in Corsica ai nostri danni, insistendo particolarmente sull'incidente occorso notte del 6 corrente a Solenzara nella R. Agenzia Consolare. Ho attirato sua attenzione sopra atteggiamento del prefetto della Corsica che sembra voler fare dello zelo onde ingraziarsi l'attuale governo, col risultato di non contribuire certo alla pacificazione degli animi ed anzi di comprometterla sempre più. L'ho pregato di far impartire al prefetto Petitjean istruzioni di moderazione e di farlo con la maggiore urgenza in modo che abbiano a cessare le dimostrazioni ostili, i getti di pietre contro le finestre degli uffici consolari e la loro invasione da parte di elementi estremisti, dato che si tratta di fatti deplorevoli e che non possono certo essere tollerati.

Léger mi ha detto che sinora non gli risultava che il ministero dell'Interno avesse fatto pervenire notizie al riguardo al Quai d'Orsay. Poiché egli aveva preso due settimane di vacanza ed era appena rientrato a Parigi si riservava peraltro di verificare se qualcosa fosse giunto in sua assenza. Riconosceva meco che il getto di pietre, l'invasione dei locali di una agenzia consolare italiana e la manifestazione pubblica di Solenzara erano fatti che non avrebbero dovuto accadere. Pertanto avrebbe fatto il necessario in conformità della mia richiesta. Poiché gli parlavo della Corsica doveva peraltro al tempo stesso, ed a malincuore, dirmi che il Quai d'Orsay riceve a periodi fissi dal ministero dell'Interno incartamenti molto voluminosi e circostanziati circa le attività italiane in quell'isola, incartamenti che gli uffici ed egli stesso personalmente esaminano sempre con la maggiore attenzione. Aveva in tal modo avuto ripetute occasioni di constatare che le attività medesime, che si svolgevano sotto la forma culturale, linguistica etnografica, a mezzo di propaganda italianità ed in molte altre maniere, non sembravano corrispondere ai sentimenti di amicizia che avrebbero dovuto ispirare le relazioni fra i nostri due Paesi. Ciò

I Di tale colloquio non è stata trovata documentazione.

2 Si vedano, per il seguito, i DD. 523 e 534.

3 T. 819/208 R. del 24 aprile. Dava istruzioni all'ambasciatore Cerruti «di richiamare la seria attenzione del Quai d'Orsay» su lo stato di grave tensione che si era determinato in Corsica, culminato, il 6 aprile precedente, con l'invasione dell'agenzia consolare italiana a Solenzara.

611 nonostante egli aveva sempre impartito l'istruzione di mettere agli atti gli incartamenti medesimi. Casi analoghi si presentavano pure in Alsazia e Lorena. Dato che i rapporti con la Germania sono differenti da quelli con l'Italia, il governo francese aveva sovente creduto di fare rimostranze al governo del Reich, mentre mai ne aveva fatte al governo italiano. Poiché gli parlavo ora di un complesso di incidenti occorsi in Corsica era suo dovere dirmi che non era stupito che i nostri atteggiamenti avessero suscitato dell'irritazione in una parte della popolazione locale. Gli pareva quindi che il prefetto Petitjean non dovesse essere lontano dal vero quando attribuiva al malcontento popolare le manifestazioni antifasciste di cui si tratta. Léger doveva pertanto riservarsi di esaminare il grosso problema nel suo insieme per giudicare se fosse il caso, ora che era stato indotto dal mio passo a parlarmene, di intrattenermi ulteriormente al riguardo citandomi in tal caso fatti specifici.

Aggiungo che mi risultava da altra fonte, privata, che lo aveva appreso in circoli governativi, che l'irritazione ed il risentimento per il linguaggio relativo alla Corsica de Il Telegrafo erano assai grandi.

489

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 2912/39 R. Mosca, 21 aprile 1937 (per. il 26).

Telegramma di V.E. n. 770 1•.

Circa le voci di pretesi accordi tedesco-sovietici non posso che richiamarmi a quanto ho riferito con i miei telespressi n. 1309/607 del 5 corrente e n. 1492/681 del 18 corr. 2 .

Giudico anch'io assolutamente infondata la notizia di un accordo già concluso fra i due governi, tanto più se di carattere militare. Non vedo neppure possibilità di accordi nel campo commerciale e finanziario prima che siano stabilite su basi completamente nuove le relazioni politiche fra Berlino e Mosca. Non escludo invece, per quel che riguarda l'U.R.S.S. l'esistenza di correnti favorevoli ad un riavvicinamento e ritengo che tali correnti si rivelino specialmente negli alti ranghi della Armata Rossa, i cui maggiori esponenti (Marescialli Voroscilov, Jegorov, Tukacevski) sono stati educati alla scuola tedesca ed hanno probabilmente conservato rapporti personali con i dirigenti della Reichswehr. Tali correnti potranno esercitare azione tanto più sensibile sulla politica estera dell'U.R.S.S. quanto più marcata diventerà influenza che Esercito già oggi sembra prendere nella vita interna del Paese. Nella sua lotta contro oppositori in seno al Partito, Stalin si appoggia infatti specialmente sull'Armata Rossa, i capi della quale potrebbero un giorno, come si è già verificato in Germania, dettare le proprie condizioni.

t Vedi D. 438. 2 Vedi DD. 409 e 478.

490

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2927/014 R. lstambul, 21 aprile 1937 (per. il 27).

Nella conversazione odierna, Aras si è mostrato irritato più del solito per i costanti volgari attacchi cui è fatto segno negli ultimi tempi dalla stampa francese cui ora si unisce la sovietica. Per la francese egli dichiara non comprendere a che miri la Francia. Forse a minare la sua posizione presso il governo turco. Ma essa è in errore. Comprende ancora meno gli attacchi (Pertinax) per il suo incoraggiamento costante alla Jugoslavia perché si intenda con l'Italia. Egli non vede come quello che è utile per la Turchia non sia utile anche agli amici della Turchia.

Non ho lasciato sfuggire l'occasione per insinuargli che mi constava che ambasciatore di Francia, tornato da poco con nuove istruzioni, avrebbe, in occasione della soluzione questione Sangiaccato che egli sperava ora raggiungere, chiesto contropartite in altri campi ed a favore degli interessi francesi in Turchia. Questa mia affermazione lo ha addirittura esasperato. Mi ha allora detto che al suo arrivo ad Ankara convocherebbe giornalisti turchi e darebbe loro direttive opportune.

È quindi probabilmente da attendersi che trattative delle quali è incaricato ambasciatore di Francia debbano svolgersi fra nuove difficoltà e che stampa turca riprenda violenta campagna anti-francese. Mi preme per altro fare presente all'E.V. che se di questa irritazione possiamo valerci e profittarne, non vi sarebbe da sorprendersi di vederla cessare d'un tratto e far luogo alla più accesa francofilia per poco che il governo francese mostri di cedere nella questione del Sangiaccato. Perciò, fino ad eventuale nuova più complessa situazione, non si può dare a tutte le minacce di Aras altro valore che di pressione tattica.

Con U.R.S.S., egli mi ha detto, posizione è diversa. Anzitutto egli crede che dietro attacchi dell' lsvestia sia sopra tutto la Francia che accusa Turchia volersi orientare su asse Roma-Berlino.

Politica turca, afferma Aras, (e ciò è invero costante sua dichiarazione) non intende orientarsi su Roma-Berlino, ma su Roma-Londra. Orientamento Roma-Berlino significherebbe incoraggiare Germania contro Francia ed egli non può prevederne conseguenze, mentre sa con sicurezza che, né Londra, né Roma desiderano un conflitto. E la Turchia vuole essere con chi ha la férma volontà di evitare una conflagrazione generale. D'altro canto, egli non vuole mettersi in urto con la Germania, né entrerà mai in conflitto con essa per seguire ciecamente la politica dell'U.R.S.S. Qualunque sia la sua azione, sia per riavvicinamento italo-jugoslavo che per la situazione generale che egli appoggia nei Balcani, essa non ha che una finalità ed è quella di evitare che questa parte dell'Europa sia ragione di guerra o sia coinvolta in una guerra. Se, ha affermato con forza, all'Internazionale piace scatenare una guerra, non ci lasceremo trascinare per i suoi begli occhi a questa estremità. Però la riconoscenza turca all'U.R.S.S. e la conseguente fedeltà politica agli impegni con Mosca non può e non deve mai essere messa in dubbio. Se la Turchia può essere indifferente agli attacchi francesi non lo può di fronte ai sovietici. Ciò egli farà dire francamente a Litvinov prima ancora di recarsi a Mosca e ripeterà con ogni convinzione e persuasione anche a Stalin e Voroscilov allorché effettuerà la sua visita ai Soviet per chiarire la pesantezza della atmosfera turco-sovietica.

* * *

Ho poi appreso da ottima fonte che Aras ha avuto nei giorni scorsi occasione, a proposito della Spagna, di pronunciarsi nel modo seguente: «siamo ostili nettamente allo stabilirsi del bolscevismo in Spagna. Nel Mediterraneo non vi deve essere una repubblica sovietica. Del resto non permettiamo in Turchia nessuna propaganda. Però sarei molto preoccupato se in !spagna, debellate le forze rivoluzionarie, si instaurasse un regime nettamente dominato dalla influenza tedesca e più dalla italiana».

* * *

Le dichiarazioni di Aras sono di estrema importanza per lumeggiare il momento presente della politica turca e mi riservo commentarle di viva voce a V.E. in occasione del mio imminente arrivo costà.

491

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. URGENTE 1877/588. Berlino, 2 l aprile 1937 (per. il 23).

Ho chiesto oggi al nuovo incaricato d'affari di Gran Bretagna, signor Ogilvie-Forbes, (col quale per circostanze varie sono venuto a trovarmi in ottimi rapporti) cosa vi fosse di vero ~ e sopratutto di serio ~ nelle voci corse e nelle notizie pubblicate a proposito del colloquio Lansbury-Hitler 1 .

Premesso che il Lansbury ~pacifista convinto ma ormai completamente fuori della politica e quindi non più esponente di alcun partito e tanto meno investito di alcun mandato ~è tuttavia in Inghilterra generalmente stimato e rispettato, l'incaricato di affari inglese mi ha detto che il Lansbury, sinceramente preoccupato della corsa agli armamenti ormai in progresso e delle sue inevitabili conseguenze, ha creduto come un suo dovere di coscienza d'intraprendere questo viaggio per rendersi conto de visu se una chiarificazione generale europea fosse effettivamente da escludere e, al caso non lo fosse, non si potesse, attraverso e dopo una soluzione

1 L'anziano esponente laburista George Lansbury si era recato in Germania per incontrare Hitler con il quale aveva avuto un colloquio il 19 aprile. Dopo l'incontro, Lansbury aveva consegnato ai giornalisti un comunicato, redatto d'accordo con Hitler, in cui si diceva che la Germania avrebbe «accettato con piacere di partecipare ad una conferenza e ad uno sforzo comune per instaurare una cooperazione economica ed una mutua intesa fra le nazioni del mondo, qualora il Presidente Roosevelt

o il capo di un'altra grande Potenza avesse preso l'iniziativa di convocare tale conferenza». La stampa internazionale aveva dedicato larghissimo spazio all'avvenimento. ·

-rapida e business like -delle maggiori questioni che attualmente dividono l'Europa, arrivare a quella limitazione degli armamenti senza della quale una guerra si renderà, fatalmente, inevitabile.

Il Lansbury ha quindi avuto con Hitler un lungo, intimo colloquio e -quasi contrariamente alla sua aspettazione -sembra avere trovato in lui piena comprensione ed incoraggiamento. Dopo avere per primo riconosciuto che nessuna limitazione degli armamenti è possibile senza aver prima eliminato le cause che li originano, il vecchio laburista ha prospettato a Hitler l'idea di una round table conference cui partecipassero soltanto le vere, grandi nazioni europee e che, eventualmente presieduta dall'America, affrontasse e risolvesse tutte le «differenze» che attualmente separano le nazioni e ne impediscono la cooperazione, compresa, fra queste differenze, la stessa questione coloniale. Questa round table conference non dovrebbe essere condotta con sistemi per così dire societari, cioè a base di grandi delegazioni, bensì col sistema tipicamente inglese dei «plenipotenziari», di cui fu fatto largo uso durante la guerra. Le nazioni europee da chiamare «attorno al tavolo» non dovrebbero essere più di cinque o sei. Se una tale conferenza potesse, con largo, realistico senso di reciproca comprensione, riuscire a far giustizia degli ostacoli che ora si oppongono ad una intesa europea, essa potrebbe naturalmente -in linea conseguenziale -condurre anche ad un accordo per la limitazione degli armamenti.

L'incaricato di affari inglese mi ha assicurato che il Cancelliere avrebbe risposto a queste avances -pur con qualche naturale riserva -in senso nettamente affermativo.

V.E. avrà rilevato in proposito i comunicati pubblicati dalle due parti: quello Lansbury assai più preciso di quello tedesco, questo ultimo peraltro non contraddicente il primo. V.E. avrà anche notato come i commenti della stampa nazionalsocialista abbiano cercato, in un primo momento, di attenuare l'impressione generalmente suscitata dal comunicato Lansbury. Ma, come già il comunicato tedesco, anche i commenti sono tali da autorizzare la conclusione che il Fiihrer -pure sotto condizione -una qualche dichiarazione in senso positivo l'abbia effettivamente fatta. Certo, non è detto che l'idea del Lansbury debba avere necessariamente seguito. Il Lansbury non ha in Inghilterra alcun vero e proprio seguito politico. La sua iniziativa -favorita da Ribbentrop -sarà, come tale, e in parte lo è già stata, svalutata dallo stesso Auswartiges Amt. Le dichiarazioni del Fiihrer non contengono in fondo niente di sorprendente in quanto riducibili ad una verità lapalissiana: «se sarà possibile qualcosa di pratico, sono pronto». Anche le ultime dichiarazioni di Roosevelt 1 non sono, dal punto di vista americano, troppo incoraggianti. Delle due iniziative, quella Lansbury e quella van Zeeland 2 , quella che presenta maggiori probabilità di successo è indubbiamente la seconda. Comunque, mentre l'una aiuta, in fondo, l'altra, è indubbio che il colloquio Hitler-Lansbury abbia prodotto buona impressione in Inghilterra.

l Il 2 aprile, il presidente Roosevelt aveva smentito in una conferenza stampa la notizia, pubblicata dal New York Times, che il governo degli Stati Uniti intendesse proporre alle grandi Potenze la riunione di una conferenza generale per il disarmo.

2 Vedi p. 581, nota 3.

A parte, peraltro, tutto questo, è anche da riconoscere che il colloquio, venendo subito dopo il viaggio Schacht a Bruxelles 1 , incoraggia a concludere che, come mi son permesso di far più volte presente a V.E. in queste ultime settimane -la Germania va, per ragioni che non è il caso di esaminare, entrando lentamente ma progressivamente in una fase politica «collaborazionista» 2•

L'incaricato di affari di Gran Bretagna mi ha anche detto che Lansbury si è mostrato molto preoccupato della questione spagnola, della quale si è appunto lungamente intrattenuto con lui (Ogilvie Forbes) che, prima di essere inviato a Berlino, è stato incaricato di affari inglese a Madrid.

Richiesto da Lansbury se e quale personalità europea potrebbe metterlo sulla buona strada per una soluzione della questione spagnola, il Forbes ha creduto di indicare il nome di monsignore Todeschini.

A mia domanda peraltro se il Lansbury, per questa od altra ragione, intendesse recarsi in Italia, l'incaricato d'affari di Gran Bretagna ha risposto ritenere di no 3 .

492

L'AMBASCIATORE A W ASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2571/648. Washington, 21 aprile 1937 (per. il 3 maggio).

Sono venuto segnalando con precedenti rapporti le impressioni raccolte qui sul posto circa un'attenuazione da parte della Germania del suo atteggiamento d'intransigenza in questioni politiche ed economiche4 . A queste impressioni hanno contribuito vari elementi:

il fatto che la Germania, secondo quanto viene prospettato qui, si è tenuta molto indietro nel conflitto spagnolo;

1 Alla vigilia della partenza di Schacht per la sua visita a Bruxelles (su di essa si vedano i DD. 464 e 477), l'ambasciatore Attolico aveva fatto presente che probabilmente Schacht avrebbe cercato di servirsi della missione van Zeeland come «un tramite per approcci coll'Inghilterra e con la Francia», perché, nonostante gli sforzi verso l'autarchia, risultava che la Germania era «pronta ad una larga collaborazione europea sul terreno economico» (telespresso 1663/518 del 9 aprile. Il documento ha il visto di Mussolini che ha sottolineato le frasi qui riportate).

2 Come manifestazione di questa tendenza, l'ambasciatore Attolico indicava anche il discorso pronunciato il giorno precedente a Berlino da Schacht che era tornato ad esprimere la disponibilità della Germania a collaborare per una soluzione dei problemi economici internazionali (telespresso 1867/587 del 21 aprile).

3 Il documento ha il visto di Mussolini. Qualche giorno più tardi. l'ambasciatore Grandi faceva rilevare che il grande risalto dato dai giornali britannici all'incontro Hitler-Lansbury aveva «sorpreso e preoccupato gli ambienti di governo e sopratutto il Foreign Office che ha visto l'opinione pubblica inglese deviare da quella rotta antigermanica su cui esso cerca di mantenerla». Ne era seguita, su ispirazione degli ambienti ufficiali, un'opera di svalutazione ed il 23 aprile Baldwin aveva dichiarato ai Comuni che la Gran Bretagna avrebbe partecipato ad una conferenza mondiale solo se da un'indagine preliminare fosse risultato che quella conferenza aveva delle buone probabilità di successo (telespresso 1544/641 del 24 aprile).

4 Si veda in proposito il D. 479.

le dichiarazioni. della Diplomatische Korrespondenz 1 favorevoli alla politica di Hull che, come è noto, persegue dei principi perfettamente antitetici a quelli della politica economica tedesca e che non tralascia occasione per qualificare di «suicida» la politica del nazionalismo economico;

le dichiarazioni di Schacht 2 sulla modificazione del piano quadriennale che qui si interpreta come il principio di un nuovo indirizzo economico della Germania; le dichiarazioni di Schacht 3 favorevoli ad una partecipazione della Russia assieme alla Germania ad una conferenza economica internazionale e, infine; le recenti dichiarazioni di Hitler a Lansbury4 sulla propria disposizione a partecipare ad una conferenza internazionale.

Le smentite fatte in Germania e riportate da questa stampa sulla nessuna intenzione del governo tedesco di mutare la propria linea politica lasciano qui piuttosto scettici. Si ritiene in questo Paese che la Germania si trovi a un bivio e che oggi debba scegliere la sua strada.

Le condizioni economiche interne tedesche si considerano come molto precarie e si giudica del tutto illusoria quella specie di prosperità determinata dai molti lavori che si fanno e dalla diminuzione della disoccupazione che avrebbe colpito qualche osservatore superficiale delle cose di Germania.

La Germania, oggi che avrebbe scartato per il momento una soluzione con le armi per sortire dai suoi attuali guai, riterrebbe di non poter continuare più a lungo nella politica d'isolamento economico in cui è venuta a trovarsi e farebbe degli approcci, o almeno preparerebbe il terreno per questi approcci, verso l'America e l'Inghilterra per entrare nel circuito degli Stati che favoriscono l'intensificazione delle correnti economiche mondiali.

Fra le manifestazioni tedesche sopra accennate quella che ha avuto in questo Paese maggiore ripercussione è stata la dichiarazione di Hitler relativa alla convocazione di una conferenza internazionale. Questa dichiarazione ha suscitato qui molti commenti e, devo dire, in un primo momento molto favorevoli. Si è voluto dare a queste dichiarazioni una portata che probabilmente non avevano, vedendovi già un principio di possibilità di un accordo internazionale nel campo economico e nel campo della limitazione degli armamenti che qui si ritengono necessariamente legati. In un secondo tempo, la diffidenza americana per tutto quello che viene dall'Europa ha ripreso il sopravvento e le dichiarazioni stessse di Roosevelt che non considera la possibilità di prendere in questo momento l'iniziativa auspicata da Hitler hanno smorzato gli incipienti entusiasmi.

Comunque, questo movimento dell'opinione pubblica va messo in rilievo e mi conferma nella mia impressione che questo Paese accetterebbe con favore l'idea di un accordo di carattere generale inteso secondo le vedute americane a far progredire il benessere comune con accordi economici, limitazione di armamenti, ecc. e in tal caso forse accetterebbe anche qualche sacrificio di principio.

l Una sua nota del 20 aprile sosteneva che la Germania restava favorevole, come in passato, all'eliminazione degli ostacoli che si frapponevano al commercio internazionale, così da favorire il libero scambio di merci e di capitali.

2 In un suo discorso del 20 aprile.

3 Durante la sua visita a Bruxelles del 13-14 aprile precedenti (vedi DD. 464 e 477).

4 Vedi p. 614, nota l.

È anche interessante notare che, mentre le ripetute assicurazioni date da Hitler di voler mantenere la pace hanno lasciato questo Paese freddo ed incredulo e sono state in genere accolte con ironia, i recenti accennati atteggiamenti del governo tedesco sono stati accolti con serenità e discussi con serietà.

Ho creduto di dover insistere su questo aspetto delle relazioni dell'America con la Germania, dato l'interesse che questo problema ha per noi.

Ho già rilevato che il fascismo non aveva in questo Paese una opinione pubblica molto contraria fino a che non è sorto il nazismo, cioè fino a che non si sono creati i «fascismi». Oggi ancora si attribuiscono a noi molte di quelle che sono le caratteristiche del nazismo-razzismo, persecuzioni religiose-(movimenti che in Italia non hanno mai allignato) e che qui sono oltremodo invise.

È difficile un'opera di chiarificazione in questo campo, senza dare l'impressione di dissolidarizzarci dalla nuova Germania, il che evidentemente, per considerazioni d'ordine politico superiore, deve essere evitato.

È probabile che queste impressioni non siano che un debole riflesso della realtà vista attraverso le informazioni che qui giungono e che sono sempre deformate e tendenziose.

Sebbene l'opinione pubblica di questo Paese sia mutevolissima e quindi al giungere di questo rapporto la situazione potrebbe essere già modificata, tuttavia ritengo non inutile segnalare questo aspetto momentaneo della situazione.

Oggi siamo di fronte a questo fenomeno: mentre noi oggi abbiamo una posizione meno favorevole di quella che potremmo avere, a causa del riavvicinamento che si è fatto del fascismo al nazismo, il governo tedesco pare tendere (lo dico sempre con la dovuta riserva) ad assumere atteggiamenti più graditi allo spirito amencano.

493

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2905/154 R. Tokio, 22 aprile 1937, ore 12 (per. ore 15,30 del 23).

In un rapido esame principali problemi politica estera giapponese, Sato, venuto visitarmi, mi ha detto quanto segue: «Con la Cina non ha ancora iniziato trattative volendo prima udire varie opinioni giapponesi ed unificarle per trame norme d'azione. Lavoro è iniziato e quando, dopo il colloquio con l'ambasciatore del Giappone in Cina 1 che è stato qui chiamato, esso sarà finito, si comincieranno ricondurre colloqui con Nanchino ove gli sembra comprendere che disposizioni non siano in tutto sfavorevoli al Giappone. Con i sovietici, ora che il loro ambasciatore è tornato qui, saranno ripresi approcci conversazioni per la soluzione delle varie questioni pendenti ed egli non dispera nel loro risultato soddisfacente. Con

l Shigeru Kawagoe.

l'Inghilterra, infine, è suo proposito dissipare presente dannoso stato di tensione e, pur senza che possa pensàrsi ad un ritorno all'antica alleanza, non crede impossibile ristabilire più amichevoli rapporti, specie dopo che saranno state riprese le trattative con la Cina».

Gli ho osservato che non escludo possibilità di migliori relazioni con l'Inghilterra ma che stentavo a credere in quella di una solida e durevole amicizia. Ogni qualvolta che si vorrà scendere al fondo delle cose apparirà inconciliabilità delle politiche dei due Paesi a causa della loro situazione, loro interessi e loro scopi in Cina e in genere in Asia.

Sato mi è apparso preoccupato della possibilità che una nuova guerra avvenga in Europa e che Giappone vi sia trascinato e mi ha mostrato un animo pacifista che non so come potrà mettersi d'accordo con quello dei militari. Mi ha però spontaneamente parlato con grande ammirazione del Duce e della sua politica «che sa essere di volta in volta secondo le necessità rigida o conciliante».

Comunicato Shanghai.

494

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2836/113 R. Beyoglu, 22 aprile 1937, ore 15,05 (per. ore 19,30).

Rustu Aras dichiaratosi entusiasta soggiorno Jugoslavia 1• Amicizia rafforzata vieppiù. Confermato direttive non associarsi alcun blocco, sopratutto non incoraggiare, né Francia, né Germania; intensificare al massimo rapporti amichevoli con l'Italia. Nessuna innovazione alla situazione diplomatica esistente nell'Intesa Balcanica.

Visita ha avuto quindi soltanto carattere formale.

Poiché Ismet Pascià in ripetute occasioni ha esaltato forza militare jugoslava, scopi voluti da Belgrado con viaggio Sciumadia e Bosnia sembrano raggiunti pienamente.

Per la Turchia scopo viaggio era far mussare nella stampa e nell'opinione pubblica che nell'Intesa Balcanica rapporti turco-jugoslavi sono caposaldo; che Intesa Balcanica era rafforzata da recenti accordi di Belgrado con Sofia e con Roma; legare poi in ogni modo al suo preventivo assenso qualsiasi possibile sviluppo politica jugoslava mettendo un freno alle velleità indipendenti di Stojadinovic a Sofia.

RustU Aras mi ha detto aver vivamente raccomandato di regolare questioni pendenti con Grecia così come egli sta ora facendo con Romania.

l Ismet Iniinii e Riistii Aras avevano visitato la Jugoslavia dall'Il al 19 aprile. In proposito il ministro Indelli aveva telegrafato, per espresso incarico di Stojadinovic, che l'incontro non aveva rivestito un interesse particolare e che nessuna nuova situazione e nessun progetto nuovo erano stati presi in esame. Ciò che, secondo il diplomatico italiano, era inevitabile, date «le diffidenze personali e politiche» che esistevano tra Aras e Stojadinovic (T. 2651/95bis del 14 aprile).

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1907/60 l. Berlino, 22 aprile-1937 (per. il 24).

Secondo informazioni raccolte nel Corpo diplomatico, sembra accertato che l'origine prima delle voci circa un possibile riavvicinamento russo-tedesco vada ricercata in una informazione fatta lanciare dall'U.R.S.S. attraverso un giornalista straniero residente a Berlino e da essa stipendiato. Si tratterebbe quindi semplicemente di una manovra sovietica di intimidazione nei riguardi della Francia. La cosa, però, non aveva mancato di allarmare un poco tutti, e specialmente, per ovvie ragioni, la Polonia ed il Giappone. L'ambasciatore del Giappone aveva anzi creduto di compiere in proposito qualche sondaggio presso l' Auswiirtiges Amt e il ministero della Propaganda. Goebbels, richiesto della ragione per la quale la stampa tedesca aveva atteso a dare la netta e recisa smentita che poi effettivamente venne data, si è limitato a rispondere che la voce era talmente assurda che in fondo non meritava neanche di esser presa in considerazione 1•

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L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1319/470. Buenos Aires, 22 aprile 1937 (per. il 20 maggio).

Telespresso ministeriale riservato 205868 del 23 febbraio u.s. 2 .

Le elezioni presidenziali in Argentina si svolgeranno nel seguente modo: la Capitale Federale e le singole Provincie eleggeranno nella prima domenica di settembre un numero di elettori uguale al doppio del totale dei senatori e deputati che compongono il Congresso Nazionale. Questi ultimi essendo 188, il numero di elettori presidenziali da eleggersi sarà di 376.

I 376 elettori presidenziali (i quali non dovranno essere scelti fra coloro che sono già senatori o deputati od abbiano altre cariche federali o provinciali) procederanno alla votazione, nello stesso mese di settembre, cioè quattro mesi prima che il Presidente Justo attualmente in carica cesserà dalle sue funzioni (20 febbraio 1938).

Si tratta dunque di elezioni di secondo grado. In tutta l'Argentina gli elettori nelle liste elettorali politiche che dovranno procedere alle elezioni dei 376 elettori presidenziali ammontano a 2.643.684 su di un totale di circa 14 milioni di abitanti.

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 195.

Gli elettori politici sopra nominati debbono essere tutti sudditi argentini. Gli stranieri invece non possono prendere parte che alle elezioni municipali e soltanto quando si trovino in determinate condizioni (come ad es. se hanno figli nati qui e perciò considerati argentini da questa Repubblica).

In guai modo quindi gli elementi italiani potrebbero avere una qualche influenza nelle elezioni presidenziali? Potrebbero averla soltanto in una maniera assai indiretta e cioè iscrivendosi su larga scala come elettori municipali e portando quindi alle amministrazioni locali personalità argentine che, in un secondo tempo, sarebbero chiamate alla scelta del Presidente sia come elettori di primo che, meglio ancora, di secondo grado.

Come V.E. vede, la possibilità di esercitare una simile influenza è assai relativa e discutibile anche se si giungesse un giorno a dare alle collettività italiane in Argentina quella compattezza,· quel sentimento effettivo di patriottica disciplina e quella comprensione dei loro propri interessi che hanno sempre avuto in così scarsa misura.

Non posso nascondere a V.E. che, sebbene la mia permanenza qui non dati che da quattro mesi, le mie impressioni sulle collettività italiane che ho avuto occasione di avvicinare, specie quella di Buenos Aires, non coincidono con le opinioni che si hanno generalmente in Italia e che io stesso avevo prima di venire qui. Ho dovuto infatti dolorosamente constatare che noi abbiamo vicina soltanto una parte degli italiani viventi in Argentina. La grande massa è amorfa, difficilmente raggiungibile, a meno che non si creasse una enorme rete consolare e di propaganda fascista. Soltanto se si riuscisse a penetrare questa massa, svegliarla dalla indifferenza e, non dico inquadrarla, ma portarla su di un piano di patriottismo meno ingenuamente e platonicamente affettivo, solo se si riuscisse poi a vigilarla continuamente e mandarla avanti a spintoni, soltanto allora, dico, questa massa potrebbe esercitare una certa influenza nelle elezioni municipali.

Di fronte però a questo agglomerato caotico ancora da plasmare, abbastanza forte e combattiva mi si rivela ogni giorno di più l'altra minoranza di coloro che non sono antifascisti ma che rinnegano addirittura la propria patria. Ed è estremamente doloroso constatare come su questa gente non abbia avato che scarsa presa la conquista dell'Impero con tutte le sue gloriose vicende, ma abbia avuto invece assai maggior influenza la propaganda bolscevica (anche sotto veste democratico-liberale) riaccesasi in seguito agli avvenimenti spagnoli.

D'altra parte, come ho già riferito a V.E., è il Partito Radicale quello che raccoglie le più grandi forze elettorali in questo Paese. Il Partito Radicale non si è ancora scisso in modo da separare le forze estreme da quelle che potrebbero formare un partito d'ordine. Cosicché, data la composizione e la mentalità prevalente nelle nostre collettività, non esito a credere che ove noi le spingessimo su vasta scala verso l'elettorato -sempre beninteso quello municipale -quasi tutti i nostri finirebbero presto o tardi per ingrossare le fila del Partito Radicale, e non certo l'ala più moderata di questo.

Nelle elezioni politiche, quelli invece che potrebbero esercitare una influenza enorme per non dire preponderante sarebbero, come naturale, i figli degli italiani. Si può dire infatti che quanto più passa il tempo e più ci allontaniamo dai primi anni dell'emigrazione italiana, più i figli degli italiani assumono importanza in questo Paese, giacché i figli di quegli operai e contadini italiani che vennero qui come greggi mcoscienti sono, se non alla seconda, alla terza generazione saliti di parecchi gradini nella scala sociale fino a costituire, come oggi costituiscono, uno dei nuclei più numerosi della classe borghese argentina. Poiché le cosidette classi superiori del Paese, formate dai discendenti degli uomini politici e militari di un secolo addietro e dai grandi proprietari fondiari, hanno già da tempo iniziato qui in Argentina il loro periodo di decadenza, è proprio la classe borghese media che ha preso in mano il vero potere politico e sempre più entra negli ingranaggi tanto della vita politica quanto di quella economica argentina. I figli degli italiani, quindi, si trovano e si troveranno sempre più in condizioni di occupare dei posti direttivi nella vita argentina. ·Nei governatorati delle provincie, nelle amministrazioni locali, nel Congresso Nazionale, nel Foro, nelle Università, nell'alto e nel basso clero, nelle professioni liberali, dappertutto i cognomi italiani pullulano. E di cognomi italiani, appunto per le cause su esposte, e per la lotta che la borghesia sostiene contro i vecchi conservatori, sono piene in gran parte le file del Partito Radicale. Purtroppo però si tratta di persone che nella enorme maggioranza non hanno altro di italiano che il cognome.

Noi ci siamo meravigliati ed addolorati in Italia quando abbiamo appreso che non solo la Repubblica argentina aveva adottato le famose sanzioni contro di noi, ma che il governo argentino aveva spinto più oltre il suo atteggiamento a Ginevra. Ce ne siamo meravigliati perché non conoscevamo abbastanza qual'è la situazione reale delle cose in Argentina. Mi duole assai dire a V.E. che, dopo poco tempo del mio soggiorno qui, ho compreso che se fossi stato prima in Argentina non mi sarei meravigliato affatto di quanto è accaduto. In nessun Paese del mondo, come in questo, il processo di assorbimento dello straniero in generale, ma specialmente dell'italiano, è avvenuto in una forma più rapida e più completa. Gli spagnoli, gli inglesi ed i tedeschi hanno resistito un po' di più per tante ragioni che è inutile qui di analizzare e gli italiani hanno resistito assai poco per tante altre ragioni, che è anche inutile di analizzare. Non bisogna lasciarsi troppo illudere dalle proteste di simpatia e di amicizia che si sentono da quei pochissimi elementi argentini di origine italiana usi a frequentare, parecchi esclusivamente per loro interessi personali, le Regie Rappresentamze e le personalità che vengono qui in breve missione. Non bisogna nemmeno lasciarsi impressionare dalle 400.000 firme che asserì aver raccolto il Comitato argentino contro le sanzioni specialmente fra i figli d'italiani. Tutte queste manifestazioni si sono sempre risolte in atti puramente platonici. Nessuna di esse si è mai concretata in un gesto pratico e fattivo, né per dare all'italianità quel posto che essa merita nello sviluppo politico economico culturale dell'Argentina, né per difendere, non dico i diritti, ma il ricordo della Patria quando questa fosse eventualmente minacciata. Durante il periodo della nostra azione in A.O. nessuno dico nessuno dei numerosi deputati e senatori che sono di origine italiana (35 deputati e 6 senatori sui totali 158 e 30 rispettivamente) insorse contro le ignobili sanzioni. L'unico che elevò la sua voce in favore dell'Italia fu il senatore Sanchez Sorondo, che nessun legame di sangue ha con l'Italia. D'altra parte, come ho già detto, i figli d'italiani militano quasi tutti nel Partito Radicale e tendono oggi verso le idee estreme. Essi sono quindi portati non solo -come lo furono sempre -a dimenticare le proprie origini, ma per la situazione politica locale a mettersi nella loro maggioranza contro il fascismo. È curioso constatare come nelle pure sparutissime ed insignificanti organizzazioni argentine che si ispirano al fascismo (o meglio a quello che esse credono essere fascismo) non v1 sta neppure un figlio d'italiani.

Questo quadro certamente assai sgradevole della situazione non offre, a mio parere, possibilità di rapidi cambiamenti perché, seppure le idee liberali democratiche, quelle socialiste e quelle comuniste, spiritualmente già unite in una specie di fronte popolare, comincino già a portare alla vita del Paese preoccupazioni e danni, il loro sviluppo non è giunto tuttavia -come in Europa -al punto di poter provocare una seria reazione.

Poiché dunque il problema dell'italianità in Argentina diventerà forzatamente fra qualche anno non più problema d'«italiani» ma esclusivamente di «figli d'italiani» data la cessazione della nostra emigrazione, se ne dovrebbe concludere che le possibilità di sviluppare la nostra influenza in Argentina sono destinate a diminmre e non a crescere.

Io non giungo però a queste pessimistiche previsioni ed anche se vi giungessi sviluppando un ragionamento logico fondato sulle premesse di fatti che oggi mi sembrano innegabili realtà mi rifiuterei di accettare pienamente e semplicemente le mie deduzioni razionalistiche, abbandonando ogni azione diretta a modificarle.

Oltre la reazione spontanea che dovrà prodursi qui in Argentina (più tardi invero che in Europa ma qui come in Europa) contro le teorie e le violenze bolsceviche e contro l'inefficacia del «metodo» democratico, è lecito, anzi doveroso per noi sperare che l'aumento del prestigio dell'Italia nel mondo avrà, concomitantemente colla suaccennata reazione, il suo benefico effetto sui figli e nipoti di italiani, i quali per le ragioni già dette, assumeranno sempre più funzioni direttive e responsabili nella vita pubblica argentina.

Allora la politica argentina potrà darci un qualche efficace appoggio nella politica internazionale. Prima d'allora essa si orienterà sempre, anche per prevalenti ragioni di carattere economico sulle linee della politica democratica anglo-francese e, ove questa si modificasse eventualmente in senso contrario agli interessi argentini, sulle linee di quella non meno democratica nord-americana.

Aspettando dunque il corso degli eventi storici mondiali, noi, pur considerando la realtà attuale quale essa è e non quale essa appare attraverso ottimismi

o ingenui o interessati, dobbiamo continuare con lena sempre maggiore, con fede sempre più profonda il nostro lavoro diretto a sostenere il concetto di italianità in questo Paese, a difendere ed a propagare la nostra lingua e la nostra cultura, a risvegliare i sentimenti sopiti ma che pur lasciano un sedimento attraverso parecchie generazioni.

Educazione ed istruzione delle masse, scuola media, propaganda di alta cultura, diffusione della conoscenza della vita italiana sono e saranno sempre i punti su cui noi dobbiamo poggiare la nostra attività in Argentina.

E se il momento attuale non è favorevole (mentre il prestigio spagnolo si è rinverdito in realtà di novelle fronde ma di fronde democratiche e comuniste), questo non può costituire che una ragione di più per perseverare nella nostra azione e anzi per intensificarla 1•

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

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L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 2844/393 R. Salamanca, 23 aprile 1937, ore 0,15 (per. ore 7,15).

Doria reduce da una visita al fronte di Bilbao mi ha oggi espresso convicimento pervenirsi difficilmente risolvere militarmente la situazione di quel settore data la tenace resistenza e l'opera di difesa dell'avversario e l'insufficienza delle artiglierie a disposizione dei nazionali. D'altra parte, egli è d'avviso che la rapida caduta di Bilbao sarebbe cosa provvidenziale poiché, liberando la maggior parte delle truppe oggi impegnate su quel fronte, permetterebbe di costituire quella massa di manovra che il comando italiano giudica necessaria per conseguire successo in altri settori. Vista la grande difficoltà di una soluzione militare a Bilbao, generale Doria insiste perché da parte nostra si eserciti subito ogni possibile pressione per far giungere a conclusione note trattative per la resa.

Ho già riferito a V.E. che generale Franco non è disposto accettare condizioni essenziali poste dai baschi, cioè quella di una garanzia straniera (inglese o italiana) per la salvezza vita popolazione. V.E. vorrà giudicare se non convenga intrattenere sulla questione codesto incaricato di Affari spagnolo affinché prospetti suo governo necessità di accordare garanzia italiana 1• Rimango in attesa istruzioni circa ulteriori passi da compiere qui 2 .

l Si veda in proposito il D. 508.

2 Non è stata trovata documentazione di istruzioni in proposito.

Il 25 aprile, il generale Bastico telegrafava a Ciano di avere avuto un incontro con Franco per esaminare l'andamento dell'offensiva contro Bilbao e che in quella occasione era stato anche affrontato il problema di un'eventuale resa dei baschi. Su questo punto del colloquio, il generale così riferiva:

«3) Avendo osservato a Franco che, comunque, l'azione militare in parola appare tuttora lunga e non scevra da difficoltà, e che, pertanto, ogni azione politica tendente a sgretolare o, quanto meno, ad indebolire la resistenza avversaria, risulta molto conveniente, se non addirittura indispensabile, Franco convenne pienamente. Fece quindi la storia delle trattative intercedute fra lui ed il noto emissario del governo basco, durante i primi giorni dell'offensiva, affermando:

-che l'emissario, dopo aver udito quali fossero le concessioni che egli, Franco, era pronto a fare, non si è più fatto vivo, e che non ne ha più avuto notizia;

-che nessun'altra trattativa è stata intavolata, successivamente, per altra via, col governo basco;

-che, in conseguenza, le trattative risultano interrotte da parte basca, e non da parte sua.

4) Domandai allora al Generalissimo se non fosse a sua conoscenza che il governo basco, pur non dubitando della sua parola, rimanesse alquanto diffidente circa il contegno, a danno dei combattenti e della popolazione, dei suoi sottordini e delle sue truppe, in caso di capitolazione di Bilbao, e che desiderasse che da parte nazionalista si prendessero impegni in forma più solenne, magari con qualche intervento straniero.

Franco rispose che qualsiasi notizia positiva in proposito gli mancava, ma che sapeva che correvano voci del genere a San Sebastiano. Ed aggiunse, spontaneamente: -che egli aveva fatto, e faceva ripetere l'annuncio delle sue concessioni, sia per mezzo di radiodiffusioni sia per mezzo di manifestini lanciati da aerei; --che aveva già consegnato per iscrittG al console generale Bossi la lista delle sue condizioni (consegna che è stata bensì annunziata, ma che non è ancora avvenuta); -che aveva detto al comm. Bossi di non aver nulla in contrario, in caso di necessità, ad un qualche intervento italiano nelle trattative.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2875/0111 R. Londra, 23 aprile 1937 (per. il 24).

Telegramma per corriere di V.E. n. 705 del 3 aprile u.s. 1 .

Ho già avuto occasione di segnalare a V.E. alcuni recenti sintomi di una palese tendenza verso un riavvicinamento anglo-giapponese. L'arrivo a Londra del principe Chichibù (mio rapporto 140 l /557 del 16 aprile )2 , la liquidazione dell'incidente di Keelung (mio rapporto n. 1369/543 del 14 aprile) 3 alcuni marcati accenni in un discorso di Hoare, (mio rapporto 1413/568) 4 hanno rivelato proprio in questi giorni aspetti isolati ma non sconnessi di tutto un reciproco sforzo per sanare il dissidio provocato ed esasperato dalla questione mancese.

Si tratta, per il momento, sopratutto di «gesti», di manifestazioni del rispettivo desiderio di dimenticare il passato, di ballons d'essai lanciati più o meno timidamente da una parte per saggiare la reazione e lo stato d'animo dell'altra.

Anche quest'ultima affermazione risulta soggetta a cauzione, in quanto il console generale non ha, nei suoi colloqui con Franco, udito nulla di simile. Ma rimane il fatto che il Generalissimo, in un modo o nell'altro, si dichiara disposto ad accettare un intervento che di fronte al governo basco, non potrebbe non apparire come una forma di garanzia.

5) Pregai Franco di voler dire se i componenti del governo basco, in nome dei quali ha trattato il noto emissario, hanno una tale effettiva autorità, che accettando essi, eventualmente, di capitolare, le truppe locali cesserebbero immediatamente ogni resistenza.

Franco, in risposta, espose la situazione quale gli risulta, situazione che è parecchio diversa da quella che si immagina comunemente quando si parla di resa di Bilbao. In detta città esistono un governo basco (vero o proprio), e dei dirigenti rossi (baschi o di altre regioni). È col primo che egli ha trattato e tratterebbe, senza intervento dei secondi. In caso di accordo, il governo basco ordinerebbe alle sue truppe (battaglioni baschi, in numero di 32 circa), di cessare ogni ostilità contro le truppe nazionaliste, e di affiancarsi a queste per mettere fuori causa i battaglioni rossi, non baschi (24 circa), che operano nella regione, alla dipendenza diretta dei dirigenti rossi suddetti. In conseguenza le ostilità non cesserebbero di colpo, ma data la nuova proporzione di forza e la nuova situazione, si risolverebbero con prevedibile rapidità a favore del fronte basco-nazionalista.

Ci si può chiedere perché, in tali condizioni, il governo basco abbia chiesto, e Franco abbia accordato, il libero espatrio dei capi rossi. Probabilmente detto governo ha voluto cosi mettere in salvo elementi baschi affiancatisi ai capi rossi venuti da fuori, oppure questi ultimi sono, malgrado le apparenze, anch'essi di intesa col governo suddetto per trattare.

6) Il Generalissimo esclude di avere in qualsiasi modo trattato con emissari britannici in vista della reddizione di Bilbao. Egli ha avuto contatti, indiretti con l'ambasciatore inglese presso il governo di Valencia. attualmente residente a Saint Jean de Luz, unicamente a proposito di tre navi britanniche che si preparavano a recarsi da Bordeaux a Bilbao (e che vi sono, poi, effettivamente giunte), e circa il libero transito di piroscafi inglesi destinati a caricare, nei porti rossi cantabrici, della pirite di ferro.

Espone quindi il suo punto di vista sul contegno delle navi da guerra inglesi che hanno facilitato la violazione del blocco effettivo della flotta nazionale, da parte delle tre navi di cui sopra» (il documento, che nelle altre sue parti concerne aspetti esclusivamente militari, è pubblicato integralmente in RoVIGHI E STEFANI, pp. 578-581).

' Vedi D. 394.

2 Vedi D. 472.

3 Vedi p. 590, nota l.

4 Telespresso 1413/568 del 17 aprile. In un discorso pronunciato il 16 aprile dinanzi al «Reale Corpo dei Costruttori Navali», Hoare aveva auspicato che tra le grandi Potenze navali fosse raggiunta un'intesa, almeno qualitativa, su gli armamenti navali e -cosa su la quale l'ambasciatore Grandi attirava particolarmente l'attenzione -aveva fatto un «marcato riferimento» alla possibilità di una ripresa di amichevoli relazioni tra Gran Bretagna e Giappone.

Il più recente di questi sondaggi sembrerebbe essere un articolo apparso in questi giorni nel Nichi-Nichi in cui si parla di un'iniziativa britannica per migliorare e consolidare le relazioni sino-giapponesi, quale premessa necessaria per un definitivo riavvicinamento anglo-nipponico con definitiva liquidazione della questione mancese e degli altri problemi in conflitto tra i due Paesi in Estremo Oriente. Tipica è stata l'accoglienza riservata a tale articolo in questa stampa la quale, mentre da un lato si è affrettata a darvi il maggiore rilievo, dall'altro si è preoccupata di accompagnarlo da convenienti smentite ufficiose circa l'effettiva esistenza di una simile iniziativa. È chiaro che il termine «iniziativa» è ostico tanto a Tokio che a Londra.

Da fonte confidenziale, generalmente bene informata, credo poter escludere che sino ad oggi vi siano stati, sia da parte inglese, sia da parte giapponese, passi concreti per un chiarimento formale delle questioni di comune interesse. Ma che vi sia un preciso proposito di sgomberare il terreno, in vista di possibili future amichevoli conversazioni, è, lo ripeto, cosa non dubbia. È evidente del resto che l'eventuale riconoscimento della conquista italiana dell'Abissinia, ove sanzionata da qualche deliberazione ginevrina, costituirebbe di per sé un utile precedente per trovare la formula per quell'analogo riconoscimento nei riguardi del Manciukuò, che un'autorevole corrente del partito conservatore ha sempre propugnato e che oggi l'Inghilterra, forte della sua rinnovellata amicizia con gli Stati Uniti e della progressiva attuazione del suo programma di riarmo, ritiene poter negoziare in maniera vantaggiosa.

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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 2972/032 R. Atene, 23 aprile 1937 (per. il 28).

Mi richiamo all'ultima parte del mio telespresso odierno n. 3400/351 1 e segnalo, qui appresso, alcuni sintomi ed impressioni di ambiente che -sembrami -possono valere a raffigurare l'attuale stato d'animo dei dirigenti la politica estera greca di fronte agli ultimi avvenimenti diplomatici internazionali ed all'evoluzione della situazione generale in questo settore d'Europa.

Riferii a suo tempo circa le ripercussioni in Grecia degli accordi bulgaro-jugoslavo e italo-jugoslavo 2: il governo greco -ufficialmente -si è sempre espresso, sopratutto nei riguardi degli accordi di Belgrado, con parole di cordiale compiacimento e di adesione. Tuttavia, da allora, nei miei colloqui col Presidente Metaxas e nei miei contatti e rapporti con altri dirigenti greci, mi è parso di scorgere una certa riserva che potrebbe essere un indizio di perplessità anche nei nostri riguardi. Non posso dire che vi sia nulla di mutato nell'atteggiamento o nel tono ufficiale della politica ellenica. Debbo però notare un non so che di evasivo: come

I Non rinvenuto. 2 Vedi rispettivamente, il D. 6 e il D. 348.

se la Grecia, in presenza delle nuove situazioni e prospettive balcaniche, fosse sopratutto pervasa dall'ansia del suo isolamento.

Non è difficile spiegare questo stato d'animo se si pensa che tutti i governi ellenici che si sono succeduti in questi ultimi anni hanno -in politica estera -quasi sempre esitato ad agire od a pronunciarsi con sufficiente autonomia. Pareva quasi che questo Paese fosse condannato ad una specie di vassallaggio diplomatico verso l'Intesa Balcanica per la ben nota ed in gran parte giustificata sua ossessione di ottenere garanzie anche di fronte ad alcuni dei suoi alleati circa la sua integrità territoriale ed il rispetto delle sue frontiere. La conclusione dell'accordo bulgaro-jugoslavo, prima, e la liquidazione dei contrasti itala-jugoslavi, poi, hanno accresciuto il disagio. Esso si riflette in un atteggiamento di riserva e di aspettativa di cui si cerca di non far trasparire nulla al pubblico. Tuttavia in alcuni ambienti serpeggia un certo malumore per la nuova incertezza della politica estera del Paese, mentre la stampa -controllata -si limita a riassumere, senza prendere posizione, opinioni e commenti esteri sugli sviluppi dell'intenso movimento diplomatico degli ultimi mesi. È inoltre assai diffusa la sensazione che i recenti avvenimenti internazionali hanno non solo scosso il sistema delle alleanze e delle garanzie balcaniche ma hanno anche fatto perdere alla Grecia delle possibilità di manovra non abbastanza compensate dalla maggiore libertà d'azione consentita, in Mediterraneo, dall'accordo anglo-italiano. Sti questo piano, la posizione greca si mantiene in equilibrio fra i due poli dell'Inghilterra e dell'Italia dopo la conclusione del Gentlemen 's agreement. Ma esiste una pressione inglese per far pendere se non formalmente almeno sostanzialmente la bilancia più dalla parte di Londra che da quella di Roma. Infatti, vi è tutta una propaganda all'opera per esagerare le minime vibrazioni dell'accordo mediterraneo e per suggerire l'impressione che tale accordo non è permanente.

Ho creduto mio dovere segnalare a V.E. queste impressioni e questi indizi anche perché, nel caso che V.E. lo ritenesse opportuno, possa essere considerata la convenienza o meno di neutralizzare, con appositi atti, questa sensazione di isolamento che, a mio avviso, ispira l'atteggiamento di maggiore riserva che mi sembra oggi di notare nei governanti greci. Atteggiamento che è suscettibile di rendere la Grecia più ricettiva alle suggestioni britanniche e più esitante verso di noi.

500

COLLOQUI DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL CANCELLIERE AUSTRIACO, SCHUSCHNIGG

Venezia, 22-23 aprile 1937

Il Cancelliere Schuschnigg comincia il suo dire affermando che ogni cambiamento nelle sue linee di politica estera, cambiamento cui in questi ultimi tempi è

I Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 165-175. 2 Al colloquio era presente Ciano che ha redatto il verbale.

stato fatto più volte cenno, è senz'altro da escludersi. La politica austriaca rimane orientata sui Protocolli di Roma e, per quanto è possibile, sull'Accordo dell'Il luglio. Sta di fatto che le relazioni con la Germania sono oggi corrette, ma bisogna distinguere le relazioni col Governo da quelle col Partito, che cerca attivamente nella sua propaganda e nella sua azione di oltrepassare i limiti dell'Accordo dell' 11 luglio. Anche la stampa, per la quale si era rispettata un'utile tregua, ha in questi ultimi giorni ripreso i suoi attacchi per futili motivi e con una violenza senza precedenti. Ciò rende difficile il lavoro del Cancelliere, diretto a popolarizzare la collaborazione con la Germania, dato che gli elementi radicali del Fronte Nazionale prendono lo spunto da tali polemiche per rimproverare al Cancelliere il suo riavvicinamento con Berlino. Sarebbe necessario che la Germania compisse in questo momento un gesto di simpatia verso l'Austria, gesto che è stato atteso da molto tempo. L'ambiente che fino ad ora si è mostrato più malleabile è quello dei militari: tra le due forze armate della Repubblica Federale e del Reich si sono stabiliti rapporti di cordialità, ma il Partito continua invece nella sua politica di propaganda intensiva, che assai spesso prende un sapore anti-italiano.

Nonostante ciò, il Cancelliere ha l'intenzione di continuare a svolgere una politica di collaborazione e di pace con la Germania e a tal fine si impegna ad applicare integralmente l'accordo dell' 11 luglio.

Riferisce le voci che si sono sparse a Vienna relativamente al viaggio in Italia del Principe di Rohan 1 e afferma che in seguito a tali voci le trattative che erano in corso con gli ambienti nazional-socialisti hanno subito un tempo d'arresto (il Duce mette in chiaro quanto è stato fatto da Rohan a Roma, e particolarmente che egli non lo ha neppure ricevuto, limitandosi a leggere il promemoria lasciato al Ministro degli Esteri dal Rohan stesso).

Gli emigrati austriaci hanno ancora in Germania il permesso di svolgere una sostanziale attività. Il loro numero è ancora altissimo e si calcola che vadano da dieci a ventimila.

Tutto ciò premesso, il Cancelliere afferma che non c'è nessuna possibilità che l'Austria autoritaria possa orientarsi sull'asse ultra-democratico Parigi-Praga. Ciò comporterebbe un necessario cambiamento di politica interna che è da escludersi.

Si è molto parlato in questi ultimi giorni dei rapporti tra l'Austria e la Cecoslovacchia. In realtà i due Paesi hanno un comune interesse, ed è quello di non venire attaccati dalla Germania. È evidente che un attacco tedesco alla Cecoslovacchia, determinando un semi-accerchiamento della Repubblica austriaca, sarebbe letale anche per quest'ultima. Ciò nonostante nessun accordo di carattere politico esiste né è previsto tra i due Paesi.

Hodza, nella sua ultima visita a Vienna 2 , fece il punto della politica cecoslovacca nel seguente modo: oggi, nessun patto militare con la Russia; una tendenza

1 Il principe Carlo Antonio di Rohan si era recato sul finire di marzo a Roma dove era stato ricevuto da Ciano. Il principe aveva dichiarato che occorreva insistere con Schuschnigg perché rafforzasse il suo governo chiamando a farne parte tre nazionalsocialisti.

2 Il presidente del Consiglio cecoslovacco, Hodza, durante una sua visita privata in Austria, aveva avuto, il 26 marzo a Vienna, un lungo colloquio con Schuschnigg. Secondo quanto lo stesso Schuschnigg aveva confidato a Salata, Hodza di fronte all'aggravarsi della minaccia tedesca «aveva cercato di stabilire un interesse parallelo tra Cecoslovacchia ed Austria contro ogni lesione territoriale dei due Stati» (T. 2558/89 R. del 27 marzo).

a migliorare le relazioni con la Polonia; impossibilità di mettersi d'accordo con l'Ungheria; costante pressione tedesca. Praga in queste condizioni non può rimanere isolata: qualora ogni altro legame venisse a mancare, la Cecoslovacchia dovrebbe gettarsi in braccio alla Russia. Ma ciò si può ancora evitare con altre amicizie: quella sopra tutte preferita, sarebbe l'amicizia con l'Italia.

Per quanto concerne poi il dibattuto problema della restaurazione, il Cancelliere dice che egli ha dato prova in tutta la sua politica di non amare i colpi di testa: data la situazione attuale internazionale ed interna, si rende ben conto che il problema non è attuale. Anche con Neurath, durante la sua recente visita a Vienna 1 , il Cancelliere si espresse in tal senso. Quindi nessuna sorpresa si verificherà praticamente in tale direzione, ma, in linea di principio, egli non può rinunciare alla restaurazione. Conferma che il problema è di carattere interno e che egli non ha mai pensato a chiedere l'intervento italiano. In realtà, in questi ultimi tempi, nulla si era verificato in Austria che giustificasse tutte le campagne di stampa e le polemiche che sono sorte sul problema della restaurazione. Ciò prova che i suoi avversari si sono valsi di tali argomenti per creare a lui delle difficoltà, dato che nella lotta che il Fronte Patriottico conduce contro la propaganda nazista la collaborazione apportata dai monarchici deve essere considerata utilissima ed indispensabile. Il Cancelliere informa che Neurath ha fatto opposizioni specifiche contro gli Asburgo e contro i Wittelsbach: accetterebbe, se del caso, il Liechtenstein. La ragione per la quale Neurath ha dichiarato che la Germania osteggia la restaurazione è stata quella del pericolo rappresentato dall'attrazione che una monarchia in Austria eserciterebbe sui tedeschi del sud.

Concludendo il Cancelliere tiene a far sapere che egli ricerca e ricercherà l'amicizia con la Germania, dato che nessun contrasto dovrebbe necessariamente separare questi due Paesi. Le grandi linee della politica dei due Stati sono e necessariamente debbono essere identiche pur mantenendosi quelle differenziazioni determinate dalla religione, dalla cultura e dallo stesso spirito nazionale austriaco. La pregiudiziale della indipendenza deve essere considerata sostanziale oggi: se poi i tedeschi intendono parlare di Anschluss, proiettato in un futuro indeterminato, egli non fa obiezioni. Ma sta di fatto che la generazione attuale vuole conservare l'indipendenza del Paese, la cui perdita potrebbe rappresentare un danno per la stessa Germania e per la cultura tedesca.

In questo stato di cose egli si augura che, come non ha mai dubitato, la linea politica dell'Italia nei confronti dell'Austria non sia stata, né sia per essere modificata. In questi ultimi tempi si è spesso ripetuto che l'Italia avrebbe preso un nuovo orientamento: ciò ha portato in Austria un nervosismo che sarebbe bene eliminare subito, provando invece che l'Italia si mantiene sulle vecchie posizioni, dato che niente nella politica e nella situazione austriaca potrebbe suggerire nuovi orientamenti.

Il Duce risponde al Cancelliere che in occasione dell'ultimo colloquio avuto con Goering 2 , ebbe a confermargli che il nostro atteggiamento nei confronti del problema austriaco era immutato, basandosi, come sempre, sulla necessità dell'indipendenza dell'Austria. Goering disse che la questione dell' Anschluss non era posta

1 Del 22-24 febbraio. Vedi DD. 199 e 215. 2 Vedi D. 109.

sul tappeto, ma che doveva far rilevare come l'Austria si portasse male nei confronti del Reich, applicando insufficientemente e con molte riserve mentali l'accordo dell'Il luglio. Egli stesso, passando in Austria, aveva dovuto viaggiare con le cortine abbassate e la popolazione nazista era stata tenuta lontano dalle stazioni per impedirgi di manifestare verso di lui. Goering aveva riaffermato che la Germania non poteva disinteressarsi della sorte di sette milioni di puri tedeschi, così come non poteva disinteressarsi, sia pure in certi casi, soltanto per la loro vita spirituale e culturale, di tutti gli altri nuclei tedeschi esistenti in Europa. Ma ciò era stato riconosciuto legittimo anche da parte nostra e dallo stesso Governo di Schuschnigg, il quale riaffermava, come tutti i precedenti governi austriaci, che Vienna non poteva condurre la sua politica senza Berlino e meno ancora contro Berlino. Però importava riaffermare che il problema dell' Anschluss non bisognava porlo adesso e che invece si doveva mettere l'accento sull'indipendenza e sull'integrità austriaca.

Il Duce, parlando del problema della restaurazione dichiara che su di esso si era espresso giudicandolo inattuabile fin dai tempi in cui l'aveva discusso con il Cancelliere Dollfuss e con il Generale Goemboes. Riafferma la sua fede nel sistema monarchico, ma dice che la restaurazione in Austria presupporrebbe un clima internazionale che oggi non esiste e rappresenterebbe un grave pericolo di perturbazioni.

L'atteggiamento assunto dal Giornale d'Italia qualche tempo fa circa tale problema1 fu determinato dall'alternativa che ci era stata posta dalla stampa franco-britannica: l'Italia deve scegliere: o l'Anschluss o la restaurazione. Tale manovra era evidentemente suggerita dal desiderio di provocare un urto tra Roma e Berlino e di rendere difficili le trattative allora in corso con la Jugoslavia, la quale è stata e si mantiene ostile alla restaurazione particolarmente per il riflesso che la monarchia avrebbe in Croazia. Allorché il Giornale d'Italia escluse che il Governo Fascista favorisse la restaurazione absburgica, la speculazione internazionale continuò affermando che dunque a Roma, si voleva l' Anschluss. Ciò è falso. L'alternativa non esiste. Nessuna delle due soluzioni è urgente: l'Austria può continuare a vivere, come ha vissuto finora col suo regime federale, riservandosi di vedere nell'avvenire, che deve essere ancora decifrato, quali nuovi elementi possano entrare a far parte del gioco.

La situazione in Europa è oggi caratterizzata dalla esistenza pratica di due blocchi che automaticamente si sono venuti a formare su una base ideologica, e la cui differenziazione è stata accelerata e accentuata dagli avvenimenti in Spagna. Non si può nascondere che oggi il pericolo bolscevico esiste e che esso diventerebbe ben più grave se il Comintern ruscisse vittorioso nel conflitto spagnuolo.

In questa eventualità non c'è dubbio che la Francia si orienterebbe anche più marcatamente verso sinistra, e ciò determinerebbe certamente una revisione della politica britannica dato che storicamente a Londra si è sempre osteggiato ogni movimento apertamente rivoluzionario nella vicina Francia.

Per precisare, le ragioni che rendono solida l'asse Roma-Berlino sono di due ordini. La prima di politica estera in quanto l'Italia deve assicurarsi una solida posizione continentale per poter continuare a fronteggiare nel Mediterraneo la non

I Vedi p. 263, nota 2 e p. 276, nota l.

630 troppo dissimulata ostilità britannica. Il gentlemen 's agreement firmato in gennaio, è valso a dare soltanto una breve pausa di calma nei rapporti tra Roma e Londra, ma ben presto la situazione è tornata ad essere dura ed i due Paesi hanno dato prova di continuare a nutrire reciprocamente sospetti e diffidenze.

L'altra ragione è determinata dalla solidarietà dei regimi autoritari. È manifesto che tra il Fascismo ed il Nazismo vi sono delle differenze sostanziali. Noi siamo cattolici, fieri e rispettosi della nostra religione. Non ammettiamo le teorie razziste, soprattutto nelle loro conseguenze giuridiche. Anche in economia seguiamo dei sistemi diversi. Ma è positivo che i due regimi si trovano a dover fronteggiare gli stessi nemici, dato che il blocco delle democrazie la cui attiva esistenza si rivela sempre più palesemente, cerca di isolare i due Paesi per poterei infine eliminare. Tutta la speculazione di stampa sul recente caso Degrelle 1 , che non andava al di là di una lotta elettorale, prova come in ogni modo le democrazie vogliano limitare l'area dei Paesi a regime autoritario. Nel mancato successo di Degrelle si è voluto identificare una scofitta del Fascismo e del Nazismo.

È evidente che quanto più si tenterà di isolarci, tanto più i due Paesi si serreranno in una comune politica ideologica e nazionale. In tale stato di cose la separazione di Roma e di Berlino sarebbe gravissima per ambo i Paesi in quanto la coalizione democratica avrebbe una ben più facile partita.

Ed ecco che qui si presenta, nel suo pieno valore, il problema austriaco. Si pensa spesso che l'Austria debba rappresentare il punto di frizione nei rapporti italo-tedeschi e perciò la speculazione internazionale cerca di lavorare a creare delle difficoltà.

La politica seguita dall'Austria finora ha dato dei buoni risultati; quindi si deve continuare a battere la stessa strada. A Vienna, pur premettendo di essere uno Stato tedesco, bisogna affermare che esistono le differenze sostanziali determinate dalla religione, dalla cultura, da una diversa visione del mondo e che i rapporti di amicizia con la Germania saranno resi migliori dalla indipendenza nazionale austriaca. E siccome anche nel Reich vi sono delle forti correnti tedesche che desiderano una détente con l'Austria, bisogna appoggiarsi su di esse e consolidarle. Le migliorate relazioni tra gli ambienti militari sono certamente significative e promettenti. Bisogna lavorare attivamente in tale direzione.

Per quanto concerne la Francia, il Duce ha detto che i nostri rapporti possono venir sintetizzati nella seguente formula: più la Francia va a sinistra e più essa si allontana da noi. La situazione è strana dato che questioni aperte fra i due Paesi non esistono ma invece si mantiene ugualmente uno stato d'animo di sorda ed irritante ostilità. Noi ci rendiamo conto che la Francia sia molto esasperata dalla esistenza dell'asse Roma-Berlino. Se risaliamo col pensiero ai tempi della guerra vedremo quale importanza possa avere nel gioco francese l'intesa italo-tedesca. Fu soltanto per l'atteggiamento benevolo italiano che l'avanzata tedesca si arrestò sulla resistenza francese. Non c'è dubbio che anche adesso il solo pensiero che domina

1 Riferimento alle elezioni per un seggio di deputato in un collegio di Bruxelles alle quali si erano presentati van Zeeland e Degrelle in una sfida governo-opposizione che per il suo significato politico era stata seguita con grande interesse anche fuori del Belgio. L' 11 aprile, van Zeeland aveva vinto con

275.000 voti contro 69.000.

lo spirito francese è quello della sicurezza sul Reno. Tale sicurezza appare incerta, se l'Italia è legata alla Germania. Comunque non è da ritenere che la Germania si prepari ad attaccare la Francia. I tedeschi non vantano rivendicazioni territoriali in quella direzione e sanno bene che per superare la linea di difesa francese bisognerebbe sacrificare milioni e milioni di uomini. Bisogna invece pensare che il dinamismo tedesco si rivolge tutto verso est.

Un'altra pedina che il Governo austriaco non deve trascurare nel suo gioco del mantenimento della indipendenza nazionale, è quella rappresentata dalle buone relazioni esistenti tra Budapest e Berlino. Per troppe ragioni il Governo Magiaro deve considerarsi cointeressato alla esistenza dell'Austria, quindi sarebbe il caso di far discretamente pesare l'influenza magiara sul Governo del Reich. È vero che in questi ultimi tempi i rapporti tra Budapest e il Reich si sono un po' raffreddati in seguito alla forte propaganda nazista sviluppata particolarmente tra i nuclei tedeschi residenti in Ungheria, ma comunque si deve considerare che le relazioni tra i due Paesi sono molto strette e che la linea di condotta magiara di fronte all'eventualità dell'Anschluss verrà vagliata e tenuta in giusta considerazione dai dirigenti tedeschi.

Esponendo infine le linee e gli scopi del recente accordo di Belgrado, il Duce rifà una rapida storia delle alterne vicende attraverso le quali sono passate in questi ultimi anni le nostre relazioni con la Jugoslavia. Bisogna comunque considerare il Patto di Belgrado, oltre che suggerito dalla opportunità di avere cordiali relazioni di amicizia con un Paese di frontiera, anche in funzione della nostra situazione strategica nel Mediterraneo. L'importanza politica della Jugoslavia è evidente e tutti ricordano come una delle principali preoccupazioni britanniche, allorché si determinò, la tensione dei nostri rapporti con Londra, fu quella di raggruppare in un solo sistema di accordi anti-italiani la Turchia, la Jugoslavia e la Grecia 1• È vero che cessate le sanzioni gli Accordi furono dichiarati decaduti, ma comunque ci è parso di singolare utilità determinare una nuova situazione a noi favorevole. Tra l'Italia e la Jugoslavia non esistono delle questioni aperte, anzi gli interessi economici facilmente adattabili agli scambi e complementari fra loro suggeriscono e facilitano una naturale intesa.

Anche per quanto concerne l'Albania abbiamo potuto metterei d'accordo: tale questione che in un certo momento aveva assunto un'importanza del tutto precipua nelle relazioni italo-jugoslave adesso è stata risolta con piena soddisfazione. L'indipendenza albanese, garantita finora soltanto dall'Italia, è oggi invece assicurata da Roma e da Belgrado. Per tale ragione anche in Albania l'Accordo è stato considerato favorevolmente. Non bisogna infine dimenticare che la Jugoslavia ha concluso un così profondo ed importante patto politico al di fuori della Società delle Nazioni.

Per quanto concerne infine le relazioni tra l'Accordo di Belgrado e i Protocolli di Roma, il Duce ritiene che tra qualche tempo si potrà eventualmente far aderire la Jugoslavia agli Accordi italo-austro-ungheresi.

Riassumendo infine la conversazione il Duce conclude dicendo che l'Italia conferma la sua politica diretta a mantenere l'indipendenza e l'integrità austriaca, sincronizzandola ed armonizzandola con la politica dell'asse Roma-Berlino.

1 Si riferisce agli accordi del dicembre 1935-gennaio 1936 conclusi per garantire assistenza nel caso di un conflitto derivante dall'applicazione dell'art. 16 del Covenant nei confronti dell'Italia.

Nel successivo colloquio che ha avuto luogo il giorno 23 aprile alle ore 11 tra il Duce e Schuschnigg ed al quale hanno assistito Ciano e Schmidt, essendo stato esaurito l'ordine del giorno relativo alle questioni politiche, si è parlato dei seguenti argomenti che qui brevemente riassumo:

l) Relazioni commerciali itala-austriache. Il Cancelliere ha richiesto che, anche per fini politici, non venga ridotto o per lo meno non in forma troppo sensibile, il contingente riservato all'Austria. Il Duce ha detto che darà istruzioni a Guarneri nel senso di esaminare il problema non soltanto in base a criteri economici e valutari, ma anche tenendo presenti le necessità politiche del momento;

2) Trattamento delle minoranze di lingua tedesca in Alto Adige. Il Cancelliere Schuschnigg ha chiesto ed ottenuto informazioni circa gli impegni da noi presi con gli Jugoslavi per il trattamento da farsi alle minoranze slovene. Ha chiesto la istituzione di una scuola di lingua tedesca presso il Consolato austriaco, ma gli è stato risposto che un tale desiderio non poteva venire accolto in quanto anche il Reich avrebbe avanzato un'analoga richiesta e ci sarebbe stato impossibile di opporre un rifiuto.

Senza entrare in particolari di merito, il Cancelliere ha chiesto ed ottenuto l'assicurazione che alle minoranze di lingua tedesca non verrà comunque fatto un trattamento inferiore a quello riservato agli alloglotti sloveni.

Sono state infine esaminate e soddisfacentemente risolte alcune questioni di minore importanza concernenti sempre le minoranze dell'Alto Adige.

501

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. URGENTE SEGRETO 1962/619. Berlino, 23 aprile 1937 (per. il 26).

Miei telespressi nn. 1826/590 e 1887/590, dell9 e 21 corrente 1 .

Alle notizie generiche già fornite in merito alla visita del ministro austriaco von Glaise Horstenau 2 con miei telespressi stampa, sono ora in grado di aggiungere delle notizie specifiche sul contenuto ed i risultati politici della visita stessa, risultati che per quanto a priori un po' svalutati dall'Auswartiges Amt, (il quale non riconosce all'Horstenau una grande autorità) non sembrano tuttavia completamente trascurabili.

Il ministro austriaco ha visto qui un po' tutti: Frick, Goebbels, Neurath, Goring, Hitler, il colloquio più importante essendo naturalmente quest'ultimo. Argomenti principali:

l) Restaurazione Asburgica. Il Cancelliere ha fatto parte al ministro austriaco della preoccupazione creata in Germania dalle pretese tendenze legittimiste del-

I Non rinvenuti.

2 Il ministro degli Interni austriaco, von Glaise Horstenau, si era recato in visita in Germania dal 14 al 21 aprile.

l'Austria, in proposito ripetendo più o meno vivacemente l'argomentazione tenuta da Neurath nella sua visita. a Vienna e sottolineando specialmente le inevitabili ripercussioni di una restaurazione asburgica sulle provincie tedesche finitime e specialmente sulla Baviera cattolica. Il Cancelliere è arrivato a dire che, ove la Germania non venisse seriamente rassicurata su questo punto, essa sarebbe costretta ad aumentare considerevolmente le proprie guarnigioni bavaresi.

Il ministro dell'Interno austriaco non ha esitato a dare al Cancelliere su questo punto tutte le assicurazioni possibili, chiarendo che il preteso movimento legittimista in Austria fa capo -ed in funzione antigovernatva -solo a una frazione del partito operaio e a qualche nostalgico vecchio generale. Esso non ha grande serietà e deve la sua esistenza soprattutto ai clamori -artificiosi -della stampa antigovernativa ed internazionale. Ma il governo di Vienna come tale non è -non può esserlo nello stesso interesse austriaco -per la restaurazione.

Il Cancelliere ha preso atto, dichiarandosi soddisfatto. 2) A sua volta, von Glaise Horstenau ha richiamato l'attenzione di Hitler sopra l'attitudine della stampa del Reich ed i suoi continui attacchi a Schuschnigg, alcuni dei quali assolutamente senza base (incidente cimitero di Leonding -mio telesprsso n. 1670/522 del 10 corrente) 1• Questi attacchi si risolvevano, ha osservato il ministro austriaco, in un vantaggio per l'opposizione in quanto rafforzanti il nuovo «fronte» cristiano-democratico-sociale, a tutto scapito dell'autorià di Schuschnigg, che invece è l'uomo degli accordi dell'l l luglio e dell'asse Roma-Berlino. Quale interesse aveva la Germania a continuare su questa via? Hitler si sarebbe mostrato convinto della giustizia di queste osservazioni. Ha deplorato gli incidenti uso quello di Leonding e promesso di raccomandare al ministero della Propaganda una maggiore circospezione evitando tutto ciò che possa aver l'aria di combattere, e pertanto indebolire, il Governo Schuschnigg. 3) Venendo quindi ad un esame della situazione per quanto riguarda gli accordi dell'Il luglio e la loro applicazione soprattutto nei riguardi del movimento nazionalsocialista austriaco, il ministro von Glaise Horstenau -premessa l'impossibilità, sulla base stessa della esperienza del '34, di ogni e qualsiasi tentativo per una affermazione violenta del movimento nazionalsocialista austriaco -si è mostrato convinto fautore di sistemi evolutivi, intesi a favorire -in opposizione e contrasto con i metodi rivoluzionari cari agli estremisti -la espansione naturale del pensiero nazionalsocialista e la sua permeazione, se non la sua fusione, nelle altre correnti politicamente sane del Paese. Questa, in fondo, era la politica degli accordi dell' 11 luglio ed egli, von Glaise Horstenau, che si considerava come la espressione di quegli accordi, domandava a Hitler se non ritenesse opportuno di continuare a mostrarvisi fedeli. Anche su questo punto, e cioè sulla preferenza di metodi evolutivi in contrapposto a metodi rivoluzionari, il Cancelliere si sarebbe mostrato ·decisamente di accordo, in questo -aggiungeva il mio informatore -distaccandosi sensibilmente da Goring, che, più irruente ed impaziente, preferirebbe invece tempi e ritmi anche incomposti, purché accelerati.

l Non rinvenuto.

Come si vede, la conversazione Hitler -Glaise Horstenau non sarebbe stata -dopo tutto -priva di contenuto. Più o meno insignificanti, invece -oppure semplici ripetizioni della principale -sarebbero state le conversazioni con gli altri 1 .

502

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 2865/231 R. Parigi, 24 aprile 1937, ore ... 2 (per. ore 15,30).

Ministro degli Affari Esteri mi ha convocato Quai d'Orsay a mezzodì e mi ha comunicato testo della nota verbale unica 3 che ambasciatore di Francia ed incaricato d'Affari di Gran Bretagna sono stati incaricati rimettere oggi stesso al ministro degli Affari Esteri belga, circa riconoscimento da parte dei rispettivi governi della politica che il Belgio ha dichiarato voler seguire inavvenire, nonché dell'assicurazione di fedeltà alla S.d.N. da esso data.

Nota verbale constata che il Belgio è pertanto svincolato, nei riguardi intervento, da ogni obbligo risultante dal Trattato di Locarno e dagli accordi intervenuti a Londra 19 marzo 1936 4 , e dichiara che i due governi conservano nei riguardi del Belgio impegni di assistenza assunti verso esso mediante atti internazionali suddetti. Termina con paragrafo in cui è detto che Francia e Inghilterra hanno convenuto che liberazione Belgio dalle sue obbligazioni presenta una interruzione in differenti impegni esistenti tra gli Stati suddetti 5 . Trasmetto per corriere testo documento.

Delbos la ha rimessa pure a questo incaricato d'Affari di Germania. Ministro degli Affari Esteri mi ha detto che nota verbale è risultato di un accurato esame della situazione, compiuto d'accordo fra Parigi e Londra. Sarebbe stata preferibile conclusione di un trattato generale che sostituisse quello di Locarno ed a cui partecipasse anche il Belgio.

A vendo peraltro questo Stato manifestato intenzione seguire linea di condotta politica che gli è consigliata da considerazioni di varie specie e degne della maggiore considerazione, Francia e Inghilterra non avevano esitato ad assecondare desiderio del Belgio. Problema della sicurezza sul Reno che interessa Francia, Inghilterra, Italia e Germania, cioè le maggiori Potenze occidentali, è d'altronde di tale importanza vitale, per la pace dell'Europa, che appare in fondo logico che esse siano dibattute tra questi quattro Stati, senza Belgio.

Testo nota verbale sarà reso pubblico dalla Havas stasera alle ore 19 e sarà pubblicato dai giornali di domani mattina.

l Il documento ha il visto di Mussolini. Sulla visita di von Glaise Horstenau in Germania si veda anche il D. 532.

2 Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

3 Dichiarazione franco-britannica al governo belga, del 24 aprile 1937, testo in DDF, vol. V, D. 337.

4 Vedi p. 237, nota 3.

5 Sic. La nota franco-britannica diceva che la liberazione del Belgio dai suoi obblighi «ne touche en rien !es engagememts existant entre la France et le Royaume-Uni».

503

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2886/36 R. Praga, 24 aprile 1937, ore 23 (per. ore 7 del 25).

Convegno Venezia è stato seguito da queste sfere politiche con vivo interesse non privo di preoccupazione.

Dopo colpo inferto compagine Piccola Intesa con accordi Belgrado, ogni altra attività che possa ancora più indebolire sistema centroeuropeo facente capo Parigi e neutralizzare tentativo di puntellamento ravvisato in riavvicinamento PragaVienna porta Cecoslovacchia a malinconiche considerazioni sulla propria situazione che potrebbe avviarsi a temuto isolamento.

Finora questi governanti hanno sperato che questione austriaca potesse turbare rapporti Roma-Berlino. Incominicia farsi strada impressione che l'Italia, pur assumendo tuttora difesa indipendenza austriaca, potrebbe essere in definitiva indotta transigere al riguardo, nell'intento di consolidare una bene intesa e vantaggiosa collaborazione con Germania.

Comunicato ufficiale a Venezia 1 commentato largamente a base di presunzioni ottimistiche che mal dissimulano disappunto circa ·azione Italia contraria emancipazione Austria e timore politica italiana assuma orientamento nettamente contrario interesse Cecoslovacchia.

504

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2914/134 R. Ginevra, 24 aprile 1937 (per. il 26).

Avenol mi ha detto che il giurista del Quai d'Orsay Basdevant, venuto a Ginevra per assistere ai lavori del Comitato del terrorismo, gli ha posto la questione della prossima Assemblea in relazione con la faccenda etiopica. Avenol gli ha fatto notare che la questione stessa è di competenza dei governi. A venol mi ha ripetuto quanto l'altro giorno aveva detto a Berio (v. telegramma n. 132)2 , e cioè che tempo fa da varie parti si era manifestato il desiderio di giungere ad una liquidazione. In particolare, il ministro svedese socialista Sandler, nel suo recente viaggio a Londra

l Testo in Relazioni Internazionali, p. 326.

2 T. per corriere 28451132 R. del 21 aprile. Riferiva che secondo Avenol si era manifestato da molte parti il desiderio di risolvere una volta per tutte la questione etiopica ma che successivamente gli affari di Spagna avevano «intorbidito l'atmosfera» rendendo più difficile una soluzione.

e Parigi, aveva nettamente posto la questione a quei due governi, esprimendo il parere che occorresse porre un termine all'incresciosa situazione creatasi. Ciò aveva impressionato i predetti governi, data la personalità del Sandler e le sue tendenze politiche. A quell'epoca, lo stesso Blum aveva detto ad Avenol che, alla prossima Assemblea straordinaria, si sarebbe potuto cercare una via di uscita per ottenere il ritorno dell'Italia a Ginevra. Successivamente gli avvenimenti spagnoli avevano fatto temere che, in un modo o nell'altro, il governo di Valencia voglia profittare dell' Assemblea per interessarla alla situazione del suo Paese, ciò che renderebbe più difficile la contemporanea trattazione della questione etiopica. Sullo stesso argomento, il nuovo sottosegretario generale sovietico Sokolin ha detto a Berio che gioverebbe essere certi che Roma sarà disposta a riprendere la sua collaborazione una volta liquidata la questione etiopica. A tale scopo egli riteneva sarebbero utili accordi preliminari tra i governi maggiormente interessati alla S.d.N. e l'Italia. Berio gli ha fatto osservare che, dopo quanto è successo nell'estate e nell'ottobre scorsi, sembra fuori di posto domandare assicurazioni all'Italia. È la S.d.N. che allora si assunse la responsabilità di rompere i ponti ed è la S.d.N. che deve ora assumersi la responsabilità di un gesto conciliativo, rassegnandosi a correre l'alea delle reazioni che esso potrà avere a Roma.

La stessa domanda Berio ha avuto da Abraham, membro britannico della Sezione Politica, al quale ha dato analoga risposta.

505

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2930/033 R. Bruxelles, 24 aprile 1937 (per. il 27).

Mentre questa ambasciata di Francia e di Inghilterra mi hanno oggi rimesso a mezzogiorno i testi della nota comune 1 presentata stamane a questo governo, alla stessa ora il ministro degli Esteri mi ha pregato di passare da lui.

Spaak mi ha detto che desiderava darmi lettura della nota ricevuta dai miei colleghi di Francia e di Inghilterra, illustrandomela. Desiderava altresì rimettermi copia della risposta analoga da lui data ai due miei colleghi.

In succinto mi ha detto:

l) che l'avvenimento era importante per il suo Paese, giacché solo da oggi esso poteva ritenersi esente da ogni pericolo di guerra, eccettuato quello dipendente, beninteso, da un'aggressione da parte di uno degli Stati limitrofi;

2) che il primo alinea dell'art. III della nota franco-inglese metteva a suo avviso bene in chiaro che i punti di vista relativi alla politica che il Belgio intende d'ora innanzi adottare, rispondevano a spontanee ed autonome decisioni del go

l Vedi p. 635, nota 2.

verno belga, e quindi non rappresentavano affatto condizioni cui sia stata subordinata la decisione anglo-francese;

3) rispondendo a mia domanda, Spaak ha chiarito che la parola «en conséquence» con cui si inizia l'articolo IV della nota franco-inglese sta soltanto in «relazione di fatto» con quanto è contemplato nel precedente articolo della nota stessa: ossia che la decisione anglo-francese di svincolo del Belgio dai noti obblighi locarnisti è stata presa nella constatazione che, di fatto, il Belgio è disposto ad armarsi ed a conservarsi membro di Ginevra. Spaak mi ha poi rimesso copia della risposta da lui data ai miei due colleghi, osservando che essa è la più semplice possibile e pertanto la più adatta a non pregiudicare alcunché.

Nel prosieguo della conversazione, avendo io indagato circa il pensiero del mio interlocutore per quanto riguarda le conseguenze della ribadita fedeltà del Belgio a Ginevra, Spaak mi ha confidato che egli comincia a ritenere del tutto necessaria una sua precisa pubblica dichiarazione circa l'art. 16. Probabilmente prenderà la parola nel corso della settimana ventura alla Camera dei Deputati. Ad ogni modo desiderava riassumermi, in via riservata, quali erano ad un dipresso le conclusioni cui era giunto. Egli pensava innanzi tutto che bisognava distaccarsi alquanto dal metodo seguito dal ministro degli Affari Esteri olandese nel suo recente discorso circa l'articolo 16 1• Il signor De Graeff era andato in profondità, egli preferiva restare alla superficie. Occorreva infatti non dimenticare che l'Inghilterra ha sciolto il Belgio dai suoi obblighi di reciprocità anche perché lo sa fedele a Ginevra. Ad ogni modo egli si proponeva chiarire ad un dipresso nel seguente modo le condizioni cui il Belgio avrebbe subordinato l'eventuale accettazione del diritto di passaggio, attraverso il Belgio, di truppe spostantisi in dipendenza di deliberazioni del Consiglio di Ginevra:

a) che il diritto di passaggio previsto dell'articolo 16 non potrebbe, almeno per quanto riguarda il Belgio, essere applicato senza che il Belgio non sia esso stesso partecipe e consenziente della decisione;

b) che fra le forze pronte ad intervenire, attraverso il Belgio, si trovassero in ogni caso quelle dei principali Paesi limitrofi del Belgio; c) che il Belgio terrà in ogni modo il massimo conto della decisione presa nella fattispecie dal governo olandese, i due Paesi avendo comunanza di interessi e di pericoli.

Sempre parlandomi nella più grande confidenza, Spaak mi ha illustrato la lenta elaborazione che aveva subito il suo pensiero. Ad esempio mi ha detto che, con una formula del genere di quella indicata alla lettera b, egli aveva pensato che oggi, dei tre grandi vicini del Belgio, solo la Francia e l'Inghilterra fanno parte di Ginevra, e che quindi un passaggio attraverso il Belgio non potrebbe in definitiva accadere che con la partecipazione dell'esercito francese ed inglese. Con ciò Spaak ha voluto evidentemente farmi comprendere che detta sua formula contempla in realtà la sola circostanza che, fuori del linguaggio diplomatico, preoccupava il Belgio.

1 Il 22 marzo precedente, il ministro degli Esteri olandese, de Graeff, aveva dichiarato, in sede di discussione di bilancio degli Esteri, che i Paesi Bassi non avrebbero applicato le sanzioni previste dall'art. 16 del Covenant qualora fosse stata dichiarata aggressore una grande Potenza con essi confinante, né avrebbero consentito il passaggio di truppe sul proprio territorio se il Paese aggressore fosse stato ad essi limitrofo.

Ha soggiunto che egli bene si rendeva conto del recente discorso del ministro olandese circa l'art. 16, ma gli pareva che l'osservazione di quest'ultimo giusta la quale l'Olanda non consentirebe alcun diritto di passaggio qualora l'aggressore fosse uno Stato limitrofo, veniva in realtà ad eliminare ogni reale ipotesi di autorizzazioni al passaggio. Tutt'altra importanza aveva l'altra osservazione del De Graeff: che cioè l'art. 16 il quale non contempla esplicitamente le sanzioni militari, potrebbe invece, a mezzo del diritto di passaggio, gettare addirittura un terzo Stato in un conflitto, da cui esso potrebbe peraltro restare estraneo.

A vendo io poi cercato di indagare in merito alla importante questione relativa al diritto di atterraggio e di sorvolo, Spaak mi ha detto che il governo inglese era estremamente sensibile a tale questione. Era tuttavia un fatto che una cosa è un passaggio terrestre, ed altra cosa un sorvolo. Successivamente, onde meglio mettere in luce la complessità della situazione, Spaak si è lasciato sfuggire: comprenderete che il Belgio, pur volendo usare ogni rispetto verso la Germania, non può dimenticare il 1914, e che pertanto, messo alle strette fra la Germania e l'Inghilterra, cercherà sempre di non alienarsi quest'ultima.

Alla luce di tale sfogo può acquistare valore quanto lo Spaak mi ha detto nei riguardi dell'interpretazione che intende dare all'art. 16, la quale, in definitiva, pur tenendo a solidarizzarsi di fatto con l'atteggiamento olandese, cerca tuttavia formalmente di non mettersi in troppo stridente contrasto con le teorie ginevrine cui vivamente tengono la Francia e l'Inghilterra. Il che mi è stato ribadito dallo stesso Spaak, nel sottolinearmi che il popolo belga non avrebbe mai rinunciato ad ogni garanzia internazionale, ai fini di una integrale neutralità, giacché esso ha sempre vivo il ricordo dal 1914, e pertanto dà un particolare valore ad una permanente garanzia unilaterale franco-inglese.

Per ultimo attiro l'attenzione di V.E. sullo studio messo dalla Francia e dall'Inghilterra per apparire anche in questa circostanza intimamente fuse. Ne prova il testo del documento, le formalità con cui son avvenute le comunicazioni di esso a questa R. Ambasciata, nonché chiari accenni a me fatti dallo stesso Spaak.

Accludo le copie dei diversi documenti a me rimessi.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2939/0114 R. Londra, 24 aprile 1937 (per. il 27 ). Mio telegramma n. 323 1•

Stasera Daladier riparte per Parigi. Nelle quattro giornate da lui trascorse in Inghilterra, egli è stato invitato a colazione da Eden ed ha pronunciato a Manche-

I T. 2797/323 R. del 21 aprile. Comunicava l'arrivo a Londra di Daladier.

ster un discorso sui rapporti anglo-francesi 1 . Nelle sue manifestazioni esteriori, la visita di Daladier rientra nel solito quadro dell'intesa franco-britannica, con le solite sparate oratorie sul tema della comunità di ideali delle «democrazie».

La sua visita è stata presentata come la restituzione della visita precedentemente fatta a Parigi da questo ministro della Guerra Duff-Cooper2 , visita che suscitò a suo tempo negli ambienti politici inglesi vivaci polemiche e impressioni contrastanti. Alla Camera dei Comuni fu allora richiesto al governo e particolarmente al segretario di Stato Eden di dissociare la responsabilità del governo da quella del ministro Duff-Cooper e soprattutto dalle pubbliche dichiarazioni fatte da quest'ultimo circa gli sviluppi sul terreno di una vera e propria alleanza militare dell'attuale intesa anglo-francese. Né Eden, né Baldwin smentirono allora Duff-Cooper. Ad ogni buon fine, il Foreign Office, allo scopo di evitare eventuali commenti sfavorevoli da parte degli «isolazionisti» britannici, ha tenuto a sottolineare nei giorni scorsi il carattere «privato» della visita di Daladier organizzata dall' Alliance Française e dalle Società Unite di Francia e di Gran Bretagna. Senonché la presenza di Daladier, come ministro della Difesa Nazionale, non ha suscitato alcun commento sfavorevole. Tutti i giornali e tutti i gruppi politici hanno considerato la visita di Daladier come un avvenimento che si inquadra naturalmente nell'attuale quadro della politica franco-britannica. Nessuna obiezione in questa occasione è stata sollevata dagli isolazionisti britannici, alcuni dei quali giungono perfino a riconoscere che è naturale e necessario nel momento in cui il Belgio allenta, colla sua politica di neutralità, gli impegni bilaterali i quali l'univano con la Gran Bretagna e con la Francia, che queste due grandi Potenze stringano vieppiù i legami politici e militari che già esistono. È interessante osservare come questa interpretazione della visita di Daladier, sia oggi divulgata in forma quasi ufficiosa da quegli stessi ambienti del Foreign Office, i quali, rassicurati ormai dalla mancanza di opposizione da parte degli isolazionisti, avevano da principio espressamente cercato di presentare la visita del ministro della Difesa francese come una visita privata e non ufficiale.

Non sembra che durante questi quattro giorni di permanenza a Londra si sia addivenuti fra il ministro Daladier e il governo britannico a nuovi accordi oltre quelli già conosciuti. È assai probabile tuttavia che gli Stati Maggiori britannico e francese, i quali del resto sono in stretto contatto, profitteranno dell'accoglienza favorevole fatta in Inghilterra al ministro francese per sviluppare gli accordi militari esistenti anche in relazione alla nuova situazione creatasi dalla dichiarazione di neutralità belga.

La visita di Daladier va inoltre considerata sotto un altro aspetto non privo di interesse. Secondo informazioni confidenziali di fonte diretta, mi risulta essere opinione diffusa tanto a Downing Street come al Foreign Office che il ministro Blum non può contare su lunga vita e che Daladier deve considerarsi come uno dei successori più probabili. Daladier ha per conto proprio sollecitato l'occasione di recarsi a Londra dato che, in previsione di un cambiamento di governo, I'accolade da parte britannica sembra costituire una specie di crisma preventivamente necessario per ogni candidato al potere in Francia. D'altra parte, il Foreign Office non

I Si veda in proposito il D. 509. 2 Nel giugno 1936.

640 ha dimenticato che Daladier fu, come presidente del Consiglio, sostenitore di una politica di diretta conciliazione con la Germania. L'eventuale riapparire in Francia di tendenze analoghe, mentre incontrerebbe senza dubbio il favore della grossa opinione pubblica inglese, non mancherebbe tuttavia di suscitare profonde diffidenze nel Foreign Office e nei circoli dei conservatori britannici di destra per i quali il dissidio storico permanente franco-tedesco costituisce la base non meno permanente della politica estera e militare della Gran Bretagna. Il Foreign Office considera pertanto necessario sorvegliare e controllare Daladier sino da questo momento.

Ma questo non è il solo controllo al quale Daladier sia stato sottoposto nel corso di queste sue giornate a Londra e a Manchester. Egli è stato infatti costantemente seguito in ogni suo movimento da ispettori di polizia francese espressamente inviati da Blum. Questo speciale «servizio» di sorveglianza, al quale lo stesso Daladier ha visibilmente mostrato il desiderio di sfuggire, è ad un tratto diventato così grottescamente evidente da dare motivo a storielle e pettegolezzi salaci nelle cronache politiche londinesi di questi giorni.

507

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2941 /0116 R. Londra, 24 aprile 1937 (per. il 27).

Riferimento mio fonogramma 310 1 e telegramma 3132 .

La sottocommissione di esperti incaricata di studiare il problema del ritiro dei «volontari» terrà lunedì 26 aprile una prima riunione di carattere preliminare. Nell'ultima seduta del Sottocomitato il compito affidato alla sot,tocommissione tecnica fu definito come segue:

«Preparare per il Sottocomitato di presidenza uno schema:

a) per il ritiro dalla Spagna di tutte le persone che partecipano, sia direttamente che indirettamente, al presente conflitto, le quali non sono di nazionalità spagnuola

o non avevano tale nazionalità alla data del 18 luglio 1936; b) per l'efficace controllo dell'esecuzione di un qualsiasi schema di ritiro sulle linee indicate nel comma precedente».

In previsione di tale riunione ho avuto scambi di vedute con Ribbentrop e con Monteiro. Di comune accordo abbiamo quindi indetto presso questa ambasciata una riunione dei rappresentanti dell'Italia, della Germania e del Portogallo nella sottocommissione tecnica, con l'intervento degli addetti militari, nella quale abbiamo

I T. 2678/310 R. del 15 aprile. Riferiva l'andamento della seduta del sottocomitato per il non intervento tenutasi lo stesso giorno.

2 T. 2682/313 R. del 16 aprile, relativo ad un colloquio avuto con Lord Plymouth allo scopo di assicurarsi che il rappresentante sovietico ritirasse la nota presentata contro l'Italia, come era stato convenuto.

concordato le grandi linee dell'azione che verrà svolta in seno alla Commissione tecnica. Tali grandi linee possono così riassumersi:

l) Ogni schema di ritiro deve riguardare non solo i volontari «combattenti» ma anche gli agitatori politici. Questo è del resto indicato nella formula «persone che partecipano sia direttamente che indirettamente al presente conflitto», già adottata dal Comitato.

2) È possibile che allo scopo di spingere il Comitato ad adottare qualche decisione o a fine di propaganda i russi e i francesi suggeriscano di rivolgere alle due parti in conflitto una domanda preliminare intesa a conoscere se esse sono disposte a dare al Comitato di non intervento la loro cooperazione per attuare il piano di ritiro. Ciò è tanto più verosimile in quanto i russi hanno già cercato di speculare sul generico consenso di massima al ritiro dei volontari stranieri annunziato tempo fa dal cosidetto governo di Valencia. Occorre naturalmente opporsi a ogni manovra del genere e far prevalere il punto di vista che, per porre le due parti in conflitto in condizioni di valutare la portata della questione, bisogna presentare ad entrambe, come a suo tempo fu fatto per il primo schema di controllo, le linee generali di un piano già approvato dal Comitato di non intervento. In altri termini, lo studio approfondito, la redazione e l'approvazione del piano di ritiro devono precedere l'invito a collaborare che dovrà essere rivolto alle due parti in conflitto.

3) Occorre che la sottocommissione tecnica stabilisca in maniera chiara il principio della parità di trattamento nei riguardi delle due parti in Spagna. Questo allo scopo di evitare probabili manovre sovietiche e francesi dirette a favorire i rossi attraverso qualche proposta di ritiro in massa. I nostri esperti sosterranno che ogni ritiro deve essere basato sul criterio dell'equivalenza numerica e qualitativa.

4) Nel procedere alla definizione degli stranieri oggetto del piano di ritiro occorre opporsi nella maniera più categorica a ogni tentativo di far includere i volontari marocchini o i legionari stranieri al servizio di Franco. È più che probabile che i russi solleveranno entrambe le questioni, ma i nostri esperti sosterranno che esse esulano dal piano di ritiro così come è definito nel mandato che il Sottocomitato di Presidenza ha conferito alla Sottocommissione tecnica.

5) Da un punto di vista generale, mentre evidentemente non conviene dare l'impressione che intendiamo ritardare i lavori della Sottocommissione tecnica e tanto meno sabotarli, è opportuno far sì che tali lavori abbiano fino a nuovo ordine il ritmo più lento possibile.

Si tratta naturalmente di direttive molto generiche ed elastiche, suscettibili di essere rivedute ed ampliate man mano che i lavori della Sottocommissione prenderanno forma concreta. Data la delicatezza del problema e l'importanza che lo schema preparato dalla Sottocommissione tecnica potrà avere nei riguardi della discussione politica in seno al Comitato, sarò grato a V.E. se vorrà cortesemente farmi pervenire tutte quelle istruzioni di massima e di dettaglio che riterrà del caso 1 .

l Il 29 aprile, il sottosegretario Bastianini telegrafava a Grandi che si approvava la linea d'azione da lui concordata con i rappresentanti tedesco e portoghese, restando inteso che il ritmo dei lavori doveva essere, fino a nuovo ordine, il più lento possibile (T. 8511178 R. del 29 aprile).

508

L'UFFICIO DI GABINETTO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 24 aprile 1937.

In relazione a quanto ha comunicato Bossi con l'unito telegramma n. 393 1 , è stato convocato l'Incaricato d'Affari di Spagna e gli è stata sottoposta l'opportunità di far un passo presso Franco. L'importanza politica e materiale della resa di Bilbao è tale da giustificare una minore intransigenza da parte del Generalissimo nell'accoglimento di alcune condizioni. Fra esse quella della garanzia italiana richiesta per la salvezza della vita delle popolazioni che noi concederemo volentieri, sarebbe, a nostro avviso, da accettarsi.

Il signor Conde, convinto di quanto precede, ha promesso di indirizzare immediatamente, in proposito un telegramma riservato e personale al generale Franco.

509

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 2906/979. Parigi, 24 aprile 1937 (per. il 27 ).

Il 21 corrente è partito per l'Inghilterra questo ministro della Difesa Nazionale, signor Daladier: il suo viaggio, che era stato preannunciato e posto in particolare rilievo dalla stampa francese, ha come pretesto la riunione annuale dell'Assemblea Generale delle Associazioni Unite di Francia e Gran Bretagna che ha avuto luogo a Manchester il 22 corrente.

I veri motivi di tale viaggio sono però molto più complessi: la situazione assai incerta del Gabinetto Blum avrebbe infatti indotto il governo inglese a ritirargli il suo appoggio e ad accordarsi in via preventiva col più quotato degli eventuali candidati alla successione. In ogni modo, il viaggio, anche senza considerare queste recondite intenzioni del governo britannico, ha già una notevole importanza per ! colloqui che Daladier ha avuto col ministro della Guerra inglese e per lo scambio di idee che è interventuto a Londra fra il ministro della Difesa Nazionale francese ed i membri del Gabinetto britannico relativamente alla difesa eventuale del territorio francese in caso di aggressione germanica. Si sostiene infatti a Parigi che il riarmamento dell'Inghilterra ha esclusivamente lo scopo di prepararla e di metterla in condizione di respingere unitamente alla Francia l'aggressione del Reich.

È sintomatico a tale proposito il discorso pronunciato da Daladier a Manchester in risposta al saluto-discorso, pure molto importante, di Lord Derby.

l Vedi D. 497.

L'ex ambasciatore d'Inghilterra a Parigi ha parlato apertamente di complicazioni continentali che non interessano l'Inghilterra, ma che potrebbero costringerla, per la sua sicurezza, ad ingerirsi di tali affari; ed ha aggiunto che la stabilità dei Paesi e dei governi continentali, soprattutto quella della Francia, interessava in modo speciale l'Inghilterra perché ciò poteva determinare la pace o la guerra: un governo debole in Inghilterra od in Francia, concluse il nobile Lord, rischierebbe di provocare una guerra europea.

Il discorso col quale il signor Daladier rispose alle parole di saluto di Lord Derby costituisce una specie di suo programma di governo per quanto riguarda la politica estera francese. Egli ha infatti enunciati i seguenti principi:

a) la necessità per i Paesi democratici di garantire essi stessi la propria difesa. Il mondo non potrà preoccuparsi del loro riarmamento perchè le forze di detti Paesi non saranno impiegate che al servizio della pace;

b) il desiderio di intendersi lealmente con tutti gli Stati, indipendentemente dal loro regime politico interno;

c) che la lotta per la libertà e la pace dell'umanità è opera difficile ma nobilissima: sintomatica la citazione di Milton «quando Dio vuoi compiere alcuna cosa difficile ne incarica gli inglesi»;

d) l'assicurazione che la Francia è pronta a dare la collaborazione più sincera all'Inghilterra; e) che l'amicizia fra il popolo britannico e quello francese non fu mai così profonda e sincera come ora.

Tutta questa stampa ha riprodotto con la più viva soddisfazione i discorsi pronunciati a Manchester ed ha dato molto rilievo sia alle affermazioni del signor Daladier che all'importanza dei colloqui da lui avuti precedentemente col signor Eden e col ministro inglese della Guerra, signor Duff-Cooper.

È indubitato che il prestigio personale del signor Daladier e le sue possibilità politiche non potranno che essere consolidate dal successo della sua missione in Inghilterra: è ormai ben chiaro che nelle presenti circostanze nessun uomo politico francese potrà assumere la direzione del governo del suo Paese se non ha la preventiva approvazione e se non gode la piena fiducia del governo britannico 1•

510

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATISSIMO 949/384. Tirana, 24 aprile 1937 (per. il 26).

Il Primo Aiutante di Campo del Re in una conversazione confidenziale mi ha fatto comprendere che tre questioni stanno oggi essenzialmente a cuore al

1 Il documento ha il visto di Mussolini

Sovrano: quella della sistemazione dei profughi albanesi dal Kossovo, già numerosi in Albania e in massima parte ancora senza stabile occupazione e mezzi di sussistenza, l'assistenza agli albanesi fuori del Regno, e la lotta contro la propaganda comunista.

Egli mi ha pure fatto comprendere, affermandomi tuttavia nel modo più esplicito che il Re non era al corrente di quanto egli stava per dirmi che, volendo veramente toccare il Sovrano in una parte sensibile del suo animo, dovrebbe venirgli da V.E. una parola intesa ad assicurarlo che non gli mancherà anche per i fini anzidetti l'assistenza dell'Italia, da concedersi naturalmente nella maniera più segreta ed acconcia. Egli mi ha poi precisato il suo pensiero accennando alla possibilità di concedere al Sovrano anche quest'anno la somma di un milione di franchi oro, pari cioè a quella concessagli a titolo personale nel 1936 e che Re Zog destinerebbe ai fini sopraindicati.

Mia personale impressione è che le tre questioni suaccennate stiano realmente a cuore al Sovrano: ma nello stesso tempo che il generale Sereggi si renda conto del desiderio del Re di poter disporre di una somma di qualche entità senza dover passare per i controlli della sua amministrazione, in relazione alle forti spese che la numerosa sua famiglia fa gravare su di lui. Me lo dimostra il fatto che alcune rate del milione oro messo a disposizione del Re lo scorso anno furono esatte proprio in corrispondenza al viaggio all'estero delle sorelle.

Mettere il Sovrano in condizioni di indipendenza finanziaria di fronte al suo governo e permettergli di svolgere per proprio conto azioni quali quelle prospettate dal generale Sereggi, servirebbe indubbiamente ad aumentare il suo prestigio e la sua popolarità, specie se l'azione a vantaggio dei profughi Kossovesi e quella antibolscevica rivestissero in massima parte la forma di opere assistenziali fatte a titolo personale dal Re. Non mi nascondo tuttavia che il voler favorire in questo modo il Sovrano rappresenterebbe per noi un sacrificio che valutato in lire italiane raggiungerebbe la cifra di sei milioni.

Facendo astrazione, quindi, dalla importanza della somma che dovrebbe essere erogata, mi permetto di esprimere l'avviso che una concessione di questo genere influirebbe fortemente sull'animo di Re Zog, corrispondendo in realtà, seppure in forma dignitosa per lui, e quindi doppiamente gradita, alla attribuzione per un anno di un appannaggio.

Il Re da parte sua assumerebbe in certo modo una nuova obbligazione personale verso di noi sia sotto il punto di vista politico, sia per l'attuazione di quel complesso di provvedimenti di carattere economico-finanziari già noti a V.E. e che, in ultima analisi, dovrebbero ridursi a fare rientrare in Italia una gran parte del denaro che noi spendiamo sotto diverso titolo in Albania.

A conferma di queste mie considerazioni mi permetto di osservare che appunto colla concessione del milione di franchi oro fatta nel 1936 ebbe inizio l'atteggiamento particolarmente favorevole e deferente di Re Zog nei nostri confronti.

Ho ritenuto doveroso riferire fin d'ora quanto precede affinché l'E.V. abbia modo di portare la Sua attenzione sulla cosa prima del Suo viaggio a Tirana 1•

I Il documento ha il visto di Mussolini. Sui colloqui avuti da Ciano durante la sua visita in Albania del 28-30 aprile successivi non è stata trovata documentazione.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, CAPRANICA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1972/713. Belgrado, 24 aprile 1937 (per. il 27 ).

Mi onoro trasmettere copia di un interessante pro-memoria compilato da questo R. Addetto Commerciale e concernente la possibilità di investimenti di capitali italiani in Jugoslavia.

Le considerazioni svolte corrispondono esattamente al modo di pensare di questi circoli direttivi, i quali, in una effettiva partecipazione italiana alle attività locali, vedono la migliore garanzia dei buoni rapporti ora esistenti fra i due Paesi.

ALLEGATO

L'ADDETTO COMMERCIALE A BELGRADO, BENEDETTI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, CAPRANICA

PROMEMORIA. Belgrado. 23 aprile 1937.

Martedì 20 corrente il Presidente della Commissione agli affari Esteri della Camera dei Deputati, on. Zarko Tomasevié, mi ha chiamato nel suo studio per espormi le sue idee circa la collaborazione economica fra l'Italia e la Jugoslavia, prevista nell'Accordo Complementare, firmato a Belgrado da S.E. il Conte Ciano il 24 marzo u.s.

L'on. Tomasevié ha esordito constatando che il Patto di amicizia fra i due Paesi è stato accolto favorevolmente dalla grande maggioranza della popolazione jugoslava, appunto perché accompagnato da un accordo economico di vasta portata, dal quale potranno scaturire considerevoli vantaggi per ambedue le Nazioni.

Secondo lui, il fatto che le due economie si integrano a vicenda non va interpretato soltanto nel senso che la Jugoslavia è la naturale e più conveniente fornitrice di generi alimentari, destinati a nutrire l'ognor crescente popolazione del Regno, e di materie prime alla potente industria italiana e viceversa come mercato di vendite dei prodotti di quest'ultima, ma anche considerando la Jugoslavia come un terreno fecondo sul quale il capitale italiano può trovare proficuo investimento, specialmente se incanalato verso l'attrezzamento economico del Paese.

Su quest'ultimo punto l'on. Tomasevié si è soffermato per assicurarmi che tutti sono qui concordi nel dare la preferenza al capitale italiano, date le ottime esperienze fatte finora su questo campo seppure in misura ristretta.

Si è poi parlato di casi concreti, incominciando dalla fabbrica di automobili, circa la quale il delegato della Fiat, cav. uff. Piccin, ha già conferito al ministero della Guerra, e passando poi alla lavorazione della canapa, del cotone indigeno, alle costruzioni stradali, alla navigazione fluviale e ad altre imprese atte a dare un reddito sicuro. Si è fatto pure accenno ad una banca italiana in Jugoslavia che possa innestarsi nella vita economica del Paese.

Infine, dopo avermi pregato e raccomandato di informare di tutto ciò i fattori dirigenti dell'economia italiana, mi ha dichiarato di esser pronto a mettere a disposizione nostra tutta la sua autorità e la sua influenza per attenerne tutte le agevolazioni necessarie per lo sviluppo delle suesposte iniziative.

Le idee illustrate dall'an. Tomasevié non sono nuove e sono condivise pienamente da tutti gli esponenti del mondo politico ed economico jugoslavo. Lo spirito oltre modo realistico dei jugoslavi e specialmente dei serbi non è incline a dar valore alle amicizie politiche che non abbiano contenuto economico e fu anche o forse sovratutto per questa ragione che il Patto di amicizia, stipulato a Roma dal defunto Pasié nel1924 1 , non ebbe le conseguenze volute e fu ben presto demolito da influenze estere, che trovarono buon giuoco nei disillusi umori degli esponenti politici ed economici jugoslavi. La Jugoslavia si attendeva allora da parte dell'Italia un interessamento fattivo alla sua vita economica e, mancato questo, anche l'amicizia politica è diventata labile ed attaccabile. Se dunque questa volta, dopo il felicissimo inizio, si vuole continuare sulla via della collaborazone fra i due Paesi, converrà tener conto ed appagare queste aspirazioni jugoslave, le quali d'altronde non misconoscono affatto la nostra parte di profitto. Lo stesso on. Tomasevié tende a rilevare che dall'intreccio stretto degli interessi economici sarebbe derivato a noi profitto materiale e una cospicua influenza sulla politica jugoslava.

Queste idee sono inoltre ispirate al programma economico del Presidente del Consiglio, on. Stojadinovic, che ha per meta lo sviluppo dello sfruttamento delle risorse naturali del Paese. Di questo programma alcuni punti sono già stati attuati e precisamente l'ampliamento delle Ferriere di Zenitza e la costruzione dello stabilimento di elettrolisi del rame, alla quale l'an. Stojadinovic ha costretto la società francese delle miniere di Bor. Aiutando il governo jugoslavo nella realizzazione di questo programma economico, noi potremo contare sul suo pieno appoggio ed ottenere ogni sorta di facilitazioni consentite.

Pur non dimenticando che la nostra attuale situazione finanziaria e valutaria non consente con facilità l'esodo di capitali dal Paese, tuttavia ritengo che non si debbano trascurare i notevoli vantaggi economici e politici che potremmo ritrarre dall'impiego di capitali nelle imprese jugoslave.

Osservo a questo proposito che il problema è forse meno arduo di quanto si possa supporre. La Jugoslavia passa generalmente per un Paese povero di capitali, ma questa designazione è vera solo in parte. Ciò che manca quasi affatto in Jugoslavia è la fiducia delle classi agiate e risparmiatrici verso l'apparato bancario e verso l'industria che, d'altronde, è nella maggioranza in mani straniere più o meno sfruttatrici. Sotto i governi passati mancava pure la fiducia verso la direzione delle pubbliche finanze e l'emigrazione dei capitali all'estero, sia pure clandestina, è stata fiorente specialmente nel 1932, quando il dinaro veniva deprezzato all'interno e all'estero. Ora questi capitali stanno ritornando, ma vengono impiegati sovratutto in costruzioni edilizie in mancanza di altro sicuro investimento. Questi capitali si dirigerebbero volentieri verso imprese ben fondate ed appoggiate a forti gruppi italiani, se queste imprese saranno disposte ad aprire le porte al capitale nazionale. Si tratterebbe quindi piuttosto dell'impiego iniziale di mezzi finanziari, che poi potrebbero ~ssere gradatamente ritirati.

Viene cosi sul tappeto il problema della creazione di una nostra banca che si assuma la funzione d'intermediaria fra il capitale italiano e quello jugoslavo; questo riuscirebbe in breve ad attirare i capitalisti e i risparmiatori jugoslavi che le affiderebbero il loro denaro che potrebbe essere poi incanalato verso la suddetta impresa.

Di una banca italiana mi ha parlato in questi giorni anche il Governatore di questa Banca Nazionale, dottor Radosavlijevié, a proposito della partecipazione dell'industria italiana alle forniture pubbliche in Jugoslavia, specialmente a quelle che vengono pagate con Buoni del Tesoro. Mi ha citato l'azione svolta in questo campo dalla Dresdner Bank, la quale assume questi Buoni rendendo così più facile l'accaparramento di tali forniture all'industria germanica.

Poiché di tutti questi problemi dovrebbe occuparsi il Comitato economico itala-jugoslavo, da istituirsi in virtù dell'Accordo Complementare del 24 marzo, sarebbe opportuno che fossero sottoposti a studio da parte degli organi competenti.

I Vedi p. 499, nota 2.

512

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

T. 834/68 R. Roma, 25 aprile 1937, ore 2. Suo telegramma n. l05 1• Apprezzo Sue intenzioni, ma -tutto considerato -ritengo meglio lasciar

cadere, in ogni caso per ora, iniziativa convenzione culturale. Se del caso, con la Grecia stringeremo a suo tempo un patto più sostanzioso e concreto, sincronizzandolo con gli altri nostri impegni adriatici e mediterranei.

513

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2890/80 R. Bucarest, 25 aprile 1937, ore 13,45 (per. ore 14,15).

Colonnello Beck 2 mi ha detto confidenzialmente che il ministro Affari Esteri svedese ha studiato formula che presenterà alla prossima riunione ginevrina in base alla quale ex Stato etiopico sarebbe considerato estinto, ciò che potrebbe facilitare partecipazione attiva italiana ai lavori S.d.N. La formula ministro degli Affari Esteri svedese riscuote approvazione Beck, il quale mi ha anche confidato risultargli Inghilterra è stata consultata ed è in massima disposta assecondare iniziativa svedese.

514

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2899!81 R. Bucarest, 25 aprile 1937, ore 21,45 (per. ore 2 del 26).

Dallo scambio di brindisi tra Beck ed Antonescu 3 (vedi trasmissione Stefani), mentre risulta la identità vedute dei ministri Esteri nella valutazione rispettivi

I T. 2806/105 R. del 21 aprile. Il ministro Boscarelli riferiva di aver prospettato a Metaxas, parlando a titolo personale, l'idea di sottoscrivere una convenzione culturale con l'Italia.

2 In visita ufficiale a Bucarest, vedi D. 514.

3 Beck era stato in visita ufficiale in Romania dal 22 al 25 aprile. Per il testo del comunicato ufficiale si veda Relazioni Internazionali; p. 328.

interessi delle due nazioni e circa funzioni dell'alleanza polacco-romena, appare invece profondamente sostanziale la differenza circa metodo organizzazione pace Europa, avendo Antonescu insistito sulle note ideologie internazionalistiche, mentre Beck ha parlato con tagliente decisione circa necessità adottare metodo nuovo. Questo appariscente divario di indirizzo ha suscitato in questi circoli diplomatici molto interesse e, nei circoli governativi (Tatarescu sembra fortemente impegnato verso Praga) qualche contrarietà.

Beck ha tenuto a dirmi che egli aveva autorizzato Antonescu a cancellare dal progetto del discorso tutto quanto fosse ritenuto meno che soddisfacente. Ma Antonescu non aveva nulla modificato.

Beck, pur senza fare allusioni all'emozione suscitata dalle sue parole, mi ha detto che aveva voluto pronunciare un discorso realistico e dire la verità. Mi ha confidato poi che, nella lunga conversazione con il Re, non aveva mancato di precisare i suoi concetti ed aveva trovato Re Carol pienamente e decisamente favorevole al suo modo di vedere. Beck lo considera l'unica vera personalità politica in Romania e ritiene che su Re Carol debbasi fare leva e presa per indurre questa gente a porsi su di una direttiva di realismo.

Romania può diventare un diaframma di qualche valore verso la Russia e conviene perciò aiutarla nel suo sforzo di riarmo. Occorre inoltre rafforzare all'estero autorità Re Carol affinché possa avere di conseguenza sempre maggior presa nella vita interna del Paese.

Beck non l'ha detto, ma non può essergli sfuggito lo scomposto agitarsi di Titulescu che questo momento si agita a Parigi come se fosse tuttora ministro degli Affari Esteri romeno.

In conclusione, Beck che, era qui venuto unicamente per compiere un gesto formale, parte convinto, in seguito agli scambi di vedute con il Re, che la Romania anche essa diventa pedina di qualche importanza nel nuovo schieramento che si delinea in Europa.

Da parte mia, ho insistito sulla debolezza della situazione interna romena e su certi errori di indirizzo del Re, nonché sui pericoli tuttora in atto dell'adescamento di Parigi e di Praga. Beck parte tuttavia ottimista.

515

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO

TELESPR. RISERVATO 213907/28. Roma, 26 aprile 1937

L'inizio della Missione affidata a V.E. quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario di S.M. il Re Imperatore in Brasile trova quello Stato, dal punto di vista della politica internazionale all'indomani -o quasi -della Conferenza Interamericana per la Pace tenutasi a Buenos Aires nel dicembre scorso e dal punto di vista della politica interna alla vigilia delle elezioni presidenziali.

Ambedue gli avvenimenti hanno una importanza non trascurabile per un esame generale iniziale della situazione in Brasile: mentre, infatti, durante la Conferenza di Buenos Aires i Paesi del continente americano hanno avuto occasione di porre in evidenza e in alcuni casi di meglio definire il proprio atteggiamento nel campo internazionale, il periodo della campagna elettorale per la scelta del Primo Magistrato costituisce, periodicamente, nella vita di un Paese sud-americano, il momento di maggiore delicatezza e nervosismo.

Il R. Ministero desidera quindi che l'attenzione di V.E. sia in primo luogo portata all'esame della situazione del Brasile di fronte a questi due importanti aspetti della propria vita: solamente, infatti, da un attento esame e da una approfondita conoscenza degli atteggiamenti di un Paese nel campo internazionale e dello svolgersi della sua vita politica all'interno, si può passare all'esame delle nostre possibilità di penetrazione, sia economica che politica. E ciò specialmente in un Paese del continente americano, dove la vita politica essendo ancora in una fase di sviluppo e di transizione, l'interdipendenza fra benessere e malessere politico è portata al massimo grado: le notorie e periodiche rivoluzioni sud e centro americane, più che a fermento di idee sono dovute a mancanza o ad abbondanza di mezzi finanziari da parte del Governo al Potere.

Politica estera

V. E. non ignora come, durante il periodo delle sanzioni, il Brasile si sia trovato, nei nostri riguardi, e di fronte alle altre Nazioni del Sud America, in una posizione del tutto speciale: non appartenendo alla Lega delle Nazioni, esso ha voluto -ed ha potuto-svolgere una politica indipendente dall'organismo ginevrino. Malgrado tutti i richiami e tutte le richieste che giungevano da Ginevra, il Brasile non solamente non ha aderito alla politica sanzionista ma ha -in conseguenza sviluppato col nostro Paese una intensificata corrente di traffici che se hanno portato, in quel momento, all'Italia, un vantaggio morale e materiale che non deve venire trascurato e la cui importanza non va dimenticata, hanno anche giovato in maniera non indubbia alla economia brasiliana.

Il Governo di Rio de Janeiro, del resto, pur obbedendo a ragioni ideali di attaccamento all'Italia e di riconoscimento dell'apporto enorme dato dagli italiani allo sviluppo e al benessere attuale del Brasile, col proprio atteggiamento antiginevrino -durante il conflitto etiopico -non ha fatto che sviluppare e mantenere fede alla propria linea di politica estera.

E se -in conseguenza --al momento del conflitto, all'Italia è convenuto dara una importanza primordiale alle ragioni ideali della condotta del Brasile nei nostri riguardi, oggi -a conflitto terminato -è bene provvedere ad un riesame generale delle reali direttive della politica estera di quel Paese e studiare se e come esse possano essere adoperate a nostro vantaggio, sia in America che in Europa. Tanto più che, fino ad oggi, il Governo di Rio non ha ancora riconosciuto l'Impero Italiano. Da parte di uno Stato quale il Brasile, che durante il conflitto etiopico non ha partecipato alle sanzioni, sembra legittimo attenderci un riconoscimento esplicito e non tardivo dell'Impero. Pur senza intervenire direttamente in materia e senza menomamente dare l'impressione che il R. Governo annette a ciò una importanza primordiale, V.E. vorrà quindi studiare la possibilità di ottenere tale riconoscimento.

La Sua attività in questo senso Le darà certamente, così, la possibilità del riesame generale delle reali direttive della politica estera brasiliana a cui si accennava più sopra, e di vedere se e fino a qual punto essa sia capace di seguire una via indipendente dalle influenze di altri Stati.

Come V.E. non ignora, il Brasile può essere considerato, nel sub-continente americano, una specie di longa manus degli Stati Uniti dell'America del Nord; la pedina avanzata della quale il governo di Washington si serve per portare avanti ed espandere il proprio predominio politico ed economico su tutto il continente americano. Capitale e politica nord-americani sono, del resto, preponderanti in Brasile e sono fra i principali inspiratori dell'atteggiamento di quel Paese nelle questioni di politica internazionale. L'uscita del Brasile da Ginevra fu -a suo tempo -più o meno direttamente una conseguenza di questa situazione. E se, durante il conflitto etiopico, gli Stati Uniti avessero deciso di sviluppare una politica ginevrina e sanzionista, non si può affermare che il Brasile non avrebbe seguito sulla stessa rotta, a più

o meno lunga scadenza la potente amica ed inspiratrice del Nord. Una prova della influenza Nord-Americana sul Brasile la si è avuta, del resto, durante la recente Conferenza di Buenos Aires.

Questa Assemblea, convocata, all'inizio, dal Presidente Roosevelt a soli scopi di politica elettorale interna, al momento della sua realizzazione, e per speciali ragioni contingenti di tempo e di data, (eco non spenta del conflitto etiopico, situazione molto tesa in Europa, rivoluzione spagnola, ecc.), si è trovata ad essere -ed è stata in realtà -il terreno d'incontro delle correnti filo ed antieuropee dei vari Stati del Continente americano. E più specialmente dell'Argentina e dei suoi clienti da una parte e degli Stati Uniti ed i suoi clienti dall'altra: dell'Argentina che, a causa principalmente dei suoi stretti contatti con l'Inghilterra, si faceva araldo, attraverso il suo ministro degli Esteri Saavedra Lamas, di una politica americana di stretta ed immediata collaborazione con l'Europa e con la S.d.N.; degli Stati uniti che, attraverso la parola del Presidente Roosevelt ed i silenzi del signor Cordell Hull, propugnava più o meno apertamente, una politica di stretta collaborazione interamericana e di isolamento dal Continente europeo.

Fra i clienti degli Stati Uniti, il Brasile ha rappresentato, a Buenos Aires, l'ala estremista, dichiarando la sua adesione ad un progetto -che per lo svolgersi degli avvenimenti non fu poi nemmeno ufficialmente presentato -col quale si proponeva la creazione di una Società delle Nazioni Americane in contrapposto a quella europea -di Ginevra.

Il bilancio della Conferenza di Buenos Aires, si risolse, poi, in una specie di compromesso fra le due tendenze: non collaborazione stretta con l'Europa, ma nemmeno isolamento dagli affari d'Europa: un patto consultivo interamericano ed una convenzione di neutralità rappresentano -sulla carta -un simile compromesso, che risulta tanto più evidente quando si consulti, di ambedue il primitivo progetto originale presentato dagli Stati Uniti.

Da questa soluzione di compromesso, il Brasile, estremista, non uscì con eccessivi onori. La posizione dei rappresentanti del governo di Rio, alla Conferenza, fu necessariamente di secondo piano. L'allora ministro degli Esteri, Macedo Soares, dovette contentarsi di una parte di primo piano solamente nelle conversazioni per la pace nel Chaco che ebbero luogo -senza risultato pratico -contemporaneamente alla Conferenza principale.

La posizione odierna del Brasile, in tal maniera, sembra essere, di fronte alle altre Nazioni dell'America del Sud, e specialmente di fronte all'Argentina leggermente incerta e non ben definita.

Vostra Eccellenza vorrà seguire lo sviluppo di una simile situazione ed informarne il R. Ministero, che desidera dall'E.V., a suo tempo, un quadro completo ed una ampia disamina della attività del Brasile nel campo internazionale, sia nei nguardi delle varie Nazioni americane, sia nei riguardi dell'Europa e specialmente dell'Italia.

Allo stato attuale delle cose-e salvo cambiamenti fondamentali nella politica europea -è forse interesse dell'Italia che nessuna delle due correnti americane delineatesi alla Conferenza di Buenos Aires abbia un deciso sopravvento: un prevalere della corrente collaborazionista argentina significherebbe difatti un avvicinamento più o meno collettivo all'organismo di Ginevra nella sua attuale formazione e nella sua attuale mentalità. Un prevalere invece della tesi di isolamento completo dall'Europa risulterebbe egualmente dannoso poiché significherebbe il predominio assoluto incontrollabile e completo degli Stati Uniti su Paesi come quelli dell' America Latina dove l'Italia ha interessi morali, economici e politici da tutelare.

Salvo -ripeto -cambiamenti fondamentali nella politica europea, V.E. vorrà tener conto di quanto precede nello svolgimento della sua attività in Brasile. Né vorrà tralasciare di mettere in evidenza presso gli uomini politici del Paese dove è accreditato che, al disopra di ogni interesse economico, finanziario e politico, è loro convenienza di tener presente e valorizzare al massimo, nei rapporti con le altre Nazioni Sud e Centro Americane, la comune origine latina e mediterranea della stragrande maggioranza dei propri cittadini. Sono in fondo la influenza inglese in Argentina e quella americana in Brasile ed in Cile, che mantengono divise e quasi rivali le tre principali Repubbliche Sud Americane, ed hanno, a varie riprese, frustrato i tentativi di reali contatti e di salda unione fra di loro e la creazione effettiva di quella formazione politica a cui venne dato il nome di «A B C».

In un momento, ora, in cui da una parte il comunismo sta portando ogni suo rinnovato interesse al Continente Sud-Americano, e dall'altra i Paesi anglosassoni negano la esistenza di un reale pericolo comunista (vedi opposizione motivata in tal senso da parte degli Stati Uniti a che nella Conferenza di Buenos Aires venissse discussa una mozione anticomunista), gli Stati dell'America del Sud possono -e forse debbono -trovare nella loro latinità la resistenza alla propaganda rossa.

Essi sono inclini a considerare il fascismo come il contrapposto della democrazia. Occorre spiegar loro che il fascismo non è antidemocratico, ma anticomunista, e che, essendo un fenomeno latino e Mediterraneo può facilmente essere compreso -e all'uopo applicato -da Paesi come quelli latino americani dove gli abitanti sono in maggioranza assoluta di origine latina e Mediterranea.

Politica interna

Come è stato precedentemente accennato V.E. troverà il Brasile in piena lotta politica per le elezioni presidenziali.

Il meccanismo delle costituzioni americane è congegnato in modo che la elezione di un nuovo Presidente è, praticamente, nelle mani del Presidente in carica. È questi, in fondo, che designa il proprio successore. Salvo, si intende, che, nell'intermezzo, un pretendente opposto non organizzi una rivoluzione o un colpo di stato.

Il Brasile è oggi in una posizione del genere. Arbitro della situazione attuale è il Presidente della Repubblica Getulio Vargas. Abile, furbo, intelligente, egli ha sviluppato al massimo le qualità di politicante che sonnecchiano in ogni sud-americano e, con un accorto gioco di equilibrio di uomini e di partiti, è riuscito sino ad ora a mantenere ben salda la propria posizione politica, anche perché ha prorogato, a fine marzo, e per tre mesi ancora, lo stato di guerra che dura in Brasile da circa un anno. Un tale stato d'assedio proclamato in seguito ai noti moti a sfondo comunista verificatisi a Rio de Janeiro, costituisce un'arma di primo piano per il Goveno al Potere, non solamente contro gli elementi estremisti, ma anche contro i possibili oppositori del Presidente Vargas e dei suoi partigiani nei vari Stati Federali.

Il problema della successione presidenziale è così, al momento in cui V.E. si appresta a partire, ancora avvolto in una vasta nube di incertezza.

Interessa tale problema al R. Governo anzitutto per le evidenti ripercussioni che il risultato delle elezioni può avere sulla vita del Brasile, ma anche perché l'avvenimento può costituire come la pietra di saggio per un nuovo elemento recentemente rivelatosi nella vita politica brasiliana e cioè l'Integralismo.

Su questo movimento a base autoritaria è stata comunicata a V.E. la relazione presentata al R. Ministero dal signor Gomez che ha compiuto recentemente in Brasile un viaggio che aveva lo scopo di studiare e prendere contatto con l'Integralismo.

È stato anche fatto conoscere all'E.V. che all'Integralismo stesso il R.Ministero ha deciso di dare un aiuto materiale sotto forma di contributo finanziario.

Uno studio approfondito su questo movimento, nonché una completa esposizione su quella che è la sua vera essenza e le reali possibilità di espansione nel Paese, sono condizioni essenziali perché il R. Ministero possa giudicare della convenienza di intensificare il proprio interessamento a questo Partito che sembra la prima seria espressione nel Continente americano di un movimento inspirato ai principi del Fascismo, al di fuori degli stretti personalismi a cui fino ad ora ha sempre obbedito ogni azione politica in Sud America.

A parte quelli che possono essere i contatti con l'Integralismo e gli uomini che vi sono a capo (sulla maniera, diretta o indiretta, di mantenere questi contatti V.E. giudicherà personalmente sul posto), occorre tener presente che al momento attuale si è inclini, in tutto il Continente americano a caratterizzare come «fasciste» molte misure a carattere autoritario, che sono in realtà provvedimenti presi dalle solite dittature militari o semi-militari caratteristiche di quei Paesi, più che nell'interesse reale del Paese, a solo scopo di salvaguardia personale. Così, ad esempio, a qualche provvedimento preso dal Presidente Vargas, dopo i moti comunisti di Rio de Janeiro dello scorso anno, non è stato esitato, in qualche ambiente, attribuire la qualifica di «Fascista».

Il «Fascismo» in realtà, nel Continente americano, non è ancora conosciuto nelle sue vere finalità e nella sua vera essenza. L'Integralismo è un inizio, ed è perciò che merita di essere seguito. Ma in genere, quando si parla di «Fascismo» in Sud America, si parla di questa o quella persona che ha tendenze politiche a carattere Fascista. Tutto il resto degli uomini politici ignora quasi completamente che cosa siano teoria e pratica Fascista.

Più quindi che un lavoro di persuasione momentanea di questa o quella persona -lavoro che non va tralasciato e che ha anche esso i propri frutti ed i propri scopi-occorre svolgere in tutti i Paesi dell'America Latina, un lavoro in profondità che non deve arrestarsi o contentarsi del solo consenso vago e nebuloso di uno o due uomini politici aventi una influenza più o meno grande nella vita del Paese.

Per il lavoro di divulgazione e di volgarizzazione delle idee del Fascismo in mezzo ai vari strati della popolazione e specialmente in mezzo alle masse studentesche di dove usciranno i governanti di domani, l'Integralismo può essere di grande ausilio. Ed è anche per questo che il R. Governo si interessa a quel movimento.

Non va inoltre tralasciato che il fermento che le elezioni presidenziali stanno creando e sempre più creeranno in tutti gli strati della popolazione possono servire a sperimentare -o per lo meno ad esaminare -quale effettiva influenza abbiano gli elementi italiani nella vita politica del Brasile, e a saggiare la possibilità di servirsi di essi per influenzare in un senso o nell'altro le correnti della opinione pubblica locale.

Il R.' Ministero si rende perfettamente conto delle difficoltà e della delicatezza di un simile esame. Desidererebbe però che l'E.V. portasse sul problema tutta la sua attenzione e ne riferisse a suo tempo.

L'opera di V.E. in questo campo dovrà contribuire a mettere in chiaro che cosa rappresentino, ai nostri fini, le collettività viventi in Paesi come quelli dell'America Latina dove l'elemento italiano ha avuto tanta parte, e fino a quel punto si possa pensare ad utilizzarle per svolgere colà una attività che possa non solamente limitarsi ai campi puramente culturali e commerciali, ma tener anche conto dell'apporto di sangue e di attività che la nostra emigrazione ha -a suo tempo -quasi gratuitamente donato ai paesi dell'America Latina.

Un simile esame richiama del resto l'attenzione sul problema costituito in Brasile -e in tutta l'America -dai «figliuoli di italiani» che per il fatto di essere nati in Paesi dove vige la dottrina del jus foci hanno, di diritto, la cittadinanza del Paese di nascita oltre a quella italiana. In realtà, salvo poche eccezioni, in tutta l'America Latina questi «figliuoli di italiani» si sentono -nazionalmente parlando -molto più attaccati al Paese dove sono nati, che all'Italia. In molti di essi però-specialmente in quelli di terza o quarta generazione -si nota un attaccamento spirituale alla Patria dei propri genitori che non va certo tralasciato.

Fino a che punto sia ora possibile utilizzare queste masse di «figli di italiani», in quale maniera si possa influenzarle in nostro favore è uno dei quesiti in atto -nei riguardi del Brasile -che V.E. vorrà considerare nel suo esame della situazione politica di quel Paese, e nelle relazioni che indirizzerà al R. Ministero sull'argomento.

Ciò naturalmente senza pregiudicare l'insieme dei provvedimenti che il R. Ministero ha già preso e pretenderà in seguito per salvaguardare in mezzo ad essi la conservazione della nostra lingua e della nostra cultura (scuola, istituti di cultura, ecc.).

Nelle pagine che precedono il R. Ministero non ha inteso dare alla E.V. delle «istruzioni» a carattere fisso e determinato, ma solamente fornire un quadro per quanto possibile completo della maniera con la quale si vedono a Roma i principali problemi di politica estera ed interna del Brasile. V.E. potrà, con l'esperienza che le verrà dalla permanenza sul posto, contribuire a modificare tutti o parte degli aspetti di tale quadro che risultassero incompleti o unilaterali.

516.

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3060/034 R. Bruxelles, 27 aprile 1937 (per. il 3 maggio). Mio telegramma per corriere n. 032 del 18 corr 1•

Eden che ha passato qui due giorni, ne è ripartito testè. Lo scopo della sua visita è stato principalmente di carattere dimostrativo: quello cioè di mettere bene in luce che lo svincolo del Belgio dai suoi impegni locarnisti lascia del tutto intatti i legami di amicizia intercedenti fra di esso e Londra e Parigi. Sotto tale punto di vista prende particolare valore la dichiarazione di Spaak nel suo brindisi ad Eden: «Certo, l'Inghilterra e la Francia ci hanno liberato da alcuni nostri obblighi giuridici, ma esse si sono acquistati dei nuovi diritti alla nostra amicizia ed alla nostra riconoscenza. I nostri tre Paesi, in piena comunanza di vedute, hanno desunto dalle realtà dell'ora le conclusioni che si impongono».

Ora non va dubbio che fra le questioni esaminate hanno primeggiato: l) le possibilità di un nuovo Locarno; 2) un'intesa generale di cooperazone economica; 3) l'interpretazione dell'art. 16 del Covenant.

Sulla prima, lo stesso Eden è stato con me abbastanza esplicito. Ostentando visibilmente una particolare premura, egli me ne ha intrattenuto, insistendo sul punto che io dovevo considerare la dichiarazione franco-inglese 2 , che egli non aveva mancato di comunicare previamente al conte Grandi, come una «tappa» verso quella sistemazione integrale occidentale, che era nei suoi migliori voti. Eden ha creduto di meglio precisare il suo pensiero, aggiungendo che alludeva ad una piena intesa «fra i cinque». Evidentemente, ha voluto così !asciarmi comprendere che egli conta tuttora sulla partecipazione del Belgio all'eventuale nuovo Locarno e ciò a malgrado la nuova politica del governo di Bruxelles e l'ormai raggiunto svincolo dei suoi obblighi locarnisti.

D'altra parte, mi è stato riferito che Eden avrebbe esaminato con i due ministri belgi sovratutto formule atte a portare la Germania sulla stessa linea franco-inglese, nei riguardi della sicurezza del Belgio. A tale riguardo sarebbe stata esaminata la possibilità di una catena di patti di non aggressione.

Sulla seconda questione, cui pure Eden ha alluso meco, ho raccolto informazioni che coincidono nel senso che van Zeeland abbia messo al corrente il ministro britannico dei risultati delle prime indagini da lui compiute presso lo Schacht 3 , nonché di quelli raggiunti dal suo incaricato sig. Frère a Parigi, prendendo accordi sulla procedura da seguirsi nell'inchiesta e nell'elaborazione dei dati eventualmente raccolti.

I T. per corriere 2990/032 R. del 18 aprile. Riferiva che Spaak gli aveva annunciato il prossimo arrivo a Bruxelles di Eden in visita ufficiale. Con tutta probabilità, la visita avrebbe avuto come scopo principale di indurre il governo belga ad un'interpretazione meno limitata dell'art. 16 del Covenant.

2 Vedi p. 635, nota 3. Il testo della nota era stato comunicato dal Foreign Office all'ambasciata italiana poche ore prima della pubblicazione (T. 2884/331 R. del 24 aprile, da Londra). 3 In occasione della visita di Schacht a Bruxelles del 13-14 aprile (su la quale si vedano i DD. 464 e 477).

Senonché la questione che ha maggiormente occupato Eden è stata indubbiamente quella relativa all'interpretazione dell'art. 16 del Belgio, in rapporto al suo nuovo statuto internazionale.

I reali risultati delle suggestioni e delle pressioni dell'Eden appariranno chiaramente nelle imminenti dichiarazioni di Spaak a questa Camera. Difatti, dalle modificazioni che questi apporterà al suo pensiero circa i limiti dell'art. 16-quale da lui confidatomi e da me riassunto a V. E. col telegramma n. 033 del 24 corr. 1 si avrà un sicuro indizio non solo del successo o meno avuto dall'Eden nell'azione esercitata su questo governo, ma sovratutto della funzione che il governo britannico conta affidare all'art. 16 onde correggere le conseguenze che potrebbero derivare ai suoi danni dalla nuova situazione internazionale del Belgio.

Ad ogni modo è sintomatico che Eden abbia risposto a questo ministro di Germania di essere il governo britannico contrario ad ogni interpretazione dell'art. 16 stante le conseguenze che ne potrebbero derivare.

Credo che Eden abbia voluto alludere esclusivamente ad un'interpretazione «ufficiale» da parte del Consiglio di Ginevra, dovendosi escludere che egli abbia voluto riferirsi alle interpretazioni dei singoli membri di Ginevra, e sovratutto, nel caso in esame, all'Olanda che ha già manifestato il suo preciso pensiero circa il predetto articolo, ad al Belgio, che si accinge a farlo, qualora lo Spaak voglia usufruire effettivamente della dichiarazione fatta da van Zeeland alla Camera nel dicembre scorso: il Belgio non può che riservarsi di interpretare il patto, e specialmente l'art. 16, in modo autonomo e nella pienezza della propria sovranità nazionale (mio telegr. n. 087 del 4 dicembre) 2• Del pari risulta che Eden abbia chiesto allo Spaak precisi chiarimenti circa il modo con cui il Belgio intenda dar seguito alla dichiarata volontà «di difendere le frontiere del Belgio contro ogni aggressione od invasione e d'impedire che il territorio belga sia utilizzato in vista di un'aggressione contro un altro Stato, come passaggio o come base di operazione per terra, per mare o nell'aria». Per quanto riguarda la difesa per terra mi è stato riferito che lo Spaak gli abbia dichiarato che accordi di Stato Maggiore, a fini politico-militari, non potranno assolutamente più aver luogo, ma che il Belgio si riserverebbe la libertà di procedere a quelle comunicazioni, specie circa la consistenza effettiva dei suoi armamenti, che gli paressero necessari ai fini stessi della sua difesa.

Per la parte aerea, non mi è stato possibile avere informazioni di serio affidamento. Ad ogni modo pare sicuro che il Belgio contempli l'apprestamento di numerosi campi di atterraggio sulla costa marittima. Del pari mi è stato confidenzialmente accennato da buona fonte che oltre ad un segre-to accordo firmato circa due anni fa fra le amministrazioni postelegrafoniche belga ed inglese, per un'immediata segnalazione di ogni indizio di trasvolo da parte di aeroplani di altra nazionalità, sarebbero ora in corso intese, fra le stesse due amministrazioni, per l'impianto di modernissime stazioni di ascolto, con speciali apparecchi capaci di registrare le benché minime vibrazioni si producessero nell'aria. Il ministro di Germania, che è venuto stamane a vedermi, si è mostrato meco soddisfatto ed anche alquanto ottimista. In succinto egli

l Vedi D. 505. 2 Vedi serie ottava, vol. V, D. 538.

pensa che si è pervenuti, malgrado tutto ad una situazione che appariva chimerica non più tardi di sei mesi fa, che è ormai un fatto che il Belgio non interverrà in alcun conflitto che non sia strettamente dipendente da un'aggressione commessa contro il suo proprio territorio; che la dichiarazione franco-inglese segna una tappa non già in rapporto ad un accordo integrale di sicurezza occidentale, ma ad un'ulteriore liberazione degli obblighi provenienti al Belgio dalla sua appartenenza a Ginevra; e che se i giornali tedeschi si mostrano inquieti circa i permanenti impegni ginevrini del Belgio, ciò devesi soprattutto attribuire all'interesse di «provocare opportune reazioni nell'elemento fiammingo belga».

Circa un'eventuale dichiarazione del Reich del genere di quella franco-inglese, il mio collega di Germania mi ha detto ben poco. Ha rilevato solo che il Belgio non aveva fatto finora alcun passo per ottenerla, ma che Eden gli aveva detto che erano state esaminate nuove formule, probabilmente un meccanismo di patti di non aggressione che egli avrebbe sottoposto al suo Governo, e di cui poscia avrebbe intrattenuto l'ambasciatore del Reich a Londra. Evidentemente trattasi -il barone Richthofen ha concluso di qualche formula atta ad escludere ogni contro-dichiarazione da parte del Belgio nei rispetti della Germania. Egli ha così alluso ad un impegno del Belgio a non dare alcuna assistenza militare a nessuna delle parti contraenti nel caso in cui un conflitto sorgesse fra le Potenze garanti, conformemente a quanto trovasi specificato nel memorandum tedesco a Londra del IO marzo u.s.

D'altra parte, desidero segnalare che la teoria giusta la quale l'attuale dichiarazione franco-inglese non sarebbe che una tappa per un'ulteriore emancipazione del Belgio anche da ogni obbligo ginevrino è condivisa da personaggi di questa Corte. In tal senso, benché in via del tutto riservata si è espresso meco iersera lo stesso Gran Maresciallo.

Senonché la mia impressione rimane quella che ho sottoposto a V.E. fin dall'inverno scorso con mio telegramma n. 080 del 25 novembre u.s. 1 nel riferire «Non vi è dubbio che la Francia ha qui perduto molto terreno, ma è da chiedersi sino a qual punto tale atteggiamento belga non sia in stretto rapporto con l'evolversi della politica generale delle grandi Potenze, e sovrattutto della posizione della Francia, e quindi soggetto a, modificazioni anche in senso inverso».

Ora, nel caso in esame, è da ritenersi che il Belgio sarebbe di certo andato più oltre nel recupero della sua indipendenza o neutralità volontaria, specie rispetto a Ginevra, se nel frattempo il governo britannico non avesse ripetutamente smentito ogni pretesa sua tendenza a meglio intendersi con la Germania e se non lo avesse chiaramente provato, sia con lo stringersi strettamente alla Francia e sia col farsene assiduo e vivace portavoce presso il governo di Bruxelles, il quale è a sua volta ben consapevole come le note disposizioni delle Fiandre verso la Germania possono essere solo in certa misura controbilanciate dal prestigio che gode tuttora su di esse la voce di Londra.

Ed in tutto questo quadro non va dimenticato il grave peso che su ogni decisione belga apporta la risentita preoccupazione della difesa del Congo, specie quando l'eventualità della perdita di quel meraviglioso possesso sia sapientemente usata a guisa di avvertimento o di minaccia.

I Vedi ibid., D. 477.

517.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2017/632. Berlino, 27 aprile 1937 (per. il 29).

Mio telegramma di ieri n. 184 1•

Ho creduto opportuno dopo la pubblicazione della nota franco-britannica sul nuovo statuto internazionale del Belgio 2 , di avere subito una conversazione con Gaus di cui ritengo utile riferire all'E.V. le prime impressioni, da lui naturalmente comunicatemi a titolo personale e senza alcun impegno.

Il Gaus, che è il purus jurista dell'Auswiirtiges Amt, ha incominciato coll'osservare che in fondo, giuridicamente, data la «larghezza» del suo contenuto, il documento franco-belga potrebbe persino non essere ritenuto valido, in quanto non emanante da tutti i contraenti che avrebbero dovuto concorrervi. Questa osservazione si riferisce, sia a noi, sia alla Germania.

A noi perché, dato che il documento franco-britannico non si limita a svincolare il Belgio dalle obbligazioni contratte il 19 di marzo 1936 a Londra 3 , ma anche da quelle che il Belgio aveva assunto originalmente col trattato del 1925 a Locarno, sarebbe stata a stretto rigore necessaria la partecipazione al documento almeno dell'Italia, la quale non essendosi, come la Germania, svincolata unilateralmente dal trattato ne rimane ancora parte a tutti gli effetti ciò che del resto fu confermato a suo tempo anche a Londra dal nostro rappresentante ambasciatore Grandi nel marzo 19364 . L'Italia, è vero, non è parte nell'atto -aggiuntivo -londinese del 19 marzo ma ciò non toglie che essa rimanga parte dell'atto principale, che è il Trattato di Locarno.

Comunque, questa è una questione che riguarda l'Italia e non la Germania oppure riguarda quest'ultima nei soli limiti in cui l'assenza dell'Italia possa-una mera ipotesi -essere assunta a motivo di invalidazione del nuovo atto.

Quanto alla Gerniania, essa non avrebbe nulla da dire se effettivamente l'atto si limitasse a sciogliere il Belgio dai suoi obblighi così locarniani, come londinesi. Ma così non è in quanto nello stesso atto, oltreché svincolare il Belgio da ogni e qualunque obbligo proprio, i due governi dichiarano:

l) di mantenere nei riguardi del Belgio le obbligazioni di assistenza che essi avevano preso sia col patto di Locarno, sia cogli accordi del 19 marzo 1936;

1 Il T. 184 non è compreso nella raccolta dei telegrammi ma il suo testo fu ripetuto con T. 2938/185 R. del 27 aprile. Riferiva che il governo tedesco non era rimasto soddisfatto del documento franco-britannico soprattutto perché esso sembrava voler risolvere a due un problema che prima coinvolgeva quattro Stati.

2 Vedi p. 635, nota 3.

3 Vedi p. 388, nota 4.

4 Vedi serie ottava, vol. III, D. 491.

2) che tutto guanto è ora convenuto per riguardo al Belgio non altera in nulla i rapporti giuridici fra la Francia e l'Inghilterra.

Per entrambi questi punti si osserva pregiudizialmente che essi avrebbero potuto non esser compresi nello stesso documento con cui si liberava il Belgio dai suoi impegni. Non bisogna dimenticare-si dice-che, dopo tutto, l'idea della garanzia del Belgio è stata avanzata nel suo discorso del 7 marzo 1936 da Hitler, e che, d'altra parte, il voler mantenere unilateralmente la garanzia franco-inglese è cosa poco simpatica nei riguardi della Germania, in guanto in essa è implicita l'ipotesi di una aggressione del Belgio da parte tedesca.

Si osserva che, mentre lo slegamento del Belgio sarebbe stato un atto (salvo l'osservazione già fatta nei riguardi dell'Italia) di stretta competenza franco-inglese, la concessione della garanzia al Belgio sarebbe stato invece un atto suscettibile di essere utilmente trattato e risoluto a quattro. Che anzi, l'occasione sarebbe stata unica per dare l'inizio ad una fase di accordi europei ed entrare in un periodo di negoziazioni generali. Il non averlo fatto dimostra che la Francia e l'Inghilterra hanno voluto mostrare che le questioni riguardanti l'occidente dell'Europa possono benissimo essere risolute a due, e cioè senza il consenso né dell'Italia, né della Germania.

L'aver voluto poi ulteriormente, nel n. 5, i due governi riaffermare non solo la propria solidarietà ma i legami per così dire politico-militari che li uniscono, ha evidentemente la portata di una manifestazione politica, e di una netta contrapposizione dell'asse Parigi-Londra all'asse Roma-Berlino. È bensì plausibile che, per uno scrupolo giuridico, la Francia abbia potuto richiedere alla Inghilterra l'assicurazione che il ritiro di uno dei partecipanti all'atto principale di Locarno (il Belgio) non alterasse in nulla quello che a favore della Francia ancora rimaneva dell'atto stesso, ma, si ripete, non era comunque necessario che questo fosse compiuto nel documento medesimo di liberazione del Belgio.

In ogni caso, si osserva ancora che l'esistenza di questo atto a due mette la Germania e l'Italia di fronte ad un fatto compiuto e quindi nell'alternativa o di non associarsi alla decisione anglo-francese, oppure di sembrarne i pedissequi ed obbligati imitatori. Per questo, pur riconoscendosi l'opportunità di evitare, specialmente sulla stampa, atteggiamenti capaci di ricacciare il Belgio nelle braccia della Francia e dell'Inghilterra, si rende necessaria, da parte così italiana come tedesca, una grande ponderazione ed una grande cautela.

A queste osservazioni di indole generale altre altrettanto importanti -secondo il Gaus -possono farsene sopra punti determinati e precisamente:

l) Nel numero 4 del documento, nel momento stesso in cui si fa stato delle assicurazioni date al Belgio e che sono specificate nel numero precedente, si crea un legame di subordinazione fra il nuovo statuto del Belgio e l'adempimento da parte belga delle assicurazioni date, in tal guisa creando una specie di droit de regard da parte della Francia e dell'Inghilterra, il guale in determinate circostanze, potrebbe giungere fino ad un controllo sul modo di organizzare (lettera b, n. l dell'art. 3) la difesa del Paese e l'efficacia della medesima.

2) Anche per quanto riguarda l'assicurazione data dal Belgio nel n. 2 dell'art. 3 di mantenersi fedele al patto della Società delle Nazioni, si osserva che essa ~

molto vaga in quanto, in assenza di precisioni in proposito, la questione dell'art. 16 e della sua interpretazione rimane completamente aperta. La promessa, infatti, di voler «impedire che il territorio belga sia utilizzato, ai fini di un'aggressione contro un altro Stato, come passaggio o base d'operazione etc.» non ha nulla a che fare col gioco per dir così generale -e difensivo -dell'art. 16, gioco che dipende unicamente dal1e interpretazioni delle obbligazioni ch'esso comporta. Nessuno assicura che Francia e Belgio siano, in queste interpretazioni, d'accordo o che comunque il Belgio mantenga l'interpretazione propria anche di fronte e in opposizione al parere della Francia. Vero è che, su questo punto, il signor van Zeeland si è riservato, sembra, di dare delle precisazioni alla Camera nella giornata di giovedì. Sarà bene quindi stare a sentire quello che dirà, come pure attendere i risultati della visita di Eden.

Le cose starebbero tuttavia un po' diversamente se l'accordo costituito dal documento franco-britannico avesse carattere «provvisorio». Una interpretazione in questo senso sarebbe autorizzata da taluni fugacissimi accenni fatti verbalmente al ministro tedesco a Bruxelles dal signor van Zeeland, come pure dalla menzione contenuta nell'accordo di una tuttavia possibile «negociation et conclusion de l'acte général destiné à se substituer au traité de Locarno».

Ciò nonostante, gli stessi belgi vedono poco chiaro guanto al modus procedendi avvenire, e per conto loro non ne hanno, sin ad ora, indicato alcuno. Bisogna quindi, ancora una volta, andar molto cauti, rendendosi conto dei pericoli inerenti alla «frattura» -che il documento anglo-francese ha cercato di determinare nell'unità del trattato di Locarno e delle negoziazioni relative.

Queste le osservazioni Gaus che, ad ogni buon fine, riporto per intero anche se esse, come è possibile, non rispecchino su tutti i punti il pensiero ufficiale dell'Auswartiges Amt. Ad accertare il quale mi riservo avere questo pomeriggio un colloquio diretto con il barone von Nerurath.

P.S. -Ho visto Neurath in questo momento. Egli vede il documento anglo-francese con un occhio meno critico del Gaus, ma non ne sminuisce affatto la portata politica di manifestazione Parigi-Londra da una parte, e anti Roma-Berlino dall'altra. Mi ha domandato cosa se ne pensasse a Palazzo Chigi e se noi avremmo in una qualunque maniera mostrato di avvertire l'assenza dell'Italia dall'accordo.

Gli ho risposto che non ne sapevo nulla ma che, comunque, per me il punto principale restava che l'accordo a due aveva spezzato la possibilità di un accordo a quattro. Questo dal punto di vista generale. Dal punto di vista particolare italo-tedesco, ritenevo che la manifestazione voluta dare dall'altra parte dell'asse Parigi-Londra richiedeva una manifestazione corrispondente dell'asse Roma-Berlino, la quale avrebbe potuto essere opportunamente studiata a Roma, in occasione della sua visita.

Egli ne ha convenuto aggiungendo che, finora, l'unica norma di linguaggio da lui data ai suoi era che, nelle circostanze, l'iniziativa dell'azione stava in ogni modo al Belgio I.

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

518

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. l 090/509. Salamanca, 27 aprile 1937 (per. il 3 maggio).

Ho l'onore di trasmettere all'E.V. l'acclusa copia tradotta in italiano di una nota di questo Governo Nazionale, consegnatami ieri da Nicolas Franco, concernente le proposte fatte per la resa di Bilbao.

ALLEGATO

LA SEGRETERIA DEL GENERALISSIMO FRANCO ALL'AMBASCIATA D'ITALIA

25 aprile 1937 Proposte per la resa di Bilbao

Ai vari passi fatti con identico scopo e forma di quelli che attualmente si svolgono e per i quali è stata sempre nominata da parte di questo Quartier Generale persona che offrisse ai baschi piena garanzia, è stato invariabilmente risposto quanto appresso:

Se tutti i baschi che mantengono la guerra in quella regione o semplicemente i separatisti baschi che si fanno chiamare nazionali, si arrendessero verrebbe loro offerto:

N el! 'ordine penale

a) rispetto alla vita e alla proprietà di quelli che si arrendono e che non siano criminali.

b) I criminali e delinquenti verranno giudicati dai Tribunali.

c) I capi e dirigenti dovranno fuggire all'estero.

d) A coloro che non si costituissero e che oppongono resistenza verranno confiscati i beni per rispondere dei danni prodotti dalla guerra; essi verranno inoltre giudicati per delitto di ribellione.

Nell'ordine politico

a) La dichiarazione del Capo dello Stato del l o ottobre comprende la decentralizzazione amministrativa e la Biscaglia, se si arrende, potrà godere dei benefici di tale ordine con uguale trattamento delle altre regioni, giacché nel nuovo regime non ci saranno differenze di trattamento tra gli spagnoli.

b) Nello stesso modo, come viene annunciato in detta dichiarazione, i baschi come gli altri spagnoli parteciperanno allo Stato attraverso gli organi corporativi sindacali che costituiscono l'organizzazione dello stesso e nel quale godranno i benefici e miglioramenti sociali che il nuovo regime si propone, tanto il contadino come l'operaio.

Nell'ordine religioso

La religione cattolica è unita sostanzialmente alla Spagna e al nuovo Stato; godrà di un amplio regime e le verrà restituito in tutto il Paese il prestigio e il rispetto che le erano stati tolti 2 .

I Il testo originale della nota, in lingua spagnola, è pubblicato in RoVIGHI e STEFANI, pp. 582-583.

2 Una copia di questa nota fu consegnata dall'ambasciata al generale Bastico che la inviò tradotta, a Ciano con telespresso 5543 del 27 aprile. Nella sua comunicazione-che porta il visto di MussoliniBastico precisava che Franco aveva fatto avere la nota ai baschi «tramite il noto padre gesuita».

519

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 2957/165 R. Tokio, 28 aprile 1937, ore 10,15 (per. ore 11,40).

Ambasciatore dell'U.R.S.S. ritornato da Mosca, ha offerto di regolare le questioni di frontiera qualora il Giappone si impegni a non ampliare patto nippo-tedesco. Sembra che contenuto della risposta del Giappone sarà che esso è pronto a discutere per risolvere tali questioni ma non vuole fame oggetto di mercato e di impegni.

Suppongo offerta sovietica concertata con l'Inghilterra e forse anche in rapporto con suoi suggerimenti. E se è vero che Londra cercherà col suo nuovo ambasciatore di giungere ad una intesa col Giappone, non mi meraviglierebbe tentasse far avanzare qualche proposta anche dalla Cina. Una offerta dei tre Stati al Giappone di regolare i suoi conflitti con essi potrebbe tendere a non fargli più sentire il bisogno della Germania e dell'Italia, a distaccarlo dalla politica europea. C'è qualche liberale giapponese che ha simili speranze. Ma si inganna 1 .

520

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3012/07 R. Praga, 28 aprile 1937 (per. il l o maggio).

Mio telegramma n. 36 del 24 corr. 2

Queste sfere politiche e diplomatiche, esercitandosi alle più disparate congetture, si chiedono tuttora quale è la verità di ciò che il comunicato di Venezia 3 non dice. Vi è in giro una affannosa ricerca di notizie con effettiva preoccupazione negli ambienti locali, diffusa perplessità in quegli stranieri. Domina su tutto la sensazione che qualche cosa di serio va prendendo forma con polarizzazione di posizioni che erano rimaste finora dubbie ed incerte.

Il discorso di Milano 4 fu la prima scossa che turbò quella specie di ottimistica euforia di quieto e fiducioso vivere in cui si adagiavano questi dirigenti galvanizzati fra astruse alchimie di formule di patti e di intrighi. Si sperò, tuttavia, che la recisa

1 Il 15 maggio, l'ambasciatore Auriti telegrafava (T. 3301/1186 R.) di aver appreso che il governo giapponese non aveva accettato «la proposta sovietica di prendere impegni negativi nei riguardi del patto nippo-tedesco» ed osservava che Sato gli aveva taciuto, sia la domanda di Mosca come la risposta di Tokio.

2 Vedi D. 503.

3 Vedi p. 536, nota l.

4 Vedi p. 215, nota 5.

affermazione revisionistica fosse non più di un gesto, che la mano tesa amichevolmente alla Jugoslavia non dovesse comportare pregiudizio alla Piccola Intesa, che l'Asse Roma-Berlino dovesse prima o poi impantanarsi nei gorghi austriaci.

Gli improvvisi accordi di Belgrado hanno rotto l'incanto. Con il Consiglio della Piccola Intesa 1 e con la visita di Benes in Jugoslavia 2 si è creduto dare l'illusione che tutto fosse ancora in piedi e intanto si sono ventilate e tentate combinazioni neutralizzatrici. Ma Venezia si direbbe abbia assestato le posizioni ed oggi dopo prolungato prudente riserbo si incomincia a dire chiaro e si stampa che l'Italia schierata a favore dell'Ungheria, rappacificatasi con la Jugoslavia e in via di intendersi con la Romania si porta nettamente contro la Cecoslovacchia per isolarla prima e !asciarla poi alle prese dei tedeschi, dei polacchi e dei magiari.

Non può ancora prevedersi quale reazione potrà esservi da parte di questi dirigenti e di questa opinione pubblica. A Parigi si medita e vi sono stati chiamati a conferire i ministri plenipotenziari accreditati negli Stati centro-europei. A Londra, si reca, in occasione dell'incoronazione, questo presidente del Consiglio, Hodza, il quale pare si proponga di interessare più insistentemente il governo britannico alle sorti della Cecoslovacchia. Si fa intanto notare che mentre fino a ieri il pericolo immanente della Cecoslovacchia era ritenuta la Germania, ora la situazione sembra vada modificandosi in quanto la Germania entra per così dire in ombra e l'Italia viene in luce quale aperta avversaria della Cecoslovacchia ed eventuale responsabile del suo sfasciamento.

Si mette in rilievo che Henlein, il quale attaccava ferocemente l'Italia all'inizio dell'impresa africana, è stato ora in Italia presumibilmente a perorare la causa dei tedeschi dei Sudeti dopo aver vituperato i dominatori di quelli del sud-Tirolo. Si riscontra che la campagna tedesca contro la Cecoslovacchia da un pezzo in qua si è di molto attenuata e si chiede se l'Italia, dopo aver fatto la sentinella al Brennero compiacendo la Francia, non voglia assumere la funzione di giustiziera di Praga compiacendo la Germania. La quale -si aggiunge -già in via di liquidare la partita austriaca, tenterà di attirare nella sua orbita la Cecoslovacchia da altri minacciata e fino a quando non riterrà, se lo riterrà, opportuno e possibile ritentare la sorte delle armi per la realizzazione delle sue aspirazioni.

521

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3014/08 R. Bucarest, 28 aprile 1937 (per. il l o maggio).

Confermo alla E.V. la mia impressione, di cui Le feci parte nel mio telegramma per corriere del 7 aprile n. 063 , e cioè che il linguaggio parlato da Antonescu prima

I Del l 0 -2 aprile a Belgrado. 2 Del 5-7 aprile precedenti, su la quale si vedano i DD. 417 e 434. 3 Vedi D. 420.

della sua partenza per Belgrado circa un riavvicinamento tra la Romania e l'Ungheria quale piattaforma per un'intima collaborazione politica con l'Italia, ha preso, dopo il suo ritorno da Belgrado, un tono ben diverso.

Antonescu, che era stato lento a persuadersi della necessità di un previo «chiarimento» dei rapporti fra Budapest e Bucarest, aveva nello scorso gennaio cominciato a prendere interesse al problema e da ultimo dimostrava anzi di volersi fare parte diligente ed insisteva presso di me perché gli facilitassi i suoi incontri con il mio collega di Ungheria e perché dimostrassi alla E.V. l'opportunità di una «mediazione» italiana specie per quanto concerne la spinosa questione della «parità di diritti» per l'Ungheria. Nel mio cennato telegramma per corriere, ho dovuto però comunicare alla E.V. che la riunione di Belgrado aveva avuto <<Una fatale reazione» sui buoni propositi e sulle promesse del signor Antonescu, che aveva dovuto associarsi alla richiesta del signor Krofta di mettere un fermo all'azione unilaterale e indipendente dei tre membri della Piccola Intesa.

A Belgrado, secondo le mie informazioni, si era proceduto alla firma di un processo verbale impegnante i tre Paesi a non agire separatamente nei riguardi della Ungheria, sia per quanto concerne la questione della parità di diritto, sia per eventuali trattative in vista della conclusione di patti di natura politica.

Al suo ritorno da Belgrado, Antonescu è apparso quindi imbarazzato e depresso. Mi ha ancora chiesto di vedere il ministro di Ungheria ma non ha saputo e potuto dirgli nulla di incoraggiante. Cosicché il mio collega, che era stato a sua volta lento e indeciso tre mesi or sono nel prendere contatto con Antonescu, ora che, suppongo, aveva ricevuto autorizzazione del suo governo di prestare compiacente o almeno attento orecchio al linguaggio di Antonescu, si è trovato dinanzi ad un uomo incerto, lento, resistente. In una intervista avuta con Antonescu, gli ho chiaramente detto che a mio avviso egli, nell'intento di legare le mani di Stojadinovic ed impedirgli altri colpi, aveva finito per legare le sue proprie mani. Antonescu non lo ha negato: si è giustificato dicendomi che la Jugoslavia col suo trattato con la Bulgaria aveva dato un energico colpo all'Intesa Balcanica. Ma ciò, pur essendo grave, non era fatale: anche dopo l'accordo fra Jugoslavia e Italia la Piccola Intesa rimaneva in piedi. Ben altra sarebbe stata invece la gravità della cosa se la Jugoslavia avesse, in via autonoma, firmato un trattato con l'Ungheria: era la fine della Piccola Intesa! In quanto alla Romania essa doveva fare una politica onesta e leale, una politica delle «mani nette».

Antonescu, mentre ha sottolineato l'impossibilità per la Romania, almeno in questo momento, di una «previa» intesa con l'Ungheria, ha però nuovamente insistito sulla proposta della conclusione di un trattato di amicizia con l'Italia. Ciò aveva fatto dichiarare a V.E. anche per mezzo di Lugosianu 1•

Gli impegni presi a Belgrado, Antonescu li ha confessati piuttosto con i suoi silenzi e con le sue giustificazioni, anziché con le sue parole. Mi· ha detto che la situazione spirituale tra Romania e Ungheria non consente una immediata presa di contatto. La stessa reazione della stampa romena contro i recenti articoli del signor Bethlen2 ne sono una prova. Lo stato d'animo dei due Paesi dimostra che la situazione non è matura: ma ha convenuto che si debba «creare una favorevole atmosfera».

1 Di questo colloquio non è stata trovata documentazione. 2 Vedi p. 669, nota l.

Non avrei probabilmente insistito nel mettere a nudo il presente modo di vedere del signor Antonescu (nella convinzione che fra qualche tempo esso può modificarsi) se non fosse giunto in Romania, in un momento per vero non favorevole, l'ambasciatore Romano Avezzana, venuto qui per conseguire qualche ordinazione all'industria navale italiana. Il vecchio mestiere e l'autorizzazione che mi ha assicurato aver ricevuto dalla E.V. lo hanno indotto a prestare orecchio alle conversazioni politiche di questa gente che della politica ha il gusto. Sia il Re, cui Romano A vezzana ha sollecitato un'udienza, sia Antonescu, in due colloqui ai quali ho creduto mio dovere essere presente, hanno illustrato il concetto che la Romania è desiderosa di riavvicinarsi a noi, di concludere con noi un patto di collaborazione politica, nella certezza che esso avrà favorevole influsso nei rapporti tra Bucarest e Budapest, che tanto ci stanno a cuore. Sia il Re che Antonescu hanno insistito sulla inopportunità in questo momento di seguire la procedura inversa.

Da parte mia avrei desiderato lasciar passare questo periodo in cui la Romania è fresca d'impegni senza far precisare troppo queste resistenze. Ma, partito Romano A vezzana, non mancherò, con la cautela che le resistenze romene, dopo il viaggio a Belgrado, hanno rivelato, di ricondurre, possibilmente, questi signori allo stato d'animo del gennaio scorso, agendo sulla base delle istruzioni inviate dalla E.V. con telegramma per corriere in data del 21 corrente n. 822 alla Legazione a Budapest 1•

522

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3015/s.n. R. Vienna, 28 aprile 1937 (per. il l o maggio).

Tanto il Cancelliere Federale quanto Schmidt mi hanno ripetuto con molta insistenza ed espansività, durante il viaggo di ritorno e in questi giorni, tutta la loro riconoscenza al Duce e a V.E. per le accoglienze avute a Venezia e per lo svolgimento ed i risultati delle conversazioni politiche. Il compiacimento di Schuschnigg e Schmidt è condiviso da questi circoli politici e dalla stampa, le cui voci sono riassunte separatamente in vari telespressi.

Anche il disappunto per le notizie di politica interna date da Gayda2 è stato superato mercè il pronto intervento dell'E.V. Il cancelliere che nelle precisazioni

l Vedi D. 487.

2 Il Giornale d'Italia del 23 aprile aveva pubblicato un articolo di Virginio Gayda dal titolo «Nulla di mutato» dedicato al convegno itala-austriaco di Venezia, nel quale si diceva che «i nazisti saranno presto chiamati in Austria a dividere la responsabilità del Fronte Patriottico, primo passo per una diretta partecipazione al governo dell'Austria». Il ministro Salata aveva subito telefonato per far presente che l'articolo aveva avuto una «disastrosa ripercussione» a Vienna ed aveva suggerito di far smentire che l'argomento fosse stato discusso nelle conversazioni di Venezia, dato che si trattava di una questione di politica interna austriaca (appunto di Gabinetto del 24 aprile). Il giorno successivo, Il Giornale d'Italia pubblicava un secondo articolo di Gayda, dal titolo «Per le vie naturali», che, seguendo alla lettera lo

665 fatte in proposito sabato sera non ha mancato di ammettere le buone intenzioni di Gayda, trasceso poi oltre il segno, mi ha detto più volte che l'incidente non è venuto tutto per nuocere, in quanto ha dimostrato una volta di più da una parte la sicura intimità tra i due governi, e dall'altra la infondatezza dell'opinione che attribuisce ad ogni scritto di Gayda il carattere di ufficiosità.

Le dichiarazioni fatte lunedì da V.E. a Berger-Waldenegg 1 sono state accolte qui con la più viva soddisfazione e Schmidt me le ha riassunte come segue: l) viva soddisfazione del Duce e di V.E. per le conversazioni di Venezia, che sono atte a rendere più facile il lavoro comune per il prossimo avvenire; 2) rincrescimento per l'incidente dell'articolo di Gayda che costituisce (come avevo per incarico di V.E. dichiarato fin da sabato mattina) un'iniziativa assolutamente personale dell'autore, deplorata profondamente dal Duce e dall'E.V. come una grave deviazione della linea del governo fascista; 3) disposizioni impartite da V.E. al ministero Stampa e Propaganda per dare sui giornali italiani la maggiore diffusione alle dichiarazioni del Cancelliere, trovate a Roma in ogni riguardo soddisfacenti.

Anche Schuschnigg mi ha espresso ieri, per queste notizie avute da Roma, il suo compiacimento, pregandomi di trasmettere a V.E. i ringraziamenti più vivi.

Per domani, giovedì, nel pomeriggio, è convocata la Commissione agli Affari Esteri della Dieta Federale per comunicazioni del segretario di Stato agli Esteri. L'iniziativa è partita dal borgomastro Schmitz, presidente di quella Commissione. Vi si può ravvisare un tentativo di valorizzare quella specie di collaborazione parlamentare all'opera del governo nel campo internazionale. Per non destare sospetti che sarebbero stati sfruttati da elementi che tendono a pescare nel torbido, il Cancelliere ha autorizzato Schmidt a fare anche sul convegno di Venezia alcune dichiarazioni che saranno una parafrasi e una conferma del comunicato ufficiale. Sulla seduta della Commissione che è segreta, sarà pubblicato in serata un comunicato.

523

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3054/086 e 3053/87 R. Budapest, 28 aprile 1937 (per. il 3 maggio).

Ho avuto ieri una lunga conversazione con Kanya da cui mi ero recato principalmente allo scopo di esprimermi in linea preliminare secondo le istruzioni contenute nel telegramma dall'E.V. n. 822 del 21 aprile corrente 2•

schema indicato da Salata, precisava che la notizia non andava riferita alle conversazioni di Venezia ma emergeva dalla realtà austriaca e si inquadrava nell'opera di pacificazione nazionale che il Cancelliere Schuschnigg stava realizzando e che comunque l'Italia non intendeva entrare nei problemi della politica interna austriaca.

1 Di questo colloquio -il cui contenuto è qui riassunto -non è stata trovata documentazione.

2 Vedi D. 487.

A vendo io messo il discorso sui rapporti con i vicini, il ministro degli Affari Esteri mi ha detto di avere pregato giorni fa il barone Villani di parlare con l'E.V. dello stato delle cose. (Immagino quindi che V.E. sia già al corrente: anche per mio controllo, gradirei di avere comunicazione della eventuale conversazione) 1 .

Circa la Jugoslavia mi ha ripetuto quanto ho già ampiamente riferito (da ultimo col mio telegramma n. 91 dell'Il aprile)2 : le buone disposizioni iniziali di Stojadinovic, pronto anche a far lui per primo una dichiarazione sul trattamento delle minoranze ungheresi, mentre Kanya avrebbe dovuto fare una dichiarazione unilaterale di non aggressione, e la stasi attuale. Durante il convegno di Belgrado, mi ripeteva Kanya, Krofta avrebbe ingiunto a Stojadinovic, coi noti argomenti, di non trattare con l'Ungheria senza previo assenso degli altri due Stati con la clausola che l'eventuale regolamento di questioni con l'Ungheria sia fatto da tutti i tre Paesi nello stesso modo. Questo gli avevano fatto dire ora chiaramente tanto Stojadinovic quanto Antonescu.

Gli ho detto (mio telegramma per corriere n. 074 del 15 aprile)3 che forse le attuali difficoltà sollevate da Stojadinovic potevano essere state causate soprattutto dal fatto che il ministro di Ungheria a Belgrado, de Alth, aveva avanzato delle richieste eccessive e troppo dettagliate circa le minoranze.

Kanya mi ha risposto che si trattava di cinque punti soltanto, che egli aveva fatto nel dettaglio redigere dall'«esperto» della particolare questione. Comunque questa non era che una scusa: non la vera ragione. Mi ha confermato, tuttavia, l'esistenza di una atmosfera molto più distesa con la Jugoslavia. Mi ha poi detto che aveva incontrato la sera del 27 aprile a pranzo dal ministro di Grecia4 , il ministro di Jugoslavia, Vukcevic. Questi, dopo avergli confermato che era impossibile trattare indipendentemente con uno solo dei tre Stati, gli aveva subito parlato di parità di diritti e precisamente gli aveva detto che ciascuno dei tre Stati dellaPiccola Intesa era disposto a ricon·oscere all'Ungheria la parità di diritti, a condizione che l'Ungheria facesse, anche se non contemporaneamente e in blocco, magari separatamente e successivamente, un patto bilaterale di non aggressione con ciascuno dei tre Stati vicini. Egli aveva risposto a Vukcevic che non voleva sentire parlare di parità di diritti; la parità di fatto l'aveva già raggiunta e in quanto alla parità di diritto non voleva assolutamente pagare qualche cosa per attenerla: quindi nessun patto di non aggressione contro la concessione della parità. Se invece si fossero prima regolate le questioni concernenti le minoranze, in questo caso soltanto egli poteva considerare la possibilità di fare «una specie di dichiarazione di non aggressione» e infine, poiché Vukcevic insisteva nel presentare come una condizione assoluta quella di fare successivamente patti bilaterali con ciascuno dei tre Stati, egli mi ha detto avere risposto che «avrebbe riflettuto su questa possibilità».

I Di questi contatti tra Ciano ed il ministro Villani non è stata trovata documentazione. Né si è trovata una comunicazione al ministro Vinci relativa al contenuto di tali colloqui.

2 Vedi D. 444.

3 T. per corriere 2791/074 R. del 15 aprile che riferiva le dichiarazioni del ministro di Jugoslavia a Budapest -qui riportate -circa le difficoltà sorte nelle trattative su la questione delle minoranze. Il ministro Vukcevic aveva anche ribadito l'impossibilità per Belgrado di fare delle concessioni all'Ungheria senza accordi preventivi con gli altri Stati della Piccola Intesa.

4 Panayotis Pipinelis.

Non avendo aggiunto altro, a differenza di ripetute altre occasioni (mio telegrama per corriere 013 e successivi) 1 , ho detto a Kanya che questo mi sembrava alquanto in contraddizione con quanto mi aveva altre volte detto: che d'altra parte la nostra linea politica, per rompere il cerchio che stringeva l'Ungheria, era quella di spezzare l'unità della Piccola Intesa; che il primo anello della catena era già scardinato dopo l'accordo italo-jugoslavo e che ora si poteva pensare di darle un nuovo colpo, che sarebbe stato il colpo di grazia, agendo sulla Romania che -come era noto a Kanya da una conversazione avuta da V.E. col barone Villani e da un colloquio di Sola con il ministro di Ungheria a Bucarest (ciò mi risultava da una precedente conversazione con il conte Csàky 2) -aveva mostrato recentemente il suo vivo desiderio di seguire l'esempio jugoslavo nei riguardi dell'Italia.

Kanya mi ha detto che certamente era desiderio suo, come era il nostro, di spezzare il blocco nella Piccola Intesa ma secondo lui, i tentativi fatti erano riusciti finora vani per quanto riguarda l'Ungheria. La Francia lavorava attivamente a Bucarest e, naturalmente, a Praga. Alla nostra azione essa stava rispondendo con una intensa attività. Egli si vedeva d'altra parte in primo luogo nella necessità di migliorare la situazione delle minoranze ungheresi e si era venuto a trovare ora come di fronte a un muro: mi ha ripetuto infatti che nella attuale situazione non era possibile, almeno al momento attuale, fare un trattato qualsiasi con la Jugoslavia

o con la Romania senza impegnarsi a farne uno analogo con la Cecoslovacchia, ciò che non era certamente nei suoi desideri: ma se questa era una condizione assoluta, egli doveva ammettere di riflettere anche su tale possibilità. «Del resto», ha soggiunto, «simili patti di non aggressione non valgono che per un tempo limitato: il futuro non si impegna mai».

Quando ho accennato alla Germania, Kanya mi ha detto che Goering parla anche troppo della sua decisa ostilità contro la Cecoslovacchia.

Nel corso della conversazione ho avuto modo di parlare, se pure in via preliminare ma diffusamente, come già ho accennato più sopra, di quanto è oggetto nel telegramma dell'E.V. sopra citato.

Quanto alla necessità che gli prospettavo di migliorare i rapporti con la Romania, Kanya mi ha detto che aveva alacremente lavorato in questo senso; sapeva dei nostri incoraggiamenti, sapeva anche che Beck aveva cercato di influenzare il Re e Antonescu. Ma purtroppo anche nei riguardi della Romania la situazione era radicalmente cambiata negli ultimi giorni: il Re due settimane fa aveva detto al ministro di Ungheria a Bucarest di essere ben disposto verso un chiarimento di rapporti con il governo di Budapest. Invece ora anche Antonescu, come già Stojadinovic, gli ha fatto dire che non è possibile trattare indipendentemente. Avendogli esposto le notizie fornitemi da V.E. sulle buone disposizioni romene, Kanya mi ha ripetuto che tutte le buone disposizioni sembravano più recentemente, cadute. Il Re aveva detto a Beck che «non voleva andare molto

1 T. per corriere 838/013 R. del 28 gennaio. Riferiva di un colloquio avuto da Kanya con il ministro di Francia, Maugras, che aveva auspicato un'intesa tra Ungheria e Cecoslovacchia. Kanya aveva risposto che prima di iniziare qualsiasi conversazione occorreva fosse riconosciuta all'Ungheria la parità di diritti e fosse risolto il problema delle minoranze.

2 Di questi colloqui, non è stata trovata documentazione ma si veda, per le dichiarazioni di Ciano al barone Villani, l'accenno contenuto nel D. 487.

lontano» e Antonescu aveva dichiarato pochissimi giorni fa al ministro di Ungheria che non c'era proprio niente da fare per il momento. Kanya ha soggiunto che fra l'altro i romeni dicevano che gli articoli del conte Bethlen 1 avevano fatto una cattiva impressione ed allarmato l'opinione pubblica: ma questa non era che una semplice scusa. La ragione era ben altra.

Non ho mancato di fare apparire, con opportuni e diffusi argomenti che da altri indizi si può ritenere che questo non può essere un atteggiamento duraturo e conviene quindi intensificare gli sforzi.

Mi ha risposto che, sia nei riguardi della Jugoslavia, sia nei riguardi della Romania, questa era la situazione in cui l'Ungheria attualmente si trovava. Occorreva, ha concluso, essere pazienti e non affrettarsi; forse col tempo le cose potevano cambiare, ma in questo momento tale era la reale situazione.

Ho poi visto iersera il ministro di Jugoslavia signor Vukcevic, che mi ha riferito della conversazione avuta con Kanya la sera prima. Egli si mostrava specialmente impressionato da una frase del ministro degli Affari Esteri circa la parità di diritti, avendogli Kanya detto esplicitamente che se gli Stati della Piccola Intesa continuavano a parlare di parità di diritti e se essi volevano farne materia di contrattazione e soprattutto fare una discriminazione fra tutti gli altri Paesi e l'Ungheria facendo trattato con altri Stati separatamente, tranne che l'Ungheria, egli si vedeva ormai deciso a seguire l'esempio della Germania e dell'Austria, e a «denunciare pubblicamente le clausole del trattato di Trianon», aggiungendo che non si spaventava delle possibili conseguenze. (U ministro di Cecoslovacchia Kobr, -mi ha detto Vukcevic -avrebbe infatti tempo fa minacciato Kanya che, se l'Ungheria avesse preso questo atteggiamento la Cecoslovacchia avrebbe denunciato il trattato per le minoranze).

Vukcevic, che è facilmente impressionabile, si è mostrato molto preoccupato di questa dichiarazione di Kanya: non ho creduto dirgli direttamente della versione alquanto differente che della stessa conversazione mi aveva dato Kanya stamane: ma gli ho detto più o meno le stesse cose, come se mi fossero state esposte da Kanya indipendentemente dalla conversazione con lui. Vukcevic mi ha ripetuto: «Vi dico che egli mi ha fatto proprio questa dichiarazione».

Non solo, ma a sua domanda Kanya gli avrebbe confermato che farà ciò magari fra due o tre mesi.

Avendogli messo il discorso sulle relazioni ungaro-jugoslave, Vukcevic mi ha ribadito il concetto che esistono patti espliciti fra i tre Stati, che impediscono assolutamente che ciascuno di essi tratti separatamente con l'Ungheria. Gli ho detto dell'opportunità che i rapporti con l'Ungheria si migliorassero, e che sapevo che Kanya era ben disposto. Gli ho anche detto, per sondarlo, che certo i rapporti dell'Ungheria erano fortunatamente già migliorati con la Jugoslavia, forse lo pote

l In un articolo sul Pesti Naplo del 28 marzo dal titolo «Risposta all'eco avuta in Romania da un articolo di Natale», l'ex primo ministro conte Bethlen aveva auspicato che si giungesse ad un accordo con la Romania circa la minoranza ungherese in Transilvania che, affermava, era sottoposta ad intollerabili persecuzioni, ma aveva escluso che ci potesse essere un governo ungherese disposto a rinunciare al diritto di revisione e a considerare come definitivamente perduto un qualsiasi territorio già appartenente alla Corona magiara, come si pretendeva da parte romena per avviare le trattative. L'articolo aveva dato luogo a fortissime reazioni nella stampa romena su le quali aveva riferito a più riprese la legazione a Bucarest (telespressi 948/253 del 6 aprile e 1007/275 del 13 aprile).

vano diventare con la Romania, erano più difficili con la Cecoslovacchia. «Kanya non vuole sentire parlare di Cecoslovacchia ed è irremovibile», mi ha detto Vukcevic. E mi ha completamente taciuto quella parte di dichiarazione che Kanya mi aveva detto di avergli fatto circa gli eventuali patti di non aggressione.

Come è nei metodi di Kanya egli ha volutamente creato questa apprensione in Vukcevic, mentre con me ha voluto porre in maggiore rilievo una frase, che dal canto suo il ministro di Jugoslavia ha mostrato di non aver neanche rilevato.

524

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3091/0127 R. Londra, 28 aprile 1937 (per. il 4 maggio).

Ho ricevuto il telespresso n. 213134/C 1 col quale V.E. mi ha cortesemente comunicato il resoconto del colloquio Cerruti-Léger del 6 corrente 2 , nel quale, come giustamente osserva V.E., si tende a far credere da parte francese che le difficoltà per una soluzione definitiva della questione etiopica nella prossima Assemblea straordinaria della S.d.N. sarebbero specialmente da parte inglese. V.E. mi domanda di riferire le mie impressioni al riguardo.

La comunicazione di V.E. si è incrociata col mio rapporto n. 1241 del 7 aprile 3 nel quale ho informato dettagliatamente sulle tendenze e orientamenti britannici in relazione a questo problema. Le mie notizie personali coincidono con quelle direttamente avute da V.E. nei Suoi colloqui con Drummond4 .

Nessun elemento nuovo è intervenuto successivamente a modificare la situazione durante questi ultimi dieci giorni. Credo non inutile tuttavia una breve postilla alla comunicazione fatta a V.E. dal nostro ambasciatore a Parigi.

Il signor Léger ha dichiarato al nostro ambasciatore a Parigi che il governo francese sarebbe stato nientemeno che costretto (?!) a interrompere le «trattative», incominciate col governo britannico per una definitiva soluzione della questione etiopica a Ginevra «perché il governo britannico non si mostrava disposto a discutere tale argomento data l'impressione deleteria determinata in Inghilterra dalle notizie pervenute da Addis Abeba circa il modo con cui era stato represso l'attentato contro il Viceré GrazianP», notizie che egli, Léger, d'accordo col ministro Delbos, aveva provveduto ad «occultare» nella capitale francese ma che viceversa erano state largamente sfruttate a Londra.

I Vedi p. 513, nota l. 2 Vedi D. 415. 3 Vedi D. 425. 4 Si veda in proposito il D. 384. s Vedi p. 239, nota l.

Non so davvero in che cosa consista questo preteso «occultamento» del quale il signor Léger attribuisce il merito a se stesso e a Delbos, perché la gazzarra della stampa «governativa» di sinistra francese non è certamente stata in questa occasione meno indecente di quella della stampa laburista e radicale, cioè non governativa, britannica. Ad ogni modo è superfluo io assicuri V.E. che qui al Foreign Office non è mai esistita né esiste la benché minima traccia di «trattative» o comunque di attività da parte del governo francese a Londra intese a ricercare una soluzione per la liquidazione definitiva della questione etiopica a Ginevra. Tracce invece vi sono, e quanto evidenti, di una attività francese a Londra diretta allo scopo precisamente opposto. Ancora una volta, alla vigilia delle riunioni di Ginevra, la «vera» direttrice della politica francese a Londra nei confronti dell'Italia continua ad essere quella che è sempre stata, ma soprattutto da due anni a questa parte, e che consiste nell'aderire a tutte le iniziative anti-italiane prese dalla Gran Bretagna e poscia in seguito nello scoraggiare e nell'ostacolare sistematicamente il governo britannico ogni qual volta quest'ultimo, accortosi finalmente dell'errore fatto, ha manifestato via via l'intenzione e la volontà di ritornare sui suoi passi, di rivedere questa sua politica e di chiarire i suoi rapporti con l'Italia.

Senza riesumare i retroscena del cosidetto periodo Lavai, e soffermandosi soltanto sugli avvenimenti susseguenti alla fondazione dell'Impero, V.E. ricorda l'azione imprudentemente antifascista svolta dal governo di Blum per sobillare, durante il giugno scorso, contro Baldwin, Eden e Neville Chamberlain, l'intera Camera dei Comuni allo scopo di impedire che quest'ultima approvasse le decisioni già prese dal governo britannico per la revoca delle sanzioni contro l'Italia.

L'azione in senso anti-italiano e anti-fascista svolta in quell'occasione a Londra dagli emissari responsabili e indiretti del governo di Fronte Popolare francese, in combutta con l'opposizione liberale-laburista e con tutto l'antifascismo sanzionista, per rovesciare il governo conservatore sul «fatto» della revoca delle sanzioni, giunse tanto oltre da destare effettivamente dei dubbi sulla sorte del governo di Baldwin per effetto di questa campagna organizzata fra Parigi e Londra. Se la campagna non riuscì, non fu certo per difetto di buona volontà da parte di Blum, di Delbos e di Léger. Il che non impedì tuttavia, proprio a Léger, di fabbricare anche allora, per uso del nostro ambasciatore a Parigi, una serie di allegre storielle intese in un primo tempo a nascondere quelle che erano state le «vere» intenzioni francesi, in un secondo tempo le responsabilità evidenti del governo di Blum. V.E. ricorda, infine, gli sforzi fatti nel novembre e dicembre scorso dal governo francese per impedire o almeno ritardare l'esecuzione della decisione già presa dal governo britannico del riconoscimento «di fatto» della sovranità italiana in Abissinia mediante il ritiro del reparto di truppe britanniche e la trasformazione dell'ex legazione in Consolato. Anche allora il signor Léger si affrettò a cose fatte e con una stupefacente disinvoltura a dare una versione degli avvenimenti la quale era esattamente il rovescio di quanto era avvenuto e che tendeva a far credere che soltanto ai «buoni uffici» di Blum e di Léger, l'Italia «dovesse» la decisione britannica di abolire la propria rappresentanza diplomatica ad Addis Abeba (?!).

Oggi si sta verificando più o meno una ripetlZlone di quanto avvenuto nel giugno e nel dicembre 1936. Non vi è dubbio che dal 23 marzo u.s., e cioè dal discorso del Duce in Piazza Venezia 1 , in seno al governo britannico si è ripreso a discutere l'opportunità di sgombrare, una volta per tutte, il terreno dei rapporti itala-britannici dai residuati infettivi della questione abissina. V.E. sa esattamente come accanto alla tendenza decisa Chamberlain-Vansittart, ve n'è un'altra incerta e tuttora ambigua che fa capo a Eden. Le mie informazioni confidenziali di questi ultimi giorni mi permettono di confermare che, mentre da parte del Foreign Office si stanno facendo insistenti pressioni presso Tafari perché costui invii una delegazione a Ginevra per la prossima Assemblea straordinaria alla S.d.N., e ciò allo scopo di determinare le condizioni «di fatto» per una decisione immediata da parte dell'Assemblea sulla questione dell'appartenenza dell'Abissinia alla Lega delle Nazioni, dall'altra si sta parallelamente svolgendo un lavorio intenso per convincere Tafari dell'opportunità di soprassedere all'invio di una delegazione abissina fino all'Assemblea ordinaria del mese di ottobre. Mentre si cerca di persuadere Tafari, si cerca anche di persuadere e addirittura di minacciare Eden, e da più parti si segnala, giusto in questi giorni, un «attrito» tra Chamberlain e Eden proprio in relazione al problema della partecipazione etiopica alla prossima Assemblea straordinaria. Da chi proviene questo lavorio diretto a «paralizzare» gli sforzi di una frazione del Gabinetto britannico desideroso di seppellire una buona volta il cadavere abissino e ridare una ragione di essere al gentlemen 's agreement itala-britannico del 2 gennaio? Esattamente dagli stessi elementi e dalle stesse forze inglesi e francesi che tentarono nel giugno scorso il rovesciamento del governo conservatore sul fatto della revoca delle sanzioni contro l'Italia mediante l'avvento anche in Inghilterra di un Fronte Popolare antifascista. Qui non siamo nel campo delle interpretazioni e delle ipotesi, perché questa gente lavora allo scoperto e non fa mistero delle sue intenzioni.

Tutto il vecchio sanzionismo battuto e ridotto al silenzio durante l'estate scorsa, capitanato da Ceci! e dalle sinistre, è tornato improvvisamente in queste due ultime settimane al contrattacco. Si vuole evitare che il governo britannico proceda troncando gli indugi. In questo tentativo di sobillazione contro Chamberlain per impedire il chiarimento dei rapporti anglo-italiani (Chamberlain è accusato di complottare «contro» Ginevra e di voler indirizzare la politica estera inglese in modo indipendente dalla S.d.N.), le sinistre francesi, dalle sfere responsabili del governo di Blum e Delbos alla diplomazia del Quai d'Orsay fino alle organizzazioni dei gruppi politici di sinistra, rivelano una collusione aperta con l'antifascismo britannico. Alla metà di giugno 1936, fu Lord Ceci! che si recò a Parigi alla vigilia della seduta ai Comuni e che ritornò col mandato di opporsi con tutti i mezzi alla revoca delle sanzioni. Oggi è Pierre Cot, ministro del Gabinetto Blum, il quale giunge a Londra in «pompa magna» in compagnia di M.me Masarik per una grande dimostrazione societaria all'Albert Hall dove sarà lanciato il nuovo «fronte antifascista della Pace», la quale secondo i laburisti inglesi e i socialisti francesi dovrebbe rappresentare un'intimidazione e una minaccia dell'antifascismo franco-britannico coalizzato contro Chamberlain, contro le sue asserite tendenze anti-societarie e contro un'eventuale revisione della politica britannica a Ginevra nei confronti dell'Italia fascista. In questa rinascita di attività anti-italiana e antifascista in In-

l Vedi p. 452, nota 3.

ghilterra, sulla vecchia base del sanzionismo resuscitato, io trovo ad ogni piè sospinto, e senza alcuna fatica di ricerca, l'azione e la complicità di Blum e del Fronte Popolare francese.

Basterebbe del resto, il fallito tentativo fatto da Delbos il 24 marzo per trascinare l'Inghilterra ad un fronte antifascista «attivo» contro l'Italia 1 , per dimostrare quali siano le vere intenzioni francesi nei nostri riguardi.

Sono certo del resto che il nostro ambasciatore a Parigi, il quale è sempre così premuroso e diligente nel trasmettere a V.E. le «frottole» servitegli dal signor Léger, avrà indubbiamente ragguagliato V.E. anche sulle direttive generali del governo di Blum, assai più estesamente di quanto già non dicano di per se stesse queste semplici contestazioni «di fatto» sull'azione che Blum, Delbos e Léger coi loro amici emissari ed accoliti, stanno svolgendo in Inghilterra.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. URGENTE RISERVATO 2045/646. Berlino, 28 aprile 1937 (per. il l o maggio).

Mio rapporto n. 2017/632 del 27 corrente2 . Dopo Neurath, ho visto ieri il ministro del Belgio Davignon. Sembrava un pò scoraggiato per «la mancanza di comprensione tedesca».

Richiesto di spiegazioni, egli mi diceva che il Belgio si rendeva conto della necessità, a complemento e seguito del documento anglo-francese\ di definire pubblicamente la propria attitudine di fronte all'art. 16 ed alle obbligazioni che vi sono connesse. Questa definizione poteva essere e sarebbe stata fatta in Parlamento domani 29 dal primo ministro, unilateralmente. Ciò, peraltro -mi diceva il collega -non sembra soddisfare la Germania, la quale pretenderebbe di venire assicurata che la posizione del Belgio di fronte all'art. 16 sia, se non accettata, almeno riconosciuta dalla Inghilterra e dalla Francia. Ora a questo, proprio, il Belgio non poteva arrivarci.

Ho cercato di calmare il Davignon dicendogli che, in primo luogo, bisognava ormai attendere le dichiarazioni di van Zeeland e di Spaak; in secondo luogo, non era esatto che la Germania non apprezzasse lo sforzo compiuto dal Belgio. Essa se la prendeva se mai, con l'Inghilterra e con la Francia che, profittando della situazione del Belgio, mentre da una parte avevano l'aria di slegarlo cercavano di

I Si riferisce all'azione svolta dal governo francese (vedi DD. 336, 337 e 343) dopo le dichiarazioni di Grandi alla riunione del sottocomunicato di non intervento del 23 marzo (per le quali si veda il

D. 327). 2 Vedi D. 517. 3 Vedi D. 635, nota 3.

rilegarlo dall'altra. Ho anche aggiunto che l'Italia non faceva per conto suo che agire, sempreché se ne presentasse l'occasione, in favore del Belgio, cosa tanto più apprezzabile -ho sottolineato -in quanto in fondo essa avrebbe avuto speciali ragioni di doglianza in materia. E qui non ho mancato di osservare che, dopotutto, nessuno -a cominciare dal Belgio -aveva ancora mostrato di ricordarsi che l'Italia era un Potenza locarniana e che l'avere l'Inghilterra e la Francia voluto risolvere a due, oltre che la questione dello slegamento, anche quella della garanzia, non era un bel servizio reso al Belgio in quanto metteva necessariamente in imbarazzo, e a tutto danno del Belgio, la Germania e l'Italia.

Davignon non ha trovato assolutamente nulla da obiettare a questi miei rilievi: egli si è limitato soltanto a rispondere con Don Abbondio che bisogna ... mettersi nei panni degli altri, in proposito ripetendo che, ormai, chi conduceva la battaglia era l'Inghilterra e non la Francia.

Sull'argomento, ho avuto agio di intrattenermi anche con qualche altro collega, anche della Piccola Intesa. Gli spiriti più equanimi riconoscono tutti che l'avere la Francia e l'Inghilterra voluto regolare soltanto da loro la questione Belga -che era l'unico punto su cui tutte le Potenze occidentali si trovavano d'accordo significa allontanare più che mai la possibilità pratica di una nuova Locarno. Ma c'è pure chi vede in tutto questo oltreché, naturalmente, una manifestazione di opposizione all'asse Roma-Berlino, anche una manovra intesa a separare Roma da Berlino, quasi mettendo da parte-se non isolando-l'Italia. È evidente, si dice, che la situazione dei due Paesi è, rispetto alla neutralità Belga, fondamentalmente diversa: mentre la presenza della Germania è assicurata, nell'una o nell'altra forma, dalla stessa necessità fisica delle cose, quella dell'Italia, che sarebbe stata agevolata da una negoziazione locarniana a quattro, nella quale essa sarebbe entrata di pieno diritto e de plano, viene pro tanto resa più difficile dalla procedura ormai instaurata di negoziazioni separate, in cui l'iniziativa Belga potrebbe, nel caso nostro, non mostrarsi altrettanto premurosa e zelante che in quello della Germania. Di questo tentativo di isolamento si vorrebbe trovar traccia anche nel discorso Eden a Bruxelles1 che, mentre ha espressamente menzionato la Germania e il suo Fiihrer, non ha affatto menzionato l'Italia.

In tutto questo v'è naturalmente qualche punta di veleno nei nostri riguardi, ma anche qualche cosa di vero. È sopratutto esatto che molto dipenderà dall'impostazione che lo stesso Belgio saprà e potrà dare alle ulteriori negoziazioni in materia tanto più se è vero che ci troviamo in presenza di una «nuova proposta» Eden, tendente a sostituire ad un patto occidentale tipo Locarno dei patti o un patto -meno complicato ma forse politicamente più insidioso -di semplice non aggressiOne.

È indubbio, in ogni modo, che la situazione richiede tutta la nostra maggiore attenzione.

l Riferimento al discorso pronunciato il 26 aprile da Eden allora in visita ufficiale a Bruxelles. Eden aveva detto che a far sperare in una diffusa volontà di pace era anche il fatto che la direzione della politica di molti Paesi era nelle mani della generazione che aveva vissuto gli orrori della Guerra Mondiale e a questo proposito aveva ricordato che anche Hitler era stato un combattente della Grande Guerra.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1595/728. Mosca, 28 aprile 1937 (per. il 3 maggio). Mio telespresso n. 1590/723 in data odierna1•

Nell'incontro che ho avuto ieri col Commissario del Popolo per gli Affari Esteri per trattare alcuni casi concernenti cittadini italiani residenti nell'U.R.S.S. (mio te l espresso sopra menzionato), fu lo stesso Litvinov che prese l'iniziativa di portare il colloquio sul terreno politico.

Egli entrò in argomento ripetendo i soliti concetti: fra i nostri due Paesi non esistono ragioni fondamentali di opposizione; anzi, le due politiche potrebbero trovare facilmente dei punti di contatto e materia di collaborazione. Senonché non soltanto questa collaborazione è resa impossibile, ma le relazioni reciproche sono diventate ostili e le posizioni antagonistiche pel fatto che il governo fascista ha legato la propria politica a quella della Germania, la quale sta preparando la guerra e deve essere considerata dall'U.R.S.S. come una «nemica potenziale».

Su questo punto di Litvinov si è ingaggiata una conversazione nella quale vennero toccati gli argomenti più svariati. Non credo tuttavia valga la pena di riferirla per esteso perché ha consistito quasi tutta in una ripetizione, da una parte e dall'altra, di argomenti ed osservazioni più volte sviluppati già in precedenti colloqui. Mi limito invece a segnalare qualcuna delle dichiarazioni di Litvinov che può presentare un certo qual interesse, se non altro come indicazione della odierna attitudine del Narkomindiel di fronte ai principali problemi della politica europea.

Ad un certo punto del colloquio, mi occorse di osservare in tono scherzoso che la politica sovietica sembrava affetta da mania di persecuzione e citai come esempio il fatto che il recente accordo itala-jugoslavo era stato accolto a Mosca con una sospettosità di cui non riuscivo a vedere alcuna ragione. Al che Litvinov osservò: «Tre anni fa noi avremmo salutato tale accordo, non solo senza alcun sospetto, ma con vero entusiasmo. Sfortunatamente oggi vediamo le cose sotto un altro angolo e non possiamo fare a meno di giudicare il vostro avvicinamento a Belgrado come una manifestazione della vostra attività che tende al rafforzamento del famoso asse Roma-Berlino, e come tale la giudichiamo pericolosa per la pace».

Con lo stesso criterio Litvinov ha giudicato i recentissimi colloqui di Venezia, che gli sembravano distruggere il piccolo progresso fatto negli ultimi tempi per un miglioramento delle relazioni fra Roma e Praga.

Gli chiesi su quali informazioni egli basasse tale giudizio, e Litvinov ammise che le sue impressioni erano tratte unicamente dai commenti della stampa internazionale. Rilevai a mia volta che certa stampa aveva perduto qualsiasi senso di

l Non pubblicato. L'argomento è indicato qui di seguito.

obiettività e non era più capace di esaminare le situazioni che attraverso la lente dei suoi preconcetti. Citai come esempio le notizie che alcuni giornali francesi ed inglesi, per non parlare di quelli sovietici, continuavano a pubblicare, annunciando invii di truppe italiane in Spagna e gli chiesi se credeva veramente possibile che ciò sarebbe potuto avvenire in presenza del controllo esercitato sulle coste della Spagna nazionalista da navi da guerra francesi e britanniche. Litvinov riconobbe che effettivamente «la cosa sarebbe stata difficile». Era però persuaso che del materiale da guerra fascista continuava a giungere al generale Franco, «senza di che -egli osservò -la situazione di Bilbao non sarebbe così difficile come oggi è».

Concludendo la conversazione, Litvinov affermò che nel suo complesso la situazione europea era oggi da lui vista con maggiore ottimismo che non due o tre mesi or sono. «Ciò -egli aggiunse-non già per merito dei patti che possono essere conclusi con questa o quest'altra piccola Potenza, ma unicamente pel fatto che in certi Paesi (allusione evidente all'Inghilterra ed alla Francia) si incomincia a vedere più chiaramente il pericolo della politica di Berlino e che tre grandi Potenze stanno lavorando d'accordo per la conservazione della Pace. In questa direzione sono stati fatti negli ultimi tempi dei buoni progressi e di ciò naturalmente mi sento molto soddisfatto».

Questo ottimismo di Litvinov nei riguardi della collaborazione politica fra Mosca, Parigi e Londra mi è parso l'elemento più interessante emerso dalla nostra conversazione e, pur non avendo il modo di giudicare se ed in quale misura esso sia fondato, ho creduto utile segnalarlo all'E.V.

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2992/169 R. Tokio, 29 aprile 1937, ore 12 (per. ore 6 del 30).

Da informazioni ulteriori deduco, a conferma di quanto già riferito 1 , che se pur dopo che si fosse giunti ad un miglioramento relazioni cino-giapponesi le conversazioni anglo-nipponiche dovessero conseguire qualche risultato positivo, questo non potrebbe concernere che il regolamento di qualcuno dei rispettivi interessi in Cina. Soltanto entro questo limite esercito e marina sono disposti lasciare che Sato faccia i suoi tentativi. Che se egli invece, spinto anche a ciò dai noti

1 Vedi p. 456, nota 2 e D. 493. L'ambasciatore Auriti era tornato anche in seguito (T. 2929/156

R. del 26 aprile) su l'argomento di una eventuale intesa anglo-giapponese che, secondo la stampa nipponica, poteva basarsi sul riconoscimento dei rispettivi interessi in Cina e che forse avrebbe portato anche al riconoscimento del Manciukuò da parte della Gran Bretagna. Al Gaimusho gli era stato confermato che erano in atto, a Londra, delle conversazioni per un miglioramento dei rapporti tra i due Paesi ma che per il momento in tali conversazioni non erano stati affrontati problemi concreti.

consiglieri anglofili della corona, si proponesse dare ad un eventuale accordo maggiore estensione, i militari si opporrebbero in modo decisivo. Miglioramento relazioni del Giappone con la Cina è vivamente desiderato qui e sembra che l'Inghilterra, che lo desidera anche essa, vi si adoperi indirettamente.

Si ha impressione che Giappone sarebbe disposto a qualche concessione (forse nello Hopei-Chahar) in cambio importanti vantaggi, specie sotto forma di riduzioni doganali; anche Inghilterra sarebbe favorevole ad una simile soluzione.

Quanto ai Sovieti, a parte le conversazioni per il regolamento di questioni ristrette e specifiche, quali quelle delle pescherie, militari sono disposti consentire, solo per la forma, eventuale ripresa ufficiale, ma conferma tacita intenzione di non portarle neanche questa volta a compimento.

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IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2989/17 R. Stoccolma, 29 aprile 1937, ore 21,10 (per. ore 0,30 del 30).

Telegramma di V.E. 84l!C 1•

Ho avuto ieri occasione di discorrere con questo segretario generale ministero degli Affari Esteri sull'argomento.

Egli mi ha confermato che Sandler e gli altri ministri nordici sono desiderosi vedere chiuso nella prossima Assemblea della S.d.N. conflitto ltalia-S.d.N. e che pensa che delegazione etiopica possa venire esclusa a causa della inesistenza ormai accertata di qualsiasi governo capace di accreditarla. Ma mi ha detto non constargli e non ritenere che Sandler abbia intenzione prendere speciali iniziative o (abbia) escogitato o consigliato formule o procedure speciali. Ha soggiunto che abilità del suo ministro per quanto possa essere grande è certamente superata in tale materia da quella degli esperti del Segretariato ai quali sembrerebbe, quindi, essere stato affidato compito risolvere problema procedurale in modo ottenere risultati desiderati attenendosi principio adattarsi fatto compiuto senza giustificarlo o contraddire linea di condotta adottata sino ad ora.

Con Stefani Speciale odierna comunico brani riguardanti stesso argomento tratto dal discorso politico pronunciato iersera da Sandler2 nella sua abitazione ove trovasi indisposto e trasmesso alla riunione associazioni socialiste ove discorso doveva essere tenuto. Dichiarazioni Sandler mi daranno destro, appena ristabilito, di parlargli direttamente della questione in oggetto.

I Ritrasmetteva il D. 513.

2 Nel suo discorso, che era stato radiodiffuso, Sandler aveva affermato che la Svezia intendeva partecipare fattivamente alla vita internazionale attraverso le attività della Società delle Nazioni ma che nel contempo era fermamente decisa a non farsi coinvolgere nei conflitti tra le grandi Potenze.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3022/0123 R. Londra, 29 aprile 1937 (per. il l o maggio).

Come era prevedibile le descrizioni a carattere sensazionale inviate dai corrispondenti inglesi sulla pretesa distruzione di Guernica da parte di aeroplani tedeschi 1 , sono state sfruttate da tutto l'antifascismo inglese per un'offensiva contro i nazionali spagnuoli e i Paesi che simpatizzano per la loro causa. Tale offensiva si è concretata in articoli di stampa, interpellanze in Parlamento, manifesti di laburisti e di pacifisti, denunzie dai soliti pulpiti anglicani. Dalle mie quotidiane segnalazioni stampa V.E. avrà rilevato l'intensità che tale campagna ha assunto nella giornata di ieri.

La smentita del generale Franco, riportata ieri sera nei bollettini radio e oggi in tutti i giornali, pur non arrestando la campagna antifascistà, ha certamente agito come correttivo. Mentre, infatti, ieri tutti i giornali, anche se con tono e linguaggio diverso, accusavano i nazionalisti spagnuoli di ingiustificabile brutalità, oggi una parte della stampa si mostra perplessa e, senza ritrattare i primi commenti, li rettifica osservando che finché la verità non sarà conosciuta è necessario riservare un giudizio definitivo sui fatti di Guernica. Gli stessi organi liberali e laburisti hanno in un certo qual modo mutato argomento e cercano di sfruttare la smentita di Franco per avanzare l'ipotesi che il bombardamento di Guernica sia stato voluto ed eseguito dai tedeschi all'insaputa dei nazionalisti spagnuoli.

Il Consiglio esecutivo del partito laburista e il Consiglio generale delle Trade Unions, riunitisi ieri, hanno emanato un manifesto nel quale, adoperando il solito linguaggio retorico e pseudo umanitario usato nel corso della questione abissina, dichiarano che «le terribili sofferenze del popolo spagnuolo hanno raggiunto l'apice nell'efferato eccidio di Guernica», denunciano «le selvagge brutalità che vengono perpetrate contro i democratici baschi», affermano che l'azione «da parte di aeroplani tedeschi è in cinico contrasto con il discorso di Hitler al Reichstag nel maggio del 1935»2 e chiedono infine al governo britannico di sollevare la questione a Ginevra.

La proposta d'invocare l'intervento della Lega è stata del resto già avanzata ieri dai laburisti ai Comuni nel corso di un breve dibattito sul bombardamento di Guernica. Eden, rispondendo e un fuoco di fila di interrogazioni al riguardo, ha, come al solito, cercato di non compromettersi pur dando il massimo possibile di soddisfazione agli oppositori. Eden ha dichiarato che «Il governo britannico deplora profondamente il bombardamento della popolazione civile in Spagna dovunque esso abbia luogo e da chiunque esso venga fatto». Egli ha cercato di valersi dei passi compiuti a Valencia e Salamanca circa l'uso dei gas per dimostrare che il

1 Avvenuta nel pomeriggio del 26 aprile.

2 Riferimento al discorso del 21 maggio 1935 in cui Hitler aveva auspicato un accordo tra le Potenze che le impegnasse a non effettuare bombardamenti aerei su le popolazioni civili.

governo britannico fa tutto il possibile per risparmiare al popolo spagnolo le più gravi sofferenze, e, pur riconoscendo di aver letto nella stampa che il bombardamento di Guernica è attribuito ad «aeroplani stranieri», ha evitato di impegnarsi a eseguire quelle indagini che i laburisti hanno insistentemente domandato. Anzi un tentativo laburista di attribuire apertamente alla Germania la responsabilità del bombardamento di Guernica è stato prontamente arrestato dallo speaker.

Alla specifica domanda del laburista Henderson se il governo britannico intenda invocare a Ginevra l'articolo 11 del patto della Lega in relazione con i «massacri di Guernica» Eden ha risposto con frasi vaghe ma nel complesso negative.

L'unico intervento a favore di Franco è venuto dal conservatore Cazalet il quale ha messo in rilievo che gli aeroplani stranieri al servizio dei rossi spagnuoli hanno costantemente bombardato città aperte. Eden ricorrendo ancora una volta alla stampa come fonte di informazione, ha risposto a Cazalet rilevando che il Times di ieri riportava che la città aperta di Motril era stata bombardata da aeroplani appartenenti al governo di Valencia.

Ieri nel pomeriggio, per iniziativa del deputato liberale antifascista Roberts, si sono riuniti in una sala privata della Camera dei Comuni una diecina di deputati, quasi tutti dell'opposizione, i quali, dopo aver ascoltato le dichiarazioni di un certo Lizaso -basco di cui Azcarate si serve a scopo di propaganda hanno deciso di raccogliere fondi per «provvedere all'evacuazione delle donne e dei bambini di Bilbao».

Secondo dichiarazioni fatte dallo stesso Roberts alla Press Association, questa iniziativa avrebbe la «piena approvazione del Foreign Office» e anzi la marina da guerra britannica presterebbe all'occorrenza la sua cooperazione.

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IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3072/083 R. Budapest, 29 aprile 1937 (per. il l o maggio).

Come da mio telegramma n. 107 del 26 aprile 1 in assenza di Kanya mi sono recato il giorno stesso, lunedì, dal vice ministro degli Affari Esteri attirando la sua attenzione sul tono degli articoli apparsi in alcuni giornali del sabato sera (mio telespresso n. 5327/879 in data odierna)2 mostrando la mia sorpresa per l'atteggiamento sgradevole ed inopportuno di detti organi, accanto ai corretti commenti della restante stampa ungherese: la diffusione data dal Pesti Hirlap a tendenziosi commenti inglesi e francesi, taciuti da tutti gli altri giornali, l'editoriale del Ma

l T. 2922/107 R. del 26 aprile. Vinci comunicava di aver avuto un colloquio con Apor sul quale avrebbe riferito per corriere.

2 Non pubblicato. Il suo contenuto è qui riassunto.

gyarsàg, alcune frasi dell'articolo del conte Giorgio Apponyi sul Magyar Hirlap e soprattutto l'articolo del direttore della Federazione degli industriali ungheresi, Massimiliano Fenyo, pubblicato sul liberale d'opposizione Ujsàg.

Apor mi ha detto che purtroppo detti articoli, di cui riconosceva l'inopportunità, erano apparsi nei giornali che si stampano il sabato sera, anteriormente al chiarimento romano del primo articolo di Gayda 1 e quando comunque egli non era nella possibilità di influenzare la stampa dato che la domenica non si pubblicano giornali, a prescindere dal fatto che si trattava di organi di opposizione. Egli teneva però a dirmi che nessuno di tali articoli poteva considerarsi come a noi contrario, che anzi gli organi stessi sono profondamente amici dell'Italia. e «non avrebbero domandato di meglio che di essere rassicurati». Fenyo è un ebreo di nessuna importanza, e le sue considerazioni sono addirittura pazzesche. Ma evidentemente la pubblicazione del primo articolo di Gayda aveva prodotto una forte sensazione. Egli stesso se ne era avveduto parlando anche con diplomatici stranieri e non mi ha nascosto di aver telefonato a Vienna per avere notizie. Pensava che forse gli autori degli articoli, prima di conoscere il nostro comunicato ufficiale e la rettifica fatta da Gayda stesso, avevano avuto l'impressione che l'Italia avesse mutato alquanto la sua politica nei riguardi dell'Austria, causando un senso di smarrimento e di delusione. Era comunque increscioso che la frase del primo articolo di Gayda, su cui la stampa estera aveva largamente speculato, non abbia contribuito a rafforzare la posizione personale di Schuschnigg.

Si è dilungato poi soprattutto a dirmi (ciò che del resto corrisponde alla verità) che una parte dell'opinione pubblica ungherese e specialmente gli ebrei si preoccupano seriamente della Germania e che solo in questo senso dovevano interpretarsi gli articoli in questione.

Mi ha poi riferito quanto V.E. ha detto al barone Villani circa le conversazioni di Venezia 2 ed ai miei argomenti che, tralascio di esporre, ha pienamente convenuto. Mi ha poi assicurato che avrebbe disposto immediatamente e avrebbe fatto di tutto per influenzare se necessario anche i giornali di opposizione, per quanto gli poteva essere consentito dai limitati poteri del governo verso la stampa.

Mentre, come appare chiaramente da tutti i giornali dei giorni successivi, il governo ha realmente provveduto a illuminare opportunamente la stampa e l'opinione pubblica, è sintomatico il fatto che non è sfuggito a Kanya -come mi risulta in modo sicuro -che Apor avesse potuto darmi l'impressione di essere alquanto preoccupato; ed egli se ne è mostrato assai contrariato.

In una conversazione avuta con lui ieri sera, avendogli accennato al mio colloquio con Apor, mi ha detto che certo il primo editoriale di Gayda (che già aveva suscitato scalpore col suo precedente articolo sulla restaurazione) 3 aveva fatto sensazione nel mondo internazionale, «specie in questo momento di incertezza soprattutto nella politica del Bacino danubiano». Il ministro di Francia, Maugras, che si era recato a fargli visita, appariva nervosissimo: Kanya mi ha detto di averlo tranquillizzato.

I Vedi p. 665, nota 2.

2 Di tale colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani. Si veda in proposito il rapporto del ministro Villani in DU, vol. I, D. 240.

3 Si veda p. 263, nota 2 e p. 276, nota l.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1681/770. Mosca, 29 aprile 1937 (per. il 10 maggio).

L'attività del ministro Beck, che è sempre seguita qui con particolare attenzione, ha formato oggetto in questi ultimi tempi, da parte della stampa sovietica, di attacchi la cui violenza ha assunto una intensità pari a quella che viene di solito riservata alle polemiche contro la politica nazista. Ciò denota a mio avviso, insieme ad una forte dose di irritazione, anche una certa qual preoccupazione.

È chiaro che le recenti visite a Belgrado ed a Bucarest non hanno mancato di far sorgere a Mosca dei timori per una eventuale riuscita di quello che i giornali sovietici chiamano il «complotto polacco», il quale mirerebbe alla formazione di una zona neutrale fra l'U.R.S.S. e la Germania, lungo tutto il territorio che va dal Baltico al Mar Nero. Ciò significherebbe-osservano le lsvestia-«dare a prestito i proprii confini per un'aggressione contro l'U.R.S.S.».

Lo stesso giornale definisce il ministro Beck come «un agente al servizio della Ditta Hitler e Co.» e lo accusa di impiegare il denaro estorto alla Francia per servire la politica nazista.

Alla campagna di stampa contro il ministro polacco ha partecipato anche il Journal de Moscou, organo del Narkomindiel, il quale ha asserito che lo scopo del viaggio di Beck a Bucarest è stato quello di appoggiare il giuoco italo-tedesco attirando la Romania verso l'Asse Berlino-Roma, per mettere un cuneo fra Romania e Cecoslovacchia e rompere al tempo stesso le relazioni di amicizia fra Romania ed U.R.S.S. Altri giornali sono andati più oltre, parlando di un tentativo polacco di silurare il sistema francese di sicurezza collettiva, e richiamando su questo pericolo l'attenzione della Francia e dell'Inghilterra, nonché quella dei piccoli Stati, i quali sono ammoniti di non prestarsi al giuoco dei «governi aggressori».

Tirando le conclusioni sulla odierna situazione internazionale, il già citato Journal de Moscou afferma esistere oramai una sola via per salvaguardare la pace: quella di contrapporre agli «incendiari della guerra» il fronte unito dell'U.R.S.S., della Francia e dell'Inghilterra.

Queste tre Potenze dovrebbero fare una politica di «stabilizzazione» sufficiente a garantire la propria sicurezza e quella dei piccoli Stati. Agendo d'accordo, esse saranno capaci da sole di assicurare una certa tranquillità a tutta l'Europa.

È questo il vecchio ritornello che il Narkomindiel non si stanca di far ripetere dal proprio organo. Mettendolo però in relazione con quanto Litvinov mi ha detto recentemente, quando ha fatto allusione ai «buoni progressi» compiuti negli ultimi tempi sulla via della collaborazione anglo-franco-sovietica (mio telespresso n. 728 del 28 aprile) 1 , mi chiedo se l'affermazione del Journal de Moscou non debba essere considerata oggi con una certa attenzione, visto che viene fatta proprio alla vigilia

t Vedi D. 526.

del viaggio di Litvinov a Londra, dove si reca -come noto -per le cerimonie dell'Incoronazione.

Il Commissario stesso mi ha detto che intende partecipare poi alla riunione del prossimo Consiglio della Società delle Nazioni. Ciò significa che tanto a Londra, quanto nel suo passaggio per Parigi, e finalmente a Ginevra egli avrà l'occasione di incontrare Eden e Delbos. E non credo sia fuor di luogo supporre che egli ne approfitterà per spingere avanti attivamente il suo programma di collaborazione fra le «tre Potenze democratiche»'.

532

IL MINISTRO A VIENNA, SALA T A, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 1673/852. Vienna, 29 aprile 1937 (per. il l o maggio).

Ho veduto, subito dopo il mio ritorno da Venezia2 , il ministro federale dell'Interno, Glaise-Horstenau, ritornato nel frattempo dall'annunziato viaggio a Berlino (miei telegrammi per corriere nn. 082 e 091 dell'8 e del 15 aprile corrente) 3 .

Egli mi ha fatto, in via del tutto confidenziale, un'ampia esposizione sui colloqui da lui avuti: con Hitler, Goering, Neurath, Blomberg e Goebbels.

Nei riguardi internazionali, Glaise ha raccolto da tutte le conversazioni l'impressione della più stretta intimità tra la Germania e l'Italia e del funzionamento dell'asse Roma-Berlino; del crescente disinteressamento dagli affari di Spagna; di una tendenza ad accordi con l'Inghilterra; di acutizzazione della lotta religiosa e del conflitto con la Santa Sede.

Circa i rapporti tra Germania ed Austria, Glaise crede di aver portato con i suoi colloqui berlinesi un contributo decisivo al prevalere dei seguenti concetti fondamentali: l) necessità di evitare ogni moto violento da parte dei nazionali in Austria (evoluzione, non rivoluzione); 2) indispensabilità di non turbare in alcun modo, ma di sostenere l'opera di Schuschnigg; 3) opportunità di evitare ogni trasferimento della lotta religiosa sul terreno nazionale austriaco.

Le preoccupazione immediate e più vive, che Glaise crede di aver rilevato negli ambienti germanici nei riguardi dell'Austria, sarebbero date dal movimento legittimista e dai pretesi rapporti tra Vienna e Praga. L'influenza dell'Italia a Vienna

I Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Per l'incontro Mussolini-Schuschnigg del 22-23 aprile.

3 Con T. per corriere 2549/082 R. dell'8 aprile, Salata aveva riferito che Glaise Horstenau con il suo viaggio in Germania aveva lo scopo di far cessare le continue ingerenze del partito nazionalsocialista negli affari interni dell'Austria e di far togliere ogni appoggio agli elementi estremisti dei «nazionali», in modo da non pregiudicare la politica di pacificazione portata avanti da Schuschnigg. Con T. per corriere 2712/091 R. del 15 aprile, Salata aveva poi confermato la partenza di Glaise Horstenau, messa in forse da alcune polemiche tra la stampa austriaca e quella germanica.

Sul viaggio di Glaise Horstenau in Germania si veda anche il D. 501.

682 e m questo riguardo considerata come una garanzia per Berlino. Glaise avrebbe cercato di preparare il terreno per una «pace di stampa» fra i due Paesi, la quale sarà oggetto di trattative concrete in occasione del viaggio -differito, ma non abbandonato-di Adam a Berlino.

In particolare, Hitler avrebbe mostrato qualche diffidenza verso Schuschnigg, pur riconoscendo che doveva essere sostenuto il regime vigente in Austria e la personalità del Cancelliere che lo incarna, e che ogni sostituzione di Schuschnigg non rappresenterebbe che un peggioramento della situazione anche nei riguardi della Germania.

Per Hitler l'uomo di fiducia a Vienna non sarebbe von Papen ma il generale Muff, addetto militare alla legazione. Si sarebbe !agnato di Tauschitz, ministro d'Austria a Berlino. Goering si sarebbe pronunciato in modo molto violento, sul legittimismo austriaco, ripetendo la minaccia di un'invasione armata in caso di restaurazione degli Asburgo. Notevole la dichiarazione di disinteressamento per il «Siidtirol», non volendo la Germania -così avrebbe detto Goering -cavar le castagne dal fuoco per l'Austria.

Neurath non avrebbe nascosto il suo disappunto per le ingerenze degli organi del partito nazionalsocialista in affari di politica estera verso l'Austria. Ma si sarebbe anche lamentato della troppo lenta esecuzione, da parte austriaca, di alcune delle clausole dell'accordo dell'Il luglio.

Blomberg avrebbe riconfermato l'assenza di ogni mira aggressiva nella Reichswehr, di cui ha esaltato lo sviluppo, l'armamento e lo spirito. Si sarebbe mostrato contrario ad ogni «avventura austriaca», desiderando invece un sempre maggiore affiatamento con l'Esercito federale.

Il viaggio a Berlino, e specialmente l'udienza di Hitler, ha accresciuto il prestigio di Glaise-Horstenau negli ambienti nazionali e nazionalsocialisti. Il ministro mi ha detto che vuoi continuare a mettere ogni sua influenza al servizio dell'esperimento di pacificazione nazionale, a cui si è accinto il Cancelliere Schuschnigg.

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L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 3002/414 R. Salamanca, 30 aprile 1937, ore 21,40 (per. ore 6 del l o maggio).

Mio telespresso n. 393 1 . Il R. Console San Sebastiano telegrafa quanto segue: «Pereda ha fatto telegrafare Bilbao sollecitando urgente incontro con Jauregui

o altro rappresentante basco a Saint Jean de Luz. Desidererei conoscere se, qualora baschi richiedessero, tramite Pereda, mediazione italiana, R. Governo sarebbe disposto interessarsi.

l Vedi D. 497 (che è un T. segreto non diramare).

Generale Roatta mi ha detto ieri che Franco in colloquio con lui non sarebbesi mostrato contrario eventuale intervento italiano».

Colonnello Barroso, capo dello Stato Maggiore di Franco, ha invece detto ieri a colonnello Gambara, capo dello Stato Maggiore del generale Doria, che Franco vuole che siano truppe spagnole ad occupare e presidiare Bilbao. Ciò probabilmente anche in relazione stato d'animo capi e gregari spagnoli Nazionali eccitatissimi per distruzioni fatte dai baschi di Eibar, Guernica ed altri centri minori.

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IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3052/088 R. Budapest, 30 aprile 1937 (per. il 3 maggio). Miei telegrammi per corriere nn. 086 e 087 1 .

Conoscendo la stretta collaborazione che esiste fra il mm1stro degli Affari Esteri e il suo capo di Gabinetto (parlare con quest'ultimo è come parlare con Kanya stesso) mi sono recato dal conte Csàky, sviluppando più ampiamente e dettagliatamente i concetti svolti due giorni fa col ministro, circa quanto è oggetto del telegramma dell'E.V. n. 822 del 21 aprile u.s. 2 Gli ho riferito anche la conversazione avuta col ministro degli Affari Esteri di cui era naturalmente al corrente.

Egli mi ha ribadito il concetto che, se pure Kanya aveva dovuto dire al ministro di Jugoslavia che avrebbe riflettuto sull'eventuale possibilità di trattare successivamente patti bilaterali con ciascuno dei tre Paesi vicini, pur tuttavia è indubbio che (come lo stesso Vukcevi:: mi ha detto) non è il caso di pensare, almeno per ora, alla possibilità di trattare comunque con la Cecoslovacchia: Kanya ha sempre respinto nettamente le sollecitazioni ceche; il discorso Kanya che pronuncierà prossimamente conterrà un vivace attacco contro di essa: Kobr è talmente preoccupato che ha domandato di vedere Kanya lunedì. D'altra parte, mi ha confermato che, secondo quanto risulta in modo sicuro al governo ungherese, dopo il convegno di Belgrado 3 esisterebbe un vero e proprio nuovo patto fra i tre Stati della Piccola Intesa per non intraprendere nulla con l'Ungheria indipendentemente.

Secondo quanto Beck avrebbe potuto sapere a Bucarest4 , la Francia e la Russia, per istigazione di Benes, avrebbero fatto recentemente un energico passo a Belgrado e a Bucarest minacciando il governo jugoslavo e quello romeno che «se continuassero su questa strada invece dell'amicizia avrebbero una decisa ostilità».

I Vedi D. 523. 2 Vedi D. 487. 3 Riunione del Consiglio della Piccola Intesa del l 0 -2 aprile. 4 Durante la visita del 22-25 aprile (vedi D. 514).

684 In questo stato di cose, Kanya si rende conto dell'importanza anche per l'Ungheria della linea politica suggerita dall'Italia: ha cercato di seguire, sia per quanto riguarda la Romania, sia per quanto riguarda la Jugoslavia, le sollecitazioni dell'Italia, della Germania e anche della Polonia ma, almeno per il momento, sembra impossibile, dato quanto precede, giungere a qualsiasi risultato con un Paese indipendentemente dall'altro; sia la Jugoslavia che la Romania non marceranno se non si mostrerà di fare lo stesso con la Cecoslovacchia.

D'altra parte, il governo ungherese deve preoccuparsi non solo della sorte ben nota e dei continui pressanti reclami delle minoranze ungheresi ma anche dell'opposizione parlamentare che raddoppia i suoi inviti al governo per spingerlo ad accordarsi con i vicini e dell'azione in questo senso di eminenti uomini politici come ad esempio il conte Bethlen. Senza quindi che si possa considerare, né vicina, né lontana una simile possibilità, di fronte a questa condizione che sembra posta in modo assoluto dagli Stati della Piccola Intesa, Kanya non può che pensare di riflettere su questo, per cercare di risolvere il problema.

Ho ripetuto a Csàky gli argomenti svolti con Kanya, insistendo soprattutto sul fatto che non conviene lasciar cadere le fila delle trattative, sia con la Jugoslavia, sia con la Romania anzi occorre raddoppiare gli sforzi in tal senso.

Avendo poi accennato a Csàky quanto mi aveva detto il ministro di Jugoslavia circa la possibilità di una denuncia del trattato di Trianon per le clausole militari, egli mi ha detto che constava già a Kanya che Vukcevic era rimasto molto impressionato (aveva infatti convocato subito i due colleghi della Piccola Intesa per metterli al corrente) e -come avevo io stesso pensato -questo era proprio lo scopo che Kanya aveva voluto raggiungere. Ma altro non c'era; e evidentemente non era affatto nelle intenzioni di Kanya di seguire l'esempio dell'Austria: non solo se fosse il caso me ne preavvertirebbe, ma egli era fermamente deciso a non farlo. La Germania aveva ripetutamente spinto l'Ungheria a seguire il suo esempio e sempre Kanya si era nettamente rifiutato.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 3089/0 l 09 R. Parigi, lo maggio 1937 (per. il 4).

In occasione di una delle mie ultime visite a Léger, poiché egli mi aveva detto di avere ricevuto prima di me l'ambasciatore Corbin, gli avevo chiesto se questi non avesse riferito nulla di nuovo circa le disposizioni dell'Inghilterra relativamente al riconoscimento di diritto della sovranità dell'Italia sull'Etiopia. Alla sua risposta negativa, gli avevo detto che mi risultava in via personale -e lo assicuravo formalmente che non si trattava di un'informazione ricevuta dal mio governo -che l'idea stava facendo progressi a Londra dove si desiderava giungere ad una soluzione soddisfacente e rapida del problema. Se gliene parlavo era unicamente perché ritenevo desiderabile che la Francia evolvesse di pari passo

4R

e non si trovasse un giorno sorpresa di fronte ad una soluzione alla quale aveva cessato di pensare.

Léger mi aveva detto allora che sarebbe stato stupito che il governo britannico avesse potuto, in quel momento, pensare ad un riconoscimento di diritto della nostra sovranità sull'Etiopia a cui è convinto, non meno della Francia, di dover giungere e che desidererebbe anzi di poter fare in modo non soltanto sollecito ma gradito per l'Italia. Le difficoltà provenivano tanto all'Inghilterra che alla Francia da considerazioni diverse, al di là della Manica per la sollevazione degli spiriti causata dalle notizie di pretese sanguinose repressioni italiane in Etiopia 1 , in Francia per l'atteggiamento non sufficientemente conforme al non intervento tenuto dall'Italia in Spagna che obbligavano i due governi a tener conto dello spirito pubblico di una larga parte della popolazione. Avrebbe ad ogni modo procurato di sapere se e quali modificazioni di stato d'animo si fossero prodotte nel governo inglese in proposito.

Riferendosi a questa conversazione, in fine della visita fattagli stamane Léger mi ha detto che informazioni analoghe a quelle di cui io gli avevo parlato gli erano state date in questi ultimi giorni da Poliakov (Augur). Dato lo spirito assai fantastico di questo ultimo e la prudenza che è pertanto necessaria usare quando si conversa con lui, egli si era astenuto dall'indagare soverchiamente quali fossero le sue fonti. La cosa lo aveva peraltro interessato perché ~e teneva a ripetermelo ~ la Francia desiderava ardentemente mettere la parola «fine» alla questione etiopica. Non disperava che fosse possibile ancora nel corso della settimana entrante di riannodare conversazioni al riguardo col governo inglese. Ad ogni modo, recandosi egli a Londra il 10 maggio per assistere all'incoronazione dei nuovi Sovrani, uno dei primi argomenti di cui avrebbe parlato ad Eden sarebbe stato questo. Lo avrebbe fatto con tanta maggiore sollecitudine in quanto che sarebbe stato urgente stabilire l'eventuale linea di condotta da seguirsi a Ginevra alla fine di maggio ed ottenere che il governo francese vi desse al propria approvazione. A titolo confidenziale Léger aggiunse che egli aveva avuto al riguardo ancor ieri una conversazione animata col ministro Delbos. A v eva detto a quest'ultimo che egli, segretario generale del Quai d'Orsay e pertanto consigliere del governo in materia di politica estera, doveva porre in evidenza tutta l'urgenza che c'era di risolvere la questione di cui si tratta. Il governo del Fronte Popolare era naturalmente padrone di accettare o di rifiutare il suo consiglio; nel secondo caso peraltro doveva rendersi conto che assumeva una responsabilità grave e che non avrebbe certo agevolato l'opera ulteriore della diplomazia francese.

Ho allora detto a Léger che avevo ragione di ritenere che, giungendo a Londra, avrebbe probabilmente constatato che il governo inglese aveva avuto occasione di rendersi conto che il riconoscimento di diritto della sovranità dell'Italia sull'Etiopia era caldeggiata da uno Stato scandinavo. Francia ed Inghilterra avrebbero a mio giudizio dovuto essere grate a questo Stato se esso avesse offerto loro il modo, con l'azione che si proponeva di svolgere, di uscire dalle difficoltà in cui si trovavano per essere troppo ligie ai preconcetti democratici.

I In seguito all'attentato del 19 febbraio al Maresciallo Graziani (vedi p. 453, nota 3).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 3090/0111 R. Parigi, Jo maggio 1937 (per. il 4).

Stamane ho dovuto intrattenere Léger di vari argomenti delicati perché interessanti il trattamento fatto ad italiani in varie località della Francia, trattamento che non è certo amichevole.

Dopo di che, accennando alla recente sentenza della Corte di Tunisi, circa l'aggressione subita dal direttore dell'Unione, sentenza che aveva assolto gli aggressori e condannato Santamaria, gli dissi che simili modi di procedere sollevavano l'indignazione della nostra opinione pubblica e non facilitavano certo le relazioni tra l'Italia e la Francia.

Léger mi rispose che il fatto al quale avevo accennato non era sfuggito alla sua attenzione. Egli non intendeva esprimere un giudizio al riguardo, né avrebbe potuto farlo, trattandosi di una sentenza pronunciata da un tribunale. Non poteva fare a mento di rilevare, peraltro, che quanto stava succedendo dall'estate scorsa in Tunisia, Algeria, Marocco ed anche in Siria mostrava una ripresa di attività italiana nei possedimenti, protettorati e territori di mandato francesi che non era mai stata maggiore, neppure quattro o cinque anni fa e che sembrava rispondere a direttive precise aventi carattere anti-francese. Gli incartamenti relativi erano assai voluminosi, e, come mi aveva già detto altra volta, dimostravano da parte dei RR. Consoli ingerenze dirette che, se avessero dovuto formare oggetto di esame fra i due governi, avrebbero dovuto essere dichiarate inammissibili da parte della Francia. Egli si era sino ad ora studiato di mettere a tacere questo ammasso di notizie allarmanti che perveniva al Quai d'Orsay. A che cosa avrebbe infatti servito presentare reclami al governo italiano, quando vi erano tutte le ragioni di ritenere che l'azione incriminata era svolta secondo linee direttive precise emanate da Roma? Si limitava dunque a parlarmene in via confidenziale e personale e soltanto quando io stesso lo intrattenevo di argomenti analoghi. In tal modo noi sapevamo che il Quai d'Orsay conosce esattamente le attività antifrancesi dei RR. Consoli in Tunisia, Algeria, Marocco ed in Siria e potevamo, se lo credevamo, modificare le istruzioni loro impartite. Agire diversamente, cioè presentare un reclamo basato sopra un grandissimo numero di fatti incriminati, avrebbe aggravato una situazione politica che il governo francese desidera veder invece migliorare rapidamente. Come vedevo, dunque, la prudenza da lui predicata era il migliore rimedio. Egli si permetteva di esprimere peraltro la speranza che da parte nostra avessimo anche tenuto presente che la pazienza ha dei limiti e sopratutto che ci fossimo indotti ad impartire istruzioni ai RR. Consoli che ingiungessero loro di usare moderazione di azione e di linguaggio.

Ho risposto a Léger che ritenevo vi fosse molta esagerazione in quanto veniva riferito al Quai d'Orsay dalle autorità francesi delle regioni sopra indicate ed ho preso la difesa dei RR. Consoli dichiarando che mi riusciva incomprensibile quanto egli mi aveva detto circa le direttive che avrebbero ricevuto e che sarebbero decisamente anti-francesi.

Léger mi pregò di non insistere al riguardo ed aggiunse che si limitava ad accennare all'attività del R. console generale ad Algeri senza peraltro dirmi di più.

Come conclusione della conversazione Léger mi disse che era comprensibile, o per lo meno a lui francese appariva comprensibile, che magistrati francesi cercassero di difendere come meglio potevano il carattere francese dei possedimenti mediterranei della Francia.

Tutta la conversazione si svolse nei termini della maggiore cortesia, pur essendo state dette cose molto dure da entrambe le parti.

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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3114/034 R. Atene. Jo maggio 1937 (per. il 5).

Mio telegramma n. 032 1•

Mi riferisco alle mie precedenti comunicazioni sulla politica di equilibrio che la Grecia cerca di seguire verso l'Italia e l'Inghilterra nel quadro dell'accordo mediterraneo e sugli sforzi della propaganda inglese per far pendere la bilancia più dal lato di Londra che da quello di Roma ed ho l'onore di segnalare all'attenzione di V.E. il grande rilievo dato dalla stampa ellenica alle dichiarazioni recentemente fatte dal signor Eden, alla Camera dei Comuni, circa l'amicizia britannica per la Grecia 2 .

Senza attribuirvi importanza eccessiva credo che non si possa non osservare che la stampa, la quale -come è noto -è qui controllata dal governo; coglie questa occasione per far risaltare in modo particolare il valore che ha per la Grecia l'amicizia inglese e per cercare di dimostrare la fermezza dei rapporti tradizionali anglo-ellenici in presenza di qualsiasi situazione. I giornali fanno notare che tale amicizia viene riaffermata non solo per il popolo ma anche per il governo ellenico, rilevando che la questione ideologica di regime non ha influenza sulla posizione tradizionale della Grecia nei rapporti dell'Inghilterra. L'Elefteron Vima scrive a questo proposito che le dichiarazione di Eden si indirizzano senza volerlo anche a quei greci che diffondono voci infondate circa le conseguenze che il mutamento di indirizzo nella politica interna del Paese avrebbe dovuto avere sulle relazioni estere. La Kathimerini dice che il popolo greco è abituato a guardare verso l'Inghilterra «come verso una seconda Patria», e trova modo di rievocare, anche in questa occasione, note pagine retoriche della «tradizionale amicizia» per concludere che «sarebbe atto di demenza qualsiasi pensiero che ponesse questa amicizia in seconda linea». L' Acropolis, ricordati gli aspetti storici e sentimentali dei rapporti fra i due Paesi, afferma che gli odierni comuni interessi sono potenti, data la situazione della Grecia come Paese prettamente marittino e data l'importanza che l'Inghilterra deve

l Vedi D. 499.

2 Il 28 aprile, in risposta ad una interrrogazione Eden aveva dichiarato ai Comuni che i rapporti con la Grecia restavano «assolutamente amichevoli» indipendentemente dalla forma di governo che il popolo greco voleva darsi.

688 attribuire alla Grecia nel Mediterranio Orientale «per la conservazione delle vitali arterie di comunicazione verso l'Africa e le Indie».

Altri giornali ripetono su per giù gli stessi motivi, come se obbedissero ad una parola d'ordine. Parola d'ordine che-a me pare-si sta facendo un po' troppo insistente e che è sintomo dell'esitazione e della preoccupazione del governo greco di fronte alle mutate circostanze e prospettive internazionali ed in conseguenza della situazione rimessa felicemente in movimento dalle iniziative italiane nella Penisola Balcanica.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. URGENTISSIMO RISERVATO 2071/655. Berlino, fO maggio ]937 (per. il 3).

Ho ritenuto opportuno di conferire nuovamente con Gaus subito dopo la pubblicazione delle dichiarazioni fatte giovedì scorso al Parlamento bei:ga dal ministro degli Esteri Spaak 1 . Riassumo qui appresso le sue impressioni.

Egli ritiene in sostanza che ·ie dichiarazioni di Spaak, pur rappresentando un evidente lodevole sforzo da parte del Belgio per far fronte con onore alla difficile situazione in cui si trovava rispetto alla Germania da una parte ed alla Francia ed all'Inghilterra dall'altra, non sono state -e forse non potevano essere -tali da dissipare ogni dubbio.

L'osservazione di cui sopra si riferisce specialmente alla parte del discorso di Spaak relativa all'art. 16. Che il Belgio non possa essere forzato a consentire il passaggio di truppe attraverso il proprio territorio senza il proprio consenso, è una affermazione che ha il suo valore ma che dimostra tuttavia come rimanga sempre al Belgio la libertà oltreché di negare anche di dare il consenso in questione. Ecco allora ripresentarsi la necessità di una «contropartita». Se il Belgio vuole dalla Germania una garanzia di inviolabilità del proprio territorio al cento per cento, assoluta, applicabile ad ogni e qualunque caso, bisogna pure che da parte sua accetti una qualche condizione. Reciprocamente, se il Belgio ritiene di dover riservarsi una certa libertà di apprezzamento e di azione è ovvio che anche da parte tedesca si debba dare una garanzia di inviolabilità applicabile soltanto nei limiti in cui lo stesso Belgio non partecipasse, volente o nolente, ad una guerra contro la Germania.

L'altra condizione enunciata dallo Spaak è quella che il Belgio non consentirebbe al passaggio di truppe se non in caso di «azione comune». Il signor Spaak

l Alla Camera, il 29 aprile, Spaak aveva dichiarato che il passaggio sul suolo belga in base all'art. 16 del Covenant era sottoposto a due condizioni: il consenso del Belgio e che esso avesse per scopo l'esecuzione di un'azione comune. Circa questo secondo punto, Spaak aveva precisato che ad un'azione comune dovevano partecipare «i vicini» del Belgio, ciò che, osservava il ministro Preziosi, sembrava indicare la volontà di mettere in primo piano come necessaria la partecipazione dell'Olanda e dimostrava che la recente visita di Eden non aveva raggiunto i suoi obiettivi su questo punto cruciale (T. 3059/036

R. del 30 aprile). Per il testo del discorso si veda Rela::ioni Internazionali, pp. 356-359.

ha anche specificato che il Belgio non intenderebbe come azione comune quella a cui non partecipassero i suoi vicini, ma si tratta di tutti i vicini o di qualcuno dei suoi vicini? Per quanto si sappia, il signor Spaak, nel fare questa dichiarazione, intendeva specialmente riferirsi all'Olanda. Ma allora come si può domandare alla Germania una garanzia al cento per cento guando la neutralità del Belgio è fatta dipendere dalla neutralità di un altro Paese il quale a sua volta non ha impegni di nessuna natura ed è anche esso membro della Società delle Nazioni e quindi anche esso sottoposto alle forche caudine dell'art. 16?

Rimane poi sempre la questione dell'interpretazione da darsi all'art. 16. Il signor Spaak ha assicurato che il Belgio avrebbe mantenuto e sostenuto -in sede ginevrina -le tesi da lui enunciate ma ciò non significa che quelle tesi debbano necessariamente essere accolte e ratificate dalle altre Potenze e quindi, collettivamente, dalla Società delle Nazioni. In questo caso, ancora una volta, come si può pretendere dalla Germania o da altri una garanzia di inviolabilità al cento per cento? È evidente che delle riserve, se non delle limitazioni, si impongono.

Debbo dire che, per questa parte, le considerazioni di Gaus mi appaiono non prive di un effettivo valore e quindi, nei limiti in cui noi ci riteniamo direttamente interessati alla questione, si raccomandano anche all'attenzione nostra.

Dico nei limiti in cui noi ci riteniamo direttamente interessati alla questione perché, in conseguenza della nuova idea avanzata da Eden di rinviare alle calende greche ogni nuovo patto generale tipo Locarno, sostituendolo invece con un patto anzi, con una serie di patti bilaterali di non aggressione che il Belgio dovrebbe stipulare coi propri vicini, l'Italia viene a trovarsi in una situazione assolutamente nuova e che potrà portarla a riesaminare se effettivamente essa abbia, ed in guaii limiti e su guaii basi, interesse a farsi essa stessa direttamente e per conto proprio garante della inviolabilità del Belgio.

La proposta Eden di patti di non aggressione mi è stata confermata sia da parte tedesca sia, ancora più esplicitamente, da parte belga. Il ministro Davignon, che me ne dava comunicazione, mi ha anche riferito -riservatamente -che egli si recherà quanto prima a Bruxelles per vedere quale sviluppo pratico la cosa possa avere.

L'idea di Eden appare tanto più insidiosa in quanto non è da dimenticare che la Germania ha offerto patti di non aggressione ai suoi vicini da tempo, direi quasi, immemorabile, e che, quindi, una proposta di tal genere non può urtare contro opposizioni «di principio» da parte tedesca. Anche essa non si presenta in pratica immune da difficoltà in quanto naturalmente non sarebbe ammissibile che un patto di non aggressione fra il Belgio e la Germania fosse fatto sopra una base diversa da quella di patti analoghi fra il Belgio e la Francia e l'Inghilterra, mentre d'altra parte è anche evidente che una serie di patti del genere finirebbe coll'assorbire anche gli impegni contenuti nella dichiarazione franco-britannica del 24 aprile. Ma si tratta pur sempre di difficoltà accessorie e di dettaglio e non di «pregiudiziali». Il che conferma come la proposta Eden si presti -e forse questa ne è una delle ragioni -ad escludere dalle negoziazioni l'Italia.

Su questa punto bisognerà pure venire ad una qualche intesa con la Germania e ciò profittando della presenza di Neurath a Roma 1•

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 3044/351 e 3045/351 bis R. Londra, 2 maggio 1937, ore 20,14 (per. ore 1,10 del 3).

Ho veduto ieri Eden il quale mi ha detto che, come avevo già potuto rendermi conto dai commenti della stampa, dalle interrogazioni alla Camera dei Comuni e alla Camera del Lords, nonché da numerose altre manifestazioni, i bombardamenti di Guernica e le pretese minacce fatte dal Mola di radere al suolo Bilbao, avevano determinato preoccupazione ed allarme nell'opinione pubblica e nei circoli politici inglesi1 . Di fronte alla reazione nel Paese e nel Parlamento, il governo britannico vuole sollevare la questione in seno al Comitato di non intervento. Rappresentante britannico ha avuto pertanto istruzioni di proporre nella prossima seduta che il Comitato indirizzi alle due parti in Spagna un appello diretto ad ottenere che, per l'avvenire, esse si asterranno dal bombardare città aperte. Eden ha concluso pregandomi di portare quanto precede a conoscenza di V.E. ed ha espresso la speranza che il governo fascista vorrà dare la sua cooperazione a questa iniziativa «ispirata esclusivamente a motivi umanitari».

Mi sono limitato a prendere atto di quanto Eden diceva, aggiungendo che avrei informato V.E.

Stamane mi viene comunicato che la prossima riunione del Sottocomitato avrà luogo martedì mattina (quattro maggio) e che la prima questione dell'ordine del giorno riguarda appunto la possibilità di indirizzare alle due parti in conflitto un appello in relazione al bombardamento delle città aperte.

Non vi è dubbio che i governi francese e sovietico, informati da Eden, daranno ai loro rappresentanti istruzioni di associarsi alla proposta inglese. È propabile che, analogamente, si comportino i Paesi minori rappresentati nel Sottocomitato (Cecoslovacchia, Svezia, Belgio).

In vista della speculazione antifascista inscenata in Inghilterra e in Francia sui fatti di Guernica, mi domando se non convenga di profittare dell'iniziativa inglese a scopo di costituire una contro-propaganda. Mi permetto pertanto sottoporre a

V. E. l'opportunità che il governo fascista telegrafi subito al governo Salamanca allo scopo di ottenere dal generale Franco una dichiarazione che, dopo aver nuovamente respinto ogni responsabilità per Guernica e Eibar, confermi che i nazionali spagnoli non hanno mai inteso e non intendono di bombardare le città aperte e le popolazioni civili, a condizione che le città aperte non servano a nascondere ed a proteggere invece, come nel caso di Guernica e Eibar, armati, opere di offesa, fabbriche d'armi, etc. Propaganda nazionalista in Inghilterra se ne avvantaggerebbe ed i «rossi» spagnoli sarebbero messi in mora. Comunque, poiché è importante che l'eventuale dichiarazione di Franco giunga in tempo per il mattino del 4 maggio, potrei !imitarmi in tale seduta a dichiarazioni di carattere generico, sul contenuto delle quali gradirei cortesi telegrafiche istruzioni di V.E. 2

l Vedi D. 529.

2 Ciano così rispondeva (T. 886/186 R. del 7 maggio): «Il Comitato può, se crede, studiare il problema della umanizzazione della guerra civile. Circa il metodo da seguire per un eventuale appello

540

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3149/0129 R. Londra, 3 maggio 1937 (per. il 7 ).

Telegramma per corriere di codesto ministero n. 6034/C. P.R. del 28 aprile u.s. 1 .

Quanto riferisce il R. Ambasciatore a Tokio conferma, in sostanza, notizie qui raccolte da fonte fiduciaria. Mi risulta infatti che sin dal suo arrivo a Londra, circa 10 mesi or sono, l'ambasciatore Yoshida ha rivolto la sua particolare attenzione alla possibilità di ricondurre le relazioni anglo-giapponesi su di un terreno di maggiore cordialità. Conversazioni di carattere generale ed amichevole hanno effettivamente avuto luogo tra Yoshida ed il Foreign Office, dove gli approcci del primo sono stati immediatamente accolti con incoraggiante favore. Si è trattato però, sino a oggi almeno, sopratutto di manifestazioni di reciproca buona volontà, e non-come riferisco nel mio telegramma per corriere del 23 aprile2 -di «passi concreti per un chiarimento formale delle questioni di comune interesse»; né è da ritenere che tali conversazioni siano ancora giunte al punto in cui si possa da una parte o dall'altra, procedere alla formulazione di proposte di indole pratica.

Assicuro con l'occasione V.E. che continuo a seguire attentamente la questione di cui mi riserbo segnalare immediatamente ogni eventuale sviluppo 3 .

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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, VON NEURATH

Roma, 3 maggio 1937.

Spagna. -Il Barone von Neurath informa che il Fiihrer ha deciso di inviare i 40 pezzi richiesti per le truppe italiane.

alle parti, preferisco quello dei passi individuali. Lascio a V.E. di avvalersi nel modo che crederà più opportuno delle circostanze speciali che potranno sorgere nel corso della discussione, d'intesa con Ribbentrop e Monteiro».

l Ritrasmetteva il T. 2929/156 R. del 26 aprile da Tokio per il quale si veda p. 676, nota l.

2 Vedi D. 498.

3 Per il seguito della questione si vedano DD. 573 e 617.

4 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, pp. 175-178. Von Neurath giunse in visita ufficiale a Roma il 3 maggio e vi si trattenne fino al giorno 5. Oltre a questo colloquio con Mussolini, avvenuto nel pomeriggio del 3, von Neurath ebbe un incontro con Ciano il giorno successivo, sul quale non è stata trovata documentazione negli archivi italiani. Secondo un promemoria redatto dal ministro degli Esteri tedesco in DDT, serie C, vol. VI, D. 354, nel corso di quel colloquio von Neurath informò Ciano che era intenzione del suo governo riconoscere mediante un accordo bilaterale con la Turchia l'intesa raggiunta alla Conferenza di Montreux. A sua volta, Ciano dichiarò che stava tentando di concludere con la Turchia un accordo simile a quello sottoscritto il 25 marzo con la Jugoslavia ma che da parte britannica si stavano esercitando delle forti pressioni su Ankara per impedirlo. Il governo italiano sperava anche di includere la Grecia in un «accordo mediterraneo» ma Atene. che aveva accolto positivamente le prime aperture, da tre mesi era rimasta silenziosa per le pressioni della Gran Bretagna. Von Neurath ebbe un secondo colloquio con Musso lini la mattina del giorno 5: anche di questo colloquio non si è trovata documentazione.

5 Al colloquio era presente Ciano che ha redatto il verbale.

Il Duce ringrazia per la comunicazione e fa alcune osservazioni circa la lenta condotta delle operazioni da parte di Franco. Sarebbe suo intendimento di continuare ad aiutare il Generale Franco fino alla fine di maggio; poi, qualora niente di nuovo si fosse manifestato, mettergli questa alternativa: o andare avanti rapidamente, oppure ritirare le truppe italiane. Pertanto il Duce propone che ai primi di giugno abbia luogo a Roma presso di Lui una riunione cui partecipino anche i rappresentanti autorizzati del Fiihrer per esaminare la situazione e decidere il da farsi.

Il Barone von Neurath concorda e accetta tale proposta.

Locarno. -Il Barone von Neurath mette in evidenza la tendenza britannica di separare la Germania dall'Italia nella questione di Locarno sostituendo a quello che era il vecchio Patto una serie di Patti bilaterali da cui l'Italia rimarrebbe automaticamente esclusa.

Il Duce e il Barone von Neurath decidono che su tale questione, come per il passato, i due Paesi manterranno stretti contatti e che nessuna decisione o risposta ad eventuali proposte inglesi verrà data senza previa consultazione con l'altro Stato.

Austria. -Il Barone von Neurath comunica che il Fiihrer intende mantenere alla base della sua politica nei riguardi dell'Austria il Patto dell'Il luglio. Da parte tedesca, pur portandosi il più attento interesse alla questione, non si considera acuta. Si fa però una eccezione: quella della restaurazione absburgica, che comporterebbe una immediata revisione della politica germanica.

Il Duce espone a von Neurath i risultati del recente convegno di Venezia 1 , che si possono rapidamente così riassumere: Austria Stato tedesco che non può svolgere nessuna politica contro la Germania. Nessuna politica dell'Austria verso Praga, che determinerebbe una immissione dell'Austria nel sistema delle democrazie, facendo saltare i Protocolli di Roma. Restaurazione considerata permanentemente inattuale, pur non potendo Schuschnigg fare dichiarazioni di principio in tal senso, dato il carattere interno della questione.

Il Duce dice a von Neurath che in fondo gli austriaci non desiderano altro che di vivere all'ombra della grande Germania, pur mantenendo la loro indipendenza e fa presente l'opportunità che ad essi venga concesso un trattamento analogo a quello che la Germania ha fatto ai polacchi, coi quali un modus vivendi si è trovato, sia pure attraverso un matrimonio che è di pura convenienza.

Per quanto concerne la collaborazione dei nazisti al Governo di Schuschnigg, il Duce dice di avere consigliato a Schuschnigg, di prendere una rappresentanza dei partiti nazionali. Fa però rilevare come debba esistere una differenza di sistemi tra l'Austria e la Germania, poiché sarebbe impossibile assumere in Austria degli atteggiamenti anti-cattolici o troppo marcatamente anti-semiti.

Rapporti con la Chiesa. -Il Barone von Neurath, dopo avere riassunto le vicende che hanno condotto all'acuto stato di tensione tra la Santa Sede e la Germania, dice che è intendimento del Governo tedesco di arrivare ad una sistemazione con la Santa Sede, su basi analoghe a quelle che permisero l'intesa tra la Santa Sede e l'Italia.

I Del 22-23 aprile con il Cancelliere Schuschnigg. Vedi D. 500.

Il Duce concorda e consiglia di agire in tal senso: raggiungere cioè una intesa così concepita: la politica è riservata allo Stato, la religione è riservata alla Chiesa.

Inghilterra. -Il Barone von Neurath dice che la politica inglese si rivela oramai più chiara. Colpisce prima l'Italia e poi la Germania, o magari i due Paesi insieme. L'insistenza britannica per la stipulazione di Patti collettivi ha per scopo di legare le mani ai due Stati autoritari. La Germania non è disposta ad accedere alle proposte di patti collettivi.

Il Duce conferma anche da parte italiana identica linea di condotta.

Romania. -Il Barone von Neurath dice che anche la Germania considera adesso opportuno attrarre nel sistema dell'asse Roma-Berlino anche la Romania. Fa presente però le difficoltà che sorgono da parte ungherese.

Il Duce dichiara che da parte sua non è disposto a fare niente con i romeni se gli ungheresi non danno prima il loro placet.

Anche il Barone von Neurath è d'accordo e si rimane d'intesa in questo senso.

Dopo una breve conversazione, nella quale si esaminano particolarmente le condizioni interne della Russia e le relazioni fra la Germania, l'Italia e il Giappone, il colloquio ha termine.

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L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3108/58 R. Varsavia, 4 maggio 1937, ore 20,44 (per. ore 0,30 del 5).

Telegramma di V.E. n. 39 1• Nella conversazione avuta stamane ho riferito a Beck quanto avevo detto al sottosegretario di Stato 2 . Allora Beck ha tenuto a precisarmi:

È necessario che la S.d.N. non arrivi «impreparata» alla prossima Assemblea se si vuole evitare che si ripetano gli stessi errori dell'ottobre scorso, dovuti sopratutto a difetti di preparazione. La Polonia non ricadrà in tale errore ma è necessario che anche gli altri Stati vengano «lavorati» in precedenza.

Beck, dati i suoi sentimenti per l'Italia e le opportunità che gli avrebbe offerto il prossimo viaggio a Londra 3 , era pronto ad adoperarsi nel senso che a noi sarebbe riuscito più gradito.

1 T. 869/39 R. del 3 maggio. Approvava la risposta data dall'ambasciatore Arone al segretario generale del ministero degli Esteri polacco, Szembeck (vedi la nota successiva) e autorizzava l'ambasciatore ad esprimersi in modo analogo con Beck.

2 Con T. 3001/56 R. del 30 aprile, l'ambasciatore Arone aveva riferito su un colloquio con Szembeck che gli aveva chiesto se il governo italiano aveva qualche idea circa il modo di liquidare la questione etiopica in seno alla Società delle Nazioni. L'ambasciatore aveva risposto «di non credere che a Roma ci si preoccupasse eccessivamente della cosa, che più che ogni altro doveva interessare Ginevra».

3 Per l'incoronazione di Re Giorgio VI.

Egli molto probabilmente non sarebbe poi potuto andare per ragioni indipendenti dalla sua volontà a Ginevra, ma non avrebbe mancato di impartire istruzioni precise al delegato polacco. La proposta Sandler 1 gli sembrava ottima: oltre tutto negli ambiente societari Sandler non poteva essere sospettato di partigianeria a nostro favore.

Ho ringraziato Beck. Gli ho ripetuto che sgomberare il terreno dalla questione abissina mi sembrava interesse precipuo della S.d.N. Quanto più completa sarebbe stata tale liquidazione tanto più chiara ne sarebbe risultata l'atmosfera generale. Una mezza misura non sarebbe valsa a nulla e non avrebbe mancato di lasciare strascichi e polemiche. Ogni azione che egli svolgesse per una liquidazione totale sarebbe stata certamente apprezzata se non altro per i sentimenti che la ispiravano. I singoli Stati avevano poi tutto l'interesse a svincolarsi dalle strettoie societarie per potere passare a quel riconoscimento dell'Impero al quale noi teniamo più che altro onde misurare l'effettivo grado di amicizia nutrita dai vari Paesi verso l'Italia, a meno che non fosse possibile che tale riconoscimento risultasse evidente dalle decisione stessa della S.d.N.

Beck, che ha mostrato di rendersi conto di quanto gli ho esposto, mi ha pregato di informare V.E., per quelle eventuali comunicazioni che ritenesse di fargli pervenire, che rimarrà a Varsavia sino a tutto il 7 corrente 2 .

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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 3156/019 R. Belgrado, 4 maggio 1937 (per. il 7).

Nel pomeriggio del lo corrente è giunto a Bled, trattenendovisi 24 ore, il generale Goering 3 ..La stampa è stata soltanto oggi autorizzata a dare brevi notizie di tale sosta, senza peraltro far cenno della visita fatta da Goering al Principe Reggente, visita alla quale assisteva Stojadinovic che, mi si dice, circa due settimane or sono era stato invitato dal Principe Paolo a passare le feste della Pasqua ortodossa al castello di Bohinje. La sosta a Bled sarebbe avvenuta a completa insaputa di questa legazione di Germania. Soltanto il capo dei nazisti locali è stato prevenuto ed invitato a recarsi ad incontrare Goering a Bled. Per il momento nulla si sa ancora qui di preciso sugli scopi della visita e sugli argomenti trattati nell'occasione. Secondo qualche fonte, fra le più accreditate, si attribuisce a Goering lo scopo di

I Vedi D. 513.

2 Subito dopo (T. 3100/59R. del 4 maggio), l'ambasciatore Arone telegrafava: «Nella conversazione di oggi, ad un'allusione di Beck che la liquidazione della questione abissina avrebbe reso possibile la ripresa della collaborazione italiana in seno alla S.d.N., mi sono limitato a rispondere che, tuttora perdurando la situazione attuale, ogni possibilità di collaborazione era esclusa. Mutata radicalmente tale situazione, il governo fascista avrebbe certamente esaminato la questione e determinato la propria linea di condotta».

3 In viaggio di ritorno del suo soggiorno in Italia.

illuminare il principe Paolo sulle intenzioni tedesche nei riguardi dell'Austria e della Cecoslovacchia, in prevenzione delle manovre che, nei riguardi della delicata situazione di quel settore, saranno prevedibilmente messe in opera in occasione della permanenza che il Principe sta per fare a Londra per assistere alle cerimonie dell'incoronazione.

Il fatto che Goering sia giunto a Bled direttamente da Roma fa qui ritenere che il governo abbia voluto marcare al Reggente la completa identità di direttive della politica Roma-Berlino anche per quanto concerne le situazioni che possono interessare la Jugoslavia. Avrebbe in particolare, patrocinato un sollecito riavvicinamento magiaro-jugoslavo. Stojadinovic è fino ad oggi assente 1 .

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3183/14] R. Ginevra, 4 maggio 1937 (per. il 10).

Telegramma di V.E. n. 841/C del 27 aprile u.s. 2 .

Ho visto oggi questo delegato permanente di Polonia reduce da Varsavia dove ~mi ha detto ~ha avuto occasione di conferire lungamente col ministro Beck.

Komarnicki era al corrente dell'idea di Sandler 3 . Mi ha precisato però ~a quanto gli ha dichiarato Io stesso Beck ~ che il ministro svedese non aveva preso nessuna decisione di portare la cosa di sua iniziativa davanti all'Assemblea. Sandler aveva accennato della sua idea: di considerare l'Etiopia come Stato estinto ad Eden e a Beck. Komarnicki ignora quali siano state le reazioni di Eden ma ritiene che l'Inghilterra continui a mantenere sulla questione etiopica una grande riserva. Comunque Beck gli aveva detto che qualche cosa bisognava pur fare per quanto concerneva l'Etiopia e gli aveva anzi molto riservatamente confidato che se non si fosse concordato nulla su tale problema tra le Potenze interessate egli avrebbe preferito intervenire personalmente alla sessione di maggio dell'Assemblea. Beck era d'avviso ~e Komarnicki aveva parlato di questo con Avenol precisamente stamani~ che bisognava evitare con ogni mezzo che la S.d.N. divenisse il rempart d'un blocco ideologico. Se l'Italia non avesse ripreso il suo posto a Ginevra era evidente che la Lega sarebbe fatalmente diventata una roccaforte della Terza Internazionale e del Fronte Popolare. La Polonia non era disposta ad ammettere tale processo di sovvertimento d'un istituto che doveva trovare la sua

1 Il ministro Indelli riferiva successivamente che. secondo quanto gli aveva dichiarato Stojadinovic, il colloquio con Goring era stato «d'indole del tutto informativa e generica»: il Maresciallo aveva voluto «documentarsi» alla vigilia della partenza del Principe Paolo per Londra e nella particolare fase della situazione centro-europea (T. per corriere 3273/025R. del 12 maggio).

2 Ritrasmetteva il D. 513.

3 Vedi D. 513.

ragione d'essere precisamente nella più assoluta neutralità di fronte alle ideologie che dividevano il mondo. Komarnicki ha aggiunto che A venol aveva approvato tale principio ma gli era sembrato che egli non avesse nessuna idea precisa su quanto potrà fare l'Assemblea e che fosse, come sempre, in balia della cricca sinistroide che lo circonda.

Tuttavia Komarnicki è d'avviso che a Londra, dove in occasione dell'incoronazione si incontreranno buona parte dei ministri degli Esteri dei principali Paesi, una prima intesa verrà concordata. Ma gli pareva difficile che Ginevra potesse poi a fine maggio prendere una decisione concludente nei riguardi della questione etiopica, dato che il problema spagnuolo manteneva una atmosfera di turbamento che non era fatta per una conciliazione. A ciò bisogna aggiungere che non era impossibile -a quanto gli constava -che Alvarez del Vayo si proponesse di risollevare, malgrado che Parigi e Londra non fossero favorevoli, il problema del suo Paese davanti al Consiglio e forse anche davanti all'Assemblea, il che non era certo destinato a favorire un lavoro sereno di conciliazione e di distensione degli animi.

Anche a Komarnicki-come ho già fatto con altri delegati-ho dato netta la sensazione che il governo fascista si disinteressa completamente di Ginevra e di quanto vi si farà e che noi stiamo organizzando la nostra pace come organizzammo la nostra guerra senza tener nessun conto di Ginevra.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N. PILOTTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3184/142 R. Ginevra, 4 maggio 1937 (per. il 10).

Ho già fatto conoscere a V.E. 1 che il ministro per gli Affari Esteri di Svezia, Sandler, ha posto a Londra e a Parigi la questione di ciò che convenga fare alla sessione straordinaria dell'Assemblea nei riguardi della questione etiopica. Sono ora informato che Westman, ministro di Svezia a Berna (attualmente a Ginevra membro del Comitato per Alessandretta), si è espresso con incertezza e scetticismo relativamente alla linea di condotta che il suo governo potrà adottare in tale occasione. Secondo Westman, non è possibile alla Svezia, per ragioni di politica interna, prendere un'iniziativa neppure nel campo limitato del riconoscimento della mancanza di poteri di una delegazione che Tafari eventualmente inviasse a Ginevra. Si ha l'impressione che il governo svedese (forse più di qualunque governo nordico) gradirebbe vedere eliminata la questione ma che non andrebbe oltre il seguire passivamente azioni intraprese da altri.

l Vedi D. 504.

546

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI DI EUROPA E DEL MEDITERRANEO GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 4 maggio 1937.

Goldmann è stato ricevuto da S.E. Ciano il 4 maggio alle ore 10.

Uscendo dall'udienza, è venuto a dirmi:

1.) di essere stato molto soddisfatto di quanto dettogli dal Ministro degli Esteri, che cioè da parte nostra non si ha intenzione di modificare la linea politica seguita verso il sionismo; che ugualmente non si pensa in Italia a adottare provvedimenti di tipo razzista; e che taluni articoli di stampa e libri sono l'espressione di idee di singoli l;

2.) che l'Esecutivo sionista è contrario alla spartizione della Palestina: suo obiettivo è quello di guadagnare tempo, continuando nell'attuale sistema del mandato e della politica di immigrazione sionista in Palestina, commisurata alle capacità di assorbimento del Paese. Si adatterebbero solo alla spartizione, per evitare il peggio ed a condizione che tutta la Palestina del sud fosse compresa nella zona ebrea.

547

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI, GRAZZI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, A BERLINO, ATTOLICO, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

TELESPR. 214651 /c. Roma, 4 maggio 1937.

Il R. Ambasciatore in Washington con rapporto del 19 aprile c.a. 2 riferisce che negli ultimi giorni la situazione nei riguardi dell'Italia, che aveva raggiunto un punto acuto circa un mese fa a Pasqua, è venuta a calmarsi. Vanno segnalati come avvenimenti sintomatici di tale mutamento di stato d'animo alcuni fatti:

l) Il Congresso ha seppellito la proposta Dichstein per una inchiesta diretta contro le attivita anti-americane. Col che qui si prendono di mira specialmente nazismo, fascismo e comunismo. La proposta Dichstein mirava sopratutto al nazismo ma l'opposizione contro la detta proposta è venuta specialmente dai circoli che considerano con una certa benevolenza il comunismo. Ad ogni modo in tale

1 Nel corso di un colloquio con il console a Gerusalemme, Mazzolini, Nahum Goldmann aveva già espresso «la preoccupazione degli ebrei d'Italia per quanto scrive Il Tevere sugli ebrei in genere e quelli italiani in specie» (T. per corriere 3066/016R. del 28 aprile).

2 Il documento inviato da Suvich è non stato ritrovato.

occasione il filocomunismo di questi circoli è stato un buon alleato del fascismo che naturalmente si opponeva al passaggio di tale progetto di legge.

2) È stata liquidata pure la proposta del signor Nye per ottenere dal Dipartimento di Stato una interpretazione sulla possibilità di estendere l'embargo contro le parti implicate in una guerra civile ed altri Paesi che aiutassero una o l'altra delle dette parti in conflitto. La proposta Nye era rivolta manifestamente e dichiaratamente contro l'Italia. In questo caso abbiamo avuto come alleato principale il Dipartimento di Stato che ha fatto prendere dai senatori favorevoli all'Amministrazione netta posizione contro il detto progetto di legge.

3) Ha avuto luogo in questi giorni a Filadelfia il congresso della American Academy of Politica! and Social Science al quale ha assistito anche un funzionario di questa ambasciata. Si è discusso largamente di guerra, di pace e di armamenti ma l'Italia, contrariamente a quanto si poteva attenderci, non è stata attaccata.

Anche nei riguardi della Germania la situazione è più tranquilla. L'ambasciatore Luther, prima di partire, ha riunito in una cosidetta Bierabend rappresentanti del Dipartimento di Stato, senatori, deputati e giornalisti. In tale occasione l'ambasciatore ha fatto qualche dichiarazione d'indole politica specialmente con riferimento all'unità spirituale della Germania.

Sebbene l'inatteso discorso dell'ambasciatore per l'occasione in cui è stato fatto e sopratutto per il fatto dell'invito esteso ai rappresentanti del Dipartimento di Stato non sia stato considerato opportuno, tutto si è limitato a qualche leggera ironia, ma sono mancati gli attacchi che di solito accompagnano tali manifestazioni. A ciò ha contribuito anche la buona posizione personale dell'ambasciatore Luther che ha saputo cattivarsi in questo Paese la simpatia e il rispetto dei più importanti circoli americani, il che è tanto più notevole data la situazione difficile che la Germania ha negli Stati Uniti.

Il R. Ambasciatore aggiunge che negli ultimi tempi la Germania fa degli evidenti sforzi per dare all'America l'impressione della sua moderazione nelle più scottanti questioni della politica mondiale.

Per quanto riguarda l'Italia, il fatto che negli Stati Uniti ha creato l'impressione più favorevole è stata la decisione presa dal governo Italiano di concorrere all'accordo per il ritiro dei volontari dalla Spagna.

Va tuttavia notato che tale atteggiamento più favorevole dell'opinione pubblica e della stampa americana nei riguardi dell'Italia è in parte dovuto ad una certo senso di stanchezza subentrato alla fase più acuta della campagna contro il nostro intervento in Spagna. Si osserva anche un certo diffondersi dell'impressione che la causa del governo di Madrid sia in ribasso.

Non bisogna però dare eccessiva importanza all'accennato miglioramento dello stato di spirito nei nostri confronti che va qualificato più una sfumatura che un movimento sostanziale e sopratutto non si può affermare che esso abbia un carattere permanente; domani un mutamento della situazione europea può riaccendere in pieno la polemica. Il R. Ambasciatore insiste poi in modo particolare sulla ripercussione che ha negli Stati Uniti quanto si fa e si dice a Londra.

Per quanto ha riferimento più specialmente alle attività non americane S.E. Suvich ritiene che sia assolutamente necessario da parte nostra continuare in un atteggiamento di prudenza, dato anche che vi sono ancora davanti al Congresso altri progetti di legge che dobbiamo cercare di far cadere. Una ripresa di attività «anti-americane» come viene designata negli Stati Uniti, potrebbe far perdere vantaggi ottenuti con la liquidazione dei progetti menzionati sopra.

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L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1166/544. Sa/amanea, 4 maggio 1937 (per. il 7).

A seguito di precedente corrispondenza sull'argomento, ho l'onore di trasmettere a V.E. l'acclusa copia di un rapporto pervenuto a questa R. Ambasciata dal

R. Console a San Sebastiano, riguardante l'oggetto indicato a margine.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA V ALLETTI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. POSTA 892. San Sebastiano. 3 maggio 1937.

È noto che Aguirre, il Presidente del governo di Bilbao, accusa apertamente l'aviazione tedesca della distruzione di Guernica, la Mecca del baschismo. Mentre per la distruzione di Eibar e per il saccheggio di Durango il governo basco ha taciuto o quasi, nel caso di Guernica esso si sforza di attirare l'attenzione internazionale sull'accaduto. Ciò potrebbe far pensare che Aguirre sia questa volta sicuro di sè e che nelle sue accuse egli non sia del tutto nell'errore. Alcuni fuggitivi di Guernica, della cui veridicità non avrei ragione di dubitare, mi hanno infatti confermato che l'aviazione tedesca ha per ore e con estrema violenza bombardato popolazione ed abitazioni.

È probabile che la distruzione di Guernica sia il risultato di una duplice collaborazione. Dopo l'opera della aviazione, qualche dinamiteros avrà fatto il resto, anche per potere poi più violentemente accusare di barbarismo il generale Mola. Comunque, i baschi sono convinti che la distruzione di Guernica è stata voluta da Mola, che va così compiendo, essi dicono, la promessa distruzione di Vizcaya, e effettuata dai tedeschi che, dice Euzka Deya, come hanno voluto colpire il cuore dei francesi a Reims, così hanno colpito quello basco a Guernica.

L'impressione -dolore, risentimento, paura -che ha fatto l'avvenimento di Guernica sui baschi è stato enorme. Con i miei precedenti rapporti ho più volte accennato che il punto focale della questione basca è il panico -giustificato o no -che i baschi hanno per una sanguinosa e spietata vendetta di Franco. La distruzione di Guernica non ha fatto che nuovamente confermare ed aggravare tale sentimento. È oramai evidente, scrive la stampa basca, che lo scopo di Franco è la distruzione della popolazione basca. L'unica possibilità che rimane è la lotta senza quartiere. «Piuttosto morti che schiavi» è il titolo dell'articolo di fondo del quotidiano Euzkadi del 30 scorso.

Tuttavia la situazione viene compresa in tutta la sua gravità. Mentre a Bilbao si celebrano tridui per la salvezza del popolo basco, Leizaola, delegato basco presso il governo di Santander ha predisposto per fare accogliere le donne ed i bambini fuggitivi. Il Consiglio interprovinciale santanderino si è dichiarato pronto agli aiuti.

Nella stampa non si cela anche un certo risentimento contro Valencia che non manda gli aiuti richiesti. «I nostri soldati scrive Euzka Deya conservano il loro elevato morale, ma aspettano i soccorsi che tuttavia non sono giunti, mentre il nemico accumula sempre più i suoi mezzi di distruzione». Fra questi viene dalla stampa fatta chiara menzione della brigata mista delle Flechas Negras, quale divisione italiana con un comando italiano nella città di Deva.

Malgrado i numerosi arrivi di piroscafi inglesi con viveri, la situazione alimentare a Bilbao è delle più gravi. In questi giorni è stato necessario arrivare al razionamento con dosi minime dell'olio, e perfino del sapone.

Tuttociò, aggravando l'insuccesso militare, deve produrre una certa pericolosa reazione nelle sinistre. Sono chiaramente sintomatici i continui appelli della stampa nazionalista alla disciplina affermando che anche una parola di critica all'azione del governo è un crimine di lesa patria e sarà severamente punita.

La pressione delle sinistre ha forzato il governo ad un grave provvedimento: la nazionalizzazione di tutte le terre incolte. I fondi non sufficientemente sfruttati verranno sottratti ai loro proprietari e dati ai lavoratori che ne faranno domanda.

Anche nell'esercito ci devono essere delle crepe o gravi timori che si verifichino. I giornali portano la notizia di un consiglio di guerra tenuto in congiunto col tribunale militare e della istituzione di giudici militari presso i reparti per giudicare sul posto ed alla speditiva. Varie presunte spie sono state fucilate.

Tutti i problemi e specialmente quello della alimentazione, vengono in particolar modo complicati ed ingigantiti dall'enorme afflusso dei fuggitivi. I paesi quando cadono in mano dei nazionali sono assolutamente vuoti. Solo dopo qualche giorno ridiscendono dalle montagne alcune diecine di fuggiaschi che spesso erano rimasti nascosti durante tutti i nove mesi del conflitto. Tutto il resto è sparito insieme ai reparti militari in ritirata.

Con il mio 334 del 8 marzo 1 informavo la E.V. che la popolazione basca del Guipuzcoa era nella maggior parte fuggita all'arrivo dei requetés nel settembre. San Sebastiano aveva perduto il 50%, altri paesi fino al 70-80'Y,, della popolazione. Lo stesso fenomeno si ripete ora nelle zone recentemente occupate. Certo una parte della popolazione fugge obbigata o per timore, ma potrebbe anche sorgere il dubbio che il sentimento nazionalista basco, !ungi dall'affievolirsi sotto i colpi militari si fortifichi nello sforzo della disperazione.

Comunque la popolazione di razza basca quasi nella sua totalità seguita a sfuggire il dominio di Franco per agglomerarsi in massa dall'altra parte del fronte militare.

549

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO URGENTE 1178/552. Salamanca. 4 maggio 1937 (per. !'8).

Il giorno 29 marzo, giusta le disposizioni date dall'E.V. con telegramma n. 2242 , il R. Ambasciatore presentava al Gabinetto del generalissimo Franco la nota3 della quale acclude copia.

1 Vedi D. 261. 2 Vedi D. 274. 3 Vedi D. 357.

Non essendo ancora, alla data del mio arrivo, pervenuta risposta, la ho sollecitata verbalmente durante un colloquio col Capo del Gabinetto Diplomatico; questi mi ha risposto in modo vago e dalle sue parole ho riportato la sensazione che questo governo avrebbe preferito ove possibile, non dare alcun seguito alla questione. Mi permetto pertanto pregare l'E.V. di volermi autorizzare a sollecitare formalmente una risposta. Ciò non solo per la ragione, già di per sé stessa decisiva, di non consentire che si lasci cadere una nota presentata a nome di S.E. il Capo del Governo e dell'E.V., ma anche perché -a mio subordinato avviso -l'atteggiamento del governo di Franco in campo interno ed internazionale potrà forse rendere utile per noi l'essere in condizioni di chiarire alcuni punti delle nostre relazioni con la Spagna Nazionale.

Premetto che negli ultimi tempi nulla autorizza a sperare in un cambiamento di sistemi nei confronti dell'opposizione. Niente è stato fatto in materia di codificazione dei delitti politici. È molto se si è avuto qualche piccolo provvedimento di carattere contingente come la sostituzione di due giudici di Tribunali Speciali ritenuti troppo severi e qualche promessa a mezzo stampa, e che non sembra confermata dai fatti, di lasciar salva la vita a baschi e miliziani che si arrendono.

Attualmente sono sul tappeto in Spagna due grandi problemi che, per gli svolgimenti futuri potranno imprimere un carattere inequivocabile alle direttive politiche del governo nazionale: problemi la cui soluzione potrà chiarire se ci troviamo dinanzi all'opera di governanti animati dalla ferma volontà di condurre il popolo spagnolo verso la pacificazione e l'evoluzione in senso fascista, oppure dinnanzi ad un tentativo a fondo militaristico e reazionario.

Come è noto all'E.V. le due questioni sul tappeto sono le seguenti:

1.) Fusione dei partiti.

2.) Soluzione del problema basco.

Per la prima, corre voce negli ambienti di solito bene informati che il Generalissimo voglia applicare il sistema del pugno di ferro contro chiunque cerchi intralciarlo nel suo lavoro. L'espressione «pugno di ferro» può assumere nella Spagna 1937 un significato particolarmente grave. Per quanto alcuni dei falangisti fatti prigionieri negli ultimi tempi siano stati rimessi in libertà, pure numerose condanne a morte pronunciate a Tetuan, Avila ed altrove contro falangisti che avevano mostrato velleità dissidentistiche sembrano confermare tali voci.

Quanto alla questione basca, occorre tenere presente che la distruzione di Eibar, Guernica, ed altri centri minori per opera delle truppe in ritirata ha logicamente esasperato gli animi di capi e gregari dell'esercito nazionale, per cui non è affatto da escludere l'ipotesi di massacri in grande stile che potrebbero seguire ad una conquista di Bilbao. Già adesso viene riferito che solo una parte dei prigionieri catturati in gran numero nelle recenti azioni, ha raggiunto i punti di concentrazione. La cosa diventerebbe anche più grave ove risultassero vere le voci che circolano qui circa l'intensificarsi negli ultimi tempi in Bilbao e in Santander delle persecuzioni contro le persone sospettate di simpatia per il movimento nazionale.

Dato quanto precede e tenendo anche presente il rifiuto opposto dal generale Franco a una garanzia italiana per la vita delle popolazioni basche, è mio subordinato avviso che forse non sarebbe superfluo -ad ogni buon fine -essere in possesso di una documentazione colla quale, ove le circostanze lo consiglino, si possa scindere completamente la nostra responsabilità da quella del governo nazionale per i massacri passati e a venire e si possa anzi dimostrare alla opinione pubblica mondiale e spagnola che ci siamo sempre adoperati nel senso di rendere meno sanguinoso il conflitto. Ritengo che una risposta del Generalissimo alla nota sopracitata, quale che ne sia il contenuto, potrebbe utilmente entrare a far parte della documentazione stessa.

Resto in attesa di disposizioni.

550

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3131/18 R. Stoccolma, 5 maggio 1937, ore 19,05 (per. ore 23).

Mio telegramma n. 17 1•

Mi sono intrattenuto con Sandler su nota questione. Egli mi ha detto di aver voluto impostare pubblicamente problema in modo da far risultare necessità risolverlo, ma di non aver personalmente escogitato speciali procedure o modalità atteggiamento che dovrebbe assumere Assemblea della S.d.N. Unico punto gli sembra sicuro è oggi Etiopia aver perduto definitivamente qualità necessarie per essere considerata membro S.d.N. e che Assemblea deve trarre conseguenze da questa constatazione. Tale non fu suo parere settembre scorso, ma oggi sovranità italiana su intero territorio è da considerarsi di fatto compiuta ed immutabile a meno di avvenimenti straordinari che non rientrano ambito considerazioni utili. Egli ha aggiunto che, a parte questo principio, non ritiene utile andare a Ginevra con progetti di dettaglio perché sul luogo si trovano sempre circostanze che obbligano modificarli o abbandonarli.

Dal complesso conversazione risulta quindi come ormai acquisita soltanto intenzione non riconoscere poteri di un'eventuale delegazione etiopica.

Mio collega di Polonia2 , il quale era pure al corrente voce confidenziale riferita da ministro Sola, mi ha detto che voce era giunta a Beck da fonte londinese e che dever riferirsi ai passi del discorso Sandler relativi Etiopia i quali, come altre parti del discorso, debbono essere stati combinati a Londra in occasione recente visita Sandler.

I Vedi D. 528. 2 Gustav Potworowski.

551

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. 880/379 R. Roma. 5 maggio 1937, ore 23.

Faccia presente al generale Franco, in relazione al suo programma di governo, che sarebbe forse il caso di adottare fin d'ora la Carta del Lavoro 1•

552

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3173/09 R. Bucarest, 5 maggio 1937 (per. il 9 ).

Con telegramma per corriere del 26 aprile u.s. n. 5950, codesto ministero mi ha trascritto quanto comunica la R. Legazione in Budapest con suo telegramma del 22 aprile relativo al trattamento della minoranza ma giara in Romania 2 , e mi chiede di riferire ciò che a me risulti in proposito. Tengo subito a far presente che non soltanto da ora, ma da ben tre anni a questa parte, le autorità romene vanno inasprendo il regime fatto alle minoranze ungheresi. Ciò corrisponde ad un preciso programma del partito liberale, programma però che, data la pigrizia mentale, la rilassatezza ed anche la faciloneria e benevolenza romene, non avrebbe avuto un carattere di continuità e di persistenza, se per iniziativa di Titulescu e del suo intimo amico e collaboratore signor Steìian Popescu, direttore e proprietario del giornale Universul, non fosse stata fondata, proprio or sono tre anni, la cosidetta lega antirevisionista e non fosse stata intrapresa dal detto giornale una violenta campagna antimagiara sotto il segno del nazionalismo ad oltranza.

I fulminanti discorsi antimagiari di Titulescu e la campagna dell' Universul sono riusciti a creare in Romania una vera e propria psicosi antimagiara, nella cui atmosfera le autorità provinciali, anche per acquistarsi meriti patriottici, stringono i freni e commettono talvolta vere e proprie violazioni di leggi e di regolamenti, contro cui nessun ricorrente riesce ad ottenere giustizia. Né le autorità giudiziarie, infatti, né quelle amministrative, né lo stesso governo, osano mai riparare il torto e fare giustizia per tema di essere oggetto degli attacchi dei patriottardi ad oltranza. Non intendo con ciò dipingere un quadro troppo nero o addirittura tragico della situazione. La convivenza fra l'elemento magiaro e quello romeno della Transilvania

1 Per il seguito si veda il D. 579.

2 T. per corriere 2866/076 R. del 22 aprile. Il ministro Vinci aveva riferito su una conversazione avuta con il sottosegretario agli Esteri ungherese, Apor. il quale aveva rilevato <<una recrudescenza nei cattivi trattamenti alle minoranze ungheresi in Romania», forse dovuta anche al desiderio dei governanti romeni di ottenere una facile popolarità nella propria opinione pubblica, sempre molto ostile agli ungheresi.

(parlo delle due tribù che da secoli vivono e lavorano sulla stessa terra transilvana) è stata ed è tuttora molto cordiale. Non esistono rivalità. I magiari in Transilvania si sono un pò romenizzati: i romeni della stessa regione hanno alquanto preso della mentalità più forte e più retta dei magiari. Cosicchè le due tribù s'intendono e persino si amano. Contadini gli uni e contadini gli altri, non tendono a strapparsi le terre: cattolici gli uni e cattolici gli altri, non sono agitati da lotte religiose: non ci sono contrasti di indole economica o sociale. Le città, ove tali contrasti più facilmente si creano e si acuiscono, o sono tedesche (sassoni) o ebree.

Fino a quando l'autorità centrale ha fatto poco sentire la sua presenza nei villaggi e la sua tutela sulle fondazioni culturali, su quelle religiose, e sulle organizzazioni politiche, la Transilvania ha conosciuto, anche dopo la guerra, la stessa era di relativa pace e di tranquilla convivenza dei tempi della monarchia austro-ungarica. Ma con l'organizzazione e lo sviluppo dell'amministrazione statale, il governo centrale ha cominciato ad essere presente ed attivo: da quel momento la minoranza magiara ha sentito i primi colpi. Siamo ben !ungi dal trattamento duro che i magiari hanno sofferto nel Banato jugoslavo e nella Backa e ben !ungi altresì dalla raffinatezza della pressione amministrativa del governo di Praga nelle regioni ungheresi della Cecoslovacchia. Ma qui in Romania la pressione è oggi tanto più sentita in quanto essa, per molti anni, era stata piuttosto dolce.

A mio avviso, il problema più che di oggi è di domani: perché la severità del trattamento delle minoranze, preso l'aire, è destinata a crescere, ed anche rapidamente, a meno che i rapporti politici fra i due Paesi non dovessero, come si auspica, subire una radicale trasformazione.

Sarebbe però grave errore, come ebbi già ad esporre nel mio telegramma per filo del 12 febbraio n. 17 1 , se alle tante difficoltà di politica internazionale che già si frappongono ad un riavvicinamento tra Bucarest e Budapest fosse avanzata da parte magiara, come pregiudiziale, la questione del trattamento delle minoranze. Nessun governo romeno avrebbe il coraggio, l'autorità e, devo dirlo onestamente, neanche la possibilità di fare oggi macchina indietro. Quel governo che si attentasse di negoziare con Budapest un accordo basato su una qualsiasi dichiarazione, anche se autonoma, che suonasse deviazione dalla rotta attuale, sarebbe rovesciato. Un eventuale ravvicinamento tra i due Paesi, deve partire, deve scaturire, dalla soluzione dei problemi prettamente politici: cioè parità di diritto, patto di non aggressione, collaborazione politica, economica, culturale, nel quadrilatero Roma-Belgrado-Budapest-Bucarest. Soltanto dopo chiarite le relazioni politiche fra i due Paesi, e nel quadro di una collaborazione internazionale la cui ragione ed importanza s'imponesse all'universale, si troverebbe qui un governo capace di mettere un fermo al crescendo della pressione sull'elemento magiaro. Comincierebbero probabilmente le stesse autorità provinciali ad ispirarsi alla nuova atmosfera politica ed a cessare, quindi, dal farsi parte diligente nel perpetrare abusi che sono oggi quasi sempre avallati o per lo meno non repressi (che è poi lo stesso) da parte delle autorità centrale. Nella questione del trattamento delle minoranze non si tratta tanto di tornare indietro, quanto di mettere un fermo all'attuale crescendo.

1 Vedi D. 115, che è del 2 febbraio.

Questo mio modo di vedere, nei mesi scorsi, quando sembrava che il governo romeno cominciasse, prima della conferenza di Belgrado 1 , ad accarezzare l'idea di un riavvicinamento con Budapest, ho a lungo spiegato al mio collega d'Ungheria, che, dapprima rigidamente negativo, ha dimostrato in seguito un certo apprezzamento di questa tesi. A lui, rappresentante del governo di Budapest, era certamente difficile ammettere che un ravvicinamento tra i due Paesi potrebbe avvenire senza parlare, fin dai primi approcci, del trattamento delle minoranze, e quindi una adesione completa alla mia tesi non me l'ha mai data. Ma da ultimo sembrava rendersi conto della sua fondatezza, e ne ha certamente riferito a Budapest. Nel lavorio tendente ad avvicinare Jugoslavia e Romania con l'Ungheria, occorre tenere presente la sostanziale differenza che passa tra la gente che governa a Belgrado e quella che sgoverna a Bucarest. All'incrocio della Sava col Danubio c'è gente che sa quello che vuole e che, pur con certe riserve, è capace di assumersi, nei confronti dell'opinione pubblica, responsabilità anche gravi. Si ricordi che nello spazio di 18 anni quattro governi jugoslavi hanno ardito concludere e fare accettare al loro Paese quattro importanti accordi con noi: Rapallo, Santa Margherita, Roma e Belgrado. Ma qui, sulle rive del rigagnolo che si chiama Dambovitza, gente di nerbo non ne vedo. Qui i governi, talvolta per debolezza, talvolta per furbizia, scatenano la passione dell'opinione pubblica, e poi non sanno più come fermarla. Di ciò bisogna pur tenere conto nello sviluppo del programma di politica internazionale delineato nelle istruzioni dell'E.V. dirette alla R. Legazione a Budapest col telegramma per corriere n. 822 del 21 aprile u.s. 2 .

Come ho già riferito a V.E. fin dal 7 aprile, (mio telegramma per corriere n. 06) 3 alla Conferenza di Belgrado si è messo un fermo all'azione autonoma dei tre Paesi della Piccola Intesa: ma gli impegni di Belgrado, se hanno qualche valore oggi che sono freschi, sono destinati a svalutarsi a distanza di qualche settimana. Ma anche quando la nostra azione entrerà nella sua fase attiva, occorrerà tenere conto della debolezza congenita di questo popolo, e non chiedergli «le cose più grandi di lui».

Mi permetto anche suggerire di far leva sopratutto su Belgrado e fare in modo che di là giunga a questi signori spinta e sostegno. Sarebbe molto utile che questo mio collega di Jugoslavia ricevesse istruzioni di tenersi in contatto molto stretto con questa legazione. L'attuale ministro, signor Kassidolac, uomo delle vedute larghe, sembra destinato a lasciare Bucarest per Londra. Le istruzioni da me invocate potrebbero essere date al suo successore.

Mi permetto anche fare presente che il ministro di Romania a Roma, signor Lugosianu, è genero del noto Stelian Popescu, direttore dell' Universul, portavoce di Titulescu, presidente della Lega antirevisionista, promotore della campagna antimagiara. Sarà bene perciò diffidare dell'uomo che rappresenta la Romania a Roma. Titulescu pagava la Lega antirevisionista con tre milioni di Lei all'anno, che la famiglia Lugosianu-Stelian Popescu aspetta vedersi pagati, con gli arretrati, al ritorno di Titulescu al potere. Vi sono perciò interessi di famiglia che mettono questa gente attraverso alla direttiva politica da V.E. impartita.

1 Si riferisce alla riunione del Consiglio permanente della Piccola Intesa del ! 0 -2 aprile precedenti. 2 Vedi D. 487. 3 Vedi D. 420.

In questo momento di stasi, in questa battuta di arresto, può sembrare prematuro parlare di procedura. Ricordo però che in occasione dell'accordo itala-jugoslavo ha molto servito l'invio a Roma da parte della Jugoslavia a latere di un uomo abile e volenteroso: anche fra i romeni si può trovare qualcuno adatto e capace come Subotic. Il contatto fra romeni, jugoslavi e ungheresi sarebbe più agevole, e più efficace se avvenisse a Roma, sotto l'influenza diretta del R. Governo. È un metodo che ha dato buoni frutti e quindi può ancora dame.

553

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3204/0136 R. Londra, 5 maggio 1937 (per. 1'11).

Telegramma di V.E. n. 841 /C del 27 aprile u.s. 1 .

In relazione a quanto è stato comunicato dal ministro degli Affari Esteri di Polonia Beck (e su cui V.E. mi domanda di riferire) circa una «formula» che ministro Esteri di Svezia Sandler starebbe studiando, coll'approvazione del governo britannico, nell'intento di sottoporla a Ginevra onde risolvere questione appartenenza ex Stato etiopico alla S.d.N., ho avuto sabato, l corr., una conversazione con Eden durante la quale ho ritenuto opportuno di fare un sondaggio discreto e indiretto in merito a tale argomento.

Ho cominciato col dire a Eden che mi interessava di conoscere le sue personali impressioni sulla sua recente visita a Bruxelles2 .

Eden ha risposto dicendomi che egli era assai soddisfatto dei risultati di tale visita, la quale doveva naturalmente considerarsi in istretta connessione con la dichiarazione anglo-francese del 24 aprile sulla neutralità belga 3 . Eden mi ha fatto un'abbastanza lunga esposizione (che risparmio a V.E.) sui precedenti della questione, insistendo in particolare su un punto, e cioè che sin dal momento in cui Re Leopoldo aveva con le sue note dichiarazioni del 14 ottobre4 , preannunciato una «revisione» delle posizioni del Belgio nei confronti di quelli che erano stati sino allora i propri impegni internazionali, il governo britannico si era reso conto che l'attitudine assunta dal Belgio rispondeva ad effettive esigenze della nuova situazione internazionale e che pertanto da Londra nessuna azione era stata fatta o tentata per dissuadere il Belgio dall'assumere la nuova attitudine. «Le dichiarazioni fatte ieri l'altro dal ministro Spaak 5 -ha continuato Eden -dopo la mia visita a Bruxelles, sono intese a correggere alcune interpretazioni che alla dichiarazione anglo-francese sono state date dai circoli politici francesi ed hanno ricevuto l'ap

1 Ritrasmetteva il D. 513. 2 Del 25-27 aprile. Vedi D. 516. 3 Vedi p. 635, nota 3. 4 Del 14 ottobre 1936 (testo in DDB, vol. IV, D. 128). 5 Vedi p. 689, nota l.

provazione del governo britannico. Le mie dichiarazioni con van Zeeland non si sono limitate all'esame particolare delle relazioni anglo-belghe o franco-belghe. Il governo britannico e il governo belga hanno convenuto che occorre riprendere in esame nel suo complesso il problema delle relazioni fra le cinque Potenze occidentali già firmatarie del Trattato di Locarno, facendo il possibile nell'istesso tempo per evitare lo «scoglio» insormontabile del patto franco-russo. È vero -ha aggiunto Eden -che le risposte pervenute dal governo tedesco e dal governo italiano sono piuttosto scoraggianti, ma esse non sono tali tuttavia da autorizzare a concludere senz'altro che è inutile continuare nei nostri sforzi. La posizione di neutralità assunta dal Belgio può fornire un nuovo punto di partenza per una ripresa di conversazioni e trattative. Germania e Italia potrebbero infatti, sull'esempio di quanto è stato fatto dall'Inghilterra e dalla Francia, definire la loro posizione rispetto alla neutralità belga. Si avrebbero così una serie di accordi bilaterali fra ciascuna delle quattro grandi Potenze occidentali e il Belgio. Quest'ultimo si troverebbe automaticamente ad essere il centro di una serie di accordi formalmente indipendenti fra di loro ma nella sostanza analoghi e ciò senza che il problema del patto franco-russo necessariamente interferisca coi medesimi. Da cosa nasce cosa: si potrebbe costituire così un secondo punto di partenza per un ulteriore esame delle relazioni fra le quattro Potenze dell'Europa occidentale. Cosa ne dite?»

Mi sono limitato a rispondere che avrei riferito a V.E.

Eden ha continuato: «Nelle mie conversazioni con v an Zeeland anche il punto delle relazioni anglo-italiane è stato naturalmente toccato, e il problema di un possibile ritorno «attivo» dell'Italia a Ginevra. lo ho pregato espressamente van Zeeland di «spiegare» al governo italiano, in occasione dei contatti che egli con ogni probabilità avrà prossimamente per esaminare il problema delle relazioni italo-belghe in funzione della nuova posizione di «neutralità» assunta dal Belgio, che il governo britannico desidera sinceramente un miglioramento effettivo e sostanziale dei rapporti anglo-italiani e un ritorno a quelle che erano le «basi» della cooperazione italo-britannica in Europa prima che sorgesse la questione etiopica a Ginevra. L'Inghilterra non nutre verso l'Italia né rancori né disegni nascosti; la sua politica è quella fissata nello schema, sia pure generico e comprensivo, del Gentlemen 's Agreement del 2 gennaio. È spera bile ed augurabile che quanto prima tutti i «residui» della questione etiopica saranno scomparsi e tolto ogni motivo apparente di equivoci e malintesi».

Ho detto ad Eden che prendevo atto di queste sue dichiarazioni, e che le intendevo per quello che esse mi· auguravo effettivamente significassero. Ho aggiunto che io non avevo istruzioni di intrattenerlo su questo argomento, né intenzione, da parte mia di farlo. «L'Assemblea straordinaria di Ginevra è alle porte, ho continuato. È precisamente dall'attitudine che i diversi governi assumeranno prossimamente a Ginevra in relazione al problema dell'ex Stato etiopico che l'Italia potrà giudicare quali sono le intenzioni «effettive» delle singole Potenze nei propri confronti. Come potrebbe il governo italiano comportarsi altrimenti? Se è vero che l'Inghilterra desidera effettivamente un chiarimento sostanziale dei rapporti italo-britannici ed una ripresa di quelle che erano le posizioni e sopratutto le «prospettive» dell'accordo del 2 gennaio, si vedrà tra qualche settimana a Ginevra. Il governo fascista non domanda e non sollecita nulla. Esso aspetta di vedere. Se voi non aveste fato testé riferimento a tale questione !asciandomi chiaramente intendere che il problema è stato oggetto di esame fra voi e van Zeeland, io non avrei certamente messo la conversazione su questo argomento. Ma giacché voi l'avete fatto vi dirò che ho appreso con certo interesse la notizia che corre a Londra secondo la quale sarebbe allo studio da parte del ministro degli Esteri svedese, e con la approvazione britannica, una formula da sottoporsi a Ginevra per liquidare la questione dell'ex Stato etiopico. D'altra parte, altre voci corrono a Londra, secondo le quali amici vostri cercherebbero proprio in questo momento di dissuadere l'ex Negus di inviare una delegazione a Ginevra, e ciò per evitare che la questione dell'appartenenza alla S.d.N. dell'ex Stato etiopico sia risolta alla prossima Assemblea straordinaria e rimanga invece insoluta fino all'autunno. Non vi domando naturalmente di confermarmi, né di smentirmi queste notizie. So perfettamente che una delle vostre costanti «preoccupazioni» alla vigilia di ogni riunione ginevrina è quella di «documentare» che nessuno scambio di idee è preventivamente intervenuto fra Londra e Roma in merito ai problemi che saranno discussi a Ginevra in margine alla questione dell'ex Stato etiopico.»

A queste mie parole Eden non ha saputo cosa rispondere non nascondendo un vivo imbarazzo. Dopo qualche minuto di silenzio, ha detto: «Vi ringrazio anzitutto di non avermi posto una diretta domanda alla quale io non posso rispondere, per le ragioni alle quali voi stesso avete accennato. Voi conoscete la Camera dei Comuni. Io «debbo» essere in grado di dichiarare sopratutto se, come spero, Ginevra troverà una via di uscita alle note difficoltà, che la soluzione è stata adottata «da» Ginevra e «a» Ginevra, che il governo britannico, fedele alla sua politica, si è limitato ad accettare quello che Ginevra ha deciso. Per vostra informazione personale io posso dirvi che nel momento in cui parliamo, e cioè a tre settimane dall'Assemblea di Ginevra, la «posizione» britannica è la seguente: l) Il governo britannico non prenderà a Ginevra alcuna iniziativa; 2) Il governo britannico appoggerà tutte quelle iniziative o formule che saranno eventualmente presentate da altre Potenze per liquidare la questione. Posso anche aggiungere che da parte di alcune piccole Potenze si sta studiando effettivamente una soluzione «pratica», e. che il governo britannico considera ciò con manifesto favore, anche perché, essendo la questione dell'ex Stato etiopico a Ginevra un interesse sopratutto delle piccole Potenze, tali iniziative rivestono un carattere e un'importanza particolare. Non nascondo da ultimo -ha continuato Eden -che dopo l'esperienza dello scorso settembre a Ginevra e cioè dopo gli attacchi di cui io fui allora oggetto in Italia proprio dopo essere stato l'unico rappresentante il quale svolse un'azione diretta a dimostrare e documentare la non esistenza di un governo abissino in Etiopia, voi capite che proprio non sento personalmente nessuna inclinazione di ripetere l'esperimento».

Ho replicato a Eden che non era esatto parlare di attacchi italiani contro di lui per l'azione da lui svolta a Ginevra nello scorso settembre, ma che nessuno potrà comprendere, a cominciare da me, perché egli Eden attese a dimostrare l'inesistenza di un governo etiopico dopo che l'Assemblea aveva già raggiunto decisioni «sospensive» che furono basate proprio sul dubbio che tale governo etiopico potesse effettivamente esistere. D'altra parte, egli non doveva meravigliarsi che riesca a tutti, non soltanto agli italiani, «incomprensibile» il fatto che l'Inghilterra dopo avere mobilitato 53 Stati per applicare le sanzioni contro l'Italia, e dopo aver preso successivamente «fuori di Ginevra», la «iniziativa» di abolire le

sanzioni, di dichiarare decaduti gli accordi di assistenza mediterranea 1 , di abolire la rappresentanza diplomatica ad Addis Abeba, tenti di trincerarsi oggi dietro il debole paravento della responsabilità collettiva, o dell'iniziativa di piccole Potenze .... Fin qui la mia conversazione con Eden, col quale, secondo le istruzioni di

V.E. mi sono limitato a poche battute, senza cioè entrare in una discussione vera e propria. Da notizie assunte direttamente da fonte belga, svedese e polacca, e da informazioni confidenziali raccolte nell'ambiente del Foreign Office, opportunamente controllate, mi risulta inoltre quanto segue.

È vero che ministro Esteri di Svezia, Sandler, in occasione della sua recente visita a Londra 2 , ha fatto presente a Eden l'opportunità e il desiderio, non soltanto della Svezia ma anche di altre Potenze minori, di addivenire a una qualche soluzione pratica a Ginevra circa l'ex Stato etiopico in modo da seppellire questa questione una volta per sempre e rendere possibile ritorno attivo dell'Italia alla S.d.N. Prima tuttavia di esaminare concretamente l'eventuale contenuto di una formula possibile, il Sandler desiderava domandare a Eden quale era effettivamente l'avviso del governo britannico. Eden ha risposto a Sandler negli stessi termini delle dichiarazioni fatte a me, e cioè che governo britannico non intendeva prendere direttamente alcuna iniziativa ma che esso avrebbe appoggiato tutte quelle formule che sarebbero state eventualmente presentate a Ginevra per liquidare questione etiopica. Eden avrebbe concluso incoraggiando Sandler a studiare una «formula» sul contenuto della quale tuttavia, né Sandler, né Eden hanno scambiato idee precise. Neppure -così mi ha assicurato questo ministro di Svezia 3 che era presente ai colloqui è stato discusso fra Eden e Sandler se era più conveniente procedere alla liquidazione del problema nella prossima Assemblea straordinaria del 26 maggio ovvero attendere fino all'Assemblea ordinaria del prossimo settembre. D'allora nessun ulteriore scambio di idee è intervenuto fra governo svedese e governo britannico.

In termini più o meno analoghi si è svolto a Bruxelles, secondo informazioni da fonte inglese e belga, la conversazione fra Eden e van Zeeland. Eden ha dichiarato a van Zeeland che governo britannico avrebbe accolto con piacere ed appoggiato qualsiasi proposta che fosse presentata da altri Stati membri della S.d.N. preferibilmente da piccole Potenze. Van Zeeland ha preso atto di queste dichiarazioni britanniche.

Questo ambasciatore di Polonia 4 si è recato la settimana scorsa da Eden, per intrattenerlo, dietro istruzioni del proprio governo, sulla questione sollevata da Sandler. Anche con lui Eden si è espresso in termini più o meno analoghi, ha confermato cioè disposizioni «generiche» favorevoli da parte del governo britannico ma non ha nascosto una certa riluttanza ad entrare direttamente nell'esame di formule precise, il cui contenuto dovrà essere oggetto di discussioni in seno all' Assemblea di Ginevra.

Nel mio telegramma n. 0127 del 28 aprile u.s. 5 ho inoltre segnalato a V.E. la notizia da fonte attendibile a proposito di un certo «attrito» esistente fra Eden e il futuro Primo Ministro Neville Chamberlain. Tale attrito sarebbe determinato dal

I Vedi p. 632, nota l. 2 Dal 15 al 18 marzo precedenti. 3 Erik Palmstierna. 4 Edvard Raczynski. 5 Vedi D. 524.

710 desiderio sempre più deciso da parte di Chamberlain di vedere sgombrato il terreno delle relazioni coll'Italia dagli ultimi residuati della questione etiopica, mentre Eden mostra una certa riluttanza ad assumere un atteggiamento pubblico e chiaro in questa direzione.

Sono in grado di confermare l'esattezza di questa notizia. Chamberlain il quale succederà a Baldwin esattamente il 28 maggio p.v., ha, fra le altre cose, domandato a Baldwin che gli sia fatto trovare per quella data il terreno «pulito» dalla questione dell'ex Stato etiopico in modo da poter iniziare le sue funzioni di governo, liberato da queste difficoltà che appartengono ormai al più anacronistico passato. Baldwin ha acconsentito e ha dato istruzioni a Eden in tal senso. Senonché Eden, pur promettendo di fare, in realtà sta facendo poco: ciò non perché Eden abbia in mente di seguire una linea politica diversa da quella del suo futuro Primo Ministro, ma soltanto perché Eden vuole coinvolgere personalmente Chamberlain nella responsabilità di una decisione di fronte alla Camera dei Comuni.

La liquidazione dell'ex Stato etiopico a Ginevra sarà motivo di chiassate dell'opposizione liberale e laburista ai Comuni contro il governo conservatore, ed Eden cerca di tirare le cose in lungo in modo da «garantirsi» personalmente da Chamberlain, presentando a suo tempo alla Camera dei Comuni la decisione britannica in favore della liquidazione formale dell'ex Stato etiopico a Ginevra come una decisione del nuovo Gabinetto Chamberlain-Eden (il nuovo Gabinetto entrerà in funzione, come ho detto, il 28 maggio e cioè due giorni dopo che, presumibilmente, sarà convocata a Ginevra la prossima Assemblea) e non come un atto dell'uscente Gabinetto Baldwin-Eden, che lascerebbe praticamente ad Eden, così questi teme, tutto il peso e gli «svantaggi» parlamentari di fronte alla Camera dei Comuni della decisione presa.

Questa continua ad essere l'Inghilterra di oggi, parlamentare e democratica, nella quale, «nessuna» questione, anche le più importanti e le più gravi, sono considerate un interesse o nazionale, o imperiale, o internazionale, e come tali affrontate e risolte, ma soltanto come un «fatto» d'ordine parlamentare, destinato esclusivamente ad influenzare la fortuna effimera di questo o quell'uomo politico.

Non diversamente si sta comportando il governo conservatore di fronte allo sciopero dei tramvieri. Londra offre infatti in questi giorni lo spettacolo inaudito di una congestione materiale e di una contraddizione politica senza esempio. Mentre da tutte le parti dell'Impero si rovesciano a Londra milioni di sudditi bianchi e di colore per celebrare quello che nell'intenzione e nella volontà del governo britannico deve essere uno spettacolo non mai visto di forza e di coesione imperiale, questo stesso governo conservatore -in omaggio ai propri principi liberali e addirittura ossessionato dalla preoccupazione di una qualche chiassata di laburisti ai Comuni, sta assistendo «senza intervenire» allo sciopero proclamato dai tramvieri e minacciato dai ferrovieri delle ferrovie sotterranee, sciopero che ha già in questi giorni trasformato la capitale inglese in una specie di bolgia e disordine infernale, con tutte le conseguenze di carattere «pedagogico» ed «educativo» che si possono facilmente immaginare per i sudditi bianchi e di colore fatti convergere a Londra proprio allo scopo di constatare la organizzazione potente della metropoli britannica capitale dell'Impero!

Mi riservo su questo punto, e sugli altri punti che sono oggetto del presente rapporto, di riferire ancora prossimamente a V.E.

554.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

TELESPR. SEGRETO 215084 /c. Roma, 5 maggio 1937.

Telespresso di questo R. Ministero n. 212158/c dell'Il aprile 1•

Come è stato comunicato all'E.V. col telespresso segnato in riferimento, l'Imam dello Y emen ha incaricato il figlio H ussein di rappresentarlo alle feste per l'incoronazione del Re Giorgio VI. Il principe Hussein ha già lasciato lo Y emen diretto in codesta capitale.

In precedenza questo ministero aveva dato istruzioni al dottor Dubbiosi2 , capo della Missione Sanitaria nello Yemen, di far presente, quale sua iniziativa personale, all'Imam Yahia che nell'eventualità che uno dei suoi figli si fosse recato a Londra in occasione dell'incoronazione del Re d'Inghilterra, sarebbe stata gradita anche una sua visita a Roma.

Come è noto, l'Italia fu la prima Potenza europea a stringere con lo Yemen rapporti ufficiali consacrati da un Trattato di amicizia ormai più che decennale 3 . La cordialità dei rapporti fra i due Paesi verrebbe rafforzata dalla visita di un principe yemenita a Roma e gioverebbe altresì a far cadere le malevoli voci diffuse da interessati a turbare le relazioni fra i due Stati amici.

A tale riguardo la predetta Missione Sanitaria ha riferito, in data 23 corrente4 , quanto appresso:

«Principe Hussein ha lasciato Sanaa giorno 20 corr. mese per Hodeida ove si imbarcherà per Londra. Il Cadi Abdalla mi ha dichiarato ieri che l'Imam non ha nulla in contrario acché suo figlio, di ritorno da Londra, faccia visita di cortesia a Roma. In tal senso gli ha anzi impartite istruzioni. Per ragioni di opportunità Imam desidera che pratica inerente alla visita a Roma sia tenuta segreta fino alla definizione delle particolarità.

Per concertare modalità visita Roma, l'Imam prega R. Governo interessare nostra ambasciata a Londra di mettersi con ogni cautela in contatto col Principe per definire possibilità visita e sue modalità»

In considerazione di quanto precede, questo Ministero, mentre, per ovvie ragioni, non ritiene opportuno che l'E.V. prenda l'iniziativa di chiedere direttamente al principe quali sono i suoi intendimenti in merito alla visita a Roma, La prega di trovare il modo di avvicinarlo o di farlo avvicinare allo scopo di indurlo ad una decisione possibilmente favorevole.

In tal caso l'E.V. potrà fargli comunicare o comunicargli che la sua visita a Roma tornerà gradita al R. Governo, e provvedere acché siano definite con lui,

1 Non pubblicato. Il suo contenuto è qui indicato. 2 Con T. 285/13 R. del 26 gennaio. 3 Trattato d'amicizia e di relazioni economiche tra l'Italia e lo Yemen del 2 settembre 1926 (testo

in Trattati e convenzioni, vol. XXXVI, pp. 503-505). 4 Con T. 2846!99 R.

per sommi capi, le modalità della visita stessa, avvertendone tempestivamente questo Regio Ministero, il quale si riserva di fissarne il programma particolareggiato, che, per il tramite deli'E.V., verrà portato a conoscenza del Principe durante la sua permanenza a Londra.

555

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 749/245. Shanghai, 5 maggio 1937 (per. 1'8 giugno).

Lo sforzo, attualmente più intenso, che il Giappone compie per una penetrazione economica nelle Provincie cinesi a nord del Fiume Giallo, tanto con l'impostazione del contrabbando, quanto facendo balenare l'attraente miraggio di un programma di collaborazione economica per la rinascita della Cina, rappresenta lo sviluppo logico della sua politica asiatica tendente a favorire la creazione di un sistema di Provincie autonome, pur anche formalmente dipendenti da Nanchino, ma sotto il suo effettivo controllo politico-militare.

Tale politica espansionistica ed imperialista, che ha portato dapprima alla conquista della Manciuria e poi all'armistizio di Tangkow 1 si ispira come è noto precipuamente alle necessità da cui è fortemente premuto il Giappone e precisamente:

l) trovare uno sbocco alla propria mano d'opera esuberante ed ai manufatti nipponici;

2) assicurarsi un mercato di materie prime ad esso mancanti o quanto meno scarseggianti (ferro, carbone, petrolio, lana, cotone, ecc.) per intergrare il proprio potenziamento economico e bellico;

3) assicurarsi sul continente asiatico una salda base di operazioni in previsione di un eventuale conflitto armato con l'U.R.S.S.

Colla conquista della Manciuria il Giappone si è assicurato ingentissime risorse minerarie. (Basta ricordare: i giacimenti di carbone che sono stimati grosso modo a 4.800.000.000 di tonnellate -centri minerari di Anshan, di Penchi hu (nella Provincia di Mukden), di Tayeh, ecc. -i giacimenti di schisto bituminoso che ricopre i giacimenti di carbone di Fushun; di manganese --circa 5.000.000.000 di tonnellate, --tra Ta shih chiao e Hai cheng i giacimenti d'oro, d'argilla, di bauxite, di petrolio -pozzi di Sakalin -ecc.

Ma in questo campo si è ancora molto lontani dalla realizzazione del programma «massimo» a cui tengono i giapponesi, poiché la Manciuria è un Paese, quantunque potenzialmente ricco, ancora pressoché sconosciuto in tutta la sua parte interna.

I Armistizio cino-giapponese del 31 maggio 1933.

Le Provincie Settentrionali della Cina provocano, e giustificano un più immediato interessamento giapponese, a causa dell'abbondanza di risorse naturali ed agricole esistenti in quelle regioni e dell'importanza strategica delle Provincie del Chahar e del Sui yiian (zona «cuscinetto» tra il Manciukuò e l'U.R.S.S.) che possono offrire una base efficace ad una ulteriore eventuale penetrazione nell'Asia Centrale e nella Mongolia, ed un campo di operazioni in caso di conflitto armato con l'U.R.S.S.

Favolose riserve di carbone e di ferro, di cui non si conoscono per ora che gli affioramenti (V. nota N. l) 1 stimate a 133 bilioni di tonnellate, stando al parere dei tecnici conoscitori di questo Paese, si troverebbero nella Cina del Nord e principalmente nello Shansi, Sui yiian, Chahar.

Così pure nello Shansi vi sarebbero dei considerevoli campi petroliferi. Tali riserve di carbone e di petroli, se sfruttate con procedimenti tecnici moderni, potrebbero soddisfare totalmente il fabbisogno nipponico di detti combustibili.

Oltre a ciò il suolo offre favorevoli possibilità alla cultura del cotone ed alla produzione della lana, le due materie prime tessili inesistenti in Giappone, i cui ecquisti dall'estero (S.U.A., India ed Australia) sono responsabili per circa il 60 per cento della sfavorevole bilancia commerciale nipponica. (V. nota N. 2) 2 .

Le saline di Changlù nella Provincia dell'Hopei, sono passibili di un ulteriore, sostanziale sfruttamento, sì da ottenere dalle stesse il soddisfacimento del crescendo bisogno di sale, specie per usi industriali (anche per la fabbricazione di esplosivi, di gas velenosi, ecc.), che attualmente si aggira intorno ai due milioni di tonnellate per anno, mentre la produzione interna raggiunge solo 1.170.000 tonnellate.

Detto incremento nella produzione di sale nella zona di Changlù potrebbe fare cessare del tutto gli acquisti dall'estero, particolarmente dalla Somalia e dalla Cina.

In proposito va ricordato che in questi ultimi mesi interessi giapponesi hanno conseguito un quasi completo controllo dell'industria cotoniera nella zona stessa, particolarmente nel distretto di Tientsin, mercè l'acquisto di fabbriche più importanti nel passato gestite da interessi cinesi e con la erezione di nuovi impianti amministrativamente controllati dai grandi gruppi tessili nipponici. I proprietari cinesi sono stati costretti a vendere gli stabilimenti per la perdita del vicino mercato della Manciuria, per i dannosi effetti del commercio di contrabbando e per le continuate pressioni della Autorità militari nipponiche, che ne rendevano insicura e non proficua l'attività.

L'industria giapponese si è recentemente mostrata propensa ad erigere fabbriche di rayon e lanerie. Essa ha inoltre conseguito un efficace controllo della locale industria dei fiammiferi, del cemento, della carta e del vetro, rilevando in quest'ultimo caso una fabbrica belga.

1 Nota l del documento: «Sulle miniere di Yen --site a metà strada tra Pechino e Kalgan e sulla costituzione di una nuova società sino-giapponese per lo sfruttamento dei giacimenti minerari di Hsuanhuafu con un capitale di 30 milioni di dollari la R. Ambasciata ha già riferito con suo rapporto N. 1729/413 del 26 ottobre u.s. [Non pubblicato]».

2 Nota n. 2 del documento: «A tale fine i Giapponesi avrebbero l'intenzione di organizzare razionalmente la pastorizia nelle grandi pianure della Mongolia Interna, mettere a coltivazione nuove terre ed introdurre, in seguito al felice esito degli esperimenti tentati nel Manciukuò in quelle regioni il merino e il montone crociato».

L'espansione economica di cui sopra è stata un'opera vasta realizzata attraverso l'attività della Orientai Development Corporation e mercè l'efficace collaborazione della South Manchuria Railway che avrebbe in progetto la costruzione:

a) di un tronco ferroviario destinato a congiungere Shih chia chuang a Taku, a ridosso di Tientsin, attraverso la ricca zona agricola dell'Hopei e quella mineraria della Shansi;

b) della linea ferroviaria Chin huang tao-Chang ping che, una volta ultimata, aprirà alla Mongolia Interna una nuova via di comunicazione al mare.

Queste due linee ferroviarie, senza parlare della loro funzione strategica, avrebbero soprattutto Io scopo di sviluppare e sfruttare le risorse minerarie delle zone che attraversano.

I giapponesi avrebbero in ultimo il progetto di istituire dei servizi aerei tra la Cina e il Giappone, interamente controllati dagli interessi nipponici.

Nonostante i successi riportati, il governo di Tokio sente tuttavia la necessità di giungere a consolidare le posizioni sino ad ora raggiunte nella Cina del Nord mediante un accordo con il governo di Nanchino.

La situazione che si è andata di recente delineando non manca di essere per i giapponesi motivo di preoccupazioni.

Si ha, infatti, la netta sensazione che l'influenza e l'autorità del governo di Nanchino comincino a farsi sentire anche sul lontano governo autonomo dell'Hopei-Chahar. Alcuni governatori delle Provincie Settentrionali che in passato avevano sempre tenuto un atteggiamento servile nei riguardi del Giappone cominciano ad oscillare verso Nanchino.

Il fallimento del «colpo di mano» di Sian-fù 1 , l'atteggiamento di elevato civismo dimostrato durante la prigionia del Generalissimo sia dai governatori delle varie Provincie che dai generali più autorevoli (anche da quelli che erano ritenuti dal governo di Nanchino uomini di dubbia fedeltà) l'interesse e l'ansia con la quale da tutti sono stati seguiti gli eventi, le decisioni prese nell'ultima assemblea plenaria dal Kuomintang, ed il «pentimento» dello stesso Chang Hsiieh-liang hanno chiaramente dimostrato che l'intero Paese ripone la propria fiducia in Chiang Kai-shek ed intende dargli un incondizionato appoggio per aiutarlo a portare a compimento il programma di riorganizzazione e di unificazione della Cina da lui intrapreso.

Se a ciò si aggiunge la ripresa verso la fine del 1936, della politica di sostegno finanziario ed economico da parte del governo di Londra e l'interessamento che esso sembra dimostrare per il potenziamento economico delle Provincie Meridionali, l'allarme del governo giapponese appare pienamente giustificato, come pure il suo desiderio di raggiungere al più presto una intesa con Nanchino nel campo della collaborazione economica.

Un tentativo a tale fine è stato fatto il mese scorso con l'invio di una missione economica giapponese in Cina composta di uomini di affari, banchieri, esperti, con a capo il sig. Kodama, che però non riuscì a concludere quasi nulla (V. il telegram-

I Si riferisce all'imprigionamento di Chiang Kai-shek da parte di Chang Hsiieh-liang nel dicembre precedente (vedi serie ottava, vol. V, DD. 600, 607, 610, 621, 639, 641. 650, 653, 688).

ma N. 108 del 23 marzo u.s.) 1 per il fermo proposito dei negoziatori cinesi di dare la precedenza alla soluzione di questioni di natura politica, mentre per parte loro i componenti la missione non poterono dare specifiche e definitive assicurazioni per quanto concerne la soppressione del commercio di contrabbando nelle Provincie al di là del Fiume Giallo.

Tre avvenimenti sintomatici inoltre sono meritevoli di essere segnalati:

l) L'appello all'unità nazionale che, secondo notizie provenienti da Pechino, avrebbe lanciato il principe Teh e l'invito che quest'ultimo avrebbe rivolto alle «bandiere» mongole ad indire una riunione nel giorno anniversario della nascita di Gengis Khan, a Huateh per deliberare circa la creazione di uno «Stato Mongolo Indipendente» nel Nord del Chahar, simile a quello dell'East Hopei. Secondo le suddette notizie, il principe Teh agirebbe dietro istigazione del governo di Tokio e conterebbe sull'appoggio militare delle truppe «manciukuote» e delle bande mongole del Suiyuan. Non sarebbe pertanto da escludersi in quella regione un prossimo scontro tra le truppe provinciali cinesi e le «bandiere» mongole del principe T eh.

2) Il viaggio a Tokio dell'ambasciatore Kawagoe, che è stato chiamato per conferire dal suo governo. Dai colloqui che egli avrà con il signor Sato deriveranno probabilmente nuovi orientamenti politici del Giappone più conciliativi verso la Cina.

Stando alle sue stesse dichiarazioni (V. mio telegramma N. 132 in data 26 aprile)2 , il sig. Kawagoe avrebbe la intenzione di suggerire al suo governo di fare uscire le relazioni sino-nipponiche dalla fase attuale di «congelamento».

3) La partenza per il Giappone del sindaco di Tientsin, generale Chang Tse-kuan, quale capo di una missione politico-militare del governo dell'Hopei-Chahar, la quale dovrebbe, secondo notizie di fonte generalmente informata. trattare con le autorità militari giapponesi i seguenti argomenti:

a) L'abolizione del governo autonomo dell'Hopei Orientale. b) La fornitura di armi e di munizioni per la 29" armata di guarmg10ne neii'Hopei.

La missione è diversamente commentata in questi ambienti politici. Alcuni esprimono il parere che le Autorità militari giapponesi desiderano, dopo il fallimento delle trattative diplomatiche e della missione Kadama, riprendere negoziati diretti con la Cina Settentrionale escludendo il governo di Nanchino, altri invece ritengono che il generale Chang Tse-kuan sia stato invitato a definire il proprio atteggiamento verso il Giappone e scegliere se più gli convenga divenire uno degli esponenti del movimento separatista del Nord Cina o perdere l'appoggio giapponese.

Il governo di Nanchino cerca naturalmente di diminuire l'importanza di tale missione e la ufficiosa Centra! News Agency ha pubblicato un comunicato con il quale si nega che al generale Chang siano stati affidati incarichi d'indole politica.

1 T. 2101/IOSR. del 23 marzo. Il suo contenuto è qui indicato.

2 T. 2934/132 R. del 26 aprile. Riferiva che gli ambienti governativi cinesi mantenevano un atteggiamento di riserbo di fronte alle ripetute aperture da parte del Giappone per un miglioramento dei rapporti tra i due Paesi.

Mi riservo di riferire ulteriormente a V.E. con separato rapporto sulle ripercussioni in Cina dei risultati delle elezioni giapponesi, che confermano l'inquietudine dell'opinione pubblica giapponese circa la politica sinora seguita nei riguardi di questo Paese 1 .

556

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA 2127. Berlino, 5 maggio 1937 (per. il 9).

Ho visto stamane Goring, reduce dal suo viaggio in Italia2 e dalla sua brevissima sosta in Jugoslavia 3 . Riassumo qui appresso i punti principali della conversazione.

l) Colloqui in Jugoslavia ~ Durante la breve visita a Bled, il Generale ha incontrato il Principe Reggente Paolo ed il Presidente del Consiglio Stojadinovic, ai quali ha espresso la sua viva soddisfazione per la conclusione dell'accordo itala-jugoslavo di Belgrado e che ha trovato particolarmente cordiali e soddisfatti per i risultati ottenuti. La situazione di Stojadinovic appare forte perché la sua politica trova consenziente gran parte del Paese. Evidentemente la Francia, che ha ricevuto un grave colpo, cerca di reagire con ogni mezzo, minacciando sospensione di crediti e di forniture, etc. A questo proposito il Generale ha fatto presente al Principe e a Stojadinovic che, particolarmente per quanto riguarda le eventuali forniture di armamenti, la Germania e l'Italia sono pronte a sostituirsi alla Francia.

Da parte jugoslava si è insistito perché l'azione tedesco-italiana in Romania sia intensificata per staccare sempre più quel Paese dall'orientamento franco-cecoslovacco. Il Generale Goring però non ha troppa stima delle classi dirigenti rumene «venali e senza fede». Proprio in questi giorni, tra le intercettazioni venute in mano ai tedeschi, è stato trovato un telegramma con il quale il rappresentante di Valencia a Bucarest si dichiarava pronto ed in condizione di comprare buona parte degli organi dell'opinione pubblica! Benes, a sua volta, non aveva mancato di cercare di fare la voce grossa a Belgrado ma con poco successo. Quanto agli Ungheresi essi sarebbero, secondo le notizie jugoslave, in un momento di un certo cattivo umore, del quale vorrebbero approfittare i cecoslovacchi e gli austriaci anti-germanici, per fare intravedere una nuova costellazione danubiana, eventualmente protetta dalla Francia. Ma tutto ciò non sembra troppo preoccupante, dato che, per l'atteggiamento attuale della Jugoslavia, la quale appare sempre più nettamente, secondo le dichiarazioni dello stesso Principe Paolo, antisovietica, la situazione balcanica, dato

I Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Il Maresciallo Giiring aveva soggiornato in Italia dal 22 al 30 aprile in visita privata ed il 26 aprile era stato ricevuto da Mussolini e da Ciano. Di questi colloqui non è stata trovata documentazione.

3 Vedi D. 543.

)()

anche il contegno della Bulgaria e della Grecia, appare non cattiva per l'asse Roma-Berlino.

Ho tratto l'impressione che il Generale Gòring il quale, come tu ricordi, ha tenuto a mostrarsi sempre «patrono» dell'amicizia tra Germania e Jugoslavia, continuerà a tenere personalmente i collegamenti con Belgrado e a valorizzare in Germania presso il Fiihrer l'azione di quel Governo.

2) Viaggio in Italia e colloqui di Roma -Il Generale si è mostrato oltremodo soddisfatto per le accoglienze ricevute e per la cordialità con la quale è stato accolto dal Duce e da Te.

Trova che l'amicizia italo-tedesca, anche nei confronti delle ripercussioni nella popolazione, fa continui progressi e di ciò appare vivamente compiaciuto. Mi ha detto in proposito che, per ragioni, direi quasi, tecniche, non è stato possibile consegnare, a mezzo di von Neurath, al Duce il Gran Cordone del nuovo Ordine tedesco Verdienstorden vom Deutschen Adler fondato il l maggio. E ciò perché il Cancelliere in persona non ha approvato il disegno della decorazione, che viene ora rifatto. Mi ha però confermato che la prima personalità alla quale tale Ordine verrà conferito, sarà il Duce.

Il governo tedesco non intende dare all'Ordine stesso un carattere di pura formalità o di atto di co.rtesia protocollare ma intende invece mantenere ad esso un significato ed un valore politico. Dell'Ordine verranno quindi insignite in primo luogo le personalità italiane, poi quelle jugoslave ed in terzo momento, quelle polacche. Ciò ti può dare una idea della scala di simpatie, nei confronti dell'estero, che oggi esiste nell'opinione dei dirigenti germanici.

Il Generale intende ritornare in Italia, sempre in forma privatissima, per Pentecoste (16 corr.) o poco dopo, per recarsi a Venezia ad incontrarvi la Signora Gòring la quale, reduce da Napoli, rientrerà in seguito con lui in Germania.

3) Situazione in Spagna -Il Generale continua a mantenere il proprio ottimismo ed è stato lieto di constatare come anche a Roma la situazione non sia considerata cattiva. Si procederà langsam aber sicher (lentamente ma sicuramente). La situazione di Bilbao dovrebbe risolversi in modo favorevole, rendendo disponibili numerose formazioni di terra e dell'aria.

Germania e Polonia -La situazione tra i due Paesi continua a mantenersi buona, per quanto la Francia abbia intensificato i suoi sforzi, approfittando anche della circostanza che gli elementi israeliti che raggiungono, per talune categorie di professionisti, una percentuale impressionante, non mancano di dimostrare naturalmente la loro antipatia per l'intesa tedesco-polacca.

Il Generale è convinto però che, come ebbe del resto a dichiarargli, poco prima della sua morte, lo stesso Maresciallo Pilsudski, la Polonia oggi non può essere che antirussa, e quindi, nella situazione attuale, sostanzialmente filo-germanica.

5) Situazione in Austria -Il Generale è soddisfatto di quanto ha udito a Roma circa i colloqui di Venezia. È sempre diffidente però nei confronti di quei gruppi austriaci che fanno capo al Borgomastro Schmitz ed allo stesso Presidente del Bund Miklas, <<Uomo di nette origini parlamentari e democratiche e tendenzialmente avversario dei regimi autoritari». A questo proposito mi ha detto che, sempre tra le intercettazioni cadute in mano dei tedeschi, egli possiede il testo di una conversazione telefonica di questi giorni tra un alto funzionario della Cancelleria federale di Vienna e il Ministro austriaco a Londra. In quella conversazione Tu eri definito, con termini non simpatici, un «filo-tedesco» e si faceva accenno all'opportunità di stringere sempre maggiori rapporti con la Cecoslovacchia, sotto la protezione anglo-francese.

A tale riguardo il Generale prega di non usare mai, nelle comunicazioni confidenziali tra Germania e l'Italia, il telegrafo e il telefono perché, appare oramai chiaro, che le Autorità austriache cercano con ogni mezzo di eseguire intercettazioni, che sono poi usate a danno della politica itala-tedesca.

Passando ad un piccolo episodio di carattere personale, il Generale si è dimostrato particolarmente offeso per la circostanza che, durante il suo tragitto in territorio austriaco, per rientrare dalla Jugoslavia in Germania, egli non sia stato fatto oggetto della minima cortesia e del minimo atto di saluto da parte delle Autorità austriache. A tale proposito egli si è esattamente espresso così: «È vero che io viaggiavo in forma privatissima, ma è anche vero che esiste un trattato austro-tedesco e che siamo, l'Austria e noi, due Paesi germanici. Mi è stato riferito che oggi ogni qualvolta una modesta personalità cecoslovacca varca la frontiera austriaca, anche se in forma privata, viene ricevuto da funzionari e ufficiali in alta uniforme. Nel mio caso il Governo austriaco si è limitato a fare sorvegliare le mie soste in territorio austriaco da qualche poliziotto in borghese per vedere se qualche disgraziato cittadino austriaco mi salutava con il saluto fascista per prendere poi a suo carico le eventuali misure! Non mancherò di far personalmente presente tale fatto al Signor Schmidt».

Il Generale appariva di ottimo umore ed in buona forma. Mi ha incaricato di esprimerti nuovamente i suoi vivi ringraziamenti per la cordiale accoglienza che egli trova sempre nel nostro Paese .

P. S. Con gli Inglesi niente di particolarmente nuovo: ieri Goring ha ricevuto la visita di Lord Lothian che, come sai, è un noto tedescofilo. Gli ha detto che, con il rimaneggiamento del Gabinetto britannico, la politica inglese muterà. Il Generale Goring è però scettico data l'attuale «inconcepibile» linea d'azione dei conservatori d'oltre Manica 1 .

557

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3142/119R. Ankara, 6 maggio 1937, ore 18,30 (per. ore 22,30).

Mio telegramma n. 972 . Contrariamente notizie pervenute a V.E. da altre fonti, Aras mi ha detto ieri che a Belgrado egli ha intrattenuto Stojadinovic del suo progetto di Patto fra l'Italia

I Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 359.

e Paesi Balcanici. Sono rimasti d'accordo di soprassedere per il momento pur non rinunziando a riprendere l'idea appena possibile. Stessa comunicazione è stata fatta da Ismet Pascià a questo ministro di Grecia 1 .

558

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1132/394. Roma, 6 maggio 1937.

La Santa Sede ha fatto consegnare al governo del Reich la sua risposta alla nota tedesca di protesta 2 contro la Lettera Apostolica ai Vescovi della Germania 3 . Il contenuto della nota, che è stata redatta personalmente dal cardinale Pacelli, è tenuto gelosamente segreto almeno per il momento.

Mi è stato assicurato che il tono della nota è nell'insieme abbastanza conciliante. Essa risponde in primo luogo al rilievo della nota tedesca circa il carattere anticoncordatario della Lettera Apostolica per il fatto che il Papa, si è indirizzato direttamente al popolo tedesco, in pendenza di discussioni per via diplomatica.

La Nota osserva che il Pontefice non si è rivolto al popolo, ma ai Vescovi. Non è andato quindi contro le norme del Concordato che ammette le comunicazioni del Papa con i Vescovi. Appunto per questo il Pontefice ha d~to alla Sua protesta il carattere di Lettera Apostolica e non di Enciclica.

Non sono per ora in grado di fornire informazioni sicure sulle altre parti della Nota. Mi è stato assicurato però che il tono generale del documento è ispirato al concetto di fornire spiegazioni e dilucidazioni sul punto di vista pontificio in modo di chiarirlo completamente.

Credo opportuno di aggiungere che, in data 24 aprile scorso, ho informato il cardinale Pacelli 4 della conversazione avuta dal Regio Amba~ciatore a Berlino con i signori von Neurath e Dieckhoff, illustrandola. Nello stesso tempo raccomandai al segretario di Stato di mantenere la risposta alla Nota tedesca in un tono moderato.

Il cardinale Pacelli mostrò d'interessarsi alla comunicazione che gli feci e, pur dissentendo formalmente su alcuni punti, mi parve che l'abbia trovata, nell'insieme, quasi soddisfacente. Egli mi pregò di continuare a tenerlo al corrente delle idee di Berlino. Credo di potere dire che il cardinale segretario di Stato pensa che una decisa azione moderatrice dell'Italia a Berlino, in questo momento, potrebbe giovare assai a comporre il conflitto.

I Raphael Raphael. 2 Vedi DD. 467 e 483. 3 Vedi p. 402, nota l. 4 Vedi p. 585, nota l.

559

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 5604/931. Budapest, 6 maggio 1937 (per. il 10).

La connessione esistente tra i principali aspetti della vita economica e politica dei Paesi del bacino danubiano fa sì che le difficoltà che si riscontrano circa la soluzione dei più fondamentali problemi di altri Paesi vicini si ripercuotono direttamente o indirettamente anche in Ungheria, la cui vita stessa politica ed economica dipende dall'alternativa degli interessi e delle forze che si incontrano e si combattono in questo settore dell'Europa.

Ho già d'altra parte avuto l'onore di riferire all'Eccellenza Vostra sulla attuale situazione politica interna di questo Paese, ove le lotte si riflettono per vari aspetti (questione ebraica, propaganda tedesca, questione del Trono, riforme costituzionali e sociali) anche nel campo della politica estera.

L'accentuarsi dell'attività filo-germanica di elementi estremisti (mio telegramma per corriere n. 046 del 7 marzo u.s. 1 , le note polemiche intorno al preteso complotto, la conseguente reazione degli elementi antigermanici provocata ed appoggiata dagli ebrei e dalla loro stampa; la questione ebraica già ben presente e sentita e resa ancor più urgente ed attuale da tali avvenimenti; le discussioni e la presa di posizione dei vari partiti circa la riforma elettorale e le riforme costituzionali allo studio; l'urgente richiesta di provvedimenti sociali (riforme agrarie, disoccupazione); il più

o meno latente malcontento che si diffonde sempre maggiormente nel popolo: sono tutti elementi che contribuiscono a creare un certo senso di incertezza e di disagio che non facilita certo il compito del governo Daranyi, sia nel campo interno, sia nei riguardi della politica estera.

Questo stesso senso di incertezza si nota nell'opinione pubblica anche nel campo della politica estera: sia nei riguardi della Germania, che ha tuttora qui salde basi su cui appoggiare un'azione di propaganda che si rivela organica ed efficace -ma a cui hanno peraltro nuociuto alcuni atteggiamenti antirevisionistici e le accuse di eccessivi incoraggiamenti e appoggi agli estremisti di destra con conseguente timore di un infeudamento dell'Ungheria; sia nei riguardi dei vicini, data sopratutto la propaganda attivamente svolta dalle Potenze estere interessate; sia nei riguardi dell'Inghilterra e in secondo luogo della Francia, che si sforzano di cogliere ogni occasione per accaparrarsi le simpatie degli elementi antigermanici e degli esponenti delle tendenze politiche demoliberali appoggiate dagli elementi ebraici, interpreti più o meno consciamente delle direttive massoniche ostili ad ogni influenza di regimi totalitari a carattere nazionale. Infine, di fronte alla decisa lotta di idee e di tendenze che si svolge nel campo della politica europea, si sentono voci che suggeriscono al governo di «non chiudersi alcuna possibilità».

Per quanto riguarda l'Italia, è nota all'E.V. la violenta campagna che le più recenti e salienti manifestazioni della politica estera italiana hanno suscitato nella

l Vedi D. 252.

721 stampa e nell'opinione pubblica avversa di altri Paesi: tale propaganda ha cercato e cerca di agire più o meno direttamente anche qui, sforzandosi di diffondere le note interpretazioni volutamente tendenziose allo scopo di crearci diffidenze e cercare di scuotere la nostra privilegiata posizione in questo Paese. Come è noto all'E.V., è stato in un primo tempo preso di mira il trattato italo-jugoslavo, insinuando che con la clausola della garanzia delle frontiere fra Italia e Jugoslavia vi poteva essere un indiretto timore che l'Ungheria avrebbe dovuto rinunciare alle rivendicazioni territoriali verso quello Stato; è venuta in un secondo tempo la speculazione sull'articolo di Gayda dopo il convegno di Venezia; sono apparse infine le notizie di un riavvicinamento italo-romeno che, collegate ai recenti rapporti creatisi tra Jugoslavia e Italia, sono state artificiosamente rappresentate dalla stampa estera avversaria ed hanno dato luogo all'estero alle più disparate considerazioni circa possibili nuovi orientamente della politica italiana.

Come ho di volta in volta segnalato, nella stampa ungherese non si sono avute che traccie del tutto sporadiche di queste apprensioni: ma è certo che in conseguenza di tale campagna inscenata dalla stampa estera, la notizia della conclusione del trattato italo-jugoslavo, come la campagna sul noto articolo di Gayda dopo l'incontro di Venezia (mio telegramma per corriere n. 083) 1 , le voci circa un riavvicinamento con la Romania, hanno prodotto in una notevole parte dell'opinione pubblica un senso come di sorpresa prima e di incertezza poi, che l'efficace azione svolta dal governo non è valsa finora a sedare completamente. Anche il conte Csàky, capo di Gabinetto del ministero degli Esteri, nel corso di una conversazione avuta con me pochi giorni or sono, ebbe a dirmi che, tornato a Budapest dopo il suo viaggio in Libia, aveva riscontrato negli ambienti politici un certo senso di preoccupazione. Ma egli, che aveva parlato a lungo col Duce, era riuscito a rassicurarli del tutto ed ogni preoccupazione negli ambienti politici sarebbe, secondo lui, del tutto scomparsa.

La questione della revisione è quella che sta più a cuore agli ungheresi ed è in primo luogo in questo campo ch'essi temono ora di essere meno fortemente appoggiati dall'Italia. A questo proposito mi permetto osservare che i tedeschi sembra abbiano ora compreso l'errore dell'atteggiamento da loro assunto in fatto di revisionismo che trovò espressione nel noto articolo di Rosenberg e che è costato loro molta di quella popolarità che godevano in questo Paese. I tedeschi tentano ora infatti, mutando linea di condotta, di riacquistare il terreno perduto. Di ciò è ad esempio, un chiaro sintomo la conferenza di tono revisionistico pronunciata recentemente dal corrispondente da Budapest del Voelkischer Beobachter e capo del servizio stampa tedesco in Ungheria (mio telespresso n. 5463/908 del 29 aprile u.s.) 2 .

È d'altra parte da constatare che il rafforzamento dell'asse Roma-Berlino, mentre ha aumentato l'attività degli avversari, ha al tempo stesso dato maggior senso di preoccupazione a quanti in Ungheria temono l'intromissione germanica.

Ma l'amicizia verso l'Italia è profondamente radicata e unanime ed esiste la più grande fiducia nella linea politica da lungo tempo iniziata dal Duce; tale fiducia ha finora nettamente il sopravvento sulla propaganda dall'estero e sopra ogni altra

t Vedi D. 530. 2 Non pubblicato.

considerazione. Gli ungheresi, compresi quelli che cominciano a parlare anche di Inghilterra -come il deputato Apponyi col suo recente discorso antigermanico (mio telespresso n. 559/927 del 3 corrente) 1 -, se muovono critiche all'asse Roma-Berlino non discutono l'amicizia italiana, considerata basilare per la politica ungherese.

Nel gioco politico generale sono a mio parere sopratutto da tener presenti, per quanto riguarda l'Ungheria, due importanti elementi: l) la radicata amicizia del popolo ungherese per l'Italia, che resiste malgrado la propaganda avversaria: ciò a differenza di altri Paesi vinti ed in primo luogo dell'Austria, dove, se il Governo è per noi, non lo è, come è noto, la maggior parte dell'opinione pubblica; 2) il fatto che, date le varie correnti politiche esistenti in altri Paesi, in alcuni di essi per l'atteggiamento favorevole nei nostri riguardi non vi sono sicure garanzie che in funzione del governo attualmente al potere; in Ungheria invece non solo il governo, ma i principali uomini politici, seppure sotto vari aspetti e con diversa intensità, sono tutti convinti della necessità di una stretta amicizia per l'Italia che considerano base della politica magiara, salvo alcuni socialisti (nemmeno tutti) ed un esiguo rmmero di legittimisti militanti, i quali del resto non possono considerarsi contrari e mantengono delle riserve mentali inerenti solo al problema della restaurazione monarchica. Tale situazione, a parte altre considerazioni, potrebbe però forse cambiare quando dovesse porsi la questione del Trono.

Accanto a questa sentita e provata amicizia, si avverte ogni tanto anche nei nostri riguardi, benché impercettibilmente, un senso di incertezza: frasi dei miei colloqui con Kanya (mio telegramma per corriere del 20 marzo u.s.) 2 , con Apor (mio telegramma per corriere n. 083) e con altri uomini politici ungheresi ne sono un sintomo che non sarà sfuggito all'Eccellenza Vostra, ma, come mi diceva lo stesso barone Apor a proposito di certi organi di stampa, «essi non domandano di meglio che essere rassicurati». È indubbio che il governo (e ne sono proYa tutte le manifestazioni ufficiali recenti) si adopera efficacemente e sinceramente a tale scopo.

D'altra parte, sono da considerarsi: l'intensificata azione dell'Inghilterra e le sue sollecitazioni che il governo non respinge (mio telegramma per corriere n. 082)3; alcuni articoli tendenziosi di giornali specialmente israeliti, la voce che si fa ad arte correre che l'Italia sembra essere meno interessata di qualche tempo fa alle cose ungheresi, mentre si noterebbero invece nuovi orientamenti favorevoli all'Ungheria da parte delle Potenze occidentali.

Si può dedurre da tutto ciò che se noi vogliamo che questo se pur larvato senso di incertezza si dissipi, se noi vogliamo che specialmente non prendano piede correnti di simpatie verso raggruppamenti di Potenze a noi contrarie, occorre quali che siano le nostre direttive politiche generali, tener desti e vivi i sentimenti di amicizia ormai solidi e provati del popolo ungherese, mantenendone integra la fiducia nell'Italia. Tali sentimenti sono ancora una volta confermati dalla vivissima

I Non rintracciato.

2 Vedi D. 307.

3 T. per corriere 3056/082 R. del 28 aprile. Segnalava che a Budapest si andava intensificando con un certo successo l'attività della Gran Bretagna, il cui interessamento per l'Ungheria era confermato dai molti inviti rivolti a Kanya in previsione della sua partenza per Londra per l'incoronazione di Re Giorgio VI.

entusiastica aspettativa che si constata per il prossimo arrivo dei nostri Augusti Sovrani da parte del popolo ungherese, che si prepara ad accogliere il Re imperatore non solo come il primo Sovrano estero che viene in Ungheria, ma come il Capo supremo dello Stato amico.

Ho creduto di offrire all'Eccellenza Vostra il riassunto della situazione quale essa mi appare al momento attuale affinché l'Eccellenza Vostra voglia tenerla presente come un utile elemento nell'orientamento politico italiano in questa zona dell'Europa danubiana.

In relazione a ciò, vedrà quindi V. E. se -analogamente a quanto è stato fatto in Austria prima della visita di Miklas a Budapest -sia il caso di dare pubblicamente, nel modo che l'Eccellenza Vostra riterrà più opportuno, una nuova conferma della nostra linea politica nei riguardi dell'Ungheria, sopratutto per stroncare le manovre di certa propaganda avversaria che sarebbe ben contenta di vederci perdere qualche posizione in questo Paese.

560

IL MINISTRO PER LA STAMPA E LA PROPAGANDA ALFIERI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 6585/188 P. R. Roma, 7 maggio 1937, ore 24.

Ti avverto che essendo stato deciso richiamo tutti corrispondenti giornali italiani e inviati speciali da Londra ho invitato direttori giornali a provvedere in conseguenza1 .

561

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATA AD ANKARA E ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BELGRADO E SOFIA

T. PER CORRIERE 885 /c. R. Roma, 7 maggio 1937.

Secondo notizie pervenute a questo ministero 2 , i governi turco, greco e bulgaro considererebbero la possibilità di un accordo di garanzia mediterranea (accordo non meglio precisato) da essere completato con la partecipazione anche dell'Italia attraverso trattati bilaterali del governo italiano con ognuno dei tre Stati medesimi.

Quanto precede per informazioni e controllo, avvertendo che la parte che riguarda l'Italia è in ogni caso senza fondamento.

1 Per l'origine del provvedimento si veda p. 734. nota 3. 2 Vedi D. 557.

562

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A LISBONA, MAMELI

T. PER CORRIERE 6530 P.R. Roma, 7 maggio 1937.

Suo telegramma 83 1•

Secondo informazioni in nostro possesso, misure militari per rafforzamento guarnigioni nella zona francese del Marocco e per ammassamento truppe alla frontiera franco-spagnola sono state da tempo adottate da governo Parigi. È stato altresì segnalato da fonte non controllata qualche tentativo francese di suscitare torbidi fra le tribù della zona spagnola contro governo di Salamanca.

Per quanto non possa sinora affermarsi che vi sia una precisa intenzione del governo francese di occupare la zona spagnola del Marocco, è probabile che, malgrado la risposta negativa recentemente data da Parigi alla Giunta di Valencia all'invito di riesaminare la situazione internazionale del Marocco 2 , da parte francese non si mancherebbe di trarre pretesto di possibili torbidi per intervenire in detta zona.

Tale eventualità è già stata da noi presa in esame fin dallo scorso gennaio, quando la campagna francese contro inesistenti infiltrazioni militari tedesche nel Marocco spagnolo faceva presumere che essa mirasse a precostituire il pretesto per una azione francese in Marocco. L'Italia, infatti come del resto il Portogallo, pur non essendo firmataria del trattato franco-marocchino dell9123 , è interessata al mantenimento dello status quo nel Marocco e non potrebbe assistere senza preoccupazione ad un perturbamento dell'equilibrio politico attualmente esistente nel Mediterraneo Occidentale. L'Italia inoltre è firmataria dello Statuto Internazionale di Tangeri del 1928 4 .

Il R. Ambasciatore a Londra ebbe anche occasione nel gennaio scorso di avere su queste basi uno scambio di idee confidenziali con Eden 5 , il quale riconobbe l'importanza e l'interesse che il problema del Marocco spagnolo costituisce per l'Italia e fece conoscere anche di essersi già espresso in questo senso con il governo francese.

È inoltre da ricordare che un eventuale tentativo di modificare la situazione attuale nel Marocco spagnolo dovrebbe anche essere considerata alla luce del Gentlemen 's Agreement italo-britannico del 2 gennaio u.s.

I T. 2490/83 R. del 7 aprile. Riferiva che il segretario generale del ministero degli Esteri, Sampayo, aveva chiesto quale sarebbe stato l'atteggiamento del governo italiano nel caso in cui la Francia avesse agito per occupare la zona di protettorato spagnolo e la città di Tangeri.

2 Sedi D. 299.

3 Trattato di Fez del 30 marzo 1912, vedi p. 359, nota 2.

4 Protocollo di Parigi del 25 luglio 1928 tra Spagna, Francia, Gran Bretagna e Italia (testo in MARTENS, vol. XXI, pp. 70-94) a integrazione della Convenzione di Parigi per l'organizzazione dello Statuto di Tangeri del 18 dicembre 1923 (testo ibid., vol. XIII, pp. 246-283). 5 Vedi D. 56.

563

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2958/738. Washington, 7 maggio 1937 (per. il 17).

Mio telegramma n. 212/702 del 1° maggio 1•

Col telegramma sopraindicato ho esposto sommariamente a V.E. i principi che regolano la nuova legge americana sulla neutralità, così come essa è stata definitivamente emendata ed approvata dalle due Camere, nella tornata del 29 aprile scorso.

L'importanza dell'argomento m'induce a ritornarvi sopra per fornire all'E.V. ampi e maggiori dettagli. Trattasi infatti della legge che dovrebbe regolare, automaticamente, la non partecipazione, o per essere più esatti, il modo di partecipazione degli Stati Uniti ai futuri conflitti mondiali. Per la maggiore intelligenza della legge stessa, di cui accludo il testo in allegato, tratto per ora dal New York Times, credo utile rifarmi brevemente ai precedenti.

La prima edizione della legge attuale è del 31 agosto 1935. La seconda del 29 febbraio 1936. La prima fu votata durante la preparazione della guerra etiopica; la seconda durante la guerra stessa.

Entrambe, anche se destinate nell'intenzione generica del legislatore e nei voti dell'opinione pubblica, a regolare automaticamente le neutralità americana, in tutti i casi teoricamente possibili, subirono di fatto profonda l'influenza del caso particolare cui avrebbero dovuto essere applicate e finirono pertanto per essere effettivamente concepite e realizzate soprattutto in funzione del conflitto etiopico, in atto. In altri termini, sia nella prima che nella seconda edizione, esse rappresentarono la politica del governo di Washington rispetto al conflitto italo-etiopico, nella forma nella quale detta politica poté concretizzarsi come compromesso delle opposte tendenze che dividevano in quel momento quest'opinione pubblica. Quelle tendenze erano principalmente tre:

I «collaborazionisti», cioè tutta la congerie dei pacifisti e dei filo-ginevrini che volevano che l'azione del governo americano fosse posta al servizio della pace. Essi asupicavano un embargo su tutte le materie prime ai danni dell'aggressore;

Gli «isolazionisti », i quali, convinti che la partecipazione degli Stati Uniti all'ultimo conflitto mondiale fosse stata una conseguenza del commercio coi belligeranti, proponevano la cessazione di ogni rapporto di commercio con le nazioni in guerra. Anche se l'ideologia che li animava era diversa da quella che animava i collaborazionisti, essi tendevano di fatto allo stesso risultato;

Infine, i «neutralisti» veri e propri, cioè la parte più sensata del Paese la quale desiderava di vedere gli Stati Uniti mantenere fermo il vecchio principio della libertà dei mari (commercio dei neutri coi belligeranti) e si limitava ad auspicare un

1 Riferimento errato. Si tratta del T. 3026/202 R. del Jo maggio nel quale l'ambasciatore Suvich indicava le caratteristiche essenziali della nuova legge sulla neutralità firmata lo stesso giorno dal Presidente Roosevelt.

semplice embargo sulle armi e munizioni in modo da scagionare l'America dalle sole responsabilità del contrabbando di guerra (concetto classico della neutralità).

Fra queste opposte tendenze, le quali intendevano tutte veder tradotti questi loro desiderata in delle norme «mandatorie» per il potere esecutivo, il governo di Roosevelt sostenne accanitamente, fino a quando non realizzò l'inanità dei propri sforzi, che data la complessità e la difficoltà della materia, e la diversità teorica dei casi che potevano presentarsi, l'Amministrazione avrebbe dovuto ottenere dalle Camere «poteri discrezionali» per regolare, al meglio, nell'interesse del Paese e della pace, e, di volta in volta, la politica della neutralità.

Le pressioni morali e materiali d'ogni sorta esercitate sugli esportatori americani a danno dell'Italia, accusata di aggressione, e poi gli sforzi per arrivare all'embargo sulle materie prime, non lasciavano dubbi sull'uso che l'Amministrazione Roosevelt avrebbe fatto, nel caso etiopico, come in altri casi probabili, della facoltà che gli avesse concesso il Senato.

Del resto, il pensiero del Presidente in proposito era noto già fin dal 24 maggio 1933, quando egli fece fare a Norman Davis, alla Conferenza del Disarmo, la nota dichiarazione con la quale impegnava gli Stati Uniti (in caso di successo della Conferenza) «ad astenersi da qualsiasi azione e di rinunziare alla protezione dei propri cittadini in qualsiasi attività che potesse ostacolare lo sforzo collettivo deciso dagli Stati in consultazione nei riguardi dell'aggressore».

È importante, ai fini dell'interpretazione della nuova legge ora votata, legge che, per la prima volta, contiene parecchia discrezionalità di azione a favore del potere esecutivo, di fissare questi obiettivi da tempo perseguiti da Roosevelt perché è da presumere che detta discrezionalità verrà, entro i suoi limiti di applicazione legale, usata proprio per il raggiungimento di quegli obiettivi, così come fu già tentato durante il conflitto italo-etiopico.

Non è il caso che io ricordi ora a V.E. quali le cause strettamente connesse alla questione abissina, che sia in occasione della prima che della seconda edizione della legge sulla neutralità, fecero naufragare gli sforzi di Roosevelt e del suo tenace segretario di Stato sullo scoglio dei «poteri discrezionali».

La legge in quelle due occasioni votata dal Congresso fu infatti, nelle sue norme più essenziali, strettamente mandatoria. Essa consisteva nelle disposizioni seguenti:

l) Embargo sulle armi e munizioni. Allo scoppio delle ostilità, il Presidente deve proclamare l'esistenza di tale stato di fatto e da quel momento ogni esportazione di armi, munizioni o strumenti di guerra dagli Stati Uniti verso i belligeranti è proibita. Il Presidente può, di tanto in tanto 1 , estendere tale embargo a quegli altri Stati che venissero successivamente coinvolti nella guerra.

2) Lista armi e munizioni. Le armi, le munizioni e gli strumenti di guerra verranno definitivamente determinati dal Presidente, mediante apposito proclama. 3) Facoltà di proibire ai cittadini americani di viaggiare su navi appartenenti a belligeranti.

1 Sic.

4) Facoltà di proibire l'uso dei porti americani ai sottomarini stranieri (anche se non belligeranti). 5) Istituzione di un National Munitions Contro! Board per il controllo della vendita delle armi e munizioni.

L'ultima edizione della legge come è stata riveduta e corretta, differisce dalle due prime in guanto che alle norme «mandatorie» confermate e rese permanenti (embargo obbligatorio sulle armi e munizioni verso tutti i belligeranti) è venuta ad aggiungersi tutta una serie di norme «discrezionali», le più gravi delle quali della durata di soli due anni, che conferiscono al Presidente la facoltà di un secondo «giro di vite». Le riassumo qui di seguito, brevemente, a V.E., riservandomi di fornire più tardi un'interpretazione tecnica e dettagliata della presente legge, che in questo rapporto desidero esaminare soprattutto dal lato politico.

I -Cosiddetto Cash and carry dalla formula geniale del suo inventore, signor Baruch. Ove il Presidente, dopo aver proclamato l'esistenza dello stato di guerra, che comporta automaticamente l'embargo sulle armi e munizioni, troverà che la neutralità e la pace degli Stati Uniti siano meglio garantiti piazzando alcune restrizioni «su certi articoli o materiali in aggiunta alle armi, munizioni o strumenti di guerra», la spedizione ed il trasporto di tali articoli e materiali da parte di cittadini e di navi degli Stati Uniti verso i Paesi belligeranti sarà proibita. Il Presidente determinerà con proclama a parte, che può anche essere precedente alla constatazione dello stato di guerra (per le armi e munizioni avviene così) l'elenco di detti articoli e materiali.

In altri termini, i Paesi belligeranti, ove il Presidente sia giunto all'adozione di questa misura in sua facoltà, potranno continuare a rifornirsi negli Stati Uniti a condizione che essi paghino le merci, che ne trasferiscano i diritti a favore di un cittadino non americano e che il trasporto e l'assicurazione relativa sia compiuto da navi e società non americane. Dalle disposizioni di questa sezione della legge possono essere esclusi «i laghi, i fiumi, le acque interne» e le «terre confinanti» con gli Stati Uniti (leggi: Canadà).

II -Estensione, a facoltà del Presidente, sia dell'embargo obbligatorio sulle armi che del cash and carry ai Paesi dilaniati da guerra civile (conseguenza della situazione di Spagna).

III -Proibizione automatica di ogni transazione finanziaria coi Paesi belligeranti, salvo alcune eccezioni, in facoltà del Presidente, per quanto riguarda i normali crediti commerciali a corto termine.

IV -Proibizione per i cittadini americani di viaggiare su navi belligeranti (nelle due leggi precedenti tale proibizione era lasciata all"arbitrio del Presidente).

Tutte le disposizioni che precedono sono permanenti; esse tendono cioè a costituire la Carta della neutralità americana. Tuttavia quelle della sezione n. 2 del Cash and carrv sono state votate dal Senato soltanto per la durata di due anni, cioè fino al 1° maggio 1939.

È superfluo ch'io mi dilunghi ad illustrare il significato della facoltà concessa al Presidente, facoltà che costituisce tutta la sostanza e la novità della legge attuale.

Trattasi di una vera e propria forma di embargo sulle materie prime, che il governo americano può imporre formalmente contro tutti, in pratica, soltanto a danno di quei Paesi che venissero a trovarsi in conflitto con quelli che hanno il dominio incontrastato dei mari, cioè con l'Inghilterra.

Nonostante che la legge attuale resti sempre al di qua di quelli che erano i desiderata massimi del Presidente e del Dipartimento di Stato in materia di poteri discrezionali, pur tuttavia essa costituisce il risultato più favorevole che l'Amministrazione poteva sperare dal Congresso e, nella pratica applicazione che se ne può fare, lusinga sensibilmente la marcata anglofilia di questi ambienti dirigenti.

Fra le opposte tendenze (in quanto ai metodi) che agitano i seguaci dell'isolazionismo americano la legge attuale cosiddetta della neutralità, sembra rispondere abbastanza bene al duplice scopo di colpire l'immaginazione popolare che con la formula sintetica del Cash and carry (in America il nome è sempre necessario al successo) crede di aver posto gli Stati Uniti al riparo di ogni rischio bellico, senza peraltro sacrificare il commercio americano; e di fornire, d'altra parte, dietro il paravento della sua obiettività formale, una formidabile arma politica nelle mani dell'Amministrazione nella linea di quelle che sono le sue naturali tendenze.

Del resto che questa interpretazione sia da dare alla nuova legge, più ancora che le mie considerazioni lo provano i commenti quasi unanimi della stampa amencana.

Innanzi tutto, i titoli da cui i vari giornali hanno fatto precedere i loro editoriali. Il Ba/timore Sun intitola il suo articolo Officially neutra!. Il Wall Street Journal di New York Impermanent Neutrality. Il Washington Post Not Neutra!. Il Philadelphia Record Unneutrality. IL New York Herald-Tribune The Peace Bill.

Dei numerosi articoli che trasmetto all'E. V., allegati a questo mio rapporto, due soprattutto, per la chiarezza della loro esposizione mi sembrano interpretare con maggiore franchezza il sentimento che, ripeto, ho dovuto, purtroppo, riscontrare quasi dominante, sulle colonne di questa stampa. Essi sono due articoli, entrambi largamente sindacati, del Walter Lippmann e della Dorothy Thompson, moglie di Sinclair Lewis.

L'articolo del Lippmann il quale, ritengo utile ricordare, ebbe durante il conflitto italo-etiopico un atteggiamento che servì utilmente i nostri interessi, è tutto dedicato allo spirito antitedesco ed anti-italiano del Neutrality Bill, che sarebbe destinato a frenare le Potenze dittatoriali dal far la guerra a quelle democratiche. Esso contiene periodi come questi:

«La presente legge è un compromesso tra due scuole di pensiero. L'una sostiene che la maniera di evitare che gli Stati Uniti siano coinvolti in guerre straniere è d'interrompere le relazioni con l'Europa. L'altra sostiene che una astensione così completa da ogni rapporto porterebbe ad un disastro economico qui e incoraggerebbe all'estero l'aggressione.

La legge di compromesso proibisce un intenso commercio bellico in questo Paese, sia mediante forniture di munizioni che mediante prestiti. Ma permette a chi abbia contante per acquistare e navi per trasportare altre merci americane, di venire qui e di prendere quello che voglia. E lascia al Presidente una certa discrezione nel determinare in che motlo questa politica venga applicata.

Teoricamente, in quanto applicata a tutte le guerre immaginabili, la legge può dimostrarsi operi in ogni sorta di modi non desiderabili. Ma, naturalmente, quantunque non lo dica, la legge è destinata a servire soltanto per la guerra importante che potrebbe avvenire nei prossimi due anni, cioè una guerra in cui Germania e Italia si trovino di fronte a Gran Bretagna e Francia. Ora la legge contribuisce a rendere una tal guerra un po' meno probabile.

Essa infatti rende possibile alle Potenze pacifiche di rafforzare le loro difese contro le aggressioni usando le loro navi ed il loro oro per procurarsi le materie prime in America. Ogni osservatore della situazione si rende conto che più potenti divengono Inghilterra e Francia, meno probabile sarà una guerra europea. Inoltre, la legge effettivamente fornisce qualche assicurazione contro la prostrazione del commercio di esportazione americano, particolarmente dei prodotti del suolo e dei minerali. Per di più, la legge diminuisce di fatto le probabilità che cittadini americani vengano a trovarsi direttamente coinvolti nelle zone di battaglia».

L'articolo di Dorothy Thomson ha il seguente titolo: Neutrality Law has merit of indirect alliance with British Empire. Esso è scritto sotto forma di una conversazione fra due persone di cui una cerca d'istruire l'altra sui meriti della legge. Vi è la descrizione di quel che si presume succederà agli Stati Uniti quando dovesse scoppiare il prossimo conflitto e vi si riconosce che la legge non ha niente di neutrale, ma che costituisce la soluzione migliore nelle presenti circostanze, l'America non potendo completamente isolarsi dal mondo. La conclusione è la seguente: Questa legge ci mette dal lato dell'Impero Britannico e ci obbliga perciò a fare indirettamente (sono io che sottolineo) quel che non abbiamo il coraggio di fare direttamente.

Per chi abbia seguito le discussioni sulla neutralità fin dalla guerra etiopica quest'atteggiamento compiaciuto della stampa americana, tradizionalmente così gelosa dell'isolazionismo del suo Paese e così suscettibile nel vederlo imbarcarsi in qualunque forma di entanglement con l'Europa, costituisce il lato più caratteristico della evoluzione dell'opinione pubblica americana in quest'ultimo anno e merita, perciò, di essere attentamente seguito e meditato.

Le ragioni sono note a V.E. lo le vado continuamente sottolineando nei miei telegrammi e nei miei rapporti. Le principali sono: gli strascichi della guerra etiopica, il riarmo della Germania e la questione della Spagna. A queste vanno aggiunte le conseguenze di politica interna americana della grande vittoria elettorale del Presidente Roosevelt la quale è qui considerata come una grande vittoria della democrazia mondiale e come tale, da molte forze interne ed esterne, sfruttata per allineare sempre più questo Paese a fianco delle altre nazioni democratiche.

Dopo l'accordo monetario tripartito dell'agosto scorso 1 , questo del voto dell'attuale legge americana della neutralità, costituisce l'atto più importante compiuto da questo Paese verso quello che fu a suo tempo chiamato l'accordo delle tre democrazie.

Se m'incombe il dovere di dire tutto ciò, non posso però tralasciare dall'aggiungere che questa evoluzione politica nel cui clima è nata l'attuale legge, non può essere considerata, né definitiva, né forse duratura.

Siamo in una materia quanto mai mutevole, come già dimostrano le trasformazioni avvenute nello spazio dell'ultimo anno.

I Vedi p. 250, nota 4.

Il solo fatto che le norme del Cash and carry (sezione 2a della legge) abbiano la durata di due anni, dimostra come il Senato americano abbia inteso riservarsi il diritto di rivedere questa sua politica, per la quale possono pertanto prevedersi, con la stessa facilità, attenuazioni o irrigidimenti ulteriori.

Né, del resto, è a credere che, ove la legge debba entrare in giuoco nel corso dei prossimi due anni, la sua applicazione avverrà automaticamente, senza cioè essere di nuovo sottoposta al vaglio dell'opinione del momento. È infatti da prevedersi che fra l'applicazione della prima parte della legge (embargo automatico sulle armi e munizioni) e l'applicazione della seconda parte (discrezione del Presidente per il Cash and carry sulle materie prime) scorrerà un lasso di tempo, che potrà essere breve o lungo a seconda degli avvenimenti, durante il quale il Presidente si sforzerà di erigersi ad arbitro cercando di servirsi della facoltà in suo possesso come di un'arma per far cessare le ostilità. In quella occasione non si può neanche escludere che un improvviso moto di opinione pubblica possa far esitare il Presidente a decretare la seconda serie di embarghi.

Attualmente, sia la lettera che lo spirito della legge sono quelli che ho avuto l'onore di esporre all'E.V. in questo rapporto, ed essi meritano pertanto tutta l'attenzione del R. Governo 1 .

564

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3199/0118 R. Parigi, 8 maggio 1937 (per. 1'11).

Nel corso della visita ieri fatta al nuovo ambasciatore d'Inghilterra, in restituzione alla sua, si parlò della situazione interna francese. Sir Eric Phipps si espresse meco nel senso che la posizione del ministero Blum gli sembrava nuovamente rafforzata, dopo qualche settimana di debolezza ed aggiunse che non poteva [non] compiacersene perché nonostante qualche errore commesso nel voler applicare troppo in fretta e senza le necessarie precauzioni le nuove leggi votate dal Parlamento, il complesso della riforma sociale compiuta dal Gabinetto di Fronte Popolare era soddisfacente. Così almeno veniva giudicato in Inghilterra dove si sarebbe pertanto veduto di buon occhio che Blum rimanesse a lungo al potere.

Questo linguaggio mi è sembrato sintomatico, dato che qualche giorno fa le voci da me raccolte a varie fonti ed anche le notizie che sono state trasmesse a

V.E. dalla R. Ambasciata in Londra 2 avrebbero potuto far credere che il governo inglese avesse mutato le proprie favorevoli disposizioni verso Blum ed il suo ministero. Evidentemente l'esame più approfondito di quelli che sono gli interessi britannici deve avere indotto il governo inglese a continuare il suo appoggio all'attuale gabinetto francese. Ciò spiega la fiducia che nuovamente circonda Blum in Francia.

1 Il documento ha il visto di Mussolini che sulla prima pagina ha scritto: «importante». 2 Vedi D. 506.

565.

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1193/412. Roma, 8 maggio 1937 (per. !'11).

Nel mio telespresso del 20 aprile scorso n. 1014/352 1 , riferivo una confidenza del cardinale segretario di Stato sulla mancata visita del ministro Goring in Vaticano, nell'autunno scorso. Il cardinale Pacelli attribuiva la cosa a un suggerimento di questo mio collega di Germania.

Il signor von Bergen dà però dell'incidente la seguente versione che pone le cose in una luce assai diversa. Pare, infatti, che prima della visita del ministro Goring, dello scorso autunno, sia venuto a Roma il ministro Frank2 . L'ambasciatore chiese per quest'ultimo un'udienza al Papa il quale rifiutò recisamente di vederlo, precisando che non intendeva ricevere membri del partito nazista. Il ministro Goring, informato di questo precedente, al suo arrivo a Roma, non volle recarsi in Vaticano.

Nel suo nuovo recentissimo passaggio da Roma·3 il ministro Goring non avrebbe dimostrato migliori disposizioni. Egli si sarebbe dimostrato irritatissimo per la pubblicazione della Lettera Papale ai Vescovi del Reich 4 .

Il mio collega di Germania dice di avere discusso, qui a Roma, con il signor von Neurath 5 sull'opportunità di una sua visita in Vaticano. Il ministro degli Esteri del Reich si è deciso, alla fine, per la negativa anche per il fatto che il generale Goring nel suo ultimo soggiorno romano non aveva chiesto, come ho detto, di essere ricevuto.

Per quel che riguarda le relazioni fra la Santa Sede e il Reich, il signor Neurath si è espresso con il signor von Bergen, all'incirca sulla stessa linea del rapporto dell'ambasciatore Attolico riferito nel telegramma per corriere, di codesto R. Ministero, n. 827 R. del 22 aprile scorso 6 . Il ministro degli Esteri del Reich è d'avviso che non si debba avere fretta; è necessario che si calmi l'irritazione prodotta in Germania dalla Lettera Apostolica, per potere avviare in seguito una conversazione con qualche speranza di arrivare a un'intesa.

La questione capitale per il Reich è quella della gioventù, in genere, e della scuola in ispecie. Su questi punti i fattori responsabili del Reich sono unanimi e intransigenti.

I Vedi D. 483.

2 Il ministro Frank era giunto in Italia il 19 settembre 1936 ed era stato ricevuto da Mussolini il 23 (vedi serie ottava, vol. V, D. IO l).

3 Il 26 aprile.

4 Vedi p. 402, nota l.

5 Durante la visita del 3-5 maggio precedenti.

6 Vedi p. 585, nota l.

566

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA 2208. Berlino, 8 maggio 1937 (per. il 15).

Ieri, in serata, il Generale Goring m1 ha pregato di recarmi nuovamente a veder!o. Mi ha così consegnato il documento che ti invio 1 , qui unito, in traduzione, relativo a notizie pervenute, da «fonte sicura», ai tedeschi da Praga.

Le notizie stesse hanno formato oggetto di un importante articolo del Berliner Tageblatt a firma + + + che viene pubblicato stamane e che contiene un netto attacco alla Cecoslovacchia, definita campo di gioco per la palla tra Mosca e Valencia (allegato n. 2) 2 . Vedrai che nell'articolo del Berliner Tageblatt il tentativo dei Rossi di Valencia di presentare la questione dell'intervento in Spagna alla S.d.N. viene posto nel quadro itala-tedesco, mentre nella prima parte del documento si parla di una mossa più propriamente antitaliana.

Nell'occasione, il generale è ritornato sull'argomento se, qualora veramente i Rossi volessero aprire la questione a Ginevra, «punto di concentramento, oramai, di ogni tendenza antifascista», non convenisse possibilmente dare un nuovo scrollone alla pericolante S.d.N. Evidentemente egli alludeva al definitivo nostro ritiro da quell'Istituto, ritiro al quale dovrebbero seguire, sempre secondo la sua vecchia idea che ti espose a Roma in gennaio, quelli dell'Austria, dell'Ungheria e oggi perfino della Jugoslavia.

Parlando in seguito appunto della Jugoslavia, Goring mi ha detto che il Principe Paolo parte per le feste dell'Incoronazione di Londra in uno stato d'animo assolutamente sicuro circa la stabilità dell'avvicinamento del suo Paese all'asse Roma-Berlino. A Bled 3 il Principe Paolo gli ha detto esattamente così: «Sono certo che a Londra dovrò udire molte dure parole nei confronti dell'attuale politica del mio Paese e dovrò resistere a molti tentativi per farla mutare. Ma posso dirvi che sono altrettanto certo di ritornare a Belgrado senza subire alcun ondeggiamento».

E accennando alla stessa Incoronazione di Londra, Goring ha aggiunto che, con ogni probabilità, Italia e Germania devono attendersi un periodo di almeno un mese di notizie e contro-notizie di iniziative e di contro-iniziative londinesi tutte più o meno rivolte ai danni della politica itala-tedesca. E ciò esattamente a simiglianza di quanto avvenne al momento dei funerali a Londra di Giorgio V, allorché convennero nella capitale britannica tutti i mestatori europei, con alla testa il signor

I Non pubblicato. Secondo il documento, il governo spagnolo di Valencia intendeva sottoporre al Consiglio della Società delle Nazioni nella seduta del 24 maggio il problema dell'intervento italiano in Spagna documentato con il Libro Bianco sull'argomento per chiedere l'applicazione dell'articolo 16 del Patto.

2 Non pubblicato.

3 Dove Goring era stato ricevuto dal Principe Paolo il 2 maggio. In proposito si vedano i DD. 543 e 556.

733 Litvinov-Finkelstein. Ma i nostri due Paesi -ha concluso -sapranno tenere i nervi tranquillamente a posto, perché sanno che tutte quelle tempeste di parole lasciano esattamente il tempo che trovano.

Quanto alla politica inglese, Goring ha accennato alla circostanza che mai la Gran Bretagna si è mostrata interessata alla questione di Spagna come per guanto avviene a Bilbao e mai ha fatto materialmente tanto come in questo episodio. Ciò dimostra, e se ne è avuto conferma nelle parole pronunciate alla Camera dei Comuni anche da Lloyd George, che l'Inghilterra considera il Paese basco come una delle sue pedine nel gioco. Anche l'affondamento della corazzata Espaiia è alquanto misterioso.

Nei riguardi poi delle parole pronunciate l'altro ieri sempre alla Camera dei Comuni, dallo stesso Eden, sulla questione del bombardamento di Guernica 1 , il Generale si è espresso in termini molto duri ed ha ripetuto che con gli Inglesi bisogna veramente agire come ha fatto il Duce: «Un pugno nello stomaco ad ogni pestata di piedi!».

E su ciò è terminata la nostra conversazione.

Effettivamente, a quattro giorni dall'Incoronazione di Londra, si nota in Germania una viva recrudescenza della tendenza antibritannica. L'episodio di Guernica e l'interpretazione ad esso data dalla stampa britannica hanno suscitato una vivace reazione che tende a non diminuire. Può dirsi veramente che quella cerimonia londinese coincide esattamente con uno dei momenti più duri delle relazioni anglo-tedesche degli ultimi tempi.

Ti ho fatto ora trasmettere a mezzo della Stefani gli estratti più salienti di questa odierna relazione giornalistica tedesca 2•

567

IL DIRETTORE GENERALE DEL SERVIZIO PER LA STAMPA ESTERA DEL MINISTERO PER LA STAMPA E LA PROPAGANDA, ROCCO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 6743/191 P.R. Roma, 9 maggio 1937, ore 13.

Informasi che d'ordine superiore è stato disposto fino a nuovo ordine divieto introduzione e circolazione Regno tutti i giornali quotidiani e giornali settimanali inglesi ad eccezione Daily Mai/, Sunday Dispatch, Evening News, Observer 3 .

1 Il 6 maggio, nel corso di un dibattito ai Comuni su la situazione spagnola, Eden aveva dichiarato che, secondo le informazioni avute, Guernica era «un caso particolarmente deplorevole di bombardamento e mitragliamento aereo» e che il governo britannico era favorevole ad un'inchiesta internazionale per accertare i responsabili dell'accaduto.

2 Il documento ha il visto di Mussolini.

3 Il provvedimento era stato originato dagli articoli apparsi sulla stampa britannica a proposito delle operazioni intorno al piccolo porto di Bermeo (non lontano da Bilbao) che il 30 aprile era stato occupato da una colonna di Camicie Nere poi rimasta circondata per un contrattacco nemico fino a

568

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3201/0121 R. Parigi, 9 maggio 1937 (per. 1'11).

Ho incontrato iersera il presidente del Consiglio Blum ad un pranzo diplomatico all'ambasciata di Polonia. Rilevò che era un pezzo che non aveva occasione di intrattenersi con me, ricordò la nostra ultima conversazione e disse che, come avevo potuto vedere,. egli aveva tenuto il massimo conto di quanto gli avevo esposto ed aveva dato istruzioni di procedere senza indugio al completo ritiro del contingente francese da Dire Daua.

Mi domandò poi a che punto fossero le trattative per regolare gli interessi francesi in Etiopia e quelli italiani nella colonia francese sulla Costa dei Somali. Gli esposi lo stato delle cose rilevando che le proposte fatteci dal governo francese avevano un carattere politico che era in contrasto assoluto con la situazione creatasi nell'Africa Orientale. Sarebbe stato necessario che ci si rendesse conto a Parigi che noi intendiamo essere padroni assoluti in casa nostra e che non possiamo ammettere di essere legati da impegni di natura politica, mentre siamo disposti a tenere nel debito conto gli interessi francesi di natura commerciale ed industriale. Blum mi domandò vari chiarimenti che gli diedi ed espresse la speranza che il governo fascista formulasse le sue obiezioni e presentasse eventuali controproposte in modo da poter procedere nelle trattative che gli stanno molto a cuore.

569

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 896/385 R. Roma, 10 maggio 1937, ore 11,30.

Comunichi confidenzialmente a Franco che risulta da fonte sicura che la Santa Sede ha esortato Aguirre a prendere in attento esame le proposte fatte ai baschi per una immediata capitolazione di Bilbao 1 .

quando, alcuni giorni dopo, non era stata raggiunta dal grosso delle forze nazionali. I giornali britannici avevano dato largo spazio all'episodio, talvolta con commenti sarcastici sugli italiani che erano stati «buttati a mare dai pescatori baschi».

L'S maggio, Ciano ebbe un colloquio in proposito con l'ambasciatore Drummond al quale dichiarò che l'ordine di vietare l'ingresso in Italia ai giornali britannici era stato dato direttamente da Mussolini e che nemmeno nei giorni più difficili della crisi etiopica aveva visto Mussolini tanto irritato. Su questo colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani ma si veda il resoconto dell'ambasciatore Drummond in BD, vol. XVIII, D. 474. Per il seguito della questione si veda il D. 605.

I Vedi D. 580.

570

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3305/010 R. Bucarest, IO maggio 1937 (per. il 15).

Col mio telegramma per corriere del 7 aprile n. 06 1 , all'indomani cioè della chiusura della conferenza della Piccola Intesa, informavo V.E. che a Belgrado era stato messo un fermo all'azione unilaterale e indipendente dei tre membri della Piccola Intesa nei confronti dell'Ungheria. Aggiungevo: «Non mi risulta ancora in quale forma, in quali impegni e dentro quali limiti questo concetto sia stato tradotto. Ritengo si sia proceduto alla firma di un processo verbale nel quale i tre Paesi si impegnano a non agire isolatamente nei riguardi dell'Ungheria, sia nella questione della parità dei diritti sia per quanto concerne eventuali trattative e patti di natura politica».

Col successivo telegramma per corriere del 28 aprile n. 08 2 precisavo la notizia: «A Belgrado, secondo le mie informazioni, si è proceduto alla firma di un processo verbale, impegnante i tre Paesi a non agire separatamente nei riguardi dell'Ungheria sia per quanto concerne la questione della parità di diritto, sia per eventuali trattative in vista della conclusione di patti di naturq politica».

Sono ora in grado di precisare «la natura e la forn1a» dei detti impegni essendo riuscito a prendere visione del processo verbale redatto a Belgrado, cioè della piéc·e che porta le firme originali di Stojadinovic, di Krofta e di Antonescu. Le deliberazioni che concernono l'Ungheria, (cito a memoria, ma fatta salva qualche variante di forma, garantisco l'esattezza della citazione) sono le seguenti: «Il Consiglio Permanente della Piccola Intesa ispirandosi alla dichiarazione del maggio 1933 in base alla quale ha ammesso il principio della parità di diritti in fatto di armamento, purché ottenuta per via di mutuo accordo ed accompagnata da garanzie di sicurezza, decide che se l'Ungheria esprimerà il desiderio di entrare in negoziati per conseguire la libertà di diritti in fatto di armamenti, essa potrà essere concessa alle seguenti condizioni:

a) che l'Ungheria ammetta di concludere con la Piccola Intesa un patto a quattro di non aggressione, o quanto meno tre patti bilaterali di non aggressione con ciascuno dei membri della Piccola Intesa. I negoziati debbono essere condotti contemporaneamente e conclusi col previo assenso di ciascuno dei tre membri. Il patto o i patti debbono contenere la definizione dell'aggressore quale è sancita dalle convenzioni di Londra del 19333 ;

b) che vengano soppressi gli impegni derivanti alla Cecoslovacchia dal trattato del Trianon circa le fortificazioni al sud di Bratislava in quanto tali impegni siano tuttora validi; e che vengano soppressi i tribunali arbitrali misti».

V.E. rileverà fino a qual punto i tre membri della Piccola Intesa «si sono legate le mani» a Belgrado. Devo però onestamente aggiungere che Antonescu, obbligato a

I Vedi D. 420. 2 Vedi D. 521. 3 Vedi p. 148, nota 2.

736 riconoscere di aver assunto impegni molto serrati a Belgrado, mi ha più volte detto che le nuove obbligazioni non dovevano essere prese al piede della lettera. Esse dovevano essere interpretate nello spirito delle conversazioni che si erano avute fra i tre e che il desiderio di ammettere la parità di diritti per l'Ungheria era comune.

Antonescu mi ha detto ieri che in occasione della assemblea della• S.d.N. saranno presenti a Ginevra Krofta e Puric. È sua intenzione far riesaminare la situazione e studiare che cosa si possa fare nei confronti dell'Ungheria, nel senso (dice lui e gliene lascio la responsabilità) di allargare un poco le maglie dei nuovi impegni di Belgrado. Da mia parte ho dichiarato ad Antonescu che pretendere di negoziare e soprattutto di subordinare a condizioni assurde una parità di diritto che l'Ungheria ha già di fatto e che in ogni caso può in via autonoma prendersi domani, costituiva mettersi fuori della realtà. La parità di diritti poteva ancora costituire una carta nelle mani della Piccola Intesa, e soprattutto della Romania, ad una sola condizione: che essa fosse giuocata liberamente, senza nulla chiedere. Solo in tal caso la Romania poteva assicurarsi la riconoscenza dell'Ungheria e creare un'atmosfera favorevole ad intese per essa vantaggiose. Era inutile dire, e far dire, che se l'Ungheria avesse ripreso in via autonoma la libertà di diritti, la Piccola Intesa avrebbe reagito con la denunzia delle clausole dei trattati relative alle minoranze. L'Ungheria considerava che il trattamento fatto alle minoranze, specialmente da parte della Romania, costituiva già una patente violazione di tutti gli obblighi contrattuali! In ogni modo, la Piccola Intesa, con i suoi impegni di Belgrado e col provocare azioni che potevano poi far luogo a reazioni e a controreazioni, pur dicendo di lavorare a favore della pace in questa tormentata regione danubiana, preparava gli elementi per un periodo ancor più torbido.

Non sapevo quindi consigliare abbastanza al sig. Antonescu di mettere un casso e un frego sulle assurde deliberazioni di Ginevra. Ho trovato modo di far anche allusione alla definizione dell'aggressore, ricordandogli quanto gli avevo già detto mesi or sono (mio telegramma n. 17 del 2 febbraio) 1 e cioè che era assurdo parlare della definizione dell'aggressore che aveva costituito lo scoglio principale contro cui si era infranta la possibilità della partecipazione della Bulgaria al blocco balcanico. Si voleva ora ripetere lo stesso errore con l'Ungheria.

Antonescu, che sotto una vernice di civiltà e di bonomia nasconde, però, l'ostinatezza del contadino avaro, non sa persuadersi della possibilità di concedere «gratuitamente» la parità di diritti all'Ungheria e quindi esita anche perché teme la irriducibilità di Krofta.

A mio avviso non si potrà uscire dall'attuale punto morto senza lasciare passare qualche tempo affinché gli impegni di Belgrado si rilascino. Occorre inoltre persuadere prima Stojadinovic e farlo agire su Antonescu, lavorando cioè a formare un fronte unico tra Jugoslavia e Romania, circa il metodo da seguire per la concessione della parità di diritti. La Cecoslovacchia sarebbe presto o tardi obbligata a seguire.

L'opera non si annuncia facile: essa è anzi ardua. Ma Vostra Eccellenza ha superato ostacoli ben più difficili. La creazione del fronte Belgrado-Bucarest mi sembra comunque la premessa indispensabile ad ogni sviluppo dell'azione del governo fascista.

t Vedi D. 115.

571

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3314/0101 R. Budapest, IO maggio 1937 (per. il 15).

In una conversazione confidenziale avuta con Kanya prima della sua partenza per Londra, questi mi ha dato indirettamente conferma di quel certo senso di perplessità nei nostri riguardi dell'opinione pubblica ungherese che ho segnalato col mio rapporto 5604/931 del 6 maggio 1 . Kanya, durante il colloquio di tono completamente personale, mi diceva in sostanza che l'opinione pubblica, sempre tenacemente simpatizzante per l'Italia, non conosceva i segreti delle Cancellerie e il fondo reale delle questioni e non poteva rendersi conto esatto come gli uomini politici responsabili, delle varie mosse politiche. Di più, gli ungheresi, per forza di cose portati a giudicare tutta la politica mondiale in funzione della piccola nazione magiara, avevano dapprima creduto che il governo italiano fosse favorevole alla restaurazione monarchica in Austria ed in Ungheria quando questo sembrava essere un valido modo di opporsi alla Germania, al momento in cui i nostri rapporti con il Reich non erano così buoni come ora; dopo l'affermarsi dell'asse Roma-Berlino, che aveva comunque prodotto un certo cambiamento della situazione nella politica generale dell'Europa centrale, l'opinione pubblica ungherese aveva creduto avvertire un mutamento della politica italiana in primo luogo circa la restaurazione. Erano state, ad arte come è noto, diffuse dalla stampa estera avversaria voci che l'Italia e la Germania si sarebbero addirittura divise l'Europa centrale in zone d'influenza: c'erano degli ungheresi che si domandavano quanto di vero vi potesse essere in ciò: infine l'aver visto l'Italia avvicinarsi alla Jugoslavia prima e tendere ora verso la Romania, aveva fatto nascere in alcuni il timore che ci fosse una rinuncia alla politica revisionistica.

Kanya mi ha detto che talvolta anzi aveva dovuto convincere con opportuni argomenti anche alcuni uomini politici che gli avevano posto gli stessi interrogativi.

572

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1884/767. Londra, 10 maggio 1937 (per. il 14).

La conclusione-in sostanza non sfavorevole-della Conferenza Internazionale dello Zucchero 2 , e la recente firma della nuova Legge sulla Neutralità da parte di Roosevelt, hanno contribuito in questi ultimi giorni ad incoraggiare i

l Vedi D. 559. 2 La conferenza internazionale per lo zucchero si era aperta a Londra il 5 aprile.

738 commenti e le speculazioni sul significato di una serie di colloqui che Norman D avis 1 , alla vigilia del suo ritorno in America, ha avuto con varie personalità politiche inglesi ed in particolare con Chamberlain e Eden.

Da quanto mi viene confidenzialmente riferito, dovrei ritenere che Norman Davis, per quanto riguarda la maggior parte dei punti, presunti o probabili, della «missione esplorativa» che gli sarebbe stata affidata da Roosevelt, torna a casa soddisfatto latore del solito bagaglio di generiche e qualificate assicurazioni. Le blandizie qui somministrategli avrebbero avuto facile gioco della nota vanità dell'uomo.

Di stabilizzazione monetaria, di generali riduzioni tariffarie e di progetti di una nuova Conferenza economica internazionale, Chamberlain avrebbe facilmente convinto D avis che non è il caso, per il momento, di parlare: occorre, oltretutto, a questo riguardo e per quanto concerne la Gran Bretagna, conoscere prima l'esito della prossima Conferenza Imperiale, alla quale verranno riesaminati i problemi sorgenti dagli accordi di Ottawa (e per parte mia posso sin d'ora aggiungere che, a giudicare da un insieme di sintomi, non è da escludere che da tale Conferenza sortirà un ulteriore rafforzamento di quel protezionismo imperiale che è nel programma dei conservatori tipo Chamberlain). I piani relativi alla Conferenza per il disarmo, pezzo forte di Norman Davis, hanno subito la stessa sorte. Chamberlain e Eden sono così efficacemente riusciti ad impressionare Davis sulla necessità del riarmo britannico che quest'ultimo ha perfino rinunciato al suo progetto di recarsi a Ginevra per assistere alla progettata riunione della Commissione della Conferenza per il disarmo.

Maggiori speranze di successo, e soprattutto una maggiore volontà di fare, sarebbero invece emerse dai colloqui di Norman Davis con Chamberlain e Eden circa un eventuale diretto accordo commerciale anglo-americano.

L'argomento non è nuovo. Quello che di nuovo si sarebbe manifestato, a parte un certo progresso nella ricerca di un compromesso sulle varie questioni che avevano condotto al virtuale arenamento delle discussioni iniziate da Runciman a Washington, è il concretarsi di una tendenza da parte del governo britannico, di fare di tale accordo (il cui raggiungimento rimane sempre subordinato ai risultati della Conferenza Imperiale) uno strumento politicamente oltre che economicamente a sé utile nel più vasto campo delle relazioni internazionali. È questo anzi l'aspetto positivo più interessante, e che merita esser segnalato, delle conversazioni londinesi di Norman Davis. Una intesa commerciale anglo-americana, non più fine a sé stessa, dovrebbe cioè rappresentare il mezzo pratico per portare alla costituzione di un blocco tra le due più ricche economie mondiali, di un nucleo intorno al quale ricondurre in un secondo tempo, in luogo e in maniera politicamente più vantaggiosa che non attraverso una conferenza internazionale, l'America latina, le Potenze del cosidetto gruppo di Osio e, naturalmente, la Francia. Nel quadro di questo

1 L'ambassador at large Norman Davis era giunto in Gran Bretagna il 30 marzo a capo della delegazione degli Stati Uniti alla Conferenza dello zucchero. In precedenza, Suvich aveva già segnalato

(T. 871/61 R. del 4 febbraio) i numerosi colloqui che Norman Davis stava avendo con Roosevelt e con il segretario di Stato, Hull, ed aveva avanzato l'ipotesi che Davis «considerato una specie di super-ambasciatore americano in Europa particolarmente per i collegamenti con la Società delle Nazioni» potesse essere incaricato di condurre iniziative di largo respiro.

ambizioso progetto -dal quale non è forse estranea una certa latente preoccupazione circa le conseguenze della politica economico-finanziaria di Blum -vedi i miei rapporti n. 1357/535 del 14 aprile e n. 1586/669 del 27 aprile 1 -la missione pomposamente affidata dalla Gran Bretagna e dalla Francia a van Zeeland 2 , palesa chiaramente il proprio substrato di manovra politica e pubblicitaria, intesa oltre che a soddisfare esigenze politiche del momento, a preparare sin d'ora per Londra e Parigi l'alibi per il fallimento dei vari progetti di conferenze economiche che da qualche tempo girano per l'aria, inchiodandone la responsabilità sulla porta di Roma e di Berlino (vedi al riguardo le affermazioni del rappresentante americano all'Incoronazione, l'ex ambasciatore Gerard, circa l'eventualità di una conferenza economica internazionale in vista di un presunto sicuro ostruzionismo da parte dei «dittatori», mio rapporto n. 1834/742 del 5 maggio u.s.) 3 .

A questo sforzo verso lo stabilimento di una più intima collaborazione anglo americana, anche nel campo politico, si ricollega l'argomento specifico trattato nel corso dei colloqui di Davis -e che riveste un notevole interesse attuale in vista della nuova fase dei rapporti anglo-giapponesi -della convenienza per Gran Bretagna e Stati Uniti di mantenere una comune politica nei riguardi delle questioni di Estremo Oriente 4 .

573

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1895/774. Londra, IO maggio 1937 (per. il 17).

Mio telegramma per corriere n. 0129 del 3 maggio 5 .

I risultati delle recentissime elezioni giapponesi e le dichiarazioni alla stampa, il 6 corrente, da parte del signor Sato circa le relazioni estere del Giappone, hanno fornito in questi giorni alla stampa britannica ampio argomento, avidamente ed opportunamente sfruttato, per riprendere e sviluppare il tema dei rapporti anglomppomci.

Per quanto concerne le dichiarazioni di Sato, vorrei solamente rilevare come, sia per quel che riguarda l'importanza da lui attribuita ad alcune recenti manifestazioni -liquidazione dell'incidente di Keelung 6 , presenza e dichiarazioni a Londra

I Non pubblicati. Il loro argomento è qui indicato.

2 Vedi p. 581, nota 3.

3 In un articolo sul Sunday Chronicle, l'ex ambasciatore Gerard aveva scritto che le relazioni tra Stati Uniti e Gran Bretagna non erano mai state migliori perché il popolo americano si era reso conto che le grandi democrazie dovevano «stringersi insieme», anche se gli Stati Uniti erano fermamente decisi a non intervenire nelle questioni europee e a rimanere ad ogni costo fuori da un eventuale conflitto.

4 Il documento ha il visto di Mussolini.

5 Vedi D. 540.

6 Vedi p. 590, nota l.

del principe Chichibù (mio rapporto n. 1401/557 del 16 aprile) 1 -sia per quel che si riferisce al carattere tuttora generico ed esplorativo delle conversazioni londinesi di questo ambasciatore del Giappone -miei telegrammi per corriere n. 0111 del 23 aprile2 e n. O129 del 3 maggio 3 -le parole del ministro degli Affari Esteri giapponese corrispondono sostanzialmente a quanto già da tempo ho avuto occasione di segnalare.

Nei riguardi del problema sostanziale delle relazioni tra i due Paesi rilevo ora, tra la pioggia di corrispondenze, commenti e note di redazione, di evidente ispirazione ufficiale, apparse nella stampa inglese, i seguenti elementi che, ripetuti in ogni forma ed a ogni proposito, possono valere ad illustrare l'atteggiamento che per parte sua il governo britannico va assumendo nella questione:

a) l'attuale miglioramento in atto delle relazioni anglo-nipponiche è dovuto a iniziativa giapponese; i motivi che l'hanno provocata sono il rafforzamento della potenza militare russa in Estremo Oriente, le delusioni che il Giappone avrebbe provato negli sviluppi della sua politica militaristica in Cina, dove esso va incontrando un crescente e resistente risveglio di nazionalismo cinese; il malcontento, di cui le ultime elezioni giapponesi avrebbero dato la misura, che il peso delle spese militari e in genere la politica estera di Tokio avrebbero provocato nelle masse giapponesi; la «salutare» impressione che in Giappone avrebbe causato il riarmo britannico;

b) la Gran Bretagna è disposta, contro opportune garanzie da parte del Giappone nei riguardi dell'integrità territoriale cinese, a riconoscere al Giappone una posizione predominante nella Cina settentrionale, ed a venire ad un accordo generale col governo di Tokio per una definizione degli interessi reciproci della Gran Bretagna e del Giappone in Estremo Oriente;

c) qualsiasi accordo tra Gran Bretagna e Giappone dovrà rientrare nel quadro generale di una sistemazione dei rapporti anglo-nipponico-americani (ricordo a questo riguardo che la necessità di mantenere una comune linea di politica tra Stati Uniti e Gran Bretagna nelle questioni di Estremo Oriente è uno degli argomenti che è stato trattato nei recenti colloqui avuti a Londra da Norman Davis con Chamberlain e con Eden. Mio rapporto n. 1884n67)4 .

Mentre trasmetto qui uniti alcuni fra i più sintomatici articoli e commenti relativi alle relazioni anglo-giapponesi apparsi in questa stampa nel corso dell'ultima settimana, rilevo come la possibilità che un accordo tra Giappone e Gran Bretagna venga a significare la virtuale spartizione della Cina in due zone di influenza rispettivamente giapponese ed inglese, sembrerebbe aver cominciato a preoccupare il governo di Nankino ed avrebbe indotto quest'ultimo a far richiedere a Londra tempestivi chiarimenti ed assicurazioni.

t Vedi D. 472. 2 Vedi D. 498. 3 Vedi D. 540. 4 Vedi D. 572.

574

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CAVALLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE San Sebastiano, maggio 1937, 3219/43 e 3223/44 R. ore 13,30 (pe r. ore 19,25). Suo telespresso n. 1135 del 20 aprile 1 .

Ho parlato in Francia con fiduciari governo basco 2 . Ho significato loro R. Governo essere in massima favorevole concedere suo intervento o garanzia per resa Bilbao. Necessitare però anzitutto richiesta basca, risultando che Franco considera fin da ora tale garanzia superflua.

Fiduciari mi hanno chiaramente lasciato intendere che essi riterrebbero possibile giungere accordo mediante intervento italiano. Italia ben accetta quale Potenza cattolica. Mi hanno comunicato che generale Mola ha fatto aver Bilbao giorno 2 corr. nota -di cui invio testo3 -invitando resa e ripetendo note promesse. Perdura tuttora piena sfiducia per mancanza alcuna garanzia.

Fiduciari hanno trasmesso per radio a Bilbao quanto da me suesposto riservandosi risposta fra breve.

Presidente partito nazionale basco Dorotepi Ziaurriz attualmente in Francia ha pregato canonico Alberto Onaindìa, con cui ho conferito ieri, di recarsi immediatamente Bilbao onde riferire presidente Aguirre quanto da me esposto. Egli ritiene eventuale intervento italiano essere prima concreta speranza pacificazione basca.

Onaindìa parte oggi aereo. Gli ho detto di sollecitare da Aguirre suo telegramma segreto diretto a S.E. Capo del governo, da inoltrare per mio tramite. Ziaurriz mi ha fatto chiedere se intendessi quanto prima andare io stesso Bilbao segretamente conferire presidente Aguirre. Sarò grato a V.E. se vorrà istruirmi 4 .

l l
575

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIA T A A BERLINO E ALLE LEGAZIONI A BELGRADO, BUCAREST E BUDAPEST

T. 909/c.R5 . Roma, lJ maggio 1937, ore 24.

Ho visto ieri Lugosianu. Mi ha di nuovo parlato dell'eventualità di un patto italo-romeno. Io l'ho come già negli altri colloqui 6 , condizionato ad una intesa tra Bucarest e Budapest.

l Non rintracciato. 2 Si veda in proposito il D. 588, allegato. 3 Il testo della nota è in allegato al D. 588. 4 Vedi D. 595. 5 Minuta autografa. 6 Di tali colloqui non è stata trovata documentazione.

Lugosianu mi ha detto che nella situazione attuale la Romania non potrebbe fare un accordo isolato con l'Ungheria, la quale dovrebbe trattare con i tre Stati della Piccola Intesa contemporaneamente. A titolo personale aggiungeva che d'altra parte Romania si troverebbe in difficoltà ad abbandonare la Cecoslovacchia perché, dati i rapporti di questo Paese con la Russia, il peso dell'ostilità bolscevica verrebbe a gravare contro i romeni. Tutta la situazione cambierebbe se l'Italia fosse disposta, nell'ambito dell'intesa italo-tedesca, a stringere con la Romania un patto di mutua assistenza. In tal caso Bucarest, garantita contro la minaccia sovietica dal sistema Roma Berlino, potrebbe procedere ad una integrale revisione della sua politica. Ed anche l'accordo con Budapest apparirebbe molto facile a realizzarsi.

Per quanto Lugosianu abbia premesso di parlare senza istruzioni, pure suo linguaggio mi sembra significativo.

(Per Berlino) Dia riservata notizia di quanto precede a Neurath 1 .

(Per tutti gli altri meno Bucarest) Tanto le comunico per sua notizia.

(Per Bucarest) Tanto le comunico per Sua notizia e per eventuali discreti sondaggi in codesti ambienti di governo 2 .

576

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3275/020 R. Belgrado, Il maggio 1937 (per. il 14).

Mi riferisco al punto 3° del mio telegramma n. 88 del. IO aprile scorso 3 .

Stojadinovic, almeno inizialmente, ha già dato seguito alle sue intenzioni nei riguardi ungheresi. Negli ultimi giorni di aprile, alla presenza del ministro della Istruzione e delle Foreste e Miniere 4 , e coll'intervento del Reggente Stankovic, ha ricevuto molto cordialmente il dott. Varady, considerato il capo di questa minoranza ungherese, e gli ha promesso il suo interessamento in merito alle questioni che stanno a cuore alla minoranza stessa e che il Varady gli ha riassunto per iscritto. Tali questioni concernono, come è noto, la materia scolastica ed il riconoscimento di poche e modeste associazioni culturali.

Questo mio collega d'Ungheria mi è sembrato compreso del significato del gesto compiuto da Stojadinovic, soprattutto in considerazione delle difficoltà della

I Con telespresso 2658/818 del 2 giugno, l'ambasciatore Attolico rispondeva di aver portato a conoscenza di von Neurath il contenuto di questo telegramma e aggiungeva: «Il linguaggio di Lugosianu, per quanto non abbia sorpreso, non è però qui ritenuto sincero. Si osserva, del resto, che la richiesta romena di garanzia territoriale alla Romania da parte dell'asse Roma-Berlino rimarrebbe da parte romena senza contropartita».

2 Per la risposta del ministro Sola, si veda il D. 592.

3 Vedi D. 434.

4 D. Kovacevic.

situazione nella quale il Presidente deve manovrare. Nella quasi flagranza dei suoi patti coll'Italia e colla Bulgaria, Stojadinovic non ha potuto esimersi, nell'ultima riunione della Piccola Intesa -a meno di non dichiararne clamorosamente il fallimento -dal precisare i suoi impegni nei riguardi dell'Ungheria, nei termini da me testualmente indicati. Egli conta, evidentemente, procedere, per quanto lo concerne, ad una graduale e sostanziale distensione dei rapporti ungaro-jugoslavi. Ma non è facile che possa farlo rapidamente e formalmente in presenza delle difficoltà che, anche all'interno, gli vengono suscitate attraverso il governo di Praga che, nel disorientamento prodotto, in ispecie, dagli accordi di Belgrado, cerca nella sua difesa degli statuti e della compagine, anche se più formale che sostanziale, della Piccola Intesa, una salvaguardia dall'isolamento. La parola decisiva della situazione spetta, ora, naturalmente, a Bucarest ed è per questo che sembra vi si organizzino rapidamente le difese. Certo che, come abbiamo constatato col signor de Alth, se si vuole realmente facilitare la realizzazione delle buone disposizioni di Stojadinovic occorre procurargli, senza ritardo, l'effettivo favore di Bucarest, almeno in linea di massima, se non di dettaglio, data la maggiore complessità dei problemi ungaro-rumeni. Rilevo, del resto, dal telespresso n. 215339/C del 7 corrente 1 , che in tal senso si svolge l'azione del R. ministro a Budapest.

Quanto all'eventualità di una denuncia ungherese delle clausole militari del trattato del Trianon, Stojadinovic, nel corso di un colloquio in cui si è fatto cenno dell'argomento, mi ha espresso la speranza che a Budapest non si prendano iniziative del genere, che varrebbero a complicare la situazione e ad offrire buon giuoco a chi vuole ostacolare qui gli orientamenti favorevoli all'Ungheria.

577

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. URGENTE RISERVATISSIMO 2263/717. Berlino, Il maggio 1937 (per. il 14).

È venuto a vedermi stamane il visconte Davignon, ministro del Belgio a Berlino; il quale, dovendo, reduce da Bruxelles, avere oggi stesso un colloquio con Mackensen in merito alla nota questione della garanzia internazionale del Belgio, voleva prima sapere da me se e quali decisioni fossero state prese sulla questione a Roma fra l'E.V. ed il barone von Neurath 2 . Gli ho risposto che, in assenza di una qualunque proposta concreta da parte del Belgio, l'unica decisione possibile al

l Ritrasmetteva il D. 523. 2 Vedi D. 541.

riguardo era quella di continuare -fra Roma e Berlino -a procedere di pieno accordo per l'avvenire nello stesso modo che per il passato.

A mia volta, ho chiesto quindi al collega quali, in base agli accertamenti da lui compiuti a Bruxelles, fossero gli orientamenti e le direttive attuali dell'azione belga in materia. Il Davignon, dopo avermi confermato ancora una volta che il suo governo intende procedere con molta cautela, concretando le sue idee solo dopo una serie preliminare di «sondaggi» ufficiosi, mi ha riaffermato come appresso le idee ora prevalenti a Bruxelles.

Il Belgio non può tenersi pago della situazione attuale: ha bisogno di fermer le cercle, comprendendo in esso, non solo la Francia e l'Inghilterra, ma anche la Germania. A parte le difficoltà create dalla cosidetta contropartita tedesca (sulla quale dopo tutto Davignon crede che la Wilhelmstrasse potrebbe in definitiva non insistere oppure insistere in una forma meno netta e quindi accettabile) rimangono sempre le difficoltà inerenti alla interpretazione dell'art. 16. Il Belgio ha già dato un'interpretazione di questo articolo, la quale tuttavia non è, né può essere, soddisfacente per la Germania, dato che il ministro Spaak nel suo discorso del 29 aprile1 , pur avendo mostrato una buona dose di coraggio non era andato così lontano come il suo collega olandese De Graeff. Non aveva potuto farlo anche perché sarebbe stato poco cortese nei riguardi di Eden che aveva lasciato Bruxelles appena qualche giorno prima 2• Potrebbe eventualmente farlo in un momento successivo. Senonché, è da dubitare che anche questo sia sufficiente, dopo tutto, a soddisfare la Germania.

Il Belgio si starebbe quindi orientando verso la soluzione seguente:

l) Un patto regionale di non aggressione a cui partecipassero i tre grandi vicini del Belgio. Questo patto coprirebbe la sola parte, per dir così, negativa -(rispetto della integrità territoriale) -del nuovo statuto belga.

2) Una serie di patti, oppure soltanto di accordi, e magari di semplici dichiarazioni bilaterali fra il Belgio e ciascuno dei suoi vicini stipulanti invece -positivamente -l'assistenza al Belgio in caso di aggressione.

Una siffatta sistemazione, mentre da una parte farebbe cadere, assorbendola, l'attuale dichiarazione franco-britannica 3 , permetterebbe al Belgio, nei suoi rapporti diretti con la Germania, di accettare quelle riserve che la Germania volesse ancora fare sia nei riguardi della cosidetta contropartita, sia soprattutto nei riguardi dell'art. 16.

Alle mie obiezioni che difficilmente Francia e Inghilterra permetterebbero al Belgio di accettare delle riserve -di tanta portata -sull'art. 16, il ministro Davignon mi ha assicurato che Eden si sarebbe a Bruxelles dichiarato invece favorevole ad una sistemazione del genere. Si sarebbe, al contrario, opposto a fare dello statuto belga una specie di primo capitolo, per dir così, di una seconda Locarno (anche perché, fra l'altro, un patto generale finirebbe col dover includere anche l'Olanda, nei cui riguardi l'Inghilterra non intenderebbe assumere obbligazione alcuna). Che anzi, Eden avrebbe, nelle conversazioni di Bruxelles, accennato

l Vedi p. 689, nota l. 2 Vedi D. 516. 3 Vedi p. 635, nota 3.

alla possibilità di risolvere -con una serie di patti di non aggressione -anche la questione della sicurezza francese, in questa maniera rendendo addirittura inutile una nuova Locarno (e -aggiungo io -tagliando completamente fuori l'Italia). Senonché, alle osservazioni di van Zeeland nel senso che ciò avrebbe complicato troppo ed indubbiamente per lo meno ritardato la soluzione della questione belga, Eden avrebbe finito col dichiararsi favorevole all'enucleazione di quest'ultima questione nelle forme e secondo le linee sopra accennate.

Richiesto da me quale parte, secondo la concezione belga, fosse in tutto questo riservata all'Italia, il Davignon mi ha risposto che l'Italia non ne avrebbe alcuna nel patto regionale di non aggressione (anche perché sarebbe un fare ingiuria all'Italia di supporla un aggressore potenziale del Belgio ... ) ma potrebbe viceversa averne una partecipando alla serie di garanzie bilaterali di assistenza a favore del Belgio.

(Prego tener presente che le informazioni di cui sopra sono strettamente confidenziali, il Davignon avendomele date a titolo esclusivamente personale e senza alcuna autorizzazione del proprio governo).

Come V.E. vede, l'impostazione del problema da parte belga, per quanto comprensibile, è tale da rendere piuttosto difficile e delicata la situazione nostra. Io mi sono limitato in proposito col Davignon a qualche semplice accenno indiretto, sottolineando soprattutto che l'interesse dell'Italia nella questione belga era anche, se non soprattutto, in funzione dell'interesse suo ad un patto generale che assicurasse la tranquillità e la pace di tutto l'Occidente dell'Europa.

Non ho poi mancato di avvertire tempestivamente von Neurath del colloquio che oggi il Davignon si apprestava ad avere con Mackensen, in maniera che questi non fosse preso alla sprovvista.

578

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2265/719. Berlino, 11 maggio 1937 (per. il 13).

Invio qui uniti all'E.V., nella loro traduzione italiana, i discorsi scambiati fra sir Nevile Henderson ed il Fiihrer1 nell'occasione della presentazione, oggi avvenuta, delle Lettere Credenziali del nuovo ambasciatore di Gran Bretagna.

Ho appena bisogno di far rilevare all'E.V. il tono particolarmente caldo della allocuzione del rappresentante inglese e della conseguente risposta del Fiihrer 2• Un simile linguaggio mi sembra rivelare un preciso intendimento da parte inglese a migliorare i propri rapporti con la Germania 3 .

I Non pubblicati.

2 Nel testo dei due discorsi vi è la sottolineatura di Mussolini dove entrambi richiamano l'origine comune dei popoli tedesco e britannico.

3 Il documento ha il visto di Mussolini. Si veda sull'argomento anche il D. 590.

579

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1266/589. Salamanca, 11 maggio 1937 (per. il 14).

Telegramma di V.E. n. 379 1•

Ho parlato lungamente con Nicolas Franco intorno alla situazione creatasi in seguito alla fusione dei partiti e circa l'opportunità di varare sollecitamente la Carta del Lavoro.

Per la situazione interna egli si mostra molto ottimista. Mi ha detto che si hanno le prove che Hedilla all'atto dell'arresto era in relazione col nemico (Indalecio Prieto); che ciò nonostante egli non sarebbe stato fucilato «per non fare un martire di una nullità» ed ha soggiunto che al momento dell'arresto l'Hedilla aveva dato prova con i suoi compagni di grande viltà, lasciandosi schiaffeggiare e disarmare da una sola guardia civile.

Circa la Carta del Lavoro, egli pur dichiarandomi di comprendere completamente la giustezza del consiglio, si è mantenuto sulle generali, dicendomi che essa era allo studio e che, data l'importanza del provvedimento, occorreva preparare l'opinione pubblica. Pertanto mi ha fatto presente la probabilità che, prima della promulgazione, il Generalissimo faccia delle dichiarazioni a mezzo stampa a scopo esplicativo.

A seguito di questo colloquio, il giorno 8 maggio il giornale di Salamanca El Adelanto ha pubblicato un articolo di evidente ispirazione superiore dal titolo «Carta de Roma», che accludo e nel quale si fissano alcuni concetti della nostra Carta del Lavoro.

Successivamente, il giorno 9 la stampa ha riprodotto un manifesto del Segretario del partito, nel quale, a nome di Franco, Capo del Partito stesso si dichiara fra l'altro: «dobbiamo raggiungere la trasformazione economica della società spagnola attraverso una organizzazione corporativa; con l'instaurazione del sindacalismo nazionale».

Ritengo che, per quanto di limitatissima ampiezza, questa dichiarazione fatta a nome del Generalissimo sia quella alla quale alludeva Nicolas Franco.

A quanto mi si riferisce, dello studio della Carta del Lavoro si occupa attivamente Ram6n Serrano Suiì.er, cognato di Franco, ex deputato alle Cortes, uomo di molta intelligenza e prestigio, riuscito a fuggire da Madrid lo scorso marzo e che per le sue idee di «cedista» va ad aumentare lo stuolo dei reazionari che circondano il Generale e che in parte influiscono sulle sue decisioni.

Giménez Caballero che, come è noto all'E.V., fa parte del Direttorio del nuovo partito, appare profondamente sfiduciato circa l'indirizzo della politica interna. Egli mi ha detto fra l'altro che il Serrano Sufier tende a defascistizzare completamente la Falange.

Il Direttorio, nel quale la vecchia Falange non è rappresentata che da elementi secondari, essendone in prigione le due principali figure (anche esse del resto di scarso rilievo), non si occupa, a quanto riferisce il Caballero, che di questioni di dettaglio; ciò sia per mancanza di preparazione politica dei componenti di esso, sia perché vi è forte conflitto di tendenze. È da notare però che negli ultimi tempi il governo ha preso

l Vedi D. 551.

qualche provvedimento a beneficio delle classi meno abbienti e delle famiglie dei mobilitati. Accludo un ritaglio stampa che sintetizza in dieci punti questa opera sociale.

Di tali punti, il primo corrisponde in parte a verità, in quanto che il popolo spagnolo sembra non risentire eccessivamente dei disagi prodotti dalla guerra civile; ciò è però dovuto, a mio giudizio, in massima parte allo spirito di adattamento che è una delle migliori doti di questa gente.

Il punto secondo è molto vago; a tale proposito può dirsi che le necessità conseguenti allo stato di guerra hanno fatto sì che, come è logico, siano abolite di fatto tutte le garanzie personali dei privati cittadini.

I punti 3, 9 e l O rappresentano effettive realizzazioni in campo sociale; la portata di essi è però molto limitata. Dai provvedimenti esposti hei punti 4 e 8 le classi meno abbienti hanno tratto un effettivo beneficio.

Le provvidenze segnate nei punti 6 e 7 non esistono che sulla carta; solo qualche cosa in questo senso è stata fatta in Andalusia su iniziativa personale di Queipo del Llano.

A circa un mese dalla unificazione dei partiti, si comincia ad avere la sensazione che Franco abbia accettato di addivenire a questo passo allo scopo soprattutto di non aver fastidi e di potere dedicarsi interamente al proseguimento della guerra; cosa comprensibile dato che, come generale, è naturalmente portato a sopravalutare i fenomeni militari nei confronti di quelli sociali.

È questa l'interpretazione che l'opinione pubblica dà generalmente al provvedimento. Di conseguenza l'elemento reazionario lo considera come un proprio trionfo, mentre che le classi popolari sono oggi molto diffidenti e, in parte, evidentemente sfiduciate e scontente.

Per il momento, però, i successi militari e il fatto che Franco ha con sé la forza, fanno escludere, a mio giudizio, la possibilità che questo malcontento possa portare a gravi perturbazioni dell'ordine pubblico 1 .

580

PADRE TACCHI VENTURI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE. Roma, 11 maggio 1937.

Martedì, 4 di questo mese, mi onorai di fare di presenza a Sua Santità la commissione da V.E. affidatami la sera del sabato precedente. Il Santo Padre, dopo averla ottimamente accolta, si degnò assicurarmi che subito avrebbe fatto seguire il saggio suggerimento di V.E. La notizia che L 'Osservatore Romano pubblicava ieri sera2 ci dimostra che quanto Ella sapientemente proponeva fu fatto ed ebbe esito felice da parte del Franco. Faccia Iddio che ne abbia una simile sugli altri.

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

2 L'Osservatore Romano dell'Il maggio aveva pubblicato il proclama lanciato da Franco ai Baschi nel quale si prometteva il rispetto della vita e della libertà ai combattenti che avessero deposto le armi, mentre davanti ai tribunali sarebbero stati portati i responsabili di crimini.

581

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3265/022 R. Belgrado, 12 maggio 1937 (per. il 14).

Da fonte bene informata mi risulterebbe che la questione croata starebbe per entrare in fase critica. Macek, che è stato ricevuto nei giorni scorsi dal Principe Reggente avrebbe dichiarato di non poter rinunziare alle sue note posizioni: riforma costituzionale e delimitazione delle frontiere amministrative della Croazia fino al Sirmio, ad una cinquantina di chilometri da Belgrado, a Baranja ed alla Baska settentrionale.

Macek avrebbe detto che una qualsiasi rinunzia a tali aspirazioni equivarrebbe alla perdita di ogni sua influenza, già scossa, in seno al partito. Avrebbe aggiunto: «Io non sono Radi c che poteva permettersi delle conversioni di 90 gradi nelle 23 ore».

Effettivamente -e questo è il parere di Stanojevic, professore universitario e persona di fiducia di Stojadinovic, che lo vorrebbe alla direzione del Vreme -la questione croata è entrata in fase critica, soprattutto perché i croati stanno dimostrando di non saper tenere i nervi a posto. Ne è un esempio quanto è avvenuto a Senja il 9 corr., ove una colonna di contadini, imprecante alla Serbia ed a Stojadinovic, si è azzuffata con i gendarmi, che hanno sparato, lasciando sul terreno sei morti e cinque feriti gravi. Il governo sembra, infatti, ormai deciso ad agire con la forza. Stojadinovic, che aveva rinunziato finora -pur con grave scapito della sua situazione personale -ad assicurare il comando nelle mani esclusive dei serbi in favore degli sloveni di Korosec, dei musulmani di Spaho e dei croati, sarebbe ormai, propenso, dopo l'esperimento non fortunato, a tornare ai suoi serbi.

582

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 3276/023 R. Belgrado, 12 maggio 1937 (per. il 14).

Stojadinovic, che è stato informato della benevola accoglienza e delle dichiarazioni da V.E. fatte al ministro di Jugoslavia a Tirana durante la recente Sua visita in Albania, mi ha pregato di comunicare all'E.V. i suoi ringraziamenti e di esprimerle tutto il suo apprezzamento per quanto è stato fatto in occasione della visita stessa, in corrispondenza collo spirito di quella leale e reciproca comprensione che si è manifestata durante le giornate di Belgrado, di cui il presidente ha il più vivo ricordo.

583

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 3923/416. Atene, 12 maggio 1937 (per. i/17).

Ho avuto in questi giorni occasione di riparlare col presidente Metaxas e col sottosegretario agli Esteri Mavrudis dell'eccesso di zelo filobritannico della stampa ellenica, sia a proposito del noto discorso del ministro in Atene, Waterlow 1 , sia a proposito delle dichiarazioni di Eden alla Camera dei Comuni 2 .

Metaxas non ha potuto, né negare che alcuni giornali hanno forzato il tono, né disconoscere che l'accento protettore del signor Waterlow non era fatto per lusingare il sentimento nazionale ellenico. Tuttavia, rispondendo alla mia osservazione che queste manifestazioni avrebbero potuto avere ripercussioni non gradite fuori dalla Grecia, dove era risaputo che il suo governo esercitava sulla stampa un severo controllo, egli si è giustificato col dirmi che aveva creduto di servirsi delle recenti riaffermazioni di amicizia britannica per speciali ragioni di politica interna. A suo dire, gli oppositori cercherebbero di far apparire il governo inglese come ostile al nuovo regime ellenico per ragioni ideologiche. Essi troverebbero inoltre pregiudizievole per la Grecia l'attuale suo orientamento commerciale verso la Germania quasi che Metaxas avesse una preferenza verso di essa a causa dei suoi precedenti tedescofili. A smentire queste critiche, egli aveva ritenuto opportuno valorizzare all'interno le dichiarazioni di amicizia rinnovate dall'Inghilterra.

Il sottosegretario Mavrudis mi ha ripetuto su per giù le stesse dichiarazioni, ma ha aggiunto qualche rilievo che può essere interessante riferire:

Avendogli io accennato «a voci» che mi erano pervenute di «richiami» britannici per la politica filo-fascista e filo-nazista di Metaxas 3 egli le ha smentite nella maniera la più recisa.

Quanto alle dichiarazioni del governo inglese, mi ha fatto osservare che esse si erano avute in due tempi. Prima vi era stata una risposta del sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri ad un deputato laburista, che aveva chiesto al governo se fossero note a Londra le speciali misure politiche di rigore del nuovo regime ellenico, nella quale era stato affermato che, secondo il parere espresso dal ministro britannico ad Atene, tali misure risultavano giustificate dalla situazione. Poi, alcuni giorni dopo, le dichiarazioni di Eden con la nota riaffermazione dell'amicizia britannica per la Grecia. Il signor Mavrudis ha, anche lui, aggiunto che tali manifestazioni avevano un particolare significato all'interno contro l'opposizione che

I Il 9 aprile, il ministro Waterlow aveva affemato, parlando ad un gruppo di ingegneri britannici impegnato in Grecia nella realizzazione di opere pubbliche, che chi lavorava per la Grecia lavorava anche per la Gran Bretagna e chi contribuiva «al rafforzamento della Grecia, alla sua prosperità ed al rafforzamento della sua indipendenza serviva contemporaneamente gli interessi britannici». La stampa greca aveva dato molto risalto al discorso.

2 Vedi p. 688, nota 2.

3 Vedi DD. 295 e 360.

tendeva a mostrare l'attuale regime in conflitto con il governo inglese, sia per la sua gravitazione ideologica verso l'Italia, sia per il suo orientamento economico verso la Germania. Si sarebbe quindi ritenuto opportuno di mettere in valore le dichiarazioni britanniche più per obbiettivi di politica interna che per ragioni di politica o di manovra internazionali.

A mio avviso, tanto le dichiarazioni del Presidente Metaxas quanto le spiegazioni di Mavrudis sono sincere ma non complete. Per meglio dire, esse contengono solo una parte della verità. È bensì vero infatti che l'opposizione ha fatto circolare negli ambienti politici della capitale le critiche alle quali hanno accennato i miei due interlocutori, ed è anche vero che questo ministro d'Inghilterra ha protestato per le ordinazioni assai considerevoli di materiale da guerra e rotabile, fatte all'industria tedesca; ma tutto ciò non mi pare che basti a giustificare questa nuova gravitazione della Grecia verso l'Inghilterra, gravitazione che si è manifestata anche in questi ultimissimi giorni col grande rilievo dato dal governo e dalla stampa alle feste dell'incoronazione dei Sovrani britannici.

Le ragioni essenziali (alle quali, né Metaxas, né Mavrudis hanno accennato) del recente atteggiamento del Governo greco, che sembra porre ogni studio ed ogni cura a non dispiacere all'Inghilterra, sono, a mio avviso, le seguenti:

Gli ultimi avvenimenti diplomatici nella Penisola balcanica hanno -nel pensiero dei governanti ellenici -reso la situazione della Grecia eccessivamente delicata. Essi sentono che non solo i bulgari ma neanche i propri alleati jugoslavi hanno definitivamente rinunciato alle loro aspirazioni verso l'Egeo; aspirazioni che, se rappresentavano un pericolo reale ma lontano alcuni mesi or sono, oggi appaiono, se non vicine, certo meno remote dalle possibilità politiche. Fino a quando Bulgaria e Jugoslavia erano separate ed in contrasto, la Grecia poteva abilmente manovrare e sfruttare il contrasto. Oggi essa deve porsi il problema se ha la forza di resistere ad un blocco di quasi venti milioni di slavi che si sono dati mutua assicurazione di amicizia perpetua. E teme di non poterlo fare da sola. Finora la Grecia aveva guardato all'Italia come alla sola grande Potenza che, per interessi propri, era capace di frenare definitivamente l'ambizione jugoslava. La Jugoslavia è ormai amica dell'Italia; anche se questa non l'incoraggia, anche se non _l'aiuterà in una sua eventuale spinta verso Salonicco, ne ha già automaticamente moltiplicato la forza, togliendole ogni preoccupazione in Adriatico. È vero che la Grecia spera di poter contare sulle rivalità delle grandi Potenze e pensa che questa rivalità potrà forse servire a frenare le ambizioni e la marcia degli slavi del Sud, ma essa sa anche, dopo la triste esperienza microasiatica, che, in ultima analisi, sono i piccoli e i deboli che pagano per i forti e per i grandi.

L'accordo italo-britannico del gennaio scorso fu accolto in Grecia come forse in alcun altro Paese, con effettiva e reale soddisfazione. Parve, con esso, allontanato il pericolo di un conflitto che avrebbe potuto fare della Grecia qualcosa come un «Belgio marittimo» e cioè un campo aperto per le battaglie altrui.

Questo popolo di mercanti, vedendo l'orizzonte rischiararsi nel Mediterraneo pensò, dopo l'accordo, che, ormai esso avrebbe potuto nuovamente e liberamente trafficare con l'Italia e con l'Inghilterra e guadagnare da entrambi le parti. In questi ultimi tempi però l'accordo ha dato suoni non sempre intonati. La Grecia teme quindi di doversi nuovamente trovare nella, per lei, non facile necessità di dover riconsiderare tutta la sua politica verso l'Italia e far sì di non scontentare con essa l'Inghilterra.

Ho creduto opportuno ripetere -troppo estesamente, forse -queste considerazioni già accennate nelle altre mie recentissime comunicazioni, perché mi pare che esse rispecchiano fedelmente la situazione attuale della Grecia e possono servire a far comprendere lo stato d'animo e le disposizioni di questo Governo. Le note false che ha dato in queste ultime settimane l'accordo mediterraneo hanno avuto qui grande ripercussione. Non mi pare pertanto che la Grecia -nonostante le simpatie personali di Metaxas-sia ora capace di prendere alcuna iniziativa politica che possa in qualche maniera alienarle la simpatia dell'Inghilterra. Essa spera tuttavia-Mavrudis me lo ha esplicitamente detto a due riprese -che i rapporti fra i due suoi grandi vicini torneranno presto ad essere normali e forse anche cordiali. Gli è perciò che allo stato attuale delle cose non posso che condividere l'opinione di Vostra Eccellenza (Suo telegramma n. 68) 1 che cioè se alcunché di sostanziale dovrà essere fatto con la Grecia esso dovrà essere sincronizzato con gli altri nostri accordi mediterranei ed adriaticF.

584

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 3243/437 R. Salamanca, l 3 maggio 1937, ore l ,50 (per. ore 10).

Telegramma di V.E. 385 3 .

Generalissimo mi ha intrattenuto oggi su questione della resa Bilbao; mi ha detto di 'essere già al corrente delle esortazioni che Santa Sede ha fatto giungere ad Aguirre4 .

Circa possibilità di un concreto e sollecito esito delle trattative, Franco permane scettico: a suo avviso Aguirre è oggi completamente sottoposto al volere dei rossi e anche se animato dalle migliori disposizioni per trattare la resa, non ha più la possibilità di farla accettare. Generalissimo conserva tuttavia speranza che le trattative possano essere riprese e concluse quando le truppe nazionali saranno giunte alle porte di Bilbao.

I Vedi D. 512. 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 3 Vedi D. 569. 4 Vedi DD. 569 e 580.

585

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3262/148 R. Pechino, 13 maggio 1937, ore 13 (per. ore 6 del 14).

Maresciallo Chiang Kai-shek, benché ancora sofferente e in congedo di convalescenza, mi ha accolto ieri qui a Shangai.

Dapprima ho avuto una lunga conversazione da solo con la Signora, la quale ha soprattutto insistito sulla importanza che si attribuisce alla presenza in Cina della nostra missione aeronautica. Essa mi ha detto testualmente: «Sono molto soddisfatta dell'opera del generale Scaroni. Egli ha attraversato dei momenti difficili all'inizio della sua missione ma li ha superati brillantemente e il generale è una persona capace, energica e leale a horn fighter, ha il coraggio di dire a tutti la verità e con queste sue qualità e la sua onestà si è imposto a cinesi ed a stranieri i quali riconoscono la sua indipendenza e l'accettano per capo con grande giovamento per noi. Egli gode di tutta la mia fiducia ed a lui affido in piena libertà il lavoro per la creazione e sviluppo di una più forte aviazione. Vi prego perciò di comunicare quanto precede a S.E. Mussolini, chiedendo a mio nome che il generale sia lasciato qui anche senza congedo per almeno due anni ancora».

Questo periodo corrisponde a quello indicato dal generale Scaroni per l'armata aerea giapponese, corrispettivo al tempo previsto secondo le sue informazioni confidenziali per la realizzazione del progetto armata aerea cinese (vedi rapporto Scaroni n. 36) 1•

Dopo il thé, Generalissimo si è trattenuto per breve tempo: egli mi è apparso assai malandato in salute. Generalissimo ha voluto ancora rinnovarmi espressione sua ammirazione per S.E. il Capo del governo e sua gratitudine per l'invio delle tre missioni nostri consiglieri, cui lavoro è considerato soddisfacente, aggiungendo che sperava potermi considerare Consigliere diplomatico. Ha ripetuto varie volte di informare V.E. che mi aveva richiesto parecchie volte sue notizie e che inviava a

V.E. il suo cordiale memore saluto. Sui rapporti tra i due Paesi e sulla politica generale ambedue si sono espressi in termini amichevoli ma generici.

Rimasti nuovamente soli, la Signora mi ha detto di voler aggiungere alcune parole in via confidenziale: aver sentito dire che il mio predecessore si sarebbe lamentato di non essere stato ricevuto dal Generalissimo quando varie volte ne aveva fatto richiesta, mentre tali richieste non sarebbero mai pervenute, né a lui, né a lei. Ambedue essere assai spiacenti malinteso da attribuire negligenza qualche funzionario. Allo scopo di evitare ripetersi simili inconvenienti, mi pregava di rivolgermi per iscritto direttamente a lei per ogni comunicazione o visita, aggiungendo che sperava vedermi spesso.

I Non rintracciato.

586

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CAV ALLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 3260/46 R. San Sebastiano, 13 maggio 1937, ore 19,30 (per. ore 7 dell'Il). Mio telegramma n. 44 dell' 11 corr. 1•

Onaindìa che ha avuto ieri 3 ore colloquio con Aguirre mi riassume consideranda in appunti che trasmetto in traduzione conservando manoscritto: «Presidente Euzkadi

l) ringrazia dell'interesse che Italia mostra per popolo basco; 2) felicita come buon politico chi ha visto problema basco nel quadro del problema spagnolo;

3) non può aver conversazioni su «rendicion»;

4) afferma con ottimismo che conta su suo popolo e forse su qualche cosa di più; 5) riceverebbe console d'Italia con tutta attenzione personale che merita». Ho cercato ottenere chiarimenti specie sul punto 3, domandando se trattavasi questione parole o di sostanza.

Onaindìa si è schermito mostrando non essere autorizzato a chiarimento e insistendo su utilità mio abboccamento con Aguirre. Questi invierebbe aeroplano particolare Tolosa di Francia, manterrà viaggio segreto anche di fronte suoi ministri rossi. Ciò fa prevedere trattative si svolgerebbero alle spalle delle sinistre. Quanto all'invio telegramma a S.E. il Capo del governo, Aguirre ha detto che andrebbe studiato.

Ho detto a Onaindìa che avrei telegrafato testo suoi appunti, riservandomi risposta circa autorizzazione mio viaggio Bilbao non senza nascondergli che punto 3 sembravami poter arrestare ogni trattativa. Gli ho aggiunto che per preparare eventualità intervento italiano sarebbe necessario in ogni caso moderare fin da ora tono stampa basca nei nostri riguardi (vedi mio 926 del 6 corrente)2 . Egli mi assicurò che avrebbe telegraficamente provveduto.

587

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 879/431. /stanbul, 13 maggio 1937 (per. il 20).

Dopo il mio ritorno da Roma ho avuto già tre colloqui con Aras. Il 5 ed il 7 corrente ad Ankara. Il terzo ieri qui ad Istanbul dove lo rivedrò domani l'altro.

I Vedi D. 574. 2 Non rintracciato.

Mentre mi riservo riferire in dettaglio quanto può avere diretta attinenza con gli scopi che l'E.V. mi ha assegnato, compito al quale mi sono dato con ogni lena ma che richiede accorta delicatezza e non può essere (anche se tutti gli ostacoli si superino) che di lenta maturazione, riferisco, per approfittare del corriere odierno, il contenuto più essenziale di detti colloqui:

l) Aras mi precisa nuovamente le direttive fondamentali della Turchia nella alleanza con i Soviet, nella Intesa Balcanica, nella amicizia con noi, nella piena cordialità con l'Inghilterra. Per la pace effettiva della Turchia, sia nel Mar Nero che nel Mediterraneo Orientale, egli si sforza perché i rapporti anglo-sovietici siano i migliori possibili, perché il gentlemen 's agreement sia vitale.

Credo alla sincerità di questa sua asserzione basilare perché corrisponde ai reali odierni interessi della Turchia.

2) È lieto che la atmosfera con la Francia si sia schiarita. Egli si è adoperato negli ultimi tempi (così mi ha detto ieri) per facilitare la composizione della controversia per il Sangiaccato affinché non si dicesse che essa era ragione di inquietudini in Oriente, e perché non si attribuisse a risentimento la attitudine generale che la Turchia vuole mantenere immutata negli altri problemi dove la Francia richiese il concorso turco. La politica turca, afferma Aras, nel suo aspetto generale, non si modifica anche se il conflitto per il Sangiaccato sarà composto. La Turchia ha ormai fissato la politica balcanica d'accordo con i suoi alleati balcanici, essa si appoggia sull'Italia e vuole il consenso inglese. Nessuno stato della Intesa Balcanica vuole entrare in un blocco che abbia aspetto antigermanico. In altri momenti forse la Turchia avrebbe voluto entrare in un patto generale di garanzia, oggi non può più. Il convegno di Milano ha servito a dare una precisa linea alla politica turca.

Ne deduco, anche a conferma di ipotesi già avanzata, che vi sono state pressioni per accelerare la composizione del conflitto con la Francia e tengo ben presente che la attitudine generale turca rispetto alla politica europea francese con le sue note caratteristiche non sarà, almeno per ora, mutata.

3) La politica balcanica deve perciò svolgersi in pieno accordo con l'Italia, come ciò è fortunatamente adesso e dovrà ancora più in seguito. Tale sviluppo sarà tanto più facile quanto più il gentlemen 's agreement avrà efficace vitalità. Lo sforzo maggiore che egli si propone fare a Ginevra è proprio su Eden per persuaderlo che il miglioramento dei rapporti italo-balcanici ed in particolare di quelli italo-turchi, rafforza la pacificazione italo-inglese nel Mediterraneo.

È perciò evidente che debbono essersi prodotti i moniti inglesi contro nuovi passi concreti sulla via del riavvicinamento italo-turco, ed in arresto della azione turca per ulteriori legami politici italo-balcanici, che per segni recentemente verificatisi Aras sembrava volenteroso di voler propugnare. Ciò del resto l'E.V. già sa da altra fonte.

E poiché egli mi ha chiesto il significato del richiamo dei giornalisti italiani da Londra1 , del divieto di introduzione di giornali inglesi in Italia2 , della nostra astensione alle cerimonie dell'incoronazione (egli al mattino aveva notato la mia

I Vedi D. 560. 2 Vedi D. 567.

assenza alla ambasciata di Inghilterra, mentre per contrario la Agenzia Anatolica ha comunicato la presenza di S.E. Grandi alle cerimonie di Londra) e se ne mostrava preoccupato, gli ho detto fra l'altro:

a) che a priori non dubitavo della sincerità del governo inglese nel firmare il gentlemen 's agreement. Però era evidente che si agitavano in Inghilterra fortissime correnti di opinione pubblica non davvero rassegnate al fatto compiuto in Etiopia. Esse non cessavano dal condurre una campagna oltraggiosa contro di noi, cogliendo ora, a spunto, ogni possibile menzogna anche sulla azione dei volontari italiani in !spagna. Se la bugia aveva libertà di circolazione in Inghilterra, non poteva averla da noi. Ma però anche sulla sincerità di governo avevo diritto di dubitare, richiamandomi alla insolente ed offensiva risposta data da Cranborne alla interpellanza sul supposto massacro di Addis Abeba dopo l'attentato contro Graziani.

b) quanto alla astensione dalle cerimonie per la incoronazione di Re Giorgio VI, anzitutto non sapevo se la presenza di Grandi a Londra fosse esatta, in ogni caso era chiaro che, dopo l'invito fatto ad un nero qualunque e dopo la astensione inglese dalle cerimonie nostre per la celebrazione del primo anno dell'Impero, la nostra partecipazione alle cerimonie inglesi o non doveva esservi o doveva essere ridotta al minimo. Gli ho fatto d'altronde osservare che il telegramma della agenzia turca diceva che S.E. Grandi era «solo».

4) Egli mi ha allora fatto osservare che la Turchia non voleva con la sua attitudine rafforzare nessuna delle due parti in urto, ma contribuire con imparzialità e con tutti i suoi mezzi alla distensione dei rapporti itala-britannici.

Gli ho replicato che la scarsa buona volontà di addivenire ad un reale chiarimento della situazione era soltanto inglese (sul che mi ha poi dato ragione aggiungendo che Vostra Eccellenza aveva dato formale dichiarazione a codesto ambasciatore di Turchia di volere raggiungere con Londra una sicura armonia ed una identità di vedute). Se così era, mi sembrava che la imparzialità era enunciato teorico. La politica turca credendo essere imparziale sosteneva sia pure involontariamente l'atteggiamento inglese offrendogli la illusione che la Turchia continuava in quella via che essa aveva iniziato durante il conflitto abissino sotto pretesto di appoggio alla politica sanzionistica. Il che egli ha negato risolutamente affermando che dopo il convegno di Milano l'Inghilterra non poteva nutrire alcuna illusione di appoggio turco se essa avesse creduto mai fare sboccare l'urto con l'Italia a situazioni più tese e forse addirittura belliche.

5) Con allusione agli attacchi di stampa (e forse richiami politici) dell'U.R.S.S. e poi anche della Francia ha affermato che un ulteriore incremento formale dei rapporti italo-turchi era delicato poiché oggi Italia significava asse Roma-Berlino. Ora se egli non voleva nulla fare contro la Germania, non voleva neanche dare la più lontana impressione di appoggiare la politica germanica. Perciò doveva agire con ogni prudenza. Tale affermazione conferma le segnalazioni da me fatte a V.E. circa la tensione turco-sovietica (indicata a V.E. anche da S.E. Rosso) e gli attacchi violenti ed insolenti della stampa francese. Aras vuole avere tempo per spiegarsi con Mosca, e perché la inquietudine francese comunque si plachi.

6) Infine, Aras mi ha fatto ieri una ampia e complessa esposizione del programma che egli si propone svolgere a Ginevra. Dice averlo esposto all'ambasciatore di Francia ed a quello di Inghilterra i quali lo avrebbero approvato incoraggiandolo appunto ad agire in tale direzione.

Egli afferma: la sicurezza collettiva è un enunciato. In realtà essa è risultato di sicurezze regionali. Vi sono tre problemi da risolvere non lo possono isolatamente e successivamente, ma congiuntamente e parallelamente: lo dare alla Francia la sicurezza delle sue frontiere, placare cioè il conflitto franco-germanico; 2° tenere conto delle esigenze germaniche che non possono essere trascurate ma soddisfatte e toglierle l'impressione dell'accerchiamento, come non dare ai Soviet la sensazione dell'allontanamento dalla scena europea; 3° dare la sicurezza all'Italia nel Mediterraneo affinché essa possa con ogni tranquillità mettere in valore l'Africa Orientale.

Sussistono le basi degli assetti necessari all'Europa: Locarno, gli accordi di Roma, il patto franco-russo, il gentlemen 's agreement. Lo sviluppo di questi quattro principi, la loro compenetrazione, il loro funzionamento reciproco può garantire per un tempo lungamente revedibile 1 la pace europea.

Per addivenire a questo sviluppo occorre preliminarmente togliere gli inciampi che oggi vi si frappongono e sono due: la questione del riconoscimento dell'Impero italiano, la questione spagnola. Occorre dare all'Italia la certezza che nulla più si oppone neanche formalmente alla sua conquista; per la Spagna occorre che rispetto alla Germania ed Italia ma specialmente l'Italia, tutti siano solidali nell'opporsi ad una repubblica sovietica nel Mediterraneo, ma anche tutti solidali nell'opporsi ad una prevalenza politica tedesca od italiana in !spagna nei rispetti anglo-francesi.

Gli ho principalmente osservato che il suo programma pur avendo basi reali, mi pareva di sviluppo eccessivamente teorico e concettuale. Anzitutto a Ginevra non era possibile affrontare e risolvere alcun problema (allora «senza Ginevra» mi ha esclamato e gli ho osservato, sarà forse meno difficile) poi perché troppi interessi si opponevano ad una pacificazione onesta quale egli si proponeva, etc., etc. Cominciasse l'Inghilterra a dare prova della sua decisa buona volontà di raggiungere così precisi chiari obiettivi di pace. L'Italia fascista ed il Duce non cessavano di proclamarlo, ma la eco era fioca.

Quanto alla chiusura ginevrina della questione dell'Impero non avevamo nessuna ragione di suggerire quello che era da fare. Si trattava di interesse prettamente societario, non nostro. Ginevra, del resto, mi pareva sempre più matrice di effettive alleanze pericolose, stesse attenta la Turchia a non !asciarvisi trascinare per scopi non suo1.

7) Siamo tornati in fine all'argomento italiano. Ed Aras mi ha concluso con questa formulazione dei rapporti italo-turco-balcanici: la pace italo-turca e la italo-balcanica erano ferme e solide. Occorreva impedire venissero elementi esterni a disturbarle.

«È anche il mio pensiero, gli ho detto congedandomi, e forse vi dirò meglio un giorno come tale obiettivo credo possa essere raggiunto».

Dopo il colloquio che avrò il 15 corrente, potrò fare il punto sul tema che è stato per me il filo conduttore di tutti i discorsi. Lo scriverò all'E.V. quando Aras sarà partito per Ginevra (via Costanza) e dopo che nel frattempo, come i telegrammi

1 Sic.

stampa fanno credere, l'E.V. avrà pronunciato il discorso politico del quale mi tenne parola costà e sarà noto il testo delle frasi per la Turchia, che V.E. si propone inserirvi. Ciò ad ogni buon fine utile, ho creduto genericamente preannunciare ad Aras, a simiglianza di quanto egli ha fatto nelle recenti analoghe circostanze.

588

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 1280/592. Salamanca, 13 maggio 1937 (per. il 17).

Trattative con i baschi.

Con riferimento ai telegrammi inviati a codesto Regio Ministero dal Regio Console in San Sebastiano concernenti l'oggetto a margine indicato, ho l'onore di trasmettere all'E.V. l'acclusa copia di un rapporto segreto pervenutomi dal predetto console nonché copia di una nota diretta dal generale Mola al signor Jorn, agente di collegamento col governo di Aguirre, il tutto riguardante lo stesso argomento.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA V ALLETTI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. POSTA SEGRETO 974. San Sebastiano. 12 maggio 1937.

Riferisco dettagliatamente alla E.V. su quanto ho telegrafato con i miei 958 e 960 1 .

Lunedì 10 corrente ho potuto prendere contatto per il tramite di un giornalista basco nazionale di mia completa fiducia col signor Francesco Jorn noto finanziere di Bilbao che, per risiedere stabilmente a S. Jean de Luz è stato l'agente di legame col governo di Aguirre per tutte le trattative che nei tempi passati si sono svolte.

Ho detto a Jorn quanto la E.V. mi ha comunicato coi suoi telespressi 875 del 12 aprile e 1135 del 30 s.m. 2 e, cioè che il governo italiano sarebbe in massima favorevole a offrire la sua garanzia per la resa di Bilbao. Tale eventualità incontra difficoltà per il fatto che il generale Franco considera superflua una garanzia straniera. Sarebbe pertanto anzitutto necessario che il governo basco si rivolgesse al Regio Governo sollecitandone l'intervento.

Jorn ha mostrato il massimo interesse. Mi ha detto che il generale Mola in data 2 maggio gli aveva fatto pervenire una nota (di cui allego copia) in cui si ripetono le promesse di rispettare le vite ed i beni, ma che non si era potuto prendere tale lèttera in seria considerazione appunto per la mancanza di qualsiasi pratica garanzia. L'intervento italiano avrebbe potuto ovviare tale difficoltà.

Jorn ha detto di essere personalmente favorevole all'intervento italiano ma di non avere nessuna autorità per potere influire sul governo; egli mi ha invitato pertanto a prendere

l Si tratta presumibilmente dei due telegrammi inviati al ministero con i nn. 43 e 44 (vedi D. 574). 2 Non rintracciati.

contatto a S. Jean de Luz con il canonico Alberto Onaindìa e a Biarritz con Andrea lrujo i quali si trovavano in quel giorno in Francia per l'arrivo dei piroscafi dei fuggitivi di Bilbao.

Alberto Onaindìa (vedi anche mio telegramma 960) è un intelligente prete il quale ha studiato per 4 anni all'Università Gregoriana di Roma, parla italiano e non ignora i rapporti fra il fascismo e la Chiesa cattolica. Egli è intimo ed influente amico di Aguirre.

Ho rìpetuto ad Onaindìa quanto ho sopra esposto. Il canonico anch'egli ha dimostrato di accogliere con grande e favorevole interesse l'eventualità di una garanzia italiana. Egli ha fatto intendere di temere anzitutto un intervento tedesco che sarebbe la catastrofe religiosa ed economica di Euzkadi. La distruzione di Guernica ne è stato troppo crudele esempio.

Egli ha detto che malgrado la sua amicizia con Aguirre non ha tutta l'influenza che gli si attribuisce anche perché al governo di Bilbao collaborano elementi non nazionalisti. Per esempio, egli mi ha detto, è nel torto il cardinale Gomà che mi ha mandato oggi stesso un suo messo per dirmi che io porto la piena responsabilità della continuazione della guerra. Tuttavia egli mi ha assicurato che farà il possibile presso Aguirre cui avrebbe radiotelegrafato immediatamente quanto da me a lui esposto.

Onaindìa ha aggiunto che riteneva utile che nella serata mi incontrassi a S. Jean de Luz con il signor Doroteo Ziaurriz presidente del Partito nazionalista basco anch'egli quel giorno in Francia per i rifugiati.

Nel seguito del pomeriggio, ho parlato poi a Biarritz con Andrea Irujo, il quale a differenza degli altri, ha mostrato una certa riserva pur affermando che un intervento straniero avrebbe qualche possibilità di riuscita. Ha insistito che a Bilbao non si crede ancora perduta la guerra e che per ottenere la resa sarebbe eventualmente necessario la concessione di qualche autonomia. Egli ha anche aggiunto che altri governi stranieri si starebbero adoperando in tal senso.

Tornato a S. Jean de Luz la sera, non ho trovato all'appuntamento Doroteo Ziaurriz e, per non mostrare un eccessivo interesse da parte mia, non ho creduto aspettarlo lasciando tuttavia un numero di telefono per potermi al bisogno cercare.

Onaindìa mi ha mandato a cercare a San Sebastian il giorno stesso all'una di notte facendomi dire di avere urgente bisogno di vedermi la mattina seguente di buona ora.

Nel secondo colloquio, Onaindìa mi ha detto che Doroteo Ziaurriz ha trovato la eventualità di una garanzia italiana di sommo interesse. Essa sarebbe, ha detto il presidente del Partito, la prima concreta possibilità per una pacificazione che si sia presentata dall'inizio della guerra, tutte le altre essendo state vaghe o inaccettabili. Egli ha invitato Onaindìa a recarsi in aeroplano immediatamente a Bilbao, onde conferire con Aguirre.

Onaindìa ha desiderato che gli ripetessi chiaramente i noti punti della questione per esporli ad Aguirre. Io ho soggiunto che riterrei utile ed opportuno che il presidente Aguirre mi inviasse un telegramma per S.E. il capo del governo, telegramma che Onaindìa mi avrebbe potuto rimettere al fine di trasmetterlo in cifra.

Onaindìa mi ha detto da parte di Ziaurriz che questi desiderava vivamente che io mi abboccassi con Aguirre e a tale scopo Onaindìa avrebbe sollecitato dal presidente un passaporto onde fare il viaggio a Bilbao segretamente.

Ho risposto che non avevo in massima niente in contrario di recarmi a Bilbao qualora il R. Governo mi avesse autorizzato e che a tale scopo avrei immediatamente telegrafato a Roma.

Onaindìa sarà di ritorno a S. Jean de Luz stasera o domattina. Seguiterò a riferire.

NOTA PRIVADA PARA INFORMACION DE LOS DIRIGENTES NACIONALISTAS

l. Un juicio objetivo de la situacion, basada en un pieno conocimiento de las recursos militares y tecnicos de ambos campos, permiten afirmar que Bilbao no podrà resister el ataque generai de las tropas Nacionales. Solamente por desconocimiento del problema, o por mala fé, padria algun profesional sostener la opinion contraria.

2. Si el ataque decisivo llegase a ser necesario, puede asegurarse que, durante las ultimas fases del desarrollo, las tropas rojas en retirada han de cometer toda clase de atropellos, y ha de procurar la destruccion de la Ciudad. Por razones de indole puramente militar es probable que no haya medio de evitarlo, si los dirigentes y las milicias nacionalistas persisten en colaborar col los rojos, y en someterse a su arbitrio.

3. -Solamente padria evitar se la ruina de la Ciudad si las milicias vascas cooperasen a ello, pasando en momento oportuno, y rapidamente de las posiciones del cinturon fortificado, a las posiciones inmediatas a la Ciudad por ambas margenes de la ria, impidiendo el paso a los rojos, hacia el casco; despues depondrian las armas. Los soldados de las milicias vascas serian considerados como evadidos; los pertenecientes a batallones rojos que fuesen hechos prisioneros, serian conducidos a campos de concentracion y liberados ulteriormente, en cuanto no fuesen, individualmente, culpables de delito. 4. -El mando militar ha ofrecido respetar vidas y haciendas en cuantos reconozcan su autoridad, siempre que non hayan incurrido en delitos comune s. Reitera su promesa, y asegura que sus tropas non cometeran el mas minimo atropello.
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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 1891/956. Vienna, 13 maggio 1937 (per. il 15).

L'incidente della bandiera germanica a Pinkafeld (Burgenland), segnalato a

V.E. con il mio telegramma per corriere n. 0106 del l O corr. 1 , non risulta ancora risolto. Pareva, come ho riferito, risolto qui a Vienna, dopo che le spiegazioni date anche con nota verbale dal dipartimento degli Esteri della Cancelleria Federale nei termini da me esposti, erano state ritenute soddisfacenti da questa legazione di Germania. Ma poi, il fatto riferito a Berlino (nel frattempo se ne era occupata la stampa germanica) è parso colà di gravità maggiore, specialmente per il particolare che i soldati incaricati di allontanare la bandiera, l'avrebbero strappata. La cosa è stata avocata a sé personalmente dal Fiihrer. Di qui la chiamata di von Papen a Berlino, donde non è ancora ritornato. Alla legazione di Germania non è giunta alcuna successiva notizia.

Anche da qualche accenno fattomi da von Stein, consigliere e incaricato d'affari della legazione del Reich, l'incidente di Pinkafeld potrebbe offrire a Berlino l'occasione per esaminare in pieno Io stato attuale dei rapporti austro-germanici nei riguardi dell'esecuzione dell'Accordo dell'Il luglio e specialmente della pacificazione interna prevista dall'Accordo stesso.

La nomina del «referente» nazionale presso il Fronte Patriottico, già decisa in massima da tempo e predisposta in ogni particolare, come ho riferito, è ancora ritardata, perché il Dr. Seyss-Inquart, designato a questo ufficio, dopo essere stato

1 Il 30 aprile, a Pinkafeld, durante una fiaccolata della guarnigione per la festa di Stato del lo maggio era stata esposta ad una casa privata la bandiera tedesca. Il comando militare del corteo aveva dato ordine di togliere la bandiera di cui era stata poi consentita l'esposizione, una volta accertato che l'edificio era di proprietà di un tedesco. Il ministro Salata aveva riferito in proposito con T. per corriere 3226/0106 R. del lO maggio. Il telegramma ha il visto di Mussolini.

già autorizzato dai suoi ad accettare l'incarico, avrebbe avuto dal noto Leopold un perentorio divieto a non «prestarsi» all'esperimento.

L'atteggiamento del Leopold assume tanto maggiore importanza perché egli è stato di recente a Berlino, dove sarebbe stato ricevuto anche dal Fiihrer e donde sarebbe ritornato con nuove istruzioni e nuovi mezzi per la sua azione politica.

Ci troviamo dinanzi ad un ritorno al radicalismo od almeno ad un irrigidimento nel campo dei «nazionali» che sino a poco fa s'erano orientati verso l'esperimento progettato dal Cancelliere come primo passo verso l'inserzione dei «nazionali» stessi nel regime.

A quanto mi è riferito, Leopold vorrebbe imporre al Cancelliere per l'ufficio di «referente» un suo diretto fiduciario. Il Cancelliere non intende riconoscere nel Leopold la rappresentanza di un partito che è stato disciolto e che lo stesso Accordo dell'll luglio ignora. E, forte di una esplicita disposizione di questo Accordo (art. IX) che gli attribuisce il diritto illimitato di scegliere per l'opera di pacificazione «persone che godono la sua fiducia personale», non si sente di rinunziare a tale libera scelta e di sacrificare al Leopold, di cui son noti i precedenti, la personalità generalmente molto ben quotata del Seyss-Inquart. E ciò tanto meno, in quanto quest'ultimo e con lui un forte gruppo di nazionali, non approvano la linea di condotta del Leopold, né la così aperta ingerenza di Berlino in un fatto che l'Accordo dell' 11 luglio ha in modo preciso riconosciuto di esclusiva spettanza della politica interna dell'Austria.

La nuova alzata di scudi del Leopold ha d'altra parte, acuito la resistenza dei gruppi cattolici, presso i quali l'esperimento voluto da Schuschnigg non era stato mai «popolare».

Qui non si hanno elementi precisi per giudicare se effettivamente l'atteggiamento del Leopold corrisponda, come nel suo campo si sostiene, alla volontà di Hitler o della direzione del Partito nazionalsocialista. Se così fosse, si smentirebbero le assicurazioni che in senso favorevole al Cancelliere avrebbe recato da Berlino il ministro Glaise-Horstenau 1 , la cui situazione ne verrebbe scossa.

Lo strano è che quello stesso Seyss-lnquart, alla cui designazione a «referente» nel Fronte Patriottico il Leopold si opporrebbe, sarebbe da lui stesso indicato come uno dei due o tre «nazionali» la cui immediata nomina nel Gabinetto egli vorrebbe chiedere al Cancelliere. Comunque, non credo che Schuschnigg intenda saltare di piè pari la fase dell'inserzione dei «nazionali» nel Fronte Patriottico, come premessa e pregiudiziale alla loro assunzione al governo.

Nei circoli del naziona1socialismo locale si vorrebbe giustificare le maggiori resistenze e le maggiori esigenze rispetto all'esperimento del Cancelliere, con voci di assicurazioni avute a Berlino di prossime pressioni italiane a Vienna.

L'atteggiamento che prenderà Hitler nell'incidente di Pinkafeld, darà qualche norma per l'ulteriore sviluppo di questa situazione.

Risponde certamente anche ad un nostro interesse di evitare, dopo le così promettenti prospettive degli ultimi tempi, il fallimento del tentativo di pacificazione interna. Per quanto posso giudicare di qui io, un risultato positivo può attenersi

I Durante la sua visita in Germania del 14-21 aprile precedente, su la quale si vedano i DD. 501 e

532

soltanto attraverso la tappa del Fronte Patriottico. L'insistenza in una nomina immediata di ministri «nazionali» non potrebbe condurre ad alcun esito positivo.

L'E.V. ha in questo riguardo presenti le difficoltà esposte a Venezia dal Cancelliere federale. Un accentuarsi di pressioni da Berlino non può che nuocere, specialmente se siano esercitate, con tanto poca opportunità di forme, dal capo dell'opposizione illegale, più volte punito e solo da poco amnistiato, e sulla cui anche più recente attività, che sarebbe alimentata da ostentati aiuti materiali di Berlino, si fa qui un gran parlare in questi ultimi giorni e non mancano accenni poco edificanti in alcuni giornali.

Seguo con la massima attenzione, anche nei miei contatti con il Cancelliere federale, gli sviluppi, purtroppo così lenti e laboriosi, di questa situazione interna. Sarebbe molto utile per me poter disporre di elementi di controllo sugli atteggiamenti e le intenzioni di Berlino. Sarei pertanto molto grato all'E.V. di ogni comunicazione che credesse di potermi fare al riguardo 1•

590

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE. Berlino, 13 maggio (per. il 15).

Con la mia ultima 2 ti accennavo alla reazione giornalistica tedesca nei confronti dell'Inghilterra, a causa della pubblicazione sulla stampa britannica di tante notizie, astiosamente antifasciste, per il bombardamento di Guernica.

Tale reazione si è mantenuta viva sino, si può dire, al momento della presentazione delle Credenziali al Cancelliere da parte del nuovo Ambasciatore britannico, Sir Nevile Henderson 3 , cerimonia che ha preceduto di un giorno quella dell'Incoronazione di Londra.

I due avvenimenti sembrano aver contribuito ad un miglioramento, almeno da parte tedesca, nei riguardi della situazione anglo-germanica.

Evidentemente quei discorsi qui fatti, con insistenza, dai vari Lord Lothian, Hoare (fratello di Sir Samuel) e compagni, i quali, proprio mentre si svolgeva la polemica per Guernica, insistevano presso il Fiihrer, presso Goring, etc., circa la possibilità di un miglioramento dei rapporti anglo-germanici, a seguito dell'imminente rimaneggiamento del Gabinetto britannico, hanno trovato conferma, in certo modo, agli occhi tedeschi, nelle parole pronunciate dall'Ambasciatore Henderson.

Questi infatti è uscito fuori dai sottili discorsi convenzionali per usare espressioni molto carezzevoli alle orecchie tedesche. Egli ha dichiarato che:

I Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 566. 3 L'Il maggio. Vedi D. 578.

«Non è soltanto una formalità se io dichiaro che inizio la mia vita fra questo grande popolo tedesco di origine comune con la ferma intenzione di compiere tutto quello che sta nelle mie forze per promuovere la causa dell'Accordo anglo-tedesco. Poiché questo è appunto il desiderio di Sua Maestà, il desiderio del Governo di Sua Maestà ed il desiderio dell'intero popolo britannico. Dall'adempimento di questo desiderio dipende il successo della mia missione».

Questi accenni al «grande» popolo tedesco ed alla «origine comune» o parentela tra i due popoli (l'Ambasciatore sembra aver toccato un tasto razzistico particolarmente caro al cuore germanico) sono stati accolti con compiacimento.

Ciò spiega, almeno in parte, il risalto dato dalla stampa tedesca alle cerimonie dell'Incoronazione di Londra. Risalto che, è vero, è dovuto a ragioni di pura cronaca impressionistica e giornalistica, senza precisi scopi politici, data anche la quasi totale assenza di commenti, ma che viene in definitiva a servire alla causa di una certa valorizzazione, agli occhi tedeschi, dell'Impero britannico.

In riassunto quindi deve dirsi che, come ho sopra accennato, si è verificato in Germania, da un giorno all'altro, un certo miglioramento di atmosfera nei confronti dell'Inghilterra: miglioramento la cui sorte dipenderà dai primi atti del Governo britannico ricostituito dopo l'Incoronazione.

Molto interessante mi sembra in proposito il commento, che ora appare, dell'ufficiosissima Diplomatisch-Politische Korrespondenz la quale, riferendosi alla cerimonia della presentazione delle Credenziali di Henderson, si esprime in termini ... cordialmente prudenti.

La D.P.K. infatti, dopo aver rievocato che:

«Durante le ultime settimane e gli ultimi mesi, delle ombre pesanti, particolarmente d'ordine psicologico, avevano oscurato i rapporti anglo-tedeschi. Particolarmente nel campo giornalistico si erano prodotte, da parte inglese, molte cose che potevano far nascere in Germania l'impressione di un atteggiamento poco amichevole per non dire addirittura ostile. Questa impressione era tanto più profonda perché da parte degli ambienti ufficiali inglesi nulla era stato fatto per mostrare un qualsiasi sforzo inteso ad opporsi a queste divulgazioni di carattere tendenzioso e addirittura calunniatorie sulle quali non si poteva passare oltre».

Aggiunge: «Questa evoluzione nulla aveva di comune con quelle condizioni psicologiche che erano state create in occasione del Trattato navale anglo-tedesco per stabilire relazioni durevoli e fiduciose tra Germania e Inghilterra. Tanto più felice appare questo sprazzo di luce apportato dal discorso del nuovo Ambasciatore di Gran Bretagna e dalla risposta del Cancelliere. In Germania la grande festa oggi celebrata in Inghilterra viene seguita senza gelosie o invidia. Il popolo tedesco vede, da parte sua, nell'unità e nell'unione inglese qualche cosa di naturale e ha coscienza del valore morale e pacificatore dell'Impero britannico».

E conclude infine: «Nei confronti dell'atteggiamento ben noto della Germania è inutile precisare che le buone relazioni fra i due Stati non possono e non devono pretendere all'esclusivismo. Le amicizie hanno piuttosto la missione di favorire la pace, gettando

ponti verso altri Stati, allo scopo di riuscire così a creare rapporti pacifici e fiduciosi tra tutti gli Stati.

Che questo punto di vista sia anche in pratica il principio dominante della politica tedesca è provato da quanto è avvenuto negli scorsi anni e dalla volontà -manifestata anche ultimamente al momento delle conversazioni romane del Ministro degli Affari Esteri del Reich -di compiere in avvenire tutti gli sforzi per giungere, al di là dell'asse Berlino-Roma (iiber die Achse Berlin-Rom hinaus), a stabilire una collaborazione più estesa anche con le altre Potenze. La Germania sarà dunque sempre disposta ad approfittare di ogni occasione che si presenti in proposito, ed è in questo senso che essa considera l'entrata in funzione del nuovo Ambasciatore di Gran Bretagna come un felice inizio».

Ho desiderato trascrivere quasi per intero questo commento, perché mi sembra che esso corrisponda, in certo modo, all'attuale stato d'animo di taluni ambienti tedeschi. I quali forse, dopo tutto, non vedrebbero tanto di cattivo occhio che la Germania cessasse, per un certo periodo di tempo e fino al completamento degli armamenti, di essere in Europa, sempre e senza scampo, oggetto di « inestinguibil odio» per assumere le funzioni di elemento equilibratore e mediatore ....

Indubbiamente l'opera di Sir Nevile Henderson, che viene qui dopo il periodo di Sir Eric Phipps, sostanzialmente e personalmente poco favorevole alla Germania, va seguita con molta attenzione dati questi «felici presagi» con i quali si vuole circondare il suo debutto ... 1•

591

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3292/150 R. Pechino, 14 maggio 1937, ore 13,30 (per. il 15 ).

Ho avuto ieri un primo colloquio con Sung T.V. ed abbiamo esaminato possibilità dello sviluppo relazioni economico-commerciali tra l'Italia e la Cina.

Egli mi ha detto ricordare suo colloquio due anni addietro con S.E. il Capo del governo, aggiungendo che da allora in realtà nulla di importante è stato realizzato in questo campo. Egli mi ha chiesto esporgli quali rami nostra industria sarebbero adatti cooperare ricostruzione Cina. Glieli ho indicati ed egli si è fermato in particolare sui trasporti e sulle costruzioni navali e meccaniche, chiedendomi metterlo subito in relazione con questo addetto commerciale.

In seguito a questo colloquio il commendator Angelone ha trasmesso a sottosegretario di Stato Scambi e Valute un telegramma contenente importanti proposte, sulle quali mi permetto attirare l'attenzione di V.E. 2 .

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

2 L'addetto commerciale, Angelone, riferiva (T. 6086/151 R. del 17 maggio) che il presidente della Bank of China, Sung Tze-wen, gli aveva prospettato l'ordinazione ai Cantieri Navali di Monfal

592.

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3290/85 R. Bucarest, 14 maggio 1937, ore 21,55 (per. ore 10 del 15).

Lugosianu ha riferito senza entrare in merito la conversazione di cui al telegramma di V.E. n. 909/C 1 per controllare, a richiesta di Antonescu, certe fantasiose informazioni fornite dal ministro di Romania a Tirana circa un breve scambio d'idee avuto con V.E. in Albania.

Lo stesso Lugosianu ha finito però per scantonare anche lui: sebbene abbia fatto solo a titolo personale le allusioni riferite da V.E. posso assicurare che egli non era minimamente autorizzato a prospettare possibilità di un capovolgimento della politica romena sulla base di un trattato di mutua assisten~ za con noi.

Lugosianu, del resto, nel riferire a questo governo non ha fatto nessun cenno a secondo colloquio con V.E.

Dal canto mio, posso affermare che Romania cerca e per un pezzo continuerà a cercare la garanzia contro il pericolo russo mediante sua adesione alla politica francese nella speranza che Francia possa frenare e controllare Mosca. Altra strada, per quanto concerne la garanzia verso la Russia, questi signori non sono preparati a imboccare, anche perché un trattato di mutua assistenza con noi non risolverebbe il problema senza contemporanea partecipazione di Berlino. Ma con Berlino questi signori non sono disposti a marciare, benché certamente Romania desideri ottimi rapporti con noi. È interessante rilevare che, per quanto riguarda noi, la Romania è riuscita a svincolarsi dal veto di Parigi. Ma in quanto al gettarsi nelle braccia della Germania, manca il fiato. Pregherei V.E. voler prendere visione prima della Sua partenza per Budapest del mio telegramma per corriere 010 2 in arrivo oggi Roma.

Avverto che in una conversazione con Antonescu questi mi ha più volte ripetuto che gli impegni presi da Piccola Intesa a Belgrado circa Ungheria sono soggetti a revisione, essendo stati riconosciuti troppo rigidi. Tale revisione, che ho vivamente incoraggiato, potrebbe essere fatta in occasione della Assemblea

S.d.N. che permetterà una riunione straordinaria dei ministri degli Affari Esteri della Piccola Intesa 3 .

eone di due navi da 4.000 tonnellate da adibire alla rotta Hainan-Siam, operazione che, secondo quanto sottolineava il comm. Angelone, sembrava offrire possibilità di sviluppo molto interessanti per l'industria italiana.

' Vedi D. 575.

2 Vedi D. 570.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

593

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1193/412. Roma, 14 maggio 1937 (per. il 17).

Il cardinale segretario di Stato ha attirato ieri la mia attenzione sul linguaggio della nostra stampa nei riguardi della vertenza del Reich con la Santa Sede, per lagnarsene. Mi ha detto che il Pontefice segue con attenzione tutto quello che si scrive sulla Germania e ha dovuto constatare, con dolore, la parzialità dei nostri giornali.

Ho replicato che non avevo notato nulla che potesse essere rimproverato. La stampa italiana tiene al corrente l'opinione pubblica di tutto quello che concerne la vita interna e le relazioni estere del Reich, improntando gli scritti a quel sentimento di reciproca simpatia che caratterizza le relazioni fra i due Paesi.

Il porporato non si è dato per vinto. Mi ha messo sotto gli occhi una corrispondenza da Berlino, di Arnaldo Fratelli pubblicata da La Tribuna del 4 maggio u.s., nella quale è fatto cenno «all'aspra polemica con le autorità religiose». Il cardinale mi ha rammentato che, al momento della nostra guerra nell'Africa Orientale, questa R. Ambasciata è intervenuta con insistenza presso di lui perché l'Osservatore Romano si astenesse dal pubblicare notizie che ci dispiacevano. Il porporato ha soggiunto che mi aveva contentato quasi sempre e che il Papa stesso era intervenuto per dare direttamente ordini tassativi al conte Dalla Torre.

Ho ripetuto al cardinale quello che avevo avuto occasione di dirgli a varie riprese e cioè che la stampa italiana deve pure intonarsi a quella che è la situazione di fatto, tanto più che i giornali tedeschi tengono un analogo linguaggio nelle questioni che interessano particolarmente l'Italia.

Ho creduto di dovere riferire quanto precede, all'E.V., come indice della ipersensibilità della Santa Sede, in genere, e del cardinale Pacelli e del Papa in ispecie, nella vertenza con il Reich.

Il cardinale segretario di Stato mi ha dichiarato che le relazioni della Santa Sede con il governo del Reich peggiorano giornalmente. I processi intentati a sacerdoti, per questioni di carattere morale, sono portati avanti con il proposito di divulgare il più possibile i fatti incriminati, per gettare il discredito sulla religione cattolica e sui suoi ministri. Si agisce così per dare l'impressione che la corruzione è estesissima fra il clero cattolico, mentre da rigorose statistiche predisposte, in questi ultimi tempi, si è potuto stabilire, è il cardinale che parla, che su mille sacerdoti, in Germania, se ne trova tutt'al più uno al quale possano essere mossi appunti di ordine morale. Il cardinale ha soggiunto che ben diversa è la situazione nell'altro campo. La Santa Sede si è costituita un voluminoso dossier di atti immorali commessi da persone appartenenti al partito nazista. Ma di costoro non si parla, anzi si celano rigorosamente tutte le magagne. Gli scopi della campagna inscenata, sono dunque ben chiari. È la Chiesa cattolica che è presa di mira; la moralità è un pretesto!

594

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 917/397 R. Roma, 15 maggio 1937, ore l.

Fiduciari del governo basco hanno avuto qualche contatto con R. Console a San Sebastiano manifestando desiderio di ottenere garanzie da parte italiana per addivenire pacificazione 1 . In linea di massima, R. Governo, tenendo anche presente scambi di vedute avuti da Doria con Franco2 , non sarebbe alieno dal prestare suo interessamento. Comunque, affinché ogni eventuale nostra azione in tal senso proceda di pieno accordo con Franco converrà che la S.V. si tenga a contatto col comando della Missione Militare e d'accordo con esso faccia pervenire al R. Console a San Sebastiano gli opportuni orientamenti a seconda delle possibilità che si presenteranno. In tal senso impartisco istruzioni al R. Console a San Sebastiano 3 .

La prevengo ad ogni buon fine che in base a quanto ultimamente fiduciari baschi avrebbero fatto comprendere, non, dico non, sembra che Aguirre sia disposto ad avere conversazioni sulla «resa». Agenti baschi avrebbero espresso desiderio che R. Console si recasse segretamente conferire Bilbao. Il che è evidentemente da escludere.

Mi tenga al corrente delle disposizioni che volta a volta invierà al R. Console a San Sebastiano e dello sviluppo della questione.

595

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA V ALLETTI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 919/26 R. Roma, 15 maggio 1937, ore 2.

Suoi 43, 44 e 46 4 . Sospenda contatti in attesa di ricevere istruzioni da R. Ambasciata alla quale la S.V. vorrà dettagliatamente riferire esito colloqui avuti finora. Resta escluso che la S.V. si rechi a Bilbao.

1 Si vedano i DD. 574, 586 e 588. 2 Vedi p. 624, nota 2. 3 Vedi D. 595. 4 Vedi i DD. 574 e 586.

596

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3317/185 R. Tokio, 15 maggio 1937, ore 7,40 (per. ore 17,50).

Sa t o mi ha detto:

l) Autorità civili e militari centrali si sono messe d'accordo sulla politica verso la Cina. Speciali emissari sono già partiti per andare a'darne comunicazione all'armata giapponese del Kuan-tung e averne l'approvazione. Tale armata ha sempre goduto di grande libertà giudizi e azione col risultato che ne sono spesso derivati dannosi contrasti colle autorità centrali; perciò è necessario ora intendersi con essa. Se politica adesso progettata avrà anche la sua approvazione, si potrà dire di aver conseguito quella unità vedute senza la quale non sarebbe possibile una utile ripresa delle trattative con Nanchino.

2) Tosto che tali unità di vedute siano state ottenute, si sarà in grado di iniziare trattative anche con Inghilterra, senza attendere esito di quelle con la Cina pur dando notizie a Londra dei negoziati con Nanchino man mano che essi si svolgeranno. Quando l'Inghilterra avrà saputo e si sarà convinta che tale politica giapponese non mira a conquiste territoriali in Cina e non si oppone all'applicazione della porta aperta, sarà possibile giungere ad una intesa.

3) Gli ha fatto piacere che ambasciatore dell'U.R.S.S. tornato da Mosca gli abbia portato spontanee proposte per ripresa discussioni relative costituzione delle due commissioni di cui una dovrebbe trattare la questione della delimitazione delle frontiere l'altra quella della soluzione degli incidenti delle frontiere stesse. Permangono note difficoltà per la costituzione di queste commissioni che i sovietici vorrebbero composte di un numero eguale di russi e giapponesi comprendendo fra questi ultimi i mancesi, mentre i giapponesi sostenevano un numero uguale di russi, giapponesi e mancesi; ma egli crede potrebbe trovarsi qualche soluzione a tale difficoltà.

In ogni caso, per il momento sarebbero trattate soltanto le questioni delle frontiere, mentre a quella delle pescherie si passerebbe soltanto dopo risolte o avviate a soluzione le prime.

Sato mi si è detto in conclusione ottimista rammaricandosi solo che per tutte queste trattative occorra molto tempo e mostrando come egli desidererebbe giungere presto a qualche risultato concreto ed evidente. Certo per ragioni anche di politica interna.

Mi ha chiesto alla fine con molto interesse e qualche rammarico circa nostri rapporti con l'Inghilterra.

Gli ho spiegato particolareggiatamente come Italia, più che mai oggi, in cui soddisfatti i suoi bisogni di colonie è tutta intenta sfruttare i suoi nuovi domini, ha volontà di pace. Ma deve essere pace che non leda la sua dignità, né limiti la sua libertà. Dignità e libertà dell'Italia non possono essere alla mercé di una Inghiltera che conservatrice all'interno non si fa scrupolo di trescare all'estero con socialisti e comunisti e che vuole imporre agli altri come giusto quello che è solo utile a sé.

Il mio interlocutore non ha obiettato che qualche riserva sull'intesa degli inglesi coi bolscevichi. L'ho facilmente ribattuta.

597

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3323/384 R. Londra, 15 maggio 1937, ore 18,38 (per. ore 23).

Seguito a telegramma n. 380 1• A conferma quanto ho avuto occasione telegrafare ieri circa attitudine personale Re Giorgio credo segnalare particolari cronaca ieri.

Fra personalità straniere presenti Londra Incoronazione trovasi anche segretario generale S.d.N. Avenol che è stato, a preferenza tutti gli altri, ricevuto particolare udienza Sovrano. Unico argomento sul quale Re Giorgio avrebbe intrattenuto Avenol è problema liquidazione questione abissina Ginevra. Sovrano inglese ha insistito presso A venol perché si trovasse Ginevra una qualche maniera per uscire questa situazione imbarazzante e sgradevole per tutti e sia così eliminata ragione che principalmente ostacola chiarificazione definitiva rapporti con Italia. Questa informazione l'ho avuta dallo stesso Avenol che me l'ha riferita iersera.

598

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3749/016 R. Ankara, 15 maggio 1937 (per. il 31).

A telegramma per corriere n. 885/C.R. del 7 corrente 2 .

Con telegrammi filo n. 97 e 101 del 30 marzo 3 informai V.E. che Aras aveva espresso a questo ministro di Jugoslavia (che me lo aveva confidato con ogni discrezione) il suo proposito di intrattenere Stojadinovic di un suo progetto diretto a rafforzare i legami politici e militari fra Italia e Jugoslavia, Grecia, Turchia. Non precisò in altro modo il suo pensiero. Egli autorizzò il signor Lazarevic ad informare Belgrado di tale suo disegno.

Con rapporto 3 aprile n. 666/313 4 diretto a V.E. alla vigilia della partenza di Ismet Inoni.i e di Stojadinovic 5 per Belgrado, esaminai tale idea di Aras ed esposi a

V.E. il mio subordinato pensiero che riassumo in queste due frasi: se vi sono

I Con T. 3293/380 R. del 14 maggio, l'ambasciatore Grandi aveva riferito di avere appreso che, per ordine personale di Re Giorgio, il rappresentante etiopico alle cerimonie dell'incoronazione era stato qualificato nei documenti protocollari della Corte come «rappresentante di S.M. l'Imperatore Hailé Selassié» anziché come rappresentante dell'Imperatore d'Etiopia, ciò che lo indicava come un rappresentante personale.

2 Vedi D. 561.

3 Vedi DD. 359 e 365.

4 Vedi D. 403.

5 Sic. Leggasi Riistii Aras.

possibilità di ulteriore sviluppo bilaterale dei rapporti italo-jugoslavi le proposte di Aras presentavano scarso interesse, se invece tale possibilità non esistesse, almeno per ora, esse avrebbero potuto se mai essere tradotte in atto per mezzo di una serie di accordi bilaterali.

Durante la presenza di Ismet a Belgrado, anche questa stampa riferì che si stava esaminando un progetto di Patto Mediterraneo però al suo ritorno Aras (mio telegramma n. 113 del 22 aprile) 1 malgrado qualche mio indiretto accenno non me ne fece parola.

Soltanto il 6 corr. (telegramma n. 119)2 avendogli io chiesto esplicitamente se

o no a Belgrado erasi parlato del suo progetto italo-balcanico egli mi disse che effettivamente egli ne aveva intrattenuto Stojadinovic ed erano rimasti d'accordo essere conveniente lasciare maturare la situazione finché qualche malumore suscitato dall'incontro di Milano e dagli accordi italo-jugoslavi fosse dissipato.

Tanto Ismet Inonii che Aras avevano risposto analogamente allo stesso quesito posto loro da questo ministro di Grecia che ne informò Atene. Il signor Raphael mi ha anche detto che il suo collega di Belgrado aveva scritto ad Atene che non si era parlato affatto del nuovo progetto di Aras. Egli si spiegava questa ignoranza degli ambienti diplomatici della capitale jugoslava col fatto che tale argomento era stato oggetto di breve esame solo nelle ultimissime ore del convegno.

599

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 898/436. lstanbul, 15 maggio 1937 (per. il 31).

Aras è partito poco fa per Bucarest 3 . Avrei dovuto avere prima con lui un altro colloquio, il quarto dopo il mio ritorno da Roma. Si è scusato mancare alla promessa allegando le molte sue occupazioni. Può darsi. Come può anche supporsi che egli non desideri troppo si sappia di tanti miei frequenti contatti con lui, poiché se ne possono facilmente fare deduzioni che non gli convengono. Il che poi rientra, come V.E. ben sa, nel mio giuoco.

Di alcune delle conclusioni più interessanti emerse nei tre colloqui precedenti ho data notizia all'E.V. col mio telespresso di ieri l'altro 13 corrente n. 879/431 4 . Mi rimaneva a parlare più precisamente dei rapporti turco italiani e del loro possibile incremento anche formale, come è nelle finalità che l'E.V. mi ha indicato costà. Caduto il quarto colloquio (ma non avrei potuto valermi dello spunto più interessante, cioè il testo integrale delle frasi che V.E. ha pronunciato ieri l'altro

l Vedi D. 494. 2 Vedi D. 557. 3 In visita ufficiale, il 26-27 maggio. 4 Vedi D. 587.

770 sui rapporti nostri con la Turchia, poiché esso fino a tutt'ora non mi è -come speravo-pervenuto) mi vengono forse a mancare altri elementi per una più sicura conclusione.

Comunque faccio il punto dello stato presente dei miei contatti con Aras.

Debbo premettere e rammentare che l'accordo di «neutralità conciliazione e regolamento giudiziario» firmato con la Turchia il 30 maggio 1928 per cinque anni, fu, in virtù del protocollo aggiuntivo firmato a Roma il 25 maggio 1932, prorogato fino al 29 aprile 1942 1 , che esso con l'art. l stabilisce che nessuna delle due parti contraenti può entrare in una intesa politica ed economica od in qualsiasi combinazione diretta contro l'altra, e con l'art. 2 obbliga una parte alla neutralità se l'altra sia attaccata.

L'accordo in vigore è quindi largamente comprensivo e significativo, purché la Turchia voglia applicarlo in tutta la sua portata:-il che essa non fece durante il conflitto in Africa, allorché applicò le sanzioni in forza degli obblighi societari. Mi sono spesso domandato se non sia stato a suo tempo nostro errore non chiarire, allorché la Turchia stava per entrare nella S.d.N., quale sarebbe stata l'applicazione reciproca dell'art. 16 del Covenant, come appunto fece prudentemente l'U.R.S.S. addivenendo verosimilmente a segreti accordi in proposito.

Comunque, dopo la firma del patto vi sono stati a più riprese tentativi, specie da parte turca, di estendere alla consultazione gli obblighi reciproci.

Nei colloqui che ho avuto con Aras intendevo prevalentemente rendermi conto fino a che punto egli credeva potere procedere nello sviluppo, anche formale, dei legami diplomatici attualmente esistenti fra i due Paesi (consultazione, trasformazione esplicita del patto attuale in «patto di amicizia», forse modifica dell'art. 3 che lascia a ciascuna delle parti decidere unilateralmente quali questioni incidano sul proprio diritto di sovranità e perciò siano escluse dalla procedura di conciliazione, chiarimento degli obblighi e del carattere della neutralità etc.), poi accertare fino a dove Aras si sente vincolato ad un possibile assenso inglese per lo sviluppo ulteriore dei rapporti amichevoli con noi. Beninteso, e ciò dico per rispondere ad eventuale curiosità dell'E.V., ogni mia parola è stata cauta e prudentissima sì da non dare mai la certezza che vi fosse da parte mia una richiesta specifica qualsiasi e che io mirassi a scopi concreti.

Aras ha protestato principalmente il suo interesse alla vitalità del gentlement's agreement. L'E.V. lo sa già da mie precedenti comunicazioni. Nel che è sincero, poiché la Turchia nulla ha da guadagnare in eventuale conflitto anglo-italiano. Ed alla mia osservazione che nella attitudine di imparzialità che la Turchia intendeva onestamente conservare le correnti inglesi a noi ancora ostinatamente ostili avrebbero trovato incoraggiamento sperando in un incondizionato appoggio strategico turco come lo avevano «sperato» durante il conflitto abissino, Aras mi ha risposto, con forza, che già precisando il suo punto di vista circa l'applicazione dell'art. 16 la Turchia aveva fatto chiaramente sapere che non avrebbe mai aderito a sanzioni militari. «Oggi poi, ha continuato, dopo il convegno di Milano, ogni

t In realtà, la proroga al 28 aprile 1942 si ebbe con uno scambio di note del 31 maggio 1934. Si veda su tuttociò p. 381, nota 3.

illusione che la Turchia possa mai prestarsi a disegni di rivincita doveva essere caduta in qualsiasi più imperialista circolo inglese. La Turchia mai e poi mai si presterà a favorire disegni p1ilitari britannici contro l'Italia». Affermazione recisa che in bocca di altro uomo di stato avrebbe inequivoco e durevole significato. Ma pronunciata da Aras deve essere posta in un quadro di relatività che può dare, se le contingenti convenienze lo consiglino, effetto totalmente diverso dal significato odierno.

L'E.V. sa bene che quando si trattò dell'applicazione dell'art. 16 del Convenant il lo del nostro trattato fu del tutto ignorato, quando invece fu il caso di appoggiare eventualmente la Spagna rossa a Ginevra nella questione dei volontari, Aras mise in prima linea l'art. l del trattato del '28. Ecco perché se l'affermazione di Aras deve essere ricordata ed utilizzata al meglio, non le si può dare un significato permanente e totalmente tranquillante. Tanto più poi che debbo esaminarla in unione ad un preciso atteggiamento di Aras, ed ad una sua dichiarazione. V.E. rammenta che alla fine di marzo Aras disse a questo ministro di Jugoslavia che egli si proponeva parlare a Belgrado di rafforzare i legami politici e militari fra Italia e Turchia, Grecia, Jugoslavia 1 . L'idea di Aras, qualunque ne fosse stato il seguito e qualsiasi la accettazione e la approvazione da parte nostra, aveva un non dubbio significato rispetto alla nuova posizione dell'Italia nella politica balcanica, e avrebbe certamente, malgrado Aras volesse tale incremento attorno all'asse italo-inglese fissato nel Mediterraneo dal gentlemen 's agreement, fatto piegare lievemente la bilancia a nostro vantaggio. Di questo progetto Aras ha parlato a Belgrado soltanto sul finire, senza darvi più la fondamentale importanza che le prime sue comunicazioni al ministro Lazarevic portavano a credere, e con Stojadinovic furono poi facilmente e rapidamente d'accordo di rimandare a miglior momento l'esame del nuovo progetto. Accanto a questo fatto stanno inoltre le affermazioni ripetutemi da Aras nei tre colloqui ultimi 2 che cioè egli si sarebbe a Ginevra sopratutto adoperato su Eden per «persuaderlo» che ogni incremento dei rapporti italo-balcanici, quindi anche italo-turchi, era nell'interesse stesso del gentlemen 's agreement. Fatti ed affermazioni che conducono diritto alla certezza che Aras sia trattenuto in parte dall'effettivo malessere dei rapporti italo-inglesi ed in parte dal diretto intervento inglese.

Questa è la conclusione precisa cui si può ora arrivare. Del resto rappresentandomi ipotetiche conseguenze estreme del potenziale conflitto italo-inglese ebbi ad affermare più volte in mie precedenti comunicazioni che in tale eventualità, allo stato delle cose, la Turchia avrebbe appoggiato l'Inghilterra, non noi.

Ciò che si spiega oggi non più col timore specifico del risorgere di nostre pretese anatoliche dato che fino a quando duri lo sforzo italiano per la messa in valore dell'Africa Orientale nuove necessità territoriali per l'Italia non ve ne saranno, ma con la preoccupazione che l'Italia, tendendo ora invece al suo rafforzarsi strategico nel Mediterraneo, se effettivamente lo raggiunga ne derivi danno diretto

t Vedi D. 359. 2 Vedi D. 587.

od indiretto alla Turchia. Richiamo infatti quello che Aras ebbe a dire a proposito della situazione spagnola: non bolscevismo ma neanche prevalenza politica italiana che la rafforzerebbe troppo nel Mediterraneo.

Occorre pertanto pazientare, pur non perdendo di vista un solo minuto quello che giustamente l'E.V. vorrebbe raggiungere. Aras è in questo momento in viaggio per la Romania. Che parola vi porterà? Partendo dalla ipotesi che sia stato piuttosto lui a frenare il disegno di rafforzare i legami itala-balcanici sul presumibile veto inglese (e più Aras che Stojadinovic, il quale, nell'ottobre scorso ad Ankara 1 , ebbe a dirmi che egli nel desiderio di procedere verso un effettivo miglioramento dei rapporti itala-jugoslavi ed il ritorno allo spirito del trattato del 1924 2 non doveva e non voleva troppo tener conto di eventuali suscettibilità inglesi) ed a tener conto delle frasi che egli mi ha detto e che ho riferito più sopra, e di altri vaghi accenni, vi sarebbe da supporre che egli vada colà a trattenere anche desideri romeni di maggiore riavvicinamento con noi. La sua attuale attitudine potrebbe soltanto essere forse modificata dalla possibilità di ulteriore incremento dei rapporti itala-jugoslavi, poiché ogni nuovo passo che la Jugoslavia potrà fa're verso di noi se ha immediata ripercussione in tutti gli Stati balcanici ne ha una ancora maggiore in Turchia. Ma allo stato delle cose non credo vi sia da ricavare oggi di più di quello che abbiamo. La politica turca continuerà in attitudini ed aggiustamenti che le diano illusione di mantenersi in equilibrio. Se lo romperà sarà, per ora, a vantaggio inglese, non nostro.

Ho riferito a V.E. anche ieri l'altro con n. 428 3 quali erano i fatti ultimi che si dovevano registrare fra Turchia ed Inghilterra. Affermato che nelle circostanze attuali era più l'Inghilterra ad avere bisogno della Turchia, ma che la Turchia per altro sfruttava la situazione per trame vantaggi economici ed industriali, raccoglievo le voci di nuovi accordi che Ismet avrebbe trattato a Londra. Occorrerà attendere il suo ritorno per appurare se siansi realizzati concreti progressi nelle relazioni, anche politiche, turco britanniche. Non è impossibile che Ismet non sia stato insensibile alle lusinghe che a Londra si faranno alla sua vanità.

Ma più che altro dovrò attendere Aras al ritorno da Ginevra per comprendere se e quali modificazioni siansi verificate. Però egli resterà pochi giorni ad Istanbul altri pochi ad Ankara per poi ripartire per due mesi per il lungo viaggio orientale che avrà la sua conclusione a Mosca. E durante la sua assenza salvo imprevisti che non lascerò certo sfuggire, poco è da sperare per un qualche progresso sulla via tracciatami dall'E. V. 4 .

I Vedi serie ottava, vol. V, D. 303, nota l.

2 Vedi p. 499, nota 2.

3 L'ambasciatore Galli aveva riferito con telespresso 876/428 del 13 maggio circa un importante investimento di capitali inglesi nelle acciaierie turche di Karabuk che, mentre era da collegarsi con il piano di riarmo turco, sembrava dover costituire il primo passo di una più stretta collaborazione economica anglo-turca con inevitabili riflessi sul piano politico. L'ambasciatore Galli aveva poi riferito ampiamente su le molte manifestazioni di cordialità che negli ultimi tempi vi erano state tra Gran Bretagna e Turchia.

4 Ciano rispose con T. 8197/62 P.R. del3 giugno: «Ho letto il suo interessante rapporto n. 436 e sono del tutto d'accordo con V.E. Non c'è nessuna fretta». La minuta è autografa.

600

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2366/754. Berlino, 15 maggio 1937 (per. il 17).

Questa stampa, come ho avuto già occasione di segnalare a mezzo dei fonogrammi «Stefani speciale» e di quelli diretti al R. Ministero per la Stampa e la Propaganda, ha dato al discorso tenuto il 13 corrente alla Camera dei Deputati da

S.E. il ministro degli Esteri d'Italia 1 il maggiore rilievo, dandogli il carattere di un avvenimento di importanza europea, e facendo passare in seconda linea ogni altro argomento, compresi gli echi delle feste di Londra, che pure avevano tenuto tanto posto in questi giornali, fino a due giorni fa.

Nelle intitolazioni molto appariscenti che sono state poste agli ampi resoconti del discorso ed ai commenti che gli hanno fatto tutti i giornali, si vedevano già accennati i punti del discorso che più hanno provocato l'interesse di questa opinione pubblica, e che si sono trovati rispecchiati nei vari articoli di commento, a cominciare dalla ufficiosa Diplomatisch-Politische Korrespondenz che ho fatto trasmettere integralmente fino da ieri, a mezzo Stefani speciale.

Naturalmente il primo punto che è stato rilevato e valorizzato è stato quello che si riferisce al vero carattere ed al funzionamento dell'asse Roma-Berlino e non si è mancato di rilevare in modo particolare quanto ha detto il ministro circa il largo appoggio che l'amicizia fra Roma e Berlino trova nel sentimento delle masse popolari dei due Paesi e che fornisce la sua migliore garanzia di solidità e stabilità.

Con chiaro compiacimento è stato registrato, ed ammesso pienamente, quanto ha detto il ministro nei riguardi della comprensione che ha costantemente mostrato l'Italia fascista, prima fra gli Stati ex nemici, per le necessità vitali e per le esigenze dell'onore della Germania, presupposto indispensabile della ricostruzione europea.

Un altro punto è stato egualmente rilevato come molto importante ed è stato fatto largamente valere specialmente in alcuni commenti della grande stampa di provincia e cioè quello che riguarda l'amicizia immutata fra l'Italia e l'Austria cui viene tolta definitivamente ogni punta di ostilità contro la Germania, escludendosi che quell'amicizia possa mai essere in funzione antitedesca. Gli stessi commenti dicono espressamente che i protocolli di Roma, ormai non solo non sono in contrasto coll'asse Roma-Berlino, come avrebbero voluto credere e far credere certi commentatori interessati, ma al contrario sono entrati a far parte integrante di esso, col quale vengono così a formare un sistema unico, assicurando la collaborazione italo-tedesca nell'Europa sudorientale, indispensabile premessa per un risanamento di quella parte d'Europa.

Indubbio motivo di soddisfazione in Germania, finalmente, è stato il fatto che il discorso non solo non ha in alcun modo chiuso la porta ad una più vasta collaborazione fra gli Stati europei, ma anzi ha detto espressamente che l'asse

1 Testo in Relazioni Internazionali, pp. 405-409.

Roma-Berlino, ben !ungi dall'essere un blocco, è precisamente un asse e non un diaframma. Questo punto del discorso è stato ampiamente notato nei titoli e sviluppato nei commenti che, fra l'altro, hanno dichiarato come uno dei punti più pratici del discorso sia il rinnovato accenno dell'Italia alle sue disposizioni a riprendere la parte che aveva nell'antico Locarno, beninteso purché questo sia adattato, alla nuova situazione europea.

Questo allargamento fino al piano europeo dell'asse Roma-Berlino, è stato illustrato in vari commenti, i quali hanno sottolineato come nessuno che sia in buona fede possa avere nulla da temere da esso che vuole soltanto contribuire alla conciliazione generale europea, basata sul giusto riconoscimento degli interessi di tutti.

La moderazione del discorso, che non si è mancato di osservare, non solo nei riguardi della Francia, ma anche dell'Inghilterra, è indubbiamente tornata molto gradita alla Germania, dove in questo momento, anche per rispondere ai vari accenni che in questo senso sono stati fatti da parte inglese (e che hanno culminato nel discorso tenuto dal nuovo ambasciatore britannico a Berlino al momento della presentazione delle sue credenziali), l'opportunità di mantenersi sopra un piano europeo è particolarmente sentita ed apprezzata 1 .

601

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 2368/756. Berlino, 15 maggio 1937 (per. il 17 ).

Con i miei precedenti telespressi, relativi alla presentazione delle lettere credenziali al Cancelliere del Reich da parte del nuovo ambasciatore britannico a Berlino, Sir Nevile Henderson 2 , ed alla feste dell'Incoronazione di Londra, ho avuto occasione di far presente, come, in questi ultimi giorni, si sia qui verificato, particolarmente nelle corrispondenze apparse sulla stampa, un qualche più pronunciato avvicinamento nei confronti dell'Inghilterra.

Occorre notare in proposito come ad una tale presentazione -sempre a mezzo della stampa -dei vari aspetti del riavvicinamento e della visita a Londra del Maresciallo von Blomberg, non sia stata estranea l'azione dell'ambasciatore von Ribbentrop. Questi infatti, dopo il contrastato e movimentato inizio della sua missione diplomatica, si era mantenuto negli ultimi tempi in un certo riserbo, evitando persino, a quanto mi si dice, di invitare, a pranzo od a feste, nella sede dell'ambasciata, le autorità britanniche di maggiore rilievo. Ora quindi, in occasione delle feste di Londra, egli ha voluto compiere un maggiore sforzo per porre in risalto la cordialità dei rapporti anglo-tedeschi ed ha potuto riunire intorno al

I Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Si vedano in proposito i DD. 578 e 590.

775 Maresciallo von Blomberg -come questa stampa rileva con compiacimento i maggiori rappresentanti del governo e dell'opinione pubblica britannica.

Mi sembra interessante notare in proposito come, probabilmente sempre per iniziativa od invito di von Ribbentrop, siano convenuti a Londra, per l'Incoronazione, in forma privata, i rappresentanti, per così dire, delle maggiori personalità del governo tedesco. Così, ad esempio, il capo dell'ufficio stampa del ministero degli Affari Esteri, ministro Aschmann, il capo della Cancelleria privata del Fiihrer, Bouhler, il capo del Gabinetto militare di Goring, col. Bodenschatz, il capo di Gabinetto di Goebbels, Hanke, l'aiutante del capo delle formazioni S.A. Lutze, etc., i quali tutti erano presenti ai ricevimenti offerti nella sede dell'ambasciata di Germania in onore della missione guidata dal Maresciallo von Blomberg 1•

602

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3460/1159. Parigi, 16 maggio 1937 (per. il 18).

Il discorso pronunciato da V.E. alla Camera dei Deputati 2 ha sollevato una eco vivissima in questi ambienti ed è stato accolto con compiacimento che può dirsi pressoché generale. Infatti, parole di elogio hanno pronunciato in conversazioni private, autorevoli funzionari del Quai d'Orsay e, secondo quanto mi riferisce il R. Addetto Militare, anche personalità dello Stato Maggiore francese.

Le parole chiarificatrici di V.E. hanno calmato le apprensioni che si erano venute formando in Francia in queste ultime settimane circa temuti sviluppi della politica estera italiana nel senso della conclusione di una alleanza con la Germania, di una definitiva uscita dalla Società delle Nazioni o di un ulteriore inasprimento dei nostri rapporti con l'Inghilterra.

La sensazione di gradita sorpresa risentita in questo Paese trova espressione nei commenti della stampa, che, a prescindere da successive disquisizioni sulle possibilità concrete di un riavvicinamento franco-italiano, loda i criteri ispiratori del discorso. Esso viene infatti interpretato come indice di buone disposizioni dell'Italia a collaborare anche con i Paesi cosidetti democratici per il mantenimento della pace europea, respingendo ogni idea di blocchi antagonistici. Particolare rilievo viene dato al ribadito impegno di non-intervento nelle cose spagnole e, naturalmente, alle dichiarazioni di V.E. sullo stato attuale dei rapporti italo-francesi e sull'assenza di profondi motivi di contrasto fra i due Paesi.

Sull'argomento, meritano particolare rilievo i commenti di quegli organi che ricevendo, in materia di politica estera, la parola d'ordine del Quai d'Orsay, espri

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Il 13 maggio. Vedi p. 774, nota l.

mono con una certa approssimazione il pensiero dei circoli ufficiali. Mentre, infatti, i giornali di grande informazione come il Petit Parisien, il Matin, il Jour e il Journal mettono in evidenza le favorevoli prospettive aperte dal discorso di Vostra Eccellenza, il Temps, l'Echo de Paris, l' Oeuvre e il Populaire, per citare gli organi di maggiore rilievo, fanno seguire al compiacimento per la moderazione dei concetti espressi da V.E. alcune riserve sugli effettivi sviluppi della dichiarata volontà italiana di collaborazione e sulla valutazione degli ostacoli che si frappongono a un riavvicinamento franco-italiano.

Il Temps fornisce, come di solito, il commento d'insieme più completo e più sfumato. A conclusione di un lungo articolo, ove le espressioni di compiacimento si alternano con quelle di riserva, il giornale dichiara che «resta ora da vedere in quali condizioni gli atti del governo di Roma e le iniziative della diplomazia italiana saranno ispirati dalle idee e dai principi esposti dinanzi al Parlamento dal ministro degli Affari Esteri». Sull'Echo de Paris, Pertinax si rallegra della moderazione del discorso e delle dichiarazioni relative al non-intervento in Spagna ma, dopo aver difeso il punto di vista franco-inglese circa il patto occidentale e il riconoscimento giuridico dell'Impero, afferma di non poter essere convinto che nessun problema sostanziale separa la Francia dall'Italia, perché l'Italia, mostrando di non credere al pericolo tedesco, crede di potersi associare con la Germania. Lo stesso giornale, peraltro, riferisce la favorevole impressione sollevata dal discorso di V.E. a Londra.

Il commento dell'Oeuvre si avvicina notevolmente a quello del Populaire, ove André Lerroux, pseudonimo dell'antifascista naturalizzato Tasca, asserisce che i motivi di contrasto tra l'Italia e la Francia sono innegabili perché «in tutte le questioni che sono alla base dell'accordo franco-britannico» l'Italia mantiene una posizione ostile e negativa: Società delle Nazioni, sicurezza collettiva, patto occidentale estraneo alla Lega, rapporti con la Cecoslovacchia e con l'U.R.S.S. Se si tiene presente che il Populaire è l'organo del Presidente del Consiglio, non si può non constatare come il vassallaggio francese verso l'Inghilterra sia qui manifestato senza alcuna reticenza. La frase del Populaire fornisce forse la chiave dei guardinghi commenti della stampa e dei giornalisti ligi al governo. In presenza delle chiare e concilianti dichiarazioni del ministro italiano degli Affari Esteri, il governo francese ha voluto probabilmente evitare che l'Inghilterra, attraverso gli articoli della stampa francese, potesse avere l'impressione che la Francia è disposta ad una ripresa di cordiali rapporti con l'Italia senza prima essersi assicurata del gradimento inglese.

Come che sia, è certo che il discorso di V.E. ha prodotto in questo Paese una distensione notevolissima. Dei risultati immediati di tale distensione e dei suoi possibili risultati futuri si compiace apertamente l'opinione pubblica, e se ne compiacciono indubbiamente quegli stessi ambienti ufficiali che pur per ragioni di ideologia o di dipendenza dall'Inghilterra, devono ostentare una certa prudenza e riserva di atteggiamenti 1•

I Il documento ha il visto di Mussolini.

603

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 3461/1160. Parigi, 16 maggio 1937 (per. il 18).

Stamane è venuto a vedermi S.E. Pilotti, che mi ha riferito di avere avuto occasione di incontrarsi l'altro ieri, qui a Parigi, con Massigli per discutere alcune questioni tecniche relative alla riorganizzazione della Commissione del transito della

S.d.N. dovendo il delegato francese riferire al riguardo al Consiglio.

Alla fine del colloquio, Massigli ha preso l'iniziativa di intrattenere Pilotti della questione del riconoscimento della sovranità italiana sull'Etiopia quale potrebbe presentarsi a Ginevra in occasione della prossima Assemblea.

Secondo quanto mi ha riferito S.E. Pilotti, Massigli ha formulato l'ipotesi dell'invio di una sedicente delegazione di Tafari e l'ipotesi dell'assenza di essa, ed ha detto che tanto nella prima ipotesi come nella seconda gli uffici del Quai d'Orsay vedrebbero con simpatia la delegazione francese prendere un'iniziativa favorevole all'Italia.

Come è noto, nella prima ipotesi sarebbe la Commissione della verifica dei poteri ad avviare una soluzione, prendendo le mosse dalla decisione della precedente Assemblea. Ma anche nella seconda ipotesi -ha soggiunto Massigli -si potrebbe trovare un addentellato di procedura nella lista degli Stati membri per rilevare che essa comprende ancora l'Etiopia, mentre la Francia ed altri Stati hanno riconosciuto, almeno di fatto, la sovranità italiana su quei territori.

Circa le decisioni definitive, che naturalmente verranno prese da Blum e Delbos, Massigli non si è pronunciato, lasciando però comprendere che esse sono condizionate dall'atteggiamento del governo inglese.

In quanto agli umori di Londra, Massigli ha detto sapere che gli uffici del Foreign Office sono ugualmente desiderosi di arrivare ad una liquidazione della questione, mentre nulla gli risultava circa le attuali intenzioni del governo inglese, col quale il governo francese prende contatto al riguardo in questi giorni 1•

604

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3364/0109. Vienna, 17 maggio 1937 (per. il 19).

Mio telegramma per corriere n. 0106 2 del 10 corrente e rapporto riservato n. 1891/956 del 13 corrente3 .

l Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi p. 760, nota l. 3 Vedi D. 589.

Incidente della bandiera germanica a Pinkafeld non è ancora risolto. Governo del Reich ha chiesto in forma ufficiale attraverso il ministro d'Austria a Berlino la punizione dell'ufficiale che ha ordinato l'allontanamento della bandiera. Alla Cancelleria Federale si sostiene non esservi alcuna base legale per una punizione ed avere il governo federale fornito ogni spiegazione e dato, con deplorazione dell'ac

.~~

caduto e ristabilimento della bandiera, ogni soddisfazione.

Schuschnigg col quale ho parlato stamane, è disposto a dimostrare suo buon volere, andando sino al trasferimento dell'ufficiale ad altra guarnigione ma non ritiene poter fare di più.

Cancelliere è sfavorevolmente impressionato dal linguaggio minaccioso di alcuni giornali nazionalsocialisti del Reich, e ha sempre nuove prove di aiuti ad element.i radicali dei gruppi nazionali all'interno «Tutto ciò -egli mi ha detto -rende ancora più gravi le difficoltà della pacificazione interna, da me esposte anche a Venezia; ma ciò non mi può distogliere dalla mia strada. Si parla in Germania -vi ha accennato in tono minatorio anche l'Essener Nationalzeitung-di possibile denunzia dell'Accordo dell'Il luglio. Noi non avremmo dato alcun motivo a questo passo. Ed io sono risoluto ad evitare con ogni cura ogni complicazione, anche per riguardo ai nostri rapporti con l'Italia» 1•

605

Il MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 942/205 R. Roma, 18 maggio 1937, ore 17,45.

Ho veduto circa una settimana fa Drummond2• Ho richiamato molto seriamente sua attenzione su eccessi stampa inglese. Gli ho fatto osservare che di questo passo si potevano avere delle sgradevoli sorprese.

Sabato Drummond mi ha intrattenuto a sua volta sulla questione 3 . Per maggior chiarezza mi ha rimesso un lungo appunto scritto che invio a parte. Nell'appunto si sostiene che dell'attuale situazione stampa è più responsabile l'Italia che l'Inghilterra.

Si dice che anche volendo riconoscere che la colpa è delle due parti la questione resterebbe sempre aperta e non si giungerebbe a nessun risultato concreto. Si conclude citando tal une parti del gentlemen 's agreement e affermando che esse rappresentano la linea politica inglese. Il documento rimessomi non ha carattere formale. Rappresenta il riassunto delle cose dette. A voce Drummond ha aggiunto

l Con T. 3438/0113 R. del 20 maggio, Salata comunicava che l'incidente di Pinkafeld era stato finalmente chiuso con il trasferimento dell'ufficiale che aveva fatto rimuovere la bandiera e la pubblicazione di un comunicato del governo austriaco che deplorava l'accaduto.

2 Si tratta, presumibilmente, del colloquio dell'8 maggio per il quale si veda p. 734, nota 3. 3 Di tale colloquio non è stata trovata documentazione. Si veda il resoconto dell'ambasciatore Drummond in BD, vol. XVIII, D. 500.

che una tregua di stampa anzi la cessazione delle attuali polemiche sarebbe altamente desiderabile. Naturalmente il governo inglese non potrebbe che usare «una influenza moderatrice» sulla stampa conservatrice e liberale, non sulla stampa restante. Da parte nostra si dovrebbero dare istruzioni di non più attaccare l'Inghilterra. Beninteso libere le due stampe di criticare, ma non di ingiuriare. Però anche la critica con moderazione escluso quello che tocchi le cose" più sacre dei due Paesi, come l'onore dell'esercito.

Il Capo ha accettato. Da ieri non vi è niente sui nostri giornali contro l'Inghilterra. Ho anzi indicato a Drummond 1 la possibilità di un comunicato secondo le linee che telegrafo a parte2• Drummond si è riservato di interpellare Londra ma per la Pentecoste finora non ha avuto risposta. Crede che l'avrà oggi o domani 3 .

Il ritiro dei corrispondenti italiani essendo stato un atto unilaterale da parte nostra, il ritorno di corrispondenti a Londra non è stato preso in esame.

606

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PERSONALE SEGRETO PER CORRIERE 943/188 R. Roma, 18 maggio 1937.

Seguito telegramma n. 72904 .

Informi Goering che risulta da fonte sicura che Schuschnigg ha chiesto che il governo francese e quello inglese facciano alla prossima Assemblea della S.d.N ., indifferentemente dall'atteggiamento dell'Ungheria, una dichiarazione nel senso di garantire lo statu quo dei Paesi del Bacino danubiano. Ciò si sarebbe proposto di ottenere il ministro Schmidt nella sua missione a Londra ed a Parigi.

607

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PER CORRIERE 7290 P.R. 5 . Roma, 18 maggio 1937.

Fare a Goring la seguente testuale comunicazione: «Ringraziamo vivamente per comunicazioni fatteci tramite Cittadini. Sono utilissime per fissarci su attività

1 Nel corso di un colloquio del 16 maggio, per il quale si veda ibid.. D. 504.

2 Con T. 945/207 R. del 18 maggio, non pubblicato.

3 Il 19 maggio, il governo britannico faceva presente che, data la posizione di cui godeva la stampa in Gran Bretagna. la diffusione di un comunicato congiunto presentava delle difficoltà e che era preferibile attendere che gli animi si calmassero e studiare poi l'opportunità di diffondere una dichiarazione comune che ribadisse la fedeltà dei due governi agli impegni presi con il gentlemen 's agreement (lettera 366/167/37 di Ingram a Bastianini del 19 maggio).

4 Vedi D. 607.

5 Minuta autografa.

di Vienna ed anche su quella di Londra, di cui tanto noi quanto Berlino dobbiamo continuare a sorvegliare ogni mossa. Assicuro reciprocità di eventuali comunicazioni analoghe. Cordiali saluti» 1 .

608

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3408/0144 R. Londra, 18 maggio 1937 (per. il 21).

Miei rapporti n. 1974/801 2 e n. 1978/8023 .

«Affari Esteri» e «Difesa» sono, secondo le stesse parole inaugurali di Baldwin, i problemi centrali e principali cui è chiamata a discutere la nuova Conferenza Imperiale apertasi a Londra lo scorso venerdì. Ma la definizione è insufficiente ed inesatta. «Affari Esteri» e «Difesa» rappresentano una formula intorno alla quale gravitano problemi di più vasta, più intima e più vitale portata: la base stessa, cioè, delle relazioni tra Regno Unito e Domini e dell'avvenire dell'Impero Britannico.

Lo Statuto di Westminster ha chiuso formalmente il periodo «coloniale» dell'espansionismo britannico, sugellando, attraverso la formulazione dei rapporti costituzionali tra Regno Unito e Domini, un periodo di evoluzione apertosi esattamente 50 anni or sono, con la prima Conferenza Imperiale ideata e voluta

1 La comunicazione di Giiring cui si fa riferimento era contenuta nel seguente appunto, non datato, a firma Cittadini: «Sua Eccellenza il Generale Giiring mi ha incaricato di riferire all'Eccellenza Vostra quanto segue:

lo -dai suoi informatori nazionalsocialisti residenti a Vienna, ai quali nulla sfugge di quanto avviene nelle sfere governative austriache, ha saputo che al Ballhausplatz non si è affatto contenti dell'ultimo incontro a Venezia e in generale della politica dell'asse Roma-Berlino. Risulta ai predetti informatori che l'Austria sarebbe disposta a subire un'influenza inglese tendente ad allontanarla dalla politica italo-tedesca orientandola invece verso l'Est (Cecoslovacchia). Detta informazione è confermata dalla conversazione telefonica che ha avuto luogo il 12 del corrente mese fra il Cancelliere Schuschnigg e il Dott. Schmidt; quest'ultimo avrebbe assicurato gli inglesi che, nonostante gli accordi con l'Italia e la Germania, l'Austria si ritiene completamente libera nella sua politica estera.

Il Generale Giiring garantisce da parte sua la maggiore sincerità nel tenere al corrente l'Italia delle informazioni che gli pervengono da Vienna. Egli desidera altrettanta sincerità da parte nostra.

Giiring è d'avviso che per ora sia necessario osservare ed attendere ulteriori mosse austriache.

2° -Giiring desidera che l'Italia faccia il suo possibile per ostacolare la costruzione dei 35.000 tonnellate da parte degli Stati Uniti d'America per l'U.R.S.S. 3° -Ulteriori informazioni riguardanti l'Ungheria saranno comunicate domani al Conte Magistrati». 2 Telespresso 1974/801 (successivamente modificato in 1991 /807) del lo maggio, relativo alle cerimonie di apertura della Conferenza Imperiale.

3 Telespresso 1978/802 (successivamente modificato in 1995/810) del 18 maggio. Riferiva su alcune dichiarazioni fatte alla vigilia dell'apertura della conferenza dal ministro sud-africano della Difesa, Pirow, il quale aveva detto che la Gran Bretagna non aveva mai chiesto e non avrebbe mai chiesto al Sud Africa altro che di provvedere alla propria difesa. Le dichiarazioni di Pirow -osservava Grandi indicavano quanto delicati fossero i problemi di ordine costituzionale esistenti tra Gran Bretagna e Dominions e avevano suscitato in Gran Bretagna un'impressione negativa perché escludevano l'ipotesi di una partecipazione dei Dominions al riarmo britannico.

da Salisbury nel 1887. Lo stesso Statuto di Westminster ha aperto un nuovo capitolo per l'Inghilterra: quello dello sforzo verso il «recupero», attraverso formule e sistemi alternativi, di quella autorità, di quel diritto di iniziativa determinante cui aveva formalmente abdicato; quello della ricostituzione, su nuove basi, della sostanziale unità dell'Impero. Nel campo più squisitamente politico, la Lega della Nazioni aveva, a parte altri vantaggi, offerto all'Inghilterra un prezioso strumento, sia per rafforzare la propria mano a Ginevra, sia per influire in maniera indiretta ma decisiva sulla volontà dei Domini, pur dando loro tutta l'illusione e la soddisfazione di una «autodecisione»; nel campo economico, Ottawa1 doveva, attraverso un sistema di preferenze tariffarie, gettare le fondamenta di una nuova unità imperiale. La Lega è fallita; Ottawa comincia a non soddisfare più i Domini, i quali hanno bisogno di più vasti mercati per le loro materie prime che non quello limitato del Regno Unito; lo stesso Statuto di Westminster, con la sua aria di documento finale, scricchiola da più parti e riesce, ad esempio, a giustificare la nuova posizione assunta dall'Irlanda solo con l'ignorarla. Il lento processo centrifugo dei Domini continua nella sua fatale evoluzione. Il compito della nuova Conferenza Imperiale è quello di arrestare o addirittura capovolgere questo processo; di trovare una nuova formula di coesione; di ricercare il mezzo per armonizzare la compiacente sensazione di sicurezza del Canada con le preoccupazioni giapponesi dell'Australia, il crescente nazionalismo Sud-Africano col societarismo socialistoide della Nuova Zelanda; infine e sopratutto quello di trovare il modo di controllare e dirigere la politica estera dei Domini, in forma unitaria ed a seconda degli interessi del governo di Londra.

Il riarmo britannico è in parte il prezzo che l'Inghilterra paga per raggiungere questi obiettivi. E vi è sopratutto nel pensiero di una considerevole ed importante sezione del partito conservatore, la speranza di riuscire a sostituire nella mente dei Domini l'idolo ginevrino con l'apparato di una potente macchina militare britannica. Perfino il Times apre la porta ad una ritirata societaria, dichiarando che «il più grande servizio che la Conferenza Imperiale potrebbe rendere in questo momento alla Lega è quello di accordarsi su di una interpretazione degli obblighi del Covenant, che sia generalmente accettabile ed applicabile nelle condizioni presenti»; una interpretazione che «non implichi per i Domini un obbligo automatico di partecipare ad una guerra societaria, dovunque ed in qualunque occasione tale guerra possa divampare».

Contro i fattori negativi del fallimento ginevrino (sul quale la stampa va da tempo insistendo, quasi con compiacimento) e della incerta pericolosa situazione internazionale, il riarmo inglese viene presentato e magnificato come la vera unica ancora di salvezza; come sostituto a Ginevra, l'Impero è salutato dal generale Smuts come «la reale e pacifica Lega delle Nazioni Britanniche»; sullo sfondo, la possibilità di una collaborazione sempre più intima, nel campo economico e politico con gli Stati Uniti (ne troviamo un esempio concreto nel progetto del primo ministro australiano, Lyons, di un patto di non aggressione per il Pacifico), tocca una nota

1 Riferimento alla Conferenza economica imperiale di Ottawa del 21 luglio-20 agosto 1932.

sentimentale (il consueto tema della comunanza d'origine di lingua e di carattere) e materialistica (miraggio del mercato americano) particolarmente sensibile alla mentalità dei Domini.

Sono queste, per tracciare solamente alcune delle linee principali, le tendenze ed i problemi della Conferenza Imperiale 1937. Così complesso è il quadro delle questioni in esame, degli interessi generali e specifici in causa, delle speciali situazioni politiche particolari, degli elementi interessati, del gioco degli eventi internazionali che sovrastano i lavori e le deliberazioni della Conferenza, che qualsiasi previsione sui risultati immediati e mediati della stessa sarebbe per necessità azzardata ed incompleta. Forse, come tutte le cose troppo grandi, essa si risolverà in una serie di compromessi e mezze misure. Certo su di essa verte potenzialmente tutto un indirizzo futuro della politica estera inglese.

609

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3416/0134 R. Parigi, 19 maggio 1937 (per. il 21).

È venuto or ora a vedermio il segretario di Stato austriaco, Dr. Schmidt 1• Mi ha riferito di avere veduto Delbos e di essersi limitato a lasciare la carta da visita a Blum. Delbos gli aveva fatto una buona impressione, di persona sensata e desiderosa di rendersi conto delle situazioni. Egli gli aveva detto che la posizione dell' Austria era quella di uno Stato tedesco, che non intendeva, né poteva fare politica contraria allo spirito nazionale della popolazione, legato da molti anni e sinceramente di amicizia con l'Italia.

Derivava da questa situazione dell'Austria che non le si poteva chiedere di fare una politica che fosse stata in contrasto con quella della Germania e dell'Italia. Schmidt mi disse di avere aggiunto che riteneva utile esprimersi con Delbos in questi termini assai chiari per evitare che gli si avanzassero proposte del genere di quelle patrocinate da certa stampa (Pertinax dell' Echo de Paris odierno) giusta le quali la Francia e l'Inghilterra dovrebbero fare una dichiarazione di garanzia dell'integrità territoriale dell'Austria e della Cecoslovacchia.

Delbos aveva dal suo lato detto di essere perfettamente convinto che l'indipendenza dell'Austria fosse sufficientemente garantita dalla politica che essa aveva deciso di seguire, ispirandola alla tutela dei suoi interessi nazionali ed economici.

I Il ministro degli Esteri austriaco, Schmidt, si era recato a Londra per presenziare alle cerimonie per l'incoronazione di Giorgio VI e vi si era fermato dal l O al 17 maggio. Di ritorno, aveva fatto una sosta a Parigi, il 19-20 maggio. Si vedano in proposito i DD. 613, 633, 636.

Ho richiesto a Schmidt se non fosse stato fatto da Delbos alcun accenno ad una politica più liberale in Austria. Il segretario di Stato rispose che Delbos si era limitato a dirgli che, ancorché ciò fosse sorprendente, la politica autoritaria inaugurata quattro anni or sono aveva permesso all'Austria di progredire, cosa ch'egli non esitava a riconoscere.

Risultava peraltro a Schmidt che Blum, conferendo recentemente con Puaux, gli aveva detto che sarebbe stato necessario far comprendere a Schuschnigg la opportunità di riammettere al governo i socialisti. Puaux aveva risposto che dire una cosa simile significava non conoscere la situazione esistente in Austria e Blum non aveva insistito.

Ho chiesto a Schmidt le sue impressioni sul suo soggiorno a Londra e sui colloqui avuti con gli uomini politici inglesi. Rispose di essersi espresso con Eden in termini analoghi a quelli adoperati con Delbos. Eden aveva dal suo lato mostrato di comprendere la posizione dell'Austria. Aveva tratto l'impressione che Eden fosse forte e che rimarrebbe al Foreign Office anche col Gabinetto Chamberlain. Doveva dirmi che de Kanya aveva dei dubbi sull'interessamento di Eden per i problemi dell'Europa centrale. Egli viceversa aveva rilevato che Eden li conosce perfettamente e che non intende affatto disinteressarsene. Aveva pure rilevato che i rapporti tra l'Inghilterra e la Francia sono intimissimi, come non furono mai in passato. Se ne attribuiva a Londra il merito a Delbos ricordando che quando egli assunse la direzione del Quai d'Orsay essi erano invece seriamente compromessi a causa degli screzi gravissimi sorti fra Parigi e Londra durante la guerra etiopica. "

Schmidt mi disse di avere chiesto a Delbos se egli credeva più probabile un riavvicinamento tra Londra e Berlino o tra Londra e Roma, ottenendo la risposta che gli sembrava più agevole il primo.

Schmidt mi parlò pure dell'ottima impressione prodotta a Londra dal Maresciallo von Blomberg 1 e dell'eccellente lavorio svolto da questo militare che aveva meravigliato gli inglesi per la grande misura delle sue parole ed i suoi modi garbati. Ho risposto che la cosa non mi meravigliava perché avevo io stesso intrattenuto con il Maresciallo von Blomberg, durante la mia missione a Berlino, i rapporti più cordiali, trovando in lui una perfetta comprensione anche quando le situazioni erano difficilissime. Il suo tatto si era del resto mostrato in modo superlativo nel Reich, dato che egli era riuscito, senza strepito ed anzi col consenso del Fiihrer, a liquidare per così dire le formazioni brune ed a far prevalere la volontà della Reichswehr. L'azione abilmente svolta dal Maresciallo von Blomberg era del resto stata posta in rilievo, con non poca ansia, dalla stampa francese.

Siccome il segretario di Stato Schmidt partirà già domattina, recandosi a Berna per aderire all'invito rivoltogli dal Presidente della Confederazione Elvetica, non avendo il tempo materiale di restituirgli la visita alla legazione d'Austria, mi recherò a salutarlo alla stazione.

l Vedi D. 648.

610

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA E SALAMANCA E ALLA LEGAZIONE A LISBONA

T. 949/c.R. Roma, 20 maggio 1937, ore 3,30.

(Solo per Londra e Salamanca) Ho telegrafato a Berlino e Lisbona quanto segue;

(Per tutti) Drummond mi ha fatto ieri pervenire una nota verbale nella quale si dichiara che il governo britannico, nella convinzione che gli eventuali accordi da adottarsi dal Comitato di non intervento circa il problema dell'evacuazione dei volontari stranieri dalla Spagna, e attualmente allo studio da parte del Sottocomitato consultivo, non potranno essere posti in atto che con grandi difficoltà, perdurando sui fronti spagnoli le ostilità attive, propone che i governi interessati, facciano subito, e prima che qualunque discussione in proposito abbia luogo in seno al Comitato, i passi necessari presso le due parti in conflitto per indurle ad accettare una cessazione generale di ostilità per un periodo sufficiente a porre in atto un qualunque progetto di evacuazione.

Drummond mi informa che analoghe note verbali sono state fatte pervenire ai governi tedesco, francese, sovietico e portoghese.

A parte ogni considerazione sugli scopi veri o nascosti della proposta britannica, non vedo ragione perché un armistizio debba precedere le discussioni in fatto di evacuazione che dovranno aver luogo in seno al Comitato di non intervento. Non vi è infatti motivo perché non si debbano attendere quelle proposte concrete che il Sottocomitato consultivo tecnico ha in corso di elaborazione e la cui conoscenza potrà soltanto consentire un giudizio preciso sull'effettiva possibilità della evacuazione medesima e delle sue modalità. Un insuccesso dell'iniziativa attuale non potrebbe d'altra parte che nuocere seriamente, sia alle Potenze che la fanno propria, sia alla già scossa autorità del Comitato di non intervento, gravemente pregiudicando ogni possibilità di elaborazione del futuro progetto di evacuazione.

Queste le mie osservazioni preliminari, sulle quali desidererei conoscere d'urgenza le opinioni di codesto governo allo scopo di stabilire, d'accordo, una comune linea di azione nei confronti della nota britannica.

(Solo per Salamanca) Prego informare d'urgenza di quanto precede il generale Franco e farmi conoscere suo avviso, anche indipendentemente dalla questione del ritiro dei volontari. Il susseguirsi delle manovre britanniche è chiaramente indicativo degli scopi che il governo di Londra si propone e che si riassumono in uno solo: evitare la vittoria dei nazionalisti, ragione per cui Ella dirà a Franco che è urgente accelerare i tempi nella misura del possibile 1 .

l Per le risposte si vedano i DD. 611, 616, 623 e 625.

611.

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3400/117 R. Lisbona, 20 maggio 1937, ore 23,10 (per. ore 4 del 21).

Rispondo al telegramma di V.E. n. 949 C, in data odierna 1•

Segretario generale degli Affari Esteri cui ho subito fatto comunicazioni prescrittemi da V.E., mi ha detto che in nuovo colloquio che aveva avuto oggi con questo ambasciatore d'Inghilterra gli aveva svolto, seppure ancora a titolo preliminare, gli argomenti che nell'opinione del governo portoghese sono contrari alla proposta britannica. Essi concordano esattamente due prime considerazioni di V.E. (non vi è ragione discutere armistizio in relazione evacuazione, cui progetto dovrà essere esaminato dal sottocomitato tecnico soggiungendo: «Non vi è ragione di non attendere tale proposta»).

Ha detto che era una circostanza veramente disgraziata che tutte le varie proposte fatte a titolo umanitario (prigionieri, cessazione ostilità, bombardamento

o incendi di località indifese) coincidessero con offensiva sviluppatasi favorevolmente generale Franco e fosse in pari tempo accompagnata da violenta campagna stampa da parte di certi Paesi. Ha osservato ancora che dal principio di non intervento, che è concetto negativo, con tutte le proposte predette, con i controlli internazionali (e con ultime iniziative britanniche) si passa ad azioni positive, vale a dire ad un rinnovato intervento che ha vere e proprie mire militari. Ambasciatore ha domandato sollecita risposta definitiva.

Poiché è desiderio governo portoghese mantenere linea netta e senza esitazioni, assunta nei riguardi questione spagnola, risposta scritta sarà elaborata al più presto possibile, domani o dopo. Essa non conterrà tutti gli argomenti svolti da segretario generale, alcuni dei quali erano detti a titolo personale. Non era neppure ancora sicuro se sarà nettamente negativa, o, come è più probabile, se non farà invece apparire che base di tali considerazioni saranno certamente le prime due formulate da V.E. Circa ultima parte di esse, segretario generale mi è sembrato particolarmente impressionato da argomentazioni che stessa proposta ritiro volontari potrebbe essere pregiudicata, mentre circa prestigio Potenze e autorità Comitato Londra non era sicuro che data speciale posizione e situazione portoghese, suo governo fosse incline ad adottarle, pur non escludendolo affatto.

Nel pregarmi ringraziare l'E.V. per amichevole comunicazione segretario generale mi ha assicurato che mi avrebbe dato la risposta portoghese non appena sarebbe stata elaborata sullo schema di V.E.

I Vedi D. 610.

612

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3468/043 R. Bruxelles, 20 maggio 1937 (per. il 24).

Mio telegramma per corriere n. 041 1•

Segretario generale è tornato oggi a parlarmi della sicurezza del Belgio, con frequenti allusioni al nostro Paese. Ho infatti notato la sua cura nel mettere in rilievo:

0 ) che il discorso del Re del 14 ottobre si proponeva non solo di far svincolare il Belgio da ogni obbligo di assistenza dipendente dal vecchio Locarno, ma altresì di fargli riacquistare «quella posizione d'equilibrio, quella posizione d'equidistanza», di cui il Belgio aveva usufruito prima del 1914 ed a cui esso vivamente aspira;

2°) che il governo belga, liberato finalmente dagli obblighi di reciprocità pel fatto della recente dichiarazione franco-inglese, desidera adesso veder sistemata la sua situazione anche nei rispetti di Roma e Berlino;

3°) che all'uopo si era pensato e si pensava ad un eventuale patto plurilaterale di non aggressione, nei rispetti del Belgio, da parte degli altri quattro firmatari di Locarno, nonché a contemporanee dichiarazioni di garanzia da parte degli stessi firmatari, il tutto in fondo rispondendo, con le modifiche e restrizioni imposte dalle nuove circostanze, a quanto previsto da alcuni alinea degli articoli 2 e 4 del patto di Locarno.

4°) che il Belgio non aveva in realtà preferenze, né per questa, né per altra formula, il suo unico scopo essendo quello di veder sistemato in modo definitivo e completo il suo nuovo statuto internazionale, riacquistando così quella posizione di «equilibrio», essenziale per la sua nuova politica di indipendenza o di neutralità volontaria.

Su quest'ultimo concetto ha insistito meco anche il barone Capelle, segretario del Re, il quale ha tenuto specialmente a sottolineare tutto l'interesse del Belgio a che la sua nuova situazione, oggi contrassegnata dalla dichiarazione franco-inglese, venga armonizzata ed inquadrata da Roma e da Berlino.

Questi accenni vanno messi in relazione con le informazioni datemi dagli stessi due miei interlocutori sull'odierna visita di Delbos 2 . Entrambi mi hanno accennato a speciali vedute francesi circa il problema relativo alla nuova situazione del Belgio. Il van Langenhove mi ha detto che tutto lasciava supporre che Delbos

I Con T. per corriere 3272/041 R del IO maggio, l'ambasciatore Preziosi aveva riferito su un colloquio con Spaak che si era mostrato ansioso di eliminare qualsiasi connessione tra la posizione del Belgio ed il problema della frontiera franco-tedesca. A tal fine -gli aveva dichiarato Spaak -egli stava esaminando con la più grande attenzione l'eventualità di realizzare fra gli Stati limitrofi un patto plurilaterale, mentre riteneva difficile addivenire a dei patti di assistenza.

2 Vedi D. 634.

avrebbe patrocinato, nella sua visita, una sistemazione su «linee più vaste», in un «quadro più ampio» di quello strettamente attinente al fattore Belgio. Il Capelle è andato più oltre, osservando «che i francesi, ormai sotto l'impressione dell'intima solidarietà da essi raggiunta cogli inglesi, tendono a mandare per le lunghe la sistemazione integrale del Belgio», ma che tutto ciò non era affatto nell'interesse di questo Paese, per il quale lo svincolo da ogni obbligo di reciprocità verso la Francia e l'Inghilterra non può né deve significare che il semplice raggiungimento di una prima tappa.

Infine, evidentemente nella stessa intenzione, il van Langenhove mi ha annunziato che Spaak, nel brindisi di questa sera, accennerà che il Belgio vuoi divenire un trait d'union, essendo questa funzione proprio quella cui maggiormente aspira l'intero Paese con la sua nuova politica.

613

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI Al MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER· CORRIERE 3478/0138 R. Parigi, 20 maggio 1937 (per. il 24).

Mio telegramma per corriere n. O134 1 .

Mi sono recato stamane a salutare segretario di Stato austriaco Schmidt alla stazione e gli ho chiesto, se, durante il suo colloquio con Delbos, fosse stata menzionata in qualsiasi modo la Cecoslovacchia. Schmidt mi rispose che egli si astenne dal fare il nome di quello Stato perché non ama lasciare anche lontanamente supporre che esistano legami tra l'Austria e la Cecoslovacchia. L'aveva invece menzionata Delbos, di sfuggita però, e solo per domandargli se egli credeva che la Cecoslovacchia corresse pericolo di essere aggredita dalla Germania. Egli aveva risposto di non poter fare prognostici di questa specie ed aveva dal suo Jato chiesto se in un caso simile la Francia avrebbe prestato la sua assistenza allo Stato alleato. Delbos aveva dichiarato che esisteva un impegno formale al riguardo, al che Schmidt aveva osservato che ciò gli era noto ma che domandava ugualmente se in un caso di aggressione del Reich contro la Cecoslovacchia si sarebbe realmente verificata l'assistenza piena ed intera e quindi anche militare della Francia. Delbos aveva omesso di dare una risposta categorica ma aveva ripetuto che l'impegno di assistenza esisteva e che ad esso la Francia avrebbe fatto onore.

Schmidt mi disse che era soddisfatto dei suoi colloqui di Parigi i quali avevano sortito il risultato di far ammettere anche dalla stampa francese che la politica austriaca si svolge nella linea dell'asse Roma-Berlino e di far smentire le voci ch'essa stessa aveva poste in giro che l'Austria avrebbe sollecitato una dichiarazione di garanzia per la propria integrità da parte della Francia e dell'Inghilterra. Era stato impressionato dal constatare quanto grande sia l'influenza esercitata dagli ebrei sul

l Vedi D. 609.

governo di Fronte Popolare e riteneva che fosse probabile una reazione in senso decisamente antisemita.

So che Schmidt aveva chiesto di fare ieri visita, oltre a me, anche all'ambasciatore di Germania. Ad ogni modo nessun membro dell'ambasciata del Reich era presente alla stazione quando il segretario di Stato austriaco lasciò Parigi. Può darsi che il conte Welczeck avesse avuto il tempo di restituire la visita alla legazione d'Austria. Mi riservo di compiere indagini al riguardo.

614

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3474/0141 R. Parigi, 20 maggio 1937 (per. ore 14 del 24).

Ho chiesto a Léger se mi poteva dare informazioni circa i colloqui che Blum e Delbos ed egli stesso avevano avuto con Litvinov 1 . Accedendo di buon grado alla mia richiesta, Léger mi disse che Litvinov aveva lasciato chiaramente intendere che desiderava fare pubblicamente constatare non esservi regresso nei rapporti esistenti tra la Francia e l'U.R.S.S. Dal suo canto la Francia aveva tenuto a far comprendere al commissario del popolo sovietico che gli accordi esistenti sono una realtà, niente di più e niente di meno peraltro di quello che effettivamente sono. Léger aggiunse che, poiché io conoscevo bene Litvinov potevo rendermi facilmente conto dei suoi timori. Sospettoso com'è e occorre pure ammetterlo, minato all'interno da avversari i quali vorrebbero farlo apparire un illuso o un ingenuo, Litvinov mostrò nelle sue conversazioni di temere che, al momento venuto, l'accordo franco-sovietico evaporasse. Da parte francese, si ebbe la sensazione precisa che se lo si fosse lasciato partire da Parigi portando seco l'impressione della scarsa consistenza dell'accordo stesso, Litvinov avrebbe lavorato immediatamente in modo da compiere una conversione verso la Germania, cosa che il Quai d'Orsay considera di non difficile attuazione.

Per l'U.R.S.S. la Germania sarebbe infatti un partner moto più interessante che la Francia. Non si doveva scordare che, nei riguardi del Giappone, la Francia si era costantemente ricusata di assumere alcun impegno verso l'U.R.S.S. Essa aveva anzi tenuto a dichiarare esplicitamente a Mosca che nel caso di un coflitto sovietico-nipponico, l'atteggiamento francese sarebbe stato di stretta neutralità non solo, ma la Francia aveva costantemente rifiutato di vendere all'U.R.S.S. armamenti che avessero carattere offensivo (artiglierie da campagna e persino cannoni antiaerei) limitandosi fornire materiale con spiccato carattere difensivo, come i cannoni da costa. Bastava enunciare il pericolo che costituirebbe per la pace del mondo un'intesa fra l'U.R.S.S. e la Germania riarmata per far comprendere come l'accordo franco-sovietico fosse stato concluso appunto per impedire una tale eventualità.

I Il 18 maggio, a Parigi, dove Litvinov si era recato in visita ufficiale.

Del resto, l'accordo franco-sovietico, ancorché venga attualmente considerato in Germania ed in altri Paesi (Léger omise di menzionare l'Italia) come una minaccia per la pace dell'Europa, era stato invece concepito dai firmatari del trattato di Locarno 1 , Germania esclusa. Esso era per di più stato concluso quando si constatò l'impossibilità negoziare un patto collettivo orientale, ma concluso in modo da rimanere aperto alle successive eventuali adesioni di altri Stati. L'accordo stesso aveva principalmente lo scopo di «portare» l'U.R.S.S. in Europa. Era stato convenuto infatti che l'U.R.S.S. entrasse, come contropartita, a far parte della S.d.N. e chi si era rallegrato in modo particolare di ciò era stata l'Inghilterra, la quale attribuisce un'importanza speciale alla vitalità della Lega e si rendeva conto che se l'U.R.S.S. ne fosse rimasta fuori avrebbe formato presto o tardi blocco con il Reich e che questo blocco avrebbe avuto carattere spiccatamente anti-societario. Oggi l'Inghilterra è divisa in due campi: il governo non vede di mal'occhio il patto franco-sovietico, per le ragioni suddette, mentre una buona parte dell'opinione pubblica avversa al comunismo, gli è sfavorevole.

Il comunicato circa il soggiorno di Litvinov a Parigi era stato commentato dalla stampa tedesca in temini altrettanto ingiusti che violenti. Ora, secondo Léger, i piani della Germania sarebbero di cercare di riavvicinarsi all'U.R.S.S .. Alle obiezioni da me mosse al riguardo, Léger insistette nel dire che ciò che in fondo urta i tedeschi ed in particolare modo il Fiihrer, è la presenza della III Internazionale a Mosca. Ma Stalin è uomo senza principi fissi, è un asiatico mutevole e nulla gli impedirebbe domani, pur di poter fare un accordo con la Germania riarmata, di decidere l'allontanamento della III Internazionale da Mosca ed il suo trasferimento altrove. Se ne era già parlato un paio d'anni or sono ed in quell'occasione si era anzi fatto il nome di Parigi come quello della nuova sede. Riteneva superfluo aggiungere che il governo francese non vi consentirebbe. Egli aveva di Stalin, dopo i colloqui avuti con lui a Mosca quando vi si recò con Lavai, l'opinione che egli non muoverebbe la minima obiezione se in Francia vi fosse un governo diverso dall'attuale che sopprimesse il partito comunista ed imprigionasse i suoi membri. Stalin assumerebbe in tal caso lo stesso atteggiamento che mantiene nei riguardi della Turchia, perché quello che a lui importa non è il propagarsi del comunismo nel mondo quanto l'affermarsi della potenza sovietica, cioè della potenza russa. In ciò egli è ben diverso da Lenin; questi era un apostolo, Stalin è semplicemente un dominatore non del mondo ma dell'U.R.S.S.

Da quanto mi aveva detto appariva chiaro che la situazione risultata dai colloqui con Litvinov è la seguente: Litvinov volle assicurazioni sulla persistenza degli accordi franco-sovietici e chiese che il comunicato relativo fosse redatto in temini tali da non lasciar sussistere dubbi al riguardo, la Francia ebbe la sensazione che se non dava all'U.R.S.S. la certezza che gli accordi rimangono quali sono, nulla di più, ma neanche nulla di meno, Litvinov avrebbe cercato di riannodare degli accordi con il Reich. In tale stato di cose era evidente che la Francia aveva avuto tutta la convenienza di dare le assicurazioni che le venivano richieste. Léger aggiunse con insistenza che a riprova del carattere pacifico degli accordi franco-sovietici stava il fatto che non esistono contatti di sorta fra gli Stati Mag

1 Sic.

giori e che anche le relazioni fra i militari dei due Paesi ed i rispettivi addetti militari hanno un carattere molto riservato e sono !ungi dall'essere fiduciosi come con altri addetti militari.

615

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3509/0144 R. Parigi, 20 maggio 1937 (per. il 25).

Mio te l espresso n. 346011159 del 16 corrente1•

«Discorso bene inquadrato, abilmente condotto, che attraverso una moderazione apprezzata universalmente proclamò il mantenimento dei punti fermi della politica estera italiana». Questo fu testualmente il giudizione di Léger sul discorso pronunziato dalla E.V. alla Camera dei Deputati il 13 maggio. Aggiunse che aveva avuto modo di constatare a Londra come esso fosse stato accolto col massimo favore dagli uomini di Stato di ogni Paese.

Esaminandolo poi partitamente, Léger disse di credere che Italia ed Inghilterra finiranno per trovare un terreno d'intesa. Era purtroppo scettico per quanto riguarda i rapporti italo-francesi.

«Siamo della stessa stirpe, abbiamo la stessa mentalità, ma appunto per ciò voi in Italia avete un partito preso contro la Francia e qualunque cosa essa faccia prendete tutto in cattiva parte». Protestai vivacemente, ma.Léger insistette sul suo modo di vedere e mi pregò di non obbligarlo a scendere a particolari. Mi disse poi che da varie parti gli erano pervenute lamentele per il modo con cui V.E. aveva esposto al Parlamento la questione delle lettere credenziali dell'ambasciatore di Francia a Roma. Il punto di vista italiano contrastava con quello francese al riguardo e qui si continuava a considerare che la discriminazione fatta tra l'ambasciatore d'America e quello di Francia fosse stata lesiva della suscettibilità francese. Siccome Léger è il vero colpevole in tutta questa faccenda perché avrebbe dovuto opporsi al richiamo del conte de Chambrun e non lo fece, si capisce come egli si senta scottato. In realtà ben poca gente in Francia pensa che abbia ragione il proprio governo. La stragrande maggioranza opina che non si poteva agire in modo meno abile.

Altro punto che Léger menzionò meco è quello relativo ad un eventuale nuovo trattato che sostituisca quello di Locarno. Egli disse di non comprendere perché l'Italia insista nel sostenere che un nuovo trattato debba accostarsi il più possibile a quello perento. La situazione è radicalmente mutata, dato che la base fondamentale del vecchio trattato era l'esistenza della zona demilitarizzata lungo il Reno. La scomparsa di questa zona fa sì che un nuovo trattato non possa più avere il carattere di garanzia della linea renana e ciò è importantissimo. Per di più l'Italia

I Vedi D. 602.

insiste perché il nuovo trattato sia per quanto possibile identico a quello vecchio ma viceversa non intende ammettere che esso sia concluso nel quadro della S.d.N., domanda che la garanzia offerta dall'Italia e dall'Inghilterra sia collettiva, mentre il vecchio trattato sanciva che la garanzia non fosse necessariamente collettiva e potesse anche essere singola ed infine non vuole consentire che sia il Consiglio della S.d.N. a determinare l'aggressione riservando questo compito agli Stati garanti. Dato quanto precede egli riteneva che sarebbe miglior partito quello di condividere il parere della Francia e dell'Inghilterra, che ritengono ormai superfluo parlare di un nuovo trattato di assistenza occidentale e che si sono quindi contentate di stringere fra loro accordi di assistenza reciproca in caso di aggressione e di riconoscere d'altro lato il principio della indipendenza politica del Belgio.

Gli ho risposto che noi avevamo fatto conoscere il nostro punto di vista. Spettava alla Francia ora ed all'Inghilterra di far conoscere le loro obbiezioni in un documento. Léger mi disse che la cosa dovrebbe essere eventualmente fatta dal governo di Londra, ma questo la pensava ad ogni modo esattamente così come egli me lo aveva esposto.

616

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTO LI CO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 2442/767. Berlino, 20 maggio 1937 (per. il 22).

All' Auswartiges Amt, dove questa mane mi sono subito recato per le comunicazioni di cui al telegramma n. 949 /C 1 , non si aveva notizia di una Nota Verbale inglese corrispondente a quella comunicatemi dalla E.V. Risultava solo pervenuta al barone von Neurath una missiva di questo ambasciatore di Gran Bretagna che --marcata come strettamente personale e confidenziale -era stata fatta proseguire intatta per la residenza estiva del ministro, il quale d'altra parte, dovendo rientrare domani, non aveva creduto di informare alcuno del contenuto della epistola.

Una notizia del passo britannico era peraltro arrivata qui per telefono fin dal 18, attraverso il consigliere dell'ambasciata tedesca a Londra, signor Woerman, il quale sembrava anzi aver avuto -e dato -l'impressione che l'iniziativa inglese, lungi dal costituire un semplice «incidente» della azione tecnica di non intervento, si ponesse scopi di assai più vasta portata e costituisse un mezzo -altrettanto indiretto quanto inglese -per mettere sul tappeto la questione di una possibile «mediazione» delle Potenze in Spagna. (Non è da dimenticare che, da un mese a questa parte, la possibilità di una simile azione mediatrice è stata, e con una certa insistenza, ventilata dalla parte più autorevole della stampa franco-inglese).

I Vedi D. 610.

Le osservazioni, quindi, da me ~ sulla base delle istruzioni contenute nel telegramma di V.E. ~immediatamente fatte presenti, mentre sono state trovate coprire completamente l'aspetto immediato e per così dire tecnico della proposta inglese in quanto incidente procedurale dell'azione internazionale di non intervento, non sono apparse ugualmente sufficienti a parare l'aspetto politico più largo e mediato della proposta stessa in quanto preliminare di una vera e propria proposta di mediazione.

Senonché, mi è stato facile far osservare che la proposta in questione, anche se così concepita, in primo luogo richiederebbe, oltreché ~e forse in sede diversa e più opportuna ~ una più diretta e sincera presentazione, anche e sopratutto ~e non attraverso note e contronote ~una più profonda elaborazione e preparazione, e ciò proprio in ragione e funzione della stessa importanza attribuita alla proposta.

Mentre tutto questo è stato facilmente riconosciuto, è stato altrettanto facile a me di scorgere da parte tedesca una certa predisposizione ad astenersi da tutto ciò che possa ~ a torto o a ragione ~ dare l'impressione che, in presenza di una proposta intesa alla cessazione di un conflitto altrettanto sanguinoso guanto gravido di pericoli per la pace dell'Europa, la Germania assuma, agli occhi del mondo, la veste della parte resistente.

Si tratta a mio modo di vedere di una preoccupazione, oltreché in fondo legittima, anche rispondente alla stessa insidiosità della mossa inglese, ma che mi sembra acquistare un tal quale maggior peso nella «nuova atmosfera» dei rapporti anglo-tedeschi, atmosfera che, dalla presentazione del nuovo ambasciatore in poi, si è venuta ~ anche in seguito alla visita Blomberg ed agli sviluppi ch'essa ha assunto ~man mano sempre più rasserenando e chiarificando. Mentre è di ieri la notizia ~piccola ma significativa ~che l'Aeronautica inglese ha ~contrariamente all'accordo che era già intervenuto per una manifestazione di carattere collettivodeciso di presentarsi alle onoranze per i morti dell'Hindenburg come unità a sé, è appena di oggi la notizia data a me da Sir Nevile Henderson e certo confermata ai tedeschi, che, interrompendo la tradizione in contrario Poncet-Phipps, anche il

Rappresentante della Gran Bretagna a Berlino interverrà d'ora innanzi al Congresso del Partito nazionalsocialista a Nurnberg.

Come io mi son permesso di segnalare ancora di recente, ci troviamo in presenza di un altrettanto chiaro, quanto deciso sforzo del governo di S.M. Britannica per riaccostarsi a Berlino. È dubbio che a questo tentativo il governo del Reich, non ostante le esitazioni e le riserve rese necessarie dallo stesso carattere «tattico» dell'azione britannica, voglia o possa resistere indefinitamente e totalitariamente. Non è di oggi la speranza di potere, attraverso una intesa itala-anglo-tedesca, isolare la Francia. E se, per ragioni ~contingenti o meno ~questo possa non essere possibile oggi, e attraverso manovre che ~isolando immediatamente l'Italia ~ rivelino la tendenza ad un successivo isolamento della stessa Germania, è pure da ricordare che l'amicizia dell'Italia è per la Germania tanto più apprezzata guanto meno si presenti in funzione anti-inglese. Comunque, e anche per ragioni tattiche, la Germania eviterà sempre di dare al mondo l'impressione ch'essa rifiuti la mano che le venga stesa dall'Inghilterra.

È alla stregua di questo nuovo clima dei rapporti anglo-tedeschi~ che mentre scrivo è naturalmente appena alla sua primissima formazione ~ che anche la proposta inglese di amustlZlo in Spagna non potrà a meno di essere considerata -e non tanto adesso quanto nei suoi ulteriori sviluppi -dalla Germania.

P.S. V'è chi pensa che la proposta inglese sia tutt'altro che una «improvvisazione». Questa ambasciata di Spagna ne è particolarmente preoccupata 1 .

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2006/813. Londra, 20 maggio 1937 (per. il 26).

Mio rapporto n. 1895n74 del IO maggio 2 .

Il progetto di un patto di non aggressione per il Pacifico, suggerito dal Primo Ministro australiano Lyons, in occasione del suo discorso inaugurale alla Conferenza Imperiale di Londra, ha valso indirettamente a dare nuovo argomento di commenti nei riguardi della questione delle relazioni tra Inghilterra e Giappone sulla quale i giornali, con un ormai regolare spunto di corrispondenze e di articoli, continuano a mantenere viva l'attenzione di questa opinione pubblica.

Di fronte allo scetticismo mostrato dal governo di Washington circa la probabilità di una immediata realizzazione del progetto di Lyons, questi ambienti ufficiali si sono affrettati a metter le mani avanti, facendo sapere, attraverso qualche opportuna nota di redazione, che la possibilità di una convocazione delle Potenze del Pacifico a discutere un potenziale patto di amicizia e non-aggressione è considerata «evidentemente prematura».

In un articolo di fondo il Times torna stamane sull'argomento, per insistere sulla necessità di ricercare, a seguito dello scadere del trattato di Washington 3 , «un nuovo e possibile più forte fondamento alle relazioni internazionali nel Pacifico». Questa premessa gli permette di aggiungere che qualsiasi progetto del genere è direttamente subordinato alla volontà di collaborazione da parte del Giappone e di citare, come buon augurio a questo riguardo, le dichiarazioni fatte il 17 corrente dal ministro degli Esteri giapponese, signor Sato, sul suo proposito di giungere ad un chiarimento dei rapporti sino-giapponesi e sulla «desiderabilità di assicurare fermamente l'amicizia tra Giappone e Gran Bretagna».

Tali dichiarazioni di Sato, alle quali nei giorni passati è stato dato notevole rilievo, sono state da questa stampa messe a loro volta in relazione con notizie da Tokio secondo le guaii, a seguito anche dell'azione personale svolta dall'ambasciatore giapponese in Cina, signor Shigeru Kawagoe, il governo giapponese avrebbe deciso una radicale revisione della propria politica verso la Cina nel senso di

l Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Vedi D. 573.

3 Trattato per adottare una politica concordata sugli affari cinesi del 6 febbraio 1922 (testo in

MARTENS, vol. XIV, pp. 323-331).

promuovere negoziati con il governo di Nankino per un chiarimento ed una definizione degli interessi dei rispettivi Paesi.

A questo sforzo di mettere in rilievo la necessità di un diretto accordo tra Cina e Giappone come premessa indispensabile a qualsiasi intesa tra Giappone ed Inghilterra -ed, a più forte ragione, a qualsiasi intesa di carattere ancora più vasto, come quella suggerita da Lyons -non è certo estraneo il desiderio (mio rapporto n. 1895n74) di calmare le preoccupazioni già mostrate dal governo di Nankino per la possibilità che la Cina finisca in sostanza a dover far le spese di un eventuale accordo anglo-nipponico 1•

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L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3427/159 R. Shangai, 21 maggio 1937, ore 12 (per. ore 6 del 22).

Mio telegramma n. 1322 . Tentativi Giappone per migliorare relazioni con Cina non sembrano incontrare per ora favore.

Stampa cinese continua commentare scetticamente recenti dichiarazioni ministro Esteri giapponese Sato, in cui riconoscevansi progressi realizzati da governo Nanchino per unificazione e riorganizzazione nazionale e auspicavansi possibilità intesa con rinnovare Cina. D'altra parte registrasi notevole recrudescenza agitazione anti-nipponica. Durante ultimi tempi verificatisi diversi incidenti nord Cina. Giornali cinesi attaccano Giappone accusandolo provocare incidenti scopo giustificare nuova aggressione per estendere suo dominio.

Pechino verificatasi agitazione ambienti universitari per ottenere liberazione maresciallo Chang Hsiieh-liang comandante in capo e sua reintegrazione carica governatore nord-est. Studenti lanciato manifesto popolo Manciuria per la riconquista provincie perdute e recatisi ora Tientsin per raggiungere Nanchino.

Dichiarazioni assai dure fatte ieri da ministero della Guerra giapponese non mancheranno di produrre impressione profonda. In taluni ambienti si considera, d'altra parte, che il ministero della Guerra giapponese abbia rivolto un salutare avvertimento alla Cina.

Su conversazioni nippo-britanniche, stampa cinese nel riferire in proposito mostra molta diffidenza soprattutto verso Giappone.

Da notarsi che a sua volta stampa giapponese Shanghai ha cercato mettere in rilievo importanza iniziativa giapponese per conversazioni Londra insinuando essere queste nell'interesse della Cina stessa dove in realtà si andrebbe verso un vero e proprio protettorato economico britannico 3 .

I Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi p. 716, nota 2. 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

619

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3407/254 R. Parigi, 21 maggio 1937, ore 14,30 (per. ore 17 ).

Telegramma di V.E. n. 248 1 .

Spedisco per corriere relazione conversazione avuta ieri con Léger 2 .

In sostanza, egli mi ha detto di aver intrattenuto personalmente a lungo Vansittart della questione etiopica. Esame della situazione, fatta dai due diplomatici con criteri tecnici, aveva portato alla conclusione che occorreva trovare il modo di risolverla a Ginevra entro il mese.

A Londra questione fu trattata da Eden e da Delbos in presenza di Vansittart e Léger. Delbos spontaneamente sostenne con calore questa tesi. E avrebbe peraltro invocato necessità tener conto dell'opinione pubblica e portare in tal modo discussione dal terreno tecnico in quello politico, cosicché non fu possibile per considerazioni parlamentari, di assumere una posizione netta quale sarebbe stata desiderata dai dirigenti del Foreign Office e dal Quai d'Orsay.

A vendo io osservato che in tal modo si rimandava a settembre una liquidazione che sarebbe stato invece necessario ottenere subito e che non mi nascondevo conseguenze funeste di tale nuova mancanza di energia e buon volere da parte della Francia e dell'Inghilterra, Léger mi disse che ultima parola non era ancora detta e che egli serbava ancora qualche piccola speranza che a Ginevra le cose evolvessero in modo più favorevole. Mi riservo naturalmente indagini ulteriori.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3469/158 R. Ginevra, 21 maggio 1937 (per. il 24).

S.E. Pilotti comunica quanto segue:

«Questo sottosegretario britannico Walters è ritornato dall'Inghilterra e mi ha riferito circa le sue conversazioni al Foreign Office relative alla questione etiopica. Egli ha riscontrato nel ministero, e in Eden stesso, il desiderio di procedere, almeno

I T. 957/248 R. del 20 maggio a firma di Bastianini. Comunicava di avere appreso dal ministro d'Austria che l'incaricato d'affari francese, Bionde!, aveva dichiarato che il suo governo «avrebbe la ferma intenzione di procedere al riconoscimento di diritto dell'Impero a Ginevra ove sapesse che l'Italia riprenderebbe la propria collaborazione a Ginevra, specialmente per la revisione del Covenant. Ove Parigi non fosse sicura su questo punto. Parigi non potrebbe procedere attualmente al riconoscimento di diritto dell'Impero».

2 T. per corriere 3472/0145 del 20 maggio, non pubblicato. Il suo contenuto è qui riassunto.

per gradi, all'eliminazione della questione stessa. Si è chiesto se i noti incidenti di stampa1 , avvenuti quando egli aveva già lasciato Londra (non avendo assistito all'incoronazione), avrebbero avuto un effetto sulle disposizioni del Foreign Office, ma è stato lieto di constatare, in seguito, che il discorso di V.E. alla Camera dei deputati2 è stato male apprezzato 3 .

Walters mi ha detto che, fino a qualche tempo fa, risultava al governo britannico che Tafari aveva l'intenzione di inviare una delegazione alla prossima Assemblea. Nessuna notizia in senso contrario si è finora avuta a Londra o a Ginevra (osservo, per mio conto che in questi ambienti giornalistici si dice ora che, da parte inglese, Tafari riceverebbe il consiglio di non inviare nessuno alla prossima Assemblea riservandosi per quella di settembre; a me risulta di sicuro che Tafari ha avuto tale consiglio dal suo consulente Jèze). Nell'ipotesi della presenza a Ginevra di una pretesa delegazione etiopica, il Foreign Office sarebbe, secondo Walters, deciso a riconoscere la non validità della delegazione stessa e a fare in modo che la decisione della Commissione di verifica dei poteri fosse presa in una forma tale da rendere ulteriormente possibile una seconda decisione della Assemblea constatante che, di fatto l'antica Etiopia più non esiste. Il Foreign Office non penserebbe che l'Assemblea possa andare al di là di questo, né vedrebbe con favore una decisione che consistesse semplicemente nel lasciare ciascuno Stato membro libero di agire come crede, nell'ambito della propria sovranità. Per il governo inglese si tratta di sciogliersi dall'impegno di non riconoscere la conquista che esso crede di avere verso la S.d.N., per potere poi rimanere libero di procedere oltre nei suoi rapporti con l'Italia. A questo fine gli è necessaria, ma in pari tempo sufficiente, una constatazione di fatto dell'Assemblea. Se tale constatazione possa avvenire fin d'ora

o se essa debba essere rimessa, per ragioni di opportunità, all'Assemblea ordinaria di settembre è cosa che il governo inglese non ha ancora deciso, attendendo di rendersi conto delle reazioni che il suo atteggiamento susciterà presso i Dominions. A questo riguardo Walters mi ha detto che uno degli oggetti di cui certamente si sta parlando nella Conferenza imperiale odierna è precisamente la possibilità di arrivare alla liquidazione dell'affare etiopico. Dei Dominions risultano, fino ad oggi, irriducibili l'Africa del Sud e la Nuova Zelanda. Ma il Foreign Office parrebbe disposto a passare sopra alla loro opposizione.

Al contrario, nell'ipotesi in cui non si presentasse alla prossima Assemblea una pseudo delegazione etiopica, il Foreign Office non vede, secondo Walters, la possibilità di far prendere all'Assemblea una qualsiasi decisione, soprattutto per il fatto che l'ordine del giorno dell'Assemblea stessa è rigorosamente limitato all'elezione di un giudice della Corte e all'ammissione dell'Egitto, e che il desiderio di ogni governo è di esaurire l'assemblea stessa in poche ore. Walters mi ha confermato che Sandler pose a Londra il problema della liquidazione dell'affare etiopico in termini precisi, esprimendo il suo desiderio che vi si potesse arrivare ma non offrì, né allora, né poi, di prendere egli stesso un'iniziativa al riguardo. Naturalmente ho osservato a Walters che il silenzio dell'Assemblea nell'ipotesi della non presenza di

t Vedi D. 567. 2 Del 13 maggio. Vedi D. 600. 3 Sic. Probabilmente: «molto apprezzato».

cosidetti delegati etiopici, non sarebbe il mezzo migliore per facilitare una distensione di rapporti fra Ginevra e l'Italia. Walters mi ha allora accennato che si potrebbe pensare a qualche manifestazione, sia da parte del Consiglio, sia da parte della riunione dei relatori della riforma del patto diretta a provocare un miglioramento dei rapporti con l'Italia».

621

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 2488/775. Berlino, 21 maggio 1937 (per. il 24).

I giornali continuano a riportare la notizia di nuove conversazioni -facenti capo a Bruxelles-intese al chiarimento definitivo della situazione internazionale del Belgio. Nelle informazioni pubblicate in proposito il nome dell'Italia non ricorre affatto.

Ciò tenderebbe a confermare l'impressione da me riportata dal colloquio avuto col visconte Davignon l'Il corr. (mio rapporto n. 2263 1717) 1 e cioè che la impostazione data dal Belgio alla questione renda piuttosto delicata la situazione dell'Italia.

Se questa fosse, anche in base alle informazioni della R. Ambasciata in Bruxelles, l'impressione dell'E.V., sarebbe forse il caso di domandarsi se non gioverebbe far comprendere al Belgio che l'interesse da noi mantenuto nella questione per sé stessa (e di cui le recenti dichiarazioni dell'E.V. alla Camera sono prova nuova e solenne2) determina da parte nostra un analogo interesse all'impostazione iniziale delle negoziazioni relative, impostazione che dipende, specialmente e logicamente, dallo stesso Belgio.

Sembrerebbe al riguardo opportuno -e nei nostri riguardi corretto -fosse evitato di far praticamente dipendere la presenza o meno dell'Italia nei negoziati in parola, e negli atti che dovessero risultarne, solo dalla Germania e dalla insistenza con la quale questa potrà richiedere -volente o no il Belgio -la presenza nostra. Di ciò il Belgio si dovrebbe render facilmente conto, agendo in conseguenza.

622

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 2068. Londra, 21 maggio 1937 (per. il 25).

Con la rivista navale di ieri a Spithead, che i giornali di stamane chiamano col solito pomposo stile d'occasione «Gran finale» sono terminate le cerimonie ufficiali per l'Incoronazione.

I Vedi D. 573. 2 Vedi p. 774. nota l.

Due cose continueranno tuttavia, ed ambedue abbastanza importanti: lo sciopero dei trams e la Conferenza Imperiale.

Le Delegazioni straniere sono partite in massa sabato mattina, 15 corrente, ad eccezione del Maresciallo Blomberg e del Ministro di Polonia Beck, i quali hanno prolungato per un'altra settimana il loro soggiorno nella Capitale britannica.

Desidero inviarTi subito, a cerimonie finite, qualche impressione di carattere generale e complessivo. Una relazione particolareggiata su tutto quello che ho visto ed osservato in queste due settimane richiederebbe addirittura un volume. Mi limiterò all'essenziale, scartando cioè il superfluo, e sopratutto quello che non ha una diretta incidenza sui rapporti italo-britannici in questo momento. Durante queste due settimane infatti l'Italia è stata una specie di «cavallo nero» assente e presente a Londra nell'animo di tutti. Se io dovessi fare il «punto» della situazione ad oggi venerdì 21 maggio, direi che essa superata una fase febbricitante, è tornata ad essere di nuovo quale io l'ho descritta nella mia lettera rapporto n. 1241 del 7 aprile', e poscia nei miei telegrammi per corriere n. 0127 (28 aprile)2 e n. 0136 (5 maggio)3 . Non potrei che ripetere e confermare oggi quello che ho avuto allora occasione di scriverTi. Per rimanere sul terreno meteorologico o, se vuoi, clinico, si può dunque concludere che la tendenza è nel complesso verso il meglio.

Due fatti hanno agito a indirizzare in senso positivo la situazione: i provvedimenti del Duce nei confronti della stampa britannica dell'8 maggio 4 e il Tuo discorso alla Camera dell3 maggio u.s. 5 .

l) L 'Incoronazione come spettacolo.

Due parole anzitutto sull'Incoronazione come spettacolo. Leggendo i giornali stranieri, particolarmente francesi e americani, si è portati a due conclusioni contraddittorie. Secondo gli uni, l'Incoronazione sarebbe stata un colossale successo. Secondo gli altri, un amaro insuccesso. Ritengo le due impressioni parimenti errate. Sulle cerimonie dell'Incoronazione l'Inghilterra aveva puntato come su un avvenimento nazionale, imperiale e internazionale destinato a grosse ripercussioni in molti settori. Anzitutto, essa doveva essere un affare dal punto di vista turistico e commerciale. In secondo luogo, l'Incoronazione doveva servire a fare riacquistare alla Corona Brittannica almeno una parte del prestigio ipnotico che essa aveva esercitato nel passato sul popolo inglese e che essa ha di colpo e quasi completamente perduto in seguito ai fatti del dicembre u.s. e all'abdicazione dell'ex Re Edoardo VIII. In terzo luogo, l'Incoronazione doveva costituire una impressionante dimostrazione di fronte al mondo della forza e della coesione dell'Impero; di fronte ai popoli dell'Impero una dimostrazione non meno impressionante del prestigio brittannico nel mondo.

Non si può certamente dire che dal punto dell'«affare» l'Incoronazione sia stata un successo. Questo del resto tutti già lo riconoscono. Durante queste due

1 Vedi D. 425. 2 Vedi D. 524. 3 Vedi D. 553. 4 Vedi D. 567. 5 Vedi D. 600.

settimane Londra ha fornito lo spettacolo di un disordine, di una confusione e di una congestione letteralmente infernali. I giornali hanno cercato di presentare tutto ciò come la conseguenza dell'afflusso eccezionale di stranieri ma la causa è stata invece lo sciopero dei trams, ossia la mancanza di quello che è, insieme con la rete delle vie sotterranee, lo strumento indispensabile per la regolarità del traffico umano in questa metropoli di 8 milioni di abitanti, simile in tutto ad un polipo mostruoso che protende i suoi tentacoli succhiando e soffocando la vita attorno a sé. In realtà, l'affluenza a Londra di stranieri è stata limitatissima. Nessun italiano, pochi francesi, qualche tedesco, pochissimi americani del Sud. Ma quelli che sopratutto sono mancati sono gli Americani del Nord, sull'affluenza dei quali gli Inglesi hanno sicuramente contato fino all'ultimo momento. I piroscafi dall'America sono invece arrivati pressoché vuoti. Una parte di ditte improvvisate imprenditrici per la costruzione di tribune lungo il passaggio del Corteo Reale sono fallite, e le rimanenti hanno chiuso con perdite piuttosto forti. Posti di tribuna, per i quali era richiesto tre mesi fa il prezzo di 30 sterline, sono stati ceduti all'ultimo momento per 3 sterline. Così dicasi per molte case, appartamenti di affitto e hotels. A marcare da ultimo l'insuccesso dell'Incoronazione come spettacolo ha contribuito anche il tempo più che cattivo, pessimo. La pioggia, nebbia, vento e freddo assolutamente invernali durati interrottamente per due settimane, hanno finito per compromettere quasi sempre le cerimonie all'aperto e le pubbliche dimostrazioni di folla.

Quello che invece non è risultato inferiore alle previsioni è stata l'affluenza effettivamente considerevole dei sudditi brittannici dagli Stati ed i territori dell'Impero. Come manifestazione coreografica di coesione Imperiale, non fosse altro nell'apparenza esteriore, bisogna riconoscere che l'Incoronazione non ha mancato di fare una certa impressione. Oltre alle numerosissime rappresentanze ufficiali dei governi e dei Parlamenti dei Dominions, Londra pullulava in questi giorni di cortei strani e pittoreschi di gente di colore. Il governo brittannico ha fatto di tutto mediante una preparazione accurata, paziente e di lunga data per assicurarsi la presenza a Londra non soltanto dei soliti Maharaja e Principi indiani ma anche di potentati delle tribù più eccentriche e lontane molti dei quali erano pressoché sconosciuti agli stessi inglesi, ed hanno suscitato dappertutto la più viva curiosità. Resta a vedersi adesso quali sono le impressioni che questi potentati sudditi brittannici di razze di colore porteranno con sé sulla «forza» effettiva dei loro imperiali governanti! È certo ad ogni modo che degli ottomila che hanno assistito mercoledì 12 alla cerimonia religiosa dell'Incoronazione dentro alla Abbazia di Westminster, due buoni terzi erano rappresentanti dei Dominions e dei territori d'oltre mare. Questo ha offeso naturalmente molti vecchi inglesi, i quali si illudono ancora di vivere al tempo di Disraeli e della Regina Vittoria. Ma il disappunto è stato quasi ma~cherato dalla soddisfazione di vedere dopo tutto raccolti insieme attorno al nuovo Re d'Inghilterra tanti almeno nell'apparenza, fedeli sudditi dell'Impero. Il governo brittannico, a sua volta, non ha tralasciato, durante tutte le Cerimonie svoltesi in queste due settimane, alcuna occasione per dimostrare sopratutto ai Dominions che esso considera questi ultimi sullo stesso piede di parità del Regno Unito. Baldwin ad esempio è sfilato sempre dietro il Re allo stesso posto dei quattro Primi Ministri del Canadà, del Sud Africa, dell'Australia e della Nuova Zelanda.

La formula di Smuts radiodiffusa martedì Il da Capetown: «Giorgio VI è il primo Re dei Regni Brittannici», è stata accettata subito dagli Inglesi, e lo stesso Giorgio VI, ricevendo ufficialmente giovedì 14 i Primi Ministri dei Dominions a Buckingham Palace, ha pubblicamente mostrato di accettarla e di gradirla.

Le dimostrazioni tributate dalla folla londinese all'indirizzo dei Sovrani, durante le loro numerose e quotidiane apparizioni in pubblico, sono state quasi dappertutto di un entusiasmo piuttosto moderato. Pesa sulla Corona brittannica la scossa grave degli avvenimenti del dicembre scorso. Il popolano inglese ha definito questa incoronazione una «second hand Coronation», una incoronazione di seconda mano. Occorrerà ancora del tempo prima che il popolo inglese riesca a dimenticare la delusione sofferta in seguito agli avvenimenti del dicembre e possa riacquistare quella fiducia nella dinastia che da parecchi secoli, ma specialmente dall'avvento al trono della Regina Vittoria, costituiva una specie di dogma indiscusso e indiscutibile per ogni cittadino brittannico. Oggi il popolo inglese, dopo la delusione, diffida e non dissimula la propria inquietudine verso la Casa Reale di Windsor. Io mi sono mescolato spesse volte alla folla per avere delle impressioni dirette ed ho constatato che l'entusiasmo popolare che accompagnò Giorgio V durante la settimana del Giubileo, due anni or sono, era di gran lunga superiore a quello che ha accompagnato l'incoronazione del giovane e malaticcio Giorgio VI. Questi e la Regina Elisabetta hanno fatto di tutto, durante queste giornate, per conquistarsi le simpatie e il favore popolare. Senza giungere alla conclusione che il popolo inglese non ha risposto, occorre riconoscere tuttavia che si sentiva come la presenza di un'ombra fra i Sovrani ed il popolo.

Non vi è alcun dubbio che i canadesi, sud africani, australiani e neo zelandesi presenti a Londra sono stati di gran lunga più calorosi all'indirizzo dei loro Sovrani dei londinesi medesimi, e certo sono stati principalmente i sudditi dei Dominions a dare in questi giorni alla folla di Londra molto del loro entusiasmo barbarico e rumoroso.

II

2) L 'Italia e l'Incoronazione

Se Tu dovessi domandarmi quali sono i «fatti» che durante queste due settimane di celebrazioni nazionali e imperiali hanno più colpito la generale attenzione e sono stati motivo di seria riflessione, risponderei senz'altro: lo sciopero dei trams e l'assenza dell'Italia Fascista dalle feste per l'Incoronazione.

È superfluo mi dilunghi sulle impressioni di carattere pedagogico che particolarmente sui sudditi delle lontane provincie imperiali deve aver prodotto lo sciopero dei trams, il quale altro non è stato se non un'autentica azione sabotatrice, a sfondo comunista, delle Trade-Unions brittanniche.

È certo che il rifiuto dell'Italia fascista di partecipare alle celebrazioni nazionali e imperiali brittanniche, rifiuto al quale i provvedimenti del Duce dell'8 Maggio hanno dato un drammatico significato e risalto politico, hanno impedito all'Inghilterra di raggiungere quello che era, di fronte alle popolazione dell'Impero, lo scopo principale di queste settimane di festività londinesi, dare cioè all'Impero la dimostrazione visibile e tangibile del prestigio che il nome e la potenza brittannica hanno tuttora presso gli altri Paesi del mondo, e particolarmente presso le grandi Potenze europee.

Gli inglesi non aspettavano questo colpo e lo hanno ricevuto in pieno. Posso dirTi che neppure durante i momenti più acuti del conflitto italo-abissino e della tensione italo-brittannica del 1935-36, ho giammai veduto tanta sorda irritazione, ostilità e rancore da parte inglese verso di noi, come durante queste due settimane dell'Incoronazione. Che l'Italia fascista abbia osato, sola fra tutte le Nazioni del mondo, alla vigilia dell'Incoronazione e nel momento in cui perfino la stessa Germania nazista si faceva in quattro per lusingare la vanità e l'amor proprio brittannico, non soltanto di dichiarare la propria assenza ufficiale da Londra ma di interrompere seccamente le relazioni di stampa denunciando pubblicamente la campagna diffamatoria inglese contro l'Italia, e che per giunta proprio in quei giorni l'Italia fascista abbia celebrato tra l'entusiasmo del popolo il primo anniversario della fondazione del «suo» Impero, tutto ciò è sembrato agli Inglesi un atto di temeraria audacia di proporzioni e di gravità non certamente minore dall'avere osato l'Italia conquistare, contro la volontà inglese, l'ex-Impero etiopico.

Come ricordi, l'intero mese di gennaio è trascorso nell'atmosfera della conclusione del gentlemen 's agreement, atmosfera piena di ottimistiche prospettive. L'8 febbraio, con la presa di Malaga da parte delle nostre truppe di volontari, è ricominciato un processo di irritazione e di ostilità anti-italiano in Inghilterra. Tale ostilità è scoppiata improvvisamente in occasione degli incidenti di Guadalajara, nella furiosa gazzarra anti-fascista la quale raggiunse nella settimana dal 16 al 23 marzo il suo vertice massimo. Il discorso del Duce a Piazza Venezia nella mattina del 23 marzo 1 e la reazione dignitosa ma fermissima del popolo italiano arrestò allora di botto gli Inglesi che fecero precipitosamente macchina indietro. Dal 23 marzo alla fine d'aprile la situazione generale dei rapporti italo-brittannici è andata di nuovo migliorando. Come Tu stesso hai potuto constatare dai Tuoi contatti con Drummond, le tendenze nel governo brittannico in favore d'una definitiva conciliazione con l'Italia sono state, durante questo periodo, sul punto di prevalere, e ciò malgrado l'azione svolta in senso contrario dal governo di Blum e dal Fronte Popolare francese, il quale ha portato la sua propaganda diretta ad impedire questa conciliazione italo-brittannica nello stesso campo di politica interna inglese. L'offensiva delle truppe nazionaliste in direzione di Bilbao ha segnato una ripresa dell'antifascismo brittannico, sebbene in proporzioni assai minori di quella verificatasi in occasione dei fatti di Guadalajara. Mentre infatti allora tutta la stampa brittannica senza eccezioni partecipò alla campagna anti-italiana, in questa ultima occasione soltanto una parte della stampa inglese ha ceduto alla tentazione. È giunta improvvisamente a questo punto, e cioè 1'8 maggio, la notizia dei provvedimenti adottati dal Duce come legittima reazione a questa ripresa di ingiuriose menzogne contro l'onore del soldato italiano e le virtù militari della nostra razza. Sta di fatto che dall'8 di maggio gli attacchi all'Italia sono quasi cessati. I giornali e i giornalisti di Londra fanno gli offesi ma certo che, dall'8 di maggio, ci rispettano di più. Gli inglesi, come ho detto sopra, tutto si aspettavano meno che questo; la scossa è stata durissima, ma ancora una volta il Duce ha colpito direttamente nel centro del bersaglio ed ha raggiunto il suo scopo. Per parecchi giorni gli Inglesi non sono riusciti a controllare il loro rancore e la loro irritazione, ma essi sono stati parimenti

I Vedi p. 452, nota 3.

802 obbligati a riflettere non solo sulla gravità e sulla delicatezza della situazione, ma sopratutto a quelle che sono le loro dirette responsabilità. I provvedimenti dell'8 maggio hanno contribuito a dare un aspetto drammatico, quindi non assolutamente ignorabile, all'assenza dell'Italia da Londra. Non vi è stato in questi giorni nessun inglese tra le centinaia con cui ho parlato e che ho avvicinato, il quale, esprimendo l'imbarazzo e il dolore per l'assenza dell'Italia, non sia stato obbligato a riconoscere gli errori imperdonabili di Baldwin e di Eden per non avere tempestivamente corso ai ripari ed evitato il verificarsi di tale spiacevole situazione.

Come dettaglio di cronaca Ti dirò anche che i Sovrani inglesi non hanno tralasciato la più piccola occasione, durante le cerimonie svoltesi, per dimostrare pubblicamente al Rappresentante dell'Italia la loro personale cortese attenzione e ciò sopratutto in presenza delle missioni reali straniere e dei capi di governo e ministri Esteri partecipanti alle cerimonie. Ti ho già segnalato che Re Giorgio ha espressamente modificato (e me lo ha fatto sapere) negli elenchi protocollari di Corte la denominazione del pseudo rappresentante abissino Makonnen, togliendo senz'altro le parole «Imperatore d'Etiopia». Re Giorgio mi ha ripetuto, parecchie volte, pregandomi di .farlo conoscere a S.M. il Re e al Duce, che la soddisfazione di queste sue giornate era turbata soltanto dal dispiacere nel non vedere a Londra il Principe e la Principessa di Piemonte e dall'attuale stato delle relazioni italo-brittanniche. Il Duca di Kent, invitandomi a casa sua il 9 maggio, ha aggiunto: «almeno a casa mia non troverete l'abissino». Quest'ultimo, il famigerato Makonnen, si è aggirato per quattro giorni a Buckingham Palace e nelle cerimonie ufficiali come una specie di negro fantasma solitario schivato da quasi tutti eccettuati naturalmente i soliti campioni della League of Nations Union e un altro personaggio Ti segnalo, anti-fascista a Londra e strofinatore del fascismo in Italia, Lord Renne! of Rodd, che ho sorpreso per due volte a conversare con Makonnen. Quest'ultimo alla fine è stato soprannominato, dal noto film in voga, «The Ghost who goes north». Questa spiritosaggine che fa oggi il giro di Londra Ti dice assai più di quanto io possa raccontarTi. La presenza di questo negro a Buckingham Palace ha finito col provocare un senso di effettiva esasperazione in molti inglesi. Questi hanno finito col prendersela con Eden e con Baldwin i quali con la loro grottesca e stolta politica hanno raggiunto questo bel doppio risultato -sono parole a me dette da un Inglese, Sir Ronald Storr, ex-governatore di Cipro e della Rodesia -«di fare ricordare a tutti i rappresentanti dell'Impero convenuti a Londra, mediante la presenza di questo negro, la sconfitta subita dall'Inghilterra l'anno scorso nel Mediterraneo e in Africa, e contemporaneamente di impedire che la monarchia italiana, la più antica e la più gloriosa d'Europa, sia presente all'Incoronazione del Sovrano britannico».

Se Tu vuoi avere un'idea giornalistica dell'effetto che i provvedimenti del Duce hanno avuto nel pubblico britannico, guarda il ritaglio che Ti allego del Daily Express, dove è riprodotta in fotografia un'intera pagina del Popolo d'Italia con l'indicazione dello spazio minimo riservato alla notizia dell'Incoronazione del Re d'Inghilterra. Nulla poteva colpire la mentalità e l'immaginazione del cittadino britannico, abituato a considerarsi il centro naturale dell'omaggio e della reverenza universale, più a fondo e più direttamente. Il fatto che l'Italia fascista abbia «osato» fare questo mentre principi reali, ministri e generali di tutti i Paesi del mondo -prussiani compresi -si muovevano in pellegrinaggio verso Londra, come i Re Magi di Betlemme, ha dato agli Inglesi una plastica impressione della nostra determinazione e della nostra forza. Ecco perché io considero l'aggravarsi della tensione itala-britannica durante la scorsa settimana come una specie di acuta febbre benefica.

Se i provvedimenti del Duce sono stati di una tempestività assoluta, il Tuo discorso non poteva, come Ti ho telegrafato, giungere a Londra in un momento più opportuno. Esso ha permesso di consolidare i risultati positivi ottenuti coi provvedimenti dell'S maggio, ed ha impedito nello stesso tempo che una delicata situazione polemica potesse essere sfruttata da tutti i sopraggiunti corvi anti-fascisti inglesi e non inglesi. Il tuo discorso ha mostrato agli inglesi che se da una parte l'Italia è fermamente decisa a non tollerare più oltre una attitudine ostile, dall'altra essa non chiude la porta alla possibilità di un miglioramento effettivo dei rapporti fra Londra e Roma nel quadro del Gentlemen 's agreement del 2 gennaio u.s. Le Tue parole solide, ferme, obiettive e serene hanno avuto un effetto profondo, assai più di quello che non si riveli dai commenti dei giornali, i quali, non bisogna dimenticare, si sentono tutti, dopo i provvedimenti deii'S maggio direttamente offesi e tenuti ad una riserva professionale nei riguardi del governo fascista. Tutti i giornali, compreso anche quelli anti-fascisti di sinistra, hanno dato al Tuo discorso uno spazio e dei titoli assolutamente eccezionali, ove si pensi che per una settimana nessuna notizia di carattere internazionale è stata pubblicata nei giornali inglesi dedicati dalla prima all'ultima colonna alle celebrazioni nazionali. Tu sai quanto poco io mi fidi di Eden. Ma non posso non dare il significato che meritano a queste parole dettemi spontaneamente da Eden il mattino di venerdì: «Tank God that Ciano's speech has come yesterday; the situation to-day is thoroughly changed ... ».

Sta di fatto che, dopo i provvedimenti deii'S maggio, gli attacchi all'Italia sono cessati, e dopo il Tuo discorso del 14 maggio si è ricominciato nei giornali ufficiosi inglesi a riparlare e ridiscutere delle necessità di risolvere la questione etiopica a Ginevra, e perfino l'antifascista Daily Express ha, in due articoli di fondo, dichiarato senz'altro che è ormai ora di farla finita con le tergiversazioni sul riconoscimento de jure dell'Impero italiano, e che bisogna tornare amici con l'Italia.

Come Ti ho telegrafato, il Tuo discorso ha incoraggiato nuovamente i nostri amici ad agire in direzione di una conciliazione italo-brittannica, ha avuto un'accoglienza particolarmente favorevole fra i rappresentanti dei Dominions, ha fermato le manovre che in margine alle cerimonie dell'Incoronazione erano già cominciate a svolgersi contro l'Italia in occasione degli scambi di vedute che hanno avuto luogo fra i rappresentanti esteri presenti a Londra nella scorsa settimana.

3) I Rappresentanti Esteri.

La stampa francese di questi giorni, direttamente o indirettamente ispirata dal Quai d'Orsay, tenta come al solito di montare l'importanza che avrebbero assunto i cosidetti behind the scenes talks fra i rappresentanti esteri a Londra. I giornalisti ufficiosi di Londra hanno già a due riprese in questi giorni, in note ispirate dal Foreign Office, cercato di sgonfiare questa campagna francese diretta a far credere che a Londra la settimana scorsa, e a Parigi in questi giorni, si stia regolando il presente ed il futuro dell'Europa. Io ho seguito e controllato direttamente e indirettamente durante la scorsa settimana, tutti questi personaggi in compagnia dei quali del resto io ho dovuto trascorrere la maggior parte delle giornate fino a tarda notte, e posso dirTi in verità che scambi di idee vere e proprie fra uomini di Stato inglesi e rappresentanti esteri non ci sono stati. Né ci potevano essere ove Tu pensi che la permanenza di questi personaggi è durata complessivamente dal lunedì sera 10 maggio fino a venerdì sera 14 maggio. Quattro giorni cioè, e questi trascorsi da mattino a notte inoltrata in cerimonie, banchetti, riunioni ufficiali, dove la causerie era un obbligo inevitabile, ma nessuna seria discussione possibile. A ciò aggiungi la circostanza che questi cosidetti uomini di Stato brittannici, a cominciare da Eden, erano sopratutto preoccupati di mostrarsi in pubblico, ciascuno per proprio conto e a proprio vantaggio, anziché intrattenere in discorsi e conversazioni questi personaggi di Oltre Manica. Questi ultimi del resto erano in un numero limitato ad alcuni Paesi. E precisamente Delbos, Gamelio e Léger per la Francia, il Maresciallo Blomberg per la Germania, Litvinov, Hodza, Schmidt, Kanya, il generale lsmet, Beck, per non parlare degli americani e asiatici. Tutti gli altri Paesi (Jugoslavia, Grecia, Bulgaria, Rumenia, Egitto, Giappone, Belgio , etc., etc.) erano rappresentati da Principi Reali occupati esclusivamente nelle visite protocollari, ad eccezione del Principe Paolo di Serbia, il quale, come di consueto, ha avvicinato un certo numero di uomini politici. Altra circostanza, la più importante di tutte, la quale ha svuotato di contenuto effettivo queste cosidette conversazioni diplomatiche di Londra, è che un convegno ben più importante e decisivo per l'Inghilterra si è iniziato la settimana scorsa e si svolge tuttora, occupando interamente il tempo e l'attenzione dei circoli politici brittannici, intendo riferirmi alla Conferenza Imperiale.

Io ho parlato con tutti questi rappresentanti stranieri, e del resto era difficile non farlo, avendoli avuti fra i piedi, come ho detto prima, per cinque intere giornate consecutive. Per un momento ho pensato di mandarTi dei lunghi telegrammi contenenti ciascuno il resoconto dettagliato di questi colloqui, che io non ho mai personalmente sollecitato, e che costituiscono, come quasi tutti i colloqui del genere, dei pezzi di letteratura diplomatica che il Duce chiama pittorescamente «fotosculture» e che non hanno particolare importanza se non come materiale di «rifischiamento». Penso che sia più utile darTi un'impressione riassuntiva, e cioè il «succo» conclusivo delle impressioni che ho tratto dai contatti con tutta questa gente straniera e dalle osservazioni che ho fatto sul «modo» in cui questa gente si è mossa nell'ambiente brittannico durante queste giornate non prive d'interesse. Non vi è dubbio che francesi e tedeschi sono quelli che si sono mossi e agitati di più.

Il ministro austriaco Schmidt, il ministro ungherese Kanya, i quali molto simpaticamente hanno subito di propria iniziativa stabilito contatti con me e sono venuti a trovarmi all'ambasciata, non mi hanno nascosto, particolarmente nelle giornate di martedì e di mercoledì, la preoccupata ansietà per l'improvviso acutizzarsi della tensione italo-brittannica. Ambedue avevano già ricevuto messaggi in senso anti-italiano da Delbos e dai vari agenti dell'anti-fascismo anglo-franco-cecoslovacco. Ambedue, dopo aver insistito sopra l'imbarazzo che tanto per l'Austria quanto per l'Ungheria rappresentava questo deterioramento nei rapporti tra Roma e Londra, mi hanno domandato notizie rassicuranti. Io li ho naturalmente incoraggiati facendo previsioni abbastanza ottimistiche sul futuro delle relazioni italo-brittanniche, il che per il momento li ha tranquillizzati. Le stesse previsioni in senso ottimistico sui rapporti italo-inglesi essi hanno poi direttamente avuto tanto da Eden quanto da Chamberlain, come del resto Schmidt e Kanya Ti riferiranno. Poi è giunto il Tuo discorso di giovedì a rassicurarli e a neutralizzare completamente l'azione di pessimismo apocalittico esercitata su di loro dai nostri avversari. L'accoglienza che tanto Schmidt guanto Kanya hanno avuto a Londra è stata simpatica. Tanto l'uno che l'altro hanno, così almeno mi hanno detto, tratto ancora una volta l'impressione che l'Inghilterra, pur seguendo con maggiore attenzione i problemi dell'Europa centro-danubiana, non appare disposta ad esaminare l'eventualità di alcun impegno concreto in alcuna direzione. Schmidt mi ha parlato con una soddisfazione che mi è parsa sincera dell'incontro di Venezia 1 , e Kanya da parte sua con altrettanta sincera soddisfazione per l'imminente visita del nostro Sovrano a Budapest.

Hodza mi ha scodinzolato intorno per dirmi un mondo di cose false inutili, letteratura tipo Benes-Titulescu. Ti confesso che gli ho dato pochissima corda mostrandogli visibilmente che avevo un ben scarso interesse alla sua persona. Egli ha cercato per quattro giorni, con la collaborazione assidua di Delbos e Léger e degli antifascisti societari-liberali-laburisti delle Chiese anglicane, di fare, senza alcun risultato, attorno a sé un po' di rumore. Fatica inutile perché gli inglesi, come mi ha detto lo stesso Duff Cooper dopo una delle sue interviste con Hodza, non si interessano a Praga se non per il fatto che in detta località si producono i migliori prosciutti.

Litvinov era di pessimo umore per le attenzioni attribuite a Blomberg, e per il flirt anglo-nazista di cui parlerò più tardi. In occasione dei funerali di Re Giorgio V, nel febbraio del 1936, gli inglesi fecero rappresentare a Litvinov la figura centrale nell'attività diplomatica svoltasi in quell'occasione nella capitale inglese. In quel momento i rapporti tra Berlino e Londra erano pessimi e Litvinov faceva il corifeo di Eden contro l'Italia a Ginevra. Eravamo inoltre alla vigilia del colpo nazista del 7 marzo sul Reno. Questa volta nessuno si è curato di Litvinov la cui presenza in mezzo a tutto il medioevalismo regale dell'Incoronazione non era del resto meno anacronistica del negroide Makonnen. Gli inglesi hanno preferito questa volta di ignorare e dimenticarsi della presenza accanto al trono di Giorgio VI di uno degli assassini di Nicola II. Il caso mi ha portato ad avere Litvinov vicino per un po' di tempo, durante la cerimonia dell'Incoronazione all'Abbazia di Westminster, la quale si è protratta per nove ore! Non ho potuto trattenermi dal dirgli con malizia ad un certo punto che senza dubbio egli doveva interessarsi assai più allo sciopero dei tramvieri che allo spettacolo dell'Incoronazione. Litvinov mi ha risposto che tutto questo «medioevo» brittannico lo disgustava. Egli mi ha poi domandato perché io ero diventato in questi ultimi tempi così ferocemente anti-sovietico. Gli ho risposto che egli sarebbe diventato non meno ferocemente anti-fascista se il fascismo avesse cercato di stabilire una sua diretta influenza politica e militare sulle coste del Mar Nero. Litvinov ha replicato dicendo essere un peccato che Italia e U.R.S.S. che sono andate sempre d'accordo fossero oggi così lontane e divise. Io ho creduto opportuno non intavolare discussioni che avrebbero portato troppo lontano ed ho deviato il discorso su argomenti senza importanza. Gli inglesi, ripeto, hanno volutamente messo in ombra Litvinov e ciò interamente a beneficio di Blomberg.

l Vedi D. 500.

Litvinov infatti, non ha visto nessuno o quasi nessuno, è partito al più presto possibile e la sua partenza è stata appena segnalata sui giornali.

Un altro personaggio che durante la settimana scorsa non nascondeva il suo cattivo umore e che parte assai deluso da Londra è il turco Ismet. Tu ricordi che i turchi hanno fatto di tutto, l'anno scorso, per arrangiare una visita ufficiale di lsmet a Londra, dopo che la cosidetta flotta turca si era recata -fra il silenzio assoluto della stampa inglese-a Malta 1 . Tu ricordi anche che il governo brittannico declinò le profferte turche di visite ufficiali a Londra, e Vansittart me lo disse ufficialmente2 . Ismet evidentemente, con la tipica mentalità turca, si proponeva venendo -a Londra per l'Incoronazione di essere l'oggetto di chissà quali speciale attenzioni. Invece nessuno si è letteralmente accorto del povero Ismet, il quale per giunta essendo sordo e abbastanza goffo, non parlando una parola d'inglese, essendo privo di cordoni e decorazioni (in questo genere di cerimonie gli inglesi, anche quelli cosidetti intelligenti, non hanno considerazione e rispetto se non per gli uomini con molte penne e con molte patacche) non è stato oggetto di riguardi maggiori di quelli riserbati al ministro di Lituania, e comunque inferiori a quelli tributati all'Emiro di Transgiordania. Per giunta pur essendo capo di governo lo hanno collocato sempre (per errore evidentemente ma per un errore ripetuto tuttavia fino all'ultimo giorno) in un posto di rango inferiore non soltanto al rappresentante dell'Italia e della Germania (fra parentesi io e Blomberg siamo sempre stati messi in un posto di rango e importanza uguale ma inferiore anche a Litvinov, Delbos, Beck, etc.) il che a quanto mi è stato riferito ha piuttosto ferito il suo orgoglio di turco. Egli è stato con me di una ostentata cordialità ricordando la mia visita ad Ankara nel 1928 e quella da lui effettuata al Duce cinque anni or sono.

Chi si è dato molto d'attorno in questi giorni a Londra è stato Beck. Ho parlato con lui parecchie volte. Devo dire sinceramente che non ho trovato in Beck quelle tendenze di tanta simpatia e favore alla politica italiana che vedo continuamente trasparire nei resoconti e colloqui tra i nostri rappresentanti diplomatici e il ministro degli Esteri polacco. È certo, ad ogni modo, che egli in questi giorni non ha fatto nulla, presso inglesi e francesi per facilitare la soluzione a Ginevra del riconoscimento della sovranità italiana in Etiopia, alla quale questione egli ha fatto credere sempre di essere tanto interessato. Ho abbordato con lui il problema a più riprese ma egli sempre si è scherrnito accennando alla difficoltà degli attuali rapporti italo-brittannici (è lo stesso «alibi» usato da Delbos), etc., etc. Frasi, dunque, e nulla più. Beck si è invece prodigato a favorire personali contatti fra Delbos da una parte e il Maresciallo Blomberg dall'altra, atteggiandosi a una specie di pronubo di un possibile concreto ravvicinamento anglo-franco-tedesco. Io stesso ho fatto leggere a Beck sul Times il Tuo discorso alla Camera del 13 maggio. Dopo averlo letto, egli me ne ha fatto naturalmente elogi e martedì sera mi è venuto espressamente incontro per ripetermi l'ottima impressione che il Tuo discorso gli aveva fatto e ha aggiunto di sperare che un giorno o l'altro tutto si accomoderà a Ginevra e che la Polonia ne sarebbe stata felice, etc., etc. Tutto questo perché egli stesso si era reso conto delle ripercussioni favorevoli che il Tuo discorso aveva avuto nell'ambiente politico inglese, e anche

l Dal 20 al 26 novembre 1936. 2 Si veda di proposito serie ottava, vol. V, D. 210.

perché da venerdì, e cioè dal giorno dopo del Tuo discorso alla Camera, i giornali inglesi hanno ripreso a discutere sull'opportunità di risolvere una volta per sempre la questione etiopica a Ginevra. In realtà, Beck non ha fatto nulla per neutralizzare l'azione di propaganda anti-italiana che Delbos e Léger hanno apertamente fatto a Londra, particolamente dal lunedì al giovedì.

Un altro personaggio presente era Avena!, il quale, debbo obbiettivamente riconoscerlo, è stato quello che fra tutti mi è parso il meno impressionato dello stato dei rapporti anglo-italiani, e il meglio orientato sulla situazione. Abbiamo naturalmente parlato (Ti ho anche telegrafato in proposito) 1 della solita questione, e cioè dell'ex Stato Etiopico a Ginevra. Avenol mi ha riferito quello che Eden gli aveva detto e che corrisponde esattamente a quello che Eden aveva già in precedenza a me detto sullo stesso argomento (mio telegramma per corriere n. 0136 del 5 maggio). Avenol mi ha confermato che dai contatti da lui avuti con esponenti responsabili della politica brittannica aveva tratto l'impressione che gli inglesi intendano effettivamente liquidare questi anacronistici residuati del conflitto etiopico i quali continuano ad ostacolare il processo di conciliazione con l'Italia, ma che una direttiva precisa in tal senso sarà presa soltanto dal nuovo Gabinetto, e dopo le decisioni della Conferenza Imperiale.

Avenol mi ha fatto chiaramente capire che disapprovava l'azione di Delbos intesa a creare difficoltà e a scoraggiare possibili iniziative da parte di Potenze minori a Ginevra. Avenol mi ha anche confermato il lavorio fatto da elementi anti-fascisti presso Tafari per persuaderlo a non inviare una delegazione a Ginevra e rendere così assai difficile una discussione sulla questione dell'appartenenza dell'ex Stato abissino, la quale potrebbe essere sollevata regolarmente soltanto in occasione della verifica dei poteri. Avenol ha anche detto di aver scarsa fiducia negli svedesi che non hanno in mente alcunchè di effettivamente serio, e non grande fiducia nei Belgi troppo occupati a non dispiacere in questo momento Parigi. L'unica persona che -secondo Avenol -ancora potrebbe, con qualche probabilità di risultato positivo, impostare la questione a Ginevra è Motta, ossia la Svizzera. A venol mi ha mostrato il più vivo interesse per il Tuo discorso, e sopratutto per la parte del Tuo discorso in cui Tu hai esaminato la posizione dell'Italia nella S.d.N., la crisi della S.d.N., e i problemi relativi a uno statuto di pace fra le grandi Potenze dell'Europa Occidentale.

I Francesi a Londra.

Sono così arrivato a parlare di Delbos e di Blomberg, ossia dei francesi e dei tedeschi a Londra. Tanto gli uni quanto gli altri si sono mossi assai, in direzioni a volte contrarie a volte convergenti, cercando ciascuno di assicurare il maggiore «effetto scenico» possibile alla loro azione, o meglio, alla loro presenza a Londra. Io li ho tallonati e controllati un po' dappertutto, gli uni e gli altri e credo di essere in grado di dare degli uni e degli altri delle informazioni rigorose ed obiettive.

I francesi sono arrivati a Londra, come Ti ho detto, capitanati da Delbos, Gamelin e Léger. Tu hai seguito l'attitudine adottata dal governo di Parigi e dalla stampa francese nei riguardi dell'incoronazione di Re Giorgio. La Francia faceva

I Vedi D. 597.

808 davvero l'effetto nella settimana scorsa di essere diventata un territorio della Corona brittannica. Questa attitudine di servilismo democratico non ha in complesso ottenuto i risultati magici che i francesi si ripromettevano. Gli inglesi considerano la Francia di Blum come un Paese in stato di vassallaggio: questa Francia fa loro comodo ma la disprezzano e questo non lo nascondono. Gli inglesi non rispettano se non coloro i quali hanno e mostrano l'assoluta convinzione di non essere affatto a loro inferiori. Io stesso ho potuto constatare, durante tutte le cerimonie dell'Incoronazione, la più completa assenza di interesse dimostrata dal pubblico inglese per questi tre mediocri personaggi e per il loro numeroso seguito addobbato di nastri rossi della Legion d'Onore.

Delbos era venuto a Londra col programma di conversazioni diplomatiche da svolgere con Eden, Vansittart e Chamberlain. Più precisamente Delbos voleva interessare Eden e Chamberlain a quattro argomenti: 1°) Ottenere l'adesione inglese per una ripresa attiva dei lavori del Bureau du Disarmement a Ginevra. 2°) Ottenere dal governo brittannico delle dichiarazioni di interessamento concreto ad un piano di azione franco-cecoslovacco contro la politica italiana nel Bacino danubiano, e piazzare nello stesso tempo Hodza nell'ambiente politico brittannico presentandolo a Londra come una specie di Dollfuss al rovescio e cioè come un eroe dell'indipendenza degli Stati danubiani di fronte alla minaccia dell'Asse Roma-Berlino. 3°) Scoraggiare le tendenze esistenti in Inghilterra per una politica di conciliazione coll'Italia. Dimostrare agli Inglesi la «inattualità» di affrontare in questo momento a Ginevra la liquidazione del problema etiopico rimandando quest'ultimo ad epoca lontana, in modo da poter avere tutto il tempo necessario per porre all'Italia condizioni e contropartite in termini di politica spagnuola, africana, danubiana e ginevrina. 4°) Da ultimo, riprendere il vecchio intrigo per un patto franco-anglo-tedesco con eclusione dell'Italia da quello che potrà essere eventualmente un nuovo Statuto dell'Europa Occidentale.

Questo troppo ambizioso programma di Delbos (sul quale, come sulla risposta data dagli Inglesi sono confidenzialmente informato via Chamberlain e Vansittart) non poteva naturalmente riuscire. Anche Delbos ha avuto le sue delusioni a Londra. Chamberlain e Eden erano troppo occupati colle cerimonie e colla Conferenza Imperiale e non gli hanno dato il tempo necessario per discutere e farsi ascoltare. Vansittart si è più liberamente prodigato coi suoi alleati francesi, ma questi ultimi non sono rimasti per nulla soddisfatti delle risposte che Vansittart avrebbe loro dato per conto di Eden e di Chamberlain. Vansittart ha in sostanza consigliato Delbos e Léger di non insistere sui punti del loro programma considerando tale discussione intempestiva. Più precisamente egli avrebbe spiegato che l'Inghilterra: 0 ) Non ritiene opportuno risollevare in Europa vane e pericolose speranze resuscitando delle «attive» discussioni sul disarmo. 2°) Non può prendere impegni, oltre ad un generico interessamento derivante dai suoi obblighi di carattere collettivo a Ginevra, su schemi o progetti concernenti l'Europa Danubiana. 3°) Il governo brittannico considera con favore una rapida soluzione della questione etiopica a Ginevra, un ristabilimento di buoni rapporti coll'Italia, e comunque non condivide l'idea francese di domandare all'Italia contropartite. 4°) Circa l'ultimo punto, Vansittart, pur essendone personalmente contrario, ha detto a Delbos che il governo brittannico condivide l'avviso di profittare delle attuali apparenti buone disposizioni manifestate dalla Germania, e di coltivare tali disposizioni per quanto possibile.

Delbos non soddisfatto delle risposte avute dal Foreign Office, ha trascorso le sue giornate di Londra facendo la più smaccata corte ai tedeschi, trotterellando dietro Blomberg e avvicinando il maggior numero possibile di esponenti dell'ex-sanzionismo, liberali, laburisti, societari ecc. ecc. tutti quelli insomma che sanzionismo finito -formano il blocco dell'antifascismo inglese tuttora in armi contro di noi, e che dovrebbe -secondo le speranze dei socialisti del Fronte Popolare francese-sboccare domani in un governo di Fronte popolare brittannico. Con tutti questi nostri avversari, che nelle giornate di Guadalajara hanno capeggiato la campagna oltraggiosa contro l'Italia sperando di prendersi la rivincita della sconfitta loro inflitta dal Duce l'anno scorso, Delbos ha svolto una campagna, per la verità un po' troppo sfacciata, contro di noi, nella evidente grottesca speranza di profittare del momento delicato in cui sono venuti a trovarsi i rapporti fra l'Italia e l'Inghilterra. Delbos, e, con più cautela ma non con minore zelo, Léger, hanno cercato di rifare insomma di nuovo a Londra il tentativo fatto a Parigi il 24 marzo

u.s. consistente cioè nell'attrarre il governo brittannico in un deciso fronte antifascista contro l'Italia e rivolgendo nello stesso tempo un «patetico» appello a Hitler 1! I temi svolti da Delbos sono stati i soliti: necessità di un'azione energica per la tutela degli interessi inglesi e francesi minacciati dalla politica aggressiva di Mussolini, intempestività di risolvere la questione dell'ex-Stato etiopico a Ginevra sino a che non saranno chiarite le posizioni italiane rispetto la Società delle Nazioni, la politica danubiana e la Spagna.

Alla luce di quello che ho visto con i miei occhi durante la scorsa settimana a Londra da parte di Delbos e di Léger, io non posso veramente che sorridere nel leggere l'ultimo della serie di telegrammi di Cerruti in cui egli riferisce avergli Léger detto alla vigilia della sua partenza per Londra: «... la Francia desidera ardentemente mettere la parola 'fine' alla questione etiopica» 2•

Ecco perché, come Ti ho telegrafato, il Tuo discorso di giovedì, smentendo in pieno tutte le asserzioni di Delbos nel bel mezzo della sua azione, ha spuntato nelle mani dei nostri avversari le loro stesse armi. Un equilibrio si è prontamente ristabilito, e Delbos, ripassando la Manica, non deve certamente essere stato molto soddisfatto nel complesso dei risultati ottenuti.

I Tedeschi a Londra.

Così vengo al punto più delicato, e cioè a quello che si riferisce a Blomberg ed ai tedeschi. Non vi è dubbio che Blomberg parte oggi da Londra (è stato l'ultimo dei rappresentanti stranieri all'Incoronazione a lasciare il suolo inglese) potendo fare l'ovvia constatazione che fra tutti i personaggi esteri inviati a Londra la settimana scorsa egli è indubbiamente quello che ha «marcato» il maggior successo. Anzitutto egli è piaciuto fisicamente. Gli inglesi che «temevano» di vedersi arrivare il corpulento Goering, sono stati invece subito piacevolmente impressionati dalla figura di questo soldato alto, silenzioso ed asciutto. Blomberg si presenta infatti come il tipico generale prussiano, e gli inglesi, come Tu sai, hanno avuto sempre una reverenza, commista alla paura, dei generali prussiani. Tu ricordi che è soltanto

I Vedi DD. 336, 337 e 343. 2 Vedi D. 535.

dopo il parere concorde dei generali prussiani che lo Stato Maggiore del War Office ha deciso due anni or sono che gli italiani avrebbero incontrato difficoltà insormontabili nella loro campagna etiopica. Non credo che Blomberg abbia avuto conversazioni effettivamente importanti con gli uomini di Stato brittannici. Questo non perché me l'abbia detto anche ieri Ribbentrop ma per ragioni esclusivamente materiali. Vansittart e lo stesso Eden hanno fatto, d'altra parte, di tutto per «ridurre» al minimo le accoglienze e il successo di Blomberg ma bisogna dire che non vi sono riusciti se non in piccola parte. Nonostante la disapprovazione, in alcuni addirittura rabbiosa, dei conservatori di destra e di tutti gli anti-tedeschi, occorre riconoscere che Blomberg parte da Londra in un'atmosfera di una certa simpatia. Di questa atmosfera vi è stato ieri l'altro una manifestazione addirittura eccezionale quando Blomberg è stato invitato a visitare nientemeno che i nuovi apparecchi da bombardamento brittannici, il che ha mandato su tutte le furie i conservatori di destra, e la Morning Post di stamane fa su di ciò il più amaro dei suoi commenti.

Quali sono state le ragioni di questo successo «esteriore» della visita di Blomberg? Parecchie. I tedeschi hanno fatto di tutto, nelle ultime settimane precedenti all'Incoronazione, per dimostrare agli inglesi che la Germania hitleriana partecipava nel modo più cordialmente caloroso alle celebrazioni nazionali e imperiali brittanniche. L'Observer di domenica scorsa ha addirittura stampato che la Germania nazista è stata fra tutte le Nazioni quella che ha partecipato con più schietta solidarietà alle feste dell'Incoronazione. Vi è stato è vero alla fine di aprile l'incidente del bombardamento di Guernica e il rifiuto da parte del Foreign Office di dare a Goering, allora designato da Hitler per Londra, il rango da Goering richiesto. Il malumore per la campagna anti-tedesca per il bombardamento di Guernica non è durato di fatto più di due giorni.

Invece di Goering è stato designato il capo delle armate tedesche, il Maresciallo Blomberg, il quale ha avuto naturalmente dal Foreign Office il rango che era stato richiesto per Goering e che è arrivato in Inghilterra accompagnato dalla più potente corazzata germanica, il Gra( vari Spee per rendere omaggio al nuovo Re d'Inghilterra. Nello stesso tempo i corrispondenti da Berlino comunicavano che Blomberg era latore di un dono personale del Fiihrer per Giorgio VI e facevano un gettito quotidiano di notizie tendenti a presentare un orientamento «pacifista» assolutamente nuovo della politica tedesca. Gli inglesi sono stati contempoianeamente tranquillizzati nelle loro ansietà politiche e lusingati nel loro amor proprio e nella loro vanità nazionale. Che a Spithead fosse ancorato il Graf von Spee colla Svastika e il gran pavese in onore del Re Brittannico, e che la Germania dello Yutland, delle Fiandre e di Scapaflow fosse venuta a Londra al primo posto e in prima fila contribuendo a dare al mondo brittannico l'illusione che nulla turberà la pace del nuovo Regno e dell'Impero, tutto ciò ha, come ho detto, lusingato enormemente gli inglesi e li ha disposti a trovare subito in Blomberg una specie di tedesco ideale. Ma ciò tuttavia non sarebbe stato sufficiente, se a quel particolare stato d'animo non avesse contribuito la campagna in favore della Germania nazista a cui si sono dedicati particolamente durante queste ultime settimane tutti i mangia-nazisti di fino a qualche tempo fa, e cioè liberali, laburisti, preti anglicani e societari, tutto insomma il vecchio sanzionismo antifascista e anti-italiano. Di questa campagna, diretta all'obiettivo evidente di indebolire l'Asse Roma-Berlino, gli ambienti tedeschi di Londra hanno senza dubbio, e senza farsi certamente degli scrupoli, largamente profittato.

lo mi sono astenuto sinora, espressamente, dal riferire su questo punto anche perché ho ritenuto opportuno seguire da vicino ·e per un certo periodo di tempo queste manifestazioni, e sopratutto non correre il rischio di sopravalutarle. Le istruzioni che ho ricevuto dal Duce e da Te nei rapporti dell'azione tedesca a Londra sono state le seguenti; lavorare in istretto accordo coi tedeschi e controllare l'azione di Ribbentrop. Le relazioni fra l'ambasciata di Germania e l'ambasciata d'Italia sono state infatti sempre e sono tuttora eccellenti. Nelle mie relazioni personali con Ribbentrop io ho fatto sempre finta di non accorgermi delle sue fornicazioni di questi ultimi mesi con le correnti anti-italiane e anti-fasciste in Inghilterra.

Questo mi obbliga ad esaminare la situazione anche in rapporto a quelle che sono state in questi ultimi due mesi l'azione italiana e l'azione tedesca in seno al Comitato di non-intervento. Dal settembre dell'anno scorso, cioè dall'inizio dei lavori del Comitato di non-intervento in Spagna, la delegazione italiana e la delegazione tedesca hanno proceduto fino a due mesi fa con un accordo sostanziale e perfetto. Bismarck prima, Wormann poi e poscia Ribbentrop hanno sempre seguito con perfetta solidarietà la nostra azione. Noi, d'altra parte, abbiamo sempre difeso e appoggiato l'azione tedesca. Così è stato fino alla metà di marzo e cioè fino agli incidenti di Guadalajara. È precisamente da questo momento che Ribbentrop ha cominciato a frequentare con più diligenza le discussioni del Comitato di non-intervento dando all'azione tedesca un carattere di una certa autonomia e indipendenza dall'azione italiana. Quest'attitudine ha coinciso con un mutamento in quella che era stata sin dal momento del suo sbarco in Inghilterra nell'ottobre scorso, l'attitudine di Ribbentrop e dei tedeschi di Londra nei confronti dei liberali, laburisti e societari brittannici. Non vi è dubbio che dalla metà di marzo, e cioè da quando sono peggiorati di nuovo improvvisamente i rapporti italo-brittannici e da quando è ricominciata l'astiosa campagna antifascista contro l'Italia, è cambiata non meno improvvisamente l'attitudine delle sinistre antifasciste nei riguardi della Germania nazista. È cambiata parimenti nello stesso tempo, come ho detto, la tattica tedesca nell'ambiente politico brittannico.

Tu ricordi come dall'ottobre al marzo u.s. la Germania hitleriana sia stata alla Camera dei Comuni. nella stampa brittannica e in tutte le manifestazioni politiche inglesi il bersaglio principale degli attacchi degli antifascisti e delle sinistre inglesi. Queste manifestazioni anti-hitleriane e anti-tedesche hanno assunto in un certo momento perfino del grottesco. Tu ricordi, ad esempio, gli attacchi fatti personalmente a Ribbentrop dalle destre e dalle sinistre quando egli, in occasione del primo ricevimento a Corte dato da Giorgio VI ai primi di febbraio, invece di seguire il protocollo consuetudinario, si è piantato in faccia al Sovrano facendo il saluto nazista. Questi attacchi anti-tedeschi da parte dei liberali e dei laburisti sono improvvisamente cessati verso la metà di marzo cioè quando si è di nuovo scatenata la campagna diffamatoria contro l'Italia. Per tre settimane consecutive ogni giorno alla Camera dei Comuni, i Deputati di opposizione e anche della maggioranza hanno continuato a svolgere, a decine, interrogazioni contro l'azione italiana in !spagna. Non una sola interrogazione è stata durante questo tempo, presentata contro la Germania, della quale tutti hanno cominciato a parlare ad un tratto col maggiore dei riguardi. Nella seduta del 23 marzo del Comitato di non-intervento e in quelle successive Ribbentrop si è ben guardato dall'assumere una attitudine di solidarietà con l'Italia. Chi si è battuto in quel momento al nostro fianco è stato invece l'ambasciatore del Portogallo al quale Eden ha dopo rimproverato l'imprudenza del suo atteggiamento, segnalandogli come esempio il più cauto contegno di Ribbentrop 1 . L'idea di mandare il laburista Lansbury a Berlino 2 , proprio nel momento più acuto della campagna diffamatoria contro l'Italia, è stata un'idea di Ribbentrop. C'è stata, è vero, l'ombra delle polemiche per i bombardamenti di Guernica. Ribbentrop ha in quell'occasione fatto la voce grossa nel Comitato e si è recato anche da Eden a protestare. Eden gli ha risposto pubblicamente in piena Camera dei Comuni con un linguaggio assai sgradevole per lui e per la Germania. Ribbentrop mi ha detto il giorno stesso che intendeva puntare i piedi di nuovo minacciando addirittura il ritiro della Germania dal Comitato. Poi viceversa è stato zitto, e la polemica di stampa anglo-tedesca è cessata dopo tre giorni.

Durante il soggiorno di Blomberg a Londra gli antifascisti inglesi sono stati in prima fila ad applaudire il rappresentante del nazismo tedesco. Il Sunday Chronicle, l'organo più spinto cioè del sanzionismo anti-italiano, annunziava addirittura in un titolo a pagina intera domenica scorsa, come commento alla presenza di Blomberg, Anglo-Nazi Peace Pact. Ribbentrop ha dato in onore dell'arcivescovo di Canterbury, perché questi potesse incontrarsi con Blomberg, una colazione all'ambasciata di Germania. Quest'ultima è stata durante questi giorni la meta preferita degli antifascisti brittannici, in testa ai guaii proprio quel Vernon Bartlett il quale sembra abbia fatto della diffamazione contro l'Italia Fascista lo scopo principale della sua attività professionale e politica. Ma la cosa che ha suscitato gli allegri commenti di Londra è che, in occasione dei ricevimenti dati a Corte nella settimana dell'Incoronazione, l'ambasciatore nazista Ribbentrop ha completamente dimenticato il saluto nazista fatto tanto orgogliosamente nel febbraio scorso, e si è uniformato al vecchio inchino protocollare!

Tutto quanto Ti ho sopra obbiettivamente riferito riguarda evidentemente un settore dell'azione diplomatica tedesca, limitato cioè esclusivamente a quello di Londra. Da questa attitudine dei tedeschi a Londra non si possono trarre delle conclusioni di carattere generale. Siamo nel campo della tattica, nulla più. Forse i tedeschi hanno deciso di fare adesso quello che Stresemann mi disse nel 1929 all'Aja essere uno degli scopi della sua politica «organizzare la simpatia». Da tedeschi quali sono, essi fanno ciò forse un po' troppo pesantemente, ecco tutto.

Gli antifascisti inglesi e francesi fondano tutte le loro speranze in una incrinatura dell'Asse Roma-Berlino. Lo spettro di una stretta unione italo-tedesca continua a dare l'incubo a Londra e a Parigi. I tedeschi non si lasceranno attrarre in questa trappola grossolana. Come ho avuto occasione di scriverTi parecchie volte, una cosa è chiara come l'acqua, e cioè che la diplomazia franco-brittannica tenta di dividere Roma e Berlino per battere uno dopo l'altro separatemente. Ad ogni modo, io non ho nessun elemento per giudicare i limiti e gli obiettivi dell'azione tedesca. Tu solo puoi valutarli inquadrandoli in quel che è la politica generale dei rapporti italo-tedeschi. Io mi limito semplicemente a riferirTi dettagli della mia osservazione quotidiana continuando a mostrare agli inglesi la più perfetta solidarietà fra l'azione italiana e tedesca a Londra come altrove. Anche in vista di ciò Ti sarei grato di

I Vedi p. 495, nota 3. 2 Vedi p. 614, nota l.

non fare conoscere a Berlino queste mie osservazioni, perché questo porterebbe a rendere più difficile il mio lavoro con Ribbentrop, le ottime relazioni col quale mi permettono un controllo che va continuato con diligenza sistematica.

4) L 'Italia e i Dominio ns.

All'inizio di questa lettera Ti ho detto che se io dovessi fare il punto della situazione dei rapporti italo-brittannici alla data di oggi, 21 di maggio, non potrei se non ripetere quanto ho già detto nel mio rapporto n. 1241 del 7 aprile e nei miei telegrammi per corriere n. 0136 e n. 0127 del 5 maggio e del 28 aprile. I provvedimenti del Duce e il Tuo discorso alla Camera hanno di nuovo riportato la situazione a quella che era ai primi di aprile e cioè ad una posizione di equilibrio nei rapporti italo-inglesi che era andata successivamente alterandosi a nostro svantaggio. Alla febbre acuta della settimana scorsa è seguito uno stato di relativa distensione. Non vi è dubbio che gli avvenimenti della settimana scorsa hanno obbligato gli esponenti più responsabili della politica brittannica a riflettere seriamente sulla situazione anormale dei rapporti italo-brittannici. Ma la situazione è ancora provvisoria e fluida, e sarebbe assai imprudente, in questo momento, fare delle previsioni o trarre delle conclusioni di carattere definitivo. La settimana prossima, non v'è dubbio, sarà molto importante agli effetti dei futuri orientamenti del governo brittannico in materia di politica estera, e particolamente in relazione ai rapporti con l'Italia. Siamo alla vigilia, o meglio· a cavallo, di tre avvenimenti, e cioè l'Assemblea di Ginevra, le decisioni della Conferenza Imperiale, il ritiro di Baldwin e la successione di Chamberlain accompagnati da qualche altro mutamento nella composizione ministeriale. Eden parte domani per Ginevra. Le direttive dategli dall'agonizzante Primo Ministro Baldwin e dal non ancor nato Primo Ministro Chamberlain sono nel senso di agire «indirettamente» per liquidare una volta per sempre la questione etiopica a Ginevra rimovendo questo ostacolo pregiudiziale a qualsiasi serio tentativo di conciliazione con l'Italia. Si assumerà Eden in questo momento questa responsabilità, che egli ha mostrato chiaramente di voler lasciare intera al nuovo Gabinetto? L'esitazione di Eden e l'azione svolta dai francesi per scoraggiare eventuali iniziative di piccole Potenze a Ginevra, non permettono di fare, oggi 21 maggio, delle previsioni sicuramente ottimistiche nel senso cioè che l'imminente Assemblea di Ginevra definitivamente liquiderà la posizione dell'ex Stato etiopico.

Prima di partire per Ginevra Eden ha iniziato la sua esposizione di politica estera davanti alla Conferenza Imperiale e cioè ai Primi Ministri dell'Inghilterra, del Sud-Africa, del Canadà, della Nuova Zelanda e dell'Australia. Egli tornerà da Ginevra al più presto possibile per continuare tale esposizione e per partecipare al dibattito che nei prossimi giorni avrà luogo nella Conferenza Imperiale sulla politica estera dell'Impero. La situazione del Mediterraneo e i rapporti anglo-italiani rappresenteranno uno dei punti principali che saranno discussi nella Conferenza dei Primi Ministri brittannici. Le decisioni che saranno prese costituiranno l'indicazione e la base per le direttive di politica estera del futuro Gabinetto presieduto da Chamberlain. Le dichiarazione dei Primi Ministri dei Dominions avranno dunque un peso assai importante su quelli che saranno i futuri orientamenti dell'Inghilterra nei confronti dell'Italia.

Come ho avuto già occasione di accennare in questo rapporto, non v'è dubbio che i personaggi i quali effettivamente contano di più a Londra in questo momento sono quattro, e precisamente: Mackenzie King, Primo Ministro del Canadà; Hertzog, Primo Ministro del Sud-Africa; Lyons, Primo Ministro australiano; e Savage, Primo Ministro della Nuova Zelanda. Sono questi quattro Rappresentanti dei Dominions, o meglio come essi amano chiamarsi dei «Regni brittannici» che io sopratutto ho cercato di avvicinare e di lavorarmi durante questi giorni, perché nelle imminenti discussioni che avranno luogo a Downing Street essi siano perfettamente al corrente della posizione dell'Italia fascista e contribuiscano a orientare l'incerta politica brittannica verso le direttive che noi desideriamo.

Pur non avendo avuto istruzioni di farlo, io ho creduto utile e opportuno avere con ciascuno di questi quattro Primi Ministri delle lunghe conversazioni sopratutto allo scopo di chiarire i precedenti di questi due anni di politica italo-brittannica, la posizione dell'Italia in Africa e nel Mediterraneo, il Gentlemen 's Agreement del 2 Gennaio e di «peptonizzare» secondo la mentalità di questi selvaggi che devono assomigliare in tutto a quei generali barbari i quali negli ultimi tempi dell'Impero Romano governavano effettivamente dalle lontane frontiere la politica di Roma, un fatto ovvio e cioè, il vitale interesse che ha l'Impero brittannico d'una politica di pace e d'intesa duratura e leale con l'Italia fascista.

Come mi aspettavo, ho trovato Hertzog, Primo Ministro del Sud-Africa, restio, per non dire ostile. Il Sud-Africa non è interessato al problema della sicurezza brittannica nel Mediterraneo e d'altra parte lo stabilimento in Africa dell'Italia fascista come grande Potenza militare africana turba i sogni imperialistici di questi barbari semi-olandesi di Capetown i quali hanno accarezzato e accarezzano tuttora l'ambizioso disegno di un'espansione panafricana verso il Nord. Non credo che avremo Hertzog a noi favorevole nelle imminenti discussioni alla Conferenza Imperiale. Non vi è dubbio che dopo la conquista dell'Impero etiopico le dirette relazioni diplomatiche fra Roma e Capetown (fra Roma e tutti i Dominions) sono diventate un problema di grande attualità e importanza, anche per il riflesso che le relazioni tra Roma e Capetown hanno ed avranno a Londra, e quindi indirettamente sui rapporti fra Italia e Inghilterra.

Ho trovato viceversa il socialista Lyons, Primo Ministro dell'Australia, e Savage, Primo Ministro della Nuova Zelanda, naturalmente assai vivamente interessati al problema del Mediterraneo. Per gli australiani e neo-zelandesi il Mediterraneo è ancora una specie di arteria aorta che li unisce al sistema circolatorio dell'Impero. Li ho trovati pieni di pregiudizi e con la testa piuttosto infarcita dei soliti luoghi comuni contro il fascismo. La mentalità di questi selvaggi oltre Oceano, in confronto dei quali gli americani del Middle-W est sembrano addirittura dei civilizzati decadenti, è lontana da noi e dal nostro spirito europeo come Marte e la Luna. Però il Mediterraneo li tocca da vicino e io mi sono molto compiaciuto nel constatare che tanto Lyons quanto Savage, i quali mostrano di ignorare gli elementi più elementari della geografia e della storia europea, conoscono invece perfettamente non solo l'esistenza dell'Isola di Pantelleria, ma anche che questa isola è e sarà irta di cannoni italiani dai quali dipenderà in gran parte se Londra e Sydney ovvero se Londra e Wellington potranno tranquillamente comunicare e commerciare tra loro. Tanto l'uno quanto l'altro mi sono apparsi abbastanza convinti che la «pace mediterranea», così necessaria per l'Australia e per la Nuova Zelanda, non può più riposare sull'antica «pax brittannica» ma soltanto su una leale intesa anglo-italiana.

Chi ho trovato il più ricettivo e intelligente, e tutto sommato assai ben informato sul fascismo e sull'Italia, è Mackenzie King, Primo Ministro del Canadà. Mackenzie King è un liberale, ma il liberalismo canadese è evidentemente un liberalismo sui generis, il quale trae soprattutto le sue origini e le sue tradizioni dalle vecchie lotte contro gli inglesi. Mackenzie King, che io conosco da parecchi anni e per il quale io stesso domandai al Duce un'udienza nel 1928, tiene assai a ricordare che il nonno è stato bandito ed esiliato dai governatori inglesi di Montreal per le sue tendenze tutt'altro che lealiste alla Corona brittannica. Nelle conversazioni che ho avuto con lui in questi giorni io stesso mi sono meravigliato della conoscenza che questo liberale canadese ha per le istituzioni politiche e sopratutto corporative del fascismo e per l'ammirazione sincera che egli professa per il Duce. Ricordando l'udienza che il Duce ebbe a concedergli nel 1928, egli mi ha pregato di rinnovare al Duce l'espressione della sua simpatia e del suo rispetto cordiale. Vorrei a tal proposito essere autorizzato (Ti sarei grato di un telegramma che mi autorizzi a farlo) a far sapere a Mackenzie King che il Duce lo ricorda ed ha gradito il suo saluto. Per il Canadà il problema del Mediterraneo non ha un'importanza diretta ma Mackenzie King mi è apparso di avere una sufficiente sensibilità dei problemi europei per rendersi conto degli effetti che una leale conciliazione fra Londra e Roma avrebbe in Europa e fuori d'Europa. Come tutti i canadesi progressisti e intelligenti egli si rende conto che il prestigio e la fortuna del Canadà dipendono in gran parte dal mantenimento di un giusto equilibrio fra l'influenza inglese e quella degli Stati Uniti d'America. Una intesa fra Inghilterra e Italia significa un'Inghilterra più sicura e più tranquilla in Europa e quindi più autonoma nei confronti degli Stati Uniti d'America. Di un'ipotetica alleanza fra Gran Bretagna e Stati Uniti il Canadà sarebbe probabilmente quello destinato a fare le spese. Mackenzie King mi ha ricordato che egli è stato un oppositore alla politica ginevrina delle sanzioni e che egli stesso ebbe a telegrafare al delegato canadese a Ginevra sconfessandolo per l'iniziativa presa, senza autorizzazione del suo governo, di nuove sanzioni contro l'Italia. Mackenzie King mi ha assicurato che egli sosterrà nelle discussioni imminenti a Downing Street la necessità di una seria revisione della politica brittannica nei confronti dell'Italia.

Ho creduto utile non trascurare questo particolare aspetto della situazione, e cioè l'azione sempre più diretta che i governi dei Dominions sono chiamati a esercitare sulle direttive della politica estera brittannica, e quindi in primo luogo sul futuro dei rapporti tra Londra e Roma.

Prima del 9 maggio 1936 i rapporti fra Londra e Roma erano essenzialmente i rapporti fra due Potenze Europee, il Regno Unito e il Regno d'Italia. Con la fondazione del nostro Impero africano il piano dei rapporti italo-brittannici ha subito uno spostamento e un'allargamento proporzionali e improvvisi. Il piano dei rapporti tra Londra e Roma non è più soltanto quello fra due Potenze europee: bensì fra due Imperi extra continentali. Questo mutamento nel vecchio equilibrio imperiale brittannico, operatosi in pochi mesi e in circostanze politiche e militari assolutamente imprevedute da parte inglese ha determinato nell'interno del mondo brittannico un processo penoso, laborioso di graduale adattamento psicologico alla nuova situazione: in questo sforzo si deve ricercare soprattutto la ragione della paradossale, incomprensibile attitudine brittannica di quest'ultimo anno. Impotenti ieri a impedire la nostra conquista territoriale dell'Etiopia, sono altrettanto impotenti oggi ad accettare l'Impero italiano come realtà politica internazionale. Ci sono voluti sei mesi precisamente dal maggio al dicembre 1936 perché essi giungessero a «digerire» e riconoscere il fatto della conquista territoriale dell'Etiopia. Il ritiro della guardia e l'abolizione della legazione ad Addis Abeba questo infatti hanno significato. Ci vorrà certamente un tempo non meno breve perché essi si rassegnino a «digerire», e finiranno presto o tardi per farlo, il boccone ben più amaro: l'Impero fascista come realtà politica internazionale extra europea. Che l'Italia fascista acquistasse dei nuovi territori per la sua espansione coloniale in Africa, ciò era già molto, troppo per gli inglesi. Ma che l'Italia fascista si trasformasse improvvisamente in un Impero suscettibile di modificare di colpo nel piano politico militare e internazionale il vecchio equilibrio dell'Impero brittannico, questo è il «boccone» amaro che gli inglesi fanno una fatica autentica ad ingoiare. Le escandescenze rabbiose dell'ex sanzionismo anti-italiano non sono, in fondo, se non le smorfie grottesche ed esteriori di una pena che è comune a tutti gli inglesi. Roma si trova adesso, coi suoi soldati, coi suoi aeroplani e con le sue navi, nel Mediterraneo, nel Mar Rosso, nell'Oceano Indiano, sull'acrocoro etiopico, sul Nilo Azzurro e sul Lago Rodolfo, a mezza strada fra Londra e tutti, salvo il Canadà, i Regni e territori brittannici. Questo significa qualcosa di ben diverso di un semplice ingrandimento territoriale coloniale. Una nuova situazione politica si è creata tra Roma e Londra, fra Londra e i suoi Dominions e fra Roma e Capetown -Bòmbay -Sydney -Wellington.

Questa è la sensazione, dirò così, «fisica» che ho tratto discutendo coi quatto capi barbari del Canadà, del Sud-Africa, dell'Australia e della Nuova Zelanda. Mi riprometto di tornare su questo punto dopo che la Conferenza Imperiale (che io sto seguendo con il più vivo interesse) avrà terminato i suoi lavori.

Ti prego scusare la lunghezza di questa lettera. Era impossibile dire di più, ma difficile di meno 1 .

623

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO,

T. 3455/454 R. Salamanca, 22 maggio 1937, ore 13,50 (per v. ore 2,30 del 23).

Suo 949 circolare2 .

Franco mi ha dichiarato che:

l) concorda con consièierazioni V.E. circa scopi che si prefigge governo inglese;

2) considera inaccettabile qualunque proposta di armistizio, anche indipendentemente da ritiro volontari e al riguardo mi farà pervenire nota che trasmetterò prossimo corriere;

I 11 documento ha il visto di Mussolini. Il 28 maggio Mussolini telegrafava a Grandi (995/218 R.): «Ho letto il tuo vivace interessante rapporto sulla incoronazione. Per quanto riguarda il canadese, gli puoi dire che mi ricordo di lui e che egli può fare molto per la definizione dei rapporti itala-britannici sul terreno della nuova realtà».

2 Vedi D. 610.

3) è convinto pertanto necessità accelerare operazioni militari e sta facendo il possibile in questo senso; non mi ha celato però difficoltà provenienti sopra tutto dagli aiuti che Bilbao continua a ricevere nonostante impegni non intervento;

4) ha preparato nota a governi esteri chiedendo riconoscimento della qualità di belligerante; 5) si propone contestare legittimità governo rosso con nota circostanziata che farà pubblicare nel Journal de Genève alla vigilia inizio prossima sessione.

624

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PER CORRIERE 7544 P. R. Roma, 22 maggio 1937.

Il R. Consolato a Siviglia ha comunicato in data del 19 corrente1 quanto segue:

«Mi è stato ieri riferito da fonte confidenziale che il duca d'Alba è stato in questi giorni investito dal generalissimo Franco di una missione a Londra, intesa a preparare il terreno per una distensione dei rapporti fra governo britannico e governo nazionale spagnolo. Il duca d'Alba, che gode in Inghilterra di molte simpatie e di forti aderenze anche negli ambienti governativi, viene qui giudicato come la persona più adatta a svolgere un'azione in tal senso.

La notizia mi è stata stamane confermata da Queipo de Llano il quale per altro, pur precisando che l'incarico partiva dal Generalissimo, ha evitato di fornirmi dettagli circa la natura e le finalità della missione. Pomeriggio ho avuto occasione di incontrare lo stesso duca d'Alba che non mi ha fatto misteri della cosa, pure pregandomi di mantenere il massimo riserbo. Mi ha presentato la sua missione sotto l'aspetto di un'azione di propaganda da svolgersi negli ambienti e presso la stampa di destra. Egli si imbarca il 20 corr. a Gibilterra sul Conte di Savoia e sbarcherà il 22 a Napoli proseguendo poi per Londra. Non mi ha escluso che passi per Roma. Mi è parso preoccupato di lasciare intendere, pur senza dirlo, che la natura della sua missione non ha motivo di inquietare il nostro governo e che, appena a Londra andrà a vedere il nostro ambasciatore. Si dice che il duca d'Alba sia molto legato a Hoare. Telegrafato Roma e Salamanca».

Successivamente lo stesso R. Console ha telegrafato 2 : «Queipo de Llano, che ho di nuovo incontrato stamane a bordo R. Nave Passagno mi ha detto che il generalissimo Franco gli ha dato in questi giorni istruzioni di sospendere nelle sue radio cronache ogni attacco anti-britannico, in vista di una imminente distensione con l'Inghilterra. Telegrafato Roma e Salamanca urgenza assoluta».

È opportuno sottolineare col duca d'Alba, al suo arrivo costì, che mai come nelle circostanze presenti è apparso evidente proposito britannico di impedire vit

l Con T. 3366n87 R. 2 Con T. 3377/1798 del 19 maggio.

toria Franco e giungere a soluzione intermedia di compromesso. Tutte le recenti iniziative britanniche, dalla evacuazione di Bilbao alla proposta tuttora in corso per una generale sospensione di ostilità lo dimostrano. Se la missione del duca d'Alba ha per scopo di tentare di dissuadere codesto governo da tali propositi e, sopratutto, di controbattere propaganda dei rossi (che nella stampa e nell'opinione pubblica britannica è certamente molto meglio organizzata e condotta di quella nazionale), essa potrà naturalmente essere fiancheggiata e appoggiata dall'E.V. Ella vorrà comunque tenersi in contatto con lui e riferirmi a suo tempo quanto potrà constarle circa limiti e carattere sua missione 1•

625

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3461/037 R. Berlino, 22 maggio 1937 (per il 24).

Appena ricevuto il telegramma n. 949/C2 con il quale V.E. mi ordinava di consultare questo governo in merito alla nota proposta inglese di armistizio in !spagna e ciò «onde stabilire, in maniera concorde, una linea comune di azione», io ho subito chiesto di vedere il barone von Neurath. Questi essendo ancora assente e tornando soltanto ieri, io ho creduto -ad ogni buon fine -di fargli intanto avere, per iscritto, le «osservazioni preliminari» dell'E.V.

Convocato da Neurath per stamane io mi attendevo di poter appunto discutere con lui della questione e sentire il suo pensiero ai fini di una risposta concertata, e anzi da concertare, a Londra. Con mia sorpresa, il barone von Neurath mi ha invece comunicato che, avendo nel frattempo ricevuto da Hassell un telegramma col quale -a rettifica di quanto avevo informato io -lo si avvertiva che noi avevamo già -dico già -risposto all'Inghilterra, egli aveva, appena arrivato e cioè ieri stesso, senz'altro chiamato l'ambasciatore Sir Nevile Henderson e gli aveva dato, verbalmente s'intende, una risposta che può riassumersi come appresso:

l) Il governo del Reich sarebbe ben lieto di contribuire ad ogni iniziativa suscettibile di porre fine al conflitto spagnuolo.

2) Le informazioni in suo possesso tuttavia (Neurath diceva di avere testè ricevuto in proposito un rapporto di Faupel che, indipendentemente dalla proposta inglese, concludeva negativamente circa la possibilità -in questo momento -di una qualunque interruzione delle ostilità), provano che nessuna delle due parti sarebbe stata ora pronta ad accettare un armistizio.

I Grandi telegrafava il 18 giugno di essere in contatto con il duca d'Alba, la cui azione cercava di fiancheggiare promuovendo in alcuni giornali inglesi tra i più autorevoli la pubblicazione di articoli favorevoli al riconoscimento dello status di belligerante alla Spagna nazionale. Grandi riteneva peraltro evidente che il duca d'Alba restava «altrettanto anglofilo quanto lo era nel passato, sicché senza dubitare del suo patriottismo e della sua buona fede nei nostri riguardi» avrebbe continuato a sorvegliarne l'attività e a riferire in merito (T. per corriere 4322/0197 R. del 18 giugno). A tale proposito si veda il D. 811.

2 Vedi D. 610.

3) Una iniziativa, quindi, in questo senso sarebbe stata, ora, condannata a sicuro insuccesso, compromettendo così ogni possibilità futura.

4) In queste condizioni, il governo del Reich riteneva preferibile che fossero spinti avanti i lavori del Sottocomitato di Londra e se ne attendessero le conclusioni, salvo a vedere se, all'atto della esecuzione di un piano concreto di evacuazione, la proposta di un armistizio avrebbe potuto essere utilmente riaffacciata e ripresa.

Questa la risposta, qualificata di «analoga» alla nostra, che Neurath ha dato ier sera a Henderson, e che questi si è riservato di trasmettere al proprio governo. Almeno per il momento, Neurath non conta di far niente di più e si mantiene in attesa di eventuali, ulteriori passi da parte inglese.

Mentre, in assenza di alcuna notizia circa l'asserita risposta nostra ed il suo contenuto, io non ho creduto poter fare a Neurath alcuna osservazione di merito, non ho mancato peraltro di insistere e precisare che, nelle comunicazioni mandate a me, non si parlava affatto di una risposta data ma di una risposta da dare e sulla quali anzi si voleva conoscere, preventivamente, il parere del governo tedesco. Neurath ne ha preso atto ma ha confermato le informazioni già riferite di Hassell.

Incidentalmente, Neurath mi ha detto essere ormai evidente che la «rettifica» avvenuta nella compagine del governo di Valencia 1 era stata preparata da lunga mano ed espressamente voluta.

Richiesto da me se e cosa fosse stato deciso circa la nuova riunione proposta pei primi di giugno a Roma per gli affari di Spagna da S.E. il Capo del governo, il barone von Neurath mi ha risposto di considerarsi in proposito in attesa di ulteriori iniziative da parte italiana.

Sarò grato a V.E. di istruzioni in merito e sopratutto di una cortese sollecita conferma delle notizie date a Neurath da Hassel/2 .

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3462/164 R. Ginevra, 22 maggio 1937 (per. il 24).

Ho visto Avenol, di ritorno da Londra. Egli mi ha detto che Eden è molto perplesso sulla condotta da seguire nella questione etiopica, per il caso in cui l'ex Negus non invii delegati (nel caso, infatti, in cui si presentasse una pseudo delegazione etiopica, Avenol ritiene non essere ormai dubbio che essa verrebbe esclusa dall'Assemblea). Eden è combattuto fra le due opposte tendenze che si manifestano in Gran Bretagna e in seno allo stesso partito conservatore: una contraria

l Si riferisce alla formazione -il 17 maggio -del governo presieduto da Juan Negrin con agli Esteri José Girai.

2 Nel frattempo, Ciano telegrafava all'ambasciatore Attolico che il governo italiano non intendeva rispondere alla nota britannica «sino alla fine della prossima sessione del Consiglio ginevrino, all'ordine del giorno del quale la questione spagnola sarebbe inscritta su richiesta di Valencia» (T. 963/193 R. del 22 maggio).

all'Italia e l'altra, invece, favorevole ad una chiarificazione dei rapporti italoinglesi. Avenol mi ha detto che in occasione di un pranzo offerto dal Foreign Office durante le feste dell'incoronazione, il Re lo ha fatto chiamare da Eden e gli ha parlato per qualche minuto. Fra le altre cose, gli ha domandato quali possibilità si presentassero per liquidare la questione etiopica, dando a vedere, in tal modo, sia pure velatamente un certo desiderio che il terreno venga sgombrato da tale questione.

Avcnol ritiene, che, se non si presenterà una pseudo delegazione etiopica, qualche delegato, in occasione della verifica dei poteri, dovrebbe farne notare l'assenza e, ricollegando questa circostanza alle riserve formulate nel rapporto della Commissione di verifica dell'ottobre scorso, porre l'Assemblea di fronte al problema nei suoi vari aspetti. A venol mi ha assicurato che in questo senso egli avrebbe già fatto dei sondaggi, recandosi anche espressamente a Berna, nei giorni scorsi. Egli però, rimane scettico, ritenendo che difficilmente si troverà uno Stato che si assumerà la responsabilità di una iniziativa.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3484/0149 R. Parigi, 22 maggio 1937 (per il 24).

Telegramma di V.E. n. 248 1 e mio telegramma n. 2542 .

Avendo avuto occasione di vedere oggi Delbos, ho fatto cadere genericamente la conversazione sopra i lavori di Ginevra che stanno per iniziarsi. Egli mi disse che se la delegazione etiopica vi si recasse si presenterebbe la necessità di esaminare la questione della validità dei suoi poteri ed essa sarebbe indubbiamente risolta in senso negativo. Ho osservato che, come risultava assai chiaramente dal discorso pronunciato da V.E. il 13 corrente alla Camera dei Deputati la cosa non ci interessa. Ciò non significava peraltro che il constatare come l'Assemblea della S.d.N., neppure avendo avuto l'occasione di riunirsi in sessione straordinaria, non sapesse trovare il modo di mettere fine alla questione etiopica, ci avrebbe lasciato indifferenti. Avremmo veduto in ciò una prova di più del malvolere della Francia e dell'Inghilterra e le conseguenze non sarebbero certamente state liete.

Delbos rilevò che io sembravo saperne più di lui perché egli ignorava se la delegazione etiopica si sarebbe o non presentata a Ginevra. Ribattei che lo ignoravo io pure ma che mi sembrava probabile che non sarebbe comparsa, appunto per mettere in una situazione equivoca Francia ed Inghilterra ed approfondire il fosso che separa l'Italia da queste due Potenze.

I Vedi p. 796, nota l. 2 Vedi D. 619.

Delbos disse allora che non si poteva escludere che si presentasse ugualmente un'occasione propizia per risolvere la questione e che egli sarebbe naturalmente stato lieto di coglierla.

Gli ho detto allora che mi erano pervenute voci secondo le quali il governo francese penserebbe di subordinare in certo qual modo la soluzione della questione etiopica ad un impegno da parte dell'Italia di riprendere la sua collaborazione alla S.d.N. sopratutto per ciò che concerne la riforma del Patto. Delbos non smentì la voce. Gli dissi allora, premettendo che parlavo a titolo personale, che mi permettevo sconsigliarlo dal pensare ad una simile tattica, che avrebbe prodotto cattiva impressione in Italia e che, sopratutto, era inutile dopo le dichiarazioni esplicite fatte da V.E. al Parlamento circa la posizione dell'Italia nella

S.d.N. Noi non riponevamo eccessiva fede in essa, ma se ci si fosse permesso di riprendervi il nostro posto lo avremmo fatto. Qualora si dovesse in seguito dovuto decidere di discutere della riforma della S.d.N. avremmo fatto valere quelle che sono le nostre idee, in una libera esposizione in cui ogni Stato avrebbe dovuto prendere posizione secondo la propria mentalità. Delbos mi rispose che trovava giusto quello che gli dicevo ed aggiunse che siccome la Francia e l'Inghilterra annettono tuttora una grande importanza alla S.d.N. e desiderano vederla riformata in un senso che soddisfi tutti i suoi membri, era più che naturale che tenessero al ritorno dell'Italia a Ginevra ed alla sua partecipazione alla eventuale discussione di cui si tratta.

Credo che dopo il linguaggio da me tenuto a Delbos, egli non penserà più a chiederci di assumere impegni di sorta.

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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3586/017 R. Praga, 22 maggio 1937 (per. il 27).

La reazione alle tendenze ritenute demolitrici dell'asse Roma-Berlino nei riguardi della Cecoslovacchia va assumendo forme svariate. Verso la Germania, riguardata quale pericolo più immediato e potente, corrono molte buone parole, espressione di voluta buona volontà per una sincera intesa di buon vicinato e di collaborazione. Analoga azione pacificatrice si tenta di usare verso l'Ungheria, alla quale si offre il riarmo ed una sistemazione della questione minoritaria in cambio di un patto di non aggressione. Perfino alla Polonia si porgono lusinghe in nome dei «grandi interessi permanenti comuni ai due Paesi» che dovrebbero aver ragione delle «controversie passeggere provocate e alimentate artificialmente». Nell'ambito della Piccola Intesa, mentre si tenta di impastoiare Stojadinovic minandolo poi sottilmente all'interno, si tiene d'occhio la Romania perché non divaghi troppo, auspicandosi magari un ritorno di Titulescu non molto rimpianto al momento della caduta.

Ma la maggiore attività è in questo momento spiegata nell'invocazione a Londra e nell'intrigo a Vienna.

Il presidente del Consiglio Hodza rientrando a Praga ha, com'era da prevedersi, vuotato il sacco delle belle parole raccolte presso tutti i dirigenti della politica britannica -si ha qui anche bisogno di sollevare lo spirito pubblico alquanto depresso -ma naturalmente Hodza non ha portato con sé nulla di concreto oltre agli affidamenti di protezione morale. Dissi quello che pensa al riguardo il ministro Krofta (mio telegramma per corr. n. O 13 del 17 maggio) 1 e non lo si può tacciare di soverchie illusioni, illusioni che non appaiono del resto nelle sue dichiarazioni di ieri alle commissioni parlamentarF il cui tono a riguardo dell'Inghilterra, pur sempre fiducioso e rispettoso, non è quello delle precedenti dichiarazioni del 2 marzo 3 a base di ossequio e gratitudine. Comunque si fa molto rumore intorno alla protezione dell'Inghilterra che riarma formidabilmente per ... la giustizia internazionale.

Altro lavorio insistente è quello che, come è noto, si svolge nei riguardi dell' Austria. Si va propalando che «l'Austria cerca appoggio a Londra e a Parigi, cioè una garanzia per la sua indipendenza visto che l'Italia la ha abbandonata all'influenza della Germania» (Narodoni Politika); che «nella politica estera austriaca pare sia superata oramai l'esclusività dei protocolli romani e dell'accordo austro-germanico. L'Austria non si sente obbligata a sentimenti di riconoscenza verso le due grandi Potenze vicine pel fatto che esse ne riconoscono l'indipendenza visto che ciò è cosa naturale che non ha bisogno di essere contracambiata» (Lidové Noviny). E si lavora di fantasia circa i colloqui di Schimdt a Londra e Parigi 4 che avrebbero destato grandi speranze a Vienna, ove le notizie di alcuni giornali inglesi e francesi circa un nuovo orientamento dell'Austria che abbandonerebbe l'asse Roma-Berlino e si appoggerebbe alle democrazie occidentali avrebbero avuto tale ripercussione da costringere il governo a frenare gli entusiasmi. Con che si vorrebbero spiegare le prudenti dichiarazioni di Schmidt di fedeltà ai protocolli di Roma e all'accordo italo-germanico.

In verità, come si son quietate le speranze poste nell'Inghilterra così si scolarano quelle riposte in Vienna anche se in fondo qualche cosa si attende sempre dall'Austria per intorbidire l'amicizia italo-germanica e la sua efficienza.

La Cecoslovacchia, attaccata, si difende e attende, chè del resto essa non vuol convincersi dell'eternità dell'asse Roma-Berlino sorto dagli avvenimenti di Africa e di Spagna quale uno stato di necessità per l'Italia, che un giorno, sorpresa dall'invadente pressione germanica, dovrebbe tornare a posizioni che sembrano sorpassate. Perciò non si vuole irritare l'Italia, anzi le si parla con cortese deferenza come ha fatto ieri il ministro Krofta nelle sue dichiarazioni di politica estera.

1 T. per corriere 3380/013 R. del 17 maggio. Il ministro de Facendis aveva riferito su un colloquio con Krofta al quale aveva chiesto notizie circa i risultati ottenuti dal presidente Hodza durante la sua permanenza a Londra per le feste dell'incoronazione. Krofta gli aveva risposto che il suo governo, pur essendo consapevole che la Gran Bretagna non avrebbe mai preso «impegni preventivi» verso la Cecoslovacchia, aveva voluto far conoscere la propria disponibilità «per una collaborazione costruttiva nell'Europa orientale» ed aveva potuto constatare che a Londra esisteva ora un maggior interessamento per le sorti della Cecoslovacchia.

2 Se ne veda il testo in Relazioni Interna::iona/i, pp. 436-440.

3 Vedi ibid.. p. 160.

4 Vedi p. 783, nota l.

629

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, DARANYI, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI, KANYA 1

APPUNTO. Budapest, 19-22 maggio 19372 .

Durante i colloqui che ho avuto con il Presidente Daranyi e con il Ministro Kanya, abbiamo compiuto un largo giro di orizzonte esaminando tutti i problemi che direttamente e indirettamente interessano la politica dei due Paesi. Devo premettere che fin dall'inizio delle conversazioni ho notato nel Ministro Kanya una certa perplessità, determinata particolarmente da alcuni dubbi che egli nutriva circa la nostra politica in Austria, le nostre trattative con la Rumania, le nostre relazioni con l'Inghilterra. Tali dubbi non parevano condivisi dal Presidente Daranyi.

In seguito dirò come io abbia potuto dare al Ministro Kanya le assicurazioni opportune, sicché egli, alla fine dei colloqui, mi ha confermato esplicitamente che nessuna incertezza esisteva più nel suo animo nei confronti delle nostre direttive.

Europa Centrale -Ho detto ai miei interlocutori quali fossero stati i risultati dei colloqui di Venezia 3 e il mio esposto ha integralmente coinciso, a loro dire, con quello già fatto da Schuschnigg in occasione della sua visita a Budapest4 .

Durante i colloqui avuti a Londra5 , a Kanya era stato ripetutamente detto dagli inglesi che noi, presi in Africa dalla nostra politica coloniale e panislamica e in !spagna dalla campagna anti-bolscevica, ci preparavamo a disinteressarci completamente del problema austriaco con tutto vantaggio della Germania nazista. Eden aveva apertamente consigliato Kanya a cercare insieme all'Austria e alla Cecoslovacchia di costituire un argine contro la pressione tedesca.

In pari tempo aveva lasciato comprendere che l'interessamento inglese alle vicende dell'Europa centrale non poteva essere che un interessamento platonico. D'altra parte Kanya gli aveva risposto che l'Ungheria, pur preoccupandosi di un eventuale dilagare della potenza tedesca verso i suoi confini, non vedeva la possibilità, né intendeva mutare la sua linea politica basata sull'amicizia con l'Italia e sulla collaborazione con la Germania.

Comunque Kanya nutriva dei dubbi circa il nostro attivo interessamento alla indipendenza dell'Austria e particolarmente l'articolo di Gayda6 era valso a confermare in lui, come, a suo dire, in alcuni circoli ungheresi e in molti austriaci, l'opinione che l'Italia si stesse gradualmente allontanando dalla posizione austriaca.

Ho ribattuto ciò con i noti argomenti e gli ho detto che una sola eventualità potrebbe immediatamente compromettere il nostro appoggio all'Austria: quella

1 Ed. in L"Europa verso la catastrofe, pp. 178-183.

2 Ciano aveva accompagnato i Sovrani in visita ufficiale a Budapest.

3 Vedi D. 500.

4 Il Cancelliere Schuschnigg aveva accompagnato il Presidente federale Miklas in visita ufficiale a Budapest dal 3 al 5 maggio.

5 In occasione delle cerimonie per l'incoronazione di Re Giorgio VI.

6 Vedi p. 665, nota 2.

cioè di un allineamento di Vienna sull'asse democratico bolscevico di Parigi, Praga, Mosca. Kanya ha preso atto di queste mie dichiarazioni e ne è parso vivamente soddisfatto.

Per quanto concerne i rapporti con la Piccola Intesa, ho narrato con molta ricchezza e precisione di particolari i colloqui con Stojadinovic ed ho illustrato i risultati del Patto di Belgrado. Per quanto concerne la Romania ho confermato che, nonostante ogni voce corsa, nonostante il reale interesse che potrebbe avere il condurla nel nostro sistema, noi non avevamo negoziati in corso, né intendevamo iniziarli sino a quando l'Ungheria non ci avesse fatto conoscere che la stipulazione di un Patto tra Roma e Bucarest non era soltanto ammessa, ma risultava utile e gradita alla politica magiara.

Kanya, facendo il punto delle relazioni ungheresi con i tre Stati limitrofi, mi ha detto che egli aveva accolto con simpatia il Patto di Belgrado e che anche l'opinione pubblica ungherese si era, nella sua assoluta maggioranza, resa conto delle importanti ragioni che lo avevano determinato e delle conseguenze benefiche che esso avrebbe potuto avere nei riguardi della stessa Nazione magiara. Inoltre Kanya ha accolto con la più viva soddisfazione le mie dichiarazioni relative alla nostra politica nei confronti della Romania. Per quanto concerne l'attuale posizione ungherese egli faceva rilevare che il solo Stato con il quale avrebbe potuto stipulare un Patto in ogni momento, era la Cecoslovacchia la quale continua a rinnovare le sue profferte. Ma ciò non è, almeno per ora, nelle intenzioni del Governo ungherese. Con la Jugoslavia le relazioni hanno subito una notevole détente, ma per il momento è da escludere, in seguito ai noti recenti accordi conclusi a Belgrado nella riunione della Piccola Intesa, un accordo separato con Belgrado.

Più difficili sono le relazioni con la Romania ove la pressione sulle minoranze ungheresi diviene ogni giorno più grave e dolorosa e dove l'opinione pubblica romena è nettamente orientata in senso anti-magiaro.

Allo stato degli atti Kanya non vede la possibilità di un immediato sviluppo della situazione. Si è parlato in alcuni ambienti ungheresi della possibilità di svolgere trattative contemporaneamente con i tre Stati per arrivare a dei Patti bilaterali con ciascuno di essi, lasciando poi al tempo di far sopravvivere quei Patti che avessero in sé contenuto di vitalità e di far morire quello che in Ungheria non è desiderato, e cioè il Patto con la Cecoslovacchia. Comunque nessuna decisione è per ora presa e Kanya conferma che prima di iniziare trattative in qualsiasi senso prenderà contatto con il Governo Fascista.

Nostre relazioni con l'Inghilterra -Durante il suo soggiorno londinese, Kanya ha avuto due colloqui con Eden e Vansittart i quali gli hanno dichiarato che da parte inglese si desiderava vivamente di arrivare ad un'intesa con l'Italia e che a loro parere nulla dovrebbe ormai sostanzialmente ostarvi.

Ciò è quanto Kanya mi ha detto. Ma in realtà ritengo che i due uomini politici inglesi abbiano descritto il nostro atteggiamento nei confronti dell'Inghilterra come quello di chi intende provocare un conflitto e ciò aveva profondamente impressionato Kanya. Questi mi ha ripetuto più volte numerose considerazioni sulla potenza inglese e sulle alleanze democratiche che automaticamente si salderebbero intorno ad una Gran Bretagna attaccata da noi.

Daranyi, poi, meno diplomatico e nei riguardi nostri più schiettamente amico, mi ha rivolto questa domanda esplicita: «È vero che Musso lini vuole fare la guerra all'Inghilterra?».

Ho risposto elencando la serie dei gesti da noi compiuti per rendere possibile una ripresa di relazioni con la Gran Bretagna e quella incontestabile delle numerose provocazioni che da parte britannica ci sono in questi ultimi tempi venute. Anche in futuro noi vogliamo fare del nostro meglio per rendere normali le relazioni con l'Inghilterra, ma non abbiamo nel frattempo chiuso gli occhi alla realtà, e, di fronte alla preparazione inglese, la nostra preparazione procede con un ritmo metodico e sicuro. Nessuna intenzione aggressiva da parte nostra. Egualmente nessuna possibilità di ripiegamento italiano di fronte ad una eventuale aggressione britannica.

Queste mie dichiarazioni sono state accolte con molto compiacimento da Kanya, il quale era tornato da Londra preoccupato che noi volessimo intransigentemente provocare un conflitto con l'Inghilterra.

Nei riguardi delle relazioni con la Francia, gli ungheresi mi hanno ripetuto che da parte francese si sono rinnovati i tentativi per indebolire il sistema politico dei Protocolli di Roma e per allontanare l'Ungheria dall'asse Roma-Berlino, ma l'azione francese non si è svolta che saltuariamente e sopratutto valendosi della cooperazione inglese. Le relazioni fra l'Ungheria e la Francia continuano a mantenersi su una base di assoluto convenzionalismo, tanto più che il popolo ungherese non sente nessun legame di simpatia verso la Nazione francese.

Tentativi forse più insistenti ed organici sono stati compiuti dal Governo di Parigi presso Schmidt ma Kanya assicura che il contegno di quest'ultimo è stato assolutamente irreprensibile durante il periodo delle visite a Londra e a Parigi 1 .

Si è fatto chiaramente capire a Delbos che ogni intensificazione di rapporti con la Francia e con la stessa Cecoslovacchia, potrà avere luogo sul terreno economico, ma che non è il caso di parlare di nuovi legami politici.

In seguito a richieste rivoltemi particolarmente da Daranyi ho dato assicurazioni che, nonostante il riuovo trattato di commercio con la Jugoslavia, gli interessi ungheresi verranno tenuti in particolare considerazione da parte nostra. Ciò è riuscito tanto più gradito in quanto che in alcuni ambienti ungheresi si era temuta la concorrenza del commercio jugoslavo e se ne erano previste conseguenze seriamente dannose.

Tanto Daranyi quanto Kanya hanno tenuto a confermarmi a più riprese la loro soddisfazione per i colloqui avuti durante il mio soggiorno a Budapest e che sono valsi a dissipare ogni incertezza che si era potuta determinare relativamente alle nostre direttive politiche.

Daranyi, in un colloquio che ho avuto con lui durante un ricevimento a Palazzo Reale mi ha fatto chiaramente comprendere di non avere più una assoluta fiducia nella persona di Kanya. Con molto garbo pensa di allontanarlo dal Governo. Ciò potrebbe avere luogo in ottobre prendendo a pretesto le scosse condizioni di salute del Ministro Kanya. A sostituirlo potrebbe essere chiamato o il Conte Bethlen o l'attuale Ministro di Ungheria a Bucarest 2 .

I Vedi p. 783, nota l. 2 Il documento reca l'annotazione a margine: «Visto dal Duce».

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3605/1212. Parigi, 22 maggio 1937 (per. il 24).

Alla vigilia dell'inaugurazione dell'Esposizione -inaugurazione a dir vero simbolica poiché tranne qualche padiglione straniero ed un paio di padiglioni francesi la maggior parte dei lavori non sarà terminata che tra 4-5 settimane-.@: parola d'ordine lanciata dal governo al Paese è quella della «pausa».

Pausa sociale e pausa finanziaria. Ne proclamò la necessità alla Camera l'on. Blum 1'8 maggio per fronteggiare il crescente malessere della Nazione, che già si esprimeva in termini di Borsa col declinare del corso delle rendite e del franco. Da allora uomini politici e giornali di Fronte Popolare fanno eco alle parole presidenziali per ristabilire nel Paese quella disciplina e quella fiducia che l'opinione pubblica concede assai più difficilmente che non la docile maggioranza parlamentare.

I 280 voti di fiducia che 1'8 maggio, a chiusura del dibattito sulla politica generale del governo, confermarono contro 190 voti dell'opposizione l'integrità delle basi parlamentari del Gabinetto, non hanno infatti nascosto all'on. Blum le difficoltà della situazione: condizioni finanziarie delle più precarie, conflitti sociali incessanti, incapacità del governo a far rispettare la libertà del lavoro. Fidando tuttavia da un lato sull'inerzia dei partiti di opposizione, dall'altro sulla prontezza del Paese a dimenticare la lezione di recenti esperienze, l'on. Blum ha ripetuto la tattica già sperimentata per il lancio del prestito degli 8 miliardi, e si ripresenta oggi al Paese in veste di messianico benefattore della Francia.

«La pausa è ancora necessaria e il governo è deciso a prolungarla. Essa è la garanzia delle riforme già attuate e la condizione indispensabile delle conquiste future. Il nuovo sistema sociale che vogliamo istituire deve edificarsi nell'ordine e nella collaborazione di tutte le classi». Jouhaux, segretario generale della Confederazione del Lavoro a Montluçon, Campinchi, segretario generale del Partito radical-socialista a Dieppe, Spinasse, ministro del Commercio a Bourg, e, per finire, lo stesso presidente del Consiglio a Saint-Leonard, inaugurandosi il monumento al deputato socialista Pressemanne, ribadiscono i medesimi concetti per convincere la diffidente opinione pubblica che tutto procede nel migliore dei modi e che l'avvenire dell'«esperienza» è assicurato se le masse sapranno dar prova di prudenza e di saggezza.

I comunisti, ieri ancora minacciosi rivendicatori di nuove riforme sociali, sembrano del resto sottomettersi; Confederazione Generale del Lavoro e Confederazione Generale del Patronato si accingono a rinnovare per altri 6 mesi le convenzioni collettive contemplate dall'accordo Matignon; le prime andate di turisti invadono la Francia risvegliandone il depresso spirito mercantile e speculativo e l'imminente letargo politico estivo sembra assicurare per varì mesi, Esposizione aiutando, l'esistenza dell'attuale governo.

Ma dietro quest'apparenze di calma qual'è la reale situazione del Paese e quale lo stato attuale della lotta tra la Francia social-comunista e la Francia borghese, chiamata a collaborare a un'esperienza della quale è essa stessa vittima designata?

Ricordando le varie fasi della vita politica francese dacché, or è un anno, il Fronte Popolare conquistò il potere è lecito constatare che le riforme finora attuate sono riforme di perequazione sociale realizzate nell'ambito del regime capitalista e non riforme di struttura che implichino una trasformazione organica del sistema sociale francese. In questo ordine di idee l'on. Bergery, battagliero membro della maggioranza, non aveva del tutto torto 1'8 maggio, nel dichiarare alla Camera che quasi nulla era stato ancora fatto per realizzare il socialismo in Francia e che senza profonde riforme di struttura l'esperienza avrebbe sortito amari risultati. Contratti collettivi, legge delle 40 ore, sviluppo delle assicurazioni sociali, tutto ciò serve ad elevare la Francia al piano sociale già raggiunto da altri Paesi, ma costituisce solo un aspetto secondario della lotta mirante a realizzare un nuovo sistema di produzione e di distribuzione della ricchezza. E le correnti più estremiste del Fronte Popolare, cui fanno eco i sostenitori della IV Internazionale, si domandano se in definitiva queste leggi sociali strappate, è vero, alle classi capitalistiche, ma attuate tuttavia con la loro collaborazione, non rischiano, qualora siano fine a se stesse, di far compiere a esclusivo benefizio del regime capitalista l'evoluzione sociale di cui la Francia borghese aveva urgente bisogno.

Le preoccupazioni di questi ambienti non sono, sotto un certo aspetto, prive di fondamento. Nel ricorrere alla pausa il governo confessa di incontrare grosse difficoltà nella prosecuzione del suo cammino e di non poter d'altra parte assicurare la propria stabilità parlamentare se non transigendo sul proprio programma e invocando la collaborazione dei suoi stessi avversari. La «pausa» rivela quindi il difetto di origine dell'«esperienza», quel difetto sul quale si appuntano i voti di tutti coloro che sperano di vedere il governo socialista ridotto alla mercè di quelle stesse forze che non seppe o non potette abbattere al momento dell'assunzione al potere. E una simile prospettiva è, come si è detto altre volte, particolarmente gradita alla Francia radicale e moderata, liberale e progressista, aliena per natura dalle soluzioni nette e dalle reazioni violente.

Ma la pausa non è solo il sintomo della debolezza governativa; essa esprime in realtà l'esitazione che domina tutti i partiti in questa specie di equilibrio instabile che si prolunga in Francia da molti mesi. Essa costituisce perciò un minimo denominatore comune d'intesa tra Governo ed oppositori poiché tanto l'uno quanto gli altri ripongono nella tregua segrete speranze. L'on. Blum spera che un miglioramento della situazione economica e finanziaria ed il successo dell'Esposizione conferiscano alla sua opera rinnovato prestigio e il consenso della pubblica opinione; i comunisti, che non nutrono le stesse illusioni, sperano raccogliere più tardi i frutti maturati in questo periodo di attesa; i radicali sperano che la sosta imposta al governo valorizzi la loro funzione politica e prepari, senza violenti contrasti, la successione al potere; gli oppositori infine sperano di mettere a profitto questo tempo per riorganizzare le loro file.

Questi stati d'animo e queste contrastanti ambizioni spiegano il gran lavorio che nelle quinte della politica, )ungi dalla scena parlamentare, si viene svolgendo in questi giorni col tentativo di costituzione di un «Fronte della Libertà», patrocinato da Doriot, con le manovre governative per indebolire la stampa d'opposizione, con lo svilupparsi dell'organizzazione sindacale del piccolo patronato e delle classi medie, che in recenti riunioni di massa hanno dato prova di voler reagire contro i soprusi della Confederazione Generale del Lavoro.

La concentrazione delle forze nazionali nella lotta antibolscevica è necessità di così lapalissiana evidenza che può sembrar strano come tale idea stenti ad imporsi ai numerosi partiti e gruppi tra i quali si ramifica -e si disperde -la resistenza della borghesia francese contro la dittatura del proletariato.

Ma l'unione nazionale, in Parlamento e nel Paese, non fu mai in Francia una formula popolare e per il fatto stesso di avervi dovuto ricorrere come ad un extrema ratio nei casi di urgente pericolo, l'opinione francese conserva verso di essa una specie di istintiva diffidenza. La ragione di ciò è che mai le destre seppero esprimere finora un concreto programma costruttivo né mantenersi al potere dopo avere assolto al loro compito di onesti amministratori dell'erario pubblico.

Di questa impopolarità si avvede oggi Doriot il cui appello per la unificazione dei partiti nazionali non ha suscitato per il momento che scarsi consensi. Il successo della sua iniziativa è essenzialmente subordinato, del resto, all'adesione del Partito Sociale francese. E questo ha fatto conoscere con una lettera prudente e circostanziata che pur approvando il principio dell'unione nazionale intende determinare con negoziati preliminari i limiti della sua eventuale accettazione.

Mentre comunque Doriot continua tenacemente nella sua energica campagna di concentrazione rilevando da Desiré Ferry il vacillante ma battagliero quotidiano della sera La Liberté, il Fronte Popolare si sforza di far breccia tra la stampa d'opposizione. La crisi dell' Echo de Paris, giornale conservatore e cattolico, esponente dello Stato Maggiore francese è, a tal riguardo, particolarmente sintomatica. li crescente deficit di questo giornale e le misure proposte per ovviarvi, non avendo raccolto l'adesione di tutto il Consiglio d'Amministrazione e in particolare del signor Blanc, possessore della maggioranza delle azioni, hanno condotto alle dimissioni del direttore Henry Simond e di tutta la vecchia redazione nazionale e patriotta. Dell'antica redazione non resterebbe all' Echo de Paris che il famigerato Pertinax, le cui opinioni antifasciste e italofobe e i cui legami con l'Inghilterra sono troppo noti perché non si ravvisi in questa circostanza un sintomo del significato di tale combiamento.

Le difficoltà finanziarie dell' Echo de Paris sono d'altronde, in diversa proporzione, comuni a pressoché tutti i giornali nazionali: il Jour, il Figaro, l'Ami du Peuple, per non parlare dell'Action Française conducono una difficile lotta contro le forze palesi ed occulte che ne minano l'esistenza.

Al lume di queste considerazioni, appare evidente che la parola «pausa», se può riferirsi all'attività legislativa del governo, costretto suo malgrado alla stasi dalle stremate condizioni del pubblico erario, non riflette certamente le condizioni generali del Paese che continuano ad essere caratterizzate dalla crisi finanziaria e dal disordine sociale. Il disordine sociale è alimentato ininterrottamente dall'applicazione arbitraria delle leggi sociali, dalle rivendicazioni incessanti dei sindacati, dalle violazioni più aperte-e mai represse-della libertà del lavoro. Gli incidenti di Cherbourg, ove varie decine di operai militarizzati di marina hanno rifiutato obbedienza ai loro capi; gli scioperi nei porti di Rouen e Havre; l'espulsione degli operai non iscritti alla Confederazione Generale del Lavoro dai cantieri dell'Esposizione; lo sciopero minacciato dal personale alberghiero di Parigi per il giorno stesso dell'inaugurazione dell'Esposizione, questi ed altri recentissimi episodi dimostrano quale sia l'impotenza del governo a contenere i movimenti sociali e come permanga vivace l'agitazione demagogica nelle organizzazioni sindacali.

Quanto alla crisi finanziaria, le incognite che essa comporta sono tali che la loro semplice esposizione lumeggia la precarietà della situazione e la necessità, a scadenza più o meno prossima, di radicali rimedi. Mentre il deficit della bilancia commerciale accertato per i primi 4 mesi del corrente anno oltrepassa i 6 miliardi di franchi, la Tesoreria dovrà, nel corso del 1937, fronteggiare onerosissime obbligazioni che non trovano corrispettivo in proporzionali entrate. Ai primi del prossimo giugno scadrà il termine prescritto ai portatori dei Buoni 41/z% 1934 per l'eventuale richiesta di rimborso. Si tratta di obbligazioni ammontanti complessivamente a circa 9 miliardi, un'ingente parte dei quali perdurando l'attuale sfiducia dei risparmiatori verso il governo, può venir presentata per il rimborso. Il governo è, d'altra parte, costretto a procurarsi nei prossimi mesi circa 20 miliardi per assicurare i pagamenti previsti dal bilancio 1937 e non è chiaro come e dove l'on. Blum potrà procurarsi questa enorme somma. Si aggiunga infine che ai primi di dicembre la Tesoreria dovrà trovarsi in condizione di rimborsare i 4 miliardi e l /2 dell'ultimo prestito inglese e che ai primi di marzo 1938 il governo dovrà fronteggiare la scadenza dei buoni 4% 1935, il cui ammontare in circolazione è di 3 miliardi e 300 milioni.

Un diffuso e profondo malessere permane quindi nel Paese e non sono certo le condizioni in cui sta per aprirsi l'Esposizione che contribuiscono a ridargli tranquillità e fiducia. Esso comprende di vivere in una atmosfera artificiale e in un periodo di transizione del quale ignora tuttavia il futuro sviluppo. Rinviando la soluzione dei problemi che lo agitano, il Paese continua in tal modo ad ipotecare il proprio avvenire, preferendo riporre le sue speranze nel determinismo degli avvenimenti piuttosto che nella propria volontà di affrontarli e di risolverli 1•

631

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ATTOLICO, E A LONDRA, GRANDI

T. PER CORRIERE 966 R. Roma, 24 maggio 1937.

(Per Londra) Ho telegrafato alla R. Ambasciata di Berlino quanto segue:

(Per tutti) «Secondo informazioni da buona fonte, Eden avrebbe dichiarato che -secondo dichiarazioni fattegli da maresciallo von Blomberg 2 -la Germania desidererebbe ritirarsi dalla Spagna. Prego farmi conoscere quello che ci sia di vero in tali informazioni» 3 .

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 A Londra per l'incoronazione di Re Giorgio VI. Si vedano in proposito i DD. 622 e 648. 3 Per la risposta di Berlino si veda il D. 648.

632

IL MINISTRO PER LA STAMPA E LA PROPOGANDA, ALFIERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH

T. 969/165 R. Roma, 24 maggio 1937, ore 24.

Durante udienza concessagli 21 corrente, S.E. capo governo ha fatto al signor Simms importanti dichiarazioni autorizzandone pubblicazione in articolo da lui approvato per giornali catena Scripps Howards, articolo che apparirà probabilmente martedì 25 corrente1 . Data importanza argomenti trattati e opportunità che su di essi venga attirata particolare attenzione di codesto governo, trasmettesi a parte in chiaro testo italiano articolo predetto.

Tornerà gradito conoscere forma, titoli e evidenza con cui articolo Simms sarà apparso nei vari giornali nonché impressioni e commenti che V.E. avrà potuto· raccogliere al riguardo 2 .

633

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3542/0116 R. Vienna, 24 maggio 1937 (per. il 26).

Mio rapporto odierno n. 1990/9973 .

Ho veduto stasera Schmidt, che ho trovato molto soddisfatto della sua missione4 e molto grato e compiaciuto per i riconoscimenti di V.E. pervenutigli a traverso Baar da Bucarest e con odierno telegramma di Berger da Roma5 .

Con riserva di più ampia relazione, riassumo come segue il contenuto essenziale delle conversazioni di Londra e Parigi, come riferitemi da Schmidt:

l) accentuazione precisa e assoluta della politica rettilinea dell'Austria sulla base dei protocolli di Roma e dell'accordo austro-germanico; 2) riconoscimento da parte di Eden e Delbos di tale linea, e assenza di ogni tentativo di deviazione; 3) invito austriaco a Londra e Parigi a non considerare l'Austria come oggetto di giuoco politico tra le grandi Potenze o gruppi di esse;

I Di questa intervista fu pubblicato in Italia solo un riassunto (vedi Il Popolo d'Italia del 28 maggio), riprodotto in B. MUSSOLINI, Opera Omnia, vol. XXVIII, pp. 184-185. Nell'intervista, Mussolini aveva dichiarato di essere convinto che se il presidente Roosevelt avesse preso l'iniziativa di convocare una conferenza per la limitazione degli armamenti, il suo gesto avrebbe avuto un grande successo.

2 Vedi D. 651.

3 Vedi D. 636.

4 Vedi D. 609.

s Non è stata trovata documentazione di questi colloqui di Ciano.

4) nessuna richiesta di garanzie o altre dichiarazioni politiche riguardanti l'Austria; preghiera a Londra e a Parigi di rinunziarvi, quando dovesse sussistere una tale idea, e ciò perché tali dichiarazioni sono ritenute non necessarie, non opportune, atte solo a suscitare reazioni con solo pregiudizio dell'Austria;

5) cura dei rapporti normali con l'Inghilterra e con la Francia, specialmente nel campo culturale ed economico.

Premesso ciò, Schmidt crede di aver accertato tanto a Londra quanto a Parigi un effettivo interesse alla indipendenza dell'Austria. Sua convinzione che questo interesse, !ungi dal pregiudicare, possa indirettamente facilitare il compito delle Potenze che hanno posto come base degli accordi in vigore con l'Austria la garanzia della sua indipendenza statale.

Schmidt mi ha inoltre assicurato di essere astenuto da ogni contatto con Hodza e di averne differenziato e distanziato in ogni modo più preciso la causa dell'Austria.

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3602/052 R. Bruxelles, 24 maggio 1937 (per. il 27).

In via riservata, personalità ufficiale mi ha testè informato che Delbos, nell'assicurare che recenti scandagli facevano presumere al Quai d'Orsay aumentate possibilità di giungere con Roma e Berlino ad un «più vasto» accordo occidentale (comprendente quindi, sulla base del vecchio Locarno, tanto la frontiera belga quanto quella francese), ha raccomandato a van Zeeland ed a Spaak 1 di soprassedere nei passi per una pronta sistemazione parziale della questione, ossia per una sistemazione concernente la sola sicurezza del Belgio. Essendogli stato chiesto su quali elementi basasse predetta presunzione, Delbos si è schermito dal farlo.

A mie discrete indagini, mio interlocutore mi ha lasciato comprendere sua impressione che Francia, pel momento sicura dell'appoggio solidale dell'Inghilterra, esita a veder divise la questione della garanzia al Belgio da quella della garanzia alla Francia. In altri termini, essa teme che, lasciando dividere i due problemi, possa finire col trovarsi di fronte ad un'Inghilterra non più disposta a concedere la sua garanzia nei rispetti della frontiera franco-tedesca. Probabilmente questi timori si sono acuiti colle voci di ravvicinamento anglo-tedesco. Ho inoltre avuto l'impressione che mio interlocutore avesse anche in mente che le sfere dirigenti francesi paventino che Inghilterra nutra dubbi sulla situazione interna della Francia e sull'esperimento Blum, specie se questo abbia a prolungarsi.

Ad ogni modo, personalità in parola mi ha confidato in via personale che governo belga, nella delicata situazione, non ha dato a Delbos alcun vero e proprio

I Durante la sua visita a Bruxelles del 20~21 maggio.

affidamento, limitandosi a far comprendere che suo atteggiamento dipenderà in definitiva dal concreto risultato dei nuovi passi che la Francia si è detta pronta a fare in dipendenza delle presunte migliorate disposizioni di Berlino e Roma. Che però se questi passi (probabilmente una sollecita risposta alle note italiana e tedesca per ultimo inviate a Londra circa Locarno 1) saranno per risultare infruttuose, Belgio persevererà nella sua strada. Ad ogni modo Delbos ha dichiarato che Eden, messo da lui recentemente al corrente dei nuovi propositi, avrebbe dato una risposta affermativa.

Intanto, il ministro belga a Berlino ha iniziato colà nella settimana scorsa qualche opportuno scandaglio, ritraendone favorevole impressione. Segnalo altresì che il predetto diplomatico belga avrebbe insistito sul punto che il problema della sicurezza del Belgio, qualora risolto con un patto plurilaterale di non aggressione e relative dichiarazioni di garanzia da parte dei quattro principali firmatari, di Locamo, risponderebbe non già ad un interesse particolare del Belgio ma a quello di tutti i contraenti che riscontrerebbero nel nuovo statuto di questo Paese un elemento essenziale per la propria stessa difesa e per la pace europea. Tale modo di vedere avrebbe incontrato gran favore a Berlino.

Il mio interlocutore ha anche aggiunto che la garanzia unilaterale data al Belgio colla recente dichiarazione della Francia e dell'Inghilterra 2 non è stata mai sollecitata dal governo di Bruxelles, ma data spontaneamente da Londra e Parigi, convinte che, così facendo, operavano nel loro stesso interesse. Tale dichiarazione deve intendersi sovrattutto diretta a far apparire il Belgio animato da schietto spirito di neutralità, nonché [a togliere] alle visite di Eden a Delbos, ogni apparenza di speciale accaparramento della gratitudine belga.

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L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 1531/687. Salamanca, 24 maggio 1937 (per. il 5 giugno).

Ho l'onore di riferirmi alla corrispondenza intercorsa fra codesto On. Ministero e questa Ambasciata circa la possibilità di una mediazione nel conflitto spagnuolo, con particolare riguardo alle trattative con i nazionalisti baschi.

Per quanto concerne questo secondo punto, ogni passo da me fatto presso il Generalissimo, si è urtato in una cortese ma inequivocabile negativa. Egli è convinto che l'offensiva di Bilbao sta per conchiudersi vittoriosamente. Pertanto non ammette altra soluzione che la resa a discrezione: egli poi offre, unilateralmente, promessa di vita salva a quanti, anche combattenti, non si siano resi colpevoli di particolari reati.

l Vedi DD. 268 e 260. 2 Vedi p. 635, nota 3.

I tentativi fatti presso il governo di Aguirre hanno portato alla seguente conclusione:

-Non si parli di resa.

-In tutti i modi, Aguirre, dichiarandosi disposto a ricevere il R. Console a San Sebastiano, non ha voluto tagliare i ponti: dallo sviluppo delle conversazioni sembra che egli sarebbe disposto a giungere all'accettazione di una mediazione italo-inglese.

Tuttociò è molto vago e ritengo che ogni nuova trattativa sarà annullata dagli avvenimenti.

Durante il corso delle conversazioni sono stato in continuo contatto con il colonello Gelich che funziona da collegamento fra questa Ambasciata e S.E. Doria. Il nostro generale è d'avviso che bisognerebbe ricorrere alla «maniera forte» (pressione su Franco) onde ottenere l'accettazione della mediazione. Domani mi reco a Vitoria per avere un colloquio con lui ad esaminare la situazione sotto il duplice aspetto politico e militare.

Comunque, è ormai certo che Aguirre non accetterebbe in nessun caso delle trattative senza garanzia: anche ammettendo la buona fede di Franco ~che è a mio giudizio indiscutibile ~egli non potrebbe non essere scettico circa la possibilità che gli ordini del Quartiere Generale vengano osservati alla periferia. Le numerose fucilazioni di prigionieri fatte durante questa offensiva ~e cioè dopo la promessa ai baschi cui ho accennato più sopra~ e le repressioni di Malaga, molto spesso in contrasto con le disposizioni date da questo governo, sembrano giustificare tale scetticismo.

A sua volta, Franco sembra porre in seconda linea ogni questione che esuli dal campo strettamente militare. L'argomento ~ pur così importante ~ delle profonde ripercussioni che avrebbe nella Spagna rossa un successo nelle trattative con i baschi, non è stato da lui preso in considerazione nonostante che io lo abbia più volte illustrato a lui stesso e a Sangroniz. Questa intransigenza si ripresenta ogni qualvolta egli senta parlare di tentativi di mediazione. Due casi recenti ne fanno fede:

lo Appena venuto a conoscenza (a mezzo nostro) del passo del governo francese presso Roosevelt 1 vi ha dato ampia pubblicità presentando lo come una manovra ai danni del governo Nazionale.

2° Alla proposta di armistizio illustrata dai giornali inglesi egli ha risposto facendo pubblicare violentissimi articoli in cui si dice che la Spagna Nazionale è disposta a combattere fino all'ultimo uomo piuttosto che accordarsi con i rossi. Accludo due ritagli stampa.

1 Con lettera dell'S maggio n. 3986, Ciano aveva inviato a Bossi quattro telegrammi intercorsi tra l'ambasciatore degli Stati Uniti a Parigi, Bullitt, ed il Presidente Roosevelt. Dai telegrammi -comprati da un informatore occasionale -risultava che Blum si era rivolto, su suggerimento del governo di Valencia, a Roosevelt chiedendogli di farsi promotore di una conferenza che ponesse termine al conflitto in Spagna ma che Roosevelt aveva risposto con un rifiuto. Secondo le istruzioni ricevute, Bossi aveva dato in visione i telegrammi a Franco che aveva dichiarato perentoriamente di voler condurre la lotta fino alla completa vittoria, respingendo qualsiasi tentativo di mediazione (rapporto 12911597 del 13 maggio. Il documento ha il visto di Mussolini).

Oggi la situazione dal punto di vista politico si presenta a m10 vedere nel modo seguente:

In campo internazionale, la creazione di un governo moderato in Valencia non può non giovare ai rossi, riavvicinando loro vaste correnti della democrazia mondiale che il prevalere dei partiti estemisti aveva in parte reso dubbiose. L'Inghilterra, nonostante le assicurazioni di rispetto dei suoi interessi, fornitele da questo governo, ha preso una posizione sempre più ostile ai nazionali. Forse questo atteggiamento potrà attenuarsi il giorno che le truppe di Franco abbiano occupato Bilbao.

La Francia continua, se pure con maggiore circospezione, ad essere prodiga di aiuti al governo di Valencia (vedi passaggio per gli aerodromi francesi di apparecchi diretti in Vizcaya).

In campo interno, la fusione dei partiti che avrebbe dovuto essere preceduta o seguita da un vasto programma di riforme, ha conservato il carattere di provvedimento imposto con la forza. Le divergenze fra reazionari e falangisti permangono immutate, il che non può certo giovare a rafforzare la posizione del governo nazionale. Questa assenza di riforme e il carattere spietato che conserva tuttora la guerra, fanno sì che vengano a mancare due degli elementi che più fortemente avrebbero potuto incidere sull'obbedienza al governo di Valencia della popolazione sotto il controllo dei rossi.

Da questa indifferenza, cui già ho accennato, verso tutto ciò che non sia strettamente militare mi sembra possa dedursi che Franco e i suoi consiglieri vedono il problema spagnolo esclusivamente dall'angolo del trionfo delle armi, con conseguente annichilimento del nemico: trionfo nel quale essi mostrano di nutrire fede assoluta.

Naturalmente, su tale argomento non sono in grado di esprimere giudizi: però, anche se si voglia condividere tale certezza, si dovrebbe ritenere indubbio che, data la situazione creatasi, il dopoguerra si presenterà pieno di incognite.

636

IL MINISTRO A VI ENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 1990/997. Vienna, 24 maggio 1937 (per. il 26).

Prima ancora di vedere Schmidt, arrivato a Vienna nel pomeriggio di sabato 1 , ma ripartito la sera stessa per la campagna a salutare la famiglia con la quale ha fatto ritorno solo stamane, ho avuto ieri una conversazione con il Cancelliere Federale, che aveva veduto, se pur brevemente, il segretario di Stato per gli Esteri e ne aveva avuto le prime notizie e impressioni dirette.

Schuschnigg, ricordando i nostri frequenti colloqui di queste ultime settimane, mi ha detto che ormai credeva di poter considerare la missione Schmidt un successo della

t Vedi D. 609.

politica austriaca, e un vantaggio, se pur indiretto, anche per il gruppo dei Protocolli di Roma. Si rallegrava sovratutto che fossero stati evitati i pericoli che quella missione poteva implicare. Egli mi ricordò di aver convenuto con me nei forti dubbi sull'opportunità del viaggio di Schmidt a Londra e specialmente a Parigi. Vi aveva consentito quando s'era dovuto persuadere che con l'affidarla a personalità estranea al governo, la rappresentanza austriaca alle feste dell'incoronazione sarebbe stata inopportunamente e dimostrativamente sminuita di valore, mentre Budapest vi aveva delegato il ministro degli Affari Esteri e Praga il presidente del Consiglio e così via.

Ma ora Schuschnigg credeva di poter dire che, con le istruzioni date a Schmidt, con le precauzioni prese per mezzo delle legazioni di Londra e di Parigi, con l'abilità disciplinata e oculata di Schmidt, questa specie di missione informativa, chiarificatrice e precisatrice della politica rettilinea dell'Austria, si è dimostrata anche utile.

II fatto stesso che, né da parte inglese, né da parte francese sia stato fatto alcun tentativo di allontanare I'Austria dalla linea di politica estera sin ora seguita, è già di per sè da considerare, secondo il Cancelliere Federale, come un merito e un successo della politica austriaca. L'atteggiamento chiaro e preciso tenuto, proprio negli ultimi tempi, dal governo austriaco con speciale cura ed evidenza, malgrado noti incidenti maliziosamente sfruttati, ha avuto questo effetto: di escludere ogni dubbio sulla fedeltà austriaca ai propri impegni e alle proprie amicizie e sulla consapevolezza austriaca dei propri interessi; di prevenire il sorgere d'ogni contraria illusione e di condannare «a priori» all'insuccesso ogni speculazione.

A ciò si è aggiunto il contegno prudente e insieme dignitoso, il linguaggio aperto e risoluto di Schmidt. Nessun incidente si è verificato. I contatti che, secondo le istruzioni da me già riferite, Schmidt ha tenuto a Londra e a Parigi con gli ambasciatori d'Italia e di Germania, hanno contribuito a tenere la missione austriaca anche otticamente in linea. Le dichiarazioni pubbliche di Schmidt nelle due capitali visitate hanno messo a posto le cose, al momento buono e in forma non equivocabile.

A Vienna la stampa si è contenuta in generale bene. Non vanno presi in considerazione i noti giornali, di esigua diffusione, che sono notoriamente al soldo di Praga. Egli stesso, il Cancelliere, in seguito anche a mie suggestioni, aveva ispirato e in parte dettato gli articoli di fondo pubblicati sulla ufficiale Wiener Zeitung e disposto che fossero riprodotti da tutti i quotidiani di Vienna e delle provincie, che ebbero così anche la traccia per i propri commenti.

Il Cancelliere ha veduto con piacere la stampa italiana porre nella debita luce questo viaggio e le dichiarazioni di fonte austriaca contro i tentativi di qualche giornale di Parigi e Londra. Alla pubblicazione, in un giornale di Vienna non avverso al governo, di pretese precisazioni di fonte inglese che spostavano e ampliavano, di fantasia, gli scopi e i risultati dei colloqui di Schmidt, è stata opposta immediatamente una netta smentita. Così che la linea austriaca ha finito con l'imporsi anche al riconoscimento dell'Agenzia ufficiosa di Berlino e della stampa gennanica.

Schuschnigg ha letto con compiacimento quanto l'E. V. avrebbe detto a Budapest a Baar. Se ne rallegrava tanto più dopo le impressioni non favorevoli riferite da Berger su di una conversazione avuta con V.E. prima della partenza per Budapest 1•

l Non è stata trovata documentazione in proposito.

Il Cancelliere ritiene anche che la presenza di Schmidt a Londra abbia neutralizzato l'attività esagitata di Hodza. Il linguaggio della missione austriaca ha contribuito a ristabilire l'equilibrio e la calma sulla vera situazione del Bacino danubiano, smentendo le impressioni diffuse di aggressioni e di altri pericoli imminenti per l'indipendenza dei due Stati centrali, Austria e Cecoslovacchia. Fu un bene staccare e distanziare la situazione dell'Austria, da quella della Cecoslovacchia e dare, per ciò che riguarda l'Austria, la precisa sensazione della salda fiducia di Vienna nell'appoggio dell'Italia, nel funzionamento e nella capacità di sviluppo dei Protocolli di Roma, nella stessa normalità dei rapporti con la Germania, in una parola nella nessuna fondatezza di allarmi e nella nessuna necessità di nuove combinazioni politiche per «salvare» la situazione dell'Europa Centrale. Questa -così ripeterono gli austriaci a Londra e a Parigi -poteva trovare negli strumenti diplomatici esistenti, verso Sud e verso Nord, la via di una progressiva sistemazione, indicata ultimamente anche a Venezia e ora quasi contemporaneamente riaffermata, con parola augusta, a Budapest.

Il Cancelliere confida che a Berlino si siano abbandonati e riconosciuti infondati i sospetti contro questa missione austriaca a Londra e Parigi. Come ho più volte riferito, il governo federale non intende affatto di eludere l'impegno assunto nell'Accordo dell' 11 luglio, di inspirare la propria politica estera alle linee pacifiche della politica estera tedesca, specialmente ora che ne è garante il parallelismo dell'asse Roma-Berlino. Schuschnigg è grato a V.E. che nel suo discorso del 13 corrente alla Camera dei deputati ha fatto implicita malleveria della funzione non antigermanica della politica estera dell'Austria, alla quale mancano -come ben ha detto l'E.V. -e il desiderio e le possibilità legali e oggettivedi una tale politica.

Per il caso siano giunte a Roma, il Cancelliere mi ha pregato di smentire-se pur ce ne fosse bisogno -le accuse propalate da fonti germaniche, secondo cui la missione austriaca avrebbe portato con sè il dossier dj alcune inchieste giudiziarie contro gruppi illegali nazisti per confidarlo a Blum e a Delbos, come atti d'accusa contro la Germania e le sue ingerenze in Austria in dispregio agli impegni dell'Il luglio. Questa calunnia si sarebbe rivolta specialmente contro Hombostel, alla cui partecipazione al viaggio di Schmidt sarebbero stati attribuiti a Berlino gli scopi più oscuri.

Il Cancelliere non ignora che atteggiamenti del passato possono aver suscitato sospetti contro Hornbostel anche a Roma. Schuschnigg spera che io stesso abbia attinto il convincimento che Hornbostel è ormai risanato della sua francofilia e per tutto il resto sia soltanto un funzionario non solo intelligente ed esperto, ma fedele e disciplinato, e sovratutto incapace di azioni meno che corrette, o comunque contrarie alle intenzioni del governo, e che del resto egli in nessun caso tollererebbe.

Schmidt lo ha assicurato che Hornbostel gli è stato prezioso a Londra e Parigi, fiancheggiando la sua attività molto abilmente, contribuendo tanto più efficacemente, proprio per virtù della tendenza già attribuitagli verso le Potenze occidentali, all'opera di persuasione sulla linea politica seguita dall'Austria.

Sul mio colloquio con Schmidt riferirò separatamente, spero con lo stesso corriere d'oggi 1 .

I Vedi D. 633.

637

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 1991/998. Vienna, 24 maggio 1937 (per. il 26).

Questo R. Addetto Militare mi riferisce in data 21 corrente:

«Stamane ho riferito al Feldmaresciallo Jansa, capo di Stato Maggiore dell'esercito federale, la risposta avuta da S.E. il Generale Pariani sulla impossibilità di prevedere se e quando verranno riprese le note consegne di materiali di artiglieria all'esercito austriaco. Ho mantenuto la mia comunicazione, come ne avevo ricevuto l'ordine, in termini evasivi e dilatori, ma il Maresciallo Jansa mi ha detto che «doveva interpretare tale risposta come un rifiuto» e che non volendo più l'Italia aiutare l'Austria in questo campo, egli si vedeva costretto «a disporre in altro modo». Ho creduto opportuno di dire che non si tratta di un rifiuto definitivo ma di una dilazione di durata imprevedibile dovuta a improvvise cicorstanze (A.O.I.; Spagna; riorganizzazione dell'esercito italiano), ma il Jansa, dopo aver ricordato che, avendo fatto affidamento su questo promesso aiuto aveva trascurato, nel predisporre l'impiego dei foiidi messi a sua disposizione, questo capitolo, ha ripetuto in 1tono fermo, che mancandogli l'apporto dell'Italia e non potendo lasciare l'esercito ancora sprovvisto di artiglieria, «avrebbe provveduto in altro modo». Di quanto precede renderò edotto il ministro della Guerra col prossimo corriere».

A voce, l'Addetto Militare mi ha detto che S.E. Pariani si era richiamato a disposizioni impartite in proposito da S.E. il Duce; ma non ha potuto precisare se si tratti delle disposizioni che determinarono, alcuni mesi fa, la sospensione di quelle forniture, o di nuove, più recenti disposizioni, successive all'incontro di Venezia.

Secondo gli appunti austriaci sulle conversazioni di Venezia del 22 e 23 aprile scorso (mia trasmissione con rapporto segreto del 30 aprile nr. 868) 1 , il Duce avrebbe assicurato il Cancelliere Federale «che sarebbe stata completata al più presto possibile la parte mancante delle forniture all'Austria».

Prego I'E.V. di volermi dare istruzioni, per mia norma di linguaggio, qualora da parte austriaca mi sia accennato all'argomento 2 .

1 Con rapporto 1709/868 del 30 aprile, il ministro Salata aveva comunicato di avere ricevuto da Schuschnigg e da Schmidt il verbale austriaco delle conversazioni di Venezia, di cui allegava una traduzione.

2 Il documento ha il visto di Mussolini. Ciano rispondeva (lettera 2181133 del 29 maggio): «in relazione a quanto Le ha fatto presente l'Addetto Militare ed Ella mi ha riferito con rapporto riservato

n. 1991/998 del 24 corrente, faccia sapere al Feldmaresciallo Jansa che, come ho già detto a Berger, egli può stare tranquillo per quanto riguarda le nostre forniture. Il ritardo finora verificatosi è dovuto a ragioni comprensibili che sono quelle accennategli dall'Addetto Militare. Il Duce, però, segue personalmente la questione, e pertanto, sarà provveduto appena possibile».

Il ministro Salata comunicava, con lettera 220111079 del 5 giugno, di avere fatto pervenire quelle assicurazioni al Feldemaresciallo Jansa e di averne parlato anche con Schuschnigg, il quale aveva auspicato una pronta ripresa delle forniture «anche per tranquillizzare gli organi tecnici militari».

Ma il 28 giugno Ciano incaricava Salata di far sapere al Cancelliere austriaco che per l'invio del materiale sarebbe stato necessario attendere la fine del conflitto spagnolo (telespresso 2216751133 del 28 giugno).

638

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 3523/175 R. Ginevra, 25 maggio 1937, ore 17,55 (per. ore 19,10).

Ho segnalato verbalmente stamane 1 come secondo ottimi informatori mi risultasse che Sandler, dopo consultazione con delegati nordici, si era dichiarato disposto a presentare all'Assemblea progetto di risoluzione in base al quale quest'ultima avrebbe riconosciuto «come un governo etiopico non esiste più».

Una dichiarazione del genere avrebbe facilitato in un secondo tempo possibilità per i singoli governi di un riconoscimento de jure.

Si aggiungeva stamane che Sandler, per permettere adesione al progetto di tutti gli Stati sud-americani, avrebbe compreso nella risoluzione la riconferma teorica che la S.d.N. resta fedele al principio del non riconoscimento delle annessioni territoriali operate con la forza. Mentre nella mattinata progetto di Sandler sembrava acquistare adesioni, nel pomeriggio mi si informa che, in base a pressioni avute da parte britannica, ministro svedese avrebbe lasciato cadere sua idea. È evidente che, se Sandler desiste dal suo proposito, decisione di Tafari di non inviare nessuna delegazione 2 soddisfa i disegni di coloro che intendono rinviare la soluzione del problema etiopico all'Assemblea di settembre.

Riservomi ulteriori comunicazioni sull'argomento.

639

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A LISBONA, MAMELI

T. 968/64 R. Roma, 26 maggio 1937, ore 0,30.

Il Duce ha letto quanto V.S. ha riferito con i telegrammi nn. 12P e 1224 e s'è vivamente compiaciuto per l'atteggiamento tenuto dal governo portoghese, in

1 Bova Scoppa aveva telefonato di avere appreso che Sandler intendeva presentare un progetto di risoluzione che era stato approvato da tutti gli Stati nordici, meno la Danimarca, e dalla Polonia (appunto di Gabinetto, non firmato, del 25 maggio).

2 Bova Scoppa aveva comunicato poco prima che era giunto al Segretariato della Società delle Nazioni un telegramma del Negus in cui si annunciava che non sarebbe stata inviata una delegazione etiopica ai lavori dell'Assemblea (Fonogramma 3517/174 R. del 25 maggio).

3 Con T. 3451/121 R. del 22 maggio, il ministro Mameli aveva riferito su le argomentazioni di ordine giuridico e politico contenute nella nota con la quale il governo di Lisbona rifiutava di associarsi alla proposta britannica per una mediazione in Spagna (il testo della nota portoghese è in DP, vol. IV, D. 986).

4 T. 3445/122 R. del 22 maggio. Riferiva che l'ambasciatore di Gran Bretagna aveva chiesto l'adesione del governo portoghese ad una progettata commissione di inchiesta su la distruzione di Guernica. Il governo portoghese aveva risposto in modo negativo, osservando che, in precedenza, di fronte alle tante atrocità compiute nella guerra civile spagnola nessuna iniziativa del genere era stata presa. (Il testo della nota del governo portoghese è ibid. D. 988).

relazione alle richieste inglesi per una cessazione delle ostilità in Spagna e una inchiesta sui fatti di Guernica. Lo faccia sapere a codesto governo.

640

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3568/197 R. Ginevra, 26 maggio 1937, ore 18,40 (per. ore 20,35).

Chiusa la breve parentesi suscitata dagli interventi dei delegati polacco e messicano 1 , la questione etiopica è stata messa agli atti dalla S.d.N. fino al mese di settembre. E l'Assemblea, votata l'ammissione dell'Egitto, ascolta ora le consuete sonnifere orazioni di una trentina di alti papaveri che ripetono tutti le stesse litanie sulla Società, sul Patto, sulla pace e sulla sicurezza collettiva.

Il gesto di Komarnicki non ha trovato la eco desiderata:

0 ) per mancata azione preventiva per intesa ed efficace coordinamento. Ma, come V.E. sa, le istruzioni a Komarnicki giunsero da Varsavia solo ieri e quindi mancò al delegato polacco praticamente il tempo di svolgere un'azione preparatoria sufficiente;

2°) per le ragioni esposte da Motta e di cui al mio telegramma n. I9J2, che hanno fatto temere ad alcuni delegati di trovarsi in una troppo esigua minoranza;

3°) per la preparazione ostile ad ogni iniziativa fatta dalla delegazione britannica la quale aveva già fatto cadere propositi di Sandler3 e aveva rassettato a giusto punto l'ambiente.

Naturalmente i commenti sono numerosi e molti si dicono che l'Assemblea, non facendo eco in nessun modo alle dichiarazioni societarie del messicano, ha in sostanza velatamente solidarizzato con il realismo del delegato polacco. Ma codesti mi sembrano sofismi inutili.

La realtà è che il punto di vista di Londra ha prevalso e cioè che la questione non doveva essere risolta nel corso dell'attuale sessione.

1 Il 26 maggio. il delegato polacco. Komarnicki. aveva dichiarato all'Assemblea della Società delle Nazioni, in sede di rapporto della Commissione di verifica dei poteri, che il suo governo considerava come definitivamente risolta la questione della partecipazione della delegazione etiopica ai lavori dell'Assemblea, dato che non esistevano più dubbi circa la situazione di fatto esistente in Etiopia (totale controllo del territorio da parte degli italiani).

Il delegato messicano era subito intervenuto per dichiarare, «nel modo più netto e perentorio>> l'opposizione del suo Paese «a qualsiasi intenzione di preparare l'esclusione della rappresentanza di uno Stato membro della S.d.N.>>. Su la questione non vi erano stati altri interventi.

2 T. 356!1191 R. del 26 maggio. Bova Scopa riferiva che il presidente elvetico, Motta, in un colloquio avuto con i delegati austriaco ed ungherese prima delle dichiarazioni di Komarnicki, aveva chiarito che il suo Paese avrebbe appoggiato un'iniziativa collettiva mirante ad escludere una delegazione etiopica dai lavori dell'Assemblea ma non si sarebbe associato ad una dichiarazione individuale del delegato polacco che prevedibilmente sarebbe stata seguita soltanto da quattro o cinque Paesi con il risultato di dividere l'Assemblea e di mettere in netta minoranza i suoi sostenitori. Pfliigl e De Velics avevano condiviso la sua opinione.

3 Vedi D. 513.

641

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3573/200 R. Ginevra, 26 maggio 1937, ore 22 (per. ore 23,30).

Discussione su questione spagnola 1 avrà luogo davanti al Consiglio venerdì nel pomeriggio.

Confermo che Francia e Inghilterra stanno svolgendo vasta manovra per cercare isolare l'Italia su tale problema. Mentre infatti libro bianco 2 che si sta distribuendo è stato purificato di ogni accusa antitedesca, il secondo libro relativo al bombardamento di Guernica e all'intervento tedesco viene per il momento tenuto in riserva. Se la manovra d'isolamento non riuscirà, non si esiterà allora a gettare sul mercato ginevrino anche il secondo atto di accusa contro la Germania.

Quanto alle decisioni che dovrà prendere il Consiglio, Delbos ha dichiarato questa sera che non è ancora ben certo che si arrivi ad una risoluzione vera e propria dato che discussione potrebbe chiudersi anche con una semplice dichiarazione del Presidente.

642

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, E AL MINISTRO A LISBONA, MAMELI

T. PER CORRIERE 990 R. Roma, 26 maggio 1937.

Questo ministro del Portogallo ha chiesto 3 se il R. Governo avesse notizia di una iniziativa di mediazione e, almeno, di un proposito di mediazione fra Salamanca e Valencia da parte della Santa Sede. A giustificazione della sua richiesta ha faticosamente tradotto un lungo telegramma direttogli dal suo governo, dal quale si deduce che il Nunzio Apostolico a Lisbona4 avrebbe recentemente fatto degli accenni abbastanza precisi in proposito, non bene specificando tuttavia se si tratti di una iniziativa che abbia un qi.talche principio di attuazione, o, soltanto, di un sondaggio preliminare.

1 Il 19 maggio, il governo di Valencia aveva chiesto l'iscrizione della questione spagnola all'ordine del giorno del prossimo Consiglio della Società delle Nazioni.

2 Il Libro Bianco del governo di Valencia su l'intervento italiano in Spagna fu presentato al Segretariato della Società della Nazioni il 28 maggio con il titolo La agresiòn italiana. Documentos ocupados a las unidades italianas en la acciòn de Guadalajara. Per il testo si veda il Journal Officiel della Società delle Nazioni, Supplément Spécial n. 165, dove peraltro, con il consenso della delegazione spagnola, non sono stati riprodotti tutti i documenti.

3 Il 20 maggio precedente (appunto De Peppo in pari data; l'appunto ha il visto di Mussolini).

4 Monsignor Pietro Ciriaci.

Il predetto mm1stro, che metteva in relazione gli accenni fatti dal Nunzio a Lisbona con il soggiorno di monsignor Pizzardo a Londra, ha, nel corso della sua comunicazione, posto in rilievo che il suo governo considera la situazione attuale come favorevole al governo del generale Franco, sia dal punto di vista militare che dal punto di vista dell'ordine pubblico interno. Al governo portoghese sembra evidente il proposito dei francesi e degli inglesi -la politica spagnola dell'Inghilterra viene definita «equivoca» -di tentare in ogni modo di impedire un successo del Duce in Spagna e di giungere invece a una soluzione transazionale e di compromesso e comunque tale da non pregiudicare gli interessi britannici nella Penisola iberica da una parte, e da non compromettere ai danni dell'Inghilterra l'attuale situazione mediterranea, dall'altra.

Il ministro del Portogallo, sempre traducendo il testo del telegramma del suo governo, ha aggiunto che un tale tentativo di mediazione attribuito al Vaticano ha prodotto penosa impressione fra i cattolici portoghesi, i quali avrebbero la sensanzione che la Santa Sede favorisca, o almeno abbia l'apparenza di favorire i rossi. Il governo portoghese ritiene infatti che, nelle circostanze attuali, una iniziativa mediatrice non può andare a vantaggio di questi ultimi e che essa debba, come tale, essere senz'altro respinta.

È stato risposto al ministro del Portogallo che è probabile che generici propositi di mediazione vi siano da parte di alcune Potenze ed ambienti interessati; non risultava tuttavia che iniziative del genere fossero in corso di attuazione da parte della Santa Sede, la quale, ad ogni modo, non ha -a quanto risulta -fatto presso il Regio Governo alcun passo o sondaggio in proposito.

Comunicato quanto precede all'E.V. (S.V.) per quei riservati accertamenti che Ella riterrà di dover disporre al riguardo 1 .

643

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3598/039 R. Berlino, 26 maggio 1937 (per. il 27).

Mi risulta che-non so bene se ad iniziativa di von Mackensen o di altriparecchi rappresentanti dell'America del Sud a Berlino si sono rivolti ai rispettivi governi per incoraggiarli a procedere al riconoscimento di Franco subito dopo la presa -che si spera imminente -di Bilbao. Fra questi sono sicuramente, i rappresentanti del Brasile e della Colombia. Mi affretto a segnalare la cosa anche per il caso che V.E. possa ravvisare l'opportunità di svolgere -a mezzo delle RR.

I Per la risposta dell'ambasciatore presso la Santa Sede, si veda il D. 653. Il ministro Mameli confermava in seguito (T. per corriere 889/92 del 14 giugno, perv. il 23), che tutto era stato originato dalla voce -largamente ripresa poi anche dalla stampa ---di conversazioni circa una possibile mediazione nel conflitto spagnolo avute da monsignor Pizzardo durante il suo soggiorno a Londra in occasione delle feste per l'incoronazione.

Rappresentanze in Sud America-un'azione nello stesso senso. È comunque degno di nota che negli stessi circoli americani si vada facendo sempre più strada l'impressione che il momento sia giunto per i Paesi del Sud America di prendere posizione per quella delle due parti combattenti in Spagna che più genuinamente rappresenta lo spirito e gli interessi della Madre Patria.

644

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3730/0155 R. Londra, 26 maggio 1937 (per. il 31).

Ho avuto occasione di segnalare una dopo l'altra le singole manifestazioni che dalla metà di marzo, e ancor più da tre settimane a questa parte, stanno verificandosi in Inghilterra in favore di un ravvicinamento anglo-tedesco o, per essere ancora più esatti, anglo-nazista.

Al coro degli incensatori del Fuhrer si è aggiunto in questi giorni anche lo stesso Churchill, il quale, come V.E. sa, era stato fino ad oggi il più ostinato e irriducibile campione anti-tedesco. Parlando ieri al Dorchester Hòtel alla British Section of the New Commonwealth, una delle tante istituzioni di propaganda pacificista definita quale «society far the promotion o.f international law and arder through the creation o.f a Tribuna! in Equity and an International Police Force», dopo avere insistito sui vincoli di alleanza difensiva che legano ormai la Gran Bretagna alla Repubblica Francese, e dopo avere detto che «le democrazie britannica e francese saranno aiutate dalla sempre maggiore crescente forza della Russia la quale è un contrappeso indispensabile in un qualsiasi sistema europeo», Churchill ha ricordato che il Fuhrer tedesco ha fatto recentemente incoraggianti dichiarazioni relative al bombardamento fuori della zona di guerra. «Se il Fuhrer tedesco -Churchill ha continuato -e la grande nazione di cui egli è il capo vorranno guidare il mondo rassicurandolo sulle loro pacifiche intenzioni ciò non soltanto aumenterà la fama di Hitler già universale, ma egli sarà anche destinato ad essere il leader della nuova cristianità».

Queste dichiarazioni di Churchill, di tono così diverso da tutto quello che è stato sinora il suo atteggiamento anti-tedesco ma più particolarmente anti-nazista, sono state oggetto di sorpresa e commenti in questi circoli diplomatici e politici i quali non hanno naturalmente mancato di mettere le parole di Churchill in relazione colle asserite assicurazioni in senso pacifista che il Maresciallo Blomberg avrebbe dato, da parte di Hitler, durante la sua recente visita a Londra 1•

Questa attitudine di Churchill non poteva passare inosservata, non soltanto per la sua innegabile personalità e per l'influenza che Churchill esercita nell'ambiente politico inglese, ma anche per il fatto che Churchill è stato sempre considerato

1 Per le cerimonie dell'incoronazione. Si vedano in proposito i DD. 622 e 648.

come il diretto portavoce delle correnti militari, in particolare dell'Ammiragliato e del ministero dell'Aria. È appunto quale portavoce degli Stati Maggiori britannici che Churchill si era sempre espresso sino ad oggi con asprezza polemica contro la politica « aggressiva» della Germania denunciando continuamente gli armamenti tedeschi come l'unico pericolo per la pace europea. Non si può mancare quindi di mettere il discorso di Churchill in relazione con un certo visibile mutamento che da qualche po' di tempo in qua si va manifestando nell'attitudine degli ambienti militari inglesi verso la Germania.

Ho già informato V.E. sulle accoglienze, che molti degli stessi inglesi si sono sentiti costretti a biasimare pubblicamente giudicandole imprudenti ed eccessive (vedi mio rapporto n. 2068 del 21 corrente) 1 che l'aviazione britannica ha fatto recentemente al Maresciallo Blomberg in occasione della sua visita a Londra e particolarmente all'aerodromo militare britannico di Andover dove Blomberg è stato addirittura invitato dal Comando inglese a «ispezionare» i nuovi tipi di apparecchi da bombardamento. Anche nell'ambiente dell'Ammiragliato si nota, contemporaneamente ad un visibile aumento di freddezza nei riguardi dell'Italia, una corrispondente sensibile diminuzione in quella che è stata sinora la tradizionale avversione verso la Germania. Questa è una sensazione diretta che io ho avuto personalmente, che il nostro stesso addetto navale mi conferma sulla base dei suoi contatti frequenti con gli uffici dell'Ammiragliato, e che mi è parimenti segnalata da osservatori obiettivi e imparziali. Alla rivista navale di Spithead, giovedì scorso 20 corrente, gli ufficiali e gli equipaggi della nave da guerra tedesca Von Spee sono stati oggetto da parte delle autorità inglesi di dimostrazioni di riguardo e di cortesia senza dubbio superiori a quelle usate verso qualsiasi delle altre unità navali straniere presenti nella Baia di Portsmouth. Da parte loro gli ufficiali e gli equipaggi tedeschi hanno ricambiato allo stesso modo le dimostrazioni ricevute dagli inglesi.

645

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEiiONO 3616/215 R. Ginevra, 27 maggio 1937, ore 19,15.

Si sono riuniti stamane Antonescu, Krofta e Subotic. Quest'ultimo mi ha detto che non si è trattato di una riunione del Consiglio della Piccola Intesa ma di una semplice conversazione politica che ha avuto come principale oggetto la questione del riarmo dell'Ungheria.

I tre delegati hanno parlato a lungo del problema e sono giunti alla conclusione che il riarmo dell'Ungheria sarà ammesso a condizione che Budapest accetti di negoziare un patto di non aggressione con tutti e tre gli Stati membri della Piccola

I Vedi D. 622.

844 Intesa. Non si tratta naturalmente, secondo Subotic, di compiere un tentativo per allontare l'Ungheria dal triangolo Roma-Vienna-Budapest ma di creare una situazione politica che contribuisca effettivamente alla pace in Europa centrale.

Subotic mi dice d'aver trovato Krofta estremamente conciliante e ben disposto. Mentre in altri tempi i cecoslovacchi e gli stessi jugoslavi avrebbero richiesto come contropartita all'Ungheria un patto di mutua assistenza e una garanzia sullo statu quo territoriale, oggi si mira a realizzare un sistema di patti bilaterali di non aggressione senza nessuna richiesta esplicita di impegni per quanto riguarda lo statu quo territoriale. Non dovrebbe essere l'Ungheria a chiedere la conclusione di tali patti, né la Piccola Intesa a proporla. Bisognerebbe arrivarvi naturalmente, migliorando l'atmosfera attraverso la stampa nei Paesi interessati e il contatto degli uomini responsabili. La conclusione del patto italo-jugoslavo, che ha permesso alla Jugoslavia d'intendersi con l'Italia senza abbandonare la Piccola Intesa, è stata evocata nella riunione come un precendente che può permettere all'Ungheria di concludere dei patti con i tre Stati della Piccola Intesa senza allentare i suoi vincoli verso Roma e Vienna. Subotic ha tenuto a sottolinearmi che tutta l'azione politica che si era svolta in questi giorni tra i membri della Piccola Intesa non aveva avuto nessun speciale controllo da parte della Francia, la cui attività politica gli sembrava in grande ribasso. Egli aveva tenuto a marcare anche nella riunione odierna che l'intesa con l'Ungheria non doveva avvenire sotto gli auspici della Francia e senza alcuna interferenza da parte della S.d.N. Mi ha detto che non aveva trovato reazioni speciali su questo punto da parte Krofta. Egli ha insistito che occorreva preoccupparsi d'avere l'appoggio di Roma e non far nulla che sembrasse diretto contro Berlino. Subotic ha aggiunto che tuttavia il discorso di Kanya 1 aveva fatto cattiva impressione, tanto su Krofta che su Antonescu soprattutto per avere egli troppo insistito sul problema delle minoranze. In sostanza, Subotic ha tenuto a precisare che nello spirito di Belgrado l'azione che si stava svolgendo nei confronti di Budapest voleva essere una continuazione dell'intesa tra Roma e Belgrado 2•

646

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3626/128 R. Lisbona, 27 maggio 1937, ore 20,45 (per. ore 23).

In conversazione molto confidenziale, segretario generale del ministero degli Affari Esteri mi ha lungamente parlato dell'atteggiamento tedesco di fronte proposta

1 Discorso del 26 maggio al Senato sul bilancio del ministero degli Esteri.

2 A completare il resoconto di questo colloquio, Bova Scoppa telegrafava (T. 3641/224 R. del 28 maggio) che, secondo quanto gli aveva dichiarato Subotic, i tre rappresentanti della Piccola Intesa erano stati unanimi nel ribadire che in nessun caso avrebbero ammesso una denuncia unilaterale delle clausole militari del Trattato del Trianon da parte dell'Ungheria.

inglese 1 per sospensione ostilità in I spagna. A parte notizie stampa molto confuse e sospette, ministro portoghese a Berlino ha segnalato che vi era impressione, specie nei circoli italiani, che accoglienza tedesca potrebbe essere non del tutto sfavorevole. In ogni caso, segretario generale ha sottolineato che questo ministro di Germania 2 che era un tempo attivissimo nei riguardi questione spagnuola, ha da un certo tempo mutato atteggiamento, benché abbia ammesso che, a sua domanda, giorni or sono ha risposto che interesse germanico nella questione è sempre eguale. Ma sta di fatto che da qualche tempo non prende più alcuna iniziativa presso questo governo in tale questione. Quanto alla risposta portoghese 3 , ministro di Germania si è limitato, secondo quanto egli stesso mi ha detto, a domandare di quale tenore fosse stata. Ciò è avvenuto con considerevole ritardo.

647

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3627/130 R. Atene, 27 maggio 1937, ore 21,20 (per. ore 0,15 del 28).

Mio telegramma n. 1274 .

Indagini fatte in questi circoli politici e diplomatici mi confermano nell'impressione che visita Ismet Pascià è stata sollecitata da governo greco per ottenere assicurazioni turche circa situazione Balcani e soprattutto circa intenzioni aggressive attribuite governo bulgaro.

Riarmo Bulgaria è oggetto di seria preoccupazione questi circoli dirigenti che pare si studino di presentare all'opinione pubblica interna ed internazionale un blocco greco-turco come contrappeso al blocco bulgaro-jugoslavo. Manovra greca è stata in quest'occasione indirettamente favorita da recente incidente motociclisti militari bulgari 5 che avrebbe irritato profondamente Kemal e lo avrebbe spinto trasmettere messaggio di cui al mio telegramma di ieri 6 , come debbo

I Vedi D. 610.

2 Oswald von Hoyningen-Huene.

3 Vedi p. 839, nota 3.

4 T. 3564/127 R. del 26 maggio. Riferiva su le accoglienze particolarmente cordiali riservate al presidente del Consiglio turco, Ismet Inonii, giunto il 25 maggio in visita ufficiale ad Atene. Il ministro Boscarelli sottolineava che il motivo essenziale della visita andava ricercato nel senso di isolamento che aveva pervaso i dirigenti greci a causa dell'accordo bulgaro-jugoslavo e del crescente riarmo della Bulgaria, che non si escludeva stesse avvenendo con il tacito consenso di Belgrado.

5 In occasione della festa nazionale bulgara aveva avuto luogo a Filippopoli una rivista militare alla quale avevano partecipato alcuni reparti di motociclisti con grossi cartelli dove erano scritti i nomi di sei città della Tracia greca. I governi di Grecia, Turchia e Romania avevano chiesto a Stojadinovic, quale presidente di turno dell'Intesa Balcanica, di chiedere spiegazioni a Sofia.

6 Il presidente Kemal aveva inviato per telefono un messaggio a Metaxas in cui diceva che le frontiere degli Stati balcanici alleati costituivano «una frontiera unica» e sarebbero state difese da

dedurre dal fatto che nel parlami del messaggio questo sottosegretario per gli Affari Esteri mi ha fatto espressa menzione dell'incidente che egli credeva che io ignorassi.

Circa contenuto conversazioni attuali di Ismet Pascià, Mavrudis mi ha detto che il Presidente del Consiglio turco aveva dato a Metaxas nuove assicurazioni da parte Stojadinovic della fedeltà al Patto balcanico. Assicurazioni tranquillizzanti aveva apportato anche da parte governo bulgaro e specialmente da parte Presidente Kiosseivanov. È in seguito a tali assicurazioni che sarebbe stato deciso di non drammatizzare incidente delle motociclette e di affidarne soluzione a Stojadinovic.

648

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3681/041 R. Berlino, 27 maggio 1937 (per. il 29 ).

Telegramma per corriere V.E. n. 966/R. 24 corrente1 .

Secondo quanto mi ha detto oggi Neurath, la missione Blomberg a Londra 2 , mentre avrebbe costituito un successo personale per il Maresciallo, rappresenterebbe anche -per le stesse simpatie che Blomberg si è saputo conquistare -una indubbia «attività» nel bilancio dei rapporti anglo-tedeschi.

Il Maresciallo ha visto Baldwin, Chamberlain e Eden in conversazioni molto cordiali ma assolutamente generiche. Tutti però gli hanno espresso il vivo desiderio di un miglioramento nelle relazioni fra i due Paesi, desiderio che Blomberg ha naturalmente assicurato essere reciproco.

Si tratta, peraltro, di manifestazioni che, per quanto indubbiamente utili, vanno considerate ed apprezzate -come lo stesso Fiihrer si sarebbe espresso ieri stesso con Neurath -nella cerchia di quella «atmosfera di coronation» in cui si sono svolte.

Avendo io osservato a Neurath che, comunque, le manifestazioni stesse acquistavano significato dal fatto che seguivano la «svolta» nella relazioni anglo tedesche segnata dal discorso di presentazione del nuovo ambasciatore inglese a Berlino 3 , Neurath mi ha detto che, secondo gli aveva confidato Henderson, il suo discorso

«forze uniche». Metaxas aveva risposto esprimendo «la gioia» che il discorso di Kemal aveva provocato nelle Forze Armate greche ed aveva concluso che i due Paesi erano ormai «completamente e per sempre d'accordo». I messaggi erano stati pubblicati con grande evidenza dai giornali greci e turchi.

I Vedi D. 631.

2 Vedi D. 622.

3 Vedi DD. 578 e 590.

di presentazione non sarebbe stato sottoposto in antecedenza al Foreign Office, ma avrebbe rappresentato una iniziativa personale dell'ambasciatore.

Al mio rilievo che questo -per un tradizionalista del Foreign Office -mi sembrava un procedimento alquanto insolito, Neurath ha replicato che era certamente così ma che, d'altra parte, Henderson era uomo di carattere molto indipendente e, essendo intimo di Neville Chamberlain, si sentiva le spalle completamente al coperto.

Dopodomani vedrò Blomberg e avrò certamente da lui ulteriori informazioni sulla sua visita, che non mancherò di trasmettere immediatamente 1 .

P.S. Un giornalista polacco amico che ho visto reduce da Londra mi ha riferito che mentre l'accoglienza fatta a Blomberg dagli inglesi era stata certo assai calda e premurosa, essa era indubbiamente dovuta anche al desiderio di fare attraverso di essa una dimostrazione anti-italiana.

649

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 1532/688 R. Salamanca, 27 maggio 1937 (per. il 2 giugno).

Ho l'onore di comunicare che recatomi il 25 corrente a Vitoria ho avuto un lungo colloquio con S.E. il generale Doria sulla possibilità di riallacciare e concludere la note trattative per la resa dei baschi. Al colloquio hanno partecipato il generale Berti, il capo di Stato Maggiore di S.E. Doria e il R. console in San Sebastiano.

Riesaminata attentamente la questione e postala in relazione con lo sviluppo delle operazioni militari per l'attacco di Bilbao, tutti sono stati concordi nel ritenere ormai tardiva e destinata a quasi sicuro insuccesso ogni ulteriore nostra insistenza per concludere le trattative di resa. Comunque, non si è voluta scartare -se pure poco probabile -l'ipotesi che un accordo possa ancora realizzarsi quando, tra un paio di settimane, il progredire dell'offensiva nazionale avrà tolto ai baschi ogni illusione di possibile resistenza: in conseguenza, d'accordo con S.E. il generale Doria, ho dato istruzioni al Regio console in San Sebastiano di riprendere contatto con padre Pereda e di indurlo possibilmente a recarsi qui per esaminare un'ultima volta col generalissimo le possibilità di intesa che ancora possono presentarsi. Se detto sacerdote accetterà di venire a Salamanca troverò modo di conferire con lui prima e dopo il suo colloquio col Generalissimo. Mi riservo, quindi, appena possibile, di tornare in argomento.

l Vedi D. 661.

650.

IL MINISTRO A VIENNA, SALA T A, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO URGENTE 2027/1015. Vienna, 27 maggio 1937 (per. il 29).

Tanto a Schmidt quanto a Schuschnigg von Papen reduce da Berlino (mio telegramma per corriere odierno, n. 0120) 1 , ha riferito sulle difficolta incontrate personalmente presso il Fiihrer e sul malumore di Hitler per gli ultimi incidenti e in generale per gli scarsi frutti dell'accordo austro-germanico dell'Il luglio. Ha insieme manifestato il desiderio che sia creata in Austria verso la Germania una atmosfera migliore, senza la quale potrebbe~ ha detto~ essere posta in questione l'esistenza stessa dell'accordo.

Da parte austriaca gli è stata opposta una netta distinzione tra la Germania e il nazionalsocialismo in genere e quello illegale in Austria. Gli è stato dimostrato che la responsabilità della insufficiente o ritardata attuazione dell'accordo, specialmente per la pacificazione interna, spettava alle agitazioni illegali, antistatali, dei nazisti austriaci e più ancora alle interpretazioni e ai commenti che a danno del governo federale se ne davano ogni volta dalla stampa germanica anche ufficiale e ufficiosa. Si accennò da parte austriaca alla differenza di linguaggio tenuto a Berlino, a breve distanza, verso il ministro federale Glaise Horstenau e verso il noto Leopold, dopo il cui recente ritorno dalla Germania si sarebbe notato un irridigimento dei nazionali in esigenze inaccettabili, come ho già riferito.

Sulla base della lettera e dello spirito dell'accordo dell'l l luglio fu ripetuto a von Papen che solo l'astensione dei circoli germanici, specialmente di partito, da ogni ingerenza e influenza nello sviluppo della situazione interna dell'Austria poteva rendere possibile una distensione, ricondurre a termini e proporzioni accettabili le richieste dei nazionali e consentire al governo e al Fronte Patriottico di attuare i noti propositi di pacificazione.

Von Papen deve aver accennato, se pur vagamente, a Schuschnigg ~come poi più chiaramente disse a me ~ che a Berlino ormai si riteneva superata e insufficiente la nomina di un «referente» nazionale nel Fronte Patriottico ma si attendeva senz'altro la chiamata di «nazionali» nel governo federale. Schuschnigg deve aver risposto a von Papen che egli non aveva interrotto mai le trattative per la nomina del relatore, che non era colpa sua se per le influenze di Leopold le trattative non avevano ancora condotto ad un risultato positivo; che egli però avrebbe continuato per questa via, segnatagli in modo preciso dalla lettera e dallo spirito dell'accordo dell'Il luglio, che pone come primo passo la collaborazione della così detta Opposizione nazionale in Austria alla responsabilità politica in seno al Fronte Patriottico, e ciò soltanto a traverso «persone che godano la fiducia personale del Cancelliere Federale».

l T. per corriere 3678/0120 R.: comunicava che von Papen era tornato a Vienna il 25 maggio ed aveva smentito le voci di un suo ritiro.

A me Schuschnigg ha detto in modo preciso che non avrebbe ceduto a simili se pure velate pressioni di Berlino, e che per ora non poteva pensarsi ad altro che alla nomina del «referente nazionale», come avviamento alla pacificazione. Nello stesso campo «nazionale», sempre diviso da dissensi oggettivi e personali, non sarebbero pochi quelli che ripudiavano simili inframmettenze d'oltre confine.

Anche per effetto delle polemiche di stampa provocate dagli incidenti di domenica scorsa allo stadio di Vienna, siamo tornati così ad una nuova tensione, forse ad un punto morto.

Senza chiedermelo apertamente, mi si è fatto intendere che solo un autorevole e preciso interessamento a Berlino potrebbe creare le condizioni necessarie ad una distensione. Converrebbe, si dice qui, ditruggere la impressione alimentata in vario modo in questi ultimi tempi, che le resistenze e gli estremismi dei radicali nazisti e nazionali in Austria siano sostenuti da Berlino.

D'altra parte, a Berlino e anche a Roma -così si ragiona qui -deve interessare, sopra tutto in questo momento, il funzionamento regolare degli accordi politici che in funzione di interessi superiori legano Italia, Germania, Austria e Ungheria. Quando si abbia, come può aversi, anche dopo i viaggi di Londra e Parigi 1 , la garanzia che la politica estera dell'Austria resta fedele ai protocolli di Roma e verso la Germania, al suo obbligo di Stato tedesco, quando si intenda, come si intende, rispettare da Berlino l'indipendenza statale dell'Austria, non c'è ragione di creare o lasciare creare da irresponsabili continue difficoltà al regime austriaco e al governo Schuschnigg.

A chi, giorni or sono, gli ripeteva ciò che aveva udito a Berlino, che Hitler, cioè, avrebbe potuto perdere un giorno la pazienza, Schuschnigg avrebbe risposto che sarebbe stato peggio per tutti se la pazienza l'avesse perduta lui.

Nessuno, in fatti, ha interesse ad anticipare comunque un successore a Schuschnigg. Lo si deve sostenere più a lungo possibile e con ogni mezzo, come ho sempre creduto e detto e come oggi ritengo anche più necessario.

Non vedo modo migliore per raggiungere lo scopo che quello di facilitare a Schuschnigg il compito interno, togliendo di mezzo gli impedimenti che dal di fuori imbarazzano ancora sempre la sua opera di rafforzamento e di pacificazione nei sensi dell'Il luglio.

Nessuno può meglio contribuire a questo scopo che Berlino. Direi quasi che a Berlino, come al più forte, spetti la parte decisiva. Certo, occorrerebbe chiarire molte cose che tra Vienna e Berlino troppi hanno interesse ad offuscare. Emissari francesi e celoslovacchi troppo si compiacciono di tali difficoltà e stanno all'erta per sfruttarle ai propri scopi.

Ho l'impressione che il Cancelliere Federale si attende da Roma, come ha ~ccennato anche a Venezia, questo interessamento amichevole, di comune interesse.

Non ho raccolto le suggestioni lasciate cadere in questo senso nelle ultime conversazioni. Ma sento l'obbligo di sottoporle all'esame dell'E.V. per quelle istruzioni che V.E. vorrà impartirmi per mia norma ulteriore.

Comunque, mi sembra evidente la necessità di evitare, in quanto possibile, che a traverso questi successivi incidenti si crei una situazione critica e che la ormai

1 Si riferisce ai viaggi del segretario di Stato, Schmidt, per i quali si vedano i DD. 633 e 636.

prossima prima ricorrenza annuale della conclusione così promettente dell'accordo dell'Il luglio ne registri l'insuccesso o anche solo ne metta in evidenza il manchevole funzionamento.

Se non m'inganno, il nostro interesse è anche oggi quello stesso. che ci ha indotto a patrocinare e promuovere, un anno fa, l'accordo austro-germanico 1 .

651

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3675/244 e 3689/245 R. Washington, 28 maggio 1937, ore 9,07 (per. ore 8 del 29 ). Mio telegramma n. 2422 .

Intervista Duce 3 ha avuto la più larga ripercussione ed ha suscitato massimo interesse. Mi consta che il Presidente stesso ne è rimasto lusingato. In genere, accoglienza è stata favorevole pur con qualche riserva. Riserve si riferiscono punti:

l) dichiarazioni circa buona disposizione limitazione armamenti stanno in contrasto con atteggiamento finora seguito dall'Italia; 2) Italia come Germania non sono indifferenti a riarmo delle Potenze democratiche ed oggi arrivate limite loro risorse vorrebbero fermare riarmo altrui;

3) momento per conferenza sorto perché Potenze democratiche e particolarmente Inghilterra non intendono discutere in condizioni inferiorità, dato che esamineranno riarmo Potenze fasciste;

4) riscontrasi in intervista tentativo staccare America da Gran Bretagna, mettendo quest'ultima posizione disagio; 5) dichiarazioni su tendenza verso libertà commercio in contrasto con politica commerciale che l'Italia seguito finora e ancora recentemente riaffermata;

6) esclusione Russia, che d'altronde non potrebbe essere accettata da Francia, infirma ogni accordo perché nessuno potrebbe accettare limitazione armamenti se grandi Potenze come la Russia rimanessero libere di armarsi a piacimento.

Anche se queste riserve sono già accennate da qualche parte e non possono infirmare alto significato dell'atteggiamento assunto Duce, credo opportuno tenerne conto per eventuali futuri sviluppi.

Non è naturalmente da attendersi che Presidente, soprattutto in considerazione dell'atteggiamento dell'Inghilterra, possa indursi per ora convocare conferenza. A

l Il documento ha il visto di Mussolini.

2 T. 3579/242 R. del 26 maggio, relativo ad un colloquio avuto con il sottosegretario Sumner Welles a proposito dell'intervista rilasciata da Mussolini al giornalista Simms. Welles, pur affermando che le reazioni del governo americano erano positive, aveva fatto presente di non poter fare dichiarazioni ufficiali su un documento che non aveva carattere ufficiale. Sul colloquio si veda anche il D. 656.

3 Vedi D. 632.

tale proposito mi è stato riferito da persona autorevole che sottosegretario di Stato si è espresso nel senso che Inghilterra non potrebbe chiarire suo atteggiamento al riguardo prima della seconda metà autunno. Tuttavia, favorevole ripercussione di questa intervista andrebbe riaffermata col fissarne alcuni punti, che utilmente potrebbero essere precisati, anche per dissipare le ombre di diffidenza contenute nelle riserve suaccennate. Ove ciò fosse ritenuto opportuno, anche in relazione nostra politica generale, potrei facilmente trovare occazione far visita al Presidente Roosevelt, per fargli seguente dichiarazione:

l) Mio passo non ha alcun carattere ufficiale e quindi non ho da far alcuna proposta, ma solo chiarire atteggiamento mio governo in questione che desta tanto interesse anche in America.

2) Intervista sebbene espressa occasionalmente rappresenta le idee del Duce per quanto riguarda questione armamenti.

3) Il Duce ha accennato Roosevelt per due ragioni: a) perché Presidente degli Stati Uniti si trova in posizione particolare poter prendere questa iniziativa senza essere sospettato perseguire fini particolarmente nazionalisti in antitesi con quelli altri Paesi; b) perché designazione Roosevelt per tale compito è ormai universale.

4) Governo è consapevole difficoltà per convocazione conferenza momento attuale; d'altra parte governo italiano continua tranquillamente svolgimento suo programma in relazione a maggiori armamenti degli altri. Quindi nessuna pressione e nessuna impazienza da parte italiana. Poiché però ogni giorno che passa situazione diventa più grave per tutti, governo italiano fa sapere fin da ora essere pronto appoggiare una iniziativa Roosevelt qualsiasi momento egli intendesse prenderla.

5) Parlando limitazione anziché riduzione armamenti, si intende esprimere il concetto che non sia possibile distruggere gli armamenti attualmente esistenti ma per i programmi futuri si può discutere qualunque forma di limitazione o di riduzione purché di applicazione generale.

6) Governo italiano non intende prevalersi di una presunta (del resto inesistente) superiorità attuale di armamenti, ma è inteso che con riduzione o limitazione dei progammi futuri, non si vuole far torto alle legittime necessità di nessuno.

7) Per quanto riguarda gli Stati che dovrebbero partecipare alla eventuale conferenza, l'Italia non ha nessuna idea definitiva e nessuna esclusione preconcetta. È materia da discutere.

8) Quando fosse il momento opportuno, il Duce si dichiara pronto ad incontrarsi con Roosevelt per discutere questo problema nella forma e nelle circostanze che Presidente riterrà più convenienti.

Una comunicazione del genere potrebbe servire a meglio chiarire la nostra posizione, senza dare impressione che noi si sia nella necessità di trovare rapidamente una soluzione. Ritengo che sarebbe accolta favorevolmente dal governo e dall'opinione pubblica degli Stati Uniti di America. Potrebbe essere anche opportuno dare una certa pubblicità a questo chiarimento della posizione italiana alla quale, ripeto, eviterei di dare carattere di proposta ufficiale 1•

1 Per la rispostd si veda il D. 668.

652

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 3649/206 R. Berlino, 28 maggio 1937, ore 14,24 (per. ore 17,10).

Come preannunziato con mio telegramma per corriere n. 038 del 26 maggio 1 ho conferito con von Neurath in merito note proposte ufficiose avanzate da questo ministro del Belgio 2 .

Von Neurath mi ha assicurato di avere espressamente raccomandato a Davignon opportunità che proposta belga, se e quando formulata, venga contenuta in una cornice collettiva tale da prevenire che questione della presenza dell'Italia possa sorgere e porsi. Riferisco dettagli per corriere 3 .

Intanto torno a pregare di voter considerare tutto quanto ho finora riferito come strettamente confidenziale e ciò anche agli effetti di eventuali comunicazioni alla nostra ambasciata a Bruxelles.

653

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 3692/35 R. Roma. 28 maggio 1937 (per. il 29).

Telegramma per corriere ministeriale n. 990 R. 4 e mio telespresso di pari data

n. 1302/4555.

Mons. Pizzardo mi ha smentito nel modo il più assoluto e formale che sia in corso una proposta di mediazione della Santa Sede, fra Salamanca e Valencia. Il Nunzio a Lisbona si trova da qualche tempo a Parigi per seguire una cura. Il segretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari esclude che egli possa aver preso un'iniziativa personale in una materia così delicata. Mons. Pizzardo ha soggiunto che mons. Ciriaci era stato troppo scottato a Praga, in passato, per osare di

1 Con il T. per corriere 3599/038 R. del 26 maggio, l'ambasciatore Attolico aveva comunicato che nei contatti tra il governo belga e quello tedesco stava prendendo consistenza l'ipotesi di un patto plurilaterale di non aggressione esteso all'Olanda, nel quale l'Italia non avrebbe avuto parte. Poiché la Francia restava favorevole ad un patto generale. Attolico suggeriva di appoggiare questa tendenza incoraggiando Berlino a muoversi nello stesso senso.

2 Il 13 maggio, il ministro Davignon aveva avuto «un scambio di vedute ufficiose>> con il segretario di Stato deli'Auswiirtiges Amt, von Mackensen, al quale aveva dichiarato che il Belgio avrebbe potuto considerare con favore un patto di non aggressione relativo al Belgio e all'Olanda con la partecipazione della Germania. della Francia e della Gran Bretagna. Si veda in proposito il resoconto di Davignon in DDB, vol. IV, D. 235 e quello di von Mackensen in DDT, serie C, vol. VI, D. 363.

3 Non è stato rintracciato alcun documento in proposito.

4 Vedi D. 642.

5 Non rivenuto.

assumere delle iniziative non previamente approvate. D'altra parte mons. Pizzardo aveva incontrato a Parigi il Nunzio a Lisbona e poteva perciò garantire, a ragion veduta, che la notizia della mediazione attribuita alla S. Sede o al Nunzio, era priva di fondamento.

Mons. segretario per gli Affari Ecclesiastici era partito da Roma per le feste dell'Incoronazione con un preciso incarico del Papa, egli aveva cioè il compito di fare intendere ai governi inglese, francese e belga, ma più particolarmente al primo, che il governo di Valencia mirava alla totale distruzione dell'idea religiosa. Il prelato doveva, di conseguenza, sollecitare l'appoggio dei governi medesimi per venire in aiuto dei sacerdoti cattolici catalani i quali correvano pericolo di vita.

Mons. Pizzardo ha esposto ai governi succitati un piano concreto in tal senso e ha proposto l'invio sul luogo di persone incaricate di venire in aiuto ai disgraziati sacerdoti, domandando per tali persone la protezione dei tre governi. Il monsignore ha svolto la sua missione, specialmente a Londra, trovando poca comprensione nel signor Eden e un maggior interessamento, almeno a parole, nel signor Neville Chamberlain. Non credo però che sia giunto finora a concreti risultati. Il ministro degli Esteri inglese ha dimostrato, invece, un particolare interesse alla questione spagnola, dal punto di vista politico. Ha dichiarato al suo interlocutore essere evidente, ormai, la divisione dell'Europa in due blocchi: fascista e antifascista. Il governo britannico si manteneva neutrale, pronto tuttavia a intervenire, al momento opportuno, per facilitare un componimento di transazione.

Circa l'orientamento dell'opinione pubblica inglese, mons. Pizzardo ha detto di considerarla nella maggioranza favorevole ai rossi anche per l'azione svolta dalla Chiesa anglicana la quale è più che mai antipapista. Per essa il Papa è uno strumento del fascismo italiano. Nello stesso senso si sarebbe espresso, su quest'ultimo punto, il signor Eden. Egli avrebbe insistito molto con mons. Pizzardo per la nomina di un cardinale inglese. Ho osservato, come mia idea personale, che forse sarebbe buona politica di dare presto all'Inghilterra un proprio cardinale. Essa l'ha sempre avuto e non parrebbe concepibile un Conclave privo di una voce inglese. D'altra parte la nomina di un cardinale inglese potrebbe giovare a calmare gli animi dei britannici.

Mons. Pizzardo mi ha assicurato di non essersi messo in diretto rapporto col Quai d'Orsay, per un riguardo al Nunzio a Parigi. Ha però avuto molti contatti con i maggiori esponenti dei cattolici francesi e ha dovuto constatare che essi parteggiano, meno poche eccezioni, per i rossi. Per giustificare la loro condotta, i francesi si atteggiano a protettori dei baschi; «quei poveri baschi-essi diconoperseguitati da Franco che non esita a fucilare preti e a distruggere chiese!». Per suscitare sentimenti di pietà e commiserazione, in Francia si sfrutta l'esodo delle donne e dei fanciulli da Bilbao, rappresentati in fuga davanti alle orde di Franco.

Nel Belgio accade l'inverso. Sono pochi, infatti, i cattolici favorevoli al frente popular mentre la massa è per i Nazionali.

Mons. Pizzardo si è recato anche a Lourdes per incontrarsi con il cardinale Goma y Torna, rappresentante ufficioso della Santa Sede presso il governo di Franco. Il cardinale si è detto sicuro della vittoria finale dei Nazionali, vittoria che non dovrebbe tardare. Secondo il porporato, la Santa Sede non avrebbe motivo di preoccuparsi eccessivamente della sorte dei preti catalani, perché il successo di Franco renderà agevole di regolare questo punto. Il cardinale ha fatto professione di fede monarchica e ha dichiarato che i nazionali auspicano il ritorno della monarchia. Il generale Franco sarebbe in relazione epistolare con il conte de Los Andes, rappresentante dell'ex-Sovrano. Mons. Pizzardo mi ha assicurato di aver letto alcune lettere del conte al generale Franco.

Il segretario per gli Affari Ecclesiastici mi ha detto infine, e io riferisco la notizia per dovere d'ufficio, di aver saputo a Londra da persona autorevole, che non mi ha nominata, la quale a sua volta indicava come fonte il signor von Neurath, che il Duce, sensibilissimo com'è ai sentimenti del popolo italiano, si rendeva ormai conto che l'appoggio concesso alla Spagna Nazionalista doveva avere un termine e che questo termine si stava avvicinando.

654

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3693/36 R. Roma, 28 maggio 1937 (per. il 29).

Nel suo viaggio per Londra, monsignor Pizzardo ha fatto una sosta a Bruxelles per incontrarsi con van Zeeland.

Nel corso di una conversazione, alla nunziatura,. il Primo Ministro belga gli ha detto avergli il signor Eden dichiarato di non nutrire risentimento alcuno verso l'Italia, dimostrando il desiderio di ristabilire relazioni di amicizia con noi. Il ministro britannico avrebbe detto più precisamente al signor van Zeeland quanto segue:

a) il transito attraverso il Mediterraneo, era una questione vitale per la Gran Bretagna ma all'infuori del transito l'Inghilterra non aveva speciali interessi di rilievo da tutelare in quel mare;

b) la questione etiopica era ormai regolata di fatto e lo sarebbe stata presto anche di diritto. La questione era allo studio. Il ministro belga ha fornito precisioni al riguardo nel senso che se il signor Tafari non si fosse presentato a Ginevra alla Sessione, in quel tempo non ancora aperta, l'Italia avrebbe potuto mandarvi un suo rappresentante munito di credenziali stilate con la formula di Re Imperatore, credenziali che sarebbero state accettate, chiudendo per sempre la strada a Tafari.

c) gli armamenti inglesi saranno portati a termine risolutamente, senza tentennamenti.

Due giorni dopo la conversazione surriferita, monsignor Pizzardo, recatosi a Londra per le feste dell'Incoronazione, è stato ricevuto da Eden.

Il ministro gli ha dichiarato apertamente di non avere nulla contro l'Italia. Ha ammesso che l'iniziativa delle sanzioni non è stata felice. Ha detto che la questione etiopica sarà regolata e si cerchebbe di farlo nell'ambito della Società delle Nazioni. Ha parlato degli armamenti dell'Inghilterra, manifestando la decisione del suo Paese di eseguire integralmente il programma che si è tracciato. Su questo punto il ministro è stato categorico.

Ho domandato a mons. Pizzardo se il problema della pace europea, posto dal Duce nella sua recentissima intervista 1 , potrebbe, a suo avviso, influire a fare modificare le idee e i propositi del signor Eden. Il prelato mi ha dato risposta negativa; ha precisato di avere avuto l'impressione che l'Inghilterra si è resa conto di non poter correre il rischio di trovarsi disarmata di fronte al pericolo che presenta una Europa turbata com'è oggi.

Ho osservato che, comunque, la Santa Sede e il Pontefice specialmente debbono vedere con estremo favore l'iniziativa del capo del governo, iniziativa che dovrebbe incontrare l'appoggio entusiasta e incondizionato dei cattolici del mondo intero. Monsignor Pizzardo ha convenuto. Ho soggiunto che mi riservavo intrattenere dell'argomento il cardinale segretario di Stato.

Mons. Pizzardo ha visto alcuni giorni dopo il segretario permanente del Foreign Office il quale gli ha tenuto un discorso analogo a quello del ministro. Il signor Vansittart ha precisato che gli inglesi dimenticano facilmente e che la questione etiopica è di fatto ormai dimenticata.

Ho ringraziato il segretario per gli Affari Straordinari, non senza rilevare che il linguaggio dei giornali inglesi rispecchianti l'opinione pubblica aveva un'intonazione alquanto diversa. Mons. Pizzardo ha risposto che certamente una larga frazione della popolazione, in Inghilterra, è ostile al fascismo, com'è ostilissima al Papa ma ha ribadito che nell'ambiente dirigente del Foreign Office non albergano sentimenti di astio verso il governo fascista, mentre al contrario si desidererebbe anzi si ricercherebbe l'accordo. Mons. Pizzardo ha insistito con tanto calore su questo punto da darmi l'impressione che in verità ci sia a Londra, in alcune sfere, la ferma volontà di porre termine alla freddezza che ha caratterizzato, da più di un anno, le relazioni itala-britanniche ed anche il desiderio che questo stato d'animo sia risaputo dal governo fascista.

655

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3731/0156 R. Londra, 28 maggio 1937 (per. il 31).

Questo ambasciatore di Polonia Raczynski parlandomi ieri sera della dichiarazione fatta a Ginevra dal rappresentante polacco, Komarnicki 2 , mi ha detto che tale dichiarazione era stata concordata fra Beck ed il Foreign Office prima della partenza da Londra del ministro degli Esteri polacco 3 .

Viste le esitazioni da parte svedese e belga a prendere iniziative in tal senso a Ginevra, Vansittart avrebbe detto a Beck che ove egli desse istruzioni al proprio

I Vedi p. 831, nota l.

2 Vedi D. 640.

3 Beck era stato a Londra per le feste dell'inconorazione di Re Giorgio VI ed il 9 maggio aveva avuto un colloquio con Eden.

rappresentante a Ginevra di sollevare questione all'Assemblea, avrebbe fatto cosa gradita al governo britannico. Beck-ha continuato Raczynski-prima di inviare queste istruzioni ha voluto avere un altro colloquio con Eden per assicurarsi personalmente delle sue effettive intenzioni. Eden ha confermato a Beck quanto già dettogli da Vansittart, e cioè che governo britannico avrebbe veduto con favore da parte della Polonia una iniziativa in tal senso, diretta a sollevare e risolvere, possibilmente in modo netto e definitivo, questa questione la quale continua ad avvelenare la politica dell'Europa. Beck -ha continuato Raczynski -è rimasto gradevolmente sorpreso d'avere constatato in Eden, a differenza dell'impressione ricevuta dallo stesso Eden qualche giorno prima, un'orientamento meno indeciso e più favorevole ad una liquidazione rapida della questione. A seguito di questa conversazione avuta con Eden a Londra, Beck ha inviato le istruzioni a Komarnicki.

In relazione a quanto dettomi da Raczynski mi risulta in modo certo che gli ambienti del Foreign Office manifestavano ieri il loro palese dissappunto per il mancato seguito che dichiarazione polacca avrebbe avuto a Ginevra e, mentre si dolevano della mancanza di energia da parte di Eden, biasimavano apertamente Blum il quale -secondo quanto lo stesso Eden avrebbe in un dispaccio da Parigi comunicato a Baldwin dopo il suo incontro con Blum domenica scorsa a Parigi avrebbe cercato di convincere di nuovo Eden sulla «intempestività» di sollevare questione ex-Stato etiopico a Ginevra nella presente Assemblea. Un amico personale di Vansittart mi ha riferito stamane (credo non mi sarà difficile controllare ciò la prima volta che avrò occasione di parlare con Vansittart) che nel leggere dispaccio di Eden sulle sue conversazioni con Blum, Vansittart avrebbe esclamato stizzito: «Questi socialisti francesi could not be more idiotic. Essi stanno aiutando la propaganda tedesca in Inghilterra, e la propaganda tedesca in Italia. Per le loro petty home quarrels essi stanno dimenticando the biggest issues. L'Inghilterra è alleata dell'esercito francese, ma non l'alleata di M. Blum ...... ».

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L'AMBASCIATORE A WASHINTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 3494/894. Washington, 28 maggio 1937 (per. 1'8 giugno).

Come ho comunicato con telegramma n. 242 1 , ho avuto un colloquio con Sumner Welles, sottosegretario di Stato, in assenza del segretario di Stato, signor Hull. Ho messo in rilievo i punti salienti del discorso del Duce 2 soffermandomi particolarmente sulla questione relativa alla limitazione degli armamenti e sull'accenno ad una politica di libertà commerciale.

I Vedi p. 851, nota 2. 2 Si tratta, in realtà dell'intervista rilasciata al giornalista americano Simms (vedi D. 632).

A proposito della limitazione degli armamenti, ho messo in rilievo che, se si voleva considerare la cosa da un punto di vista realistico, ciò era quanto si poteva fare, non essendo pensabile che i Paesi considerino la possibilità di distruggere armamenti già esistenti; ho ricordato che la stessa affermazione aveva già fatto il Duce al signor Norman Davis quando era venuto a Roma un paio di anni fa per promuovere una intesa fra le Potenze per il disarmo. Sapevo che in America, dopo raggiunto l'accordo navale, erano state demolite delle corazzate già in via di costruzione, ma ciò non pareva potesse avvenire in Europa nella situazione attuale.

Riguardo alla libertà di commercio, ho affermato che la politica del governo italiano è favorevole in massima alla maggiore libertà di commercio, che forma la base stessa della politica del signor Hull, ma che naturalmente l'applicazione di questo principio non poteva avvenire che per gradi in Europa, dove tutti gli Stati difendono la loro economia e la loro moneta l'uno contro l'altro sulla base di contingenti e di regolamenti sulle divise. D'altra parte l'Italia usciva dall'esperienza sanzionista, esercitata per la prima volta contro di lei, e tutto il Paese reclamava un minimo d'indipendenza economica necessaria per la tranquillità e per lo sviluppo del Paese. Questo minimo di indipendenza economica, sul quale non si può discutere, si può benissimo conciliare con l'applicazione della teoria del signor Hull verso una maggiore libertà commerciale.

Il sottosegretario mi ha risposto che si rendeva conto del punto di vista italiano circa la riduzione degli armamenti, che si rendeva anche conto dell'impossibilità di smobilitare di punto in bianco la macchina delle restrizioni per arrivare ad una maggiore libertà di commercio. Mi ha affermato che le sue dichiarazioni alla stampa in forma ufficiosa costituivano effettivamente l'opinione del governo americano. Mi ha soggiunto che la reazione del governo americano all'intervista del Duce era molto buona sotto tutti i riguardi. Mi ha infine affermato che il governo degli Stati Uniti non farebbe altre dichiarazioni al riguardo, ma che era convinzione sua -di Sumner W elles -che se dichiarazioni ulteriori dovessero essere fatte, queste devono venire dal Presidente. Il signor Welles ha concluso dicendo che considerava l'atteggiamento preso dal Capo del governo un passo decisivo verso la soluzione del problema degli armamenti.

La ripercussione del discorso del Capo del governo nella stampa è stata molto vasta: i giornali della catena Scripps-Howard hanno riportato tutti l'intervista generalmente in prima pagina con titoli ricoprenti la pagina intera. Anche altri giornali hanno riportato un riassunto dell'intervista della United Press. In genere si può affermare che l'accoglienza della stampa e dell'opinione pubblica americana è stata favorevole, considerandosi la presa di posizione del Duce un importante passo verso la limitazione degli armamenti.

Ci sono state naturalmente, come era da attendersi, alcune riserve relative particolarmente all'opportunità del momento scelto e alla sincerità delle intenzioni del governo italiano. Bisogna convenire però che queste riserve sono state appena accennate (Vedi mio telegramma odierno allegato in copia) 1• In genere tutte queste riserve partono dalla preoccupazione di fare cosa sgradita all'Inghilterra. Qualcuno, andando più in là, vede nell'intervista del Capo del Governo un tentativo per mettere l'America contro l'Inghilterra.

I Vedi D. 651.

Ad onta dunque di qualche voce discordante, questa intervista (preceduta dalle recenti dichiarazioni del ministro Ciano che sono state anche favorevolmente commentate) ha creato uno stato d'animo che forse converrebbe fissare in forma più concreta. Per tale possibilità mi richiamo al mio telegramma accluso. Comunque, anche se la cosa per il momento non dovesse avere ulteriore sviluppo, con la intervista in parola si è messa una buona base che potrà essere molto utile in seguito.

657

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI

T. 996/62 R. Roma, 29 maggio 1937, ore l.

Le sarò grato voler riferire circa contatti di carattere politico che Ella abbia avuto, sia con codesti uomini di governo, sia eventualmente con lbn Saud durante le brevi permanenze del Sovrano costì, successivamente alle dichiarazioni di carattere generale politico fatteLe, di sua iniziativa, da Yussuf Yassin e opportunamente riferite dalla S.V. con rapporto n. 3 del 14 aprile 1•

Senza mostrare particolare desiderio da parte nostra di provocare tali contatti, sarà bene che V.S. approfitti opportunamente di ogni utile occasione per illustrare a codesto governo nostra politica verso la Saudia e in generale verso i Paesi arabi, secondo le direttive di massima manifestatele all'atto della sua partenza. V.S. potrà così riaffermare la nostra volontà di dare ogni opera per il mantenimento della pace e per la conservazione dello status quo in Arabia, nel quadro della fratellanza araba che esiste fra Saudia e Yemen, e la nostra intenzione di facilitare, per quanto sta in noi e col pieno rispetto della loro sovranità politica, della loro indipendenza e della loro integrità territoriale, il rafforzamento e lo sviluppo politico ed economico dei due Stati arabi del Mar Rosso.

D'altra parte, si constata invece una rinnovata attività britannica in tutti i settori che circondano la Saudia e lo Yemen e che, come giustamente Le ha osservato Yussuf Y assi n, si trovano sotto l'influenza diretta od indiretta inglese. Si comprende la politica di prudenza che in relazione a tale situazione viene seguita da codesto governo e da parte nostra siamo grati della preferenza che il governo saudiano intende darci per quanto riguarda forniture militari, che ci sforzeremo di facilitare in tutti i modi possibili come abbiamo fatto sinora. Al riguardo sono state interessate le autorità militari competenti.

In relazione poi alla conversazione che V.S. ebbe a Roma col senatore Gasparini circa una eventuale ripresa di contatti personali tra lui e S.M. Ibn Saud, pregoLa riferire se Le è stato possibile, sia direttamente, sia per il tramite opportuno sondare le disposizioni di codesto ambiente circa un'eventuale visita del senatore

l Vedi D. 463.

Gasparini al Sovrano 1 . Ciò si rende anche utile per evitare che possano sorgere costì sospetti e diffidenze nell'eventualità di una prossima missione del senatore Gasparini nello Yemen, Stato col quale dovrà essere fra breve rinnovato il trattato di amicizia di prossima scadenza.

658

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3715/73 e 3716/74 R. Varsavia, 29 maggio 1937, ore 1,04 (per. ore O, 15 del 30 ).

Telegramma di V.E. n. 48 2 e mio telegramma n. 71 3 .

Ho ringraziato Beck a nome di V.E., rilevando che le dichiarazioni di Komarnicki non potevano che avere le più favorevoli ripercussioni nei rapporti fra l'Italia e la Polonia.

Beck si è mostrato molto sensibile del compiacimento di V.E. e mi ha illustrato i moventi che avevano ispirato l'atteggiamento polacco. Beck aveva voluto anzitutto darci ulteriore prova di amicizia e subordinatamente aveva inteso affermare l'autonomia della politica polacca che non è schiava delle pericolose teorie professate a Ginevra. Komarnicki aveva ricevuto istruzioni di adoperarsi presso colleghi per tentare di liquidare una buona volta questione etiopica, ma i suoi passi non trovarono alcuna eco. Fu allora che Beck interpellato per telefono dal delegato polacco pochi minuti prima della seduta lo invitò a fare la nota dichiarazione. Beck constatava con certo compiacimento che al postutto, tranne il messicano, nessun altro delegato aveva creduto di ribattere dichiarazioni polacche, e che del resto delegato francese ed inglese erano stati preavvisati.

Ho chiesto a Beck a titolo personale se e quali ulteriori sviluppi ai fini riconoscimento impero da parte Polonia avrebbero avuto dichiarazioni Ginevra.

Beck mi ha risposto che per Polonia questione Etiopia era definitivamente liquidata e che pertanto, qualora si fosse presentata occasione di atti formali (come per esempio eventuale nomina di nuovo ambasciatore di Polonia a Roma), governo polacco avrebbe adottato senz'altro formula di noi voluta. Beck aveva anche esaminato eventuale opportunità che Polonia compisse subito un qualsiasi atto incondizionato di riconoscimento ma aveva dovuto tralasciarlo soprattutto perché, dato

I Il ministro Sillitti rispondeva il 2 giugno che. data l'assenza da Gedda dei più importanti esponenti saudiani, per il momento non gli era possibile dare seguito alle istruzioni ricevute (T. 3801/68 R.).

2 T. 988/48 R. del 26 maggio. Ciano aveva telegrafato di avere espresso all'ambasciatore di Polonia il suo compiacimento per le dichiarazioni fatte all'Assemblea della S.d.N. dal delegato polacco (per le quali si veda p. 840, nota l) ed aveva incaricato Arone di farsi interprete degli stessi sentimenti presso il governo di Varsavia. Ciano aveva poi osservato che sarebbe stato interessante accertare la portata di quelle dichiarazioni ai fini del riconoscimento da parte della Polonia.

3 T. 3673nl R. del 28 maggio. Riferiva su l'impegno della stampa polacca per chiarire i motivi dell'azione svolta alla Società delle Nazioni in favore dell'Italia.

860 che questione etiopica si riprensenterà a Ginevra a settembre, è sommamente utile che il governo polacco possa ulteriormente intervenire nella discussione. Beck ha concluso dicendo che sua risposta andava oltre i limiti di una conversazione personale e che mi pregava anzi di darne comunicazione a V.E.

659

IL SEGERETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 3708/247 R. Ginevra, 29 maggio 1937, ore 20,55.

Risoluzione adottata dal Consiglio odierno sulla questione spagnola 1 è molto più spinta, almeno nella forma, dei progetti che erano stati discussi dal Consiglio segreto di ieri. Quando stamattina la delegazione di Valencia ha avuto conoscenza del progetto studiato ieri, si è ricusata di accettarlo. Del Vayo avrebbe sostenuto che il Gabinetto Negrin aveva bisogno di una vittoria societaria per affermare la sua posizione incerta di fronte ai partiti di sinistra. Del Vayo avrebbe anche minacciato, valendosi delle allusioni e delle critiche che aveva fatto nel discorso di ieri, una possibile decisione del suo governo di abbandonare la Lega. Eden e Delbos avrebbero cercato di resistere, mentre Litvinov e pare anche Sandler avrebbero preso posizione nettamente in favore della tesi del Vayo.

Sta di fatto che il testo della risoluzione -nella quale del Vayo esigeva che si facesse menzione della «guerra totalitaria di aggressione» -contiene delle frasi di tono piuttosto acceso e alcuni punti su cui mi sembra opportuno richiamare l'attenzione di V.E. Così, al paragrafo 4 è detto che «bisogna assicurare col massimo di celerità il ritiro dalla lotta di tutti i combattenti non spagnoli». Komarnicki in seduta segreta ha chiesto quale valore avesse la dicitura di «non combattente». Meccanici che trasportano munizioni da Paesi finitimi, ad esempio, sono o non sono combattenti? Litvinov è intervenuto per dichiarare che su questi quesiti doveva pronunciarsi il Comitato di Londra e non il Consiglio. Non è escluso che con la dizione «combattenti non spagnoli» si voglia fare allusione ai marocchini che sono sudditi del Sultano e comunque è certo che Del Vayo ha insistito per eliminare la parola «volontari» che aveva già criticato nel suo discorso di ieri.

Risoluzione, malgrado le dichiarazioni fatte da Eden sull'efficacia delle misure prese sinora, sembra invece voler dare piena ragione alla tesi opposta di Del Vayo, là dove è detto che «Consiglio constata con rincrescimento che le misure prese dai governi a seguito delle raccomandazioni del Consiglio non hanno finora avuto l'effetto voluto».

Mi sembra infine che la tendenza della massoneria e delle varie Internazionali impegnate nel conflitto è di fare scivolare lentamente la questione nella piena

1 Testo in Relazioni Internazionali, p. 445.

competenza del Consiglio. Per ora ancora la piena competenza è lasciata al Comitato di Londra ma la porta è ormai aperta e se Londra non darà i risultati voluti dai rossi, resta la riserva della Società dove il gioco del Fronte Popolare ha possibilità di spaziare nell'assenza dell'avversario. Del Vayo che era scontentissimo ieri, oggi si dichiara soddisfatto e afferma ai suoi amici che si tratta del secondo passo avanti verso la completa accettazione del punto di vista del suo governo, circa la competenza del Consiglio a impadronirsi della questione.

Sembra, per concludere, che se nella sostanza la risoluzione non muta nulla al corso degli eventi, essa è peraltro di un certo valore come indizio di una progressione per ora lenta ma che potrebbe divenire sempre più celere verso ingerenza definitiva della Lega nel conflitto. Non è questo un evento che data l'esperienza sulle possibilità effettive della Lega possa cambiare il corso degli avvenimenti ma mi sembra che della lenta evoluzione del conflitto spagnolo nell'ambito della S.d.N. occorreva comunque prendere atto.

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IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

NOTA VERBALE 218047. Roma, 29 maggio 1937.

Il R. Ministero degli Affari Esteri ha l'onore di riferirsi alla Nota Verbale n. 147/264/37 del 19 maggio corrente' con la quale il Governo di Sua Maestà Britannica domanda di conoscere il punto di vista italiano circa la proposta di una inchiesta internazionale sui fatti di Guernica e una eventuale estensione di tale proposta a fatti e incidenti di eguale natura.

2. -Il Governo Fascista, pur tralasciando di esaminare se e come una siffatta iniziativa possa rientrare nella competenza del Comitato, il quale non ha, come è noto, alcun potere esecutivo, non crede ammissibile che, nonostante tutte le atrocità accertate e documentate commesse dall'inizio del conflitto ad oggi e non soltanto nella zona di guerra (assassinio di ostaggi, fucilazioni in massa, massacri di donne, religiosi e bambini, incendi di santuari e di chiese ecc.) sia all'improvviso prescelto un determinato episodio e questo solo sia sottoposto a una inchiesta internazionale. Il Governo Fascista non vede, d'altra parte, anche se tale inchiesta internazionale dovesse essere estesa ad altri fatti di eguale natura, a quale proficuo scopo essa potrebbe servire ai fini dell'auspicata pacificazione. 3. -Perfettamente consapevole, e non soltanto da oggi, della necessità di umanizzare la guerra civile spagnuola, il Governo Fascista si è volentieri associato all'appello delle due parti che il Comitato di non Intervento ha a tale scopo elaborato. Per rendere tale appello più efficace, l'azione del Rappresentante italiano in seno al Comitato è stata sopratutto diretta a far si che esso non fosse limitato a fatti e

I Non pubblicata.

circostanze arbitrariamente prescelti, ma fosse in generale esteso in modo da coprire ed includere tutti gli aspetti più inumani e più crudeli della guerra civile in Spagna.

Il Governo Fascista spera e vivamente si augura che tale appello possa valere, più e meglio di ogni altro mezzo, a normalizzare e umanizzare la generale condotta della guerra spagnola.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTO LI CO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2604/803. Berlino, 29 maggio 1937 (per. il 31).

Ho visto questa mattina il Maresciallo von Blomberg il quale mi ha espresso la sua soddisfazione per il suo prossimo viaggio a Roma 1 e per la possibilità che esso gli darà di avvicinare sia il Duce che l'E.V.

Egli mi ha detto che nell'occasione avrebbe desiderato riferire a S.E. il Capo del governo le impressioni da lui ricevute durante la sua visita a Londra 2 e che anzi si proponeva di farlo «con la stessa compiutezza e fedeltà con cui ne aveva già riferito al Fi.ihrer».

È evidente che von Blomberg ha ricevuto dalla visita la migliore impressione. Non solo egli è sensibile alle grandi attenzioni usategli da tutti, ma è sopratutto rimasto colpito dallo spettacolo di «solidità e di forza» che nell'occasione nell'Incoronazione ha dato l'Inghilterra e tutto l'Impero britannico.

Tre elementi sembrano averlo maggiormente impressionato:

l) La bonomia fondamentale dell'uomo della strada inglese, e quindi il suo sincero desiderio di vivere in pace con tutti; 2) l'attaccamento di tutto il popolo inglese alla Corona, considerata come perno e sostegno di tutta l'organizzazione imperiale;

3) l'attaccamento alla Corona britannica di tutti i singoli membri dell'Impero che, nonostante i loro sentimenti e risentimenti particolari, riconoscono nell'unione alla Madre Patria una condizione sine qua non della loro difesa e della loro stessa salvezza.

Qui il Maresciallo ha preso in esame tutti i Dominii e possedimenti della Gran Bretagna per dimostrare come dal Canada, che senza l'Impero cadrebbe facile preda degli Stati Uniti -all'Australia -che senza la Madre Patria sarebbe indubbiamente inghiottita dal Giappone-tutte le parti dell'Impero, persino l'India, hanno interesse a non staccarsi dall'Inghilterra. Tutto questo, diceva il Maresciallo, conferisce alla Gran Bretagna un'unità ed una solidità da cui, almeno per i pross1m1 decenni, sarebbe vano voler prescindere.

1 Il Maresciallo von Blomberg effettuò un viaggio in Italia dal 2 al 13 giugno. Fu ricevuto il 2 giugno dal Re e lo stesso giorno ebbe un colloquio a Palazzo Venezia con Mussolini alla presenza di Ciano. Di questi colloqui non è stata trovata documentazione.

2 Per l'incoronazione di Re Giorgio VI. Si vedano i DD. 622 e 648.

Ciò premesso, von Blomberg ha tenuto a dirmi che, da parte di tutti gli elementi responsabili che egli ha avvicinato in Inghilterra, nulla gli è stato detto che possa rivelare l'esistenza, nei riguardi dell'Italia, di un serio sentimento di «rivincita». Al contrario, tutto quanto egli ha udito farebbe credere ad un sincero desiderio inglese di chiudere anche con l'Italia il periodo dell'incomprensione per ritornare, non solo ad una situazione normale, ma a delle relazioni di amicizia. Egli mi ha detto che in questo senso si è espresso con lui lo stesso Eden (del cui atteggiamento nei nostri riguardi egli per il primo aveva seria ragione di dubitare). Che anzi, partendo da Londra, von Blomberg era rimasto sotto l'impressione che l'Inghilterra avrebbe approfittato della prossima Assemblea ginevrina per liquidare definitivamente, in una maniera conforme ai desideri dell'Italia, la questione abissina. Se questo non è in fatto avvenuto, si deve sopratutto alla vera e propria «schiavitù» imperante in Inghilterra~ e di cui Eden è uno dei maggiori esponenti~ verso il parlamentarismo e la demagogia democratica. Secondo von Blomberg, quest'ultimo periodo di tensione tra l'Italia e l'Inghilterra sarebbe sopratutto dovuto all'incidente dell'invito all'ex Negus, incidente deplorevole ed in fatto da tutti in Inghilterra ormai unanimamente deplorato.

Il Maresciallo ha aggiunto, concludendo su questo punto, che da più di uno gli era stato accennato alla possibilità che egli, recandosi in Italia subito dopo Londra, cercasse di chiarire i veri sentimenti dell'Inghilterra nei nostri riguardi.

A mia domanda se la continuata presenza di Eden al Foreign Office non rendesse impossibile ogni cambiamento di rotta nella politica estera inglese, von Blomberg ha risposto che, mentre effettivamente quella permanenza non apre adito a troppe speranze, tuttavia egli non mette in dubbio che la politica di Chamberlain sia per essere assai più decisa di quella di Baldwin e che di questo debbano risentire tutti i rami dell'attività politica del Regno Unito, compreso quello della politica estera. Von Blomberg ritiene che una figura di primo piano nel Gabinetto inglese e destinato ad avere un sempre maggiore ascendente al governo sia lnskip, uomo che egli ritiene equanime e non animato da pregiudizi e da rancori verso nessuno.

Il Maresciallo mi ha quindi detto che ciò che in questo momento maggiormente preoccupa l'Inghilterra è la situazione spagnola. L'argomento ha dato occasione al mio interlocutore a parecchie considerazioni. Non è la prima volta nella Storia che la Spagna è dilaniata da discordie interne. La situazione attuale si presenta in maniera tale che potrebbe prolungarsi quasi indefinitamente e ciò con danno non solamente della Spagna ma di tutta l'Europa. Poiché, per un complesso di circostanze, la guerra civile spagnola aveva finito con l'implicare più o meno direttamente anche l'Europa e ciò con pericolo per la pace generale, quello che ormai premeva all'Inghilterra era sopratutto di ridurre la guerra di Spagna ad un fatto unicamente spagnolo, permettendo così agli altri Paesi di raggiungere quella distensione di cui hanno tanto bisogno.

Richiesto in Inghilterra se la Germania avesse difficoltà al ritiro dei volontari dalla Spagna, von Blomberg ha dichiarato che da parte tedesca non ve ne era nessuna, avendo già il governo del Reich formalmente dichiarato che si impegnava ~per quanto sotto determinate condizioni~ a questo ritiro. Egli aggiungeva~ a me~che dopo tutto, dato che ormai la guerra sembrava avviarsi in Spagna verso uno stato di cronicità e senza possibilità di soluzioni immediate e sopratutto definitive, né dall'una né dall'altra parte, quello che importava sopratutto alla Germania era di essere garantita dal pericolo della instaurazione di un governo bolscevico ad occidente della Francia. Questo pericolo, diceva von Blomberg, è però ormai sorpassato, in quanto gli spagnoli di tutte le gradazioni e specialmente i rossi, hanno mostrato un tale spirito di indisciplina e di disunione da escludere che con essi possa essere mai edificato un regime comunista, questo richiedendo -al pari ed anzi più di uno Stato fascista-un massimo di disciplina e di dedizione popolare.

Il Maresciallo von Blomberg è stato a Londra richiesto se egli ritenesse che ancha l'Italia fosse sinceramente disposta al ritiro dei volontari. Egli ha risposto di non poter parlare a nome dell'Italia, la quale peraltro si era già espressa in materia in maniera assolutamente analoga alla Germania.

Concludendo su questo punto, il Maresciallo mi ha detto che ove effettivamente si potesse venire non ad una pacificazione della Spagna, ma allo sganciamento degli elementi europei dalla situazione spagnola, sarebbe facilissimo poter addivenire sia da parte della Germania sia da parte dell'Italia ad un chiarificazione e ad una intesa con l'Inghilterra.

Con l'accenno a questo trinomio Germania Italia Inghilterra-che rivela nel Maresciallo tutta una concezione ed una intima aspirazione -la nostra conversazione ha avuto termine. Stringendomi la mano, von Blomberg riprendendo l'idea espressa all'inizio del nostro colloquio, domandava ancora se egli avrebbe potuto parlare a S.E. il Capo del Governo in tutta libertà come egli parlava al Fuhrer. Ho assicurato von Blomberg che nessuno in Italia ama la verità più del nostro Duce e che quindi egli, parlandogli con sincerità e convinzione, avrebbe trovato in Lui il massimo della comprensione e dell'apprezzamento 1 .

662

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 3726/208 R. Roma, 30 maggio 1937, ore 23,35 (per. ore 8,30 del 31).

Bombardamento Deutschland2 qui considerato come di estrema gravità. Hitler, von Neurath, Goering che erano ... 3 hanno fatto immediatamente ritorno. Consiglio iniziatosi 6 pomeridiane è stato interrotto or ora per essere ripreso ore 11. Segretario di Stato mi avverte che non mancherà mettermi al corrente ogni eventuale decisione ma che difficilmente questa potrà avvenire prima di domani mattina. Ritelegraferò 4 .

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Il 29 maggio, la corazzata tedesca «Deutschland», impegnata nel sistema di controllo delle coste spagnole, aveva subito un attacco aereo mente era ancorata nella baia di Ibiza. Nell'equipaggio tedesco vi erano stati 23 morti (che ascesero nei giorni successivi a 31) ed una settantina di feriti.

3 Nota del documento: «leggasi assenti».

4 Vedi D. 663.

663

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 3739/209 R. Berlino, 31 maggio 1937, ore 13,10 1 .

Mio telegramma n. 208 2 . Von Neurath mi ha comunicato che Consiglio Gabinetto, presieduto da Hitler, ha preso seguenti decisioni: l) ritiro navi tedesche dal controllo marittimo internazionale; 2) ritiro rappresentante tedesco da Comitato controllo Londra sino a quando Comitato non avrà adottato a tale proposito condotta politica da impedire ripetersi incidenti simili; 3) quale misura di rappresaglia bombardamento da parte flotta tedesca di una piazzaforte rossa 3 .

Richiesto da me se avrebbe giovato alla Germania che anche Italia si fosse ritirata da Comitato controllo di Londra, von Neurath ha risposto (dopo averne discusso con Hitler) di no. Pregherei avvertire Londra in conformità 4 .

664

IL MINISTRO A PRAGA, DE F ACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3812/018 R. Praga, 31 maggio 1937 (per. il 3 giugno).

Krofta mi ha così precisata l'attuale fase dei rapporti fra la Piccola Intesa e l'Ungheria.

La Piccola Intesa ha riaffermato, in discussioni avute luogo a Ginevra 5 , la sua decisione di giungere ad un accordo con l'Ungheria per la questione del riarmo, al quale del resto l'opporsi sarebbe ormai inutile essendo il riarmo già in atto e inopportuno volendosi evitare frizioni che potrebbero derivare da risoluzioni unilatierali e comunque non concordate. La Piccola Intesa non pensa più, come aveva fatto finora, di porre all'Ungheria condizioni circa la misura e la forma del riarmo, lasciandola in ciò perfettamente libera di provvedere a suo modo. Chiede solo, più che altro per un significato morale, che si proceda fra l'Ungheria e gli Stati della Piccola Intesa, insieme o separatamente, ad un patto se non di non aggressione

I Manca l'indicazione dell'ora d'arrivo.

2 Vedi D. 662.

3 La rappresaglia era effettuata lo stesso 3 I maggio con il bombardamento del porto di Almeria da parte della corazzata Admiral Scheer e di due cacciatorpedinieri tedeschi.

4 Subito dopo, l'ambasciatore Attolico telegrafava: «Ragioni addotte da Neurath contro nostro ritiro Comitato Londra è che nostra permanenza colà potrà essere utile per facilitare ritorno delle cose normali. Intenzioni tedesche sono bensì di ottenere piena, intera soddisfazione ma allo stesso tempo evitare complicazioni suscettibili di portare a conflitti internazionali» (T. 3742/210 R. del 31 maggio).

5 Si veda in proposito il D. 645.

magari di contenuto e significato più vago, per es. di buona amlClZla, di buon vicinato o altro. Dal canto loro, gli Stati della Piccola Intesa dichiarerebbero decaduti i tribunali misti e le clausole relative alla smilitarizzazione della testa di ponte di Bratislava (art. 51 Trianon), lasciando impregiudicati i propri impegni relativi alle minoranze, contrariamente a quanto si pensava precedentemente, pel caso di misure di rappresaglia da adottarsi contro inattesi provvedimenti da parte dell'Ungheria.

Krofta mi ha poi riservatamente informato che a Ginevra vi sono state discussioni circa il modus procedendi. Dato che l'Ungheria non ritiene di dover chiedere a nessuno il permesso di riarmarsi e dato che d'altra parte la Piccola Intesa non può pregare l'Ungheria di procedere al riarmo, si era pensato in un primo momento alla possibilità di una mediazione. Dietro suggerimento di Riistii Aras se ne era fatta parola a Eden ma questi aveva declinato di prendere una tale iniziativa che «poteva essere interpretata non favorevolmente da parte dell'Italia». Dopo di che, esclusa l'idea di una mediazione, si è venuti nella determinazione di incaricare i rappresentanti della Cecoslovacchia, della Romania e della Jugoslavia a Budapest di far conoscere a Kanya il modo di vedere dei tre governi nel senso suindicato. Ove si giungesse ad un accordo del genere, questo non formerebbe oggetto di trattato ma, previa stipulazione dell'accennato patto di non aggressione o affine, sarebbe per il rimanente messo in esecuzione da una parte e dall'altra con provvedimenti presi unilateralmente ma d'intesa.

665

L'UFFICIO DI GABINETTO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 31 maggio 1937, ore 18,45.

S.E. Grandi ha telefonato da Londra che oggi alle ore 16,30 ha inviato la nota lettera al presidente del Comitato di controllo 1 e ne ha personalmente rimessa copia a Eden e Wallace. I tedeschi hanno fatto altrettanto.

Alle 17 si è riunito il sottocomitato, assenti i rappresentanti italiano e tedesco.

S.E. Grandi ha aggiunto che invia in proposito un telegramma in chiaro.

I La lettera era di questo tenore:

«Ho istruzione del mio Governo di fare la seguente dichiarazione: Nonostante ripetuti ammonimenti, gli aeroplani appartenenti alle autorità rosse di Valencia continuano ad attaccare navi italiane e tedesche che sono in acque spagnole per eseguire il compito ad esse affidato dal Comitato di non intervento, nell'interesse della pace europea. Di fronte a tali criminali aggressioni, il Governo italiano sospende la sua partecipazione al piano di controllo, così come alle discussioni del Comitato di non intervento, fino a che non abbia ricevuto tutte le garanzie contro il ripetersi di tali eventi». Come si deduce dal T. 3753/419 R. del 31 maggio (non pubblicato), le relative istruzioni erano state date da Ciano per telefono.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

LETTERA 1 . Roma .... 2 .

Per Sua informazione e per Sua norma di linguaggio nelle conversazioni che

V.E. potrà avere con codesto governo sulla questione della sicurezza del Belgio, espongo qui di seguito quanto a noi, fino a questo momento, risulta sull'atteggiamento della Francia, dell'Inghilterra e del Belgio.

Come per tutte le questioni che interessano la sicurezza dell'Europa Occidentale, è nostra intenzione precedere in pieno accordo con il governo del Reich e le informazioni che trasmetto a V.E. sono anche destinate a fornire elementi per l'esame della situazione e la determinazione della linea di condotta che a noi conviene di adottare.

Ormai tutte le notizie che da varie fonti ci è stato possibile raccogliere sull'azione che il governo britannico ed il governo francese si propongono di svolgere per la soluzione del problema della sicurezza del Belgio, tutte chiaramente rivelano l'intenzione della Francia e dell'Inghilterra di opporsi a che tale problema venga impostato nel quadro di un accordo collettivo tra le cinque Potenze. Un accordo collettivo è ritenuto dal governo britannico pregiudizievole agli interessi dell'Inghilterra per ragioni che non sembra difficile scorgere. Si preoccupano probabilmente gli inglesi che il Belgio, accettando una garanzia collettiva da parte dell'Italia, della Francia, della Germania e della Gran Bretagna, venga a trovarsi di fronte a ciascuno di questi quattro Paesi in una posizione identica, né abbia più la possibilità di contrarre con alcuno di essi accordi di natura particolare e stabilire vincoli più stretti di quelli che lo legherebbero agli altri tre. Identica dovrebbe essere la natura della garanzia che le quattro Potenze dovrebbero dare al Belgio, identiche le condizioni di applicazione, identica la interpretazione che degli impegni delle quattro Potenze dovrebbe essere data. La nuova posizione internazionale del Belgio dovrebbe venir regolata d'accordo tra le quattro Potenze e poiché tra queste ve ne sono due-la Germania e l'Italia -che hanno interesse a indebolire le obbligazioni che ha il Belgio in base al Patto della S.d.N., tale accordo non potrebbe farsi che sopra una interpretazione di tali obbligazioni di carattere più limitato quale è quello che tanto l'Inghilterra quanto la Francia intendono di evitare.

Fino dal primo annuncio della nuova posizione che il Belgio si preparava ad assumere, il governo britannico ha fatto a Bruxelles il possibile per impedire la partecipazione della Germania e dell'Italia alla garanzia del Belgio e per limitare questa garanzia all'Inghilterra e alla Francia. Era pensiero allora del Foreign Office

1 Questo documento fu preparato dalla Direzione degli Affari Generali forse per rispondere alla richiesta di istruzioni avanzata dall'ambasciatore Attolico con il T. per corriere 3599/038 R. del 26 maggio (non pubblicato), in cui, di fronte alle diverse soluzioni che venivano prospettate per la questione belga, sollecitava delle norme di linguaggio «anche per impedire che la Germania si avviasse per strade che potevano non rispondere completamente agli interessi dell'Italia».

2 Il documento è privo di data ma, per il suo contenuto, si colloca negli ultimi giorni di maggio.

che l'Inghilterra, impegnandosi a garantire la frontiera belgo-tedesca, non intedeva necessariamente di impegnarsi anche a garantire l'integrità del Belgio su le sue altre frontiere, o aderire a che l'integrità del Belgio fosse garantita da altre Potenze. La politica inglese è stata da allora diretta ad impedire ogni svolgimento della politica belga nel senso di una garanzia collettiva delle quattro Potenze o anche di una garanzia alle quale partecipassero anche la Germania e l'Italia. A questo scopo gli inglesi hanno lavorato a Bruxelles per dimostrare che la Germania e l'Italia non intendevano veramente assumersi un impegno serio e concreto di garanzia del Belgio, che nelle formule si nascondevano delle insidie e che il Belgio avrebbe trovato sempre e solamente la sua vera garanzia negli accordi con l'Inghilterra e con la Francia, e negli impegni che queste due Potenze hanno assunto con le loro note del 24 aprile 1•

Tali impegni hanno un carattere provvisorio, e valgono fino a quando non si giunge a un regolamento generale delle questione della sicurezza del Belgio. Basterebbe tuttavia all'Inghilterra impedire questo regolamento generale, perché tali accordi da provvisori diventassero in realtà definitivi; e tali sembra anzi che il Governo britannico già li consideri. Se le cose restassero come sono ora, Francia e Inghilterra non avrebbero dunque che a rafforzare lentamente gli impegni del 24 aprile, per riprendere il Belgio nel loro sistema. Quando poi il Belgio volesse completare -come è indubbiamente nelle sue intenzioni -il suo sistema di sicurezza e fermer le cercle come si dice a Bruxelles, questo completamento dovrebbe avvenire secondo gli inglesi per mezzo di accordi separati con le quattro Potenze e non di un accordo unico del quale l'Italia e la Germania facessero insieme parte e per la cui interpretazione e applicazione esse potessero svolgere un'azione concordata.

Questo poi è il vero scopo che si propone il governo britannico: quello di evitare un patto collettivo nella cui struttura interna l'Italia e la Germania possano esercitare la loro azione comune. Per separare l'Italia e la Germania, il governo britannico pensa dunque che bisogna sostituire al sistema di un Patto collettivo quello di patti separati, che potrebbero essere:

l) Un patto regionale di non aggressione del quale facessero parte la Francia, la Gran Bretagna e la Germania.

2) Quattro accordi separati di assistenza tra il Belgio da una parte, la Francia, la Germania, l'Inghilterra e l'Italia dall'altra.

In questo modo verrebbe scartata ogni soluzione congiuntiva del problema della garanzia, messa l'Italia in una posizione secondaria, eliminata la possibilità di una collaborazione italo-tedesca, con gravissimo danno sopratutto della Germania, la quale si verrebbe a trovare da sola legata in un sistema di garanzie con la Francia e l'Inghilterra e mentre la Francia e l'Inghilterra sono legate tra loro da un patto di mutua assistenza. Bisogna infatti tener presente che le note francese e britannica del 24 aprile non solo hanno fissato gli impegni dell'Inghilterra e della Francia verso il Belgio, ma hanno anche riconfermato gli impegni di mutua assistenza tra

l Vedi p. 635, nota 3.

Francia ed Inghilterra contratti il 19 marzo 1936 1• È dunque in un regime di virtuale alleanza franco-britannica che la Germania verrebbe a contrarre i suoi impegni di non aggressione e di assistenza al Belgio.

Ciò risulta ancora più evidente se si considera la posizione assunta dal governo britannico di fronte ai negoziati per la conclusione del Patto Occidentale di sicurezza che dovrebbe sostituire il Trattato di Locarno. Alla conclusione di un tale patto il governo britannico sembra oramai avverso. Non solo a Londra si considerano insuperabili le difficoltà che si oppongono a un accordo tra le cinque Potenze, ma si ritiene essere contrario agli interessi dell'Inghilterra e della Francia che a un tale patto si giunga. Quello che vorrebbe l'Inghilterra è piuttosto sviluppare e rafforzare i suoi accordi bilaterali: l'accordo anglo-francese del 19 marzo riconfermato nelle note del 24 aprile, e l'accordo anglo-belga definito in queste ultime note. Per sviluppare e rafforzare questi accordi il Foreign Office giudica necessario impedire la nuova Locarno, ed evitare un ritorno al regime dell'accordo collettivo, pur continuando intanto i negoziati per il Patto Occidentale, allo scopo di prestabilirsi degli alibi, che servano al governo britannico per dimostrare che se al nuovo patto di sicurezza occidentale non è possibile giungere, ciò si deve all'atteggiamento «scoraggiante» come ha detto Eden all'ambasciatore Grandi 2 -assunto dalla Germania e dall'Italia.

Eden ha rivelato del resto egli stesso il vero scopo della politica britannica quando ha fatto presente al governo belga che, con lo stesso sistema dei patti bilaterali con i quali egli vorrebbe risolvere il problema della sicurezza belga, potrebbe essere affrontato e risolto il problema della sicurezza francese. Ogni idea così di una ricostituzione del Trattato di Locarno verrebbe definitivamente scartata.

Sembra che il governo belga non sia disposto ad entrare in questo ordine di idee, e che esso resti invece fedele al concetto di un accordo collettivo, al quale partecipino tutte e quattro le grandi Potenze Occidentali. Non è chiaro tuttavia se il governo belga concepisca questo accordo collettivo come un patto allo stesso tempo di non aggressione e di garanzia, o semplicimente come un patto di non aggressione al quale si accompagnerebbero singole dichiarazioni di garanzia da parte delle Quattro Potenze.

Trascrivo qui in proposito le più recenti informazioni ricevute dalla Regia ambasciata a Bruxelles:

[segue il testo del D. 612.]

Gradirei di conoscere quali siano le informazioni e le impressioni che su questa situazione ha il governo del Reich, e su quali linee esso si proporrebbe di agire a Bruxelles. Noi, dopo la nostra nota del 12 marzo 3 e dopo le dichiarazioni da me fatte alla Camera dei Deputati il 13 corrente4 , non abbiamo avuto occasione di far

l Vedi p. 388, nota 4.

2 Vedi D. 553.

3 Vedi D. 268.

4 A proposito di una nuova Locarno, Ciano aveva dichiarato che l'Italia era pronta «a rinnovare l'accordo, a riassumere integralmente i vecchi impegni di garanzia, a condizione che la struttura originaria e determinatrice del Trattato di Locarno non venga sostanzialmente cambiata». Circa la nuova politica belga, si era poi richiamato alla nota italiana del 12 marzo per ribadire «la formale assicurazione al Belgio di essere pronti a garantire in qualsiasi circostanza, unitamente con la Francia, la Gran Bretagna e la Germania, la sua integrità, senza chiedere una garanzia reciproca».

conoscere al governo belga il nostro punto di vista. Ma, come ho già detto a V.E., noi riteniamo utile incoraggiare il governo belga nell'atteggiamento da esso assunto, e impedire che questo atteggiamento venga lentamente a modificarsi sotto le pressioni esercitate dall'Inghilterra e dalla Francia, che intanto sembra evidente abbiano adottato una tattica dilatoria, che dovrebbe permettere il consolidarsi del presente stato delle cose.

Resto, ad ogni modo, inteso che noi non prenderemo alcuna iniziativa e non svolgeremo alcuna azione che non sia di pieno accordo con il governo del Reich.

667

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 3773/212 R. Berlino, Jo giugno 1937, ore 13,27 (per. ore 15,45). Comunicazione telefonica 5 p.m. di ieri 1 .

Ho provveduto immediatamente far comunicazione ordinatami. Ma data assenza von Neurath e segretario di Stato, non ho potuto raccogliere reazioni se non la sera in occasione pranzo da me offerto a Blomberg ed a segretario di Stato Esteri. Reazioni furono ottime, dico ottime. Ho ragioni di ritenere che se il governo tedesco non ci aveva domandato di seguirlo, era soltanto perché ~avendo dovùto agire di propria iniziativa ~ non aveva creduto potercelo domandare. Nostro gesto è stato quindi apprezzato in pieno come del resto appare anche da contegno stampa 2 .

Giornata ieri ho avuto occasione avvicinare diplomatici europei a Berlino. Ad un primo momento di smarrimento ed ansia è subentrata una relativa serenità basata, da una parte, sul convincimento che la Germania non avrebbe continuato nelle sue azioni di rappresaglia, dall'altro sopra riconoscimento quasi generale del buon diritto delle nazioni offese. Lo stesso ambasciatore d'Inghilterra ~che mi fu gratissimo dell'occasione offertagli di intrattenersi lungamente con Blomberg ~si mostrava molto equanime e preoccupato soltanto e purtroppo delle solite «ripercussioni parlamentari» e del loro effetto sul proprio governo. Anche alcuni ministri della Piccola Intesa e dei Paesi del Nord davano prova di molta comprensione e di un relativo ottimismo.

Quanto governo tedesco, il quale considera provvedimenti presi come un minimun, dico minimun, di quel che nelle circostanze avrebbe potuto (e che in un primo momento voleva) fare, esso attende con calma gli sviluppi ulteriori situazione e,

l Di tale comunicazione non è stata trovata traccia scritta. Si trattava, evidentemente, dell'annuncio che il governo italiano, per solidarietà con la Germania, sospendeva la sua partecipazione al sistema di controllo e ai lavori del Comitato di non intervento (vedi D. 665).

2 L'ambasciatore Attolico riferiva il giorno successivo di aver saputo della «vivissima soddisfazione» di Hitler per la solidarietà senza riserve avuta dall'Italia, mentre la stampa tedesca continuava a mettere in risalto l'appoggio dato nella circostanza dal governo italiano (T. 3793/213 R. del 2 giugno).

pur cercando non urtare gli altri (specialmente Inghilterra), continua sostenere le sue ragioni con la massima energia. Informazioni finora pervenute circa reazione Paesi esteri (compresi Stati Uniti) sono in complesso soddisfacenti.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH

T. 1003/182 R. Roma, 1° giugno 1937, ore 23.

Con telegrammi a parte, le invio testo delle dichiarazioni che mi sono state fatte ieri da questo ambasciatore degli" Stati Uniti 1 , e i punti salienti dell'articolo Chiarimenti pubblicato dal Popolo d'Italia 2 .

Da questo articolo V.E. potrà rilevare quale sia la interpretazione che si deve dare all'intervista del Duce, e V.E. vorrà valersene nella maniera che crederà più opportuna. Non è tuttavia il caso di fare alcun passo. Non vogliamo apparire come ansiosi di sollecitare una iniziativa da parte degli Stati Uniti, pur restando inteso che ove il Presidente prendesse una tale iniziativa, la nostra adesione sarebbe assicurata. V.E. potrà aggiungere che ho gradito le dichiarazioni che mi sono state fatte da questo ambasciatore degli Stati Uniti sull'argomento. Quanto ad un eventuale incontro tra il Duce e il Presidente Roosevelt, non (dico non) ritengo opportuno che V.E. ne faccia alcun cenno.

669

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH

T. 1005/184 R. Roma, 1° giugno 1937, ore 22.

Questo ambasciatore degli Stati Uniti è venuto 3 ad esprimermi la viva soddisfazione del suo governo per il contenuto dell'intervista concessa dal Duce al giornalista Simms 4 . In tale occasione, egli mi ha anche rimesso le dichiarazioni di cui trascrivo, in traduzione, il testo all'E. V.:

I Vedi D. 669. .

2 Nell'articolo, pubblicato il 30 maggio, Mussolini chiariva che nell'intervista al giornalista Simms (vedi p. 831, nota l) non aveva invitato il Presidente Roosevelt a farsi promotore di una conferenza internazionale su gli armamenti ma si era limitato a dichiarare che un'iniziativa del genere avrebbe potuto avere successo e che in ogni modo l'adesione dell'Italia sarebbe stata assicurata. L'articolo precisava che non si trattava di «disarmare» e nemmeno di ridurre gli armamenti «attuali o in corso» ma di vedere se era possibile limitare i programmi dei futuri armamenti nella qualità e nella quantità.

3 Il 30 maggio.

4 Vedi p. 831, nota l.

«Il facente funzioni di segretario di Stato, in una conversazione con l'ambasciatore d'Italia a Washington 1 ha dichiarato che considerava le espressioni del Duce nella sua intervista con Simms oltremodo importanti ed incoraggianti e che il governo americano stava rivolgendo alla questione tutta la sua attenzione. Il signor Welles ha altresì informato l'ambasciatore che il governo degli Stati Uniti era molto lieto di constatare che eminenti uomini di Stato di Europa, in numero sempre maggiore, stavano pronunciandosi a favore di programmi di scambio commerciale più liberali.

Il Dipartimento di Stato di Washington ha preso posizione in maniera favorevole e cordiale nei riguardi della speranza espressa da S.E. Mussolini per un riesame del programma della limitazione degli armamenti e della ripresa di una normale e sana produzione economica. Il Dipartimento di Stato considera deplorevole che alcuni dispacci da Washington, pubblicati dopo l'intervista di Simms, sembra abbiano dato l'impressione che il governo americano non sia incline alle proposte contenute nella detta intervista e desidera invece di mettere in chiaro che tale impressione è erronea».

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IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3782/135 R. Lisbona, ]0 giugno 1937, ore 22,10 (per. ore 0,30 del 2).

Mi riferisco al mio telegramma n. 131 in data 31 maggio2•

Segretario generale del ministero degli Affari Esteri mi ha convocato per comunicarmi istruzioni oggi inviate ad ambasciatore Portogallo in Londra per dichiarazioni da fare al Comitato non intervento. Dichiarazioni sono del seguente tenore: Avendo governi italiano e germanico ritirato navi adibite controllo internazionale, governo portoghese ritiene che equilibrio del controllo venga a trovarsi rotto in favore di una delle parti in conflitto. E pertanto, mentre protesta contro bombardamento navi adibite controllo internazionale, riserva propria attitudine, sia nei riguardi controllori marittimi che trovansi Portogallo, che nei riguardi facilitazioni accordate agli osservatori britannici per frontiera spagnola. Ambasciatore Portogallo Londra ha istruzioni non abbandonare Comitato non intervento sino a che governo portoghese non riterrà che sua partecipazione sia diventata inutile. Testo dichiarazione sarà reso pubblico non appena possibile 3 . Analoga comunicazione è stata fatta a questo ministro di Germania.

l Vedi p. 851, nota 2 e D. 656.

2 T. 37621131 R. del 31 maggio. Riferiva che, secondo il segretario generale del ministero degli Esteri portoghese, Sampayo, gli attacchi alle navi tedesche e italiane erano stati ispirati dall'Unione Sovietica con l'intento di far sciogliere il Comitato di non intervento e di avere così mano libera nell'invio di aiuti al governo di Valencia.

3 Il testo della nota portoghese è in DP, vol. IV, D. 1035.

Segretario generale mi ha precisato che governo Portogallo non è affatto sicuro che Comitato Londra voglia o possa dare garanzie adeguate e teme che in ogni caso si arrivi con ritardo pregiudizievole e pericoloso. Ha aggiunto che governo portoghese è preoccupato di trovarsi solo a difendere punti di vista finora sostenuti in comune. Lo farà, ma deve anche prevedersi di poter riformare Comitato.

Infine, segretario generale mi ha detto molto confidenzialmente che egli è perfettamente convinto che controllo di fatto su coste orientali non sarà ora meno efficace, ma che governo portoghese ha tenuto a difendere come poteva anche lato giuridico situazione, sulla linea cui si è sempre attenuto riguardo questione spagnola. Nel suo concetto, infine, le riserve circa osservatori e controllori nel proprio territorio sono anche un gesto «solidarietà» che rafforza protesta contro bombardamento navi italiane e tedesche 1 .

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3861/012 R. Bucarest, ]0 giugno 1937 (per. il 4).

Da fonte fiduciaria «assolutamente sicura» apprendo che il ministro degli Esteri polacco ha riportato da Londra 2 l'impressione che i circoli governativi britannici sono costernati per la situazione politica in Francia. Il signor Beck interpreta la costante cura del governo britannico di mostrare identità di vedute e comunità d'azione col governo di Parigi come uno dei mezzi più efficaci a sua disposizione per sostenere moralmente la Francia e tentare così di evitare un collasso le cui conseguenze sarebbero per la stessa politica britannica molto gravi.

Analoghe preoccupazioni circa la situazione della Francia il signor Beck ha riportate dai suoi contatti con gli uomini politici belgi 3, profondamente rattristati e preoccupati della crescente debolezza francese. Il signor van Zeeland avrebbe fra l'altro fatto osservare al signor Beck essere all'estero impressione generale che il Belgio abbia dovuto riprendere una stretta neutralità di fronte al problema del Reno sopra tutto per la pressione esercitata dai fiamminghi: ciò, secondo il signor van Zeeland è inesatto: perché anche i vallo n i, che per razza, lingua e tradizione si sentono più vicini alla Francia, hanno compreso l'assoluta necessità per il Belgio di non confondere, in modo automatico, i propri destini con quelli della Francia. Per quanto concerne l'Inghilterra il signor Beck pensa che essa pur continuando nell'attuale direttiva intesa a dare alla Francia «l'ossigeno» di una solidarietà erga

1 Ciano così rispondeva: «Ella può far sapere codesto Ministero che apprezziamo atteggiamento Portogallo; che ci rendiamo conto particolarità e delicatezza sua posizione e che, per quanto ci riguarda, concordiamo su opportunità che rappresentante Portogallo continui partecipare almeno fino a nuove situazioni Comitato non intervento>> (T. 1010/69 R. del 3 giugno).

2 Vedi p. 856, nota 3.

3 Nel suo viaggio di ritorno, Beck si era fermato il 22 maggio a Bruxelles, diretto a Ginevra.

omnes manovrerà tuttavia in modo da potersi riavv1cmare alla Germania, se la situazione interna francese continuasse a peggiorare.

Per quanto riguarda il problema abissino il signor Beck, a Londra, ha apertamente e lealmente esposto a Eden l'atteggiamento che la Polonia intendeva prendere a Ginevra. Il signor Eden si è reso conto di tale linea di condotta e non ha avanzato e tanto meno opposto riserve. È anzi impressione del signor Beck che il ministro degli Esteri britannico non abbia in cuor suo disapprovato l'atteggiamento della Polonia che potrebbe riuscire utile il giorno in cui l'Inghilterra credesse poter aderire alla definitiva soluzione del problema.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1022/505. Ankara, ]o giugno 1937 (per. il 9 ).

Con mie precedenti comunicazioni ho informato l'E.V. delle visite di Aras a Bucarest e di Ismet a Londra e ad Atene 1 , nonché della crescente preoccupazione di questi dirigenti per gli sviluppi del riavvicinamento bulgaro-jugoslavo, nei suoi riflessi sulla Tracia, e del riavvicinamento itala-jugoslavo, con tutte le sue inevitabili ripercussioni nei Balcani e nel Mediterraneo Orientale. Poco o nulla si è saputo più di quanto già riferito all'E.V. poiché Ismet non ha ancora conferito con alcuno dei miei colleghi e non ha tuttora fatto le attese pubbliche dichiarazioni. Come ebbi già a riferire all'E.V. con mio rapporto n. 898/436 del 15 maggio2 , occorrerà aUendere il ritorno di Aras da Ginevra per comprendere se e quali modificazioni siansi verificate.

I numerosi commenti stampa di queste due ultime settimane sono molto chiari ed unanimi nell'esaltare i benefici della politica societaria, la solidità dei legami che uniscono l'Intesa Balcanica, gli sviluppi dell'amicizia fra Turchia ed Inghilterra, con accenni alla situazione nel Mediterraneo, al gentlemen 's agreement ed ai principì che lo avevano ispirato. Specie la République, che riflette notoriamente le idee di questi circoli dirigenti, ha pubblicato una serie di articoli di fondo sull'importanza dei contatti avuti dai dirigenti turchi agli effetti della stabilità politica nei Balcani, nel Mediterraneo ed in Europa. Un particolare accenno è stato dedicato alla Jugoslavia con queste significative parole: «Les derniers développements de la politique yougoslave dans les domaines entièrement connus de nous avaient donné lieu à certaines interprétations erronées dans quelques Pays d'Europe. Il faut que ces fausses interprétations soient écartées».

l L'ambasciatore Galli aveva riferito con T. per corriere 3787/018 R. del 26 maggio che, sia Aras nel suo viaggio a Bucarest il 16-17, sia Ismet Ini:inii nella sua visita a Londra il 25-26 successivi, avevano soprattutto cercato di ottenere un appoggio alle tesi turche nella questione di Alessandretta ma, mentre Antonescu aveva dato affidamenti precisi nel senso desiderato, Eden si era limitato ad assicurazioni generiche.

2 Vedi D. 559.

D'altro canto, il comunicato della visita a Bucarest (mio telespresso n. 919/453 del 20 maggio) 1 e lo scambio di messaggi fra il Ghazi ed il signor Metaxas (mio telegramma n. 130 del 27 maggio)2 hanno confermato le mie supposizioni sull'azione turca tendente, in linea principale, a mantenere nei Balcani il preesistente equilibrio profondamente scosso, ed arrestare il rafforzamento di legami italo-balcanici, e, in linea subordinata, a predisporre opportuni elementi di difesa rafforzando i vincoli con la Grecia da una parte e con la Romania dall'altra per parare agli sviluppi di una politica autonoma jugoslava e ad un ritorno offensivo dell'irredentismo bulgaro.

Col viaggio di Aras a Bucarest e con l'andata di Ismet ad Atene passando per Belgrado si è voluto infatti ristabilire, in un certo senso, l'unità ideale dell'I.B., frenando al tempo stesso la tendenza romena a riavvicinarsi all'Italia e ricordando alla Grecia la necessità di una comune difesa contro gli stessi pericoli che minacciano contemporaneamente e nella stessa misura i due Paesi alleati. A quest'ultimo proposito mi sembra opportuno riepilogare ed inquadrare gli ultimi avvenimenti, sui quali ho già distintamente riferito all'E.V., integrandoli con qualche nuovo elemento che è risultato dalle mie conversazioni di questi ultimi giorni.

Con mio telespresso n. 900/438 del 17 maggio\ ho avuto occasione di riferire all'E.V. sulle ragioni che avevano indotto questo governo ad effettuare in Tracia le manovre militari della prossima estate: preoccupazioni, cioè, di carattere generico, derivanti dal recente patto di amicizia bulgaro-jugoslavo, e fatti specifici quali il trasferimento di parte delle guarnigioni bulgare dalla frontiera verso la Jugoslavia meridionale a quella verso la Tracia, nonché la rivista militare avvenuta a Plovdiv il 6 maggio, in occasione della quale il reparto motociclisti sfilò recando cartelli con i nomi delle città della Tracia turca e greca (mio telespresso n. 969/477 del 26 maggio)4 . Quest'ultima circostanza è stata causa immediata e diretta dello scambio di messaggi fra il Gazhi e Metaxas (di cui a mio telegramma n. 130 del 27 maggio). Ne trasmetto qui unito il testo a titolo documentario, pur immaginando che V.E. ne avrà indubbiamente avuto comunicazione anche dalla R. Legazione in Atene.

La diffidenza di questi circoli politici nei riguardi del nuovo indirizzo politico di Belgrado, che era stata accuratamente dissimulata, comincia ad apparire attraverso non dubbi segni. Mi risulta infatti che questo governo ebbe a suo tempo ad esprimere il desiderio che alle manovre in Tracia assistessero i capi di Stato Maggiore degli Stati dell'Intesa Balcanica. La Jugoslavia avrebbe declinato l'invito pretestando impegni precedentemente assunti dal proprio capo di Stato Maggiore e facendo presente la circostanza che una riunione dei predetti Capi era già stata in linea di massima fissata per la fine del corrente anno ad Ankara. Questa risposta avrebbe fatto sorgere qui il sospetto che Belgrado avesse voluto evitare di sanzionare, con la presenza del più alto esponente del proprio esercito, una manifestazione a carattere chiaramente antibulgaro. Donde il successivo incarico affidato a Stoja

l Non pubblicato.

2 T. 3631/130 R. del 27 maggio. Si riferiva ai messaggi telefonici scambiati tra Metaxas e Atatiirk in conseguenza della manifestazione irredentista avvenuta il 6 maggio alla rivista militare bulgara di Filippopoli (vedi D. 647). L'ambasciatore Galli attirava l'attenzione sul tono «estremamente caldo» di quei messaggi e su le aperte minacce alla Bulgaria che essi contenevano, osservando che la forte reazione greco-turca era dovuta soprattutto all'impulso di Atatiirk.

3 Non pubblicato.

4 Non pubblicato. Si veda in proposito p. 846, nota 5.

876 dinovic (all'evidente scopo di provarne l'onestà politica ed in caso per metterlo in imbarazzo) di far un passo a Sofia a nome dell'Intesa Balcanica (mio citato telegramma n. 130). Sarà interessante controllare, attraverso le informazioni che perverranno da Belgrado e Sofia, quali saranno stati effettivamente il contenuto e la forma del passo fatto presso il governo bulgaro nonché le impressioni di Stojadinovic. Altrettanto e forse maggiore interesse presenteranno le notizie provenienti dalle RR. Legazioni interessate e che varranno ad indicare quale valore sia da attribuire agli indizi che lasciano presupporre l'esistenza di contatti militari turco-greco-rumeni all'infuori della Jugoslavia (mio telegramma per corriere n. 020 del 29 maggio) 1• Al riguardo questo ministro di Jugoslavia mi diceva iersera che probabilmente della riunione militare dell'aprile scorso a Bucarest2 ne era stato fatto cenno al proprio governo e che gli sembrava ricordarsi che il rappresentante jugoslavo era stato impossibilitato a parteciparvi. Ma anche in questo caso è sintomatico che l'incontro abbia avuto ugualmente luogo nonostante l'assenza del delegato indubbiamente più importante 3 .

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3806/424 R. Londra, 2 giugno 1937, ore 20,02 (per. ore 6,30 del 3). Seguito a mio telegramma n. 419. 4

Fin dalle prime ore del mattino Eden mi ha fatto telefonare che egli desiderava vedermi per esaminare insieme situazione determinatasi nel Comitato dall'attacco aereo rossi contro corazzata tedesca Deutschland, dal conseguente bombardamento della flotta tedesca contro Almeria, e dal ritiro della Germania dal controllo e dal Comitato.

Ho risposto ad Eden che io ero naturalmente a sua disposizione ma che desideravo, prima di andare da lui, richiedere istruzioni a V.E. Mi sono infatti recato subito dopo che V.E. mi ha telefonato direttive da seguire.

Eden ha cominciato col dirmi di essere preoccupato dell'improvvisa crisi delle quale non si nascondeva gravità. Eden ha continuato dicendo che contava assai sulla collaborazione dell'Italia nella seduta del Sottocomitato per trovare una via di uscita rapida e pronta dal grave incidente. Eden ha aggiunto che la calma e la

I T. per corriere 3995/020 R. del 29 maggio: il suo argomento è qui indicato.

2 Si riferisce ad una riunione di militari che si era svolta a Bucarest «intorno al 12 aprile» con la partecipazione dei sottocapi di Stato Maggiore greco e turco, e che, secondo le notizie precedenti (T. per corriere 3995/020 R. del 29 maggio) era avvenuta all'insaputa del governo jugoslavo.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

4 T. 3753/419 R. del 31 maggio. Riferiva sui primi contatti con l'ambasciata tedesca dopo la notizia del bombardamento della «Deutschland» e sulla comunicazione al Comitato di non intervento di cui al D. 665.

moderazione dimostrata dal governo fascista in occasione dei tragici avvenimenti di Palma della settimana scorsa 1 , attitudine che il pubblico britannico aveva tanto apprezzato, gli dava speranza che l'Italia avrebbe fatto e svolto in seno Comitato opera preziosa di conciliazione.

Ho risposto a Eden che avevo ricevuto istruzioni comunicargli che il governo fascista era solidale fino in fondo col governo tedesco e pertanto Italia sospendeva sua partecipazione al Comitato e al controllo marittimo e che una comunicazione ufficiale sostanzialmente identica a quella inviata dall'ambasciatore di Germania era stata già inviata da me al Presidente del Comitato, Wallace 2•

Eden ha accolto la mia comunicazione con sorpresa e rincrescimento palese. Egli mi ha detto essere molto dolente che la collaborazione italiana venisse a mancare in questo momento estremamente delicato ed ha assicurato che egli avrebbe fatto del suo meglio per assicurare condizioni necessarie per il ritorno della Germania e dell'Italia parimenti indispensabili per il funzionamento dell'accordo di non intervento. Eden ha aggiunto inoltre che il consigliere tedesco Woermann si era recato da lui poco prima per chiarire che la comunicazione tedesca non (dico non) doveva intendersi nel senso che Germania si ritirava dall'accordo di non intervento, ma solo che sospendeva sua partecipazione alle sedute del Comitato ed alle operazioni di controllo marittimo. Eden mi domandava in relazione a ciò se egli doveva considerare atteggiamento dell'Italia in modo, analogo.

Ho risposto ad Eden che non avevo particolari istruzioni su questo punto ma che, salvo comunicazioni diverse da parte nostra, egli poteva interpretare attitudine italiana come perfettamente uguale tedesca.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3808/426 R. Londra, 2 giugno 1937, ore 20 (per. ore 6,35 del 3). Seguito mio telegramma n. 425. 3

Ribbentrop ed io abbiamo esaminato situazione in relazione discussione che ha avuto luogo lunedì sera nel Comitato, assenti i rappresentanti italiano e tedesco (mio telegramma n. 440). 4

1 Il 26 maggio, l'aviazione del governo di Valencia aveva bombardato il porto di Palma di Mallorca provocando sei morti a bordo della nave ausiliaria italiana Barletta. Il governo italiano si era limitato a protestare in sede di Comitato di non intervento.

2 Vedi p. 867, nota l.

3 T. 3807/425 R. del 2 giugno. Riferiva di avere avuto un colloquio con von Ribbentrop che il giorno prima si era incontrato con Eden per esaminare la situazione conseguente al bombardamento della Deutschland. Il colloquio, secondo l'ambasciatore tedesco, aveva avuto carattere generico perchè a von Ribbentrop non erano ancora giunte le istruzioni da Berlino.

4 Nota del documento «riferimento errato, trattasi del 421 ». Per il quale si veda p. 883, nota l.

Ribbentrop mi ha chiesto se avevo ulteriori istruzioni di V.E. Gli ho risposto che istruzioni datemi lunedì da V.E. erano di appoggiare fino in fondo azione tedesca. Ho aggiunto che condividevo pienamente quanto egli aveva detto a Eden e cioé che il Comitato si è trasformato, sopratutto dalla metà marzo a questa parte, in un vero e proprio organo di propaganda a favore rossi. Non ho potuto tuttavia trattenermi dall'osservare che se ciò è accaduto, ciò è stato dovuto in gran parte alla convinzione che il governo inglese ha dovuto ultimamente formarsi circa una supposta modificazione delle direttive tedesche nei riguardi Spagna. Non vi è dubbio -ho detto a Ribbentrop -che inglesi, russi e francesi hanno tratto incoraggiamento alla loro propaganda, nel Comitato e fuori del Comitato, dalla speranza che la solidarietà fra Roma e Berlino di fronte guerra civile Spagna potesse essere in qualche modo alterata. I tragici fatti di Palma e di Ibiza sono giunti in tempo opportuno a dimostrare che l'asse Roma-Berlino è più saldo e funzionante che mai ed è certo che la visita Blomberg a Roma contribuirà a dimostrare ancora più agli inglesi francesi e russi quanto infondate erano le illazioni che avevano tratto e le illusioni che si erano fatte dopo la visita Blomberg a Londra.

Ribbentrop senza rispondermi direttamente su questi punti, ha ripetuto più volte con enfasi che egli considera l'asse Roma-Berlino come uno dei pilastri maestri della politica tedesca e che pronta ed incondizionata solidarietà dimostrata dall'Italia fascista in questa occasione è stata grandemt;nte apprezzata in Germania e costituisce nuova conferma della necessità di una politica comune.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AL COMANDANTE DEL C.T.V. IN SPAGNA, BASTICO

T. UFF. SPAGNA 1290. Roma, 2 giugno 1937.

Faccia sapere a Franco che da fonte assolutamente sicura risulta un profondo contrasto nell'apprezzamento della situazione basca tra il governo di Euzkadi e quello di Valencia. Quest'ultimo, dietro suggerimento di consiglieri sovietici, insiste per trasportare a Santander deposito benzina, marina da guerra, quella mercantile e tutte industrie basche. Governo di Euzkadi avverte che attuazione di un piano di tal genere provocherebbe immediato collasso.

D'altro canto, nella flotta militare accentrata Bilbao indisciplina delle ciurme è trascesa in atti di minaccia armata contro ufficiali e atti di sabotaggio. Sono tutti sintomi di una situazione disperata che va messa nel massimo rilievo.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PlGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE 3799/37 R. Roma, 2 giugno 1937 (per. stesso giorno).

Precedente corrispondenza e da ultimo mio telespresso dell'8 marzo scorso,

n. 660/206 1•

Il cardinale segretario di Stato mi ha detto stamane che il noto conte de Sibour ha fatto sapere che il signor Tafari sarebbe disposto a riprendere la conversazione con la Segreteria di Stato, rimasta in sospeso la primavera scorsa. Il porporato mi ha domandato che cosa deve fare sapere a Londra.

Ho risposto che Tafari è un imbroglione. Mentre faceva proposte al Vaticano per mezzo del conte de Sibour, incoraggiava la rivolta in Etiopia e faceva preparare anche attentati. Non essere il caso di riaprire una conversazione, senza scopo, con gente sleale che abusava della bontà della Santa Sede.

Il cardinale ha insistito, osservando che un'abdicazione poteva forse convenire ancora al governo italiano e mi ha domandato se le proposte già accettate dal R. Governo come base per un ulteriore esame della questione (mio telegramma per corriere segreto dell'Il gennaio us. n. 4) 2 , potevano essere mantenute ferme ancora per ulteriori trattative.

Ho risposto testualmente di supporre che il R. Governo non avesse mutato opinione. Però, davanti a una precisa domanda, mi riservavo di domandare istruzioni e di fargli una comunicazione fra qualche giorno.

Resto in attesa degli ordini della E.V. 3 .

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3797/39 R. Roma, 2 giugno 1937 (per. stesso giorno, ore 19,30).

Il cardinale Pacelli mi ha detto che i rapporti fra la Santa Sede e il Reich, vanno molto male.

I Vedi D. 256. 2 Vedi D. 44. 3 Per la risposta si veda il D. 695.

Dopo il noto discorso del cardinale Mundelein 1 , arcivescovo di Chicago, l'ambasciatore di Germania presso la Santa Sede era stato incaricato di chiedere al cardinale segretario di Stato una sconfessione pubblica del porporato americano.

Il cardinale Pacelli aveva risposto che, per pronunciarsi, doveva attendere il testo del discorso e sapere se il governo del Reich intendesse di mettere un termine agl'insulti e alle offese che i giornali e anche personaggi ufficiali della Germania, scagliavano giornalmente contro i cattolici, i dignitari della Chiesa cattolica e lo stesso Pontefice. A questo primo passo è seguita ora, una nota nella quale il governo del Reich constata che la Santa Sede, con il suo atteggiamento, ha soppresso la premessa per un assetto normale fra il governo tedesco e la Curia romana 2 .

Il segretario di Stato ha aggiunto che il Papa attende con calma gli eventi. Non farà nulla per precipitare le cose. La notizia corsa negli ambienti diplomatici vaticani, del ritiro del nunzio a Berlino è infondata. La Santa Sede non prenderà l'iniziativa di una rottura, per quanto non la paventi. Al punto in cui sono le cose, ho l'impressione che la rottura sia considerata come un male relativo che non può peggiorare di molto una situazione ormai insostenibile. Ripeto, però, che la Santa Sede non intende, almeno per ora, prendere l'iniziativa della rottura.

678

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3796/40 R. Roma, 2 giugno 1937 (per. ore 19,30 dello stesso giorno).

Mio telegramma per corriere n. 35 del 28 maggio u.s. 3 .

Il cardinale segretario di Stato mi ha confermato le dichiarazioni fattemi da mons. Pizzardo. La Santa Sede non pensa a una mediazione fra i governi di Burgos e Valencia.

Ho detto al cardinale che se la Santa Sede desidera, come non dubito, risparmiare vite umane, essa deve influire fortemente sul governo basco perché rinunci a una lotta divenuta ormai senza scopo. Ho soggiunto che bisogna togliere ai baschi ogni illusione di patteggiamenti. Essi potranno dirsi contenti di salvare la vita.

Il cardinale Pacelli mi ha risposto che pensa seriamente a riprendere, con i baschi, l'azione non riuscita in passato. Non si servirà del vescovo di Vitoria, presentemente a Roma, perché inviso alle due parti in lotta. Ha una persona adatta.

1 Il cardinale Mundelein. aveva affermato, parlando nel palazzo dell'arcivescovado di Chicago davanti a 500 sacerdoti, che gli attacchi alla Chiesa cattolica in Germania erano condotti da una propaganda truffaldina agli ordini di un ministro disonesto ed aveva espresso la sua meraviglia nel vedere che un popolo intelligente di 65 milioni come quello tedesco era sottoposto ad un attacchino di carte da parati austriaco, per di più mediocre.

2 Per il testo della nota si veda DDT, serie D, vol. I, D. 658.

3 Vedi D. 653.

Il cardinale non mi ha detto di più. Ho cercato di sapere se il suo inviato si recherà sul posto. Il porporato si è schermito dal rispondere a questa e altre domande che gli ho fatte. Spero di procurarmi notizie più complete da altra fonte. Le riferirò, eventualmente.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3821/0161 R. Roma, 2 giugno 1937 (per. il 3).

Ho riferito a V.E. con telegramma-filo quanto potei apprendere da fonte sicura circa i risultati economici dei colloqui avuti a Parigi dal ministro Schacht 1•

Léger mi ha detto ieri che il suo soggiorno si è svolto in una atmosfera di moderazione e pertanto favorevole. Schacht aveva bensì creduto nel suo discorso inaugurale del padiglione del Reich di menzionare la necessità per il Paese di riavere le colonie, ma aveva pure potuto rendersi conto che l'effetto prodotto dalle sue frasi era stato tutt'altro che felice sull'opinione pubblica in Francia ed Inghilterra. Aveva pertanto omesso dal toccare nelle sue conversazioni con uomini di Stato francesi simile argomento ed era anzi un fatto concreto, e degno pertanto di nota, che il Dr. Schacht aveva lasciato Parigi senza avere, durante le trattative per regolare varie questioni economiche e finanziarie, pronunciato la parola «colonie».

Léger mi ha detto ancora che Schacht aveva dato l'impressione alle persone con cui aveva parlato che la Germania desiderasse vivere in pace con tutti e intendersi con i suoi vicini. Tale atteggiamento non aveva sorpreso perché è stato assunto dalla Germania da qualche mese a questa parte. Sempre secondo le parole di Léger, Hitler aveva creduto fermamente, nel giugno scorso, che la Francia si trovasse all'orlo del precipizio comunista e che sarebbe bastato una piccola spinta per buttarvela in pieno. Il Fiihrer aveva inoltre creduto che i dissensi sorti fra Parigi e Londra durante il conflitto etiopico si sarebbero approfonditi e vi aveva speculato sopra.

I fatti avevano invece provato che la Francia non intende affatto ammettere che il suo territorio diventi una palestra per degli esperimenti bolscevichi. Inoltre, i comuni interessi e l'identica ideologia liberale avevano permesso ai Gabinetti di Parigi e Londra di costituire fra di loro vincoli di una saldezza tale da togliere a chicchessia qualsiasi velleità di seminare zizzania tra la Francia e l'Inghilterra. Ciò spiegava, quindi, il mutamento di atteggiamento della Germania, anche se si voleva prescindere da una terza considerazione che aveva peraltro pure una grandissima importanza: quella cioè che essa non è ancora pronta militarmente e che, in Spagna, ebbe occasione di constatare come taluni armamenti sui quali aveva creduto di fare sicuro affidamento non erano per nulla perfetti.

l Il ministro Schacht si era recato il 25 maggio a Parigi dove era restato fino al 31 del mese per inaugurare il padiglione della Germania all'Esposizione e per negoziare un nuovo trattato commerciale franco-tedesco. Sui risultati delle trattative economiche l'ambasciatore Cerruti aveva riferito con T. 3756/267 R. del 31 maggio, non pubblicato.

680.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE PER CORRIERE 3824/0166 R. Londra, 2 giugno 1937 (per. ore 19 del 3).

A seguito miei telegrammi Ti comunico impressioni sulla situazione delle ultime 48 ore.

Notizia, giunta quasi contemporaneamente, dell'attacco dei rossi contro corazzata tedesca Deutschland e del bombardamento di Almeria da parte flotta tedesca, ha prodotto, come è facile immaginarsi, un'impressione profonda. Susseguente notizia che Germania e Italia si ritirano dal Comitato e sospendevano partecipazione operazione controllo marittimo, ha reso impressione ancora più forte.

Come Tu hai visto dal mio telegramma n. 421 1 , seduta Comitato di lunedì pomeriggio, senza partecipazione dei rappresentanti dell'Italia e della Germania, si è limitata a uno scambio di dichiarazioni inconclusive. Il rappresentante portoghese si è battuto come sempre con coraggio dichiarandosi solidale con la Germania e con l'Italia. Il rappresentante francese è stato, come al solito, acido e subdolo. Rappresentante sovietico ha tentato addirittura di trascinare Comitato a pronunciamento contro Germania e Italia. Rappresentante inglese ha reagito contro tentativo sovietico riportando un certo equilibrio nella discussione dopo di che ha in fretta chiuso seduta aggiornando comitato sine die.

Nell'intera giornata di avant'ieri, lunedì, disorientamento alla Camera dei Comuni e nella stampa è stato evidente. Tale disorientamento, più che dai pericoli di possibili complicazioni internazionali, è stato palesemente determinato dal timore che vigorosa azione di rappresaglia tedesca potesse improvvisamente disseccare il «delicato fiore» appena sbocciato del ravvicinamento con la Germania nazista; ravvicinamento in gran parte coltivato all'ombra dall'attrito itala-britannico e nell'illusione di spezzare sul terreno della questione spagnuola, l'intesa tra Roma e Berlino. La solidarietà pronta ed assoluta manifestatasi fra Italia e Germania in seguito ai tragici eventi di Palma e di lbiza ha dissipato a un tratto una buona parte di queste illusioni britanniche.

Durante intere giornate di avant'ieri e ieri governo inglese ha fatto di tutto per calmare le apprensioni del pubblico. Da parte loro, antifascisti inglesi hanno sudato sette camicie per non guastare con il minimo di critiche d'obbligo sul bombardamento Almeria, il quadro presentato nelle ultime settimane al pubblico britannico di una Germania conciliante e ansiosa di ritirarsi dalla Spagna. Ti raccomando a tale proposito editoriale di ieri degli antifascisti Times, Star, News Chronicle. Tale atteggiamento, sia da parte del governo, sia da parte antifascisti, è ancora più marcatamente visibile nella giornata di oggi. Foreign Office ha fatto dare al colloquio di ieri fra Eden e Ribbentrop un risalto sproporzionato rappresentando pretese dichiarazioni Ribbentrop come volenteroso contributo tedesco ad

I T. 3777/421 R. del l o giugno. Il suo contenuto è qui indicato.

883 una rapida liquidazione dell'incidente. Sintomatici a tale riguardo sono anche spazio ed importanza che vengono dati stamane in tutti i giornali a corrispondenza da Berlino, su discorso filonazista pronunziato dall'ambasciatore Henderson, proprio all'indomani del bombardamento di Almeria 1 . Mi risulta anche che nell'ambiente dell'Ammiragliato la pronta e vigorosa rappresaglia tedesca, non soltanto non ha suscitato critiche, ma è stata addirittura definita «un atto da soldati» legittimo e giustificato.

681

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3908/056 R. Bruxelles, 2 giugno 1937 (per. il 7).

Mio telegramma per corriere n. 052 del 24 maggio u.s. 2 .

Nell'abboccamento che ha avuto ultimamente luogo a Ginevra3 fra Eden, Delbos e Spaak circa il problema della sicurezza occidentale, Eden si è effettivamente dimostrato consenziente al desiderio di Delbos di effettuare un nuovo tentativo per una sistemazione occidentale «su linee più larghe» di quella ormai prevista per la sicurezza del solo Belgio. All'uopo è stato stabilito che Delbos specificherà al più presto, con una nota a Londra, le sue proposte per il conseguimento della predetta più vasta sistemazione: che a sua volta Londra, ricevuta ed esaminata la nota francese, si rivolgerà a Roma e Berlino, per un concreto avviamento del negoziato.

A quanto ho potuto appurare, la nota francese a Londra prenderà innanzitutto atto della dichiarazione contenuta nel memorandum tedesco del 10 marzo4 scorso, secondo la quale la Germania non pensa assolutamente ad alcuna azione aggressiva contro gli Stati terzi (ossia contro gli Stati che non farebbero parte del nuovo Locarno), deducendone conseguenze e proposte. Inoltre, Delbos avrebbe manifestato l'intenzione di raccogliere il punto stesso di vista italiano e tedesco circa l'opportunità di non dipartirsi dal meccanismo del vecchio Locarno, secondo quanto risulta dagli ultimi memorandum ii.-.iìano5 e tedesco a Londra.

Come ho già segnalato a V.E., di fronte a questo nuovo tentativo della Francia, il governo belga, puc· non prendendo formali impegni, intenderebbe assumere, per quanto riguarda lo sviluppo della sua particolare sicurezza, un

I Si riferisce al discorso pronunciato il lo giugno all'Associazione anglo-tedesca dall'ambasciatore di Gran Bretagna a Berlino, Henderson, il quale, tra l'altro, aveva auspicato che i suoi connazionali seguissero con attenzione il grande esperimento sociale della Germania nazionalsocialista dal quale avrebbero potuto trarre utili insegnamenti. Nel riferire sull'episodio, l'ambasciatore Attolico sottolineava l'ampiezza e il calore dei commenti dedicati dalla stampa tedesca ad una manifestazione che appariva rivestire un'importanza particolare anche per la presenza di un gran numero di personalità del regime (telespresso 2681/837 del 2 giugno).

2 Vedi D. 634.

3 Il 28 maggio.

4 Vedi D. 260. La nota fu consegnata il 12 marzo.

5 Vedi D. 268.

atteggiamento d'attesa, salvo a riprendere, qualora l'iniziativa di Delbos per la più vasta sistemazione avesse a fallire, la sua azione intesa a trovare, «un equilibrio di fronte al disquilibrio attuale, risultante dall'unilaterale dichiarazione franco-inglese del 24 aprile».

A tale ultimo riguardo, in una conversazione riservata e del tutto personale col barone van Langenhove, ho avuto agio di chiarire i seguenti punti:

l) che il Belgio ha già iniziato i suoi assaggi a Berlino, con risultati favorevoli. Il Reich si sarebbe detto disposto e pronto ad una dichiarazione in favore del Belgio, facendo però, rilevare la sua impossibilità d'assumere verso il governo di Bruxelles un impegno di non aggressione, stante l'eventualità insita nell'art. 16 del Patto ginevrino: che cioè il Belgio conceda un diritto di passaggio ad un corpo di truppe nell'esecuzione di un'«azione comune». Il Belgio avrebbe replicato che tale ipotesi non rispondeva allo stato delle cose, in quanto le recenti dichiarazioni di Spaak al Parlamento 1 , sottoponendo a tutte le note condizioni l'autorizzazione al passaggio, escluderebbero in realtà ogni effettiva autorizzazione belga. In conseguenza sarebbe sorta la non difficile soluzione: che cioè fosse stabilito che l'impegno tedesco di non aggressione verrebbe automaticamente a cessare nel caso in cui il Belgio autorizzasse un passaggio di truppe, in dipendenza dell'art. 16. Tuttavia questi approcci belgo-tedeschi subirebbero attualmente un punto d'arresto, in attesa della suindicata iniziativa francese e dei suoi eventuali reali sviluppi;

2) che se il governo belga non ha iniziato qualche assaggio presso Roma, gli è in primo luogo perché occorreva che esso chiarisse innanzitutto la situazione verso il limitrofo Reich, il quale, fra l'altro, non è membro di Ginevra; in secondo luogo, perché solo Roma e Berlino, «potrebbero proporre formule di dichiarazioni o di convenzioni, rispondenti alle loro rispettive vedute e situazioni nei riguardi di Ginevra, e di natura atta a controbilanciare la dichiarazione franco-inglese del 24 aprile».

Il barone van Langenhove mi ha accennato inoltre nuovamente le ragioni per le quali il Delbos cerca e cercherà in ogni modo e con ogni mezzo una sistemazione in un quadro più ampio di quella attinente strettamente alla sicurezza del Belgio, nell'idea che la Francia non potrà mai più usufruire di un momento più propizio di quello attuale per costringere l'Inghilterra a non troppo limitati impegni e garanzie internazionali. Al riguardo il mio interlocutore ha rilevato sovratutto la circostanza che la Francia, nei suoi completi armamenti, ben si rende conto che l'Inghilterra d'oggi non può fare a meno in alcun modo della collaborazione francese; la conseguente opportunità di sfruttare fino a fondo il patto di mutua assistenza che la lega all'Inghilterra; l'assillante sospetto che un'eventuale divisione del problema della sicurezza belga da quello della sicurezza francese, darebbe modo all'Inghilterra di resistere alla concessione di garanzie per problemi che eccedessero i diretti e noti interessi britannici sulle coste belghe. E sebbene il mio interlocutore non vi abbia accennato, pure non escludo che il suo pensiero si riferisse altresì ad un qualche vivo sospetto francese sulla portata e sulle conseguenze del progrediente ravvicinamento anglo-tedesco.

I Il 29 aprile. Vedi p. 689, nota l.

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COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI TURCHIA A ROMA, BAYDUR

APPUNTO. Roma, 2 giugno 1937.

È venuto a vedermi l'Ambasciatore di Turchia il quale mi ha fatto le seguenti due comunicazioni d'ordine del suo Ministro degli Affari Esteri:

l) In un colloquio avuto con Eden a Ginevra, Riistii Aras ha tratto la convinzione che il Governo inglese intenda compiere ogni sforzo per arrivare ad una completa conciliazione con l'Italia. Se un ritardo vi è, cio' è dovuto al fatto che la pubblica opinione inglese presenta ancora delle larghe zone di ostilità al Fascismo. Comunque Eden avrebbe dichiarato che non appena spentasi l'eco delle recenti polemiche, sarebbe sua intenzione di fare una dichiarazione ai Comuni tendente a rimettere in pieno vigore l'accordo mediterraneo del gennaio e a preparare una base di più larga intesa italo-britannica.

2) Riistii Aras è rimasto molto spiacente dell'atteggiamento assunto dal Delegato polacco Komarnicki a Ginevra per quanto concerne il riconoscimento dell'Impero2 . La procedura seguita dal polacco è stata tale da impedire che l'Assemblea prendesse una positiva decisione. Se Riistii Aras fosse stato per tempo preavvisato, non avrebbe mancato di raccogliere attorno a sè tutti gli elementi favorevoli alla liquidazione dell'affare etiopico per compiere una manifestazione efficace in seno alla S.d.N. Non si è associato individualmente perché ha ritenuto che cio' sarebbe stato di scarsa utilità ed ha preferito invece tenersi in riserva per il mese di settembre quando la questione si presenterà di nuovo all'esame.

Non ho mancato di far presente all'Ambasciatore di Turchia che l'adesione isolata di Riistii Aras al gesto compiuto dal polacco, anche se avesse sortito una scarsa efficacia pratica ai fini del riconoscimento dell'Impero, avrebbe avuto in Italia una ripercussione favorevole ed avrebbe certamente rafforzato i legami con la Turchia3 .

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 2 giugno 1937.

Il Ministro di Jugoslavia è venuto a vedermi e mi ha pregato di esprimere a

V.E. i ringraziamenti di Stojadinovic per la iniziativa amichevole di stabilire una collaborazione diretta fra le due Polizie sulla questione dei terroristi. Mi ha detto

1 Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 185-186. 2 Vedi p. 840, nota l. 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

che Stojadinovic aspetta delle proposte concrete ed intanto pregherebbe V.E. di esaminare la possibilità che qualche album di fotografie di terroristi possa essere passato alla Polizia jugoslava aiutandola così, fin da ora, nella sua azione.

Mi ha detto infine che si sarebbe recato a ringraziare il sottosegretario di Stato all'Interno per la cordiale accoglienza di cui era stato oggetto l'alto funzionario della polizia di Belgrado venuto a Roma giorni or sono 1 .

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 2686/842. Berlino, 2 giugno 1937 (per. il 5).

A titolo di cronaca, riferisco che, secondo voci che sembrano avere un certo fondamento, la notizia dell'incidente del Deutschland sarebbe stata comunicata al Fiihrer con molto ritardo, tanto da permettere che egli partisse la mattinata stessa di domenica 30 maggio (ore 9) per Monaco, onde prendere parte alla inaugurazione di una delle tante esposizioni locali. La comunicazione della notizia sarebbe stata ritardata anche al barone von Neurath.

Tanto il Fiihrer che il barone von Neurath finirono col sapere la cosa soltanto dopo il mezzogiorno di domenica e fecero appena in tempo, come si sa, a ritornare qui in volo da Monaco per prender parte alle note deliberazioni. La ragione del ritardo (di cui sembra che il Fiihrer si sia molto vivacemente doluto) viene, sempre secondo le voci che corrono, attribuita al desiderio da parte dell'Ammiragliato di comunicare la notizia al Fiihrer soltanto dopo avere già elaborato un piano dettagliato e preciso di azione e ciò onde impedire che si andasse nelle reazioni oltre i limiti che l'Ammiragliato riteneva giusti ma nello stesso tempo prudenti. (Sembra infatti che il Fiihrer volesse, invece che Almeria, far bombardare Valencia).

Ripeto, si tratta di voci che riferisco, perché circolano insistentemente in questi circoli diplomatici 2•

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L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 3846/172 R. Shanghai, 3 giugno 1937, ore 13 (per. ore 0,30 del 4).

Secondo informazioni confidenziali, governo inglese e americano sarebbero preoccupati e desiderosi sapere se missioni italiane e missione militare germanica

I Sul documento è apposto il timbro: «Visto da S.E. il Ministro». 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

svolgano in Cina propaganda fascista e nazista che essi eventualmente intenderebbero controbattere. Preoccupazioni americane sarebbero rivolte particolarmente alla nostra missione aeronautica ed in realtà motivate dal timore che accresciuta autorità generale Scaroni possa in futuro compromettere considerevolmente e più tardi soppiantare interessi americani nel campo aviatorio cinese.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO URGENTE 2671/828. Berlino, 3 giugno 1937 (per. il 5).

Gli avvenimenti di questi giorni mi hanno impedito di occuparmi prima della nuova, acutissima fase testè raggiunta dai rapporti fra la Germania ed il Vaticano.

Fino a quando la questione fra S. Sede e Terzo Reich è rimasta sul campo puramente religioso e politico, io ho sempre avuto l'impressione che si cercasse anche da parte tedesca di non, dico non, arrivare agli estremi.

Sono peraltro sopraggiunte le dichiarazioni del cardinale Mundelein 1 in America, il quale, oltre tutto, ha avuto la malaugurata idea di indirizzare qualche frase poco riguardosa verso la stessa persona del Fiihrer.

Ciò ha determinato da parte tedesca la perdita degli ultimi ritegni. È evidente che istruzioni e direttive erano state date perché, pur continuando e anzi intensificando le polemiche, non si arrivasse ad alcun che che potesse portare ad una rottura. Queste istruzioni e direttive, per quanto molto a malincuore e quasi a dispetto, erano tuttavia seguite. Ma quando un Principe della Chiesa ~ parlando per giunta da un Paese che non ha nessuno speciale motivo per interessarsi delle faccende tedesche ~si è lasciato andare, non solo ad espressioni assai poco corrette nei riguardi di ministri del Reich (ha chiamato Goebbels un «crook»), ma anche a dichiarazioni suscettibili di essere, se non interpretate, almeno presentate come ingiurie contro il Fiihrer, il fatto è stato preso come un'offesa a tutto il popolo tedesco, di cui Hitler è considerato oltrechè il Capo, anche il più eminente dei «figli».

Nessun organo del Vaticano essendo intervenuto, direttamente od indirettamente, a deplorare questo fatto, gli ultimi ritegni sono stati vinti e le ultime dighe travolte, iniziandosi quindi col discorso di Goebbels ~di cui ho a parte inviato a

V.E. una lunga analisi2 ~ un nuovo periodo di vera e propria lotta contro la Chiesa cattolica, lotta che ora ~in seguito alla risposta, considerata come insoddisfacente, del cardinale segretario di Stato che si è rifiutato di scindere la respon-

I Vedi p. 881, nota l.

2 Con telespresso 2597/802 del 29 maggio (il documento ha il visto e le sottolineature di Mussolini). G6bbels aveva pronunciato il 28 maggio alla Deutschlandhalle di Berlino un discorso di estrema violenza contro la Chiesa cattolica, come nemica dello Stato nazionalsocialista e contro il clero, accusato di delittuose perversioni e di corrompere la gioventù.

sabilità propria da quella del cardinale Mundelein-è finalmente sboccata in una dichiarazione di sospensione di «relazioni normali» fra la Germania ed il Vaticano.

Non astante la sicura gravità della situazione, non mi risulta che, anche dopo questo, si intenda venire, da parte tedesca, ad una denuncia del Concordato. Devo però avvertire che, ove da parte vaticana non si adoprasse in questo momento tutta la «ragione» di cui è capace e anzi si continuasse a reagire in maniera da dare l'impressione che la Chiesa persiste a solidarizzarsi con il cardinale americano, non è neanche da escludere che si possa giungere persino a quest'ultima ratio.

In proposito giova tener presente che, in fondo, una denuncia del Concordato -ove potesse esser compiuta in condizioni che non la facessero riuscire troppo impopolare e tali da portare a sfavorevoli ripercussioni interne -non sarebbe, in fondo, contraria agli interessi della Germania. Uno dei più grandi rimproveri che -formalmente -si possa infatti muovere al governo tedesco è che, essendosi accorto che il Concordato si rivelava praticamente incompatibile con i suoi interessi nazionali, esso non abbia sentito il dovere di denunciarlo. Una denuncia, quindi, per quanto a posteriori, servirebbe, da un certo punto di vista, quasi a sanare questa omissione. E in questo momento, data l'eccitazione prodotta nelle masse da quello che è presentato come un insulto al Fiihrer, essa, lungi dal rivestire impopolarità alcuna, sarebbe accolta quasi con tripudio.

Con denuncia o senza, però, è da prevedere che di questa sospensione di rapporti normali col Vaticano il Reich profitterà sia per spingere all'estremo le sue inquisizioni sugli Ordini religiosi e magari trovare il modo di chiuderne qualcuno, sia sopratutto per portare a termine con la maggior energia e rapidità il programma di unificazione scolastica che si era prefisso, svuotando così, pressoché completamente, il Concordato di ogni suo contenuto essenziale.

Ignoro se i vescovi cattolici tedeschi che, nella loro intransigenza, hanno spinto il Vaticano su questa china, possano ritenersi soddisfatti dei risultati raggiunti. La situazione è ora tale che ogni ulteriore inconsulta reazione, specie da parte del clero in Germania, porterebbe, oltrechè alla rottura dichiarata, anche alla lotta aperta nelle strade come nelle Chiese.

Per questa ipotesi, che naturalmente è in modo assoluto, da deprecare, gioverà tuttavia che chi di dovere tenga presente un elemento assai importante e cioè che, in un possibile dilagare della lotta religiosa nelle piazze e nei tempii, il Vaticano non, dico non, potrebbe fare assegnamento sull'elemento giovane delle stesse famiglie cattoliche, elemento giovane che, anche se cattolico, è tutto travolto dall'ondata nazionalsocialista. Quanto alle ripercussioni che potrebbero avere all'interno della Germania eventuali reazioni estere, si può ritenere che esse sarebbero praticamente di peso molto relativo. Vedrà V.E. se non convenga che queste amare verità siano portate a conoscenza della nostra ambasciata presso la Santa Sede.

P.S. Aggiungo sulla questione alcuni dati di fatto quali mi sono stati comunicati dall' Auswartiges Amt e che servono a illuminare meglio la situazione.

L'espressione usata dal cardinale Mundelein contro il Fiihrer e che, naturalmente, qui non è stata pubblicata sarebbe esattamente la seguente: «Non si capisce come un popolo intelligente di 65 milioni di abitanti si possa far dirigere da un attacchino di carte da parati austriaco e per giunta cattivo».

Si fa osservare che, di fronte a frasi di questo genere, nessun governo avrebbe esitato a presentare delle scuse o per lo meno a mostrare di non approvarle. Che, se anche il cardinale segretario di Stato, si dice, avesse avuto ritegno a fare questo, avrebbe tuttavia facilmente potuto rispondere al rappresentante tedesco, che si recò da lui, che «non conosceva il testo del discorso e si sarebbe informato», oppure che «ove effettivamente un prelato avesse pronunciato delle frasi ingiuriose contro una intera nazione e il suo capo, indubbiamente il Vaticano ne se sarebbe rammaricato». Invece no: il cardinale Pacelli ha dato, prima a voce, e poi per iscritto, una risposta il cui linguaggio sembra, nella bocca di un così alto dignitario, investito di posizione così responsabile, per lo meno strano, tanto che il governo tedesco ha creduto di non pubblicare la risposta stessa soltanto allo scopo di impedire che ciò potesse invelenire ulteriormente la situazione.

Sembra infatti che il cardinale segretario di Stato abbia risposto al Rappresentante tedesco su per giù come segue: «<o vi risponderò prima con una constatazione e poi a mia volta con una domanda. La constatazione è che io non soglio pronunciare giudizi su fatti quando non li conosco. La domanda è: Che cosa ha fatto il governo tedesco per porre fine alla campagna di menzogne e di insulti contro la Chiesa che si sta conducendo in Germania?» Senza quindi dare alcuna opportunità al diplomatico tedesco di rispondere, il cardinale avrebbe continuato così: «lo vi faciliterò la risposta dandola per voi: il governo tedesco non ha fatto niente, e fino a quando esso non avrà fatto nulla, io non sarò in grado di darvi risposta alcuna per quanto riguarda il discorso del cardinale Mundelein».

Questa la risposta pervenuta a Berlino, in seguito alla quale il governo tedesco ha creduto, a salvaguardia del proprio prestigio, di dover inviare al Vaticano la comunicazione nota e che termina con la constatazione che «Il Vaticano con la sua azione ha fatto venire meno le premesse per lo svolgimento normale delle relazioni fra la Santa Sede e la Germania» 1 .

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3904/1332. Parigi, 3 giugno 1937 (per. il 7).

Di ritorno da Londra, S.A.R. il Principe Paolo, Reggente di Jugoslavia, si è fermato alcuni giorni a Parigi 2 . La sua visita ha coinciso con l'assenza di questo ministro degli Affari Esteri che erasi recato a Ginevra per le riunioni del Consiglio dell' Àssemblea.

La visita ha dato naturalmente luogo ai consueti scambi di cortesie ed il Principe Paolo, accompagnato dalla consorte principessa Olga, approfittò del suo passaggio a Parigi per inaugurare il padiglione jugoslavo dell'Esposizione.

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Il Principe Paolo si era recato a Londra per le feste dell'incoronazione di Giorgio VI e su la via del ritorno era giunto il 25 maggio a Parigi.

Il 26 maggio u.s., il Principe Reggente venne ricevuto dal presidente Blum. Mi risulterebbe che nessun alto funzionario degli Esteri, nemmeno il signor Léger, assistette al colloquio. I due uomini di Stato avrebbero fatto il classico giro d'orizzonte ma in modo assai sommario e superficiale. Il Principe Paolo si sarebbe limitato a dichiarare che la Jugoslavia rimaneva fedele a tutti i suoi impegni internazionali, ma avrebbe chiaramente lasciato intendere che non voleva assumerne dei nuovi ·e che desiderava non perdere i vantaggi politici ed economici delle sue buone relazioni con l'Italia e con la Germania. Sembra in particolar modo che le allusioni del Presidente Blum circa il riconoscimento dell'U.R.S.S. da parte della Jugoslavia, un'azione concertata franco-ceco-jugoslava nei riguardi dell'Austria e l'eventuale conclusione di una nuova Convenzione franco-jugoslava abbiano trovato nel Principè Paolo un'accoglienza assai fredda e scoraggiante 1 .

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3905/1333. Parigi, 3 giugno 1937 (per. il 7).

Mio telegramma n. 2702 .

Da fonte fiduciaria ho appreso che allorquando lunedì scorso (31 maggio) il presidente Blum stava conversando con l'ambasciatore dimissionario di Spagna, signor Araquistain, venuto a protestare per il bombardamento di Almeria ad opera della squadra tedesca, si presentò alla presidenza del Consiglio una delegazione del Fronte Popolare, di cui facevano parte il deputato comunista Duclos, vice presidente della Camera, e il noto giornalista Cudenet, del Petit Journal, la quale chiese al presidente Blum che la Francia abbandonasse immediatamente il Comitato di Londra in segno di protesta e che, decretasse una mobilitazione parziale onde rafforzare il proprio atteggiamento diplomatico.

Il signor Blum, alla presenza dello stesso ambasciatore straniero, avrebbe risposto con molta calma alla delegazione, dicendo che l'atteggiamento francese sarebbe dipeso da quello inglese, e anche da quello tedesco, secondo che la Germania avesse compiuto o meno altre azioni di rappresaglia per il bombardamento dell'incrociatore «Deutschland».

Questo ambasciatore britannico avrebbe nella mattinata stessa appreso quanto sopra e, su istruzioni di Londra, avrebbe invitato il governo di Fronte Popolare a persistere in un atteggiamento calmo e sereno, mentre uguali raccomandazioni avrebbe fatto a Londra il signor Eden all'ambasciatore Corbin, assicurandolo che

l Il documento ha il visto di Mussolini.

2 T. 37811270 R. del 1° giugno. L'ambasciatore Cerruti aveva riferito di avere tratto la convinzione da un colloquio con Léger che il governo francese, pur considerando eccessiva la reazione tedesca per il bombardamento della «Deutsch/and», si stava sforzando, d'accordo con Londra, per evitare complicazioni.

891 il governo inglese si sarebbe adoperato per indurre Berlino a non compiere ulteriori rappresaglie. In serata il signor Delbos ricevette infatti assicurazioni in tal senso dall'ambasciatore di Germania, conte von Welczeck, ed in seguito a tale colloquio avrebbe detto ad alcuni giornalisti e deputati che gli esperti giuridici e militari del Quai d'Orsay ritenevano probabile che l'incrociatore tedesco fosse stato bombardato dall'aviazione rossa senza provocazione considerando la nota circostanza che l'equipaggio trovavasi riunito per il rancio.

Non ho potuto controllare l'esattezza delle informazioni datemi ma dall'atteggiamento complessivo della stampa e dalle stesse dichiarazioni fattemi dal signor Léger, e di cui al mio surriferito telegramma, esse appaiono verosimili 1 .

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 471/150. Tokio, 3 giugno 1937 (per. il 23 agosto).

Il signor Sugimura tre anni or sono, e cioè alla sua nomina come ambasciatore a Roma, era tenuto qui da molti quale uomo che avesse assai subito gli influssi dell'occidente democratico e fosse divenuto «ginevrino». Ignoro se a ragione perché ebbi poche occasioni di parlargli e mai di questioni di politica generale ma so che quali che fossero state le sue idee prima di venire a Roma egli è oggi considerato in Giappone come persona che abbia grandi simpatie per il fascismo, del che si vede conferma nelle conferenze da lui tenute in Italia nelle quali i suoi giusti apprezzamenti sulla vita parlamentare di qui non sono stati certo tali da avergli attirato il favore dei liberali.

Come al signor Sugimura, anche al nuqvo ambasciatore signor Hotta è qui attribuito da vari un modo di pensare ginevrino, e verso di lui sono sicuro non si erra, giacché in una conversazione mi ha mostrato compiangere i deputati del suo Paese sui quali infierirebbero senza ragione i militari: ab uno disce omnes.

Tali asserzioni del signor Hotta non mi meravigliano; mi meraviglierebbero le opposte. Il periodo Tocugava fu qui di tirannia in quasi ogni campo d'attività spirituale e materiale, onde in quello che lo seguì e si chiamò della restaurazione di Meigi fu con tanto maggior compiacimento accolta la cultura occidentale che ancora nell'ultimo quarto dell'800 era tutta liberale. Occidente, libertà e progresso furono qui sinonimi e furono vangelo in cui credettero tutte le persone colte dagli scienziati ai giuristi e agli artisti dagli uomini politici ai giornalisti e ai diplomatici. E anche oggi dopo quindici anni di fascismo le cose non sono mutate di molto circa tutti costoro, sì che esso appare ai più di questi ortodossi come una specie d'eresia, anche se geniale. Nel fascismo si vede dai più soltanto un ordinamento antiparla-

I Il documento ha il visto di Mussolini.

mentare d'autorità; ma il parlamento anche nei suoi non lunghi anni di massimo potere non aveva qui mai degenerato nella stessa misura che già in Italia e tuttora anche altrove, né come già in Italia e come tuttora altrove l'ordine era mai tanto profondamente turbato da socialisti e comunisti. Onde, mentre così comt; i pericoli e i danni suscitati da parlamentari e sovversivi sono stati meno gravi che da noi, meno energica e definitiva è stata la reazione. Questo movimento giapponese così detto fascista, che se non altro per orgoglio di razza dichiara non vuole avere lo stesso contenuto del nostro e non sa darsene altro ove non sia antiparlamentarismo e autorità, ed è sostenuto da militari semplici violenti e in gran parte ignoranti, non appare a tanti necessario, mentre desta timori in essi d'un ritorno a quella condizione di cose nel periodo Tocugava da cui si volle uscire con la restaurazione del Meigi e di cui il massimo segno era stato il non aver lasciato all'Imperatore altra autorità oltre la religiosa. Di fronte a ciò, non si vuol vedere l'altra faccia della medaglia, i danni causati dagli ordinamenti democratici in altri Paesi e quelli sia pure minori arrecati qui alla cosa pubblica dal parlamentarismo nella diecina d'anni trascorsa, quando esso ebbe maggior potere, tra la fine della guerra e l'inizio dell'impresa di Manciuria e l'incapacità fuori che verbale della Camera anche d'ora con i suoi intrighi e le sue corruzioni; non si vuol vedere come meno che altrove possano valere i principi democratici per un popolo che è rimasto per mille anni sotto una dittatura per breve tempo civile e per più lungo militare con ordinamenti fino a dopo il '70 assai simili a quelli medievali d'Europa e che anche oggi nelle campagne è in gran parte restato quale già era, così diverso da quelli europei per animo e credenze, storia e vita. Non si vuol vedere che un consolidarsi dei principi democratici vorrebbe dire tra l'altro in politica interna un rafforzarsi dei due maggiori partiti parlamentari, i quali in null'altro differiscono oltre che nell'essere legati da vincoli di reciproci servizi all'uno o all'altro dei due massimi gruppi bancari, e quindi un maggior prevalere degli interessi particolari sui generali; e in politica estera un fatale avvicinarsi a quelli tra i grandi Stati d'occidente da cui i massimi interessi d'espansione allontanano questo Paese. Il passato è acqua corrente che non refluisce, e il ritorno a qualcuna delle condizioni del periodo Tocugava non è pensabile tra le tanti ragioni anche per questa, che l'industria giapponese si va sempre più modellando sull'americana e il numero dei deputati socialisti sebbene ancora non grande si accresce a ogni nuova elezione. Per ciò, come io dicevo al signor Hotta, un Paese che non ha ancora avuto le lotte fra capitale e lavoro, ma che pure le avrà se lascia andare le cose come vanno ora, dovrebbe far tesoro dell'esperienza di quelli che come l'Italia hanno ormai risolto il conflitto ma dopo perdite di vite e ricchezze che il Giappone potrebbe risparmiarsi. Senonché i princìpi liberali venuti d'occidente al tempo della restaurazione rimangono per la maggior parte delle persone di coltura una specie di dogma, e la loro pratica una delle più alte glorie del Giappone moderno. Ove questo si desse ordinamenti diversi sembra loro ch'esso rinnegherebbe tutta la sua storia di questi ultimi settanta anni e ne appannerebbe ogni splendore. Fra coloro che così pensano vi sono, secondo ho su accennato, quasi tutti i diplomatici più anziani, ambasciatori ministri e capi degli uffici di questo ministero Esteri; e i meno intransigenti fra loro quando parlano con me mi dicono che siccome non v'è un Mussolini in Giappone non può starsi a pensare a ordinamenti diversi dagli attuali. I continui contrasti fra militari e diplomatici hanno in questa diversità di opinioni sulla politica interna una delle loro maggiori cause, donde poi deriva quella sulla politica estera: l'Inghilterra a esempio è sempre qui per la maggior parte degli uomini di coltura un modello di istituti liberali e nel ministero degli Affari Esteri anche chi non la ami più la ammira sempre oltre a temerla, e crede sarebbe utile gradevole e direi onorifico aver con essa migliori relazioni. Sato, prima ambasciatore e poi ministro degli Esteri, riunendo queste due cariche è stato uno dei più spiccati esempi di tale modo di pensare dei diplomatici giapponesi nelle rappresentanze all'estero e nel ministero: ginevrino pacifista, un po' vergognoso dell'antico Giappone e di quanto ancora oggi ne rimanga, convinto che esso se vuole può evitare la guerra con chiunque, desideroso solo di vederlo vivere in pace con tutti.

Non mi preoccupa molto il presente modo di pensare del signor Hotta: è uomo intelligente, fine, simpatico ma con evidenti minori qualità reattive del signor Sugimura e non solo nel corpo gracile e quasi sofferente; sono convinto che dopo alcuni mesi di soggiorno in Italia le sue convinzioni comincieranno a mutare. Ma per il momento sarà utile tener conto di questo suo stato d'animo e, ora e in seguito, di quello del suo ministero fino a quando non vi sarà venuto a capo qualcuno che vi istaurerà un ordine nuovo. Non v'è dubbio che il contegno del ministero sia migliorato moltissimo verso di noi: nessuno puo' rendersene conto più di me che sono in condizione di paragonare quello di prima con quello d'adesso. Ma esso rimane sempre un po' riservato nel discorrere e titubante nell'agire, sempre un po' preoccupato, ove mostri troppo favore a noi, di dispiacere a altri e danneggiare le credute possibilità di intesa anche con altri. Si aggiunga che oltre alle opinioni dei liberali e agli interessi degli industriali vi sono i sentimenti dei raffinati, che sembrano ancora oggi sperare nell'avvento d'un popolo giapponese con i capelli biondi e la pelle quasi bianca. Il posto che nell'ammirazione delle persone eleganti ebbe la Francia dall'epoca di Luigi XIV a quella di Napoleone III è stato preso dall'Inghiìterra della Regina Vittoria e si mantiene anche oggi con Giorgio VI felicemente regnante; e il parlare inglese, agire all'inglese, essere preso se possibile per inglese rappresenta anche per molti orientali come per tanti occidentali la meta più alta del perfetto vivere sociale. Il marchese Matsudaira, già per molti anni ambasciatore a Londra e ora ministro della Casa Imperiale, uno dei più ascoltati e intriganti consiglieri della Corona (tutti più o meno vecchi e tutti più o meno sospirosi dei tempi dell'alleanza), inalbera appena glie se ne presenti l'occasione un inglese cilindro grigio e ci si domanda se con quei capelli color corvo e quella pelle d'oliva secca egli si immagini che il copricapo abbia la virtù di farlo apparire simile a un qualche distinto membro della distintissima aristocrazia britannica.

Tale stato di cose non è nuovo e se ne trova traccia in vari miei rapporti. V'è invece di nuovo il mutamento delle nostre relazioni, le quali sono convinto siano avviate a divenire sempre migliori. Perciò ho creduto tornare più a lungo sull'argomento e attirare meglio su di esso l'attenzione di Vostra Eccellenza. Come ho detto più sopra, sarà opportuno che quanto precede sia tenuto presente nelle conversazioni con codesto nuovo ambasciatore; e, aggiungo ora, che qualche comunicazione

o proposta le quali possano contrastare troppo con il modo di pensare del signor Hotta e del suo ministero siano innanzi tutto fatte in via non ufficiale dal nostro ministero della Guerra a codesto addetto militare giapponese, persona intelligente attiva e che ci si è quand'era qui mostrata sempre amica, affinché ne informi il suo ministero. Ove esso consenta con noi potrà preparare il terreno in questo ministero degli Affari Esteri prima che ne sia stato parlato a codesto ambasciatore del Giappone ovvero premere dopo. Se si procederà così, è certo che le nostre parole troveranno migliore accoglienza. L'accoglienza fattami da questo ministero degli Affari Esteri è stata sempre cortese, anche nei periodi di poco buoni rapporti ed è divenuta, più che cortesissima, amichevole negli ultimi mesi. Ma la amichevole cortesia non impedisce la riserva, la titubanza, il timore di peggiorare i rapporti con altri Stati migliorando quelli con noi; essa puo' anche non impedire che si taccia ai militari quanto, se conosciuto da loro, ci accrescerebbe le loro simpatie e il loro appoggio e lo si faccia appunto per evitare l'effetto di questo e non in odio a noi ma per rispetto a altri. Nel ministero della Guerra, a esempio, s'era detto al nostro addetto militare come la prima premessa per più stretti vincoli fosse la conclusione dell'accordo commerciale in corso di negoziato, e gli si era parlato quasi fosse colpa nostra se la stipulazione non era ancora avvenuta. Allorché il tenente colonnello Scalise, qualche giorno dopo, ha comunicato che a Roma si attendeva una risposta giapponese e che quindi il ritardo non dipendeva da noi, l'ufficiale con cui ne ha discorso è rimasto assai sorpreso e ha promesso sarebbe stato agito su questo ministero degli Affari Esteri. Come Vostra Eccellenza vede, io ho già cominciato a attuare il modo di procedere che mi sono permesso suggerire all'Eccellenza Vostra, e i tedeschi fanno lo stesso; e tratto di questioni importanti politiche, più che direttamente con il ministero degli Esteri, indirettamente con quello della Guerra.

Nel ministero della Guerra e anche in quello della Marina si parla qui assai più chiaramente e decisamente che non in quello degli Esteri; vi si manifestano forti simpatie per l'Italia che si esprimono blandamente nell'altro, e propositi di collaborazione con un tono e in una misura che invano dall'altro si attenderebbero. E i militari sono i più forti.

690

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3691/915. Washington, 3 giugno 1937 (per. il 19).

Le dichiarazioni fatte a V.E. dall'ambasciatore Phillips 1 e quelle a me fatte dal signor Sumner Welles 2 , facente funzione di segretario di Stato, dànno certamente l'impressione di una reazione senz'altro favorevole da parte del governo americano alle osservazioni del Duce anche se per il momento non verrà dato seguito all'accenno relativo alla convocazione di una conferenza.

l Vedi D. 669. 2 Vedi D. 656.

Queste dichiarazioni fatte dai rappresentanti del governo americano in forma confidenziale stanno indubbiamente in un certo contrasto con l'impressione trapelata fuori sull'atteggiamento del governo americano stesso. Anche da informazioni qui assunte mi risulta che il signor Sumner Welles si è !agnato per l'interpretazione data dalla stampa alle sue dichiarazioni nei riguardi dell'intervista del Duce. Devo osservare però che se questa interpretazione è stata data dalla stampa la colpa principale ne risale allo stesso Dipartimento di Stato. I termini molto vaghi ed esageratamente circospetti usati dal signor Sumner Welles nelle sue dichiarazioni alla stampa e la mancanza di una qualsiasi reazione diretta del Presidente Roosevelt possono avere autorizzato i giornali a ritenere che il governo americano aveva accolto con una certa freddezza le dichiarazioni del Duce. Aggiungerò che nella conversazione avuta con Sumner Welles, questi mi aveva fatto un accenno ad una eventuale reazione diretta del Presidente, accenno che io avrei potuto considerare senz'altro come preannuncio di tali dichiarazioni.

Non escludo che il Presidente possa ancora dire qualche parola sull'argomento ma l'interpretazione più logica mi pare quella che sia intervenuto qualche elemento moderatore dal di fuori a consigliare molta prudenza al governo americano sull'argomento, e non è difficile individuare tale intervento nel desiderio del governo inglese che per il momento non vuoi avere intralci nel suo programma di riarmo.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3830/433 R. Londra, 4 giugno 1937, ore 0,46 (per. ore 5,30).

Eden mi informa di aver inviato istruzioni a Drummond1 proponendo a V.E. progetto seguenti linee:

l) due parti in Spagna dovranno essere richieste dare assicurazione non ostacolare nessun modo operazwni controllo marittimo da parte quattro Potenze;

2) parti dovranno stabilire zona sicurezza località da determinarsi;

3) quattro Potenze navali in caso di incidenti dovranno procedere immediata consultazione fra di esse.

I Il 2 giugno, il governo britannico aveva incaricato gli ambasciatori a Berlino, Parigi e Roma di presentare una proposta basata sui punti qui indicati (per il testo della nota britannica si veda BD, vol. XVIII, D. 564). A Roma, la nota fu consegnata dall'ambasciatore Drummond a Ciano il 4 giugno (vedi ibid., D. 578, nota l) e il giorno successivo Ciano diede una risposta positiva. pur proponendo alcune modifiche al testo (vedi ibid., D. 578). Di questi contatti non si è trovata traccia negli archivi italiani.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3900/0170 R. Londra, 4 giugno 1937 (per. il 7).

Mio telegramma per corriere n. 024 del 4 febbraio u.s. 1 .

Rende!, appena tornato da Ginevra, ove si era recato in occasione dell'ultima Assemblea, ha espresso a Crolla il desiderio di avere con lui un colloquio di carattere generale sulla politica araba nei suoi riflessi sugli attuali rapporti itala-britannici. Crolla, che dietro mie istruzioni è andato a trovarlo, mi riferisce quanto segue:

«Rende l mi ha anzitutto parlato a lungo del suo viaggio in Arabia, del quale mi aveva intrattenuto già, in maniera più sommaria, in altre precedenti occasioni. Non starò a riassumere la narrazione dettagliata delle varie tappe del viaggio, delle cose e persone incontrate, dei paesaggi ammirati, degli usi e costumi osservati nelle diverse località. Vorrei sottolineare soltanto l'impressione da me riportata e cioè che Rende! si dilunga a parlarmi e riparlarmi del suo viaggio per dissipare nella mia mente qualunque _sospetto che il viaggio stesso possa essere stato ispirato a finalità anti-italiane. Anzi, a più riprese, Rende! ha intercalato il suo dire con allusioni scherzose su quanto «presumibilmente io già sapevo» circa le sue «attività» in Arabia, attraverso la lettura dei rapporti inviati a questo riguardo dai ministri e consoli italiani nei Paesi dove egli e la moglie avevano soggiornato.

Rende! ha gradualmente deviato la conversazione sul tema dei rapporti itala-britannici, constatando con rincrescimento che essi negli ultimi mesi si erano deteriorati e al tempo stesso esprimendo la fiducia nel loro prossimo sostanziale e definitivo miglioramento.

Mi sono associato a questa «fiducia» di Rende!, ma gli ho detto che essa non doveva rimanere platonica e inattiva, perché altrimenti avrebbe troppo somigliato ad una colposa negligenza dinanzi ad una situazione europea gravida di pericoli.

Rende! mi ha risposto che, a suo avviso, la colpa della situazione presente era da dividersi in parti uguali tra l'Inghilterra e l'Italia, ma che non spettava a lui, capo del Dipartimento Orientale del Foreign Office, scagionare il governo britannico per il ritardo frapposto nel riconoscimento di una «realtà» che nessuno discute, o per le parole dette e gli articoli scritti da inglesi irresponsabili che -egli ha aggiunto-si aveva il torto di prendere troppo sul serio a Roma. Comunque, la situazione generale si rifletteva sul settore di sua specifica competenza e, se era vero che qualunque migliore intesa in questo settore non poteva concepirsi e attuarsi se non nel quadro di un miglioramento dei rapporti itala-britannici, era altrettanto vero che alla soluzione del problema generale ci si poteva avvicinare solo attraverso una serie di contributi verso la soluzione dei problemi particolari.

I Vedi D. 123.

Poiché mi sono subito dichiarato d'accordo con Rende! e pronto ad ascoltare qualunque sua osservazione e proposta, egli mi ha detto che desiderava impostare molto chiaramente con me il problema delle mire espansionistiche dell'Italia nel mondo arabo.

Gli ho risposto che queste «mire» non esistevano e che bastava che egli leggesse i discorsi recentemente pronunciati dal Duce, dal conte Ciano e dal ministro Lessona, per persuadersi che in Inghilterra si viveva sotto l'incubo di un malinteso.

Rendel mi ha detto che aveva letto questi discorsi, ma che ad essi facevano riscontro: l) gli articoli di certi giornali italiani; 2) le radioemissioni della stazione di Bari; 3) il linguaggio tenuto da alcuni «agenti» italiani sopratutto nei Paesi arabi e nel Mar Rosso.

Ho detto a Rende) che non mi era possibile discutere con lui senza una precisa documentazione ma che da quello che avevo notato, sia leggendo i giornali italiani, sia ascoltando la radio di Bari, mi ero formato la convinzione che l'Italia si limitava a difendere la sua posizione nel mondo arabo contro le accuse e le falsità pubblicate in certa stampa e insinuate negli ambienti arabi da agenti di propaganda inglesi. Quasi tutta l'attività della Radio Bari consisteva in smentite, e tutt'al più in contrattacchi, di fronte a notizie provenienti da fonte britannica.

Occorreva che il Foreign Office si persuadesse una volta per tutte, che l'Italia è, non meno dell'Inghilterra, una grande Potenza islamica, e che ha un vitale interesse a mantenere una posizione di prestigio e una «buona stampa» nel mondo arabo. Se alcune correnti di simpatia e di ammirazione verso l'Italia, destatesi fra gli arabi durante la campagna etiopica, o ad essa preesistenti, avevano assunto carattere anti-inglese per le circostanze del momento, di ciò l'Italia non aveva colpa alcuna. Era da altra parte logico e giusto che l'Italia cercasse di conservarsi queste correnti di simpatia, anzi di svilupparle e ampliarle. Ma non certo in senso antibritannico, se l'Inghilterra a sua volta vorrà persuadersi della possibilità di far convivere, nei Paesi arabi, la propria influenza con quella italiana. Allora le nostre due «propagande», per usare l'espressione dettami da Rende!, avrebbero potuto svolgersi parallelamente senza suscitare quelle diffidenze, apprensioni e reazioni dell'una contro l'altra, che sfortunatamente si stanno oggi verificando. Quanto alle voci sparse o dichiarazioni fatte da «agenti» italiani, non sapevo a che cosa Rende! volesse esattamente alludere.

Rende) ha detto che intendeva alludere a discorsi tenuti da persone senza carica ufficiale, ma con veste notoriamente ufficiosa o almeno con sufficiente autorità, per impressionare certe popolazioni arabe. Ha soggiunto subito dopo che probabilmente queste persone andavano oltre il pensiero e le istruzioni del governo fascista, alla stessa guisa di analoghi agenti britannici che spesso oltrepassano le istruzioni del Foreign Office. Rendel ha continuato dicendo che era desiderio del Foreign Office di veder sostituita al più presto, all'attuale rivalità e sospettosità di rapporti, una fiduciosa collaborazione itala-britannica nel campo della politica araba. Comprendeva che vi erano difficoltà di natura sopratutto psicologica, derivanti in parte dalla recente crisi determinata nel Vicino Oriente dalla conquista italiana dell'Etiopia. L'adattamento da tutte e due le parti era lento e difficile, ma egli lo riteneva sicuro, in un prossimo avvenire, perché dettato dal comune interesse. Intanto bisognava spianare la strada. Ma il dubbio che era necessario sradicare subito, come premessa ad ogni utile conversazione, era il dubbio circa i futuri piani espansionistici dell'Italia. Intendeva l'Italia impadronirsi dello Yemen o svolgere un'azione anti-britannica a Gedda

o in Palestina?

Ho risposto a Rendel che non potevo che confermargli quanto gli avevo detto nello scorso febbraio che cioè l'Italia non intende in alcun modo turbare l'assetto territoriale dei Paesi arabi. Mi domandavo io, a mia volta, se l'Inghilterra non stesse già cercando di alterare questo assetto a suo vantaggio con mezzi indiretti e coperti, per esempio, estendendo la sua influenza sulle tribù dell'Hadramut.

Rendel mi ha risposto che per parte sua, il governo britannico considera vivo e intatto l'Accordo di Roma del 7 febbraio 19271, e vede in esso un'utile base per una collaborazione itala-inglese nel Mar Rosso.

Ho confermato a Rendel che il governo fascista è d'accordo su questo punto, come gli avevo già dichiarato lo scorso febbraio.

Riferendosi alle mie allusioni alla politica inglese nell'Hadramut, Rendel ha ricordato che nel febbraio io gli avevo accennato ad una possibile interpretazione estensiva dell'Accordo del 1927 e in particolare dell'articolo 7 di esso2 . Rendel ha aggiunto che se il governo fascista aveva proposte concrete da formulare a questo riguardo, il Foreign Office le avrebbe prese nella più attenta considerazione.

Gli ho risposto che ne avremmo, se mai riparlato un'altra volta».

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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 3903/041 R. Belgrado, 4 giugno 1937 (per. il 7).

Ieri è stata resa pubblica dall'agenzia Ava/a la notlZla della visita di von Neurath a Belgrado, Sofia e Budapest 3 . Il ministro degli Esteri del Reich giungerà qui, in volo, da Berlino, il 7 corrente verso mezzogiorno e ne ripartirà il 9 mattina per Sofia. Stojadinovic mi ha confermato che la visita non darà occasione alla

t Vedi p. 157, nota l.

2 L'articolo 7 dell'accordo era del seguente tenore: «È nell'interesse comune dei due governi di esercitare la loro rispettiva influenza sui capi arabi in modo che i reciproci interessi dell'Italia e della Gran Bretagna siano il più possibile salvaguardati e perciò è desiderabile che i due governi si mantengano in contatto in tutte le questioni riguardanti il Mar Rosso e l'Arabia meridionale allo scopo di evitare malintesi tra di loro o inesatte impressioni da parte dei capi arabi nei riguardi della politica che i due governi intendono perseguire nelle regioni indicate».

3 Il ministro degli Esteri tedesco, von Neurath, effettuò un viaggio nella Penisola balcanica visitando Belgrado dal 7 al 9 giugno, Sofia dal 9 all' 11 e Budapest dall'l l al 14.

firma di alcun documento, ma ha naturalmente ammesso che, malgrado si parli di visita di cortesia, le conversazioni potranno essere di notevole interesse. Mi ha assicurato che ne terrà esattamente al corrente V.E. Per il momento stampa ed opinione pubblica si mantengono riservate sopra l'avvenimento che marca, senza dubbio, una nuova ed importante tappa della politica di Stojadinovic, specie nelle particolari circostanze nelle quali ha luogo. Il fatto stesso che Stojadinovic, abbia consigliato la successiva visita a Sofia, ed il ritorno di von Neurath via Budapest, costituiscono un programma. Sono, infatti, i possibili sviluppi del sistema Belgrado-Sofia, favorito da Berlino, che, evidentemente, hanno eccitato lo stile dei messaggi telefonici scambiati il 25 maggio scorso fra Kemal Ataturk e Metaxas 1 . Ma è appunto questa condizione di cose ed il futuro della situazione sud-slava in Balcania che consigliano S~ojadinovic a stringere, sia nei riguardi ungaro-jugoslavi, sia anche più in quelli austriaci, maggiori contatti con una Potenza suscettibile di essere una «vicina» di determinante peso. E ciò, dopo di aver potuto premettere una sistemazione diretta dei rapporti coll'Italia, capace di essere sviluppata fino a costituire un'assicurazione contro un'eventuale, troppo gravosa pressione tedesca, per la quale si ritiene qui che gli interessi italiani e jugoslavi dovrebbero, al momento opportuno, solidarizzarsi. Nelle condizioni attuali, comunque, la Germania può contare in Jugoslavia, a prescindere dagli oppositori dottrinari del regime hitleriano, sopra una generale considerazione di favore che è comune, del resto, a tutta la Balcania, per ragioni e circostanze assai note. In Jugoslavia, in particolare, l'importanza delle esigenze dell'approvvigionamento tedesco e le possibilità già dimostrate -ad esempio, ferriere Krupp di Zenice -dell'apporto germanico all'industrializzazione del Paese ed al miglioramento conseguente del tenore di vita della popolazione, esercitano grande influenza sull'opinione generale. Influenza che soffre qualche riserva soltanto in alcuni centri economici, nella considerazione dei quali il sistema degli scambi tedesco-jugoslavi attualmente in vigore, presenta notevoli inconvenienti, tali da far vivamente desiderare un incremento, invece, degli scambi coll'Italia.

Del resto, un'intensificazione ed un consolidamento dell'azione e dell'influenza tedesca in questo Paese non può che convenire a chi, oltre le frontiere jugoslave, non può vedere senza preoccupazione, agli effetti della situazione in Mediterraneo, la possibilità di una stretta intesa fra Jugoslavia ed Italia, sulla base di un esclusivo condominio in Adriatico. Preoccupazione che non motiverebbe, almeno nella stessa misura, una maggiore intimità di rapporti fra Jugoslavia e Germania, la quale potrebbe, d'altra parte, trovare in Balcania, anche se in scala minore, orientamenti e soddisfacimenti contrastabili altrove. La fase presente dell'evoluzione della politica estera jugoslava appare tale, quindi, da giustificare la nostra maggiore attenzione. Aggiungo, per notizia e ad ogni buon fine, che, secondo Stojadinovic, la visita di von Neurath non sarebbe stata predisposta durante l'ultimo incontro di Goering col Principe Reggente, prima della partenza di questi per Londra.

l Vedi p. 846, nota 6.

694

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3872/438 R. Londra. 5 giugno 1937, ore 0,20 (per. ore 6).

Caratteristiche delle giornate ieri ed oggi sono seguenti: l) prevalentemente ottimiste su una rapida soluzione nonché sul prossimo ritorno Italia e Germania nel Comitato; 2) elogi a Eden per il suo pronto intervento 1 e generale approvazione proposte britanniche a Berlino, Roma e Parigi; 3) irritazione in tutti ambienti, compresi laburisti, per opposizione Russia alle proposte britanniche. Tale opposizione che Mosca cerca giustificare sotto pretesto difesa prerogative Comitato plenario quale organo di azione collettivo, viene interpretata a Londra come manovra per prolungare crisi attuale e compromettere riavvicinamento anglo-tedesco. Quest'ultimo è punto verso cui inglesi continuano mostrare maggiori preoccupazioni. Segnalo in connessione con ciò nota Daily Telegraph diretta attribuire alla sola Germania atteggiamento conciliante e quindi ad essa esclusivamente merito rapida soluzione della crisi attuale. Nota giornale ufficioso, dando già come acquisita accettazione tedesca a proposta inglese, dice che tale accettazione è determinata dal desiderio Germania non lasciarsi coinvolgere più oltre situazione spagnuola, dove vorrebbe invece trascinarla l'Italia fascista. Giornali prevedono che governo fascista sarà solo ma non oserà alla fine respingere proposte britanniche, mancando appoggio tedesco. Invio con telegramma

n. 435 testo apparso già riassunto mio fonogramma odierno n. 1522 .

A vendo Eden pregato recarmi da lui domani mattina richiamerò su questa pubblicazione inammissibile sua più seria attenzione 3 .

695

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE l 028 R. Roma, 5 giugno 1937.

Suo telegramma per corriere n. 37 del 2 corr. 4 .

Il governo fascista è oggi ancor meno di ieri interessato a trattative con l'ex-Negus. Se questi tuttavia intende farci pervenire chiare e precise proposte, siamo disposti ad ascoltarle, riservando come ovvio il nostro atteggiamento.

V.E. è autorizzata ad esprimersi in tal senso col cardinale segretario di Stato 5 .

I Vedi p. 896, nota l. 2 Non pubblicati. 3 Si veda in proposito il D. 697. 4 Vedi D. 676. 5 Si veda. per il seguito. il D. 709.

696

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3902/0168 R. Parigi, 5 giugno 1937 (per. il 7).

Miei telegrammi per corriere nn. 086 1 e 087 2 del 17 aprile, 094 del 22 aprile3 , 0121 del 9 maggio 4 e 0126 del 13 maggio u.s. 5 .

Con la corrispondenza sopra menzionata ho avuto l'onore di riferire ragguagliatamente all'E.V. le conversazioni avute con il conte de Saint Quentin, col signor Léger, con il presidente del Consiglio Blum e col signor Michel-Còte circa le trattative iniziate e poi sospese concernenti gli interessi italiani e francesi in A.O.

Tutti concordemente espressero la speranza che il governo fascista si dichiarasse disposto a continuare i negoziati interrotti e mi pregarono di ottenere che V.E. facesse conoscere il suo pensiero al riguardo. Aggiungo a quanto precede che, avendo avuto occasione d'intrattenermi la scorsa settimana col ministro degli Affari Esteri Delbos egli menzionò due impressioni non favorevoli riportate da lui personalmente, e da tutto il governo francese nei riguardi dell'Italia: la sospensione, nell'estate 1936 dell'inaugurazione dell'ossario francese di Pederobba e l'interruzione senza ripresa, dei negoziati per l'A. O. nel marzo scorso. Circa Pederobba mi fu agevole rispondere perché la data dell'inaugurazione dell'ossario era stata lo scorso anno stabilita bensì dal signor Mirauchaux d'accordo con I'On. Carlo Delcroix, ad insaputa però e senza il benestare del governo fascista. La circostanza che il Duce aveva fissato una domenica del giugno corrente per l'inaugurazione dell'ossario suddetto alla quale assisterà S.E. il sottosegretario di Stato alla Guerra mostrava l'interesse del governo fascista per la significativa cerimonia.

Quanto alla sospensione delle trattative per l'A. O., dissi al signor Delbos che essa non era stata, come egli mi aveva detto, improvvisa. Avevamo scambiato idee per oltre due settimane; i delegati francesi ci avevano presentato varie domande e noi avevamo loro risposto che esse avrebbero dovuto essere diligentemente esaminata dai competenti dicasteri, cosicché sembrava opportuno sospendere i nostri lavori, tanto più che ci trovavamo alla vigilia delle ferie pasquali.

t Vedi D. 476.

2 T. 2769/087 R. Riferiva di avere appreso dall"ambasciatore de Saint Quentin che il governo francese non approvava il punto relativo al diritto di riscatto della ferrovia Gibuti-Addis Abeba da parte del governo italiano così come era formulato nel progetto di accordo parafato il 19 marzo dall'ambasciatore Cerruti e dal presidente della Compagnia ferroviaria, Miche! Còte.

3 T. 874/094 R. del 22 aprile. Riferiva su un colloquio con Léger che aveva chiesto se veramente il governo italiano aveva l'intenzione di riprendere i negoziati per l'Africa Orientale, poiché al Quai d'Orsay si era radicata la convinzione che da parte italiana non si intendesse giungere ad una conclusione positiva delle trattative. Dopo aver ricevuto le assicurazioni di Cerruti, Léger aveva dichiarato che forse il governo francese poteva fare delle concessioni in materia di tariffe per le merci in transito dal porto di Gibuti qualora avesse costatato che il governo italiano intendeva riconoscere e proteggere gli interessi francesi in Etiopia.

4 Vedi D. 568.

5 T. per corriere 3346/126 R. del 13 maggio. Riferiva su un colloquio con il presidente della Compagnia ferroviaria Gibuti-Addis Abeba che aveva espresso la speranza di vedere presto realizzato un accordo definitivo, cosi da togliere la Compagnia dallo stato di incertezza in cui si trovava.

Prima ancora che tale esame fosse terminato avevo peraltro fatto conoscere in via diplomatica alla fine di aprile al Quai d'Orsay le obiezioni di vario genere che le richieste francesi avevano sollevato da parte italiana, insistendo sopratutto sulla loro portata politica che era in contraddizione con lo spirito degli accordi di Roma del gennaio 1935-XIII. Il signor Delbos rispose che egli personalmente ignorava le richieste francesi che erano bensì state formulate dal ministero delle Colonie d'accordo con gli uffici del Quai d'Orsay ma che non avevano finora formato oggetto di esame da parte del ministro degli Affari Esteri, né del Gabinetto. Pertanto le nostre eventuali controproposte sarebbero state esaminate con spirito conciliativo, ma evidentemente occorreva che esse venissero formulate. Il silenzio da noi serbato dava infatti al governo francese la sensazione spiacevole che il governo fascista non intendesse far alcun caso degli interessi francesi in A.O. e ciò che è ancora peggio, ammettere che ne possano sussistere, nemmeno di economici, in Etiopia. Egli si augurava di ingannarsi, ma il governo fascista doveva rendersi conto che il suo silenzio non era il mezzo migliore per ispirare fiducia al governo francese circa le sue reali intenzioni nei riguardi degli interessi economici francesi in A.O. e sopratutto della ferrovia. Pertanto mi rinnovava la preghiera di ottenere da V.E. una ripresa sollecita dei negoziati sospesi.

Circa la ferrovia che, dal giorno della nostra conquista totale dell'Etiopia ad oggi investì, a detta del suo presidente signor Michel-Còte, quaranta milioni di franchi in nuove locomotive e materiale rotabile nonché nel rafforzamento della linea, il sistema vigente di un accordo improvviso 1 che si rinnova di mese in mese non è certo soddisfacente. Si comprende che il Consiglio di amministrazione, in vista sopratutto dell'accordo intervenuto e parafato a Parigi ma non ancora applicato mancando del consenso del governo francese, desideri che i rapporti fra il governo fascista e la ferrovia riposino sopra una base solida, tale da garantire non soltanto il pagamento degli interessi e dell'ammortamento del capitale impiegato nella costruzione della linea, ma anche di quello recentemente investito in migliorie.

Nel discorso del 13 maggio scorso alla Camera dei Deputati, l'E.V. ha dichiarato che non esistono tra l'Italia e la Francia questioni essenziali che le dividano in maniera profonda e che l'Italia attende, senza impazienza, ma anche senza sterili recriminazioni, una rettifica che da parte francese significhi l'intenzione di ricondurre su un nuovo piano i rapporti dei due Paesi.

Questa attesa riguarda evidentemente altri campi politici, non quello degli interessi rerciproci nell'A.O. perché la Francia ci ha fatto proposte che se non sono accettabili da parte dell'Italia possono, però, a mio giudizio, essere controbattute con speranza di trovare un terreno di intesa.

La Francia odierna è quella che è, ma rimane una nazione latina che ragiona. Se si vuole concludere qualcosa con essa occorre discorrere per ottenere che tenga conto degli argomenti fondati che le vengano sottoposti. Ci vuole spesso molta pazienza e sempre perseveranza, ma è per questo che esistono i diplomatici.

V.E. ha veduto che non tralasciando di parlare si è riusciti a risolvere la delicata questione dell'ospedale italiano di Tunisi che da principio aveva incontrato a Parigi un'opposizione che sembrava insormontabile.

I Sic. Leggasi: «provvisorio».

Blum va preso per il suo verso; è meglio mostrare di avere fiducia nelle buone disposizioni che egli sempre dichiara di nutrire verso tutti gli Stati esteri. Ancora recentemente mi ha detto di rivolgermi direttamente a lui se trovavo difficoltà al Quai d'Orsay. Propenderei quindi per una linea di condotta che consistesse nel far conoscere, da principio soltanto in via diplomatica, quali sono le nostre contro-proposte a quelle francesi circa l'A.O. esponendo tutti gli argomenti atti a provare il loro buon fondamento. Se le reazioni francesi fossero favorevoli, si potrebbe in un secondo tempo riprendere i negoziati interrotti.

Ciò mi sembra del resto essere conforme a quanto V.E. mi ha scritto in fine del telegramma per corriere n. 771-R d eli' Il aprile scorso 1 , vale a dire che da parte nostra si continua ad essere desiderosi di pervenire ad un'intesa con la Francia per la sistemazione dei reciproci rapporti in A.O., sistemazione che dovrà però ispirarsi alla nuova situazione esistente in detta regione nonché ad una valutazione più alta degli interessi dei due Paesi.

697

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3914/0173 R. Londra, 5 giugno 193 7 (per. il 7).

Eden mi ha ieri fatto telefonare dicendomi se potevo passare stamane da lui. Riferisco con esattezza, oso dire fotografica, il nostro colloquio.

Eden ha cominciato col dirmi che a seguito della sua informazione sommaria datami avantieri sul contenuto del progetto britannico 2 per la soluzione della crisi determinatasi in seguito ai tragici fatti di Palma e lbiza e delle istruzioni inviate a tal riguardo agli ambasciatori britannici a Berlino. Roma e Parigi, egli desiderava avere con me uno scambio di idee per conoscere quali erano le impressioni di V.E., e, in attesa di queste ultime, quali fossero le mie eventuali osservazioni sui tre punti dello schema britannico. Eden ha continuato dicendo che da un dispaccio giunto ieri sera da Henderson e da una conversazione avuta stamani con Corbin, egli doveva concludere che le reazioni tanto a Berlino quanto a Parigi erano in linea di massima favorevoli. Il resoconto del colloquio fra il conte Ciano e Drummond3, di cui dànno notizia i giornali di stamane, non è ancora giunto. «Il nostro ambasciatore a Berlino -ha continuato Eden -informa che il governo tedesco gli ha comunicato di essere d'accordo sul punto n. l (richiesta alle due parti in Spagna di uniformarsi alle regole stabilite e da stabilirsi sul controllo navale), il

l Vedi D. 445.

2 Si veda a tale proposito il D. 691.

3 Di tale colloquio, avvenuto il 4 giugno, non è stata trovata documentazione. Secondo quanto riferiva l'ambasciatore Drummond, Ciano. dopo aver ricevuto il promemoria britannico, aveva dichiarato di non poter dare subito una risposta essendo in corso dei contatti con il governo tedesco (vedi BD, vol. XVIII, D. 578, nota 1).

governo tedesco è pure d'accordo sul punto n. 2 (costituzione di zone di ancoraggio di sicurezza). Circa il 3° punto (consultazione fra le quattro Potenze navali in caso di incidenti) il governo tedesco mi ha fatto sapere che, pure accettando il principio delle consultazioni, non ritiene questo sufficiente e propone senz'altro una formula secondo la quale ciascuna delle quattro Potenze navali dovrebbe essere preventivamente autorizzata ad una sanzione immediata contro la parte responsabile di eventuali attacchi: e dovrebbe essere preventivamente deciso che tale sanzione individuale di una delle quattro Potenze viene fatta in nome e per mandato delle quattro Potenze navali collettivamente. Evidentemente -Eden ha continuato -la formula proposta dalla Germania non può essere accolta nella sua integrità in quanto che sarebbe difficile stabilire una specie di mandato preventivo da parte delle quattro Potenze a una sanzione isolata da farsi in nome e per conto delle quattro Potenze collettivamente. La Germania, in altre parole, proporrebbe, in caso di aggressione non provocata da parte di una delle due parti in Spagna contro una delle Potenze navali incaricate del controllo, di applicare delle sanzioni secondo un principio e una interpretazione ancora più estensiva di quella che è l'azione collettiva prevista dall'art. 16 del Covenant. La Germania che non vuole saperne di Ginevra e dell'art. 16, propone dunque essa stessa una formula di «sanzioni per mandato» quale è stata sostenuta a Ginevra dalla Francia e dalla Russia. Ma a parte queste considerazioni, ritengo che nella formula proposta a Berlino vi sia comunque del buono, e che accanto al principio delle consultazioni si possa al terzo punto del nostro progetto inserire anche il concetto dell'azione da prendersi di concerto fra le quattro Potenze navali: Italia, Francia, Germania e Inghilterra. La risposta data da Parigi --Eden ha continuato -è essa pure incoraggiante. Il governo francese trova e troverà delle difficoltà per fare approvare dalle estreme sinistre il progetto britannico ma non credo che alla fine avremo da Parigi degli ostacoli seri: sono anche persuaso che il governo francese non rifiuterebbe di entrare in discussione sul principio delle controproposte tedesche. Non vi nascondo che sono piuttosto ansioso di conoscere quale è il punto di vista dell'Italia. Spero che non mancherà ai nostri comuni sforzi il contributo prezioso e positivo da parte del governo italiano. Mi domando anche se, date le risposte incoraggianti "già ricevute da Berlino e da Parigi e quella che spero giungerà parimenti da Roma, non sia opportuno avere qui a Londra nei primi giorni della prossima settimana una riunione preliminare e «informai» dei rappresentanti delle quattro Potenze, e cioè i tre ambasciatori di Germania d'Italia e di Francia e il sottoscritto, per esaminare insieme quali sono i punti d'accordo e di disaccordo e le possibilità per un progetto comune. Ho già comunicato questa idea al governo tedesco e a quello francese. Vi sarei grato di farvi tramite di questa comunicazione al conte Ciano».

Ho risposto a Eden che l'avrei fatto, ma che non potevo anticipargli nulla su quella che sarà la risposta di V.E. e neppure sul punto di vista in genere del governo fascista sul progetto britannico. Ho consigliato Eden di attendere quindi il dispaccio di Drummond. A titolo personale ho detto a Eden che vi è un punto preliminare,

o meglio pregiudiziale, sul quale bisognava mettersi anzitutto d'accordo, e cioè sull'impegno concorde delle quattro Potenze di resistere con uguale determinazione ai tentativi aperti e subdoli che il governo sovietico sta facendo, e sopratutto farà, per fare naufragare in seno al Comitato delle 27 Potenze navali incaricate del controllo sulle coste della Spagna l'esclusiva competenza a consultarsi e ad agire in caso di eventuali attacchi o incidenti. «È fin troppo chiaro già sin d'ora -ho continuato -che il governo sovietico cercherà di sobillare Parigi, Londra e le minori Potenze che fanno parte dell'accordo di non-intervento, perché qualsiasi progetto, anche soltanto del tipo di quello proposto dal governo britannico, sia respinto. In secondo luogo -ho aggiunto sempre a titolo personale -mi sembra necessario definire in un modo chiaro che qualsiasi azione individuale o collettiva delle quattro Potenze non ha nulla a che vedere, neppure per indiretta analogia, coi metodi ginevrini dell'azione collettiva e con l'interpretazione più o meno estensiva dell'art. 16. Per tutto il resto, ho concluso, il governo fascista risponderà dopo avere esaminato il progetto britannico e su tale risposta io non sono certo in grado di fare anticipazioni di sorta. Ma giacché-ho continuato-ne ho l'opportunità, non posso fare a meno di richiamare la vostra più seria attenzione su qualche pubblicazione della stampa britannica di questi giorni, particolarmente sulla nota del redattore diplomatico del Daily Telegraph di ieri 1 , in cui si tenta di attribuire esclusivamente alla buona volontà della Germania e allo spirito conciliativo del Fiihrer la soluzione in vista, della crisi determinatasi in seguito ai tragici fatti di Palma e di Ibiza e in cui si tenta di attribuire al Duce e al governo fascista l'intenzione di sollevare difficoltà e anche di respingere addirittura il progetto e cogliere il pretesto per svincolarsi dagli impegni dell'Accordo di non intervento. Sono certo voi sarete d'accordo con me nel giudicare questo genere di pubblicazioni assolutamente deplorevoli in quanto che esse, oltre che falsare l'evidente realtà dei fatti avvenuti, tentano di rappresentare l'intera situazione con una subdola tendenziosità. Io sono personalmente convinto che il bombardamento di Almeria da parte della flotta tedesca sia stata un'azione di rappresaglia legittima, giustificata e necessaria, ed è superfluo dirvi ancora una volta che l'Italia fascista è stata, e sarà solidale con la Germania sino in fondo. L'Italia, dopo i non meno tragici fatti di Palma, ha preferito, prima di adottare una qualsiasi azione di legittima e diretta rappresaglia, di investire della questione il Comitato di Londra per conto del quale le navi italiane, oggetto degli attacchi dei rossi spagnuoli, esercitavano le operazioni di controllo. Questa differenza tra l'azione della Germania e l'azione dell'Italia avrebbe dovuto portare logicamente, sopratutto e proprio gli Inglesi, a considerazioni ben diverse da quelle contenute nella nota del semi-ufficioso Daily Telegraph di ieri. Che sia avvenuto esattamente il contrario dimostra che uno stato d'animo deliberatamente ostile e tendenzioso esiste da parte britannica per tutto quanto si riferisce all'Italia fascista, e ciò evidentemente non può mancare di produrre in Italia gli effetti conseguenti».

Eden, dopo avere scorso attentamente la pubblicazione del Daily Telegraph che avevo con me e che egli ha trattenuto, mi ha detto testualmente: «Deploro nel modo più formale questa sciocca pubblicazione e ne riconosco con voi la falsità e la tendenziosità. Dopo i tragici fatti di Palma 2 il governo italiano si è comportato con una moderazione e con un senso di responsabilità internazionale quale certo la Germania non ha mostrato di possedere. Quando martedì scorso alla Camera dei Comuni io ho, nelle mie dichiarazioni, biasimato apertamente la rappresaglia tedesca

I Si veda in proposito il D. 694. 2 Vedi p. 878, nota l.

di Almeria, era mia intenzione di accennare anche alla diversa attitudine assunta dall'Italia dopo i tragici fatti di Palma. Non l'ho fatto nel timore che a Roma ciò potesse essere interpretato come dettato dall'intenzione di gettare un'ombra fra Roma e Berlino».

Ho interrotto Eden dicendo che egli aveva fatto assai bene ad omettere qualsiasi riferimento all'Italia, ed ho profittato dell'occasione per confermargli ancora una volta che la solidarietà tra Roma e Berlino è piena e assoluta, malgrado la campagna che si sta facendo in Inghilterra in tutti gli ambienti politici per dimostrare il contrario.

«Vi posso dichiarare, ha replicato Eden che io ed il governo britannico non abbiamo nulla a che fare colla campagna alla quale voi accennate, ma sta di fatto che tutti o quasi tutti in Inghilterra sono in questo momento persuasi di tre cose: lo -che la Germania desidera effettivamente disimpegnarsi dalla Spagna; 2° -che l'Italia, al contrario, non foss'altro che per il fatto obbiettivo del maggiore interesse politico che la Spagna rappresenta per l'Italia, desidera impegnarsi in Spagna più di quello che già non attualmente sia; 3° -che l'Italia cerca di convincere la Germania riluttante a seguirla su questa strada. Che il governo tedesco -ha continuato Eden -desideri di disimpegnarsi dalla Spagna è stato effettivamente detto dal governo tedesco a quello britannico. Nulla invece risulta al governo britannico su quello che effettivamente pensi o si riprometta di fare il governo italiano. Tutto questo che io dico non è affatto-ha continuato Eden-per giustificare la pubblicazione del Daily Telegraph che, ripeto, io deploro nel modo più preciso, ma per spiegare alcune delle tendenze, che si sono manifestate in queste ultime settimane in Inghilterra, di simpatia verso la Germania. Il sentimento del pubblico inglese (non parlo, del governo) è di sospetto, di prevenzioni e, diciamolo pure, di ostilità nei riguardi dell'azione che l'Italia e la Germania hanno intrapreso in Spagna, specie in questi ultimi mesi, da quando cioè grosse formazioni militari, o meglio, contingenti effettivamente impressionanti di volontari italiani e tedeschi sono affluiti in Spagna. La Germania ci fa adesso sapere, e non lo nasconde neppure al pubblico britannico, che è disposta a mettere fine all'avventura spagnuola. La reazione favorevole del pubblico britannico nei riguardi della Germania è stata istantanea; di più, la Germania appare agli occhi inglesi come trascinata nolente dalla volontà dell'Italia. Fino a che punto questa versione corrisponde alla realtà, io non lo so. Quello che consta al governo britannico come dato di fatto, ve l'ho già detto. Vi posso aggiungere, e vi prego di credermi sebbene io sappia delle diffidenze che si nutrono in Italia verso la mia azione, che io vorrei sinceramente un miglioramento effettivo solido e duraturo nelle relazioni fra Italia e Inghilterra, una conciliazione definitiva e senza riserva fra i nostri due Paesi. Dopo quello che è accaduto in queste ultime settimane io mi domando se effettivamente ciò è ancora possibile. Lo domando sopratutto a voi. Rispondetemi con assoluta franchezza. In Italia si continua a credere che il riarmo britannico sia diretto contro il vostro Paese. Questa errata impressione del pubblico italiano sul riarmo britannico, e le impressioni sugli obbiettivi dell'azione militare italiana in Spagna sono le due cause principali del rinnovato deterioramento delle relazioni italo-brittanniche in questi ultimi tempi. Ma, mi domando, vi è rimedio a tutto ciò? Voi sapete perfettamente che il riarmo britannico non è diretto contro l'Italia. Esso è diretto contro tutti e contro nessuno. L'Inghilterra vuole la pace. Credeva di assicurare la pace col disarmo. L'esperienza ha dimostrato che il disarmo non è possibile. Adesso l'Inghilterra si arma ritenendo di potere colle armi garantire quella pace che essa ha sperato invano poter assicurare con un impossibile disarmo. Voi sapete, d'altra parte, poiché parecchie volte in conversazioni confidenziali non ve l'ho nascosto, che non è l'Italia che l'Inghilterra considera come un suo possibile potenziale nemico. Voi comprenderete esattamente qual'è l'altro Paese a cui mi riferisco».

Ho detto a Eden che gli avrei risposto con la franchezza con cui sempre gli ho parlato. Ho cominciato col dire che per quanto riguarda le asserite differenze fra l'attitudine di Berlino c quella di Roma sulla situazione spagnuola ciò era assolutamente errato. «Per quanto io non possa essere al corrente-ho continuato -~che in un modo sommario degli scambi di vedute costanti e quotidiani tra Roma e Berlino, credo di poter dichiarare nel modo più certo che nessuna differenza esiste fra il governo fascista e quello nazista nel modo come regolare la propria azione comune nei riguardi della situazione spagnuola. Per quanto si riferisce alle amicizie

o alle inimicizie, potenziali o in atto, dell'Inghilterra, ho osservato a Eden che gli amici o i nemici essendo destinati quasi sempre a rivelarsi come tali soltanto nel futuro, essi non sono conosciuti se non da Dio. Mi limitavo a prendere atto che il solo giornale in Inghilterra il quale abbia durante le ultime tre settimane cercato di mettere un po' d'acqua sugli improvvisi entusiasmi per un riavvicinamento anglo-nazista, come riflesso dell'attrito anglo-fascista, è stato effettivamente il giornale di Eden la Yorkshire-Post (Vedi mio rapporto n. 2282/929) 1• Ho ricordato a Eden la frase seguente che ha fatto il giro di Londra in questi giorni: «Di <mti-tedeschi, in tutta l'Inghilterra non sono rimasti ormai che tre persone: Eden, Vansittart e Duff-Cooper».

«Tornando al serio-ho continuato-vi smentisco nel modo più categorico che il governo fascista o il popolo italiano abbiano considerato, con preoccupazione e con ostilità, le notizie circa i nuovi programmi di riarmo britannico annunciati alla fine di febbraio. Non ho che a ripetere e a ricordare, su questo punto, quello che ha tanto chiaramente detto e illustrato il conte Ciano due settimane fa alla Camera dei Deputati. L'Italia è perfettamente tranquilla sul riarmo britannico semplicemente perché, come è logico e naturale, si arma e si armerà sempre di più. È vero che verso la fine di febbraio si sono riacutizzati i rapporti italo-brittannici, ma ciò è dovuto esclusivamente all'improvvisa e ingiusta ostilità determinatasi precisamente alla fine di febbraio in Inghilterra contro la nostra pretesa azione di intervento in Spagna, ostilità preconcetta e ingiustificata che poi è esplosa in una campagna di diffamazione giornalistica la quale è continuata ininterrotta, con alti e bassi, dal 14 marzo fino all'8 maggio. La mia memoria è buona e potrei farvi un diagramma esatto e documentato della situazione giornaliera di questi ultimi due mesi. Sarebbe facile dimostrare, in un complessivo bilancio delle responsabilità e delle cause, che la responsabilità del deterioramento indubbio delle relazioni italo-brittanniche, negli ultimi tre mesi spetta interamente all'Inghilterra. Voi mi domandate se ritengo possibile riparare ai danni. Io credo di si. È perfettamente esatto che l'intero popolo italiano non ha dubbi ormai sull'ostilità brittannica nei riguardi dell'Italia fasci:sta. Come potrebbe essere altrimenti? Il riarmo britannico

l Non rinvenuto.

non c'entra, ma non vi è in Italia un solo <momo della strada», per usare la frase di prammatica cara alla democrazia brittannica, il quale non faccia fra sé e sé questo lapalissiano ragionamento, che del resto faccio io stesso: se fosse vero, come gli inglesi dichiarano, che l'Inghilterra non nutre né rancore né speranze di rivincita ed ha accettato definitivamente il fatto compiuto dell'Impero Italiano in Africa, essa avrebbe certo già formalmente riconosciuto la sovranità italiana in Etiopia, senza ulteriore indugio.

Ciò l'Inghilterra non ha fatto e non fa, ed evidentemente questo l'Inghilterra non farà, io <momo della strada» italiano, non posso essere tratto alla convinzione che l'Inghilterra ha l'effettiva intenzione di tornare ad essere l'amica di un tempo. Io aggiungo per conto mio un'altra osservazione: il governo britannico, e voi Eden in particolare, avete preso a Ginevra l'iniziativa (leadership) delle sanzioni contro l'Italia. Dopo avere constatato che le sanzioni non avevano funzionato, il governo britannico, e voi personalmente, avete avuto, con un certo innegabile coraggio e senso pratico, preso l'iniziativa (leadership) senza attendere le cosidette consultazioni ginevrine, di revocare le sanzioni, poscia di dichiarare decaduti gli accordi mediterranei, in seguito di ritirare la guardia brittannica in Addis Abeba, poi di abolire la Legazione brittannica in Addis Abeba, e da ultimo concludere il Gentlemen 's Agreement con l'Italia. Tutto ciò, ripeto, senza attendere il beneplacito di Ginevra, resistendo sempre alle pressioni contrarie della Francia, e trascinando poscia la medesima a decisioni analoghe. Poiché dopo la conclusione del Gentlemen 's Agreement vi è stata una fermata improvvisa nell'azione brittannica, che sembrava ormai diretta a spazzare uno dopo l'altro i residui della questione etiopica? Anch'io, come l'«uomo della strada italiano», ho oggi i miei dubbi e le mie perplessità sugli attuali effettivi obbiettivi della politica britannica nei confronti dell'Italia».

Eden mi ha interrotto vivacemente a questo punto e mi ha detto: «Se io ritenessi che il riconoscimento de jure della sovranità italiana in Etiopia potesse veramente distendere i rapporti itala-britannici e mettere le relazioni fra i nostri due Paesi su una strada solida e sicura senza il pericolo di possibili nuovi oscuramenti e congelamenti, io procederei subito e senz 'altro a fare quello che comunque un giorno

o l'altro sarà fatto per la forza stessa dell'inerzia degli eventi. Ma quali prospettive di un miglioramento effettivo avrebbe oramai un gesto simile dopo i risultati sostanzialmente negativi dei gesti precedenti? Quale effetto avrebbe il riconoscimento formale della sovranità italiana in Etiopia sulle relazioni itala-britanniche, quando ancora l'orizzonte del Mediterraneo è pieno di incognite in relazione alla situazione spagnuola? Quali sono i veri obbiettivi dell'azione italiana in Spagna? Difesa contro il comunismo, voi mi avete risposto sempre, e mi rispondete. Ma l'Inghilterra non può dimenticare che l'Italia fascista ha nel passato potuto collaborare colla Russia sovietica senza venire meno con questo ai principi del fascismo. E allora qual'è l'obbiettivo politico dell'Italia in Spagna? Queste domande non me le pongo, ma se le pone il pubblico britannico. Vi è una domanda che invece pongo a me stesso, ed è la seguente: È l'Europa matura per un raggiustamento generale del quale la questione spagnuola dovrebbe naturalmente far parte? La Germania ci dice di si; che cosa dice l'Italia? Voi mi dite che il riconoscimento della sovranità italiana in Abissinia, ossia la chiusura definitiva di quest'ultimo residuato della questione etiopica, migliorerebbe istantaneamente le relazioni itala-britanniche. Ma non sarebbero esse di nuovo e subito avvelenate dalla situazione incerta e precaria nel Mediterraneo Occidentale? Ad ogni modo io rifletterò seriamente alle cose che mi avete detto, che considero importanti e sotto molti aspetti convincenti. Ne parlerò ai miei colleghi di Gabinetto e mi auguro di poter presto riprendere a questo punto la nostra conversazione». Questo il mio colloquio con Eden.

Le impressioni e le considerazioni che io sarei indotto a trarre, mettendo sopratutto le parole di Eden in rapporto colla situazione di queste ultime settimane, sono varie e complesse. Mi limiterò soltanto a rilevare che Eden parlava stamane con una franchezza insolita e che quest'ultima non era soltanto l'effetto -come Eden ha cercato di far credere -della confidenza dei cosidetti buoni rapporti personali. L'ondata di filo-nazismo, sviluppatasi in margine all'attrito italo-britannico, e alimentata con tutti i mezzi e strumenti possibili da Berlino, comincia ad impressionare quelli che io ho chiamato, parlando con Eden, i pochi superstiti anti-tedeschi ormai rimasti in Inghilterra. Questi ultimi, pur essendo trattenuti dallo spettro della azione italiana in Spagna, vorrebbero equilibrare con una ragionevole ripresa delle relazioni coll'Italia lo sproporzionato e pericoloso entusiasmo al quale si è lasciato andare il pubblico britannico ultimamente per la Germania nazista e che è in gran parte dovuto, ripeto, al riflesso del sentimento di ostilità anti-italiana. Questa ostilità, bisogna riconoscerlo, è passata, sopratutto durante le ultime settimane e forse per la prima volta dallo stesso inizio della questione abissina, dai gruppi antifascisti in mezzo al diffuso pubblico britannico. Accanto a tutto questo vi è un altro fatto di attualità fresca, e cioè le notizie da Roma, giunte proprio stamane, su una alleanza difensiva che sarebbe stata conclusa fra Italia e Germania durante la visita di Blomberg al Duce. Queste notizie hanno fatto un'effettiva e salutare impressione su tutti, compreso lo stesso Eden, e rappresentano un correttivo alle conclusioni che erano state tratte in Inghilterra dopo la visita di Blomberg a Londra. È vero che corrispondenze da Berlino, negli stessi giornali di stamane, smentiscono con una fretta preoccupata e forse eccessiva, queste notizie. Ma è fuori dubbio che, con smentite o senza smentite, lo spettro di un'intesa concreta tra Roma e Berlino fa sempre in mezzo a questa gente degli effetti prodigiosi.

Ad ogni modo io credo che le parole di Eden, senza dare ad esse una esagerata importanza, meritano la pena di essere registrate.

698

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2283/930. Londra, 5 giugno 1937 (per. 1'11).

L'assenza di Eden da Londra ha, durante la scorsa settimana, spostato i lavori della Conferenza Imperiale dal terreno di politica estera -che aveva assorbito quasi completamente l'attenzione dei delegati nella prima fase delle sedute -su quello degli altri argomenti all'ordine del giorno ed in particolare sui problemi della difesa e della politica economica imperiale.

Mentre per quanto riguarda i risultati delle discussioni relative alla difesa mi riservo riferire in un secondo tempo -quando anche esse avranno portato ad un più concreto e organico risultato -mi sembra utile segnalare sin d'ora il risalto che alle conversazioni in materia economica e commerciale della Conferenza hanno contribuito a dare le trattative commerciali in corso tra Stati Uniti e Gran Bretagna.

Ho ripetutamente avuto occasione di mettere in rilievo l'importanza che da parte della Inghilterra viene attribuita alla conclusione di un accordo economico con gli Stati Uniti anche, in notevolissima misura, per motivi d'ordine politico. Di fronte al fallimento societario, una collaborazione sempre più intima con gli Stati Uniti si è andata delineando come una desiderabile possibilità, non solo utile ai diretti interessi del Regno Unito, ma che contemporaneamente soddisfa, nel campo sentimentale, l'opinione pubblica inglese, offrendole un controaltare con cui riempire il vuoto creato dalla caduta dell'idolo ginevrino. Il tema «collaborazione tra le grandi democrazie occidentali» ha già sostituito in buona misura, quello della «sicurezza collettiva», ricorrente e quasi di prammatica, durante il recente passato, in ogni commento o presentazione di questioni di politica internazionale. È un tema che oltre tutto ha il merito di inquadrarsi, ed in certo modo di integrarsi, con la nuova formula di moda della «Lega delle nazioni del Commonwealth britannico». Infine, un tema che, per ragioni di ordine geografico e sentimentale, trova responso nei singoli Domini e che motivi di vario ordine hanno -nel corso degli ultimi mesi -contribuito a diffondere nella stessa opinione pubblica americana.

Mentre non vi è cenno che le difficoltà fondamentali, tutt'altro che lievi, che hanno sinora impedito la conclusione del desiderato accordo siano state risolte (per citarne le maggiori: stabilizzazione monetaria, debiti di guerra, bilancia commerciale nettamente a favore degli Stati Uniti ed alla quale questi ultimi non sanno facilmente rinunciare, conflitto fra il principio dei recenti accordi bilaterali conclusi dall'Inghilterra e quello della formula della Nazione più favorita sostenuto da Cordell Hull, interferenza degli Accordi di Ottawa) è sintomatica l'insistenza degli articoli, delle corrispondenze, dei commenti che dalle colonne di pressoché tutti i giornali auspicano ed incoraggiano il raggiungimento di una intesa anglo-americana, anche con la esplicita limitazione, dal punto di vista commerciale, che «l'effetto psicologico di un accordo tra Stati Uniti e Gran Bretagna sorpasserà in ogni modo e di gran lunga le sue possibili conseguenze economiche» (Times):

Non meno interessante è l'impostazione stessa che è stata data alle discussioni in materia. Nelle «conversazioni intese ad accertare le possibilità di negoziati» come un giornale descrive le trattative anglo-americane di Washington -sarebbe emersa una presentazione esemplificativa delle concessioni che da un lato gli Stati Uniti sarebbero disposti a fare alla Inghilterra ed ai Domini, dall'altro le concessioni che gli Stati Uniti richiedono in contropartita alla Gran Bretagna. Quest'ultime consistono per lo più in una vera e propria modifica delle tariffe preferenziali concesse ai prodotti agricoli dei Domini, ed investono pertanto la base stessa degli accordi di Ottawa. L'argomento è delicato e necessiterà di essere sottoposto al previo esame dei governi dei Domini interessati. Tuttavia il miraggio di poter condurre l'economia emericana ad integrare l'ambizioso progetto di una più grande Ottawa che abbracci Impero britannico e Stati Uniti, è certo allettante e spiega in gran parte l'importanza che viene qui annessa al raggiungimento di qualche risultato ancorché esso, come scrive il Daily Telegraph, «possa al principio sembrare piccolo».

Tra gli articoli e commenti di cui trasmetto qui uniti i ritagli, segnalo in particolare quello di Sir George Schuster nota personalità del mondo finanziario e politico britannico intitolato: «Una occasione da non lasciarsi sfuggire» 1 .

699

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 510/202. Stoccolma, 5 giugno 1937 (per. il 15).

Ho ricevuto, coll'ultimo corriere, copia di vari rapporti delle nostre Rappresentanze concernenti i progetti, i conciliaboli, gli intrighi, le incertezze e le chiacchiere corse in previsione dell'Assemblea straordinaria ginevrina testè conchiusasi, per quanto riguarda l'ammissione della delegazione dell'ex-Negus e le possibilità o meno di valersi dell'occasione per sistemare il conflitto fra l'Italia e la Lega.

Credo utile porre in chiaro che, oltre il problema Italia-Lega, certi Stati, ed in prima linea la Svezia, si preoccupavano della questione di normalizzare la situazione delle loro rappresentanze in Italia. Qui, ad esempio, si dava importanza a qualche fatto ginevrino, non tanto perché necessariamente l'Italia dovesse ritenersene soddisfatta con conseguente suo ritorno all'ovile (cosa che si riteneva dubbia) ma in quanto che tal fatto avrebbe dovuto permettere al signor Wirsén di presentare le sue lettere al Re-Imperatore, senza venir meno alla fedeltà ginevrina e risolvendo una situazione che il segretario generale Giinther mi ha definito come «semplicemente grottesca». Non v'è dubbio che il rifiuto della Commissione di verifica dei poteri ad ammettere quelli della delegazione tafariana, convalidato apertamente o tacitamente dall'Assemblea, era ritenuto per l'appunto il fatto sufficiente, da solo, a permettere alla Svezia ed agli altri che si trovano nelle stesse condizioni, di accreditare i nuovi ministri a Roma.

Su questo argomento, cioè l'incapacità dell'Etiopia tafariana ad essere considerata membro, il signor Sandler ha conferito a Londra 2 col signor Eden, rimanendo d'accordo sulla eventuale negativa al riconoscimento dei poteri della delegazione. Senonché, al tempo stesso che si apriva lo spiraglio, esso veniva chiuso, come riferii col mio telespresso n. 304/128 del 30 marzo3 : perché è ora chiaro che il signor Eden ha contemporaneamente informato il Sandler che la delegazione etiopica non si sarebbe presentata a Ginevra: cioè, quanto allora il signor Giinther mi espresse come una spiacevole eventualità, era già una notizia precisa.

I due illustri interlocutori non sembra siano andati oltre la constatazione della «insormontabile» difficoltà che ne derivava. Il signor Sandler mi ha l'altro giorno di nuovo, e coll'accento della verità, negato che di alcun progetto di altra soluzione

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi p. 436, nota 2. 3 Vedi D. 363.

di ripiego, in caso di assenteismo etiopico, si sia fatto parola fra lui ed il ministro britannico. Se la delegazione etiopica si fosse presentata, la procedura era chiara ed il progetto bell'e fatto. Se non si presentava, tutto cadeva, perché nessuno avrebbe preso l'iniziativa per provocare, con procedura positiva, ciò che doveva automaticamente compiersi colla procedura negativa della verifica dei poteri. Falso quindi, continuò il Sandler, ch'io sia andato a Ginevra con certi piani, che avrei poi rinfoderato sul luogo: non avevo piani, e non potevo averne, perché già sapevo che la delegazione etiopica non si sarebbe presentata, e, in tal caso, ogni piano era inutile; ed io, d'accordo cogli altri nordici, iniziative non ne volevo prendere in alcun modo. Sull'inesistenza di un progetto Sandler, e sulle origini verosimili delle voci in proposito, ho riferito, prima dell'Assemblea, coi miei telegrammi 17 e 18 1 .

Da notare tuttavia la non direi speranza ma ipotesi che il segretario della Lega potesse o sapesse soccorrere lui alla paralisi dei governi, con qualche trovata di propria invenzione. Me ne accennò il signor Giinther, come dal mio telegramma

17. I fatti hanno poi dimostrato che ciò era una speranza vana, un'illusione: il Segretariato d'oggi non è che un'ombra di ciò che fu nel passato e, per l'abulia o il partigianismo dei suoi dirigenti, sembra aver perduto quella capacità di influire e di creare ambienti e possibilità che non gli mancò ai tempi del Drummond: solo restandogli quella, poco invidiabile, di ritardare e di peggiorare le situazioni e di protocollare diligentemente le scissioni e gli errori, a tutto danno e tradimento dell'Istituto che dovrebbe lealmente servire.

Ho poi chiesto (ben inteso, a titolo di pura curiosità personale) al signor Sandler se, in base a questo nuovo collasso di Ginevra, il signor Wirsén avrebbe visto prolungarsi fino a settembre i suoi ozi. Feci anche notare al ministro (sempre da osservatore) che, nel settembre scorso, la soluzione del conflitto era stata impedita dalla volontà di parecchi (fra cui dalla sua) e quindi era logico che il governo svedese si rifiutasse di riconoscere il fatto compiuto della scomparsa dell'Etiopia tafariana e di accreditare un ministro presso il nuovo Imperatore d'Etiopia. Questo maggio, invece, la mancanza di un atto equivalente era avvenuta contro la volontà della maggioranza, compresa la sua: egli e gli altri erano le vittime, non gli agenti, della deficienza di una procedura formale che si era già positivamente compiuta nei loro animi. Si adattava egli a subire questa grottesca situazione? Mi rispose che, comunque si giudicasse la situazione, nulla era giuridicamente mutato e che egli era costretto a tirare le conseguenze che ne tiravano anche gli altri. A proposito dei quali, mi chiese della posizione dell'ambasciatore del nuovo Re d'Inghilterra a Roma, argomento intorno a cui, non essendone al corrente, ho girato al largo, conducendo la conversazione sulla futura Assemblea del settembre, alla quale è da presumersi che la delegazione etiopica si guarderà bene dal presentarsi: la situazione è dunque destinata ad eternizzarsi? Il Sandler ha rifiutato di entrare in merito, allegando la distanza del tempo e l'incertezza degli eventi.

Il signor Giinther però, con cui parlai della medesima evenienza, mi ha espresso l'opinione che, mentre il non intervento etiopico ad una Assemblea straordinaria non era sufficiente a creare una nuova situazione, il non intervento all'Assemblea ordinaria sarebbe decisivo, come rinuncia spontanea al diritto di appartenenza alla

l Vedi DD. 528 e 550.

Società delle Nazioni; con che gli Stati membri pare diverrebbero liberi di passare finalmente all'accreditamento dei nuovi rappresentanti presso S.M. il Re Imperatore. Ritengo che questa interpretazione eventuale di ciò che potrà accadere a Ginevra il prossimo settembre provenga da Ginevra stessa, e che codesto R. Ministero ne sia già quindi ampiamente informato.

700

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO URGENTE 2206/1083. Vienna, 5 giugno 1937 (per. il 6).

Malgrado i sempre nuovi incidenti e le polemiche dei giornali, e forse proprio in virtù di queste e di quelli, si va maturando in questi giorni, a Vienna e a Berlino, la persuasione della necessità di uscire da questa situazione critica tra i due Stati che, come ho osservato in recente rapporto 1 , farebbe prevedere ben poco lieto il prossimo primo anniversario della conclusione dell'accordo dell'l l luglio.

Si riconosce, a Berlino e a Vienna, la necessità di affrontare in pieno tale situazione con un esame coraggioso delle ragioni che hanno ritardato sinora i frutti dell'accordo, non tanto nei rapporti interstatali quanto nei rapporti interni. Si ricorrerà, a questo scopo, ad un organo preveduto dall'accordo austro-germanico, ma sinora ignorato dalle due parti. Più volte nelle mie conversazioni con il Cancelliere Schuschnigg, mi era fatto di chiedergli perché nell'intendimento di chiarire tanti punti oscuri lasciati sussistere dall'accordo, non si potesse ricorrere a quel comitato misto di tre rappresentanti per ciascuno dei due Dicasteri degli Affari Esteri, che si era omesso di costituire subito dopo la conclusione perché non ritenuto ancora necessario, e che poi s'era lasciato in oblio, forse temendosene più danni che utili.

Ieri Schuschnigg mi annunziò che non solo aveva finito con il pensare a questa costituzione, ma che, fatto sondare il terreno a Berlino, s'era sentito rispondere che anche loro stavano proprio pensando a prendere la stessa iniziativa.

Accertata così in modo rapido l'identità dell'intenzione, si procederà in via diplomatica alle pratiche necessarie alla composizione e alla convocazione di questo Comitato misto.

Esso è preveduto dall'art. X del Gentlemen-Agreement che traduco: «Per la trattazione di inconvenienti e reclami che potessero sorgere in relazione al presente Gentlemen-Agreement, e per assicurare inoltre una progressiva distensione nell'ambito degli accordi che precedono, viene costituito un Comitato composto di tre rappresentanti di ognuno dei due Dicasteri degli Affari Esteri. Esso ha il compito di pronunziarsi, tenendosi in regolare contatto, sugli effetti dell'Accordo e sui completamenti dello stesso eventualmente richiesti».

I Vedi D. 650.

Si tratta di non lasciar più oltre inoperoso questo organo, di cui all'atto stesso della conclusione dell'accordo s'era prevista la necessità. Si tratta di avviare un esame della situazione critica, non ab irato nella urgenza di un singolo incidente, ma serenamente, nel complesso.

Il Comitato misto sarebbe la sede, meno politica, se si vuole, e però meno solenne, della via diplomatica o degli incontri tra ministri, ma più tecnica e più libera per affrontare praticamente, dopo l'esperienza di quasi un anno, nella loro pratica applicazione e applicabilità, le singolé disposizioni dell'Accordo l l luglio.

Il Comitato ha, come risulta dall'art. X su richiamato, non solo da esaminare singoli «inconvenienti e reclami» ma da pronunziarsi in generale «sugli effetti dell'accordo» e sulla necessità di «completarlo» nell'intento di assicurare quella «progressiva distensione» che è lo scopo prefisso si alla conclusione dell'Accordo.

Il Cancelliere, senza nutrire soverchie illusioni sui risultati, intende fare questo ultimo esperimento col più serio proposito di trame ogni possibile vantaggio. Insieme con Schmidt si sta pensando alla scelta dei tre membri austriaci del Comitato misto. Per dar prova di buona volontà si pensa di non includervi Hornbostel che pur sarebbe il meglio informato e il più abile, solo perché a Berlino è considerato «bestia nera». Hoffinger che è, alle dipendenze di Hornbostel, il capo dell'ufficio politico per la Germania e sarebbe relativamente persona grata a Berlino, è gravemente ammalato. Si pensa, al caso, anche a qualche persona estranea al Dipartimento degli Esteri, se ciò non darà ombra alla Wilhelmstrasse.

Ma questi sono particolari. Considero che al punto in cui s'è arrivati e che non esitai ad indicare come punto morto (mio rapporto riservato n. 2027/1015 del 27 maggio scorso) 1 , questo ritorno allo stesso Gentlemen-Agreement e ad un organo ivi previsto sia un segno del proposito di ambedue le parti di non abbandonare il terreno dell'accordo e di fare ogni sforzo per salvarne il funzionamento.

Ritengo che da parte nostra questo tentativo vada favorito con ogni mezzo. Sarebbe molto utile a me se l'E.V. credesse di comunicarmi risultati di eventuali interessamenti a Berlino o dei colloqui svoltisi a Roma con Goring e con Blomberg, come previsto anche a Venezia. Anche perché, dopo una prima fase dei lavori del Comitato misto e sulla base delle constatazioni e delle proposte del Comitato, Schuschnigg penserebbe al caso ad un convegno, in terreno neutro, tra lui o Schmidt e Goring od altro fiduciario del Fiihrer.

Intanto, malgrado le difficoltà recate in questa situazione interna dall'inasprito conflitto tra Berlino e la Santa Sede, Schuschnigg intende procedere al più presto alla costituzione dell'ufficio per i «nazionali» presso il Segretariato Generale del Fronte Patriottico (mio telegramma per corriere n. 0128 del 2 corr.) 2 .

Se, come le deliberazioni di massima del Consiglio dei Ministri di ieri sulla mitigazione delle leggi eccezionali (mio telegramma per corriere n. 0132) 3 , anche la costituzione di questo ufficio ed eventualmente anche la nomina, da me già prean-

I Vedi D. 650. 2 T. per corriere 3852/0128 R. del 2 giugno, il cui argomento è qui indicato. 3 T. per corriere 3882/0132 R. del 4 giugno. non pubblicato.

nunziata, di qualche «nazionale» moderato a membro del Consiglio di Stato avverranno -come sto consigliando -prima della convocazione del Comitato misto austro-germanico, esso si troverà dinanzi a prove concrete di buone volontà del • governo austriaco. Ma su alcuni punti essenziali Berlino non deve nutrire illusioni. E questi punti sono, oltre all'effettivo riconoscimento dell'indipendenza dell'Austria, la rinunzia definitiva, assoluta ad ogni riconoscimento, di diritto o di fatto, del partito nazionalsocialista in Austria e la rinunzia, non solo tecnica ma anche pratica, ad ogni appoggio, anche solo larvato da parte di organi germanici del governo o del Partito, alle attività illegali in Austria.

Questa duplice rinunzia è già ben precisa nell'Accordo dell'Il luglio e nel protocollo annesso («Gedachtnissprotokoll»). Ciò dà forza a Schuschnigg che in questo si sente sempre più sostenuto anche dai più assennati e autorevoli «nazionali», come il Seyss-Inquart e il Mannlicher.

Su queste che sono state le basi dell'accordo accettate un anno fa, non deve essere lasciato dubbio a Berlino. Altrimenti, ogni nuovo sforzo, compreso quello del Comitato misto, si rivelerebbe, a breve scadenza, vano.

Non credo che, con ogni maggiore riguardo verso Berlino, il nostro effettivo interesse politico, immediato e remoto, ci possa consigliare su questi punti pregiudiziali e fondamentali un atteggiamento diverso da quello che tenemmo alla vigilia dell'Il luglio I.

701

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH

T. 8432/193 P.R. Roma, 6 giugno 1937, ore 23.

Telegramma di V.E. n. 253 2 .

Per Sua conoscenza e norma di linguaggio V.E. vorrà tener presente che all'intonazione antisemita di alcuni giornali italiani non corrisponde alcuna analoga azione del R. Governo. La legislazione italiana in materia di confessioni religiose è larghissima, non si vede alcun motivo di modificarla e non sarà modificata. Naturalmente se una qualunque organizzazione ebraica dovesse prendere decisioni che risultassero nocive al nostro commercio, alla nostra navigazione ed in genere ai nostri interessi, l'atteggiamento del governo fascista verso gli ebrei sarebbe riveduto e si avrebbero conseguenti misure di ritorsione e rappresaglia.

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Con T. 6942/253 P.R. del 4 giugno, l'ambasciatore Suvich aveva comunicato che, secondo notizie raccolte dal consolato generale di New Y ork. le organizzazioni ebraiche stavano preparando il boicottaggio delle merci e delle compagnie di navigazione italiane come ritorsione per una campagna antisemita in svolgimento in Italia.

702

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 3017/216 R. Tokio, 7 giugno 1937, ore 6,30 (per. ore 14,30).

Hirota 1 si è compiaciuto stato attuale dei nostri rapporti e si è detto sicuro che questi saranno anche migliori in avvenire. Avendomi chiesto dei nostri negoziati commerciali, gli ho fatto presente che attendevamo dal governo giapponese una risposta che mi ha promesso avrebbe sollecitata.

Mi ha parlato di un suo ex-segretario particolare che travasi ora a Berlino e verrà prossimamente a Roma e che quando è partito varie settimane fa, e cioè quando Hirota era semplice privato, ebbe da questo l'incarico di un messaggio per il Duce. L'ho assicurato che avevo dato al segretario una lettera di presentazione e raccomandazione per il capo di Gabinetto di V.E. 2•

Circa Cina, Hirota dice che occorre prima avere conseguito unità di vedute in Giappone, dopo di che si potranno iniziare negoziati che egli crede debbano andare dal particolare al generale, cercando qui di risolvere innanzi tutto specifiche questioni in sospeso.

Egli si propone, se possibile, di migliorare relazioni con l'U.R.S.S. ma mostra dare maggiore importanza a quelle con l'Inghilterra circa le quali le trattative di Sato erano rimaste appena all'inizio.

Hirota osserva che le difficoltà di negoziare con questi tre Stati derivano oltre che dalle questioni esistenti con essi, anche dai contrasti di vedute che vi sono in proposito all'interno del Giappone.

703

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3965/0180 R. Londra, 7 giugno 1937 (per. ore 20,15 del 10).

Ho letto con interesse il telegramma in data 27 maggio del nostro ambasciatore a Berlino 3 comunicatomi da V.E. con telegramma per corriere n. 818/ del due giugno corrente.

1 Hirota era divenuto ministro degli Esteri nel Gabinetto costituito il 3 giugno dal principe Konoye. L'ambasciatore Auriti nel darne notizia aveva espresso dubbi sulla durata del nuovo ministero perché «un ministero durevole è possibile soltanto quando i parlamentari saranno sottomessi con la ragione o con la forza ai militari. Altrimenti non vi sarebbe che una guerra esterna che potrebbe ristabilire la pace interna» ma aveva anche espresso soddisfazione perché comunque Sato era stato allontanato dal potere (T. 3853/213 R. del 4 giugno. Il documento ha il visto di Mussolini che ha sottolineato le parole qui riportate tra virgolette).

2 Non si è trovata documentazione in proposito.

3 Vedi D. 648.

Risulta anche da mie informazioni che il discorso pronunziato dall'ambasciatore britannico Henderson il giorno Il maggio nel presentare le proprie credenziali al Fiihrer era stato approvato soltanto nelle linee generali dal Foreign Office e che Henderson si è spinto molto oltre alle istruzioni ricevute per quanto riguarda le sue affermazioni di amicizia all'indirizzo della Germania nazista.

Mi risulta che tanto Eden quanto Vansittart, hanno per conto loro biasimato vivacemente queste dichiarazioni di Henderson ma non hanno osato tuttavia fare ciò direttamente col proprio ambasciatore britannico a Berlino sopratutto perché la risposta da parte del Fiihrer, che le dichiarazioni di Henderson avevano provocata, è apparsa subito a tutti i circoli politici in Inghilterra di tale importanza per il calore inusitato adoperato da Hitler nei confronti degli inglesi (Hitler per la prima volta avrebbe chiamato gli inglesi «cugini» o meglio «consanguinei») da costringere tanto Eden quanto Vansittart ad approvare formalmente l'iniziativa del proprio ambasciatore a Berlino.

La stessa cosa si è ripetuta in occasione del secondo discorso pronunziato da Henderson a Berlino all'indomani del bombardamento tedesco di Almeria 1 , e sul quale l'omonimo leader laburista Henderson ha presentato un'interrogazione alla Camera dei Comuni. L'interrogazione discussa avantieri ha provocato una risposta di Eden assai imbarazzata, nella quale Eden dissocia la responsabilità del governo inglese da quella del proprio ambasciatore a Berlino (mio telegramma per corriere n. 0176) 2 .

Tutti i giornali britannici, da quelli di estrema destra a quelli di estrema sinistra, hanno dato tuttavia alle manifestazioni di amicizia anglo-naziste cui hanno dato luogo i discorsi di Henderson uno spazio e un'importanza riserbati alle cronache piuttosto eccezionali. Un solo giornale ha disapprovato l'azione dell'ambasciatore Henderson, cercando di mettere in guardia gli Inglesi contro un ottimismo prematuro e sproporzionato sul futuro delle relazioni anglo-naziste, e questo giornale è proprio il giornale di proprietà del ministro degli Esteri Eden, la

Yorkshire Post.

In un precedente rapporto del 6 novembre 3 ho osservato che «la politica estera del Foreign Office non coincide spesso con la politica estera ufficiale, adottata con decisione collegiale dal Gabinetto». Ho aggiunto che «in uno Stato basato su solide gerarchie sarebbe inconcepibile che la burocrazia diplomatica costituisse una forza politica la quale agisce secondo le direttive proprie e spesso in contrasto con le stesse direttive del governo». Il caso dell'ambasciatore Henderson è ancora più paradossale e straordinario. Questa volta è addirittura il ministro degli Esteri inglese il quale si vede costretto a scrivere nel proprio giornale un articolo in cui deplora pubblicamente l'attitudine presa da un ambasciatore, il quale a sua volta è supposto di agire soltanto secondo istruzioni ricevute dal proprio ministro!

Accludo con rapporto n. 2344/9574 l'articolo della Yorkshire Post che vale la pena di scorrere rapidamente.

l Vedi p. 884, nota l. 2 T. per corriere 3989/0176 R. dell"8 giugno, non pubblicato. Il suo contenuto è qui indicato. 3 Vedi serie ottava, vol. V, D. 368. 4 Telespresso 2344/957 del 7 giugno, non pubblicato.

704

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3966/0182 R. Londra, 7 giugno 1937 (per. ore 20,15 del 10).

Nel corso del colloquio avuto con Eden il 5 corrente, e sul quale ho riferito con mio telegramma per corriere n. O173 1 , Eden a un certo punto mi ha detto con rincrescimento risultargli che in Italia si è attribuito esclusivamente a una sua supposta azione sabotatrice il fatto che la dichiarazione del delegato polacco Komarnicki all'Assemblea della S.d.N. 2 sia caduta nel silenzio generale. Ciò, Eden ha continuato, non è assolutamente vero. Beck, prima di mandare a Komarnicki le istruzioni di sollevare la questione nell'Assemblea è venuto a consultarsi con me qui al Foreign Office durante gli ultimi giorni della sua permanenza a Londra, ed io l'ho incoraggiato a farlo. Questa è la verità. È anche vero che a Ginevra io ho trovato un ambiente tutt'altro che favorevole all'iniziativa polacca. Francia, Russia, per non parlare di molti altri Stati minori, erano apertamente contrarie. L'atmosfera dell'Assemblea era inoltre montata dalla nota Del Vayo 3 . Aggiungasi l'opinione pubblica britannica in uno stato di irritazione, che le parole concilianti del conte Ciano alla Camera dei Deputati4 non sono riuscite ad eliminare, se non in parte per gli incidenti italo-britannici alla vigilia dell'Incoronazione. Tutto ciò mi ha convinto, a parte considerazioni d'altro genere, che la situazione non era matura. Ma ciò nonostante, essendo stato richiesto direttamente dal Komarnicki a Ginevra del mio parere, neppure a Ginevra ho scoraggiato la Polonia a fare la nota dichiarazione. Il ministro Beck aveva infatti incaricato Komarnicki di presentirmi a Ginevra ancora una volta prima di sollevare la questione pubblicamente nell' Assemblea e regolarsi. Non domando affatto che in Italia si creda a quello che io vi dico. Ma questa è la verità.

Ho risposto a Eden che non sapevo che cosa si dicesse in Italia su quella che è stata, o non è stata, la sua azione a Ginevra in relazione alla questione sollevata dal rappresentante polacco. Gli ho ricordato il vecchio adagio che vale in politica come nella vita privata, e cioè che non basta essere onesti, bisogna anche sembrarlo. «È certo -ho continuato -che voi avete fatto sempre del vostro meglio per giustificare, in Italia e fuori d'Italia, l'opinione che a tutti gli atti ostili fatti a Ginevra contro l'Italia non fosse direttamente o indirettamente estranea la vostra persona. È vero anche che qualunque delegato ginevrino, il quale abbia l'intenzione

o le istruzioni del proprio governo di fare qualcosa di sgradevole all'Italia, afferma sempre subito dopo che è stato per istigazione di Eden. Voi non potete dissociare voi stesso ormai da tutta l'opera francamente anti-italiana che avete condotto a

I Vedi D. 697.

2 Vedi D. 640.

3 Riferimento al Libro Bianco del governo di Valencia su l'intervento italiano in Spagna del 28 maggio precedente (vedi p. 841, nota 2).

4 Discorso del 13 maggio.

Ginevra durante il conflitto italo-abissino, e che soltanto un gesto coraggioso e tempestivo da parte vostra può in parte controbilanciare. Questo gesto non è venuto: è quindi comprensibile se quelli che lo attendevano, così come quelli che lo temevano, traggono le conclusioni di cui voi vi rammaricate. Del resto -ho aggiunto -mi risulta che Delbos di ritorno da Londra ha dichiarato che egli ha personalmente fatto di tutto qui a Londra per convincervi a risolvere a Ginevra senza ulteriore indugi la questione etiopica (dichiarazioni di Léger a Cerruti, telegramma n. O127 del 28 aprile) 1 ma che voi vi siete risolutamente opposto».

Eden ha reagito di scatto a queste mie parole ed ha replicato: «Non voglio entrare in pettegolezzi e polemiche con Delbos. Ma state certo che, né Delbos, né Léger, se hanno detto ciò, oserebbero ripeterlo in mia presenza. E in particolare quello che si riferisce alla parte svolta proprio da loro a Londra su questo punto».

705

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4042/0185 R. Londra, 7 giugno 1937 (per. il 14).

Mio rapporto n. 2283/930 del 5 corr. 2 .

Con il ritorno di Eden da Ginevra, la Conferenza Imperiale ha ripreso nei giorni scorsi l'esame dei problemi di politica estera interrotto circa una diecina di giorni or sono dalla partenza del ministro degli Esteri.

Il progetto di Lyons di un patto tra le Potenze del Pacifico, la questione dell'avvenire della S.d.N. ed il conflitto spagnuolo sono stati gli argomenti principali esaminati dai delegati. Del progetto di Lyons dirò, molto brevemente che, di fronte anche all'atteggiamento molto tiepido mostrato a tale riguardo dal Giappone e dagli Stati Uniti, lo sforzo principale di Eden è stato quello di trovare la formula per liquidare la proposta del Primo Ministro australiano in maniera da non urtare però le suscettibilità personali del suo ideatore. Agli argomenti pratici avanzati per illustrare come un patto del genere fosse quanto meno «prematuro» Eden ha aggiunto anche quello accademico che il patto Briand-Kellogg già offre una garanzia universale di non-aggressione, garanzia alla quale la firma di un nuovo documento non porterebbe alcun sostanziale rafforzamento. Sembra peraltro che anche tra gli altri delegati la proposta di Lyons abbia trovato scarso interesse.

Più interessanti, sopratutto per il fatto che esse hanno avuto luogo dopo il ritorno di Eden da Ginevra, le discussioni relative alla politica britannica nei confronti della S.d. N. Già nelle riunioni precedenti, accanto ad un societarismo integrale dimostrato dal delegato neozelandese -e dal delegato sud-africano, per la difesa, in questa occasione, della lettera del Covenant -si era palesato un generale senso di delusione e di stanchezza nei riguardi della S.d.N. Questa tendenza

I Vedi D. 524. 2 Vedi D. 698.

si è andata affermando nel corso delle ultime sedute. L'idea della «indivisibilità della pace», per quanto possa piacere al dottrinarismo del signor Savage, è meno convincente per gli altri Domini i quali anzi mostrano di venir sempre più a considerare gli impegni automatici del Covenant come una trappola per coinvolgerli in conflitti in cui .non sono direttamente interessati anziché una garanzia alla propria sicurezza ed integrità territoriale. Pur rilevando il desiderio dei vari delegati di non dare l'impressione di una assoluta ed esplicita denuncia della S.d.N. e sopratutto di non assumere di fronte all'opinione pubblica la responsabilità di una simile iniziativa (vedi mio rapporto n. 2224/895 del l o corr., relativo all'atteggiamento di Mackenzie King) 1 , le discussioni degli ultimi giorni hanno confermato l'esistenza di una forte corrente a favore di un pratico e tacito abbandono degli articoli X (integrità territoriale) e XVI. (sanzioni) del Covenant. Agli effetti pratici è probabile tuttavia che tale tendenza si traduca in una generica ed accademica riaffermazione di fiducia negli ideali e nell'avvenire della Lega e, per l'imbarazzo di cosa fare, nell'astensione da qualsiasi iniziativa a Ginevra per una riforma del Covenant.

Per quanto concerne il conflitto spagnuolo, nei suoi aspetti di problema mediterraneo e nei riguardi della politica britannica nei confronti del non-intervento, mi risulta che Eden si è espresso ai delegati dei Domini nel senso e nello spirito di quanto egli ha avuto a dichiararmi nel suo colloquio il 5 corr. (mio telegramma per corriere n. 0173) 2•

706

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2284/931. Londra, 7 giugno 1937 (per. l'li).

Nel mio rapporto n. 2123/856 del 17 maggio3 ho segnalato l'articolo nel quale Garvin, direttore dell'Observer definiva un'intesa anglo-tedesca l'unica chiave per una soluzione dei problemi europei e mondiali. In un articolo pubblicato ieri dall'Observer sotto il titolo «L'Impero e l'America» Garvin torna ancora sullo stesso argomento e marca, in termini di politica imperiale, la «vitale necessità» di due intese: l'intesa con la Germania e l'intesa con gli Stati Uniti.

Il punto di partenza dell'articolo è la decadenza della Società delle Nazioni dal momento nel quale la Russia è entrata a farne parte. La Russia è stata ed è per l'Europa un elemento di disgregazione, e avverte Garvin, nulla è più pericoloso dell'illusione che molti nutrono in Inghilterra sulla importanza ed efficienza dei

l Vi si riferiva la notizia giornalistica di «un'azione in senso nettamente antisocietario» svolta in seno alla Conferenza Imperiale da Mackenzie King d'accordo con alcuni membri del Gabinetto britannico. notizia che il primo ministro canadese aveva smentito senza rinnegare però il suo atteggiamento critico nei riguardi della Società delle Nazioni.

2 Vedi D. 697.

3 Non pubblicato. L'argomento è qui indicato.

Sovietici come potenziali alleati in guerra. Un ritorno al 1914 significa, in altri termini, un ritorno al 1917 quando il crollo della Russia per poco non travolse gli Alleati. Da queste osservazioni Garvin fa derivare la necessità per l'Inghilterra di svolgere una politica di neutralità rigorosa fra Mosca e Berlino e di incoraggiare una riconciliazione fra Germania e Francia. «La Francia -egli continua -ha contrastato l'unità tedesca ad ogni passo, profetizzando ad ogni ingrandimento della Prussia la rovina dell'Europa. In realtà, se paragonata alle altre razze europee, l'unità della razza tedesca è tuttora incompleta all'oriente ed all'occidente. È mia convinzione che presto o tardi, in un modo o in un altro, i tedeschi dell'Austria, e quelli sotto il governo cecoslovacco dovranno essere più strettamente associati con i fratelli del Reich. Solo riconoscendo questa verità la Francia potrà ottenere la sua sicurezza».

Del resto, per Garvin, questa verità dev'essere riconosciuta, e subito, anche dalla Gran Bretagna, la quale si deve rendere conto che «nemmeno una guerra può mantenere le condizioni imposte nel 1919» e che «l'Europa Centrale non può rimanere quella che è oggi». «Non si può -prosegue l'articolo, domandare all'Impero britannico d'entrare in guerra nel nome della Lega per mantenere una situazione contro natura. Ogni ingerenza inglese fra il Reich, l'Austria e la Cecoslovacchia non può causare che danni». Mentre invece grandissimo bene, per l'Inghilterra e l'Impero, può derivare dal riconoscimento che «la Germania ha diritto, non ad una impossibile mano libera, bensì ad una maggiore sicurezza politica ed espansione economica in Europa». In tal modo sarà, secondo Garvin, possibile non solo giungere ad un'intesa anglo-tedesca nel Continente, ma anche risolvere pacificamente il problema coloniale. Il resto dell'articolo, che trasmetto qui accluso, è dedicato a sostenere che la Gran Bretagna deve fare ogni sforzo per giungere ad un 'intesa commerciale con gli Stati Uniti 1 .

707

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 2343. Londra, 7 giugno 1937 2 .

Nel corso dell'ultimo colloquio avuto con Ribbentrop prima della sua partenza per Berlino, e sul quale ho riferito con i miei telegrammi n. 430, n. 431 e n. 432 3 ,

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Manca l'indicazione della data d'arrivo.

3 TT. 3838/430, 3839/431 e 3842/432 R. del 4 giugno. Vi si riferiva una conversazione con von Ribbentrop che aveva ricevuto istruzioni da Berlino di presentare al Comitato di non intervento un progetto tendente a stabilire una responsabilità collettiva del Comitato in caso di attacchi contro navi addette al controllo. Grandi aveva fatto presente che una simile impostazione presentava il pericolo «di far slittare la questione sul terreno della sicurezza collettiva e di Ginevra». Von Ribbentrop aveva comunicato successivamente che, essendo in corso a Berlino dei contatti con i rappresentanti francese e britannico, gli era stato ordinato di sospendere la presentazione del documento.

Ribbentrop ha insistito più volte per farmi presente la necessità che Germania e Italia condizionassero il loro ritorno al Comitato di non-intervento non solo all'accettazione di una serie di garanzie simili a quelle contenute nel primo progetto tedesco di cui al mio telegramma n. 430, ma anche all'accettazione da parte del Comitato di una procedura di garanzia mediante la quale fosse per l'avvenire reso impossibile alla stampa internazionale, e particolarmente a quella britannica, di utilizzare l'azione russa e francese nel Comitato come strumento di propaganda a favore dei rossi spagnuoli e allo scopo di distorcere la verità come si è verificato ~ha detto Ribbentrop ~in occasione del preteso bombardamento di Guernica da parte di apparecchi tedeschi. Ribbentrop ha continuato esponendomi parecchi progetti, assai complicati, i quali dovrebbero, secondo lui, immobilizzare l'azione di propaganda russo-franco-inglese nel senso indicato, e mi ha detto di averne già parlato con Eden senza tuttavia ottenere se non una risposta vaga che non lo aveva soddisfatto. Egli desiderava quindi concertarsi con me sul da farsi.

Ho risposto a Ribbentrop facendogli anzitutto cortesemente rilevare che in materia di campagna ostile, quella limitata a pochi giornali e durata complessivamente 3 o 4 giorni relativa ai pretesi fatti di Guernica, non poteva essere certamente paragonata per tendenziosità e diffamazione a quella durata per più di un mese contro l'Italia in seguito agli incidenti di Guadalajara. Ho continuato dicendo a Ribbentrop che ero perfettamente d'accordo con lui sulla necessità di fare qualche cosa per impedire il ripetersi di quanto è accaduto, dentro e sopratutto fuori il Comitato di non-intervento, ma gli ho anche francamente fatto osservare che consideravo con un certo scetticismo qualsiasi risoluzione o progetto che potesse essere presentato e votato nel Comitato a questo scopo. «Volendo fare un esame pacato e obbiettivo di quello che è accaduto in questi ultimi due mesi, ·ho continuato, bisogna ammettere che la Russia, la Francia e l'Inghilterra (quando dico Inghilterra intendo riferirmi sopratutto ~ ho detto ~ agli anti-fascisti inglesi sostenitori dei rossi spagnoli), hanno a un tratto ceduto alla tentazione di questa campagna diffamatoria contro l'Italia e, in un secondo tempo, sia pure in minima parte, contro la Germania, non appena essi hanno creduto di poter constatare una differenza, sia pure apparente, fra l'attitudine della Delegazione tedesca e quella italiana al Comitato di non-intervento, e in genere fra l'attitudine della Germania e dell'Italia di fronte alla questione spagnola. Sino a che tedeschi e italiani hanno dato l'impressione netta di muoversi ed agire secondo una direttiva comune, inglesi, francesi e russi non hanno osato spingersi oltre i limiti di una polemica sopportabile. Ma quando ~ed è precisamente dalla metà di Marzo che ciò si è verificato ~ Inglesi, Francesi e Russi hanno creduto di poter trarre improvvisamente la conclusione, sulla base di presunte dichiarazioni di Uomini responsabili della politica tedesca e di una serie di elementi diversi, che una differenza esiste tra Berlino e Roma sulla condotta da seguirsi nei confronti della guerra civile spagnola, allora si sono visti improvvisamente tutti i sostenitori dei rossi spagnoli in Inghilterra passare a un tratto da oppositori del Nazismo guaii sono sempre stati a ditirambici incensatori della Germania nazista. Essi non hanno del resto nascosto la ragione di questa conversione che hanno giustificato pubblicamente colla ragione che la Germania, a differenza dell'Italia, voleva ritirarsi dalla Spagna. Gran parte degli odi contro l'Italia ~ho continuato ~si sono naturalmente trasformati in altrettante simpatie per la Germania. Mi rendo perfettamente conto -ho detto a Ribbentrop -che era difficile per la Germania di resistere a questa ondata improvvisa di simpatie e forse difficile di respingere questi convertiti al Nazismo anche se in gran parte questa conversione altro non era fatta, ripeto, se non in odio per l'Italia. Ma è certo -ho continuato -che il più grande incoraggiamento ai Russi, Francesi e Inglesi alla loro propaganda in favore dei rossi spagnoli, particolarmente dalla metà di marzo ad oggi, è stata data dalla circostanza che l'azione diplomatica tedesca ha lasciato credere (nessuna smentita è mai giunta da Berlino, né diretta, né indiretta) alle interpretazioni che si sono date in Inghilterra sulla volontà della Germania di ritirarsi dalla Spagna. L'unico modo, ho concluso, per raddrizzare la situazione nel Comitato e fuori del Comitato, non è quindi votare degli ordini del giorno o stilare progetti o risoluzioni, bensì che Germania e Italia ritornino a svolgere nel Comitato e sopratutto nell'ambiente politico britannico quell'azione comune, nei confronti della politica spagnola, che è stata la ragione effettiva dei successi che Italia e Germania hanno sempre registrato dall'inizio della questione spagnola fino a qualche tempo fa. L'obiettivo evidente dell'Inghilterra è quello di compromettere o quanto meno indebolire l'Asse Roma-Berlino, e la situazione spagnola dovrebbe fornire per gli Inglesi, in questo momento, la leva diretta a raggiungere questo obbiettivo. Londra è piena -ho detto -di ogni sorta di voci, d'informazioni, d'indiscrezioni, circa quello che personaggi tedeschi avrebbero detto agli Inglesi durante questi ultimi mesi e particolarmente durante le feste dell'Incoronazione, circa offerte tedesche all'Inghilterra, giudizi tedeschi sull'Italia e sopratutto sull'azione italiana in Spagna, etc. Io non ho -ho continuato -raccolto nessuna di queste voci in quanto che le considero tutte come dettate da un solo desiderio e da un solo obbiettivo britannico: quello di dividere l'Italia dalla Germania e la Germania dall'Italia. Non dobbiamo fare però il gioco degli Inglesi. Occorre pertanto, a mio avviso, che nell'azione diplomatica di fronte a Londra, Germania e Italia agiscano con la maggior solidarietà possibile. I tragici fatti di Palma e lbiza e la visita del Maresciallo Blomberg a Roma sono giunti in questi giorni come un correttivo prezioso in quanto che stabilirà di fronte agli Inglesi, e in un modo inequivocabile, la saldezza dell'Asse Roma-Berlino.

Ribbentrop, il quale non si attendeva queste mie parole necessariamente franche, non ha potuto nascondere un certo imbarazzo e si è limitato soltanto a dirmi che secondo lui io avevo torto di credere che gli Inglesi vedano di mal'occhio l'Asse Roma-Berlino e tanto meno che l'obbiettivo inglese sia di indebolire l'intesa fra la Germania e l'Italia. «È certo tuttavia-egli ha continuato-che la questione spagnuola comincia a diventare un incubo per tutti. Come si fa a uscirne? Credete possibile di sperare ormai che Franco abbia in breve tempo una vittoria definitiva? Le probabilità si presentano piuttosto scarse per una simile eventualità. D'altra parte io vi pongo una domanda: sapete voi esattamente cosa pensi il Governo Fascista al riguardo?

Ho interrotto Ribbentrop dicendo che la questione non è di sapere quale linea la Germania e l'Italia riterranno a meno di assumere nei confronti della questione spagnuola. Quello che è assolutamente necessario è che Berlino e Roma diano all'Inghilterra l'impressione netta che esse pensano la stessa cosa e che seguono una identica azione comune. Quale tale azione sarà non è compito nostro bensì dei nostri Capi di decidere.

Ribbentrop mi ha risposto dicendo che su questo punto io avevo ragione e che la solidarietà italo-tedesca dimostratasi in questa settimana dopo i tragici fatti di Palma e Ibiza non poteva non lasciare delle traccie profonde e dimostrare che è nell'evidente interesse delle due Nazioni di procedere d'accordo fino in fondo. Sul che ci siamo lasciati per rivederci fra pochi giorni quando egli sarà di ritorno a Londra dopo il suo incontro col Fiihrer.

Ho creduto opportuno ragguagliarTi confidenzialmente su questa parte della mia conversazione con Ribbentrop e assai più dettagliatamente di quello che non potessi fare con un ordinario telegramma d'ufficio. Per le ragioni che Ti ho già indicato nel mio rapporto del 21 maggio 1 , !i..J?.rego di non fare di ciò cenno a Berlino, e ciò soltanto per essere in grado di continuare nella mia azione su Ribbentrop, azione che è nello stesso tempo di collaborazione, di rettifica dell'opera sua, e di quotidiano controllo.

Ti sarò grato se con Tuo comodo Tu vorrai, specialmente dopo la visita di Blomberg, darmi un cenno che mi permetta di orientare la mia azione 2•

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3931/43 R. Roma, 8 giugno 1937 (per. stesso giorno, ore 19,15).

Il cardinale segretario di Stato mi ha detto che l'ammiraglio Magaz ha fatto negli ultimi giorni vive premure, a nome del generale Franco, per ottenere il riconoscimento ufficiale del governo di Burgos da parte della Santa Sede. Il rappresentante ufficioso dei nazionali avrebbe dichiarato che il riconoscimento della Santa Sede abbrevierebbe la guerra.

Il cardinale segretario di Stato non ha potuto aderire al desiderio che gli è "stato espresso. Egli non condivide l'apprezzamento ottimista della situazione del governo di Burgos, nel senso che dubita che il riconoscimento della Santa Sede sia atto ad accelerare la vittoria dei nazionali. Però la risposta negativa del segretario di Stato non è motivata dall'anzidetta considerazione ma dal fatto che la Santa Sede non può partecipare «a un blocco nel quale trovasi la Germania».

Il discorso di Goebbels 3 , in risposta all'attacco del cardinale arcivescovo di Chicago4 , ha penosamente impressionato. Ma ormai la Santa Sede è preparata ai peggiori eccessi da parte delle Autorità del Reich. Il cardinale Pacelli ha osservato che il ministro tedesco della Propaganda sa benissimo che i fatti deplorevoli ai quali ha accennato pubblicamente, sono imputabili in massima parte a dei laici che

t Vedi D. 622. 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 3 Vedi p. 888, nota 2. 4 Vedi p. 881, nota l.

vestono bensì l'abito religioso ma non hanno ricevuto l'ordinazione sacerdotale. La proporzione dei sacerdoti tedeschi colpevoli di pecche morali, è minima.

Il discorso del resto -ha detto il cardinale -è infiorato di bugie. Non si contesta ad esempio che i «sessanta» nominati da Goebbels avessero delle gravi mende morali però, è sempre il segretario di Stato che parla, non sono stati ammazzati per quello ma perché avevano ordito un complotto contro il Regime.

Il cardinale si mostrava, infine, addolorato del fatto che fosse proprio Goebbels, un cattolico apostata e per di più educato con i denari dei preti, a condurre una così prava campagna contro la Chiesa cattolica.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3929/44 R. Roma, 8 giugno 1937 (per. stesso giorno).

Telegramma per corriere della E.V. n. 1028 R. del 5 corrente 1 .

Ho fatto stamane al cardinale segretario di Stato la comunicazione daii'E.V. ordinatami, nei precisi termini di cui al pregiato telegramma al quale rispondo. Il cardinale Pacelli ne ha preso atto.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 2206/996. Mosca, 8 giugno 1937 (per. il 14).

Mentre, a causa del quasi assoluto isolamento nel quale vengono tenute tutte le rappresentanze diplomatiche a Mosca, riesce impossibile ottenere informazioni autentiche e formarsi una idea precisa sulla situazione interna di questo Paese, chiunque viva nell'U.R.S.S. rimane colpito dall'atmosfera greve e torbida che pesa oggi sulla vita politica sovietica.

Non passa giorno senza che venga annunciata dalla stampa, o si diffonda nel pubblico sotto forma di rumore non controllato, la notizia della caduta in disgrazia di tale o tal altro personaggio occupante fino a ieri un posto importante nella politica o nella amministrazione. Esercito, diplomazia, mondo scientifico e letterario, enti statali dell'industria e del commercio, organi del partito e la compagine stessa

I Vedi D. 695.

del governo: non vi è alcuna branca della vita sovietica che sfugga ai colpi della «epurazione» staliniana.

Ho già riferito le voci della destituzione di Karakhan, fino a ieri ambasciatore ad Ankara, e di Rosenberg, ex-vice segretario generale della Società delle Nazioni e successivamente ambasciatore a Valencia, da dove venne improvvisamente richiamato poco più di un mese fa. Mi viene ora riferito da fonte seria che entrambi questi alti funzionari del servizio diplomatico sarebbero stati arrestati per essere a suo tempo processati.

Mi viene pure confermato l'arresto di Krestinski, fino a poche settimane or sono collaboratore immediato di Litvinov come vice commissario del popolo agli Affari Esteri, improvvisamente trasferito al commissariato della Giustizia. La diminutio capitis del Krestinski non avrebbe rappresentato che un breve periodo di transizione nella caduta definitiva del vice-capo del Narkomindiel.

Un procedimento analogo sarebbe stato seguito nei riguardi del maresciallo Tucacevski, già vice commissario alla Difesa, la cui nomina al posto di comandante di un dipartimento militare nella regione del Volga non sarebbe mai diventata effettiva, se è esatta la voce che circola con insistenza da qualche giorno e secondo la quale anche il Maresciallo sarebbe stato arrestato. L'arresto del Tucacevski avrebbe coinciso col suicidio del suo collega al commissàriato della Difesa, Gomarnik, che la stampa del partito accusa oggi apertamente di «trotzkismo» e di connivenza con gli «agenti fascisti».

Ha ripreso pure a circolare con insistenza, e questa volta sembra con fondamento, la voce dell'arresto della signora Litvinov, che sarebbe avvenuto recentemente a Sverdlovsk, negli Urali, dove essa risiedeva da qualche mese come insegnante di inglese in una scuola superiore. Si dice che la caduta in disgrazia della consorte non avrebbe alcuna relazione con la situazione personale del commissario del popolo per gli Affari Esteri, anche perché è noto che i due coniugi vivevano da tempo separati e che si parlava di un prossimo divorzio. Io incomincio però a chiedermi guale potrà essere la posizione morale di Litvinov in seguito alla epurazione di cui è stato oggetto il commissariato da lui diretto, con l'eliminazione di un vice commissario (Krestinski), di due ambasciatori (Karakhan e Rosenberg), e di due alti funzionari del Narkomindiel, Stern e Zukerman, essi pure arrestati.

Alla lista che precede si è aggiunto ieri il nome del prof. Pletnev, uno dei maggiori rappresentanti della scienza medica sovietica e clinico di fama mondiale, attaccato con una violenza ed una volgarità inaudita da un articolo della Pravda che lo ha accusato di aver stuprato una paziente e ... di averle rosicchiato i seni! (sic) Accuse del genere, lanciate contro una personalità molto nota e stimata per la sua capacità professionale e per la sua indipendenza di carattere, non possono evidentemente far presa che sulla parte più ignorante e fanatica del pubblico comunista, mentre è facile comprendere che esse sono unicamente destinate a coprire un atto di violenza contro chi era forse unicamente colpevole di scarsa simpatia per il regime.

Più di tutte quelle sopra citate, però, la voce che -se confermata -assumerebbe un significato di particolare gravità è quella riferitami stamane, e secondo la quale sarebbe stato arrestato nientemeno che il commissario del popolo per la Giustizia, Krilenko. Questi che da anni occupava l'altissima carica, dopo aver esercitato le funzioni pure importantissime di procuratore generale dell'U.R.S.S.,

era considerato fino a ieri una delle personalità più influenti del regime. Il suo arresto significherebbe che realmente l'opposizione anti-staliniana ha delle radici molto profonde e diffuse in tutto l'organismo sovietico e che gli allarmi quotidiani che la stampa va gettando al pubblico con un crescendo continuo di invettive contro i «trotzkisti, sabotatori, traditori, nemici del popolo» ecc. sono in buona parte giustificati.

Contemporaneamente agli arresti di personalità notissime nell'ambito nazionale sovietico, vengono segnalati giornalmente quelli molto più numerosi di personaggi minori dell'amministrazione pubblica e delle organizzazioni di partito: capi dipartimento di diversi Commissariati, direttori di fabbriche e di trusts industriali e commerciali, segretari di partito, ecc. Nelle stesse relazioni fatte davanti alle conferenze di partito, che hanno luogo attualmente in tutto il territorio dell'Unione, viene apertamente ammesso che dei «nemici del popolo» (trotzkisti, partigiani della corrente di destra e contro-rivoluzionari in genere) sono stati scoperti in quasi tutte le organizzazioni, e che la loro eliminazione è già avvenuta, o sta avvenendo, sia mediante arresti, sia con la fucilazione.

Nella ridda dei rumori che circolano a Mosca, e di quelli che mi vengono riferiti dai dipendenti consolati, conviene beninteso usare molta circospezione di giudizio e fare la debita parte alle esagerazioni ed invenzion! che sono il risultato inevitabile di un rigoroso sistema di censura e di un regime poliziesco quanto mai inquisitorio e vessatorio. Più o meno fondati, tutti questi rumori rivelano tuttavia, come ho già detto, un'atmosfera certamente molto torbida, la quale grava pesantemente sul Paese, diffondendo un senso di incertezza, e quasi di terrore, anche negli ambienti più ligi al regime 1•

711

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 3993/043 R. Belgrado, 9 giugno 1937 (per. l'Il). Mio telegramma per corriere n. 041 2 .

Il ministro degli Affari Esteri del Reich ha lasciato oggi Belgrado in aereo diretto a Sofia 3 . Dal testo del comunicato ufficiale che è stato diramato ieri sera e telefonato alla Stefani, V.E. avrà rilevato come, a parte la cordialità dei rapporti presenti e futuri di collaborazione pacifica dei due Paesi, si è avuto cura di evitare accenni che potessero marcare un sostanziale nuovo indirizzo delle relazioni ju-

I Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 693. 3 Vedi p. 899, nota 3.

go-germaniche. Indirizzo favorevole che, pur senza atti formali, è in avviamento da tempo-telespresso di questa R. Legazione n 2006/816 del 12 maggio 1936 1 -e che, evidentemente, ha contribuito essenzialmente all'atteggiamento negativo a suo tempo assunto dalla Jugoslavia nei riguardi del progetto francese di patto di mutua assistenza. A questa condizione di cose deve, evidentemente, riferirsi la frase pronunciata da Stojadinovic, in occasione del banchetto offerto a von Neurath al circolo della Guardia Reale -brindisi di cui ho già inviato, per posta, il testo a

V.E. -circa la «fedeltà jugoslavia alla parola data». Che è stata la frase più significativa pronunciata in tutto il corso di quest'incontro.

In genere, l'opinione pubblica e la stampa si sono dimostrate nell'occasione, di una notevole riservatezza. Quest'ultima si è limitata a prudenti espressioni di circostanza, dirette soprattutto a calmare le apprensioni circa i risultati politici della visita del ministro tedesco.

Nessun accenno, come nessun accenno è stato fatto nelle occasioni in cui von Neurath ha fatto sentire la sua voce, alla situazione itala-germanica. L'opinione di questi circoli politici ha visto in questo un segno che la visita volesse costituire un contrappeso a quella che ha marcato l'inizio della nuova fase delle relazioni itala-jugoslave ed è rimasta disorientata e perplessa. Il terreno favorevole che qui ha la Germania non è, infatti, scevro da un sentimento di timore, che non incoraggia gli entusiasmi per questa nuova mossa di Stojadinovic. Complessivamente, è spirata qui, in questi giorni, una tutt'altra aria di quella che ha accolto a Belgrado V.E. il 25 marzo, in situazione netta ed aperta, senza penombre preoccupanti.

Ho fatto visita ieri sera al barone von Neurath, dopo la conclusione dei suoi colloqui. Debbo dire che non aveva, né la faccia, né il tono di persona completamente soddisfatta. Mi ha detto che del suo viaggio a Belgrado aveva informato un mese fa, a Roma, il Duce e V. E. 2 . Teneva a ripetermi che la sua visita non aveva avuto che un solo e precipuo scopo: quello di marcare, di fronte alla Francia, che nessuna situazione centro-danubiana avrebbe potuto trovare una soluzione senza la Germania. Il Reich, con questa sua visita, marcava presenza e riprendeva posizione adeguata. Avendomi accennato alle migliorate relazioni fra Londra e Berlino e ad un miglioramento ulteriore che sarebbe stato manifestato nei prossimi giorni, gli ho chiesto quali gli risulterebbero essere le impressioni inglesi circa la sua visita a Belgrado. Mi ha detto di aver parlato del suo viaggio a Henderson, a Berlino, e di averne avuto l'assicurazione che il Foreign Office lo avrebbe considerato favorevolmente. Nei nostri riguardi non ha avuto che un breve e pacato cenno alla costatazione fatta, a sua domanda, da Stojadinovic che i nuovi rapporti itala-jugoslavi si svolgono soddisfacentemente. Di sfuggita mi ha confermato, senza entrare in particolari, che con Stojadinovic ha parlato della situazione generale e particolare degli Stati centro-danubiani, vista da Berlino. Nei riguardi dell'Ungheria, in particolare, ha accennato alle note difficoltà della situazione in cui si trova,

1 Vedi serie ottava, vol. IV, D. 23.

2 Vedi D. 541, dal quale peraltro non risulta che von Neurath abbia fatto un accenno nel senso qui indicato.

individualmente, Stojadinovic e mi ha detto che a Budapest si adopererà, presso il suo vecchio amico Kanya, perché l'Ungheria si mostri il più possibile arrendevole e disposta a facilitare tale situazione, approfittando delle circostanze che appaiono legittimare previsioni ottimistiche.

Al mio collega d'Austria, barone Wimmer, von Neurath ha, invece, fatto una carica a fondo -che, evidentemente, ha ripetuto a Stojadinovic -contro il governo di Vienna e le difficoltà, non scevre di pericoli, nelle quali il suo atteggiamento nei riguardi dei nazisti, pone Berlino. Wimmer ne è rimasto sdegnato. Ed in questo suo stato d'animo mi ha confidato-raccomandandomi la massima riservatezza -che von Neurath gli avrebbe dichiarato che il suo viaggio a Belgrado era stato specialmente motivato dal desiderio di giovare alla situazione interna di Stojadinovic-che sarebbe stata pregiudicata, secondo Neurath, dalla impopolarità della sua politica nei riguardi dell'Italia-col controbilanciare le impressioni della recente visita di V.E. Sta in fatto che, nella stessa ora, nella quale sarebbe stato tenuto questo discorso, una assai numerosa dimostrazione studentesca percorreva le strade di Belgrado imprecando a Hitler e distribuendo manifesti insultanti per il suo ministro degli Esteri.

Mi riservo di vedere prossimamente Stojadinovic e di riferire ulteriormente 1•

Per intanto, posso dire che sono propenso a ritenere che il barone von Neurath sia venuto a Belgrado con un programma d'azione più preciso di quanto non si sia detto e che ne sia ripartito avendo trovato, a parte le cordialità e le simpatie personali di Stojadinovic, il terreno più intricato e più duro a reagire di quanto egli, forse, riteneva. Ciò non toglie che la visita sembri mcrcare l'inizio effettivo di una più diretta e pesante azione tedesca in Jugoslavia, il cui futuro non risulta ancora, per quanto concerne i nostri interessi, sufficientemente chiarito.

712

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4025/0113 R. Budapest, 9 giugno 1937 (per. il 14).

Ho chiesto a Kanya quale fosse la situazione dei rapporti con i v!Cllll e se qualche passo fosse stato fatto dagli Stati della Piccola Intesa circa la questione del riarmo ungherese (telespresso n. 218960/C -A.M. Uff. 2° del 5 corr.) 2 . Kanya mi ha detto che vi erano effettivamente state delle proposte, e in primo luogo ne aveva parlato Krofta al ministro di Ungheria a Praga3; il governo

l Vedi D. 736. 2 Non rintracciato. 3 Janos Wettstein.

930 cecoslovacco aveva però tenuto a far considerare tali conversazioni come del tutto amichevoli e non ufficiali, ciò anche per la delicata questione della iniziativa delle trattative. Kanya non si rendeva ancora conto esatto di quello che gli Stati della Piccola Intesa effettivamente desiderassero; dopo Ginevra, era stata ventilata la possibilità di un riconoscimento del diritto al riarmo contro un patto di non aggressione; Krofta invece avrebbe poi condizionato tale proposta anche con la rinuncia da parte ungherese ai Tribunali Misti e alle clausole relative alla delimitarizzazione della testa di ponte di Bratislava. A questo proposito Kanya mi ha detto che quanto ai Tribunali Misti essi non avevano in effetto che funzionato molto poco; nei primi tempi, infatti, la loro attività si era svolta in modo troppo favorevole all'Ungheria e gli Stati della Piccola Intesa avevano cercato di ostacolarne il funzionamento e in pratica da qualche anno non svolgevano più alcuna attività. Quanto alle fortificazioni della testa di ponte di Bratislava esse già esistevano.

Kanya aveva fatto rispondere che si meravigliava che fossero poste ora nuove condizioni e che in ogni modo non voleva pagare nulla per il riconoscimento della parità giuridica.

Si era poi recato da Kanya questo ministro di Romania dicendo di essere stato chiamato da Antonescu che gli aveva date istruzioni di proporre, sempre in via confidenziale ed ufficiosa, una formula che avrebbe potuto più facilmente accontentare le rispettive opinioni pubbliche: e cioè gli Stati della Piccola Intesa avrebbero lasciato libera l'Ungheria di fare una dichiarazione unilaterale circa la parità militare, anche senza elevare protesta come era stato fatto per l' Austria ma a condizione che l'Ungheria si impegnasse di concludere poi un patto di non aggressione con gli Stati della Piccola Intesa. Kanya aveva risposto a Bossy, così come aveva fatto rispondere a Praga, che sarebbe stato disposto, se non addirittura a concludere un patto di non aggressione, a fare piuttosto una dichiarazione di non ricorso alla guerra sul tipo della formula del Patto Kellogg: ma non voleva mercanteggiare il riconoscimento della parità giuridica, mentre era necessario invece avere sicure garanzie circa il trattamento delle minoranze.

Ho visto anche il ministro di Romania che mi ha confermato la sua conversazione con Kanya; mi ha detto ritenere che la formula di cui gli aveva parlato era certamente molto conciliante, in ogni modo più di quella proposta da Krofta, secondo cui nello stesso trattato di non aggressione vi sarebbe stata una clausola che indirettamente riconosceva la completa parità giuridica ungherese: che era difficile invece al governo romeno, anche per ragioni di politica interna, di fare qualche cosa per le minoranze prima di un reale miglioramento dell'atmosfera a cui si poteva certamente giungere attraverso quanto egli aveva proposto; d'altra parte, l'Ungheria avrebbe avuto così il grande vantaggio morale di poter dichiarare unilateralmente, come avevano fatto la Germania e l'Austria decadute le clausole militari del Trattato del Trianon.

Il ministro di Cecoslovacchia è stato ricevuto ieri da Kanya subito dopo di me e mi riservo di riferire l'esito della conversazione. Il ministro di Jugoslavia non aveva fatto fino a ieri nessun passo.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 2784/876. Berlino, 9 giugno 1937 (per. l'li).

Da buona fonte fiduciaria 1 , a proposito dell'attuale conflitto fra il Reich e il Vaticano, apprendo che nei circoli governativi e del partito tedeschi, si fa mostra di un grande ottimismo. Gli elementi cattolici -ad es. il ministro Frank, il generale Epp, il Gauleiter Wagner, Terhoven, il capo di S.M. della Milizia Lutze, Grauert etc. -non si occupano della questione, per timore di venire accusati di «cattolicesimo militante». Qualcuno di essi deplora il contegno di molti parroci che ancor oggi vogliono fare della politica antinazista, dato che in ultima analisi, Hitler e Goebbels sono cattolici e che lo stesso Rosenberg ha dimostrato di decampare dalle sue posizioni originali di intransigenza nei riguardi del cattolicesimo.

Hitler sarebbe infuriato soprattutto dopo il discorso del cardinale Mundelein2 e la risposta del Vaticano 3 . Pochi giorni fa, avrebbe trattato con molta durezza un suo vecchio amico e sostenitore, che ha tentato di intervenire a favore dei cattolici.

Tra i cattolici e nel popolo -checché dicano i dirigenti vari -regna invece una certa apprensione, soprattutto a causa delle misure che vengono prese dalle varie autorità e dai gerarchi nelle provincie e delle minacce e delle intimidazioni degli stessi. Risulta che ad esempio gli ospedali cattolici dovranno assumere medici protestanti e suore laiche; che i medici cattolici vengono sorvegliati.

Persona che ha avuto occasione di parlare amichevolmente del problema con il sottosegresetario Korner, che è in ottime e strette relazioni con i capi del Partito, con HimQJler e gli S.S., ed è il vice-Goring del piano quadriennale, riferisce che Korner, richiesto se non riteneva che il conflitto indebolisse internamente la Germania, ha replicato ostentando grande ottimismo ed affermando che la Germania non ha bisogno del cattolicesimo, che la Chiesa non dovrebbe dimenticare di aver sempre perduto le sue battaglie in Germania. Il Korner ha aggiunto che Hitler aveva fatto il possibile per addivenire a rapporti cordiali con la Chiesa; che il Vaticano invece insegue i consigli dei «fuorusciti cattolici» i quali Io spingono ad agire ovunque, specie in Austria ed in Germania, contro il nazismo; che è inqualificabile il contegno della S. Sede nei riguardi del discorso del cardinale Mundelein.

I Come risulta da una lettera di Attolico a Ciano in data 9 giugno, le notizie riportate in questo documenro erano state raccolte dal console generale a Berlino, Renzetti.

2 Vt~di p. 881. nota l.

3 Vedi D. 686.

Ad opportuni rilievi che il Papa difficilmente può intervenire in America (vedi precedente del padre Conghlin ed i suoi feroci discorsi contro il presidente Roosevelt) e che non va data eccessiva importanza ai discorsi che si tengono in America, etc. il Kòrner ha finito con l'ammettere che la composizione del conflitto non sarebbe malvista; «ma i tedeschi, ha dichiarato, non faranno però il primo passo. È il Vaticano che ha torto ed esso deve venirci incontro». 1

714

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTO LI CO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2800/887. Berlino, 9 giugno 1937 (per. 1'11).

Il viaggio del ministro degli Esteri del Reich a Belgrado, Sofia e Budapest 2 , ha avuto fino dal momento in cui è stato annunziato, un accompagnamento di stampa che, senza essere clamoroso, tuttavia ne ha sottolineato gli scopi e l'importanza politica, dicendo che esso aveva per scopo di visitare le capitali di tre Paesi, i cui legami colla Germania sono attualmente cordialissimi e pertanto era diretto a consolidare, non solo, ma a rendere sempre più forti ed intimi quei legami, solidamente materiati di fattori importanti ed interessi economici. In maniera particolare si è fatto notare, anche prima che si iniziasse il viaggio, che questo non aveva lo scopo di concludere accordi di alcun genere, e serviva essenzialmente al rafforzamento delle amicizie esistenti; che non era diretto contro terzi e pertanto non poteva che contribuire al consolidamente della pace generale.

Ritengo che precisamente questa insistenza riveli uno dei principali scopi del viaggio, ossia quello di dimostrare come ormai la Germania, dopo ottenuta in tutti i campi la completa libertà di diritti, intenda sempre più uscire dalla sua posizione di riserva, se non d'isolamento, riprendendo gradatamente i contatti col mondo esterno, cominciando naturalmente dai Paesi coi quali ha già relazioni amichevoli, per poi passare, possibilmente, anche agli altri.

Un argomento che è stato pure affacciato nei commenti ispirati di questa stampa, è quello che -negli ultimi mesi -nell'Europa Danubiana, della quale la Germania si considera sempre come facente parte, sono avvenute delle profonde modificazioni, in seguito al Patto bulgaro-jugoslavo, e quello ita

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi p. 899, nota 3.

lo-jugoslavo ed anche alle recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri unghe

rese 1 , che si è dichiarato disposto ad una certa collaborazione cogli Stati della

Piccola Intesa.

Precisamente dato che il fulcro di questa nuova situazione si trova in Jugosla

via, anche per la sua particolare posizione nella Piccola Intesa e nell'Intesa Balca

nica, il viaggio è stato iniziato a Belgrado, e non a Budapest, come, geografica

mente, sarebbe apparso più naturale. Il viaggio a Belgrado, avvenuto

contemporaneamente a quello del presidente della Repubblica polacca a Bucarest,

sottolinea, al tempo stesso, la maggiore indipendenza politica della Jugoslavia in

confronto agli altri due Stati della Piccola Intesa, e specialmente della Cecoslovac

chia. A proposito di esso, più volte in questi giorni si è parlato in questa stampa di

«Balcani ai popoli balcanici» evidentemente per dimostrare che la Germ~nia non

tende bensì in alcun modo a monopolizzare quei territori per i suoi fini, ma non

intende che lo facciano altri, e men che mai coloro che, geograficamente, non hanno

nulla da vedere, né col Bacino Danubiano, né coi Balcani, né coll'Europa Centrale

in genere, come lo dimostrano anche gli scarsi interessi economici, per esempio

della· Francia e dell'Inghilterra.

Con molta insistenza, già in questa prima fase del viaggio, si è parlato dell'Asse Roma-Berlino, come linea direttiva della politica tedesca, concordata coll'Italia, nei riguardi di quei territori. Questo tema che, ripeto, è stato ripetutamente ed insistentemente toccato, ha, da una parte, evidentemente lo scopo di confutare le . molte dicerie della stampa estera, che continuano a parlare di divergenze, per lo meno potenziali, fra l'Italia e la Germania nell'Europa Centrale e Sudorientale; al tempo stesso però deve anche essere indubbiamente inteso nel senso che, dopo raggiunta l'intesa fra l'Italia e la Jugoslavia, la Germania voglia continuare ad essere presente a Belgrado, senza dare l'impresssione di avere sgomberato una posizione. Mi riservo di tornare sul viaggio quando sarà terminato. Ad ogni modo, fino da ora si può dire che la prima parte, e cioè la visita a Belgrado, sia stata accolta con profonda soddisfazione in Germania, soprattutto perché vi ha dato l'impressione di una solida amicizia, basata su vari interessi, e sul rispetto reciproco

fra i due Paesi.

Molti elogi sono stati fatti, in questa occasione al signor Stojadinovic, cui si

attribuisce personalmente il merito del consolidamente interno della Jugoslavia,

che ha permesso alla Nazione una più grande affermazione d'indipendenza nei

suoi rapporti coll'estero in genere e colle grandi Potenze in ispecie. Com'è noto, in

occasione della visita di von Neurath, al signor Stojadinovic è stata conferita dal

Fiihrer la Gran Croce del nuovo Ordine al Merito dell'Aquila tedesca, mentre a

von Neurath il Principe Reggente di Jugoslavia ha conferito l'Ordine dell'Aquila

Bianca di prima classe 2 .

1 Il 26 maggio, al Senato in sede di bilancio del ministro degli Esteri (testo in Relazioni Internazio

nali, pp. 477-479).

2 Il documento ha il visto di Mussolini.

715

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 2462. Londra, 9 giugno 1937 (per. il 17).

Ho riveduto Ribbentrop stasera non appena ritornato da Berlino, da dove è ripartito stamane col suo aeroplano. Abbiamo preso tutti gli opportuni accordi per l'azione comune da svolgersi, secondo le istruzioni ricevute dai nostri due Governi, nella riunione indetta da Eden per posdomani venerdì e alla quale prenderanno parte Eden, Corbin, Ribbentrop ed io 1•

Domattina, tanto io quanto Ribbentrop vedremo a parte Eden, e dopo ci ritroveremo di nuovo per scambiarci le nostre impressioni.

Ho domandato a Ribbentrop quali notizie portava da Berlino. Egli mi ha risposto dicendo di essere stato a lungo col Fuhrer e che il Fuhrer gli ha espresso la sua ferma convinzione che il Generale Franco finirà col vincere in !spagna. Goering da parte sua ritiene che la vittoria di Franco sarà assai facilitata dal ritiro dei contingenti di volontari dalle due parti.

Ho domandato a Ribbentrop quali erano le ragioni sulle quali Goering basava tali sue conclusioni. Ribbentrop mi ha risposto che, secondo Goering, ove si riuscisse a far ritirare e scioglier la brigata rossa internazionale, i rossi verrebbero a perdere il nucleo più importante delle loro milizie e probabilmente il contraccolpo, specie dal punto di vista dell'inquadramento e della disciplina, sarebbe fatale; mentre al Generale Franco rimarrebbe sempre, anche dopo un eventuale ritiro dei volontari italiani e tedeschi, un esercito disciplinato e organizzato ai suoi ordini.

Ribbentrop mi ha domandato che cosa io pensassi di questo che Goering gli aveva detto. Ho evaso una risposta diretta, !imitandomi a dire che io non possiedo elementi di giudizio e che la cosa non riguarda noi, bensì i nostri due Governi. Quello che a me interessa -ho aggiunto -è che l'azione diplomatica tedesca e l'azione diplomatica italiana nei confronti dell'Inghilterra, e particolarmente sul terreno della comune azione in !spagna, non lascino sussistere nell'opinione pubblica britannica dubbi di sorta.

Ribbentrop mi ha risposto che condivideva le mie considerazioni, e mi ha detto dell'eccellente impressione ricevuta in Germania dalle notizie sull'accoglienza così simpatica e cordiale che in Italia è stata fatta al Maresciallo Blomberg2 . Ribbentrop ha continuato parlando, questa volta, con inusitato calore, dell'Asse Roma-Berlino e dei reciproci vantaggi di una politica comune.

Come puoi immaginare, non ho mancato di esprimere a Ribbentrop la mia soddisfazione per queste sue dichiarazioni e ho cercato di rafforzare con molti ovvii argomenti l'evidenza di un fatto non meno ovvio e cioè che a parte qualsiasi decisione che i nostri due Governi abbiano preso o si 'ripromettano di prendere

l In proposito. si veda il D. 723. 2 Vedi p. 863, nota l.

circa la loro comune azione in !spagna, occorre dare agli Inglesi l'impressione netta che l'Asse Roma-Berlino è saldo, efficiente e non presenta in nessuna direzione incrinature di sorta: «Questo -ho aggiunto -è l'unico mezzo perché Berlino e Roma ottengano sicuramente da Londra quello che Londra mostra apparentemente di essere disposta di concedere a Berlino o a Roma separatamente sul terreno della politica generale, ma che di fatto l'Inghilterra non darà sino a tanto che essa crederà di poter coltivare la speranza di dividere o almeno indebolire la solidarietà fra i due Regimi fascista e nazista» 1•

716

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1036/228 R. Roma, 10 giugno 1937, ore 20,10

A seguito della mia comunicazione telefonica odierna, confermo che ho accettato proposta britannica riunione a Londra rappresentanti quattro Potenze interessate allo scopo di concretare adeguata formula per «garanzie» 2•

A quanto risulterebbe al governo tedesco, governo inglese si sarebbe fissato su formula seguente: «Ogni infrazione, ecc .... sarà considerata come riguardante (concerning of all) le quattro Potenze, le quali, indipendentemente da ogni immediata misura difensiva considerata necessaria dalla Potenza direttamente interessata, cercheranno immediatamente di concordarsi fra loro circa i passi da prendere di concerto».

Tale formula, se e quando posta in discussione, potrà essere senz'altro approvata dall'E.V. È possibile, sopratutto da parte francese, che si cerchi di interpretare tale formula, in modo da tentare di giungere alla specifica esclusione dell'azione individuale di «rappresaglie». In tal caso una interpretazione di compromesso potrebbe essere trovata ammettendo: l) libertà uso di legittima difesa immediata: 2) denunzia al Comitato per un'azione comune: 3) nel caso di ritardo o insufficienza dell'azione comune, libertà di rappresaglia.

Se la formula dovesse esser modificata in modo da inserirvi senza possibilità di equivoci l'interpretazione di cui ai tre punti indicati, Ella potrà approvarla. Qualora invece V.E. si trovasse in presenza di richieste per modificazioni di carattere sostanziale, si riservi, riferendo. Ribbentrop ha pure ricevuto istruzioni in questo senso dal suo governo. Ella vorrà pertanto agire in relazione continuando a tenersi in stretto contatto con lui in modo da svolgere azione concordata 3 .

l Il documento ha il visto di Mussolini.

2 Il 7 giugno, il governo Sritannico, constatato che le risposte alla sua nota del 2 giugno (per la quale si veda p. 896, nota l) erano in linea di massima positive, aveva proposto una riunione a Londra dei rappresentanti delle quattro Potenze allo scopo di concordare alcuni punti sui quali erano state avanzate delle riserve (si veda BD, vol. XVIII, D. 584).

3 Ciano comunicava di avere accettato la proposta britannica per una riunione delle quattro Potenze anche all'ambasciata a Salamanca con T. l 037/438 R. dell' 11 giugno che così terminava:

717

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4028/062 R. Bruxelles, 10 giugno 1937 (per. il 14).

V.E. avrà osservato che le informazioni da me raccolte al tempo delle visite di Eden 1 e di Delbos 2 e della dichiarazione franco-inglese 3 convergevano su due punti, confermatimi poscia dal direttore degli Affari Politici (mio telegramma per corriere n. 038 del 6 maggio) 4 e dallo stesso ministro degli Esteri (mio telegramma per corriere n. 041 del 10 maggio) 5 . Ossia che si sarebbe proceduto ad un patto plurilaterale di non aggressione, avente per oggetto il solo Belgio e possibilmente l'Olanda, con eventuali patti collaterali di assistenza; e che tali patti, o soltanto dichiarazioni unilaterali di assistenza, avrebbero dovuto essere concessi dalle Potenze desiderose di rafforzare la nuova situazione del Belgio, eventualmente raggiunta col patto pluriennale di non aggressione da parte dei grandi Paesi limitrofi.

Tali informazioni coincidono esattamente con quelle fornite riservatamente dal visconte Davignon al R. Ambasciatore a Berlino, e di cui al telespresso di V.E. 218218 6 .

Successivamente, ho riferito a V.E. le informazioni e le aperture ricevute dal segretario generale degli Esteri, barone van Langenhove, e dal segretario del Re, barone Capelle 7 , circa l'interesse del Belgio a vedere stabilizzato il desiderato suo nuovo assetto, mercé la concessione di garanzie da parte della Germania e dell'Italia, in guisa da controbilanciare la raggiunta sistemazione franco-inglese.

Il primo dei detti miei interlocutori accompagnava le sue parole con i seguenti due accorti rilievi: a) che il problema della sicurezza del Belgio, sia se risolto con un patto plurilaterale di non aggressione e relative dichiarazioni di garanzia, sia in altra guisa, risponderebbe sempre non già ad un interesse particolare o diretto del Belgio ma a quello di tutti i contraenti; sic2hé il Belgio sarebbe più oggetto che

«Comunichi quanto precede a codesto governo soprattutto ponendo in rilievo esclusione generica del Comitato di non intervento e specilìca del governo sovietico da deliberazioni in corso. Tali deliberazioni, che sono in ogni caso dirette contro i rossi, non potranno che giovare alla causa nazionale>>.

I Vedi D. 516.

2 Vedi D. 634.

3 Vedi D. 505.

4 T. per corriere 3190/038 R. del 6 maggio. Riferiva di avere appreso che durante la sua visita a Bruxelles Eden aveva espresso al rappresentante tedesco l'intenzione di proporre quanto prima un progetto di soluzione della questione belga, di cui peraltro non aveva indicato la formula. Da fonte belga, Preziosi aveva saputo che si era parlato di «un patto plurilaterale di non aggressione avente per oggetto il Belgio e possihilmente l'Olanda con possibili patti collaterali di assistenza>>. Un progetto -notava il ministro Preziosi -che «somiglia da vicino, malgrado la differente terminologia, a quella garanzia triangolare in favore del Belgio per la quale il diplomatico tedesco ha sempre dimostrato avere propensione>>.

s Vedi p. 787, nota l.

6 Non rintracciato. Probabilmente ritrasmetteva il D. 577.

7 Vedi D. 612.

soggetto della sistemazione; b) che la garanzia unilaterale franco-inglese non era stata mai sollecitata dal Belgio, ma data spontaneamente da Londra e da Parigi (mio telegramma per corriere n. 52 del 24 maggio) 1•

Contemporaneamente il segretario generale mi confidava che ogni sondaggio belga ai fini della integrazione della propria sicurezza sarebbe stato sospeso in attesa dell'esito della nuova iniziativa, che era per prendere la Francia.

Ora, dalle mie ulteriori indagini di questi ultimi giorni, e presso elementi ufficiali diversi dal segretario generale, mi è stato ribadito: a) che il Belgio, aderendo alla preghiera francese, ha sospeso la perfezione di una sicurezza limitata strettamente al Belgio, in attesa degli sviluppi dell'imminente iniziativa del Quai d'Orsay; b) che qualora però questa avesse a fallire, il Belgio rivedrebbe subito la sua situazione; c) che in ogni caso il Belgio, liberato ormai dai suoi impegni di garanzia, non credeva dovere prendere esso medesimo iniziative, giacché il problema della sua sicurezza era di interesse generale delle grandi Potenze occidentali.

Come V.E. osserverà, mi è stato al postutto ripetuto quanto ebbe ad accennarmi già il van Langenhove: e cioè che, come la Francia e l'Inghilterra avevano proceduto verso il Belgio in modo spontaneo e nell'esclusiva considerazione dei propri interessi, così anche a Roma e Berlino «potrebbero proporre formule di dichiarazioni o convenzioni rispondenti alle loro rispettive vedute e situazioni nei riguardi di Ginevra» (mio telegramma per corriere n. 056 del 2 corr.) 2•

In succinto, dalle informazioni che precedono, appare che mentre il Belgio intende non dipartirsi da quanto stabilito con Londra -di mettere cioè possibilmente, in mancanza di un nuovo Locarno, la sicurezza del Belgio esclusivamente sotto la nota garanzia triangolare -cerca tuttavia in via ufficiosa e riservata lasciarsi porte aperte per una sistemazione più organica, e comunque più rispondente al risentito bisogno di dare alla nuova situazione del Paese, secondo le parole del Langenhove, il maggior possibile «equilibrio» od «equidistanza».

Tutto ciò, a parte l'intrinseca convenienza dell'atteggiamento, risponde pure a due diverse tendenze, che è dato ormai scorgere in queste sfere dirigenti. L'una, predominante, apparentemente dispo,:;ta a volersi uniformare al discorso reale, ma di fatto decisa a non dipartirsi in alcun modo dai desideri franco-inglesi, sia per l'impossibilità di dimenticare, come ebbe un giorno a dirmi Spaak, che fu la Germania ad invadere il Belgio fino allora neutrale e sia per una non sormontabile idolatria politica sul terreno della democrazia e di Ginevra. L'altra, sinceramente convinta dell'interesse a trarre ogni logica conseguenza dal discorso reale e quindi a dare al Belgio una situazione di effettiva indipendenza, mercé un perfetto equilibrio od equidistanza nei rispetti delle influenze estere. A questa ultima tendenza appartengono le sfere di Corte con a capo il barone Capelle, e forse anche, giusta pure l'impressione del mio collega tedesco, il segretario generale degli Esteri. D'onde deriva un'ormai visibile diversità di parole e di atteggiamenti in questi elementi dirigenti; un fare e non fare; uno studio a lasciarsi davanti possibilità di alternativa; quasi insomma un vivere alla giornata.

I Vedi D. 634. 2 Vedi D. 681.

Per quanto infine concerne gli assaggi fatti dal Davignon a Berlino, se m1 e stato detto che essi hanno incontrato un favorevole accoglimento, nessun accenno mi è stato fatto agli eventuali riferimenti della Wilhemstrasse all'Italia, per quanto concerne il problema della sicurezza belga.

718

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

TELESPR. 219573 /c. Roma, 10 giugno 1937

Suo rapporto n. 794 del 6 aprile 1937 1 e suo telegramma per corriere n. 111 del l o maggio u.s. 2•

Approvo quanto V.E. ha detto al signor Léger circa la nota sentenza della Corte di Tunisi che -come risulta dai telespressi di quel R. Console Generale n. 1038 del 27 aprile e 10541 del 28 aprile3 -ha condannato, con evidente abuso di giustizia e sottostando ad influenze di carattere politico, il direttore del giornale L 'Unione ed è stata eccessivamente longanime verso gli antifascisti, suoi aggressori.

Il signor Léger ha preso l'occasione della protesta di V.E. per rinnovare delle insinuazioni circa una pretesa attività antifrancese che l'Italia andrebbe svolgendo in Tunisia, Algeria, Marocco e Siria, ed ha accennato in modo speciale all'azione del R. Console ad Algeri. Prego V.E. di voler, alla prima occasione, chiedere in modo formale al signor Léger di voler precisare -citando fatti concreti -le vaghe accuse da lui formulate.

Da parte nostra siamo in grado di smentire nettamente le sue affermazioni. A parte, infatti, l'azione di difesa delle collettività italiane anche contro il pericolo comunista, specialmente in Siria, azione che, se può essere male interpretata da qualche agente francese locale, ridonda in definitiva a beneficio dello stesso territorio di mandato, è del tutto falso che da parte nostra si fomentino movimenti antifrancesi, nel Nord Africa come altrove. Né è comunque modificato l'atteggiamento delle Autorità italiane nella Reggenza da quello constatato dopo gli accordi di Roma4 . D'altra parte, codesta R. Ambasciata, come è noto a V.E., ha avuto più volte occasione in questi ultimi anni di intrattenere gli uffici del Quai d'Orsay, segnalando e deplorando di volta in volta la campagna di stampa e la propaganda antitaliana che il governo francese tollerava nelle proprie Colonie, Protettorati e territori di Mandato e tendente a porre in cattiva luce la politica coloniale dell'Italia.

Il R. Governo non ha poi mancato di prospettare anche al governo francese i danni che a tutte le Potenze aventi interessi coloniali immancabilmente avrebbe

I Vedi D. 415. 2 Vedi D. 536. 3 Non pubblicati. 4 Riferimento agli accordi itala-francesi del gennaio 1935.

recato l'atteggiamento adottato dalla Francia durante la campagna etiopica, e particolarmente l'estensione delle sanzioni, volute dalla Francia, ai territori coloniali, di mandato e di protettorato.

In tempo più recente codesta R. Ambasciata ha avuto ~senza successo ~ a sollecitare la consegna dei noti assassini del tenente Biondo i quali da oltre un anno si trovano in territorio francese dove si erano rifugiati dopo commesso il delitto.

La solidarietà coloniale viene oggi invocata da parte francese (v. rapporto dell'E.V. n. 542 dell'8 marzo) 1; ma non si vede come la Francia possa applicarla in pratica, sino a che si manterrà in vita la finzione giuridica dell'esistenza dell'ex Stato etiopico, con le deplorevoli conseguenze d'ordine pratico cui tale finzione dà luogo (v. incidenti a Gibuti, questione del riconoscimento dello ~tato italiano come successore di quello etiopico a tutti i validi effetti, mancato accreditamento dell'Ambasciatore di Francia a Roma, ecc.). A queste conseguenze accenno qui come naturale risposta alle osservazioni francesi e non per far premure a favore del riconoscimento.

D'altra parte, è noto che, con la tolleranza delle autorità della Repubblica, viene svolta in tutti i paesi coloniali controllati dalla Francia una intensa propaganda comunista che vi provoca agitazioni e turbamenti, dei quali l'Italia intende che le sue colonie, dedite ad una pacifica e costruttiva opera di progresso sociale e di valorizzazione economica, rimangano immuni.

Deve quindi respingersi nettamente l'insinuazione (cui ha forse dato origine qualche agente locale, che non vuole o non può esporre le reali cause che producono lo stato di agitazione esistente in tutto il Nord-Africa francese) che l'Italia fomenti tale stato di agitazione, da essa invece deplorato, e che trova la sua spiegazione nella situazione politica generale di codesto Paese.

719

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. l081 /507. Ankara, 10 giugno 1937 (per. il 22).

Telegramma di V.E. n. 61 2 e mio telegramma n. 138 odierno3 . Ho Ietto attentamente tutto il gruppo di telegrammi per corriere e di telespressi arrivatimi col corriere ieri mattina a lstanbul, che trattano della riunione di Ginervra

l Vedi D. 255.

2 Con T. 1002/61 del l" giugno, Ciano aveva richiamato l'attenzione dell'ambasciatore Galli su i telegrammi con cui Bova Scoppa aveva segnalato l'atl_ì:ggiamento tenuto da Riistii Aras a Ginevra e lo aveva incaricato di esprimere a Riistii Aras «la sua sorpresa per il linguaggio da lui tenuto».

3 T. 3979/138 R. del IO giugno. Comunicava di avere avuto un lungo colloquio con Riistii Aras su la questione.

e segnatamente i n. 7960, 7968 e 8113 del 29 maggio e l o giugno che riferiscono il colloqui di Aras con Komarnicki e quello con S.E. Pilotti 1 .

Ho preso ieri sera il treno per Ankara per viaggiare insieme ad Aras arrivato ieri l'altro da Bucarest. Ero così sicuro di avere lungo e comodo agio di discorrere con lui ampiamente. Sono infatti restato ininterrottamente col ministro turco degli Affari Esteri dalle 19 alle 24 passate ed abbiamo anche pranzato insieme.

Egli stesso è entrato in argomento narrandomi spontaneamente la azione polacca e la dichiarazione di Komarnicki nella seduta del 26 maggio, alla quale erano seguiti il vivace colloquio da lui avuto con il delegato polacco e poi le delucidazioni e chiarimenti che Aras aveva creduto dare a Pilotti.

Premesso che Aras non sapeva nulla della dichiarazione che il Komarnicki si proponeva fare ma la aveva appresa qualche minuto prima da Litvinov che lo aveva anche informato della replica che avrebbe fatto il delegato messicano, che di questa mancanza di collegamento con lui egli faceva primo rimprovero al Komarnicki, ha aggiunto che anche Eden e Delbos non erano sufficientemente informati. Ciò concludendo che la dichiarazione era fine a se stessa visto che per la forma in cui era espressa non richiedeva alcun voto dell'Assemblea e non risolveva neanche la posizione di diritto fra Polonia ed Italia dato che, come Komarnicki stesso gli ammetteva, non significava riconoscimento esplicito dell'Impero italiano, il quale riconoscimento sarebbe se mai seguito in altra occasione. Era quindi un puro gesto sterile destinato forse a guadagnarsi l'amicizia italiana ma vago ed impreciso. Aveva in ogni caso sorpreso la Assemblea impreparata, ed aveva dato luogo alla replica messicana. Tuttavia egli aveva osservato che il silenzio che era seguito alle dichiarazioni del delegato messicano significava che in realtà l'Assemblea nella sua grande maggioranza non ne seguiva le argomentazioni ed avrebbe anzi aderito al suo punto di vista se la iniziativa polacca fosse stato preceduta dalla necessaria preparazione e ben presentata.

Fu a questo momento che il diverbio divenne più preciso sul tema della amicizia italiana della quale la Polonia non poteva avere il monopolio. Ed Aras mi ha spiegato che invero egli non si sente meno legato di amicizia all'Italia che la Polonia, che egli è stato e sarà sempre pronto ad agevolare una iniziativa che conduca alla indispensabile soluzione della questione abissina di fronte a Ginevra. La mossa polacca poteva infatti mettere in luce non simpatica e non giustificata verso l'Italia quelle Potenze, come la Turchia, che non la hanno subito appoggiata. Mentre la verità è che il governo turco non desidera altro che vedere riconosciuto l'Impero anche di diritto. Ma, secondo Aras, la mossa

1 Il T. per corriere 7960 P.R.C. del 29 maggio ritrasmetteva il fonogramma 3619/216 R. del 27 maggio di Bova Scappa in cui si dava notizia del vivace scontro verbale tra Riistii Aras e il delegato polacco Komarnicki, episodio sul quale si torna nel presente documento. Il T. per corriere 7968 P.R.C. del 29 maggio ritrasmetteva il fonogramma 3614/217 R. del 27 maggio di Bova Scappa che riportava quanto Riistii Aras aveva detto al segretario generale aggiunto della Società delle Nazioni, Pilotti, circa i motivi che avevano indotto la delegazione turca a non associarsi alle dichiarazioni di Komarnicki (le motivazioni sono ripetute qui da Riistii Artas all'ambasciatore Galli).

Il T. per corriere 8113 P.R.C. del l o giugno ritrasmetteva il fonogramma 3706/245 R. de129 maggio di Bova Scappa, relativo ad un suo colloquio con Komarnicki, il quale gli aveva confidato che prima di fare la sua dichiarazione all'Assemblea ne aveva messo al corrente Eden, Delbos e altri ministri degli Esteri senza peraltro trovare «né consensi, né incoraggiamenti».

polacca mal preparata, mal condotta, incompleta, era sostanzialmente ambigua ed insincera ed avrebbe potuto avere conseguenze pericolosissime. Ne dà colpa a Komarnicki, affermando che tutto sarebbesi svolto diversamente se Beck avesse dato prima le,sue istruzioni o, meglio ancora, se fosse stato presente a Givevra. Né una sua adesione che gli dicevo sarebbe stata utile, avrebbe apportato nessun beneficio.

Aras mi ha negato di essersi espresso col Komarnicki nel senso quasi di auspicare che la situaizone attuale si prolungasse anche oltre la sessione di settembre. Tutta la sua attività precedente stava proprio a dimostrare il contrario. In ogni caso tanto lui come il Komarnicki erano un poco eccitati verso la fine della discussione, era quindi possibile che qualche frase fosse stata malamente espressa,

o malamente intesa.

Egli non era poi sicuro che il Consiglio di settembre sarebbe presieduto da del Vayo ma soprattutto voleva sperare che a quel momento la situazione spagnola fosse liquidata come egli, ed anche noi, desideravamo. In ogni caso, era la Assemblea che avrebbe avuto funzione decisiva per liquidare la questione abissina e l'Assemblea sarebbe stata probabilmente presieduta dall'Agha Khan per il quale già si lavorava.

A Pilotti egli aveva voluto chiarire il significato della attitudine dell'Assemblea, che secondo il suo giudizio era stata nel complesso non antipatica per l'Italia e qui ha ripetuto l'argomento del silenzio dopo la replica messicana. Gli aveva precisato la sua attitudine, dichiarato i suoi sentimenti favorevoli al desiderio italiano. E mi ha affermato che egli non poteva dare maggior prova del suo sentimento che col discorso di chiusura dell'Assemblea, discorso da lui corretto in presenza di Pilotti, discorso che tutti (è sempre Aras che lo afferma) avevano considerato insolitamente coraggioso e realista e nel quale la posizione italiana e la germanica erano state da lui fissate con estrema simpatica chiarezza.

In sostanza Aras nel lunghissimo colloquio, del quale ho indicato qui sopra, i punti principali, ha tenuto a scagionarsi interamente da ogni nostro appunto. Le critiche da lui mosse al Komarnicki coincidono del resto con quelle che trovo nelle comunicazioni della nostra delegazione ginevrina e si rilevano anche dal colloquio del R. Ambasciatore a Varsavia con Beck.

Solo punto nel quale Aras non è stato chiaro è laddove egli ha voluto giustificare la sua frase relativa al rinvio della soluzione della questione abissina anche oltre la prossima Assemblea di settembre. E tutto porta a credere che abbia pronunciato quanto Komarnicki riferisce. La spiegazione di essere andato oltre le intenzioni nel calore della concitazione, può essere accettabile. E V.E. sa che io non sono tenero con Aras.

La seconda parte della discussione fra me ed Aras, discussione che credo superfluo riferire si è svolta interamente sul cattivo funzionamento del Gentlemen 's agreement per colpa inglese, sulla scarsa buona volontà inglese di risolvere ora la situazione, sulla coesistenza di dichiarazioni contraddittorie da parte inglese, sul sostanziale risultato di rinviare ancora la decisone in coincidenza con, non sempre espressi, desideri ed interessi inglesi. Manco a dirlo Aras ha costantemente difeso Eden da ogni mio avanzato sospetto, dichiarandolo anzi lealissimo e volenteroso di finire questa pesante situazione. Mi ha anzi aggiunto che Eden lo aveva assicurato che alla prossima occasione egli farebbe dichiarazioni simpatiche sullo sviluppo del gentlemen 's agreement e che egli aveva subito incaricato Hussein Raghib ambasciatore di Turchia a Roma, di portare a conoscenza dell'E.V. queste assicurazioni del ministro inglese degli Affari Esteri.

Ad una esclamazione di Aras «Voi mi dite che sostengo le ragioni inglesi senza esaminarle ma se sentiste quello che dico ad Eden non vi pronunciereste così», ho risposto, e non senza leggera ironia, che non avevo bisogno di sentire nulla: la sicura conoscenza della sua lealtà, della sincerità e del suo carattere fermo e tenace mi davano piena sicurezza e certezza che egli parlava a sostegno delle tesi italiane come non avrei potuto meglio fare io stesso!! Ed ho concluso che la politica italiana non desiderava che la pace del Mediterraneo. Spettava all'Inghilterra, volerla realizzare interamente.

720

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 399 3 /480 bis R. Salamanca, 11 giugno 1937, ore 22 (per. ore 2,30 del 12).

Hedilla 1 è stato condannato a morte per complotto contro la sicurezza dello Stato e per intelligenza col nemico. Lunedì avrà luogo nÙovo processo per altri capi imputati.

Ambasciatore di Germania è venuto a vedermi per comunicarmi che è preoccupato delle ripercussioni interne dell'eventuale esecuzione della condanna. Egli, che si reca domani a Burgos a chiedere al Generalissimo la commutazione della pena per condannato, mi ha chiesto se R. Ambasciata sarebbe intervenuta in favore del condannato.

Dato che mi risulta che tentativi, che furono già fatti in questo senso sono stati molto male accetti dalle Autorità e che sembra essere risultato dal processo che Hedilla fosse d'accordo con ambasciata tedesca nell'organizzazione di un colpo di Stato, ritengo che un nostro intervento sarebbe almeno superfluo e servirebbe soltanto ad alleggerire la posizione dei tedeschi nei confronti di questo governo.

Resto iii. attesa di istruzioni 2

I Il capo della Falange, Hedilla, era stato arrestato il 24 aprile precedente. 2 Vedi D. 722.

721

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2814/895. Berlino, 11 giugno 1937 (per. il 14).

Ho avuto ieri occasione di vedere per un momento Schacht e di domandargli la sua impressione sulla situazione generale in Francia 1•

Schacht mi ha risposto che, per guanto riguarda i rapporti franco-tedeschi, persistono, specialmente da parte di Blum, le buone disposizioni dell'anno scorso, ma persiste anche quell'assoluta mancanza di coraggio che caratterizza l'attuale governo francese e lo riduce all'impotenza. Quanto alla solidità della situazione parlamentare di Blum, egli ritiene che essa non sia troppa, ma che tuttavia Blum può anche sperare, forse, di sbarcare l'annata.

Ottimista, invece, Schacht si mostra guanto alla situazione interna della Francia. Egli dice di aver riportato la netta impressione che in Francia ogni pericolo comunista è ormai sorpassato e che se anche vi potranno essere incidenti ed eventuali convulsioni, il Paese, nella sua massa, si dimostrerà capace e pronto a reagire e nel senso buono. Schacht mi ha aggiunto che egli aveva portato con sé nel suo viaggio alcuni pezzi grossi del partito, e che anche questi sono ritornati assolutamente rassicurati sulla insussistenza di ogni pericolo bolscevico in Francia. Ciò, aggiungo io, è un elemento non trascurabile agli effetti di una distensione tra la Francia e la Germania 2 .

722

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. URGENTE 1049/449 R. Roma, 12 giugno 1937, ore 20.

Suo 480 3 . Ella potrà prospettare a codesto governo opportunità che sentenza pronunziata contro Hedilla non (dico non) sia in ogni caso prontamente eseguita. Nel prospettare tale opportunità faccia presente che non è affatto mio proposito ingerirmi in questioni di cui generale Franco è il solo giudice e neanche di sostenere Hedilla, sopra tutto se accusa di complotto contro la sicurezza dello Stato e intelligenza col nemico risulti accertata.

I Vedi p. 882, nota l. 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 3 Vedi D. 720.

Ponga bene in chiaro che nostro passo è motivato soltanto da preoccupazione dei contraccolpi e reazioni che condanna a morte e sua immediata esecuzione sentenza sono indubbiamente destinati a suscitare entro e fuori i confini della Spagna. Reazioni e contraccolpi che, nelle circostanze attuali, ritengo convenga evitare 1•

723

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4009/452 R. Londra, 12 giugno 1937, ore 20,40 (per. ore 2 del 13).

Con fonogramma 449 2 ho comunicato a V.E. testo dell'accordo a quattro raggiunto stasera. Tale testo definitivo è il risultato di tre laboriose riunioni durate nel complesso circa 12 ore. Difficoltà elaborare formula è stata esclusivamente dovuta all'atteggiamento governo francese, il quale, come previsto, ha fatto di tutto per sminuire impegno di azione comune da parte delle quattro Potenze navali. Di fronte questo tentativo francese, Ribbentrop ed io abbiamo reagito esprimendoci secondo le istruzioni di cui al telegramma di V.E. n. 228 3 . Abbiamo anzi chiesto sin da ieri che il Comitato dei Quattro approvasse una nota interpretativa nella quale fossero stabiliti nella forma più chiara seguenti tre principi:

l) impegno consultazione non deve in alcun caso fornire pretesto per costringere all'inazione Potenza attaccata; 2) consultazioni in vista delle comuni misure debbono giungere ad un risultato positivo entro minimo limite di tempo proporzionato alla gravità dell'incidente; 3) ritardo o mancanza accordo su azione concertata determinano la piena libertà d'azione della Potenza attaccata.

Governo francese interpellato iersera dall'ambasciatore Corbin ha cercato opporsi alla nota interpretativa. Ribbentrop ed io abbiamo controbattuto manovra domandando che tale nota fosse trasformata in un paragrafo aggiuntivo (paragrafo D) della comunicazione delle quattro Potenze Navali alle due Parti in Spagna.

Dopo lunga discussione e dopo aver consultato nuovamente suo governo, ambasciatore di Francia ha accettato nella seduta di oggi pomeriggio la nostra formula, domandando peraltro che venisse aggiunto un altro paragrafo sulla internazionalizzazione del controllo navale.

Per dare qualche soddisfazione ai russi e per evidenti motivi demagogici, governo francese domandava che quattro Potenze si impegnassero presentare al Comitato proposte comuni per internazionalizzazione pattuglie navali e per adozione sistema osservatori neutri a bordo navi destinate controllo.

l Per il seguito si veda il D. 731.

2 T. 4008/449 R. del 12 giugno, non pubblicato. Il testo dell'accordo-~ comunicato il 15 giugno dal governo britannico ai due governi spagnoli -è in BD, vol. XVIII, D. 606.

3 Vedi D. 716.

Eden ha appoggiato francesi solo per proposta relativa osservatori neutri ed ha cercato indurre me e Ribbentrop ad accettare sua inclusione nella formula. Ribbentrop ed io ci siamo opposti, e Comitato dei Quattro ha finito per approvare inclusione nel paragrafo d) di tre frasi pleonastiche nelle quali le quattro Potenze annunziano che ciascuna di esse si riserva presentare al Comitato proposte dirette a «sottolineare carattere neutro e non» del sistema delle pattuglie navali 1•

Sulla questione osservatori neutri, Eden nel corso delle nostre discussioni non (dico non) ha assecondato manovre ostruzionistiche francesi 2

724

IL MINISTRO A PRAGA, DE F ACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4112/025 R. Praga, 12 giugno 1937 (per. il 17).

Riferimento: mio telegramma per corr. n. 018 del 31 maggio u.s. 3 Krofta aveva informato questo ministro di Ungheria del punto di vista della Piccola Intesa circa il riarmo ungherese quale fu da me portato a conoscenza di

V.E. col telegramma in riferimento.

Il ministro di Ungheria ha ora fatto conoscere a Krofta la risposta del suo governo nel senso che l'Ungheria «non è disposta a pagare nessun prezzo pel riconoscimento da parte dei tre Governi della Piccola Intesa del suo diritto all'uguaglianza in genere e al riarmo in ispecie». Il governo ungherese potrebbe considerare l'opportunità di addivenire ad un trattato o a una dichiarazione di non aggressione qualora i governi della Piccola Intesa fossero disposti ad «un gesto» conciliante relativo al trattamento delle minoranze magiare nei rispettivi Stati.

Krofta -secondo quanto questo collega di Ungheria mi ha riferito -avrebbe reagito a tale richiesta dicendo inammissibile che l'Ungheria mettesse ancora avanti condizioni da parte sua e dichiarando che il governo cecoslovacco, come ha fatto già noto alla Germania, non accetterà mai di discutere con un governo estero su questioni relative alle minoranze in Cecoslovacchia, discussioni del genere contrastando con i diritti sovrani dello Stato cecoslovacco sul proprio territorio.

1 Il testo dell'accordo cui si fa qui riferimento-che fu trasmesso lo stesso 12 giugno al presidente del Comitato di non intervento ma non ai due governi spagnoli -è in BD, vol. XVIII, D. 608.

2 Ciano telegrafava di ritenere opportuno che le navi italiane e tedesche riprendessero la sorveglianza non appena il governo britannico avesse notificato l'accordo alle due parti spagnole e suggeriva che Roma e Berlino rendessero pubblica la loro decisione contemporaneamente, così da sottolineare la loro stretta intesa nella questione (T. l 057/219 R. del 15 giugno, per Berlino, e T. l 057/233 R., stessa data, per Londra). In effetti, il ritorno dell'Italia e della Germania nel sistema di controllo fu comunicato contemporaneamente il 16 giugno e fu annunciato pubblicamente con un comunicato congiunto delle ambasciate d'Italia e di Germania a Londra.

3 Vedi D. 664.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4252/023 R. Ankara, 12 giugno 1937 (per. il 22).

Il viaggio di von Blomberg a Roma 1 non ha suscitato eccessiva curiosità in quanto lo si è considerato nel quadro normale dei rapporti Roma-Berlino. Qualche commento di stampa è uscito dai limiti, riproducendo se mai qualcheduno degli argomenti della stampa anglo-francese, ma senza acrimonia.

Più interesse invece ha suscitato quello di Neurath a Belgrado, Sofia, Budapest2 e qualche apprensione. Me ne ha intrattenuto poco fa Aras ed ho comunicato telegraficamente a V.E. con n. 141 3 il punto centrale delle sue osservazioni che ora riferisco più ampiamente. La visita di Neurath a Belgrado, egli mi ha detto, non ci impressiona. Entra nello sviluppo logico dei rapporti fra Germania e Jugoslavia che hanno in primo luogo un contenuto economico importantissimo per i due Paesi. Potrà esserne impressionata la Francia, in quanto, se effettivamente nel giro di orizzonte di von Neurath e di Stojadinovic vi è stata concordanza di idee, essa è perlomeno in antitesi con la concezione ed il sistema francesi a non combacia con i legami franco-jugoslavi. Comunque, in Turchia la visita non desta alcuna apprensione, anche perché abbiamo chiarimenti non dubbi da Belgrado ed abbiamo fiducia in Stojadinovic e non tocca l'Intesa Balcanica. D'altra parte, per andare a Sofia, von Neurath doveva per forza passare da Belgrado o da Bucarest. Ed è la visita a Sofia che costituisce un punto di interrogazione, al quale, dice Aras, «non sappiamo ancora che rispondere. Crediamo che essa sia il punto effettivo cui si mirava e lo scopo essenziale del viaggio ma con quali precise finalità non possiamo ancora affermare. È in ogni caso un ingresso in pieno della Germania nella politica balcanica. E deve notarsi che si tratta della prima visita a Sofia di un ministro degli Affari Esteri di una grande Potenza. Dobbiamo perciò cercare di comprenderne il significato preciso, pur non drammatizzando menomamente lo scopo del viaggio. Ma esso porta anche sul Mar Nero, perciò i miei amici di Mosca potranno esserne sorpresi e chiedersi con maggiori ragioni il perché di tale manifestazione.

La visita a Budapest, tanto più che viene dopo quella di Belgrado, rientra nei rapporti normali fra Germania ed Ungheria».

Ho riferito quasi testualmente alcune parole di Aras. Da esse risulta: a) la permanente preoccupazione di qualsiasi cosa accada in Bulgaria, la quale può essere, in mano di altri, ariete contro il possesso turco in Europa. b) Il timore di complicazioni anche soltanto diplomatiche fra Germana e Soviet. La Turchia abbisogna sinceramente di pace ed aspira alla pace. Questa le permette un costante giuoco di equilibrio tra i movimenti delle maggiori forze europee e lo sfruttamento del pos-

I Vedi p. 863, nota l. 2 Vedi p. 899, nota 3. 3 T. 4013/141 R. del 12 giugno, non pubblicato.

sesso degli Stretti. Qualsiasi aggravamento della situazione anche soltanto nell'orizzonte diplomatico può costringere la Turchia a prendere un partito, a determinare più chiaramente la sua posizione. È questo che la politica turca vuole evitare con ogni suo possibile mezzo.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO

TELESPR. 2848/905. Berlino, 12 giugno 1937 1 .

Ad ogni buon fine, e nonostante che analoga comunicazione V.E. abbia sicuramente già ricevuto da Parigi, ho l'onore di inviare qui unita all'E.V. copia del memorandum francese che in data 10 corrente è stato a «titolo di informazione» rimesso da questo ambasciatore di Francia all'Auswartiges Amt 2 . L'ambasciatore François-Poncet ha chiesto di poter ulteriormente illustrare questa nota «di persona».

Il documento francese non è stato ancora qui oggetto di ponderato esame da parte di alcuno. Una prima lettura del documento ha tuttavia permesso al segretario di Stato Mackensen di dichiarare al ministro belga che la nota stessa era concepita in forma così conciliante da mettere «quasi in imbarazzo». n che, in altre parole, significa che, dato il tenore della nota, il governo tedesco si sentirebbe ormai imbarazzato a rispondere alla nota stessa, sia evasivamente, sia in maniera che potesse essere giudicata non altrettanto conciliante.

Come infatti l'E.V. si renderà facilmente conto dalla lettura del documento, il governo francese questa volta, !ungi dal perseguire formule astratte e dal cercare con esse di coprire a sé stesso ed agli altri la realtà, affronta le diverse questioni in termini relativamente positivi e, mentre da una parte cerca di dare alle questioni stesse le soluzioni ch'esso crede più appropriate, dall'altra non chiude nessuna porta. Né l'imbarazzo è costituito soltanto dal tono conciliante della forma: esso è aumentato dal fatto che, ormai, è la Francia che piuttosto che cercare di imporre le proprie chiede soluzioni e formule agli altri. Sopra un solo punto la nota francese si mostra assolutamente intransigente ed è quello della congiuntività delle garanzie, punto sul quale anzi, essa ritorce contro di noi l'accusa di voler alterare il sistema locarniano preesistente. Riferendosi evidentemente più alla congiuntività formale e giuridica che a quella politica, la nota rileva infatti al riguardo che l'antico patto di Locarno stabilisce delle garanzie non soltanto congiuntive ma anche individuali e ciò «in termini che non si prestano ad alcun equivoco». Secondo la Francia, la congiuntività invocata servirebbe a rendere possibile «a un garant défaillant, d'empècher par sa défaillance mème l'autre garant de fournir une assistance, cependant justifiée par !es événements ».

1 Manca l'indicazione della data d'arrivo.

2 Memorandum del governo francese del 9 giugno relativo ad un nuovo Patto di Locarno. Testo in DDF, vol. VI, D. 49, allegato.

Salvo su questo punto, al quale il governo francese dichiara che non potrebbe in alcuna ipotesi dare il suo consenso, la nota del Quai d'Orsay si mostra disposta, se non a cedere, almeno a trattare su tutti quanti gli altri.

Notevole, sopratutto, è la posizione presa dal governo francese sulla famosa questione delle eccezioni, nella quale, premesso che anche il governo tedesco ha in fondo riconosciuto che il nuovo trattato non possa esser interpretato come un bianco-segno autorizzante uno dei firmatari a mettere in pericolo l'integrità territoriale e l'indipendenza politica di un altro Stato, si contenta di dire che il problema si riduce soltanto «à réserver à chacun des signataires, sur un pied de parfaite égalité, la possibilité, sans manquer aux engagements résultant pour lui du nouveau traité, d'intervenir contre tout agresseur qui aurait violé les obligations du Pacte de la Société des Nations ou du Pacte de Paris».

In proposito, il governo francese mostra anche di dare soddisfazione al punto di vista italiano riconoscendo dover essere cura di ciascuno dei firmatari della nuova Locarno di fare in modo che i trattati da esso ulteriormente conclusi siano d'accordo col trattato di Locarno e non già il viceversa, e concludendo anzi che il governo francese vedrebbe con piacere riportati nel nuovo trattato addirittura i paragrafi 2 e 3 dell'antico art. 2.

Altra concessione di molta importanza fatta su questo punto è che il governo francese ammette che, contrariamente a quanto aveva sostenuto finora «une partie contractante ne saurait pas etre admise a se réclamer arbitrairement des exceptions stipulées», e che quindi, a decidere della legittimità dell'eccezione, possa essere necessario l'intervento di una autorità imparziale, autorità che il documento si guarda bene dal comunque identificare, anche soltanto a titolo indicativo, con la S.d.N.

Questo costituisce da parte francese una indubbia ritirata e sopra uno dei punti ritenuti, specialmente dai tedeschi, fra i più fondamentali del negoziato.

Ulteriormente, la nota cerca di chiarire le ragioni del «carattere reciproco della garanzia» già proposta dalla Francia ed aggiunge ritenere che, partendo da una posizione di perfetta parità fra tutte le quattro Potenze del patto, si possa benissimo addivenire ad un sistema combinato di garanzie bitriangolari. Su questo punto, peraltro, la nota francese, mentre dice di non vedere perché un tale sistema non sia possibile, non fa tuttavia di esso una condizione sine qua non, lasciando così comprendere, che, ove gli altri fossero inclini a restare sul piano dell'antica Locarno, anche la Francia, probabilmente lo sarebbe.

Come già per la congiuntività, il governo francese si schiera ulteriormente contro !'«unanimità» del giudizio dei garanti richiesto per l'entrata in gioco del patto in caso di flagranza, e richiede in fondo che ciascuno dei garanti si riservi una certa libertà di azione. Anche questo è affermato, ma non in forma perentoria, e d'altra parte la nota continua col dire che, messi da parte i casi flagranti e pur convinta che l'organo più appropriato per la risoluzione dei casi di urgenza non immediata sarebbe il Consiglio della S.d.N., conclude dichiarando -e questa è anch'essa una concessione, formale ma di grande importanza -che il governo francese si tiene «pronto ad esaminare ogni altro suggerimento pratico compatibile colle disposizioni del Patto».

Come V.E. vede dai cenni che precedono, le concessioni che la Francia ha già fatto e che fa intendere -la nota è, anche da questo punto di vista, redatta con grande abilità -di essere disposta ulteriormente a fare non sono, dal punto di vista tedesco, di poca importanza. Ma importantissima fra tutte è quella riguardante le eccezioni. Ed è su questo punto specialmente che l'ambasciatore di Francia mi ha dichiarato voler insistere nella sua illustrazione orale della nota giungendo a far intravvedere la stessa possibilità che, una volta permesso alla Francia di restareda un punto di vista altrettanto Iato quanto esclusivamente formale -a posto cogli impegni già assunti erga omnes, essa è in sostanza disposta a «mollare» la Russia. Quanto, in un momento in cui l'U.R.S.S. -sotto l'azione degli inauditi avvenimenti di questi giorni 1 -sta evidentemente perdendo terreno così a Parigi come a Londra, una simile prospettiva possa qui piacere, è facile comprendere. Si crea così nella Germania un legittimo interesse a sfruttare le «possibilità»-perché naturalmente di sole possibilità per ora si tratta -della nota francese, o per lo meno l'interesse a forzare la Francia a mostrare col fatto se e quali di quelle possibilità essa sia poi in definitiva disposta a tradurre nella realtà.

Mi riservo comunque di accertare ulteriormente, appena possibile, le reazioni ufficiali dell' Auswartiges Amt e soprattutto il pensiero di Neurath, atteso ormai di ritorno da un momento all'altro. Fin da ora tuttavia -e tenuto conto delle tendenze della politica generale tedesca quali esse si sono venute rivelando in questi ultimissimi tempi -mi pare di poter prevedere:

a) che, specie se l'Inghilterra mostrerà di voler secondare la Francia in questa evidente mossa di riavvicinamento a Berlino, la Germania non-dico non-sarà disposta, in massima, a fare cattiva accoglienza alla nota francese e anzi si varrà dell'occasione per mostrare che anch'essa è animata da desideri distensivi e collaborazionisti;

b) che, specialmente -ripeto -se alla nota francese seguirà subito una analoga nota inglese, l' Auswartiges Amt preferirà rispondere, a sua volta, con una relativa sollecitudine.

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IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 7131/1126. Budapest, 12 giugno 1937 (per. il 14).

Ho l'onore di segnalare all'Eccellenza Vostra che il 9 corrente il conservatore Pesti Hirlap ha pubblicato una corrispondenza da Londra ove è messo in rilievo che la diplomazia britannica mai ha seguito con tanto interesse come attualmente gli sviluppi della politica danubiana. A questo riguardo però quello che maggiormente preoccupa l'Inghilterra è l'attività degli uomini di Stato tedeschi. Secondo i circoli ufficiali inglesi, l'attività della diplomazia germanica nel bacino danubiano è dovuta al fatto che Berlino, malgrado l'appoggio e le garanzie di Roma, vede in pericolo la propria influenza in questo settore. A Londra non tengono segreto il fatto che il

1 Riferimento al processo di Tucacevski e di altri esponenti sovietici. In proposito vedi p. 954, nota l.

governo inglese, d'accordo con la Francia, fa tutto il possibile affinché nell'Europa Centrale sorga un'alleanza, la quale, sia dal punto di vista politico che economico, possa rendersi autonoma da un'eccessiva influenza germanica ed italiana. Non è possibile stabilire se tale piano sia partito da Londra o sia stato invece preparato da uomini di Stato austriaci o cechi durante il loro soggiorno nella capitale inglese. È certo che gli uomini di governo britannici sono riusciti a convincere i rappresentanti degli Stati danubiani a preparare un progetto in tal senso. Le trattative tra i vari Stati, subito dopo le conversazioni di Londra, avrebbero avuto già inizio con un rapido ritmo e procederebbero favorevolmente. Per controbilanciare tale progetto avrebbe avuto inizio l'intensificata attività della diplomazia tedesca. Il Daily Telegraph rileva che Neurath visita le capitali degli Stati danubiani evitando Vienna e dà grande rilievo anche al discorso di Darànyi nel quale il presidente del Consiglio ha accennato all'Inghilterra1 . L'interessamento del governo inglese per le questioni centroeuropee non potrebbe essere provato meglio da nessun'altra notizia di quella che nel corso del mese di settembre il ministro degli Esteri Eden o il suo sostituto Lord Cranbome visitirebbe Praga, Vienna e Budapest. Negli ambienti del ministero degli Esteri non hanno voluto fare alcuna dichiarazione in proposito ma non hanno smentito il fatto che si parla di tale viaggio. Non è escluso che, prima che la visita abbia luogo, i rappresentanti degli Stati danubiani torneranno nuovamente a Londra. L'Inghilterra appoggia le aspirazioni danubiane non solo moralmente ma avrebbe offerto anche serie facilitazioni nel campo economico per il caso che i Paesi danubiani riuscissero a mettersi d'accordo. Nei circoli diplomatici non si nascondono che un simile accordo potrà essere realizzato solo se saranno tenute nel debito conto le giuste esigenze dell'Ungheria. Nei circoli competenti di Londra si nutre fiducia che sotto l'influenza delle grandi Potenze occidentali e col loro aiuto gli Stati della Piccola Intesa assumeranno un atteggiamento più sensato.

Il giorno stesso della sua pubblicazione ho parlato dell'articolo con Kanya che mi ha detto non averlo ancora letto; che in ogni modo me ne smentiva assolutamente il contenuto, sia dal lato politico, sia per quanto riguardava la notizia del viaggio di Eden di cui non si era mai parlato. Le conversazioni con gli Stati della Piccola Intesa erano solo quelle che mi aveva riferito: mio telegramma per corriere

n. 0113 del 9 corrente 2 .

Il giorno seguente lo stesso Pesti Hirlap pubblicava la seguente smentita dell'agenzia Reuter: «1 circoli londinesi bene informati non sanno nulla delle asserite visite che, secondo notizie da Budapest, il ministro degli Esteri Eden o il segretario di Stato agli Esteri, Lord Cranbome, avrebbero progettato per la metà di settembre nelle capitali del centro-Europa. A Londra rilevano che la metà di settembre sarà dedicata tutta all'attività a Ginevra. Non sono confermate neanche le notizie, secondo le quali l'Inghilterra sarebbe pronta a fare concessioni economiche a favore dei Paesi dell'Europa Centrale». Lo stesso giornale faceva seguire il seguente commento: «La Reuter pubblica il comunicato che precede in relazione alla nostra

1 In un discorso tenuto il 6 giugno al congresso del Partito di Unità Nazionale, Daranyi aveva passato in rassegna i rapporti dell'Ungheria con gli altri Stati e a proposito della Gran Bretagna aveva detto che «il governo, la politica, e la società inglesi diventano in sempre maggiore misura consapevoli delle difficoltà della nostra situazione».

2 Vedi D. 712.

corrispondenza da Londra apparsa nell'ultimo numero del Pesti Hirlap. Pubblichiamo volentieri questa dichiarazione dei «circoli londinesi bene informati»; aggiungiamo soltanto che in tal modo gli avvenimenti che si possono attendere dopo il mese di settembre dimostreranno se erano meglio informati i circoli londinesi della Reuter oppure quei circoli, ai quali il nostro corrispondente da Londra si richiama nella sua notizia che ha destato grande impressione».

Il Pesti Hirlap ha pubblicato poi ieri, 11 giugno, una nuova corrispondenza da Londra nella quale rileva un'altra volta che il Foreign Office svolge un'attività sempre più intensa verso il continente. Sottolinea la notizia dell'arrivo, che il giornale definisce inatteso, a Berlino del sottosegretario di Stato agli Esteri inglese lord Plymouth. Negli ambienti del ministero degli Affari Esteri britannico si limitano a dire che scopo del viaggio è soltanto quello di continuare delle trattative ispirate a buona volontà. Alla stessa maniera è spiegato anche il viaggio nell'Europa Centrale dei rappresentanti della politica estera inglese del quale il Pesti Hirlap ha dato per primo la notizia. La notizia del viaggio degli uomini di governo inglesi nell'Europa centrale è stata confermata anche da parecchi componenti la Camera dei Comuni. Oggi le sorti dell'Europa Centrale interessano l'Inghilterra come si trattasse di una regione nelle sue immediate vicinanze. Secondo notizie più recenti, sta in relazione con la politica centroeuropea di Eden anche il fatto che il Cancelliere Schuschnigg e il presidente del Consiglio Hodza sono stati invitati a Londra. Le due visite avranno luogo nel corso del mese di luglio. Negli ambienti magiarofili del Parlamento inglese queste notizie sono discusse con vivissima gioia. La corrispondenza riproduce quindi una dichiarazione del deputato Procter, il quale afferma essere sempre stato d'avviso che senza l'Inghilterra non era possibile raggiungere una soluzione pacifica nel bacino danubiano. Ora una sistemazione non può tardare a lungo. Il deputato Procter manifesta l'intenzione di presentare un'interrogazione al ministro Eden a proposito della situazione delle minoranze ungheresi negli Stati successori. Eden gli risponderà mercoledì venturo.

Mi riservò parlarne di nuovo al ministero degli Affari Esteri e riferire all'Eccellenza Vostra ogni dettaglio che potrà risultarmi.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO PER CORRIERE 4018/47 R. Roma, 13 giugno 1937 (per. stesso giorno).

Con il mio telegramma per corriere del 28 maggio u.s. n. 36 1 , ho riferito all'E.V. le conversazioni, sulle relazioni italo-britanniche, avute a Bruxelles e a Londra, da S.E. il segretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari.

I Vedi D. 654.

Mi consta che mons. Pizzardo, dopo il suo ritorno da Londra, ha avuto parecchi abboccamenti con questo mio collega di Gran Bretagna, sia alla Segreteria di Stato che alla sede della legazione. Ho ragione di supporre che il signor Osborne, che ha vive simpatie per il nostro Paese, serva di tramite fra mons. Pizzardo e il signor Vansittart.

Con me, mons. Pizzardo fa cadere, con tenacia genovese, il discorso sul miglioramento dei rapporti fra Italia e Inghilterra ch'egli considera dipendente dal beneplacito del governo italiano. Ascolto e, in genere, evito di entrare in una conversazione di fondo.

Obietto soltanto che se esistesse l'asserita volontà inglese di farla finita, il governo britannico avrebbe riconosciuto all'Italia l'Impero e non avrebbe invitato Selassié alle feste dell'incoronazione.

Mons. Pizzardo è stato ieri più insistente del consueto e se l'è presa con l'asse Roma-Berlino al punto da consentirmi di dirgli ch'egli dava ragione a coloro che asseriscono essere nei propositi della Santa Sede di staccare l'Italia dalla Germania. Il prelato mi ha risposto che non è per nulla necessario che l'Italia abbandoni la sua politica tedesca per riavvicinarsi all'Inghilterra. Mons. Pizzardo mi ha detto poi, attribuendo l'informazione a un giornalista italiano, che si fa correre voce che l'Italia si proponga di ottenere il congiungimento dei suoi possessi dell'A.O.I con le colonie libiche, per evitare il canale di Suez. Questi progetti, attribuiti alla politica italiana, turbano il governo britannico.

Se l'Italia fosse disposta a dare assicurazioni da quel lato, le cose si accomoderebbero facilmente.

Ho osservato che di chiacchiere se ne dicono tante da non poterle seguire tutte. L'Italia e l'Inghilterra si erano date reciproche, soddisfacenti assicurazioni con il gentlement 's agreement. Ho soggiunto di riportare l'impressione, da quanto egli mi aveva comunicato, che da parte inglese si persista nel proposito di deviare la questione dal problema principale e direi unico: il riconoscimento dell'Impero. Mons. Pizzardo ha replicato che l'Italia dovrebbe chiedere il riconoscimento. A mia volta ho risposto che, pure non essendo al corrente dello svolgimento delle cose nella particolare questione in oggetto, mi sembrava potere affermare, a mo' di conclusione, che il problema del riconoscimento dell'Impero italiano dell'A.O.I. era posto in modo sufficientemente chiaro dal governo fascista, da non consentire possibilità di equivoci.

Se l'E.V. non vi vede inconvenienti continuerò ad ascoltare e riferire. Potrei anche, se lo si crede preferibile, troncare. Debbo aggiungere di avere riportato l'impressione che l'azione avviata da mons. Pizzardo sia dovuta alla sua iniziativa personale e che si svolga all'infuori della Segreteria di Stato per quanto a conoscenza della medesima.

Il cardinale Pacelli non mi ha mai accennato all'argomento delle relazioni itala-britanniche. Solo una volta, dopo il ritorno di mons. Pizzardo da Londra, ha osservato di sfuggita che se l'Italia lo volesse non le sarebbe difficile arrivare a un componimento con l'Inghilterra.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2262/1014. Mosca, 13 giugno 1937 (per. il 21). Mio te1espresso n. 2258/1 O11 di ieri 1•

Ieri sera circolava già la voce che il Maresciallo Tucacevski ed i suoi sette coimputati, dichiarati colpevoli dal Tribunale Speciale della Corte Suprema e condannati alla pena capitale, erano stati fucilati poco dopo l'emissione del verdetto. La notizia è stata confermata stamane da un laconico comunicato ufficiale pubblicato dai giornali. La stampa odierna pubblica ugualmente, dandovi grande rilievo, un ordine del giorno del Maresciallo Voroscilov all'Armata Rossa.

Questo documento, del quale trasmetto qui acclusa la traduzione letterale, merita di essere letto per intero, giacché esso vuole essere il commento ufficiale del processo e della sentenza. Documento disgustoso dal punto di vista umano, perché pieno di bassi e sanguinosi insulti verso i condannati da parte di chi fino a ieri era stato il loro Capo gerarchico e dovrebbe quindi considerarsi in una certa misura moralmente responsabile delle azioni dei collaboratori che per vari anni hanno lavorato in stretto contatto ed alle sue dirette dipendenze. Documento debole e poco convincente poi dal punto di vista politico, perché non porta la minima luce e non offre alcuna prova specifica delle accuse, mentre il tono melodrammatico e retorico sembra rivelare l'ansietà del Capo dell'Armata Rossa di giustificarsi per aver lasciato compiere l'eccidio di otto fra i suoi più alti e più distinti ufficiali.

1 L'ambasciatore Rosso comunicava che il giorno precedente era stato annunciato ufficialmente a Mosca l'arresto del Maresciallo Tucacevski e di altri sette ufficiali superiori dell'Armata Rossa accusati di essere in contatto con i dirigenti militari «di uno Stato straniero che segue una politica ostile all'U.R.S.S.». Rosso, dopo aver illustrato i dati biografici degli arrestati, così concludeva: «Come si vede, si tratta di personalità di rimo iano del mondo militare sovietico: un vice commissario della difesa, co a oratore 1retto e arescm o orosei ov; coman anti 1 armata, cioè ufficiali superiori di rango immediatamente inferiore a quello supremo di Maresciallo, i quali avevano esercitato per anni dei comandi importantissimi nella Armata Rossa; e 3 generali che hanno ricoperto ancor recentemente funzioni delicate assai importanti. Ora, tutti questi altissimi ufficiali sono accusati nientedimeno che di essere al soldo di una Potenza straniera «che segue una olitica ostile all'U.R.S.S.» (vedi Germama), d1 aver ven uto a essa e1 segreti mi 1tan e 1 aver avorato per preparare -m vista 1 una poss1 ile guerra -la sconfitta dell'esercito da essi comandato. L'enormità dell'accusa non lascia aperta la via che ad un dilemma: o l'accusa è fondata, ed in tal caso si deve ritenere che l'Armata Rossa è fortemente tarata alle sue basi; o non è fondata, l'accusa di complotto con l'estero avendo servito come semplice pretesto per colpire persone ostili al despotismo staliniano, ed in questo secondo caso si deve concludere che l'opposizione contro Stalin ha radici profonde e diffuse nei circoli dirigenti sovietici.

Pur senza possedere alcun elemento concreto di giudizio, è mia convinta opinione che la seconda ipotesi sia la più fondata. Per me non si tratta di spionaggio a favore della Germania ma di opposizione e forse di complotto contro la persona di Stahn; e questi ha deciso di colpire tale opposlZlone col metodo pseudo-legale, ma di fatto terronst1co, di cui si è sempre servito per liberarsi dai suoi nemici personali. E poiché di fronte alle masse non gli conviene certamente di ammettere l'esistenza di forti correnti ostili alla propria politica, egli ha trovato più comodo di giustificare l'eliminazione degli avversari con l'accusa di connivenza coi nemici esterni dell'U.R.S.S.; tanto più che, il processo svolgendosi a porte chiuse col pretesto del segreto militare, nessuno degli accusati avrà la possihihta di far sentire al pubbhco la propria voce». Il documento ha il visto di Mussolini.

Sarebbe certamente interessante di conoscere in quali circostanze il Maresciallo Voroscilov si è indotto a compilare tale ordine del giorno, se pure egli non è stato forzato a redigerlo e forse anche semplicemente a firmarlo sotto le pressioni del Comitato Centrale del partito e del suo onnipotente segretario generale.

Questo proclama del capo dell'Armata Rossa non fa che ripetere le imputazioni generiche contenute nel comunicato di ieri del procuratore generale. È però interessante di notare come in esso sembra volersi dare maggior risalto all'accusa di «azione contro-rivoluzionaria», più che a quella di alto tradimento, il che mi rafforza nella convinzione che il Maresciallo Tucacevski ed i suoi sette compagni di sventura siano stati liquidati per motivi di politica interna.

Il mistero che circonda questo affare non sarà forse mai squarciato ma non è fuori luogo pensare che gli otto alti ufficiali siano stati giudicati colpevoli sopratutto per non aver voluto accettare la servitù politica che Stalin intende imporre all' Armata Rossa, onde farne uno strumento di despotismo personale. Se in questa loro resistenza essi siano andati fino al complotto non oserei, né affermarlo, né escluderlo. lo vedo però in questo episodio soprattutto la manifestazione di un contrasto che si andava creando fra il Kremlino e talune sfere dirigenti dell'Esercito, le quali volevano mantenersi indipendenti dalle lotte interne del Partito. Evidentemente Stalin ha avuto ragione di preoccuparsi di tali velleità di indipendenza ed ha deciso di stroncarle prima che diventassero troppo pericolose.

Si dice che, contemporaneamente alla fucilazione dei capi, un certo numero di ufficiali di grado inferiore (si fa la cifra di duecento) è stato rimosso dagli uffici di comando che erano occupati dagli otto condannati, e ciò con altre fucilazioni, arresti, demozioni o trasferimenti.

Intanto, come era da attendersi, la macchina del partito ha organizzato un plebiscito di approvazione della sentenza del tribunale speciale. Tutti i giornali di ieri e di oggi hanno dedicato parecchie pagine agli ordini del giorno, mozioni, messaggi ecc. votati dalle varie organizzazioni di lavoratori, nonché da associazioni scientifiche, artistiche e letterarie, per inneggiare alla «giustizia sovietica» e gridare la «morte ai nemici del popolo».

Interessante-e quasi comico-di rilevare che una di queste mozioni, votata ieri dal sindacatq dei ferrovieri, ha lanciato l'idea di un prestito per la difesa nazionale e che quest'idea è ripresa oggi da molte altre organizzazioni, le quali pregano il governo di prendere l'iniziativa di questo nuovo prestito, destinato a garantire sempre più la sicurezza dell'U.R.S.S.!

Quale sia, dietro queste manifestazioni ispirate o comandate, il vero sentimento del pubblico, è difficile dire. A giudicare dall'aspetto esteriore della folla, si dovrebbe concludere che la sua normale apatia non è stata per nulla scossa dai recenti avvenimenti, ed io ho l'impressione che la massa sia rimasta effettivamente indifferente. Negli ambienti amministrativi ed ufficiali coi quali i diplomatici esteri mantengono qualche contatto, si sente invece un'atmosfera di panico.

Eccitatissimi naturalmente i circoli diplomatici ed i giornalisti esteri, fra i quali l'opinione generale è che gli avvenimenti di questi ultimi giorni abbiano inferto un grave colpo al prestigio dell'U.R.S.S. all'estero. Di questa opinione si dichiara apertamente anche il mio collega di Francia 1•

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

730

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4063/123 R. Vienna, 14 giugno 1937, ore 20,35 (per. ore O ,IO del 15).

Mio telegramma per corriere O139 del 12 corrente 1•

Secondo rapporti da Belgrado a questa Cancelleria Federale, dichiarazioni Neurath su rapporti tra Germania ed Austria avrebbero assunto forma molto più grave, quasi di minaccia. Anche Indelli ne avrebbe avuto impressione sfavorevole.

Cancelliere Federale richiamò attenzione Budapest interessando quel governo a non lasciar dubbi nelle conversazioni con Neurath sull'interesse essenziale dell'Ungheria per integrità indipendenza statale dell'Austria e per normale svolgimento questa situazione interna.

Qui si attribuisce a linguaggio Kanya fatto che Neurath si affrettò a rassicurare Daranyi2 esprimendo speranza che alla Commissione austro-tedesca di imminente convocazione, riesca eliminare difficoltà esecuzione accordo 11 luglio.

Neurath imputò ad intrigo ceco-franco-jugoslavo durante suo viaggio a Belgrado diffusione di sue pretese dichiarazioni allarmiste.

Pessimismo manifestato da Neurath a Belgrado viene colà attribuito a suo evidente malumore per non raggiunto più largo obbiettivo concreto suo viaggio.

Schuschnigg e segretario di Stato per gli Affari Esteri mi hanno chiesto insistemente se avevo in proposito notizie dirette.

731

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 4060/491 R. Salamanca, 14 giugno 1937, ore 22 (per. ore 5 del 15). Telegramma di V.E. n.

Ho intrattenuto Nicolas Franco sulla opportunità soprassedere esecuzione Hedilla: mi è sembrato convinto e mi ha assicurato che stasera stessa si sarebbe

1 T. per corriere 4038/0139 R. del 12 giugno. Riferiva che, secondo informazioni pervenute alla Cancelleria austriaca da Belgrado, dove von Neurath si era recato in visita ufficiale dal 7 al 9 giugno (vedi D. 711), il ministro degli Esteri tedesco aveva manifestato apprezzamenti pessimistici sui rapporti tra Germania ed Austria.

2 Nota dell'Ufficio Cifra: «decifrazione dubbia». 3 Vedi D. 722.

recato Burgos per riferire al Generalissimo considerazioni di V.E. Ritengo che ci siano buone speranze per commutazione pena morte in quella del carcere perpetuo. Mi riservo riferire 1•

449 3 .
732

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4052/0119 R. Budapest, 14 giugno 1937 (per. ore Mio telegramma per corriere 1152 .

Dopo di essere stato ricevuto sabato dal barone von Neurath 3 , ho avuto con lui lunga conversazione iersera. Riservandomi rapporto dettagliato anche su altre circostanze, ne riassumo punti più importanti.

l) Neurath aveva già informato Indelli suoi colloqui Belgrado. Duce e V.E. erano poi da tempo al corrente suo viaggio.

2) Ha trovato Stojadinovic disposto prendere iniziativa di adottare, indipendentemente dagli altri e unilateralmente, delle misure di favore verso le minoranze ungheresi (questo appare finora primo risultato tangibile suo viaggio, mentre fra i principali scopi di esso deve essere stato ottenere riavvicinamento ungaro-jugoslavo ).

3) Ha constatato con soddisfazione che Jugoslavia è non solo contraria alla Russia sovietica, ma lo sarebbe anche verso una Russia nazionalistica e jugoslavista. 4) Governo ungherese è perfettamente in linea con Roma e Berlino. 5) Si è dichiarato molto soddisfatto dei risultati suo viaggio, che avrebbe molto preoccupato francesi, cecoslovacchi e anche inglesi. 6) Visita a Sofia non aveva avuto contenuto politico.

Anche Darànyi mi ha espresso sua soddisfazione per andamento colloqui.

Ministro di Germania mi ha aggiunto:

l) Kanya si era lamentato con Neurath della propaganda nazista svolta qui, sia da ungheresi reduci dalla Germania, sia da tedeschi. Neurath gli ha risposto che se si trattava di ungheresi se ne disinteressava, se di tedeschi, avrebbe provveduto, qualora Kanya gli avesse segnalato dati precisi.

2) Kanya aveva respinto proposte presentate da Stati Piccola Intesa, benché avesse insistito a parlare delle aperture cecoslovacche e romene.

l Con T. 4158/498 R. del 18 giugno, Bossi comunicava che il generale Franco aveva sospeso la fucilazione di Hedilla e di altri tre condannati nello stesso processo e che quasi certamente la pena di morte sarebbe stata commutata per tutti in quella dell'ergastolo.

2 T. per corriere 4030/0115 R. del 12 giugno, con il quale il ministro Vinci aveva riferito di un colloquio con il suo collega tedesco, von Erdmannsdorff. Quest'ultimo gli aveva dichiarato che la visita di von Neurath a Budapest non aveva scopi particolari e si era dilungato su gli incidenti avvenuti nella zona di Elek tra polizia e appartenenti alla minoranza tedesca.

3 Vedi p. 899, nota 3.

3) Governo ungherese non aveva intenzione dichiarare unilateralmente decaduta clausola militare trattato.

4) Neurath aveva detto al ministro d'Austria di non essere soddisfatto della situazione in Austria, che lo preoccupava, perché l'Austria non si era attenuta agli accordi dell' 11 luglio, sia per quanto si riferiva alla esclusione dei nazional-socialisti dal governo, sia per quanto concerneva diritto di riunione e trattamento in genere nazionalsocialisti. A questo proposito, Apor mi ha detto che atteggiamento Germania nei riguardi Austria sembrava molto preoccupante; il partito specialmente sarebbe impaziente. Secondo Apor, si sarebbe alla vigilia di una situazione non dissimile da quella che culminò con assassinio Dollfuss: Germania vorrebbe ora profittare della situazione precaria del governo francese e degli avvenimenti in Russia (che sembrano ora preoccupare von Neurath).

Ministro Esteri Reich parte stamane: mi reco a salutarlo.

V.E. avrà rilevato che, a differenza dei brindisi scambiati fra lui e Reggente Horty, dove si parlava della potente Germania, vi è una sola frase per l'Italia e l'Austria nel discorso Kanya e nessun accenno nel discorso di von Neurath.

l 9 dello stesso giorno).
733

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELL 1

APPUNTO. Roma, 14 giugno 1937.

L'ambasciatore von Hassell, venuto da me col pretesto di consegnare la decorazione, mi ha comunicato che il ministro Neurath ha ricevuto un invito ufficiale dal Governo britannico per recarsi a Londra alla fine del mese. «Trattandosi di un invito ufficiale il ministro Neurath non poteva opporre un rifiuto».

L'Ambasciatore era anche incaricato di dirci che Neurath desidera conoscere quale azione potrebbe svolgere a Londra in nostro favore.

Ho accolto con molta freddezza la notizia ed ho fatto presente a von Hassell che il viaggio di Neurath nella capitale britannica non mancherà di dar luogo ad interpretazioni che sarebbe stato più conveniente evitare. Se la sola presenza di von Blomberg, elemento militare e non politico del governo del Reich, in occasione di un avvenimento protocollare quale la incoronazione, è valsa a far versare fiumi di inchiostro mi domandavo quale eco e quale spiegazione avrà il viaggio del ministro degli Esteri, cui non potrà certamente negarsi un contenuto politico.

Ho chiesto a von Hassell se era già preparata un'agenda per le conversazioni. L'ambasciatore mi ha risposto dichiarando di non essere a conoscenza di ciò, ma di informarsi subito a Berlino. Ritiene però che niente di positivo sia stato neppure considerato, dato che nell'opinione del governo tedesco, ed anche in quella del governo inglese, la via tra Londra e Berlino è ancora ingombra di molti e forse

l Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, pp. 186-188.

insuperabili ostacoli. Ha infine aggiunto che per parte sua farà il possibile per evitare che alla visita di Neurath a Londra venga data una interpretazione tendente ad indebolire l'Asse.

Ma von Hassell oggi, nel darmi la notizia, riusciva male a mascherare il suo compiacimento per la prossima attività politica del suo Ministro, alla quale egli, nei limiti delle sue possibilità, ha sempre ed attivamente contribuito.

P.S. Ho ripensato a quando, recentemente, von Neurath ci fece dire che sarebbe stato meglio che noi non avessimo abbandonato il Comitato di Londra, dopo il bombardamento di Almeria. Non si stava forse già preparando il pretesto per il viaggio che ci ha oggi annunziato? 1

734

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1718n57. Salamanca, 14 giugno 1937 (per. il 21).

Ho l'onore di trasmettere all'E.V. l'acclusa copia di un rapporto pervenutomi dal R. Console a San Sebastiano, riguardante l'avvicinamento anglo-spagnuolo.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA V ALLETTI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. POSTA 1292. San Sebastiano, 10 giugno 1937.

Nel mio telespresso 1190 del l o corr. 2 ho dichiarato alla E.V. di ignorare se nel documentato avvicinamento di Franco alla Gran Bretagna vi fosse qualche reciproco concreto impegno riguardo Bilbao.

l Il documento ha il visto di Mussolini. Il contenuto di questo colloquio fu telegrafato alla ambasciata a Berlino (con T. 1056/218 R. del 15 giugno) e a Londra (con T. 1056/232 R., stessa data) e con la seguente aggiunta: «per entrambe Prego V.E. riferire notizie che avrà potuto accertare circa scopi e portata visita; da chi sia partita l'idea e ogni altra informazione atta a permettere un'adeguata valutazione della visita stessa, anche avuto riguardo ad eventuali ripercussioni sui rapporti tra l'Italia e l'Inghilterra; solo per Londra Riferisca anche impressioni codesti ambienti politici». Per le risposte si vedano: da Berlino i DD. 735, 740, 746, 748 e da Londra i DD. 742 e 743.

2 Trasmesso dall'ambasciata a Salamanca al ministero con telespresso 1583/709 del 3 giugno (perv. il 6 giugno). Cavalletti riferiva circa un riavvicinamento in atto tra il governo britannico e quello di Burgos che aveva preso le mosse da un incontro a Hendaye tra l'ambasciatore britannico Chilton e il capo del gabinetto civile di Franco, Sangroniz, durante il quale era stata prospettata la possibilità che la Gran Bretagna riconoscesse come belligerante il governo di Burgos. Intanto, segno tangibile del riavvicinamento, il 23 maggio era stata diramata alla stampa nazionale una circolare che vietava qualsiasi attacco alla Gran Bretagna.

Sciogliendo tale riserva comunico ora che da informazioni pervenutemi sembrerebbe confermato che fra l'ambasciatore inglese Chilton ed il governo di Franco si sarebbero svolte delle successive importanti trattative oltre a quelle che ho già riferito. Tramite della parte spagnola sarebbe stato il signor Aznar.

In queste trattative Franco si sarebbe impegnato a garantire che la liberazione della Biscaya da parte dei nazionali non avrebbe in nessun modo pregiudicato o danneggiato gli esistenti interessi britannici in quella provincia. L'Inghilterra per contro avrebbe promesso di fare delle amichevoli pressioni sul governo di Bilbao affinché questo cessi la resistenza e si arrenda. La resa però non dovrebbe avvenire sulle basi della severa nota di Mola da me inviata in copia con

il mio 974 del 12 scorso , ma sulle basi di una seconda nota inviata da Franco e di cui si è data comunicazione alla ambasciata d'Inghilterra in cui sono poste delle condizioni che ignoro ma che sarebbero considerevolmente più favorevoli ai baschi delle precedenti.

Tali notizie che tuttavia non posso garantire, mi sono state confermate da vari elementi. Anzitutto Andrea Irujo, che ho visto incidentalmente a S. Juan de Luz qualche giorno fa mi ha accennato alla seconda nota di Franco con condizioni più vantaggiose. In secondo luogo, Sierra e gli altri miei amici giornalisti mi hanno similmente informato della esistenza di questa seconda nota, che sarebbe stata composta sotto gli auspici dell'Inghilterra ed in seguito alla quale Chilton avrebbe dato assicurazioni scritte di esercitare una azione di persuasione sui baschi nel senso desiderato da Franco.

Infine, questo console di Francia, con il quale incidentalmente mi sono intrattenuto sull'argomento, mi ha detto di non avere il minimo dubbio che l'Inghilterra ha completamente garantito in ogni caso i suoi interessi baschi mettendosi d'accordo con Franco.

L'avvicinamento fra la Gran Bretagna e Franco, oltre che dagli elementi di politica generale, oltre che dalle circolari segrete alla stampa da me comunicate alla E.V., è, per quel che riguarda questa giurisdizione. confermato anche dal comportamento delle navi da guerra inglesi che incrociano sulle coste basche. Mentre precedentemente le unità britanniche mostravano un atteggiamento di quasi ostilità verso le unità nazionali, affettano invece ora una estrema cordialità verso i «bous» nazionali.

Così, la Ciudad de Valencia, incontrandosi con un dcstroyer inglese. ha ricevuto una cortesissima visita degli ufficiali che hanno poi invitato gli spagnuoli a bordo, affermando che l'atteggiamento della marina inglese era stato fino ad ora imposto dal governo e che era del tutto contrario agli spontanei sentimenti della ufficialità inglese tutta simpatizzante per Franco.

735

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 4067/231 e 4070/232 R. Berlino, 15 giugno 1937, ore 15,09 (per. ore 2 0,30). Telegramma di V.E. n.

Faccio seguire particolari che non trasmisi ieri solo perché --in seguito comunicazione telefonica fra Magistrati e Anfuso -ritenevo che essi fossero già in possesso di V.E. tramite Hassell a cui questo ministero Esteri li aveva telegrafati.

Comunque: l) Iniziativa è al cento per cento inglese e risale probabilmente agli ultimi giorni maggio. Ragioni ne vanno ricercate:

' Vedi D. 588. 2 Vedi p. 959. nota l.

a) in linea generale, nel programma inglese nei riguardi della Germania già da me ripetutamente segnalato;

b) in linea occasionale, nella visita di Neurath (e in quella allora già annunziata di Blomberg) a Roma, nonché nelle visite di Neurath a Belgrado, Sofia e Budapest che, anche esse, mi risultano aver suscitato a Londra preoccupazione e diffidenza.

Il) Sopravvenuti fatti di Ibiza, Neurath dichiarava non poter neanche prendere in considerazione invito sino a che incidente non fosse risolto.

III) Risolto l'incidente colla massima soddisfazione possibile per la Germania, l'invito veniva insistentemente rinnovato.

IV) Neurath ha ritenuto che nelle circostanze presenti un suo rifiuto potesse essere male interpretato, chiudendo la porta ad una possibile distensione dei rapporti anglo-tedeschi ed europei in generale.

V) Dava, perciò, un'accettazione di massima riservandosi di fissare la data dopo l'ultimo suo viaggio nei Balcani.

VI) Gli avvenimenti russi e le loro ripercussioni in Europa, e specialmente in Inghilterra, persuadevano evidentemente von Neurath che nessun momento poteva essere più adatto per una sua azione a Londra che questo.

Prima ancora, quindi, di tornare a Berlino, dove sarà soltanto giovedì, Neurath fissava per la visita la data del 23.

Nessuna agenda è fissata o ha potuto essere discussa. Si osserva pertanto che essa possa comprendere: l 0 ) un giro d'orizzonte generale; 2°) questioni particolari fra i due Paesi (comprese colonie, ecc.); 3°) la situazione spagnola; 4°) il patto occidentale inteso come mezzo di riavvicinamento generale.

Sopra questi ultimi due punti particolarmente si gradirebbe conoscere il nostro pensiero essendo comunque fermo, fin da ora, che von Neurath farà comprendere chiaramente agli uomini di Stato inglesi che «non c'è riavvicinamento possibile fra Berlino e Londra senza Roma».

Dalla visita di von Neurath questo ministero degli Affari Esteri ~nel migliore dei casi ~non si attende alcun risultato concreto all'infuori di una chiarificazione dell'atmosfera dei rapporti anglo-tedeschi, sia nell'interesse dei due Paesi, sia di quello europeo di «distensione generale» verso cui la politica tedesca si va ~ogni giorno di più ~ orientando 1•

1 Nelle carte di Gabinetto, a questo telegramma è unito il seguente appunto redatto da Ciano e con il visto di Mussolini: «L'Ambasciatore von Hassell, che ha chiesto stamane di vedermi, mi ha fatto una comunicazione di analogo contenuto, confermando quindi che si tratta: a) di iniziativa inglese: b) che non è stata stabilita un'agenda; c) che le conversazioni verteranno presumibilmente sui punti 1), 2), 3), e 4), di cui al telegramma n. 232 allegato; d) che Neurath farà comprendere agli uomini di Stato inglesi che non c'è riavvicinamento possibile fra Berlino e Londra senza Roma. Roma, 16 giugno XV». L'appunto è pubblicato in L 'Europa verso la catastroj'e, p. 189.

218 1 .
736

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 4148/048 R. Belgrado, 15 giugno 1937 (per. il 18). Mio telegramma per corriere n.

Stojadinovic mi ha parlato dei suoi colloqui con von Neurath. Secondo mi ha detto, nulla sostanzialmente nuovo ne sarebbe risultato. Mi ha escluso che, come ne era corsa qui voce, si sia parlato di questioni economiche e di un'ulteriore intensificazione delle relazioni tedesco-jugoslave in tal campo. Nel corso dei colloqui sarebbe stato compiuto l'abituale, ampio giro dell'orizzonte politico ma con speciale riguardo all'Austria, all'Ungheria e alla Cecoslovacchia. Secondo Stojadinovic, von Neurath avrebbe dimostrato, almeno a Belgrado, un certo disinteresse per la Romania. Nei riguardi ungheresi, von Neurath si sarebbe detto soddisfatto e fiducioso della situazione Belgrado-Budapest e delle favorevoli disposizioni del governo jugoslavo, anche per ciò che riguarda il trattamento della minoranza ungherese. Quanto alla Cecoslovacchia, il ministro tedesco avrebbe precisato che nessuna compromissione sarebbe stata possibile fra Berlino e Praga fino a tanto che permarranno gli attuali legami cecoslovacchi con Mosca. Quanto all'Austria, von Neurath si sarebbe espresso con notevole irritazione nei riguardi della politica interna del Cancelliere. Stojadinovic mi ha fatto comprendere che il discorso è stato lungo e suscettibile di presentarsi per lui come imbarazzante. Avendogli Neurath dichiarato che ad una eventuale restaurazione absburgica Berlino si sarebbe opposta con ogni mezzo, Stojadinovic ha approfittato di questo punto, sul quale, quanto meno in linea di principio, egli poteva confermare il suo accordo, per concludere la conversazione. In sostanza, la posizione di Stojadinovic nei riguardi austriaci -secondo egli ha precisato anche a questo mio collega d'Austria -sarebbe rimasta la seguente: inammissibilità della restaurazione, affermazione dell'interesse jugoslavo al mantenimento pieno dell'indipendenza austriaca, disinteresse totale circa le questioni e situazioni interne. Il barone Wimmer ha, inoltre, tratto il convincimento che Stojadinovic consideri la possibilità di un incontro col Cancelliere o con Schmidt per il prossimo autunno. Non posso che confermare a

V.E. l'impressione manifestata nel mio precedente telegramma, che cioè Neurath sia venuto a Belgrado con un programma più preciso di quanto non sia risultato, segnatamente nei riguardi della situazione austriaca e delle eventuali disposizioni jugoslave in ogni circostanza.

Stojadinovic, a conclusione di quanto mi ha detto in argomento, ha riassunto così il suo pensiero: «Nei riguardi della Germania debbo tenere nel maggior conto tutto il peso che una simile vicina può avere per la Jugoslavia. Per ora -ed ha marcato il «per ora»-tutto va bene e le relazioni sono utili e cordiali. Ma se da Berlino si intendesse scendere oltre una certa misura, allora entrerebbe in funzione l'asse più vero ed effettivo che è quello Roma-Belgrado».

1 Vedi D. 71!.

043 1 .
737

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4149/033 e 4167/034 R. Sofia, 15 giugno 1937 (per. il 18).

Con telespresso n. 3035/751 del 14 giugno 1 riferisco sul soggiorno di von Neurath a Sofia 2•

Riassumo ora due colloqui dopo la sua partenza con i miei colleghi di Germania e Jugoslavia, colloqui che posson servire a gettare maggior luce sulla portata dell'avvenimento e a controllare notizie che perverranno a V.E. da altre fonti.

Il ministro di Germania, Riimelin, nel corso di una lunga conversazione avuta due giorni dopo la partenza di von Neurath, mi ha detto confidenzialmente che la di lui visita a Belgrado era stata provocata da un esplicito invito di Stojadinovic fatto attraverso il ministro di Belgrado a Berlino3 un cinque mesi fa. Lui ne era stato informato quasi subito, per preparare la conseguente visita a Sofia, ma il ministro di Germania a Belgrado solo molto dopo. All'invito di Stojadinovic Neurath aveva fatto rispondere che volentieri sarebbe andato a Belgrado ma che non avrebbe voluto con questo recargli imbarazzo: Stojadinovic avrebbe insistito aggiungendo che la visita avrebbe anzi giovato al suo gioco politico e che l'epoca più propizia sarebbe stata fine maggio primi di giugno. Successivamente si era pensato a prolungare il viaggio fino a Sofia, da parte germanica per non trascurare un antico alleato, da parte jugoslava per marcare ancora di più carattere indipendente della politica jugoslava nei Balcani (questa frase di Riimelin conferma quanto mi disse Kiosseivanov sulla voluta messa da parte della Turchia). La sosta a Budapest fu decisa solo all'ultimo momento sovrattutto in considerazione «dell'estrema suscettibilità magiara».

Riimelin, che avevo in precedenza pregato di appurare che impressioni Neurath avesse riportato da Belgrado circa lo stato attuale delle relazioni con l'Ungheria, mi ha detto che aveva comunicato questo mio desiderio a Neurath (l'ho incontrato tre volte ma non mi è stato mai possibile scambiare con lui parole che non fossero di cortesia basate su di una conoscenza che dura da anni) e che era stato incaricato di dirmi quanto segue: ha trovato Stojadinovic sempre intenzionato ad arrivare a un'amichevole intesa con l'Ungheria ma che non può risolvere in una volta tutti i problemi e rompere bruscamente tutti i legami; dopo gli accordi con la Bulgaria e l'Italia ha bisogno di un tempo di sosta e bisogna accordarglielo. Riimelin da parte sua aggiungeva che Stojadinovic, oltre che alle difficoltà esterne, deve pensare alla sua situazione interna che egli non ritiene ancora assolutamente sicura e a riprova mi citava l'entusiastica accoglienza fatta dal popolo a Benes nel corso dell'ultima sua visita in Jugoslavia. Benes non è un uomo che suscita l'entusiasmo spontaneo della folla e Riimelin considera le ovazioni tributategli come un sintomo degli umori politici delle masse. Infine, Riimelin mi ha confermato che nessun accordo speciale in nessun campo è stato concluso nel corso di questa visita.

l Non rintracciato. 2 Vedi p. 899, nota 3. 3 Aleksander Cinkar-Markovic.

Con questo mio collega jugoslavo ho avuto la sera stessa del banchetto offerto dal presidente del Consiglio a von Neurath un colloquio estremamente cordiale. Ho trovato Yuricic, di solito tranquillo e riservato, insolitamente loquace ed entusiasta. Nella sua visibile soddisfazione mescolava la progressiva politica di riavvicinamento italo-jugoslava e bulgaro-jugoslava al significativo carattere della visita di von Neurath a Sofia nel momento in cui la concorde azione di Roma e Berlino veniva consacrata dalle accoglienze fatte al Maresciallo Blomberg 1 . Anche lui, come poi Riimelin, si è dilungato nello spiegarmi le ragioni per cui Stojadinovic doveva marcare un tempo d'arresto nello sviluppo della sua politica nei riguardi dell'Ungheria, ma si diceva sicuro del futuro svolgersi degli eventi.

Anche lui -come prima Kiosseivanov -ha tenuto a mettere in evidenza il significato dell'itinerario di von Neurath, Belgrado-Sofia-Budapest, con esclusione delle altre capitali balcaniche. Ha avuto anche una frase cruda ed esplicita circa la fine delle due Intese.

Ritengo interessante in questo momento richiamare l'attenzione deii'E.V. su di un rapporto che scrissi all'indomani della partenza per Berlino del predecessore di Yuricic, Cinkar-Markovic. In detto rapporto (n. 5783/1341 del 16 novembre 1935) 2

V.E. potrà leggere frasi come queste: «Sono più che sicuro che egli lavorerà per un effettivo solido riavvicinamento fra la Jugoslavia e la Germania». E più oltre: «credo opportuno informare a questo proposito essermi stato riferito che questo ministro degli Esteri parlando una sera intimamente coi suoi familiari (Kiosseivanov ama chiacchierare sino a tardi nella notte) diceva prevedere una futura nuova triplice formata dalla Jugoslavia-Germania ed Italia».

Mi riservo di riferire nuovamente non appena avrò potuto parlare col presidente del Consiglio. Intanto voglio chiudere il presente rapporto con una confidenza fattami dall'incaricato d'affari di Ungheria3 . Questo ministro di Austria4 , che più di tutti si è dato da fare per marcare un atteggiamento di premurosa deferenza verso von Neurath, Io avrebbe a lungo intrattenuto, nell'attesa del di lui arrivo all'aeroporto, sul progetto di Hadja 5 per una stretta unione austro-ungherese-cecoslovacca come dell'unica panacea che può salvare i Paesi danubiani.

738

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4177/0121 R. Budapest, 15 giugno 1937 (per. il 18).

Mio telegramma per corriere n. 7169/0119 in data odierna6 .

I Vedi p. 863. nota l. 2 Non pubblicato. 3 E. Rothkugel von Rollershausen. 4 Joseph von Eckhardt. 5 Nota del documento: «Sic. Presumesi Hodza». 6 Vedi D. 732.

Ministro degli Affari Esteri de Kanya avendo lasciato Budapest stamane, immediatamente dopo la partenza di von N eurath 1 , ha incaricato direttore generale Affari Politici di comunicarmi subito il contenuto delle conversazioni con ministro degli Affari Esteri del Reich, riservandosi poi ricevermi ancora giovedì al suo ritorno. Il barone Bessenyei mi ha detto quanto segue:

a) Barone von Neurath aveva spiegato, quanto allo scopo del suo viaggio, che recentemente era stato constatato un accresciuto interessamento dei governi di Parigi e di Londra in questo settore e gli era sembrato necessario far sentire che nulla si poteva fare nella regione danubiana all'infuori della Germania per gli importanti interessi che essa ha nella zona.

b) Italia. Barone von Neurath ha dichiarato di avere piena identità di vedute col governo fascista. La linea politica della Germania e quella dell'Italia si trovano in un piano di parallelismo perfetto. Anche nei riguardi della Romania egli si è espresso nello stesso senso dell'E.V. e cioè che la Germania non farà nulla in Romania senza previo consenso del governo ungherese e se prima non sarà stato raggiunto un riavvicinamento ungaro-romeno.

c) Jugoslavia. Barone von Neurath ha detto a Kanya che Stojadinovic sarebbe disposto prossimamente a prendere unilateralmente delle misure di favore verso le minoranze ungheresi senza assumere una posizione troppo netta a causa delle immaginabili ripercussioni nei due altri Stati della Piccola Intesa e senza entrare menomamente in negoziato con l'Ungheria. Kanya ha espresso scarsa fiducia, tanto più che ora la Jugoslavia, forte dell'amicizia dell'Italia e della Germania poteva essere più intransigente. Von Neurath ha controbattuto questo argomento (come io ho fatto col barone Bessenyei) e ha consigliato Kanya di aver pazienza dichiarandogli di essere sicuro che, se pure lentamente, si arriverà tuttavia a un felice risultato. Barone von Neurath ha espresso tutta la fiducia in Stojadinovic, fiducia che Kanya non condivide altrettanto pienamente, come egli ha già avuto occasione di dire all'E. V.: risulta a Kanya che Stojadinovic mentre trattava con la Bulgaria e con l'Italia aveva dato informazioni inesatte ai suoi antichi amici: potrebbe fare altrettanto con gli amici attuali. Anche von Neurath non si nascondeva però che la situazione personale di Stojadinovic non era troppo solida.

d) Bulgaria. Von Neurath ha detto che il suo viaggio a Sofia non aveva avuto un contenuto politico particolare ed era stato Stojadinovic ad incoraggiarlo a recarvisi. Erano note d'altra parte le antiche relazioni di amicizia della Germania con la Bulgaria e gli amichevoli rapporti personali di von Neurath col Re.

e) Austria. Barone von Neurath si è dichiarato seriamente preoccupato della situazione in Austria: ha detto che Schuschnigg, come a suo tempo Bruning in Germania, non si rende conto appieno dell'attuale situazione interna «i cui sviluppi non sono prevedibili». Egli aveva dato istruzioni a von Papen di compiere un passo presso il Cancelliere rimproverandogli di non avere osservato gli accordi dell'l l luglio che dovevano intendersi come un principio ed una base. Si era infatti allora inteso che l'Austria avrebbe preparato l'ammissione dei nazionalsocialisti nel Partito del Fronte Patriottico e poi poco a poco li avrebbe chiamati anche al governo e che le misure contro i nazionalsocialisti sarebbero progressivamente

I Vedi p. 899, nota 3.

cessate. Ma nulla in un anno era stato fatto circa questi due punti principali. Forse Schuschnigg non si rendeva conto dell'imminenza di torbidi ed agitazioni in Austria che potranno condurre a sorprese in un avvenire molto prossimo.

f) Inghilterra. Il barone von Neurath ha dichiarato che l'Inghilterra gli ha fatto recentemente degli approcci. Da qualche tempo gli si era parlato della possibilità di un invito a recarsi a Londra, che egli aveva condizionato al regolamento della questione del controllo in Spagna. Ormai egli accetterà l'invito ma se da parte del governo inglese si vorrà cercare di attirare comunque la Germania in una politica che tendesse all'isolamento dell'Italia, egli si rifiuterà categoricamente di aderirvi.

g) Ungheria e Stati vicini. Kanya ha dettagliatamente messo al corrente von Neurath dello stato delle relazioni dell'Ungheria coi vicini, riferendo anche quale è stata la sua risposta alle aperture fattegli, risposta basata sui noti principi di non ammettere cioè che la parità giuridica faccia oggetto di contrattazione mentre egli potrebbe arrivare a fare una dichiarazione sul tipo della formula del Patto Kellogg contro delle effettive ed importanti concessioni alle minoranze ungheresi. Kanya ha aggiunto che egli d'altra parte si trovava ora di fronte alle insistenti iniziative della Cecoslovacchi«: benché lo ritenesse improbabile, non era però da scartare del tutto che la Cecoslovacchia accettasse queste sue condizioni e cioè che, pur lasciando da parte la questione della parità, la Cecoslovacchia si inducesse a compiere un gesto importante in favore delle minoranze ungheresi; l'Ungheria non potrebbe allora eludere la possibilità di fare le contemplate dichiarazioni di non ricorso alla guerra nei riguardi della Cecoslovacchia stessa. Il barone von Neurath ha mostrato visibilmente di non gradire questa ipotesi, che Kanya tuttavia ha ripetuto ritenere improbabile, pur dovendone tener conto.

h) Rapporti ungaro-tedeschi. L'incontro di von Neurath con Daninyi e Kanya ha confermato l'amicizia tra l'Ungheria e la Germania. Von Neurath si è mostrato molto contento delle accoglienze avute, improntate a franca cordialità, senza sfarzo di forme esteriori ma in tutto rispondenti ai solidi e profondi sentimenti che legano i due Paesi. L'incidente di Elek (mio telegramma per corriere 4030/0115 del 12 corrente)1 può considerarsi risolto.

739

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 15 giugno 1937.

La nuova nota francese relativa alle trattative per il cosidetto Patto Occidentale di sicurezza 2 è redatta in una forma temperata e conciliante, ma quando si consideri

1 Vedi p. 957, nota 2. 2 Vedi p. 948, nota 2.

il suo contenuto effettivo, non si vede in che cosa essa sostanzialmente differisce dalle note precedenti.

Quello che la Francia ha sempre sostenuto e continua a sostenere è stata ed è la inserzione del Trattato di Locarno nel regime della sicurezza collettiva, quale questo regime è inteso dal Patto della Società delle Nazioni. Da questo principio la Francia ha sempre tratto tre conseguenze:

l) che i firmatari del Trattato di Locarno dovevano avere libertà di azione nel quadro delle disposizioni del Patto della Società delle Nazioni. 2) che il Consiglio della Società delle Nazioni doveva essere l'organo competente per constatare la violazione degli impegni contratti.

3) che i firmatari del Trattato di Locarno dovevano riservarsi la possibilità di intervenire contro qualunque aggressore che violasse le obbligazioni del Patto della Società delle Nazioni o del Patto Briand-Kellogg.

Questi tre principii sono chiaramente riaffermati nella nota francese.

A pag. 2 la nota francese dice:

«Le Gouvernement de la République ne juge pas opportun de faire disparaitre l'exception générale réservant aux Puissances garanties tout droit d'agir dans le cadre des dispositions du pacte de la Société des Nations. Il ne voit pas davantage l'utilité de substituer aux garanties non seulement conjointes, mais aussi individuelles, stipulées, à Locarno en termes qui ne prètent à aucune équivoque, des garanties exclusivement conjointes ou d'enlever au Conseil de la Société des Nations la compétence qui lui avait été reconnue pour constater la violation des engagements contractés et énoncer !es recommandations auxquelles !es Puissances garantes auraient à se conformer. Sur ces divers points, le maintien du système de Locarno parai t préférable aux suggestion présentées. »

A pag. 3 la nota francese dice:

«En échange des garanties stipulées à Locarno, la France n'a certainement renoncé en aucune manière à agir en Europe dans la limite des droits et des devoires définis par le Pacte de la Société des Nations en vue du maintien de la paix; elle n'aurait jamais payé !es garanties de sa sécurité particulière d'une pareille renonciation. »

A pag. 4 la nota francese dice:

«Il ne s'agit pas, pour telle ou telle des Puissances contractantes, «de se posen>, suivant !es termes du Mémorandum allemand, «en garant qualifié de l'intangibilité de l'état de choses existant» en Europe; il s'agit de réserver à chacun des signataires, sur un pied de parfaite égalité, la possibilité, sans manquer aux engagements résultant pour lui du nouveau traité, d'intervenir contre tout agresseur qui aurait violé !es obligationes du Pacte de la Société des Nations ou du Pacte de Paris».

Posti questi principi non si vede in che cosa la Francia possa venir incontro alla Germania quando si passi alla loro applicazione pratica.

In pratica l'aggressore dovrà essere determinato dal Consiglio della Società delle Nazioni, il quale per giungere a tale determinazione dovrà anche giudicare in merito alla legittimità delle eccezioni; quindi anche il regime delle eccezioni rientrerà entro la competenza del Consiglio, anche se la nota francese non lo dichiara espressamente.

Attraverso l'esame delle legittimità delle eccezioni, il Consiglio potrà valutare anche in materia di trattati di non aggressione, purché chi li conclude abbia la elementare prudenza di costruirli in modo che essi siano compatibili con il Patto della Società delle Nazioni; e questo è il caso, per es., del Patto franco-russo, che, giova ricordarlo, non è un patto automatico di mutua assistenza, ma un patto almento formalmente condizionato al meccanismo della Società delle Nazioni.

Per tutto questo la nota francese non è conciliante, ma reticente. E se invece di avanzare delle proposte, essa si limita a invocare dei suggerimenti altrui, questo fa per ragioni tattiche, per spingere cioè la Germania e noi e prendere un più deciso atteggiamento di ostilità alla S.d.N. che le permetta di dimostrare che la intransigenza e la ostinazione sono tutte dalla nostra parte.

Basta per persuadersene considerare come recisa sia la nota francese quando si tratti di respingere il carattere congiuntivo della garanzia, e di sostenere il concetto britannico dei due sistemi !ripartiti di garanzia reciproca.

Ma quali possono essere le ragioni che hanno indotto la Francia a riprendere l'iniziativa dei negoziati in una forma esterna così moderata?

Queste sembrano chiare. La Francia vuole impedire, se è possibile, l'accordo collettivo di garanzia del Belgio. A questo scopo Delbos ha cercato di persuadere Spaak di rallentare la sua attività diplomatica, prospettandogli la possibilità e la opportunità di inserire la questione del Belgio nel negoziato generale di Locarno. Per impedire la frattura del sistema della sicurezza occidentale, la Francia deve o mantenere il Belgio nel sistema di questa sicurezza o tenerlo legato a sé e all'Inghilterra dai vincoli di una garanzia limitata a queste due Potenze, che è la situazione attuale. Vi è perciò nella nota francese una evidente manovra, che consiste nell'attirare la Germania verso un nuovo negoziato, paralizzando ogni tentativo di accordo collettivo delle Quattro Potenze per l'integrità del Belgio.

740

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 2890/924. Berlino, 15 giugno 1937 (per. il 17). Il segretario di Stato von Mackensen mi ha ieri - subitamente - chiamato

per informarmi della decisione presa da Neurath -il giorno stesso e allora allora comunicata allo stesso ambasciatore inglese -di recarsi a Londra il 23 corrente. Egli mi ha anche letto le lunghe istruzioni mandate in proposito al mio collega romano e che per brevità non ripeto. Il fatto della visita riveste una indubbia importanza e merita perciò sia una qualche precisazione in linea di fatto, sia una messa a punto di ordine politico.

Così le dichiarazioni del segretario di Stato come altri elementi in mio possesso mi permettono di stabilire che -subito dopo il ritorno di Neurath a Roma, l'annunzio della visita Blomberg in Italia e quello della visita Neurath a Belgrado, Sofia e Budapest-l'ambasciatore di Gran Bretagna a Berlino cominciò ad agitare -prima di sua iniziativa poi con l'esplicito consenso del suo governo -l'idea di una visita Neurath a Londra. Sir Nevile Henderson ha evidentemente per «programma» il riavvicinamento anglo-tedesco. Egli lo ha svolto, fin dal suo primo arrivo, con una insistenza che depone non soltanto dei suoi personali intendimenti al riguardo, ma anche evidentemente, della acquiescenza e anzi della piena approvazione del proprio governo.

Il barone Neurath, quasi sorpreso (è la espressione del von Mackensen) dell'invito, rispondeva in principio in forma evasiva. Sopravveniva l'incidente di Ibiza 1 . Neurath ammoniva che non avrebbe neanche «considerato» l'invito se prima l'incidente non fosse stato appianato con piena soddisfazione della Germania. L'incidente veniva in fatto, auspice l'Inghilterra, appianato e, se non con piena soddisfazione, almeno col massimo della soddisfazione che nelle circostanze era possibile per il Reich. Henderson ritornava quindi alla carica. Il rifiutare non soltanto sarebbe stata cattiva grazia ma avrebbe forse significato chiudere la porta a un riavvicinamento e una chiarificazione: Neurath dava quindi una accettazione di massima e partiva per il suo giro balcanico 2 . Durante questo, la situazione russa subitamente precipita3 e le azioni tedesche a Londra salgono in proporzione. Neurath si rende conto che, se un momento vi è in cui la Germania possa ottenere a Londra condizioni favorevoli, esso è appunto questo. La possibilità di presentare la situazione della Germania a Londra nella sua luce di campione dell'ordine e della pace attira evidentemente anche all'animo del Fiihrer e, con una rapidità che, sotto certi aspetti, ricorda quella usata per il famoso patto navale anglo-tedesco 4 , Neurath, mentre è ancora egli stesso in treno e Hitler a Berchtesgaden, fissa la data del suo viaggio a Londra per il 23 corrente.

A mio rimesso avviso, è intanto da deplorare nei nostri riguardi un manco di forma, in quanto ritengo che noi avremmo comunque potuto essere informati della cosa anche nei suoi stadi preliminari e formativi. Forse, il tutto si spiega, oltreché col precipitarsi naturale degli avvenimenti (il quale ha impedito per esempio che della cosa -come ha potuto accertare Magistrati -fosse avvertito lo stesso Goring), anche con la lontananza di Neurath. Il fatto, comunque, rimane. Inoltre, questo inseguirsi di visite fa sì che ogni visita successiva ammazzi quella che l'ha preceduta. D'altra parte, non si può però negare che l'occasione assolutamente spontanea presentatasi era tale da riuscire per i tedeschi particolarmente attraente. Questo quanto alla forma.

Guardando poi alla sostanza politica della cosa, bisogna riconoscere che molto, se non tutto, dipende non tanto dallo spirito in cui l'invito è stato fatto, quanto da quello in cui è stato accettato e da quello in cui praticamente la visita si svolgerà. Che la visita sia stata dall'Inghilterra sollecitata con intendimenti almento altrettanto sfavorevoli all'Italia guanto favorevoli alla Germania, non è dubbio. Riluttante, o

1 Si riferisce al bombardamento della Deutschland del 29 maggio (vedi p. 865, nota 2).

2 Vedi p. 899, nota 3.

3 Riferimento al processo Tucacevski.

4 Riferimento al trattato tra Gran Bretagna c Germania per la limitazione degli armamenti navali del 18 giugno 1935.

impossibilitata, a lavorare su Roma, Londra concentra tutti i suoi sforzi su Berlino. Ma, a parte la intempestività e le manchevolezze formali a carattere «tedesco» già notate, non vi è alcuna ragione per ritenere che la Germania, nell'accettare l'invito, abbia avuto intendimenti poco riguardosi per noi e per i nostri interessi. Basterà richiamare le assicurazioni ripetutamente date, sia direttamente che indirettamente al Duce e all'E. V. e proprio a proposito dell'Inghilterra, da Goring 1• E ciò senza contare quelle date, sullo stesso argomento, a mezzo del Principe di Assia, dallo stesso Fiihrer 2•

Senonché, sotto l'influenza di una situazione generale senza dubbio favorevole alla distensione (e in cui i fattori economici hanno anche un indubbio peso, vedi discorsi Schacht 3 , discorsi troppo ripetuti per non essere autorizzati e pertanto, anzi doppiamente, sintomatici) il presentarsi della possibilità di incominciare questa distensione proprio da Londra, che costituisce la mira ultima di ogni buon tedesco (e ciò in condizioni che potrebbero, auspice la Germania, portare anche -intima preoccupazione questa dello stesso Fiihrer -ad una distensione anglo-italiana) può avere allettato Hitler e i suoi consiglieri, decidendoli a bruciare qualcuna delle tappe diplomatiche che la prudenza avrebbe forse, in altre condizioni, consigliato invece di marcare.

Comunque, il fatto che Neurath vada a Londra non significa che Germania e Inghilterra possano e debbano «intendersi» senz'altro. Fra i due Paesi vi sono questioni tali e così scottanti da non permettere troppo facili e definitive riappacificazioni. Basti ricordare, fra tutte, la questione coloniale che, pure ridotta a una questione di principio, presenta difficoltà evidenti e gravissime. Neurath (come del resto adesso lo stesso Goring) è fautore della «non attualità» del problema ma, uomo di non facili entusiasmi, egli difficilmente si contenterà di semplici frasi. Escludo -del resto -che Neurath si proponga, in questo primo momento, di arrivare ad una «intesa». Egli si terrà prudentemente pago di lavorare ad una -e anche questa relativa-distensione di rapporti, iniziando così quel processo di chiarificazione generale verso il quale ormai qui si tende ogni giorno di più e ogni giorno più patentemente. E tutto ciò, agli occhi tedeschi, senza alcun pregiudizio all'«asse» Roma-Berlino, sia perché Neurath non mancherà, e di questo sono sicuro, di fare chiaramente comprendere a Londra (Hassell era appunto incaricato di assicurarne esplicitamente I'E.V.) 4 non esservi riavvicinamento possibile fra Berlino e Londra senza Roma, sia perché, agli occhi tedeschi, l'asse Roma-Berlino non è stato mai considerato come fine a sé stesso ma come iliu= mento per arrivare ad una distensione, e possibilmente ad una collaborazione esclusa la Russia -generale.

Il signor Mackensen con cui parlavo, proprio ieri, della situazione europea affermava «l'Europa aver perduto 20 anni in una politica di negazioni basata sopra amicizie che, !ungi dall'integrarsi, tendono invece ad escludersi». Linguaggio signi

l Vedi D. 60.

2 Di ciò non è stata trovata documentazione.

3 Riferimento alle dichiarazioni di Schacht durante la sua visita in Belgio (vedi DD. 464 e 477) e a Parigi (vedi D. 679).

4 Vedi D. 733.

ficativo in un diplomatico tedesco di così alto rango che, oltre ad essere il genero di Neurath, è anche persona di sicura e diretta fiducia del Fi.ihrer.

Quale sia per essere l'agenda dell'incontro io potrò sapere soltanto da Neurath al suo ritorno. Si può, peraltro, prevedere che vi occuperà un posto preminente in primo luogo la questione del giorno, cioè quella di Spagna, in secondo luogo la questione di una nuova Locarno, la quale trova nell'improvvisa menomazione politica dell'U.R.S.S. condizioni più favorevoli di quante se ne siano mai presentate fino ad oggi. Anche qui ripeterò una idea di Mackensen e cioè non potersi rinunziare a cuor leggero ad una opportunità che forse -in una Europa che, se vuole evitare la guerra, deve ormai arrivare alla pace -«potrà non ripresentarsi più». Queste le disposizioni attuali della Germania il cui formarsi io sono peraltro venuto quasi giornalmente segnalando all'E.V. Giudicherà, naturalmente, V.E. quale sia, nelle circostanze, il contegno che ci convenga seguire. A me spetta solo di segnalare e sottolineare ancora una volta fedelmente gli elementi di fatto della situazione quale si presenta e si può osservare a Berlino e cioè:

l) la Germania tende ormai ad una distensione erga omnes e ciò per attendere al suo consolidamento interno ed estero;

2) in questo processo di distensione, essa naturalmente è lieta che le circostanze -e soprattutto l'iniziativa altrui -le permetta di incominciare proprio dall'Inghilterra;

3) in tutto ciò essa non solo non agirà contro l'Italia, ma anzi cercherà di favorirne gli interessi, con questo ritenendo di rafforzare, anziché indebolire, l'asse Roma-Berlino consicierato, ripeto, non come fine a sé stesso né tanto meno in opposizione ed antitesi a più larghe e profittevoli intese.

16 giugno

P.S. Ho appreso ieri sera a tarda ora il testo del comunicato (la cui pubblicazione, già decisa per oggi, mi risulta invece «precipitata» da Londra) per la visita di Neurath. Mentre esso opportunamente marca il carattere «generico» della visita, mi sembra costituire, nella unica precisazione che dà (discussione della situazione spagnola), una gaffe nei nostri riguardi forse superiore a quella del mancato o ritardato preavviso.

La questione di Spagna è una di quelle in cui la solidarietà italo-tedesca, come è stata ab initio deve mantenersi in fine al 100%. Se, cedendo alle argomentazioni tedesche, noi abbiamo -soli -accettato a suo tempo di impegnare in Spagna oltreché il nostro materiale, anche i nostri uomini, ingolfandoci così nella situazione spagnola più della Germania, ciò non vuol dire che la solidarietà di questa nei nostri confronti debba risultarne menomata. Direi proprio il contrario. Orbene, ~ solidarietà deve mostrarsi anche nella forma. Che Londra cerchi di far centro sulla Germania per forzare alla liquidazione delle proprie posizioni spagnole l'Italia, è rincrescevole, ma comprensibile. Ma non è ammissibile che la Germania ci si presti

o per lo meno che agisca in maniera da dar l'impressione agli altri che ci si presti.

Io sono sicuro che anche questa seconda e per me seconda grossa gaffe è praticamente dovuta alla assenza di Neurath, ma mi riprometto comunque di protestare questa mattina stessa, energicamente, con Mackensen. Se ad una liquidazione dell'affare spagnolo si ha da arrivare, siamo noi e non la Germania a doverne segnare le condizioni. Non vi può essere equivoco su questo punto e lo dirò ben chiaro così a Neurath quando arriva, come a Goring e a Blomberg.

Mi permetto anzi sollecitare su questo punto precise telegrafiche istruzioni all'E.V. in maniera da poter fare bene intendere a Neurath in quale direzione e fino a qual punto noi possiamo ammettere che egli si spinga a Londra. Non metto neanche in dubbio che egli sia pronto a seguirei 1•

741

L'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI D'EUROPA E DEL MEDITERRANEO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, giugno 1937.

Il dottor Dubbiosi, rientrando a Sanaa, conferirà con l'Imam perché quest'ultimo rivolga al senatore Gasparini l'invito a recarsi nello Yemen, secondo quanto è già stato stabilito.

La missione Gasparini avrà ufficialmente lo scopo di procedere al rinnovo, possibilmente aggiornandolo, del trattato di amicizia italo-yemenita del 1926 2• di riattivare la simpatia per noi dei notabili yemeniti (che il ritardo nell'invio di una missione italiana ha in talune zone affievolito), di influire sull'Imam perché egli si rivolga a noi per assistenza economica e tecnica.

In relazione a quanto precede si ha l'onore di informare V.E. che, in occasione del passaggio colà del dottor Dubbiosi, l'Emiro di Taiz (Yemen meridionale) appartenente alla famiglia Uasir che aspira alla successione nell'Imamato, gli ha espresso sentimenti di amicizia per l'Italia e gli ha consegnato una lettera diretta al Duce con la quale chiede, in vista di possibili perturbamenti politici nello Yemen, di avere a disposizione ad Assab un certo quantitativo di armi varie, e di acquistare una stazione radio con cui mantenersi in diretto e segreto collegamento con l'Asmara. Tale richiesta, assai delicata per i rapporti di dipendenza che attualmente intercedono fra l'Emiro e l'Imam, potrà venire valutata in relazione agli elementi di giudizio che, sulla situazione interna e sul probabile risultato delle lotte previste per la successione, il senatore Gasparini raccoglierà nel corso della sua missione.

Intanto, si soprassederebbe a far rispondere per iscritto dal Duce all'Emiro di Taiz; ed il dottor Dubbiosi, tornando nello Yemen, potrebbe far sapere verbalmente all'Emiro, in via segreta, che la sua richiesta viene simpaticamente considerata e che ci riserviamo una risposta appena possibile.

1 Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi p. 712, nota 3.

742.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4076/461 e 4079/462 R. Londra, 16 giugno 1937, ore 1,25 (per. ore 6,30).

Suo 232 di oggi 1•

Ho detto a Ribbentrop che V.E. era stata informata da codesta ambasciata di Germania della prossima visita di von Neurath a Londra e gli ho domandato notizie sulla portata e significato di tale visita.

Ribbentrop non ha nascosto suo imbarazzo nel rispondermi. Dapprima mi ha detto che visita von Neurath era stata da parecchio tempo decisa in via di massima. Ribbentrop si è lasciato sfuggire che egli e Eden ne avevano parlato per la prima volta soltanto sabato scorso. Alla fine Ribbentrop mi ha dichiarato che visita di von Neurath a Londra era stata trattata personalmente fra Neurath e Henderson a Berlino e che pertanto egli ignorava da chi era partita idea, nonché argomenti che saranno discussi nel prossimo incontro anglo-tedesco. Ribbentrop ha aggiunto che da Berlino era stato informato che visita Neurath avrà luogo assai presto e cioè il 23 c.m., e che apposito comunicato alla stampa renderà pubblica stasera stessa tale notizia. Ribbentrop mi ha detto infine che mi terrà informato di quello che l'ambasciata di Germania di Londra sarà evidentemente 2 richiesta da Berlino in connessione alla prossima visita Neurath. Ho creduto opportuno non domandare a Ribbentrop di più poiché Ribbentrop aveva una attitudine piuttosto imbarazzata. Si vedeva chiaramente che egli era preoccupato di non dirmi di più di quello che supponeva potesse essere stato detto da parte di von Hassell e Neurath. Era anche evidente dal modo con cui Ribbentrop mi ha parlato che visita Neurath a Londra non è certamente per Ribbentrop un avvenimento gradito. Il che è ovvio, data la nota rivalità fra Neurath e Ribbentrop e l'altrettanta nota ambizione di Ribbentrop di essere considerato come l'unico mediatore ed artefice del riavvicinamento anglo-tedesco. Domani mattina vedrò Eden3 e mi riservo su questo argomento ulteriori notizie.

Da quanto mi viene assicurato confidenzialmente mattinata, risulta che l'iniziativa visita von Neurath a Londra è partita dal governo inglese. Ambasciatore d'Inghilterra Henderson avrebbe una decina di giorni fa accennato con il governo di Berlino possibilità visita di von Neurath trovando immediatamente favorevole accoglienza.

Progetto visita von Neurath è stato mantenuto nel più stretto segreto. Persino i francesi lo ignoravano. Questo ambasciatore di Francia ne ha avuto conoscenza solamente oggi.

l Vedi p. 959, nota l. 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «decifrazione esatta». 3 Vedi D. 743.

743

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4105/467 e 4109/468 R. Londra, 16 giugno 1937, ore 22,38 (per. ore 5,30 del 17).

Ho veduto stamane Eden e gli ho domandato quale era nel pensiero del governo britannico scopo principale visita von Neurath e come l'idea era sorta.

Eden mi ha risposto: «durante il suo recente soggiorno a Londra, maresciallo Blomberg ha espresso rincrescimento che da parte governo britannico non sia mai pervenuto sino ad ora un invito al ministro degli Esteri tedesco di recarsi a Londra, mentre al contrario governo britannico non perde mai occasione per promuovere incontri sia a Londra come a Parigi fra governi inglese e francese. Riflettendo, nelle giornate immediatamente susseguenti al bombardamento Almeria, alle parole di Blomberg sono venuto nella considerazione che sarebbe stato utile e opportuno poter discutere personalmente con von Neurath della situazione determinatasi a seguito dei fatti tragici di lbiza e cercare via uscita alla crisi. Chamberlain è stato favorevole a questa idea e così il nostro ambasciatore Henderson è stato incaricato sondare a Berlino. Accoglienza governo tedesco è stata immediatamente favorevole. Senonché, avendo von Neurath già preso impegni per il suo viaggio a Belgrado Budapest e Sofia, governo tedesco ha fatto presente che la visita von Neurath a Londra avrebbe potuto effettuarsi soltanto dopo il suo ritorno a Berlino e non prima del 23 prossimo venturo. Notizia è stata tenuta riservata sino a iersera di comune accordo per evitare premature indiscrezioni».

Circa programma della visita, Eden ha detto: «Non sono previsti negoziati particolari fra von Neurath e noi. Ma è ovvio che la presenza von Neurath a Londra permetterà scambio idee approfondito su molte questioni, particolarmente sulla Spagna e più particolarmente sul ritiro volontari, sulla nuova Locarno e sulla situazione europea in generale».

Ho ringraziato Eden per questa informazione e gli ho fatto presente imminente visita von Neurath a Londra sarebbe stata interpretata da molti in Inghilterra come un fatto diretto a rompere solidarietà fra Roma e Berlino. A prova di ciò ho richiamato attenzione di Eden su alcuni commenti apparsi già sino stamane m alcuni giornali antifascisti che non lasciano dubbi su ciò.

Eden mi ha risposto: «Governo inglese non ha assolutamente intenzione di profittare visita von Neurath a Londra per cercare di indebolire intesa fra Roma Berlino. Vi prego comunicare testualmente questa mia assicurazione al ministro Ciano. Con la ... 1 che la situazione spagnola appare a noi inglesi sempre più delicata ed importante, e poiché Germania si mostra disposta ad esaminare la possibilità di soluzione (particolarmente circa ritiro volontari considerando la questione urgente 2), non vi è dubbio che noi faremo del nostro meglio per indirizzare sempre più governo tedesco su questa strada ma questo non vuole significare che noi intendia

1 Nota dell'Ufficio Cifra: «due gruppi indecifrabili». 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «decifrazione dubbia».

mo dare alla nostra azione un carattere antitaliano. Governo inglese non conosce ancora quali sono effettivamente intenzioni dell'Italia e si augura sinceramente che esse siano -per quanto si riferisce Spagna -non dissimili da quelle che appaiono essere quelle del governo tedesco». Eden mi ha aggiunto: «Per quanto riguarda più direttamente rapporti italo-inglesi io ripeto quello che già ho avuto occasione dire nella nostra conversazione del 5 giugno 1 , che vi ho confermato nei nostri colloqui successivi, e che Chamberlain stesso mi ha detto d'avervi ripetuto e confermato a sua volta personalmente qualche giorno fa 2 . Governo britannico vuole al riguardo conciliazione ·effettiva con l'Italia, nel quadro gentlemen 's agreement del 2 gennaio. Ma perché ciò sia possibile, senza timore e pericolo di complicazioni ulteriori, occorre che l'ombra della Spagna, la quale ha oscurato negli ultimi mesi i nostri rapporti, prima si dilegui. Io spero che ciò sia possibile e mi auguro sinceramente che fra non molto un incontro fra me ed il ministro Ciano qui a Londra possa suggellare la nuova situazione».

Fin qui le dichiarazioni di Eden che telegrafo testualmente, risparmiando a V.E., per brevità, le necessarie ed ovvie considerazioni, che ad ogni buon fine ho creduto di fare replicando alle parole di Eden.

Nel corso del colloquio di stamane Eden mi ha informato di avere ricevuto da Parigi nota su nuovo patto occidentale 3 , nella quale governo francese sembra di venire incontro, per quanto possibile, alle obiezioni sollevate dal governo tedesco e italiano nelle loro ultime note. Eden ha aggiunto che si riserva di esaminare attentamente il documento francese, il quale -Eden ha fretta continuare trattative fornirà naturalmente elementi utili per gli scambi di vedute che avranno luogo durante la prossima visita di Neurath circa ripresa trattative per conclusione patto occidentale.

Eden mi ha detto che non appena ultimato esame studio nota francese mi terrà informato del punto di vista britannico, e di quanto possa giovare alla ripresa delle trattative fra le Potenze ex firmatarie del trattato di Locarno.

744

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4173/0144 R. Vienna, 16 giugno 1937 (per. il 18).

Giornali jugoslavi (Iutro di Belgrado, Slovenec di Lubiana ed altri) hanno pubblicato in questi ultimi giorni notizie, di pretesa origine viennese, circa una prossima visita del Cancelliere Schuschnigg a Belgrado. Alla Cancelleria Federale la notizia è stata smentita.

l Vedi D. 697. 2 Vedi D. 751. 3 Vedi p. 948, nota 2.

Parlandone con Schmidt, ho chiesto se, avendo raggiunta la sua sede il nuovo ministro d'Austria a Belgrado ed essendo cessati certi imbarazzi costituiti anche dalla personalità del defunto ministro di Jugoslavia a Vienna, non sarebbe ormai il caso di dare corso al proposito manifestatomi da tempo dal Cancelliere di migliorare e intensificare i rapporti austro-jugoslavi (miei telegrammi per corriere n. 036 e 051 dell'8 febbraio e dell'8 marzo a.c.) 1 .

Schmidt mi ha assicurato che stava predisponendo qualche passo a tale scopo. Ha convenuto con me che la stagione estiva avrebbe potuto facilitare anche un personale incontro, se non del Cancelliere, di lui Schmidt con Stojadinovic a Bled

o nelle vicinanze, superando le difficoltà di una visita austriaca a Belgrado (mio telegramma per corriere n. 080 del 5 aprile scorso) 2 .

Ho avuto l'impressione che Schmidt gradirebbe molto di conoscere in proposito l'avviso dell'E.V. e di avere al caso, sui rapporti con la Jugoslavia, le comunicazioni messe in vista nel Convegno di Venezia (cap. VII degli Appunti austriaci su quei colloqui, da me trasmessi all.E.V_)3.

Alla Cancelleria Federale è stata molto apprezzata la sollecitudine con la quale Stojadinovic avrebbe assicurato il ministro d'Austria a Belgrado che nulla di concreto era stato stipulato con von Neurath e tanto meno alcunché che potesse toccare neanche indirettamente l'Austria. Schmidt vi ha ravvisato una conferma della assicurazione data da V.E. a Venezia, secondo cui «il presidente del Consiglio jugoslavo propugna vigorosamente il mantenimento della indipendenza dell'Austria»4.

745

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4216/065 R. Bruxelles, 16 giugno 1937 (per. il 21).

L'annunzio della visita di von Neurath a Londra ha destato qui impressione.

Benché la stampa la interpreti generalmente come foriera d'una détente generale nella situazione europea e si dimostri quindi soddisfatta, pure nelle sfere dirigenti si insinua il dubbio che essa riveli soprattutto che l'Inghilterra, preoccupata più che mai della situazione interna della Francia, voglia rivedere al più presto la sua

1 Il T. per corriere 989/036 R. dell'8 febbraio è qui pubblicato come D. 141. Con il T. per corriere 17011051 R. dell'8 marzo, il ministro Salata aveva riferito su le reazioni negative provocate a Vienna da un discorso di Stojadinovic, considerato, per il tono usato, poco amichevole nei confronti dell'Austria.

2 Vedi D. 408.

3 Vedi p. 838, nota l. Nel paragrafo VII del verbale austriaco, al quale si fa qui riferimento, era scritto: «Da rilevare è anche la dichiarazione del conte Ciano secondo cui il presidente del Consiglio jugoslavo, Stojadinovic, propugna vigorosamente il mantenimento dell'indipendenza dell'Austria».

4 Ciano rispondeva con T. per corriere l 106 R. del 22 giugno di approvare un incontro degli austriaci con Stojadinovic e, circa l'atteggiamento di Stojadinovic, confermava quanto risultava dal resoconto austriaco dell'incontro di Venezia.

situazione nei rispetti di Berlino. Anche i fatti di Russia 1 suscitano impressione, e sono pur essi messi in relazione con il preteso nuovo atteggiamento di Londra verso Berlino.

Da parte sua, Spaak, parlandomi delle ultime vicende parlamentari e finanziarie della Francia, ha accennato anche lui alle preoccupazioni inglesi, deducendone quasi un nesso con l'invito rivolto a von Neurath per la visita a Londra.

Quanto precede va poi messo in relazione con le aperture fattemi dal barone van Langenhove e di cui al mio telegramma p.c. n. 052 del 24 maggio2 .

746

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. URGENTE RISERVATISSIMO 2904/928. Berlino, 16 giugno 1937 (per. il 17).

Faccio seguito al mio telegramma odierno n. 2393 .

Ho detto che Mackensen mi ha fornito circa la visita di Neurath ed il modo come essa era stata annunziata delle spiegazioni non prive di interesse. Le riassumo qui appresso.

La ragione prima di quanto è accaduto va ricercata nello stesso incalzare degli eventi. Neurath, da principio, era sinceramente esitante ad accettare. Riteneva che la visita avrebbe potuto svolgersi, più opportunamente, in un secondo momento. Ecco, in fondo, perché non ne ha parlato a nessuno, neanche agli stessi più autorevoli e più intimi colleghi di Gabinetto. Allo stesso Auswartiges Amt, le persone che ne erano al corrente si contavano sulle dita. Fu solamente durante il suo giro balcanico 4 che la cosa, e per le ragioni contingenti già indicate in mie comunicazioni precedenti, si maturò. Appena indottosi ad accettare, egli diede incarico telefonico a Mackensen a) di domandare l'assenso del Fiihrer b) di informarne, contemporaneamente e immediatamente, Roma. Quando Mackensen telegrafò ad Hassell la prima notizia della visita, non aveva ancora ricevuto neanche l'assenso definitivo del Fiihrer alla visita. Che anzi, le istruzioni e le spiegazioni di dettaglio ad Hassell tardarono ulteriormente appunto perché non potevano logicamente essere impartite se non dopo il placet del Fiihrer al viaggio, ottenuto solo lunedì 14. Il tutto, poi, complicato dalla difficoltà di condurre e tenere tutti questi contatti a distanza e per telefono.

l Riferimento al processo Tucacevski (vedi D. 729).

2 Vedi D. 634.

3 T. 4096/239 R. del 16 giugno. Comunicava di avere avuto un colloquio con il segretario di Stato alla Wilhelmstrasse, von Mackensen, dal quale aveva avuto «spiegazioni non prive di peso» circa il modo in cui si erano svolti i fatti che avevano portato all'annuncio del viaggio di von Neurath a Londra.

4 Vedi p. 899. nota 3.

Ad una mia osservazione nel senso che, nell'assenza di Neurath, egli stesso Mackensen avrebbe almeno potuto farmi della cosa un semplice accenno preparatorio, egli si giustificò dicendo:

l) che fin quando una decisione «di massima» non fosse stata presa egli, nell'assenza di Neurath, non si sentiva autorizzato a parlare della cosa con chicchessia;

2) che, nella specie, la decisione di massima ha, per forza di cose, coinciso con quella concreta e definitiva, tantoché persino Goring e Blomberg non vennero informati che all'ultimissimo momento e dopo di noi;

3) che egli Mackensen era comunque partito dalla falsa supposizione che una qualche notizia della faccenda fosse già in possesso del Duce, e ciò in base ad una conversazione Mussolini-Hassell in cui il Capo del Governo, parlando dei rapporti anglo-italiani sembrava quasi prendere poslZlone per la visita di Neurath 1•

Non astante io ignorassi la conversazione Mussolini-Hassell, non ho durato fatica a identificarla come una naturale conseguenza e anzi proprio come un seguito delle conversazioni Mussolini-Blomberg sullo stesso soggetto 2• Mackensen, che a sua volta ignorava le conversazioni Blomberg, ha compreso, dopo le mie spiegazioni, l'equivoco in cui era caduto e che, a suo tempo, lo aveva incoraggiato al silenzio.

Questo quanto al primo punto.

Passando poi al contesto del comunicato e ai miei rilievi circa la evidente inopportunità di indicare in esso la questione spagnola quasi come quella di maggior momento fra le tante che avrebbero formato oggetto dell'incontro, Mackensen mi ha spiegato che Neurath, appunto perché intimamente e fino all'ultimo istante esitante ad accettare la visita, aveva tenuto nel comunicato a darle un carattere «estremamente generico e vago», tanto vago da andare incontro a ripetuti rilievi da parte inglese. Ed è appunto cedendo alle insistenze dell'ambasciatore Henderson il quale osservava essere impossibile che di qualche cosa di specifico a Londra non si dovesse pur parlare e che questo qualche cosa non poteva, soprattutto dopo la crisi del Deutschland, non essere la questione spagnola, fu soltanto dopo questo, dico, che, pro bono pacis e tanto per farla finita, venne aggiunta in coda al comunicato -rimasto vago come Neurath lo voleva -la frase riguardante la Spagna, ma dandovi un significato tanto più strettamente quanto più in fatto connessa con gli incidenti degli ultimi giorni.

Ho replicato che, anche ammesso tutto questo, non potevo capire il «particolarmente» del comunicato e che, comunque, la stessa insistenza doveva essere sufficiente a rivelare gli scopi del governo di Londra, il quale, ansioso di risolvere

1 Si riferisce ad un colloquio tra Mussolini e von Hassell avvenuto il 12 giugno, durante il quale. secondo quanto riferiva l'ambasciatore tedesco (vedi DDT. serie D .. vol. III, D. 306), Mussolini si mostrò favorevole ad un accordo con la Gran Bretagna che peraltro dichiarò di considerare difficile. per il momento, data l'atmosfera esistente tra i due Paesi. Di tale colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani.

2 Vedi p. 863, nota l.

definitivamente la questione spagnola, cercava di assicurarsi l'appoggio della Germania per forzare l'Italia ad una più o meno onerosa e frettolosa «liquidazione». Ho aggiunto in proposito e assai esplicitamente che, in fatto di situazione spagnola, la maggiore interessata deve, a buon diritto, considerarsi l'Italia e che nulla può quindi esser fatto in materia che non sia da noi previamente approvato ed espressamente consentito: Alle ragioni già da me accennate nel rapporto di stamane (poscritto), ho aggiunto anche il ricordo della prova di solidarietà totalitaria voluta spontaneamente dare dal Duce a proposito del Deutschland, dicendo che a nostra volta, una solidarietà altrettanto totalitaria avevamo diritto di aspettarci ora dalla Germania.

Il signor von Mackensen a questo punto mi ha interrotto dicendo testualmente: «Nessun equivoco in proposito è possibile: abbiamo, per la questione spagnola marciato fin dal principio mano nella mano: mano nella mano finiremo. Neurath non ha alcuna intenzione di dire a Londra sulla questione spagnola niente di più né di meno di guanto voi stessi ci indicherete: abbiamo già, allo scopo, fatto chiedere al Duce il suo pensiero, e questo non a semplice titolo consultativo, in guanto quello che ci vuole in un caso come il presente non è una consultazione, bensì una vera e propria intesa».

Dopo di che, mi sono accomiatato.

Non ero ancora arrivato a casa, che già Mackensen mi telefonava per dirmi che aveva subito informato per telefono Neurath della nostra conversazione e che Neurath, il quale veniva a Berlino nella mattinata di domani, mi pregava di andare da lui a mezzogiorno.

Telegraferò 1 . Intanto mi sembra poter dire fin da ora che, poiché la cosa è accaduta, essa non, dico non finirà col risolversi a nostro svantaggio 2 .

747

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE. Berlino, 16 giugno 1937 (per. il 21).

A proposito del processo Tucacevski 3 ti ricordi quel mio appunto trasmesso ti in lettera del mio ambasciatore n. 0658 del 13 febbraio u.s. 4 relativo ad una mia conversazione con Goring? In esso si faceva accenno ad eventuali prese di contatto tra Tucacevski e von Blomberg.

l Vedi D. 748. 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 3 Vedi D. 729. 4 Vedi D. 161.

748

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 4119/242 R. Berlino, 17 giugno 1937, ore 14,55 (per. ore 17,35).

Von Neurath tornato a Berlino 1 appena questa mattina, ha tenuto vedermi immediatamente. Mi ha fatto la storia dell'invito maturatosi soltanto nel corso del suo viaggio. Era partito avendo dato ad Henderson più un rifiuto che un'accettazione. Londra lo ha perseguitato con telegrammi durante tutto il viaggio: due a Belgrado uno a Sofia. Resosi conto impressione che un suo rifiuto avrebbe potuto suscitare, Neurath ha finito con accettare. Quanto al contenuto e tenore delle sue prossime conversazioni a Londra, egli, dopo avermi messo al corrente di quanto

V.E. -ha detto ieri a von HasselJ2, e dopo essersi esplicitamente riservato di aver con me in materia una nuova e più approfondita conversazione immediatamente prima della sua partenza per Londra, mi ha pregato di assicurare V.E. in modo formale ed esplicito «che egli non farà a Londra nulla senza l'Italia e che il Duce e V.E. -Io conoscono abbastanza per sapere che egli fa quello che dice». V.E. -ha visto d'altra parte che la presentazione fatta della visita nella stampa tedesca è stata e continua ad essere tale da escludere possibilità di malignazioni. Contegno stesso stampa estera mi sembra al riguardo significativo. In senso indubbiamente favorevole ha anche automaticamente agito la presenza qui degli accademisti della Farnesina e le accoglienze cui ha dato luogo e che, specialmente dopo lo spettacolo di ieri alla Deutschland H alle possono senza esagerazione alcuna qualificarsi magnifiche.
749

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4130/475 R. Londra. 17 giugno 1937, ore 20,10 (per ore 1,50 del 18).

Seguito telegramma n. 474 3 .

Eden è tornato parlarmi della visita di von Neurath dicendomi che, specialmente dopo quanto gli avevo fatto presente ieri mattina 4 , egli aveva svolto subito azione, che sperava efficace, diretta a impedire interpretazioni e speculazioni sgradevoli nei riguardi sia dell'Italia, sia dell'asse Roma-Berlino. Eden ha aggiunto che

l Dal suo viaggio nella Penisola balcanica (vedi l' R99, nota 3). 2 Vedi p. 961, nota l. Si veda, in proposito, anche il più circostanziato resoconto dell'ambasciatore von Hassell in DDT. serie D, vol. III, D. 329.

3 T. 4129/474 R. del 17 giugno. Riferiva di avere consegnato a Eden la lettera con la quale il governo italiano comunicava che, sulla base dell'accordo raggiunto il 12 giugno, l'Italia tornava a partecipare al sistema di controllo delle coste spagnole (si veda in proposito p. 946, nota 2).

4 Vedi D. 743.

980 le direttive da lui impartite all'Ufficio Stampa Foreign Office erano nel senso di presentare visita von Neurath non come avvenimento soltanto anglo-tedesco, bensì come contributo, da augurarsi di effetto positivo, per una politica riconciliazione e di accordo sul terreno della politica generale europea e in particolare fra le quattro grandi Potenze ex-firmatarie Locarno. «Queste quattro Potenze ~ ha aggiunto Eden ~sono del resto le stesse fra cui è stato concluso accordo di sabato scorso concernente il controllo navale delle coste spagnuole. Delle quattro Potenze Italia è, oltre che firmataria Locarno, quella che certamente ha maggiore interesse nella questione spagnola e nella politica dell'Europa centro-orientale.

Le tre principali questioni che saranno discusse nel prossimo incontro anglo-tedesco saranno segnatamente: l) questione spagnola; 2) Patto Occidentale; 3) Europa centro-orientale danubiana. È chiaro che nessuna soluzione di questi problemi può avvenire senza la partecipazione attiva dell'Italia. Governo britannico sa ciò perfettamente e soprattutto terrà questo in mente nelle conversazioni con von Neurath. Questo desidero sappia sin da ora il conte Ciano che io del resto terrò, per vostro tramite, giornalmente informato».

750

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4132/476 R. Londra, 17 giugno 1937, ore 21,21 (per. ore 4,30 del 18).

Notizia conosciuta 1en mattina della v1s1ta von Neurath a Londra è stata accolta con unanime favore da questi circoli politici e da opinione pubblica in genere. Anche conservatori estrema destra che avevano espresso loro malumore per ostentate manifestazioni anglo-naziste in occasione visita Blomberg, hanno accolto con soddisfazione notizia visita von Neurath.

Non vi è dubbio che recenti avvenimenti in Francia ed in Russia hanno contribuito notevolmente schiarire atmosfera. Tutti, non escluse le sinistre, sono rimasti impressionati dal corso avvenimenti Russia 1 e disorientati dalla sempre più precaria situazione francese. Questi indici palesi della progressiva disintegrazione dei regimi social-comunisti hanno contribuito a spingere governo e partiti in Inghilterra verso quel riavvicinamento anglo-tedesco che ha avuto inizio nell'autunno scorso e di cui ho descritto con mio rapporto del 6 novembre scorso 1936, n. 34452 il primo sintomo.

Questo ritorno si era già manifestato prima del gentlemen sagreement itala-inglese del due gennaio e della successiva tensione itala-inglese a seguito avvenimenti spagnoli.

V.E. vorrà permettermi richiamare un istante Sua attenzione sopra detto mio rapporto perché dati di fatto in esso contenuti hanno riferimento diretto alla situazione attuale.

I Allusione al processo Tucacevski (vedi D. 729). 2 Vedi serie ottava, vol. V, D. 368.

Ieri ed oggi ho avvicinato molti uomini politici delle varie tendenze. Tutti o quasi tutti, senza sopravalutare effetti immediati del prossimo incontro anglo-tedesco e pur rendendosi conto delle difficoltà cui darebbe luogo in questo momento una insistenza da parte tedesca discutere problema coloniale, considerano tuttavia visita von Neurath come avvenimento importante, di carattere preliminare, destinato facilitare soluzione dei problemi internazionali che più stanno a cuore agli inglesi. Questi problemi sono soprattutto due: l) una soluzione della crisi spagnola per la quale ritiro volontari è considerato fatto pregiudiziale; 2) ritorno della Germania alla politica di accordi regionali fra le Potenze occidentali, mediante un compromesso accettabile per Berlino e per Parigi.

Nei riguardi dell'Italia è sempre più visibile lo sforzo del governo di presentare a questa opinione pubblica un incontro anglo-tedesco come un avvenimento non (dico non) in opposizione o contrasto coll'asse Roma-Berlino. Indice palese di questo sforzo è il linguaggio nel complesso misurato e corretto verso l'Italia che giornali responsabili hanno usato ieri e, ancora più oggi, nei loro commenti alla visita von Neurath. Fanno naturalmente eccezione gli antifascisti Daily Express e Daily H era/d, di cui ho segnalato ieri e oggi (miei fonogrammi 164 e 165) 1 articoli che sembrano scritti da agenti provocatori. Notizia visita von Neurath non ha dato, insomma, almeno sino ad ora, incentivo ad una campagna ostile all'Italia, come invece è successo un mese fa in occasione visita Blomberg. Non vi è dubbio che atmosfera rapporti italo-inglesi era in quel momento francamente pessima, soprattutto ostilità all'Italia dopo aver guadagnato gradatamente quasi tutti gruppi politici, si era estesa al grosso pubblico britannico. Un miglioramento abbastanza sensibile può essere senza dubbio registrato durante quest'ultima settimana.

Telegraferò a V.E. tutto quanto possa sembrarmi sotto questo aspetto di utile segnalazione.

751

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 4138/479 R. Londra, 17 giugno 1937, ore 21,21 (per. ore 2,20 del 18).

Come avrai veduto, alcuni giornali conservatori hanno commentato ieri e oggi accordo quattro Potenze 2 e la visita von Neurath a Londra come indice di un incipiente maggiore realismo nella politica inglese, per effetto intervento personale nuovo Primo Ministro Chamberlain. A tale riguardo mi sembra utile anticiparti telegraficamente riassunto lettera 3 che mi accingevo inviarti sui contatti da me recentemente avuti con Chamberlain.

I Non pubblicati. 2 Riferimento all'accordo per la ripresa del controllo navale, vedi D. 723. 3 Non rintracciata.

Durante queste ultime settimane, dopo sua nomina Primo Ministro, ho avuto sovente occasione incontrarmi con Chamberlain che è stato sempre fra i ministri dell'ex-Gabinetto Baldwin uno di quelli con cui ho intrattenuto più strette relazioni personali. In tutte le nostre recenti conversazioni Chamberlain ha avuto sempre riferimenti ed accenni amichevoli per il Duce e per il nostro Paese, esprimendo speranza vedere presto di nuovo Italia e Inghilterra decisamente riconciliate. Quattro sere fa, incontrando di nuovo Chamberlain, egli fu ancora più esplicito del solito. Chamberlain mi ha pregato di far sapere al Duce che, a conferma di quanto Eden aveva avuto recentemente occasione di dichiararmi, politica del nuovo gabinetto e sua personale di Primo Ministro ha come uno dei principali obiettivi una chiarificazione completa dei rapporti che l'Italia, nel quadro del gentlemen 's agreement del due gennaio. «Ristabilimento di un accordo fiducioso fra l'Inghilterra e l'Italia -ha continuato Chamberlain -è indispensabile per un riassetto stabile e pacifico dell'Europa. Io spero che si possa effettivamente, senza grande difficoltà, trovare una soluzione definitiva alle questioni che ancora ci dividono e che non sono così gravi come taluno insiste nel far credere. lo farò personalmente del mio meglio per superarle e sono certo che il Duce farà altrettanto da parte Sua».

Ho risposto a Chamberlain che il Duce ha dato ripetute prove della sua leale volontà di intesa coll'Inghilterra. Di fronte all'attitudine provocatrice e calunniosa della stampa britannica e anteriori manifestazioni non meno gravi, la reazione e la diffidenza dell'Italia fascista verso l'Inghilterra sono più che giustificate.

Chamberlain ha replicato facendo rilevare migliorato tono della stampa inglese di quest'ultima settimana ed ha aggiunto: «Soprattutto vorrei si facesse sapere con certezza al Duce ed al ministro degli Affari Esteri italiano che io prego di non sopravalutare l'importanza di quello che possono pubblicare di sgradevole per l'Italia alcuni irresponsabili fogli di sinistra i quali non sono meno avversari miei e del mio governo di quello che siano del fascismo e dell'Italia» 1 .

752

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4140/481 R. Londra, 17 giugno 1937, ore 22,10 (per. ore 2,20 del 18). Mio telegramma n. 461 2 .

I Si tenga presente, a proposito di questo documento, quanto Grandi scriveva nei suoi Frammenti di diario: «Per la verità Chamberlain non mi ha incaricato mai di un messaggio per il Duce. Le cose andarono così. Durante il pranzo al Foreign Office per il hirthday di Re Giorgio VI, Eden presentò al nuovo Primo Ministro (da pochi giorni nominato dopo le cerimonie dell'Incoronazione) tutti gli ambasciatori. Chamberlain trattenne ciascuno di noi per qualche minuto dicendo delle parole cortesi ad ognuno. A me disse delle parole cortesi, ma non con un determinato significato politico. Mi bastarono tuttavia per una comunicazione a Roma nella quale esagerai volutamente il carattere di queste innocue parole di' Chamberlain e il loro aspetto di riguardo per la persona del Duce, aspetto che Chamberlain non si sognò affatto di darvi» (Archivio Grandi).

Ribbentrop è venuto a vedermi stamane per mettermi al corrente della conversazione che egli ha avuta iersera con Eden.

«Scopo della conversazione ~ mi ha detto Ribbentrop ~ è stato quello esaminare la linea generale degli scambi d'idee che avranno luogo fra Eden e von Neurath. Questi, come è stato già messo in luce nel comunicato ufficiale, non avranno carattere di negoziati. Come primo argomento Eden ha menzionato questione spagnola con particolare riguardo al ritiro volontari. Su tale problema Eden ha insistito a lungo sottolineando pressioni che vengono esercitate su di lui alla Camera dei Comuni. Secondo argomento indicato da Eden è Patto Occidentale. Anche su questo Eden ha parlato in maniera generica accennando alla risposta francese'. Eden ha menzionato infine il solito «giro dell'orizzonte» dicendo a Ribbentrop che egli è ansioso conoscere punto vista e reazione tedesca di fronte avvenimenti russi». Ribbentrop mi ha detto infine che Eden si era riservato comunicare nuovamente con lui non appena uffici competenti del Foreign Office incaricati dei preparativi per incontro anglo-tedesco avessero completato i loro studi.

Nel comunicarmi quanto precede, Ribbentrop ha tenuto ripetere che queste sue conversazioni con Eden sono collaterali a quelle attualmente in corso a Berlino fra von Neurath e ambasciatore d'Inghilterra i quali, egli ha aggiunto, stanno esaminando direttamente argomenti che formeranno oggetto del prossimo incontro anglo-tedesco. Ribbentrop mi ha detto infine di nuovo che mi terrà informato delle sue eventuali ulteriori conversazioni con Eden sull'argomento.

753

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA VALLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 4141/68 R. San Sebastiano, 17 giugno 1937. ore 22.30 (per. ore 6 del 18).

Onaindìa si è dalla Francia messo in rapporto ~all'infuori di Aguirre ~con capo partito nazionalista basco che, scopo evitare violenze e distruzione, ha deciso battaglioni baschi rimarranno ultimi eventuale evacuazione della città.

Onaindìa avrebbe proposto arrendersi truppe italiane. Tale scopo Onaindìa sollecita abboccamento nostro comando con parlamentari baschi o lui stesso per trattare resa su basi seguenti: l) evitare distruzione Bilbao conservando battaglioni baschi per ordine pubblico fino all'ingresso truppe italiane, con priorità sugli spagnuoli; 2) garantire vita popolazione civile salvo criminali.

Prego V.E. 2 telegrafarmi immediatamente istruzioni onde comunicare Comandante e conoscere possibilità contatti parlamentari baschi 3 .

l Vedi D. 742. 1 Nota dell'Ufficio Cifra: <<tre gruppi indecifrabili». 1 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile». 3 Vedi D. 760.

754

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A TOKIO, AURITI, E A WASHINGTON, SUVICH

T. 10691111 (Tokio) 200 (Washington) R. Roma, 17 giugno 1937, ore 24.

Quest'ambasciata americana ha rimesso una nota nella quale dopo aver ricordato come la riduzione del calibro massimo delle artiglierie delle navi di linea a 356m/m prevista dall'art. 4 del Trattato navale di Londra del 25 marzo 1936 1 non abbia potuto essere effettuata, dichiara che il governo degli Stati Uniti è disposto fissare per il futuro il calibro delle navi di linea al limite summenzionato purché esso venga accettato dalle altre principali Potenze navali.

Analoga comunicazione il governo americano ha fatto alle altre Potenze firmatarie del Trattato navale di Washington del 1922 2 .

La nota americana tende in sostanza a raggiungere un accordo ex-nova sul calibro di 356 m/m. Tenuta presente la risposta favorevole già data al governo britannico (di cui informai V.E. con telegramma n. 131 del 12 gennaio u.s.) ho risposto nel senso che l'Italia è pronta ad aderire alla proposta del governo americano condizionatamente alla sua accettazione da parte delle altre principali Potenze navali.

755

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4169/0143 R. Vienna, 17 giugno 1937 (per. il 18).

Mio telegramma n. 123 del 16 corrente3 .

Von Papen ha avuto oggi da von Neurath una breve comunicazione telegrafica sulle sue visite a Belgrado, Sofia e Budapest. Sarebbe la parafrasi del comunicato della Diplomatische Politische Korrespondenz germanica, con in più:

l) che le accoglienze a Sofia sono state superiori ad ogni previsione e i risultati dei colloqui con il governo bulgaro avrebbero confermato la posizione favorevole della Germania specialmente nella vita economica di quel Paese;

I Vedi p. 88, nota l.

2 Trattato di Washington per la limitazione degli armamenti navali del 6 febbraio 1922 tra Stati Uniti, Francia. Gran Bretagna, Italia e Giappone (MARTENS, vol. XIII, pp. 195-230).

3 Non pubblicato.

2) che, in generale, le conversazioni nelle tre capitali hanno dato prova della volontà e della possibilità di una positiva collaborazione germanica alla sistemazione del Bacino danubiano;

3) che nei colloqui di Belgrado e Budapest ha avuto parte notevole il miglioramento dei rapporti tra la Jugoslavia e l'Ungheria e che in proposito le impressioni di von Neurath sono ottimistiche.

Von Papen mi ha aggiunto di suo che, contrariamente a supposizioni diffuse anche qui, egli è convinto nulla essere avvenuto o essere stato tentato, in questo viaggio, che possa contrastare alla collaborazione itala-germanica e agli interessi paralleli dei due Paesi in quella zona.

In questi circoli politici e anche al dipartimento degli Affari Esteri della Cancelleria si persiste ad attribuire al viaggio di von Neurath, specialmente a Belgrado, obiettivi concreti che il riserbo impostasi da Stojadinovic non ha consentito fossero raggiunti. A nulla sarebbe valso il richiamo di von Neurath ai risultati ben positivi del viaggio del conte Ciano nella stessa capitale. Sarebbe stato obiettato che l'accordo itala-jugoslavo aveva da liquidare un passato di conflitti e malintesi e da ristabilire un'amicizia già pattuita dopo la guerra e che poi non era stata rinnovata: situazione codesta, che non sussisteva rispetto alla Germania. Ciò che questa avrebbe ora desiderato, avrebbe costituito qualche cosa di nuovo, di non necessario e, nel momento presente, di non opportuno per la Jugoslavia, sia nei riflessi interni, sia in quelli dei suoi impegni e riguardi internazionali. Da ciò la ritrosia di Stojadinovic a concludere nuovi accordi concreti con la Germania, alla vigilia dell'incontro con gli altri capi di governo della Piccola Intesa.

Nelle conversazioni di Budapest avrebbe avuto parte notevole -secondo rapporti diretti pervenuti a questa Cancelleria -anche la questione austriaca. Come ho accennato nel telegramma n. 123, Kanya avrebbe parlato in modo molto esplicito circa l'interesse essenziale dell'Ungheria per la effettiva indipendenza statale dell'Austria e per un normale svolgimento della situazione interna austriaca sulla base dell'accordo dell'I l luglio.

Con il chedere l'interessamento del governo ungherese, il Cancelliere mi ha detto di aver seguito il consiglio datogli a Venezia, quando il Duce «affacciò la possibilità di far agire a Berlino, nell'interesse dell'Austria, l'Ungheria che a Berlino è ascoltata volentieri». II consiglio ha funzionato -mi ha detto Schuschnigg egregiamente.

Per il resto del viaggio di von Neurath, i rapporti dei capi missione austriaci nelle tre capitali non hanno recato elementi nuovi. È comune a tutti e tre l'impressione che il ministro degli Affari Esteri del Reich abbia, tra l'altro, avuto lo scopo di accertare quali progressi abbia fatto negli ultimi tempi l'influenza italiana e quali siano le possibilità avvenire di competizione o di concordanza con gli interessi germanici. Taluno dei ministri austriaci parla anche di gelosia e di reazione germanica rispetto al maggiore prestigio e alla maggiore attività italiana specialmente in Jugoslavia ed Ungheria.

756.

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI, GRAZZI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RELAZIONE. Roma, 17 giugno 1937.

Col l o maggio dell'anno corrente è stata ratificata dal Presidente degli Stati Uniti ed è pertanto entrata in vigore la nuova legge sulla neutralità. Essa sostituisce quella vigente in precedenza, votata il 29 febbraio 1936, e cioè durante la guerra itala-etiopica, la quale scadeva appunto il 30 aprile 1937, e che a sua volta aveva sostituito un altro provvedimento legislativo adottato il 31 agosto 1935, e cioè durante la fase di preparazione della guerra etiopica.

La nuova legge si differenzia molto dalle precedenti. Essa contiene disposizioni nuove, che influiscono in misura notevolissima sulla possibilità di approvvigionamento dei belligeranti in caso di guerra e che pertanto fin dal tempo di pace si ripercuotono gravemente sulla libertà d'azione, nel campo della politica estera, dei Paesi che dipendono dall'estero per una parte considerevole dei loro approvvigionamenti.

È sembrato perciò, a questa Direzione Generale che fosse necessario esaminare accuratamente la nuova legge americana di neutralità, col concorso dei Ministeri tecnici, allo scopo di accertarne le possibili e probabili incidenze e ripercussioni. Sono i risultati di questo studio che questa Direzione Generale ha l'onore di sottoporre all'esame dell'Eccellenza Vostra.

Per ben comprendere, in tutte le sue possibili future ripercussioni, la portata della nuova legge, è indispensabile un sommario preliminare esame di quelle che l'hanno preceduta, nei loro principii informatori e nelle loro disposizioni positive, e nei riguardi degli obiettivi perseguiti in questa materia dal presidente Roosevelt e dalla sua Amministrazione.

Le due leggi precedenti, anche se destinate, nell'intenzione generica del legislatore e nei voti dell'opinione pubblica, a regolare automaticamente la neutralità americana, in tutti i casi teoricamente possibili, subirono di fatto profonda l'influenza del caso particolare cui avrebbero dovuto essere applicate e finirono cioè per essere effettivamente concepite e realizzate soprattutto in funzione del conflitto italo-etiopico. In altri termini, sia nella prima che nella seconda edizione, esse rappresentarono la politica del governo di Washington rispetto al conflitto itala-etiopico, nella forma nella quale detta politica poté concretarsi come compromesso fra le opposte tendenze che dividevano in quel momento l'opinione pubblica americana.

Quelle tendenze erano sostanzialmente tre:

Quella dei «collaborazionisti», cioè di tutta la congerie dei pacifisti e dei filo-ginevrini che volevano che l'azione del Governo americano fosse posta al servizio della pace. Essi auspicavano un embargo su tutte le materie prime nei confronti dell'aggressore.

Quella degli «isolazionisti», i quali, convinti che la partecipazione degli Stati Uniti all'ultimo conflitto mondiale fosse stata una conseguenza del commercio coi belligeranti, proponevano la cessazione di ogni rapporto di commercio con le nazioni in guerra. Essi, pur partendo, sul piano ideologico, da un punto di vista diverso da quello dei collaborazionisti, tendevano di fatto allo stesso risultato.

Questa tendenza era forse quella meglio rispondente alla mentalità dell'americano medio, presso il quale non solo è sempre vivo il ricordo degli ammonimenti di Giorgio Washington contro i <<joreign entanglements», ma è assai diffusa la sensazione, a dir vero non del tutto ingiustificata, che dalla partecipazione alla guerra mondiale l'America non abbia ritratto vantaggio alcuno, neppure quello di assicurare la riscossione dei proprii crediti verso gli alleati.

Infine quella dei fautori del concetto classico della neutralità, che auspicava il mantenimento da parte degli Stati Uniti del principio della libertà dei mari e del diritto dei neutri a commerciare coi belligeranti, con la sola eccezione del contrabbando di guerra vero e proprio, e che perciò, si limitava a chiedere l'embargo sulle sole armi e munizioni di guerra.

Fra queste opposte tendenze, le quali intendevano tutte veder tradotti i loro desiderata in norme impegnanti tassativamente il potere esecutivo, il Governo di Roosevelt sostenne accanitamente, fino a quando non si rese conto della inanità dei proprii sforzi, che data la complessità e la difficoltà della materia, e la diversità teorica dei casi che potevano presentarsi, l'Amministrazione avrebbe dovuto ottenere dalle Camere «poteri discrezionali» per regolare, al meglio, nell'mteresse del Paese e della pace, e di volta in volta, la politica della neutralità.

Le pressioni morali e materiali d'ogni sorta esercitate sugli esportatori americani a danno dell'Italia, accusata di aggressione, e gli sforzi per arrivare all'embargo sulle materie prime, non lasciavano dubbi sull'uso che l'Amministrazione Roosevelt avrebbe fatto nel caso etiopico, come in altri casi probabili in quel momento, della facoltà che gli avesse concesso il Senato.

Del resto il pensiero del Presidente in proposito era noto fin dal 24 maggio 1933, quando egli fece fare a Norman Davis, alla Conferenza del Disarmo, la nota dichiarazione con la quale impegnava gli Stati Uniti (in caso di successo della Conferenza) «ad astenersi da qualsiasi azione e a rinunziare alla protezione dei proprii cittadini in qualsiasi attività che potesse ostacolare lo sforzo collettivo deciso dagli Stati in consultazione nei riguardi dell'aggressore».

La soluzione, che finì coll'essere adottata, fu una soluzione di compromesso che non soddisfece pienamente nessuna della tre sopra accennate tendenze e neppure corrispose a quelli che erano i voti del Presidente e della sua Amministrazione.

La legge votata dal Congresso ebbe infatti, nelle sue norme più essenziali, carattere tassativo nei confronti del Potere Esecutivo. Le sue principali disposizioni possono riassumersi come segue:

Allo scoppio delle ostilità, il Presidente deve proclamare l'esistenza dello stato di guerra, e da quel momento ogni esportazione di armi, munizioni e materiale da guerra dagli Stati Uniti verso i Paesi belligeranti è vietata.

Il Presidente può, di volta in volta, estendere tale embargo a quegli altri stati che potessero successivamente essere coinvolti nella guerra. L'elenco delle merci da considerarsi comprese sotto la qualifica di armi, munizioni e materiale bellico verrà pubblicato dal Presidente con apposito proclama.

Il Presidente ha facoltà (non obbligo) di proibire ai cittadini americani di viaggiare su navi appartenenti a Paesi belligeranti. Il Presidente ha facoltà di proibire l'uso dei porti americani a tutti i sottomarini stranieri, anche se non belligeranti.

Si istituisce infine un «National Munition Contro! Board», organo dell'Amministrazione Federale per il controllo del commercio delle armi e munizioni. Tale era in sostanza il regime della neutralità vigente agli Stati Uniti fino al 30 aprile 1937.

Un esame sommario delle disposizioni ora entrate in vigore metterà in luce le sostanziali differenze fra il principio informatore e le disposizioni della nuova legge e delle precedenti.

L'articolo lo dispone che il Presidente, qualora constati che fra due o più Potenze Estere esiste stato di guerra, dovrà proclamarlo e in seguito a tale proclamazione sarà automaticamente vietata l'esportazione diretta o indiretta verso i belligeranti delle armi, munizioni e materiale bellico. Lo stesso avverrà qualora il Presidente constati che esiste in un Paese Estero una guerra civile di tale entità che l'esportazione di armi, murizioni e materiale bellico verso il Paese in questione possa costituire un pericolo per la pace degli Stati Uniti. In entrambi i casi, l'elenco degli articoli la cui esportazione deve essere vietata sarà emanato dal Presidente.

L'articolo 2° dispone che qualora il Presidente, dopo aver emanato il divieto di cui all'art. 1°, constati che per preservare la pace degli Stati Uniti o per proteggerne i cittadini sia necessario di sottoporre a restrizioni le spedizioni dirette o indirette di merci o materiali diversi dal materiale da guerra verso i Paesi belligeranti

o verso il Paese dove è in atto la guerra civile, egli dovrà proclamarlo ed enumerare le merci in questione. In conseguenza di ciò diverrà illegale il trasporto diretto o indiretto di tali merci a bordo di navi americane, nonché l'esportazione di esse, verso i belligeranti, a bordo di navi di qualsiasi bandiera, prima che ogni diritto su dette merci non sia stato trasferito a qualche governo o suddito estero.

È data facoltà al Presidente di prescrivere limitazioni od eccezioni ai divieti di cui al presente articolo per ciò che riguarda il trasporto per via di terra o di acque interne verso Paesi limitrofi degli Stati Uniti.

L'art. 3° vieta a tutti i residenti negli Stati Uniti l'acquisto e la vendita di titoli ed obbligazioni degli Stati belligeranti o in stato di guerra civile, come pure i prestiti e crediti di ogni genere, eccetto i crediti commerciali a brevissima scadenza che il Presidente ha la facoltà discrezionale di autorizzare, e le sottoscrizioni a scopi umanitari e benefici, purché a beneficio di Enti che non agiscano per conto di governi belligeranti.

L'art. 4° dispone che la legge non si applica nei riguardi di Stati Americani impegnati in guerra con uno o più Stati non americani, a condizione che in tale guerra lo Stato americano non cooperi con uno o più Stati non americani.

L'art. 8° accorda al Presidente la facoltà di vietare, ove lo creda, l'uso dei porti americani ai sottomarini od alle navi armate dei belligeranti. L'art. go contiene il divieto per i cittadini americani di viaggiare a bordo delle navi degli Stati dichiarati belligeranti designati nel proclama presidenziale.

Gli altri articoli rinnovano la disposizione già esistente per la creazione del «National Munition Contro! Board» e contengono disposizioni di carattere penale, esplicativo ed esecutivo.

Il raffronto fra le disposizioni contenute nella legge anteriore e quelle della legge l o maggio 1937 basta di per sé a mostrare la gravità delle innovazioni introdotte con il nuovo provvedimento legislativo. Anzitutto è da notare che per la prima volta, in conseguenza della situazione spagnuola, le disposizioni per la neu

tralità vengono estese alle guerre civili, lasciando alla valutazione discrezionale del Presidente di stabilire quando i torbidi interni debbano essere considerati di tale vastità da cadere sotto le disposizioni della legge di neutralità. In secondo luogo è da rilevare che il divieto per i cittadini americani di viaggiare su navi di Paesi belligeranti, che nella legge precedente era lasciato alla discrezione del Presidente, diviene con la nuova legge automatico. Ma la disposizione più grave e di più vasta portata è quella dell'art. 2°, che colpisce le merci diverse dal materiale bellico propriamente detto e che è stata chiamata, con una di quelle formule concise e geniali di cui gli americani hanno il segreto, cash and carry. In forza di tale disposizione i Paesi belligeranti, quando il Presidente abbia deciso, ciò che è lasciato in sua esclusiva facoltà, di mettere in vigore il disposto dell'art. 2°, potranno continuare a rifornirsi agli Stati Uniti a condizione: che essi paghino le merci, che tutti i diritti sulle merci stesse siano trasferiti a favore di un cittadino, o Governo, non americano e che il trasporto e l'assicurazione relativa siano effettuati da navi e compagnie non americane.

Con l'adozione del principio del cash and carry gli Stati Uniti non si sono limitati a garantire la propria neutralità, ma, nel desiderio, comune alla quasi totalità della popolazione americana, di evitare qualsiasi eventualità di essere coinvolti in una guerra, hanno abbandonato un principio che aveva costituito uno dei cardini della politica estera americana sino ad oggi e in difesa del quale avevano combattuto la guerra del 1812 contro l'Inghilterra e quella del 1917-18 contro la Germania ed i suoi alleati: il principio della libertà dei mari. Il passo compiuto è di così vasta portata che nelle discussioni del disegno di legge al Congresso era stata prima ventilata l'opportunità di limitare le esportazioni di materiali suscettibili di impiego bellico verso i Paesi belligeranti alla quota normale del tempo di pace. Ma tale concezione è stata successivamente abbandonata ed è stato invece adottato il principio del cash and carry.

Non sono invero mancate autorevoli voci che si sono levate in seno al Senato americano contro questo abbandono, in vista della pace ad ogni costo, di un principio finora strenuamente sostenuto dagli Stati Uniti sin dai primordi della loro indipendenza, quali quelle dei senatori Johnson e Borah. Ma la loro opposizione non ha avuto successo. È solo da notare che, mentre tutte le altre disposizioni della legge hanno carattere permanente e costituiscono cioè una specie di Charta della neutralità americana, la validità di quelle relativa al cash and carry è stata dal Senato limitata a due anni.

Le ripercussioni del sistema del cash and carry sulle possibilità di approvvigionamento di un Paese belligerante che debba, come è il caso dell'Italia, ricorrere in larga misura per il proprio approvvigionamento ai trasporti marittimi, sono di vastissima portata.

Anzitutto, qualora la disposizione dell'art. 2° dovesse venire applicata nei riguardi dell'Italia, impegnata in una guerra contro qualsiasi Paese (anche se l'avversario, come nella guerra etiopica, non esistesse come Potenza marittima) essa significherebbe l'automatica e completa chiusura del mercato americano come fonte di approvvigionamento. La cosa è già, di per sé, di una gravità evidente non solo per i prodotti e le materie prime che noi già in atto deriviamo dagli Stati Uniti ma anche perché verrebbe a mancarci totalmente la enorme riserva potenziale che l'America sin ora costituiva per noi nei riguardi di prodotti che essa potrebbe fornirci e che noi normalmente acquistiamo in altri Paesi in tutto (ad esempio il carbone) o in parte (ad esempio il cotone). Lo sviluppo progressivo della autarchia economica in Italia e la possibilità che altri mercati ci rimangano aperti in caso di guerra attenuano in qualche misura la gravità di una eventuale chiusura del mercato degli Stati Uniti. Ma è fuori di dubbio che la nuova legge crea per noi un problema preoccupante nei riguardi dei nostri rifornimenti in olii minerali, cotone, rame, rottami di ferro, macchine utensili e loro parti.

A questo proposito non si potrà mai abbastanza raccomandare ai Ministeri tecnici la costituzione sin dal tempo di pace di copiose scorte di tali prodotti.

Ma la più seria conseguenza, per noi, della nuova legge di neutralità non è la semplice chiusura del mercato americano ma la gravissima difficoltà che dalla legge stessa deriva nei riguardi dei trasporti da altri mercati di rifornimento verso l'Italia. Rinunziando al principio della libertà dei mari, gli Stati Uniti non hanno soltanto precluso alla bandiera americana la possibilità di esercitare il commercio con i belligeranti ma hanno anche e soprattutto tolto a tutte le bandiere neutrali la indiretta ma efficacissima protezione dell'America quale potenziale difensore dei diritti dei neutri.

Perciò, sempre che la guerra si svolga fra due Potenze, una delle quali abbia l'effettivo controllo dell'Oceano, sarà ben difficile che la bandiera neutrale possa assicurare i rifornimenti dall'America o da altri Paesi transoceanici di quel belligerante che tale controllo non abbia, se non altro per le altezze proibitive che raggiungerebbero in tal caso noli e tassi di assicurazioni marittimi. Il neutrale, che avrebbe forse arrischiato la cattura se avesse avuto coscienza di avere dietro di sé l'appoggio potenziale di un'America decisa a far rispettare la libertà di navigazione in Oceano aperto, esiterà senza dubbio nelle condizioni attuali ad offrire i suoi servigi al belligerante che non abbia il dominio del mare, o li offrirà a prezzi esorbitanti, che aggraveranno, per l'alto costo del carry, la posizione già resa difficilissima nel campo finanziario dall'altro obbligo del cash ossia di pagare a contanti e a pronta cassa ogni acquisto in America. Per l'altro belligerante, invece, che abbia il controllo del mare, tali difficoltà saranno infinitamente minori.

Con questa legge pertanto gli Stati Uniti sono venuti a solidalizzarsi inevitabilmente con un gruppo di Potenze a danno di altre, fra le quali ultime per forza di cose viene a trovarsi il nostro Paese, al quale, per di più in caso di guerra con una grande Potenza marittima, sarebbe anche molto gravemente ostacolato ogni rifornimento attraverso le altre due porte di casa nostra, il Canale di Suez e i Dardanelli.

Tale conseguenza della nuova legge non è sfuggita del resto alla stampa americana.

È opinione generale agli Stati Uniti che i colloqui che il sig. Runciman ebbe col Presidente non siano stati estranei alla elaborazione della nuova legge di neutralità. Fra i numerosi commenti di stampa sull'argomento merita particolare menzione quello del sig. Walter Lippmann, il quale, si deve notarlo, tenne durante il conflitto italo-etiopico un contegno a noi favorevole. Egli ha fra l'altro scritto: «Teoricamente, in quanto applicata a tutte le guerre immaginabili, la legge può operare in ogni sorta di modi non desiderabili. Ma, naturalmente, quantunque non lo dica, la legge è destinata a servire soltanto per la guerra importante che potrebbe avvenire nei prossimi due anni, cioè una guerra in cui Germania e Italia si trovino di fronte a Gran Bretagna e Francia. Ora la legge contribuisce a rendere una tal guerra un pò meno probabile. Essa infatti rende possibile alle Potenze pacifiche di

· rafforzare le loro difese contro le aggressioni usando le loro navi ed il loro oro per

procurarsi le materie prime in America».

Non è da meravigliarsi se una ben nota giornalista americana ha chiamato la legge una alleanza indiretta con l'Impero Britannico.

Tale punto di vista fu del resto vigorosamente espresso al Senato degli Stati Uniti dal senatore Johnson, il quale, per di più, essendo rappresentante della California, non mancò di rilevare che questa legge, se per quanto riguarda l'Atlantico costituisce un aiuto incalcolabile per la Gran Bretagna, per ciò che riguarda il Pacifico costituisce invece una forma di alleanza indiretta col Giappone.

Conviene tuttavia tener conto di due elementi che in una certa misura controbilanciano il peso che questa legge rappresenta per noi. Il primo è costituito dal fatto che, come già si è rilevato, le norme del cash and carry hanno durata limitata a due anni, cioè sino al l o maggio 1939. Con ciò il Senato americano ha voluto evidentemente riserbarsi il diritto di rivedere la politica adottata presentemente e non è totalmente da escludere, a priori, che entro questo periodo di due anni possa il Senato indursi, od essere indotto, a rivederla. Inoltre, è da tener presente che, anche qualora la legge dovesse durante questi due anni entrare in gioco, è inevitabile che fra l'applicazione automatica dell'embargo sulle armi e munizioni (delle quali il Presidente ha già emanato una lista in relazione alla guerra di liberazione spagnuola) e l'applicazione del principio del cash and carry sulle materie prime, trascorrerà un certo periodo di tempo durante il quale è possibile, sia che un moto dell'opinione pubblica americana possa far esitare il Presidente a decretare la seconda serie di embarghi, sia che il Presidente stesso sia indotto a cercar di valersi della minaccia contenuta in potenza nei Poteri discrezionali che la legge gli accorda per cercare di far cessare le ostilità, erigendosi ad arbitro o a mediatore fra le due Parti in conflitto. Ma pur tenendo nel debito conto queste attenuazioni è. a subordinato avviso di questa Direzione Generale, necessario che della legge sulla neutralità americana venga, nella valutazione della situazione generale e nella determinazione della nostra linea di condotta tenuto il massimo conto come elemento di grandissimo peso nei nostri confronti.

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IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CAVALLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 4177/69 R. San Sebastiano, 18 giugno 1937, ore 16,30 (per. ore 9,30 de l 19). Mio telegramma 68 1 .

Comando truppe volontari accetterebbe porsi contatto purché sua preparazione rimanesse assolutamente segreta. Parlamentari baschi dovrebbero presentarsi con bandiera bianca nostre linee Las Arenas.

I Vedi D. 730, che è del 14 giugno.

Onaindìa, cui ho comunicato, esclude possibilità bandiera bianca per timore immediata reazione asturiana rossa. Rimarrebbero soltanto possibili contatti via Francia con minore garanzia segretezza preparazione. Onaindìa attende risposta da Bilbao quanto proposto ieri.

Comunicato quanto precede Salamanca e Comandante truppe.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4210/0177 R. Parigi, 18 giugno 1937 (per. il 21).

Telegramma per corriere di V.E. n. l 034 R. del 9 giugno corr. 1 .

Ho avuto nei giorni scorsi un lungo colloquio con Léger circa le trattative italo-francesi per l'Africa Orientale e gli ho esposto ragguagliatamente quanto V.E. mi ha fatto conoscere col telegramma per corriere sopra indicato.

Il signor Léger ha preso di mano in mano appunti, ha osservato che le mie spiegazioni completavano quelle anteriormente fornite tanto a lui che al conte de Saint Quentin, si è compiaciuto di apprendere che lo studio iniziato da codesto ministero d'accordo con quello dell'Africa Italiana era terminato e mi ha detto quindi che a suo parere non rimaneva che riprendere al più presto i negoziati interrotti alla fine di marzo.

Avendogli risposto che la ripresa di essi sarebbe stata facilitata da qualche garanzia che mi fosse data relativamente alle favorevoli disposizioni del governo francese di abbandonare l'atteggiamento rigidamente politico assunto, per porsi sopra un terreno che mostrasse maggiore comprensione della situazione esistente in A.O., il signor Léger mi disse che egli intendeva giunto il momento di espormi molto chiaramente il punto di vista francese al riguardo, osservando che si trattava del punto di vista diplomatico, delle vedute del Quai d'Orsay, che per essere tecniche non possono essere infirmate da cambiamento di Gabinetti o da altre considerazioni.

Dopo tale premessa Léger mi ha detto che due potevano essere le vie scelte per discutere e risolvere le questioni relative all'A.O.: le trattative puramente diplo

l Confermava che era intenzione del governo italiano continuare le trattative circa i rispettivi interessi nell'Africa Orientale ma che da parte italiana non si era disposti ad accettare proposte che avessero carattere prevalentemente politico o che limitassero l'esercizio della sovranità dell'Italia nel suo Impero, come l'impegno di non realizzare senza previe intese con la Francia delle strade suscettibili di far concorrenza alla ferrovia Gibuti-Addis Abeba o di non costruire tronchi trasversali alla ferrovia stessa. Dopo aver esaminato i punti sui quali si erano manifestate delle divergenze, il telegramma così proseguiva: «Non è senza un certo rammarico che sono stato costretto a fare le osservazioni che precedono. Francamente, all'inizio dei negoziati avevo sperato che prevalesse da parte francese un maggior spirito di collaborazione e che il Quai d 'Orsay desse al negoziato stesso un tono di maggiore correntezza e si ispirasse non ad un gretto ed immediato tornaconto ma ad una più larga e realistica visione futura dei reciproci interessi: se ne sarebbero avvantaggiati non soltanto la questione (d'altronde in sé assai importante) che è in discussione ma anche l'assieme dei rapporti generali fra i due Paesi».

matiche oppure i negoziati a mezzo di apposite delegazioni costituite di diplomatici, funzionari coloniali e tecnici. I due governi dopo maturo esame avevano ritenuto preferibile la seconda via. Le trattative iniziate a Parigi avevano mostrato che le due delegazioni erano animate dalle migliori intenzioni, dato che esse avevano apertamente fatto conoscere su varie questioni il rispettivo punto di vista. La delegazione francese aveva creduto presentare proposte circa le quali quella italiana non aveva i poteri per discutere, cosicché si era convenuto di sospendere le trattative per dar tempo e modo alle competenti autorità italiane di studiare le proposte francesi e di formulare le proprie controproposte. A più riprese io avevo negli ultimi tempi intrattenuto il Quai D'Orsay delle obbiezioni che le proposte francesi avevano sollevato da parte del governo italiano. Il Quai d'Orsay ne aveva preso conoscenza con interesse ma a titolo ufficioso, per tenerne com'era naturale conto, ma non già per farne oggetto di trattative diplomatiche. Esso considera infatti che, visto che era stata scelta la via dei negoziati a mezzo di due delegazioni, era questa e questa sola quella che doveva essere seguita anche in avvenire. A suo giudizio se io fossi stato in grado di comunicare prossimamente -e quanto più presto fosse tanto meglio sarebbe -al Quai d'Orsay che il governo italiano è pronto a riprendere le conversazioni interrotte e se, durante la prima riunione delle delegazioni, quella italiana avesse formulato le varie sue obbiezioni, nulla avrebbe impedito che l'ambasciatore d'Italia fiancheggiasse poi con opportuni passi, compiuti sia presso il ministro degli Affari Esteri, sia, se lo ritenesse utile, presso lo stesso presidente del Consiglio le trattative in corso.

Léger ricordò di avermi detto che riconosceva esservi del vero e del giusto nelle osservazioni da me fattegli, conformemente alle istruzioni da V.E. impartitemi. Il governo francese ne avrebbe tenuto conto. Esso era inoltre, come mi era stato detto e ripetuto da Blum, Delbos e da lui medesimo, desideroso di regolare le questioni in A.O., convinto come era che il felice esito del negoziato relativo avrebbe contribuito a rendere più fiduciose le relazioni italo-francesi. L'azione diplomatica svolta al momento propizio avrebbe senza alcun dubbio facilitato i nuovi negoziati ma questi dovevano essere innanzi tutto ripresi, sia perché questa era stata la via scelta, sia perché occorreva eliminare l'impressione sfavorevole prodotta in taluni circoli politici e specialmente in quelli governativi che l'interruzione di essi dovesse interpretarsi come un segno di disposizioni non favorevoli del governo italiano verso quello francese.

Oggi ho veduto Saint Quentin che mi ha detto di essere stato reso edotto da Léger della conversazione suddetta. Per parte sua, ha aggiunto che la questione più grossa da risolvere era quella della ferrovia. Sfrondandola da ogni carattere politico rimaneva il fatto che la ferrovia ha investito in A.O. capitali ingenti, che parecchi altri ne dovrà investire anche in avvenire per essere in grado di corrispondere al fabbisogno del traffico. Dato quanto precede, la ferrovia non poteva fare a meno di poter contare da parte del governo italiano delle garanzie necessarie per assicurare ai propri azionisti che il servizio degli interessi e dell'ammortamento del capitale avrebbe continuato ad essere fatto senza scosse né difficoltà. Ed il governo francese, garante degli impegni assunti dalla ferrovia verso gli azionisti, non poteva disinteressarsi della questione. Risolto che fosse questo punto importantissimo, noi avremmo constatato che da parte del governo francese vi sarebbe stata arrendevolezza sopra gli altri.

Saint Quentin, come già in un colloquio di qualche tempo fa Léger, insistette particolarmente sulla circostanza che essendo guarito l'alto funzionario del ministero delle Colonie che non aveva potuto, a causa di una lunga infermità prendere parte ai precedenti lavori, la delegazione francese si sarebbe trovata in grado di prendere decisioni più rapidamente che per il passato.

Dato quanto precede giudicherà V.E. quale atteggiamento sia conveniente assumere. Dal punto di vista formale non si può negare che il Quai d'Orsay sembra avere ragione. Esso tiene moltissimo a certe tradizioni, anche a costo di essere sovente accusato di sacrificare la sostanza alla forma, la realtà alla legalità. Non posso illudermi di mutare una mentalità così profondamente radicata nei funzionari del Quai d'Orsay.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO URGENTISSIMO 2940/946. Berlino, 18 giugno 1937 (per. il 19).

Ho visto il Maresciallo von Blomberg. La nostra conversazione si è aggirata su tre punti principali.

l) Ripresa dell'«azione di controllo» marittimo in !spagna. L'argomento è stato sollevato, di sua iniziativa, dal Maresciallo che ne aveva intrattenuto Neurath poco prima. Blomberg, pur approvando il ritorno immediato nel Comitato, è invece decisamente contrario ad una ripresa dell'«azione» di controllo marittimo che non sia preceduta dal consenso delle parti interessate e ciò perché, mentre la fissazione di «zone», ecc. rende più facile un'aggressione rossa, sia aerea, sia sottomarina, la mancanza del consenso di Valencia toglie, o per lo meno indebolisce, la base morale e giuridica dell'azione di difesa, e soprattutto di rappresaglia, da parte dell'aggredito.

Questo atteggiamento deve essere forse stato suggerito al Maresciallo anche dall'incidente, conosciuto stamane, occorso al piroscafo italiano M adda 1• Comunque, mi consta che la Marina tedesca è stata talmente scossa dall'incidente del Deutschland e che la reazione della pubblica opinione in proposito è stata così forte da escludere, a qualunque costo, ogni possibilità di rischiare un secondo incidente del genere. In attesa di ottenere il «massimo» delle garanzie possibili, si preferisce servare la più completa libertà di azione. Ormai, del resto, che col ritorno nel Comitato è, si può dire, ristabilito il necessario concerto politico delle Potenze, non c'è ~ secondo il Maresciallo ~fretta per il resto.

Per le fasi ulteriori della questione rinvio alla corrispondenza telegrafica.

2) Visita di Neurath a Londra. Anche questo argomento è stato abbordato da Blomberg di sua iniziativa. Egli aveva visto Neurath prima di me e saputo da lui

1 Il mercantile Madda era stato attaccato il 17 giugno da due aerei, senza subire danni. La reazione italiana era stata molto moderata, anche perché a Roma si era appreso quasi subito che gli aerei appartenevano ai nazionali.

così della mia conversazione di ieri, come delle osservazioni da me fatte anteriormente a Mackensen, etc. Ha quindi ripetuto la storia della visita e ciò in una maniera perfettamente rispondente a quella con la quale me l'aveva riferita Neurath. Questa coincidenza che a me è valsa di «controprova», merita di essere notata. Il Maresciallo ha anche aggiunto che egli stesso non sa spiegarsi la ragione della «premura» inglese. Non sarebbe da escludere che l'Inghilterra abbia avuto, per lo meno a un certo momento, l'idea che una rapida azione della Gran Bretagna servirebbe forse ad impedire la caduta di Bilbao.

Con Blomberg siamo poi passati, e questo ad iniziativa mia, a parlare-sempre in relazione ed ai fini della visita Neurath -della questione del ritiro dei volontari dalla Spagna. Ho fatto rilevare al Maresciallo come ancora ieri Eden, nel rispondere ad analoga interrogazione alla Camera dei Comuni, abbia confermato che l'Inghilterra si propone di arrivare al rimpatrio più rapido possibile dei «combattenti stranieri» delle due parti. Data la mentalità inglese secondo la quale giova incominciare dal più facile lasciando per la fine il più difficile, non mi sorprenderebbe -ho detto -che Eden accarezzasse l'idea di dare un comodo inizio alla esecuzione di questo suo programma col rimpatrio delle «unità» italiane. Oltreché rammentare a Blomberg che era stata proprio la Germania a domandare che, nella nozione di volontari, fossero compresi anche i civili non combattenti e gli agitatori politici, osservavo anche che, nel consentire a iniziare lo studio della questione dei volontari, né Germania, né Italia avevano inteso rinunziare alla interdipendenza e anzi alla unità fondamentale di tutte le varie questioni sollevate in seno al Comitato (compresa quella dell'oro, etc.). Facevo comunque notare che, sulla questione dei volontari, era l'Italia, più di qualsiasi altro, che aveva il diritto di interloquire e fissare le condizioni ed il tempo del loro eventuale rimpatrio. A tutti gli argomenti già svolti con Mackensen e con Neurath e da me accennati a V.E. in comur.icazioni precedenti, aggiungevo -«Popolo» del 17 alla mano -l'argomento nuovo delle parole ammonitrici del Duce su Guadalajara 1 , di cui anzi davo al Maresciallo una traduzione letterale.

Sono lieto di poter dire che le reazioni del Maresciallo a queste mie osservazioni sono state veramente soddisfacenti. Premesso che egli medesimo non voleva passare per uno che intendesse liquidare la questione spagnola «a qualunque costo», egli mi diceva che l'aver acconsentito «in principio» al rimpatrio dei volontari, non significava affatto che questo rimpatrio dovesse e potesse avvenire in una settimana. Che anzi, egli era convinto che, quando si fosse venuti a studiare le modalità pratiche del ritiro, nessuno sarebbe stato capace di produrre un «sensible pian». La cosa avrebbe quindi richiesto praticamente molto tempo. Ma, anche a parte questo -aggiungeva con forza il Maresciallo -la Germania non avrebbe mai fatto alcunché che fosse suscettibile di menomare la sua solidarietà con l'Italia nella questione spagnola.

1 Mussolini aveva pubblicato, con il titolo «Guadalajara», un articolo su l/ Popolo d'Italia del 17 giugno in cui era tornato improvvisamente sull'episodio per attaccare con toni violentissimi la stampa britannica che «senza eccezioni» aveva primeggiato, accanto alla stampa di sinistra francese, nella «campagna di invenzioni e di calunnie» costruita sulla vicenda (l'articolo è riprodotto anche in MUSSOUNI, Opera omnia, pp. 198-20 l).

E qui, con mia intima soddisfazione e anche all'infuori della semplice questione spagnola, mi sono sentito ridire per bocca di Blomberg le stesse, precise, inequivoche assicurazioni già datemi ieri da Neurath e che questi aveva ripetuto a Blomberg appena un'ora prima. Mentre, peraltro, giudico questa riprova come completamente rassicurante per quanto riguarda le intenzioni di Neurath, mi permetto insistere presso V.E. perché in materia di rimpatrio di volontari, siano dati a Neurath precisi ragguagli sopra quelli che sono i nostri intendimenti e le nostre direttive. Dal primo telegramma Hassell, e che Neurath mi ha letto, risultava bensì che V.E. aveva, nel suo secondo colloquio, indicato all'ambasciatore il nostro punto di vista su possibili proposte di mediazione, ma nulla risultava sulla questione specifica del rimpatrio dei volontari, che invece rappresenta l'obbiettivo più immediato dell'azione che Eden si propone di esercitare su Neurath.

Nell'occasione, Blomberg mi ha anche fornito ulteriori precisioni sulla visita Neurath, assicurando che questi è deciso a tutto ascoltare e a tutto discutere, ma senza prendere impegni di nessuna natura. Neurath-mi ha detto il Maresciallointraprende questo viaggio quasi per scrupolo di coscienza, come per dimostrare -date le inspiegabili, insistenti «premure» inglesi (conseguenza indiretta della Imperia! Conference?) -che egli nulla trascura da parte sua per raggiungere una chiarificazione coll'Inghilterra, chiarificazione peraltro di cui si rende conto che potrebbe benissimo anche mancare. (Apprendo da altra fonte che Neurath si proporrebbe di andare in Inghilterra col suo solo capo di Gabinetto ma senza nessun rappresentante della sezione politica, neanche forse lo stesso Bismarck, pure consigliere a Londra per tanto tempo).

3) Le questioni di cui ai numeri l) e 2) hanno fatto sì che quello che, inizialmente, doveva costituire l'oggetto principale della mia conversazione con Blomberg e cioè le impressioni sul suo viaggio in Italia, sono invece diventate l'ultimo. Data l'ora tarda, il Maresciallo disse che, «to put it in a nut shell», ritornato in Germania, dopo aver riferito al Fiihrer in gran dettaglio tutta la sua visita italiana, aveva riassunto il suo pensiero così: «Mi potreste (voi Fiihrer) domandare se il mio giudizio su tutto quello che ho visto in Italia sia negativo, incerto, o positivo. Vi rispondo che esso è positivo e ciò in modo assoluto».

Dissi al Blomberg che ero felice di sentire questo da lui, soprattutto dopo aver letto le interpretazioni «né carne né pesce» del Temps 1• Il Maresciallo, dopo essersi scagliato contro «la stampa avvelenatrice», disse che aveva visto egli stesso quel commento a Roma. Probabilmente, appunto per questo, aveva creduto di tornare, inequivocabilmente, sull'argomento nel suo telegramma di ringraziamento al Capo del Governo. Il Maresciallo ha quindi chiuso la sua conversazione -esprimendosi

l Il 9 giugno, il Maresciallo von Blomberg, in alcune dichiarazioni alla stampa aveva detto una frase--«non sta a me giudicare le qualità militari del popolo italiano» --che diversi giornali, fra cui il Temps del lO giug1w. avevano interpretato nel senso che von Blomberg avesse voluto evitare di pronunciarsi sul valore del soldato italiano. L'episodio aveva suscitato viva irritazione a Roma e Ciano aveva scritto una lettera vivacissima a Magistrati perché prospettasse al Maresciallo l'opportunità di chiarire il suo pensiero. così da evitare interpretazioni spiacevoli_ Da parte sua, von Blomberg, al momento di lasciare l'Italia, il 13 giugno, aveva ritenuto bene di inviare a Mussolini un telegramma di saluto contenente alcune espressioni lusinghiere nei riguardi delle Forze Armate italiane (testo in Rela::Joni Interna~iona/i p. 494)_

sempre con quel tono aperto e sincero che gli è simpaticamente proprio -con speciali e ripetute espressioni di riconoscenza al Duce per le squisite cortesie usategli e di profonda ammirazione per la grande opera di rinnovazione da lui compiuta. Mi sono convinto che la visita Blomberg può essere registrata al nostro «attivo» 1•

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1077/458 R. Roma, 19 giugno 1937, ore 2.

Riferimento telegramma 68 del R. Console a San Sebastiano2 . Comunichi contenuto detto telegramma a Franco senza fare su di lui alcuna pressione e a seconda della sua risposta impartisca le opportune direttive al R. Console a San Sebastiano al quale telegrafo di attendere istruzioni da codesta ambasciata 3 .

761

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4324/0194 R. Londra, 19 giugno 1937 (per. il 24).

La Morning Post di stamane pubblica la seguente nota del suo redattore diplomatico: «Niente patto a quattro -opposizione anglo-francese-la Russia non deve essere isolata» (dal nostro Redattore Diplomatico). «Apprendo che ogni idea di far risorgere il Patto a Quattro verrà scoraggiata dal governo britannico. Fino ad ora non vi è stata alcuna proposta definitiva del genere ma le migliorate relazioni della Gran Bretagna e della Francia colla Germania e l'Italia hanno incoraggiato la speranza che le quattro Potenze potessero collaborare ancora più strettamente tra loro ed eventualmente formare un nuovo concerto in Europa. Questa è l'idea fondamentale del signor Mussolini e in misura minore di Herr Hitler. Al momento attuale però essa non è di facile pratica attuazione. La divergenza di vedute è ancora troppo grande perché un qualsiasi gruppo di Potenze possa sistemare gli affari d'Europa. Molto può esser fatto per creare una migliore atmosfera e per appianare le differenze che possono sorgere ma non è da prevedersi un accordo duraturo per i problemi maggiori.

l Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Vedi D. 753. 3 Con T. segreto non diramare 1078/44 R. del 19 giugno.

Il governo francese ha già chiarito che esso non potrebbe partecipare a un accordo a quattro che virtualmente isolerebbe la Russia. Benché le fucilazioni avvenute a Mosca 1 abbiano indubbiamente impressionato l'opinione pubblica in Francia, esse non hanno indebolito la ragione d'essere del Patto franco-sovietico. Il Patto fu concluso principalmente allo scopo di prevenire un qualsiasi ravvicinamento russo-tedesco. Se è vero che i generali sovietici hanno condotto un intrigo con lo Stato Maggiore tedesco, la Francia ha ancora maggior motivo per mantenere la sua alleanza con la Russia. Questa alleanza ha carattere molto meno militare che politico. Viene considerata meno alla luce di una eventuale guerra che non come una assicurazione contro una combinazione russo-tedesca. Se la Francia dovesse entrare a far parte di un Patto a Quattro, essa potrebbe, in definitiva, trovarsi privata di tale assicurazione. Non vi è inoltre alcuna ragione per credere che gli ufficiali sovietici che sono stati fucilati complottassero cose di così vasta portata come il Kremlino vuoi far credere. Che fra alcuni di loro e la Reichswehr esistessero relazioni amichevoli non viene messo in dubbio. È molto meno certo che queste relazioni avessero carattere di vero e proprio tradimento. Viene considerato più probabile che ambo le parti semplicemente desiderassero porre fine al dissenso ideologico che è causa dell'antagonismo fra i due Paesi.

Benché la Gran Bretagna non abbia le stesse ragioni della Francia per mantenersi in stretto contatto con i Sovieti, neppure essa, come la Francia, può far a meno di prenderli in considerazione. Un patto a quattro che desse alla Germania l'impressione che essa ha mano libera nell'Europa Centrale ed Orientale e che allo stesso tempo diminuisse l'influenza britannica sul Continente, potrebbe essere fatale al mantenimento della pace.

Per queste ed altre ragioni è chiaro che non è da prevedere alcun immediato importante cambiamento come risultato della visita di von Neurath la settimana prossima. Ciò non vuoi dire che al ministro degli Esteri tedesco non verrà fatta buona accoglienza o che la sua presenza non sarà di grande valore per una migliore intesa anglo-tedesca».

Ho ritenuto opportuno trasmettere nella traduzione integrale questa nota, poiché essa mi risulta essere stata scritta per diretta ispirazione del Foreign Office. Va anzitutto rilevato che il giornale scelto dal Foreign Office è l'organo dei conservatori di destra, ossia quello che ha sempre mantenuto un atteggiamento anti-sovietico e nello stesso tempo, sebbene in tono molto ridotto durante questi ultimi tempi, un atteggiamento anti-tedesco.

La nota è stata ispirata dall'intento da parte del governo britannico di calmare le apprensioni suscitate nel governo di Mosca e in alcuni circoli del Fronte Popolare francese dall'imminente viaggio di Neurath a Londra e ancora più dall'esclusione della Russia dall'accordo delle quattro Potenze navali di sabato 12 corr. 2 per il controllo delle coste spagnole. Le proteste del governo di Mosca a Parigi per l'asserita «defezione» da parte del governo socialista francese nei confronti dei doveri derivanti dalla solidarietà franco-sovietica, ha aumentato le difficoltà del

I Vedi D. 729. 2 Vedi p. 945, nota 2 e p. 946, nota l.

governo di Blum, il quale a sua volta se ne è !agnato col governo britannico ritenendo quest'ultimo responsabile dell'esclusione della Russia sovietica dall'accordo del 12 giugno.

Dalle lagnanze del governo di Blum presso il governo britannico ha origine questo articolo ufficioso della Morning Post destinato, nelle intenzioni del Foreign Office, a calmare i malumori di Mosca e di Parigi e ad aiutare indirettamente la pericolante posizione di Blum davanti al Parlamento francese.

762

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 19 giugno 1937.

Ho ricevuto l'Ambasciatore Drummond che aveva chiesto udienza col pretesto di ringraziarmi per il dono inviato in occasione del matrimonio della figlia.

Mi ha domandato se avevo letto la risposta data da Eden alla Camera dei Comuni in seguito all'interrogazione laburista circa i missionari in Etiopia 2 . Gli ho risposto di sì e allora Drummond ha aggiunto che certamente non mi era sfuggito il senso di moderazione che aveva guidato il Ministro degli Affari Esteri Britannico.

È passato quindi a parlarmi dell'articolo Guadalajara3 . Ha premesso di parlarmi in via personale e quindi con la più assoluta franchezza. Da qualche tempo Drummond, sostenendo col suo Governo la necessità di addivenire ad un prossimo miglioramento delle relazioni italo-britanniche, ha sempre assicurato che il Duce, al di là delle necessità e delle situazioni contingenti, era favorevole ad un'intesa con la Gran Bretagna, e che nell'animo degli italiani non albergavano propositi minacciosi ed aggressivi nei riguardi dell'Inghilterra. L'articolo su Guadalajara, che parla chiaramente di non lontane vendette, Io aveva condotto a riflettere e a domandarsi, se nel suo desiderio di raggiungere un accordo con l'Italia, non si fosse lasciato indurre in errore giudicando come sopra ho detto.

Gli ho risposto che certamente egli era nel giusto. Il Duce fin dal novembre scorso ha dato prova di desiderare il ritorno ai rapporti normali con la Gran Bretagna e la conclusione del Gentlemen 's Agreement è stata la prova decisiva di questa Sua volontà. Anche oggi credo di poter affermare che Mussolini è

1 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, pp. 190-192.

2 Il 14 giugno, Eden aveva dichiarato, rispondendo ad una interrogazione di Henderson. che i negoziati èon il governo italiano per consentire il ritorno in Etiopia dei missionari britannici si erano conclusi in modo negativo perché da parte italiana non si intendeva affidare a religiosi stranieri, qualunque fosse la loro nazionalità e la loro fede, il compito di istituire delle scuole. Eden aveva quindi aggiunto, rispondendo ad altre interrogazioni. che il governo britannico si riservava di adottare provvedimenti analoghi nei riguardi dei missionari italiani. Nel riferire in proposito, l'ambasciatore Grandi riportava l'opinione espressa da alcuni organi di stampa che l'atteggiamento del governo italiano fosse dovuto alla volontù di impartire agli indigeni un 'educazione fascista e alle pressioni delle autorità cattoliche (T. 4062/456 R. del 15 giugno).

3 Vedi D. 759. nota 2.

disposto ad intendersi con la Gran Bretagna sulla base di una intesa completa e chiarificatrice di ogni punto. A cominciare naturalmente da quello del riconoscimento dell'Impero che tolga ogni pratica possibilità di equivoco e di attrito nei rapporti futuri.

Per quanto concerne l'articolo di Guadalajara, non sarà certo sfuggita all' Ambasciatore di Gran Bretagna l'ondata di entusiasmo sollevata in Italia da questa pubblicazione. Ma, anziché rendere più difficile un avvicinamento alla Gran Bretagna io penso che debba facilitarlo. In realtà, come ebbi occasione di dire a Drummond dopo gli incidenti di stampa per la questione di Bermeo 1 , il Duce era rimasto profondamente ferito dalle affermazioni fatte dai giornali inglesi nei riguardi dell'esercito italiano. La pubblicazione dell'articolo Guadalajara valeva, a mio avviso, a mettere definitivamente in chiaro un episodio del quale si era così erroneamente e calunniosamente parlato, ed anche, per quanto concerne personalmente il Duce, a permettergli di considerare i rapporti con la Gran Bretagna con la serenità che è data a colui che ha potuto finalmente dire quanto aveva in cuore.

Per quanto concerne poi la «vendetta», Drummond non doveva dimenticare che i nostri volontari sono ancora in Spagna e che è certamente sul terreno iberico che l'azione è considerata. La presa di Bilbao, insegna.

Drummond ha risposto che prendeva atto con molto compiacimento di questo mio punto di vista e che per parte sua intendeva spingere, per quanto possibile, l'opera di conciliazione. Però egli non vede la possibilità di arrivare al riconoscimento giuridico dell'Impero prima della prossima sessione ginevrina. Mi ha chiesto se potevo dargli qualche suggerimento in proposito.

Gli ho risposto che non avevo nessuna formula pronta da sottoporgli ma che comunque anch'io avrei riflettuto su questa sua richiesta e che per il momento mi limitavo a ringraziarlo di quanto mi aveva detto e a dirgli che le dichiarazioni fattemi comunicare da Eden, per il tramite di Grandi in questi ultimi giorni 2 , erano riuscite gradite3.

763

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2974/957. Berlino, 19 giugno 1937 (per. il 21).

Telecorriere V.E. in data 16 n. 90674 . L'imbarazzo di Ribbentrop a rispondere a S.E. Grandi in materia di v1s1ta Neurath è dovuto ad una circostanza di fatto che, già accennata dal nostro amba

l Vedi i DD. 567 e 605. 2 Vedi D. 749. 3 Il documento reca il visto di Mussolini. 4 Ritrasmetteva il D. 742.

sciatore, io posso confermare in modo preciso: e cioè che Ribbentrop non ha saputo nulla della visita se non a cose fatte. Il che è ancora una riprova:

a) che l'iniziativa della visita è stata inglese al cento per cento; b) che l'accettazione della visita stessa, !ungi dall'essere stata -anche solo in massima -decisa, come dicono gli inglesi, subito, è stata invece decisa all'ultimo momento. Senzadiché, qualunque siano i rapporti personali Neurath-Ribbentrop, non si comprenderebbe come gli stessi uffici dell' Auswiirtiges Amt non avessero, di loro stessa iniziativa (Neurath era in viaggio) avvertito della cosa l'ambasciata tedesca a Londra. Quanto al fare risalire le origini della visita Neurath a Londra ad una specie di iniziativa Blomberg (dichiarazioni Eden di cui a telegramma ambasciatore di Londra del 16 corrente) 1 , la cosa non mi sembra troppo plausibile, le osservazioni attribuite a Blomberg circa la scarsità di contatti fra Londra e Berlino potendo trovare giustificazioni allo stesso tempo più naturali e più consone all'indole dell'uomo, che non una vera e propria azione di quest'ultimo intesa ad insinuare ed anzi ad espressamente suggerire una visita Neurath. Del resto, è sintomatico che la mancanza di contatti fra Berlino e Londra ha costituito in fatto proprio l'argomento invocato da Henderson per l'invito, come lo ha costituito in passato e costituirà anche per l'avvenire tutte le volte che a Londra si sia gradito o si gradirà di fare o di ricevere una visita di Paesi non trovantisi sull'asse Londra-Parigi.

764

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2981 /961. Berlino, 19 giugno 1937 (per. il 21).

Aggiungo in fretta qualche informazione sugli incidenti Leip:::ig2 . Quando io vidi ieri il Maresciallo von Blomberg all'una p.m. era successo soltanto il primo incidente, quello del 15. È ora evidente che a quell'incidente il governo tedesco aveva deciso di non dare notorietà alcuna e ciò anche per non trovarsi costretto, di fronte all'opinione pubblica propria e mondiale, a prendere o domandare delle soddisfazioni.

Come ho già accennato ieri 3 , io ho potuto rendermi conto che la reazione prodotta in Germania dal primo incidente del Deutschland ed il rischio che si è corso di arrivare a misure ancora più energiche di quel che non sia stato il bombardamento di Almeria ha indotto ed induce i militari ad essere guanto mai guardinghi ed a preferire, quindi, di evitare e prevenire, con ogni possibile ,mezzo, il ripetersi di incidenti suscettibili di costringere la Germania ad azioni troppo azzar-

I Vedi D. 743.

2 Il 15 giugno. l'incrociatore tedesco Leip::ig aveva segnalato di essere stato oggetto di un attacco con lancio di tre siluri a nord di Orano. Un altro siluro era stato lanciato contro la nave il 18 giugno. Il Leip::ig non era stato colpito.

3 Non si è trovato nessun documento in proposito.

date a cui evidentemente le Autorità militari sono assai riluttanti ad arrivare. Pertanto, dato che la mancanza di assenso dei rossi alla nota Eden 1 avrebbe comunque in fatto potuto aumentare il pericolo di incidente, qui si era preferito, come conseguenza del primo incidente Leipzig, di ritornare sulla pur decisa questione della ripresa dell'azione di controllo.

È sopravvenuto, invece, nel pomeriggio di ieri il secondo incidente Leipzig. Il Fiihrer, che si era nuovamente allontanato da Berlino e si trovava a Godesberg sul Reno, è ritornato improvvisamente nella capitale alle 11 di ieri sera. È stato immediatamente tenuto un consiglio di Gabinetto, che è durato dalle Il alle 2 di notte. È stato riconosciuto che, in presenza delle pubblicazioni già apparse sulla stampa e dalle quali lo stesso primo incidente del Leipzig era ormai di pubblica ragione, era impossibile di tacere anche il secondo incidente. Si è allora presa l'occasione per rendere pubblici tutti e due. Non essendovi, per fortuna, stati danni a persone, è parso impossibile poter arrivare all'esecuzione od anche alla semplice richiesta di rappresaglie. È stato però deciso, per mostrare la decisione ad ottenere soddisfazioni adeguate, di richiedere il ritiro e l'internamento dei sottomarini -di entrambe le parti -a Gibilterra.

Per il resto mi riferisco alle comunicazioni telefoniche e telegrafiche 2 .

765

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2520 /l 026. Londra, 19 giugno 1937 (per. il 24).

Mio telegramma per corriere n. 0189 del 16 giugno 3 .

Pronunciati i discorsi finali, pubblicato il resoconto ufficiale, partite o partenti le delegazioni, è naturale il quesito che tutti esplicitamente o intimamente si pongono: quali sono stati il significato il valore e la portata dei risultati della famosa «Conferenza Imperiale del 1937»?.

«La più importante Conferenza Imperiale che sia mai stata tenuta», la qualifica il Sunday Times. Il Daily Telegraph, commentandone la conclusione, afferma del pari, se pure in tono leggermente minore, che «le conclusioni raggiunte nelle questioni principali renderanno la riunione storicamente memorabile». Lo stesso Chamberlain, nel suo discorso di chiusura, ha affermato «non esservi dubbio che questa Conferenza è stata un successo assoluto (unqualijied)».

Contro questi apprezzamenti laudativi ed ottimistici sta l'atteggiamento apertamente critico dell'opposizione. Il Daily Herald-a parte la sua lagnanza fondamentale che la Conferenza non ha saputo. adottare una coraggiosa politica societaria nella quale soltanto «può trovarsi la vera sicurezza della pace mondiale e quella

I Riferimento alla nota delle quattro Potenze navali (vedi p. 945. nota 2).

Un timbro sul documento dice: «Visto dal Duce». 3 T. per corriere 4120/0189 R. del 16 giugno, non pubblicato. Riferiva in modo sintetico sui risultati della Conferenza Imperiale.

dell'Impero britannico» -parla di «molte discussioni ma poche decisioni». La

Conferenza-dichiara l'organo laburista -si è chiusa «dopo aver tentato poco e

concluso nulla». Il News Chronicle pur esso deplora l'assenza di precise conclusioni

ed il mancato raggiungimento di una chiara direttiva generale (naturalmente in

senso societario) nella politica estera dell'Impero.

Tra questi atteggiamenti che chiamerò «estremi», sta la massa dell'opinione:

in fondo abbastanza dubbiosa nella valutazione di quella che sia stata la sostanza

e l'utilità positiva dei risultati della Conferenza; un pò delusa, dopo tutto quello

che è stato detto e scritto sull'importanza della riunione, che le discussioni non

abbiano portato alla scoperta della formula taumaturgica (che d'altronde nessuno

sa esattamente quale potrebbe essere) atta a risolvere tutti i problemi mondiali in

funzione degli interessi britannici; desiderosa comunque, con l'ottimismo di chi

soprattutto non vuole esser turbato, di credere che tutto sia andato per il meglio e

che le espressioni generiche dei comunicati e delle dichiarazioni finali contengano

effettivamente qualche risultato o significato prezioso.

Questa la reazione dell'opinione pubblica. Ma la sostanza?

Premesso che in questo mio commento mi limito ad esaminare la passata

Conferenza nel suo carattere. di fattore politico internazionale (prescindendo cioè

da quelli che sono stati gli aspetti collaterali e più particolarmente tecnici di una

buona parte dei suoi lavori ·-problemi connessi con la difesa, comunicazione,

questioni costituzionali, marina mercantile -sui quali mi riserbo riferire par

titamente) dirò di essa quanto ho già detto nel mio rapporto n. 2068 del 21

maggio 1 , della Incoronazione. Secondo gli uni è stata un colossale successo.

Secondo gli altri un amaro insuccesso. Ambedue le interpretazioni sono, io ri

tengo, parimenti errate.

Verso i risultati della Conferenza molti avevano rivolto le speranze -come

sulla Incoronazione -come su di un avvenimento nazionale imperiale e interna

zionale destinato ad avere conseguenze positive (desidero sottolineare l'aggettivo

«positive») in tutti i settori. Gli imperialisti si erano illusi sulla possibilità di

imprimere ai vari membri della «Commonwealth», soprattutto sfruttando la delu

sione per il fallimento della S.d.N. e con la parata del riarmo britannico, quell'in

dirizzo unitario ed «imperiale» che essi hanno sempre auspicato. Altri, tra cui vari

elementi di sinistra rassegnati ormai alla caduta della mitologia ginevrina, avevano

per un momento contato addirittura sul raggiungimento di una specie di alleanza o

quanto meno di un «blocco operante» tra Impero britannico e Stati Uniti.

La verità è che la Conferenza Imperiale 1937 ha riconfermato quella che è

diventata ormai una realtà storica. Ossia che è illusione poter trovare tra gli interessi

particolari e divergenti -in materia di politica estera, interna ed economica

della Gran Bretagna come nazione europea e dei Domini, un compromesso che sia

traducibile in una formula, precisa ed impegnativa, di carattere generale. Sotto

questo aspetto le dichiarazioni di Chamberlain alla seduta finale, e cioè che le

Conferenze Imperiali «non sono convocate per risolvere problemi specifici» ma

piuttosto per raggiungere «una maggior comprensione dei problemi e delle difficoltà

di ciascuno dei Paesi interessati e stabilire una generale armonia di scopi e di

I Vedi D. 622.

'1004

politica», sono quelle che riassumono più esattamente le limitazioni ed allo stesso tempo l'effettiva utilità di riunioni del genere.

È indubbio che se spettacolose conseguenze positive non sono state raggiunte, la Conferenza Imperiale, se non altro come «presa di polso» reciproca e, per l'Inghilterra in particolare, come sondaggio dell'umore dei Domini, già ha fatto sentire la sua influenza ad esempio sugli indirizzi di politica estera del Regno Unito. Sui quattro problemi fondamentali dell'immediata politica estera britannica-Germania, Mediterraneo (nel quadro delle relazioni anglo-italiane e della questione spagnola); Lega delle Nazioni, Europa centro orientale-le discussioni di Londra tra i rappresentanti dei Domini hanno portato innegabilmente il loro peso.

Mentre il massimo riserbo è stato mantenuto sui lavori della Conferenza -la quale ha lo stesso carattere di segretezza di un consiglio di Gabinetto, e le cui riunioni, ad eccezione di quella inaugurale e di quella di chiusura, hanno avuto luogo in forma strettamente privata a Downing Street, nella stessa dimora del Primo Ministro -indiscrezioni ed indicazioni raccolte permettono di ricostruire alcuni degli elementi più interessanti emersi dalle discussioni tra i principali delegati. Vari di tali elementi ho già avuto separatamente occasione di segnalare a V.E. Per quanto comunque concerne i quattro problemi anzidetti riassumo nuovamente qui di seguito le principali conclusioni:

Germania: Sensibilissime e pressoché unanimi sono state le pressioni sul governo di Londra verso un riavvicinamento con la Germania. La Germania è stata la nemica dell'ultima guerra; è stato il conflitto anglo-tedesco che ha portato i Domini a versare oro e sangue nell'immane conflagrazione del 1914-1918; è in questo conflitto che i Domini ancora oggi vedono il pericolo principale di un nuovo scontro al quale essi disperatamente non vogliono dover partecipare. Sembra ormai sicuro che l'invito per la visita di von Neurath a Londra abbia trovato origine nelle discussioni alla Conferenza. È non meno sintomatico come l'unica specifica proposta avanzata dalla conferenza nel suo comunicato finale sia stata appunto quella di separare il Covenant dai Trattati di pace venendo incontro così a quella che è sempre stata la tesi della Germania.

Italia e Mediterraneo: Sul riconoscimento de jure della conquista italiana in Abissinia, il favorevole atteggiamento di Mackenzie King si è scontrato contro il dottrinarismo societario del delegato neozelandese e l'imperialismo pau-africano di quello del Sud-Africa. Allo stesso tempo tutti i delegati si sarebbero trovati concordi nel riconoscere un fatto fondamentale e cioè che ormai è molto problematico per l'Inghilterra il poter condurre da sola, localizzandola nel Mediterraneo, una guerra vittoriosa contro l'Italia fascista, e che pertanto un conflitto con quest'ultima verrebbe necessariamente a svolgersi su di un più vasto teatro strategico, oltre Gibilterra ed oltre Suez, coinvolgendo cioè gli interessi diretti di tutto l'Impero. (Vedi a questo riguardo mio rapporto n. 2488/1 O 12 del 17 corrente relativo ad analoga tesi svolta dal noto critico navale Bywater) 1 . La risultante delle varie tendenze -nel formare la quale ha avuto non poca influenza l'indirizzo realistico impresso da Chamberlain alle discussioni -è stata quella di un generale desiderio di una politica di accordi con l'Italia, basata sul riconoscimento del fatto compiuto

I Non pubblicato.

1005 e la liquidazione definitiva del recente passato. Uno scoglio a tale riconciliazione è dato tuttavia dalla questione spagnola. I delegati sono infatti stati unanimi nell'esprimere la loro preoccupazione per il fatto che una vittoria nazionalista in Spagna, soprattutto se raggiunta esclusivamente mercè l'appoggio italiano, oltre che portare un nuovo colpo al prestigio britannico, venga a peggiorare pericolosamente la posizione già compromessa della potenza britannica nel Mediterraneo, capovolgendone l'equilibrio' a tutto vantaggio dell'Italia. Il riconoscimento dell'Impero italiano e la riconciliazione effettiva con l'Italia dovrebbe pertanto trovare la sua contropartita in un abbandono da parte di Roma della sua attuale politica in Spagna.

Nei confronti di questi due problemi -relazioni con l'Italia e con la Germaniai quali hanno indubbiamente rappresentato il nucleo principale delle discussioni, posso semplicisticamente riassumere l'atteggiamento della Conferenza nella proposizione: desiderio di sostanziale intesa con ambedue le predette Potenze; in linea subordinata con almeno una di esse, e questo-debbo precisare-non tanto con l'intento ostile di isolare l'altra, quanto con quello immediato ed empirico di giungere intanto a qualche soluzione parziale che indebolisca la solidarietà fra Roma e Berlino e conseguentemente i pericoli che l'Asse Roma-Berlino rappresenta per l'Inghilterra.

La questione di Spagna ha naturalmente portato a cercare per prima la via di Berlino, ritenendosi la Germania meno direttamente interessata ed impegnata nella politica iberica, e, in questo momento, più facilmente suscettibile agli allettamenti delle contropartite che l'Inghilterra potrebbe essere in grado di offrirle.

Nel quadro di quanto sopra, e con l'occhio sull'Asse Roma-Berlino, rientra la dichiarazione contenuta nel comunicato finale circa il desiderio dei delegati di «dare atto della loro opinione che differenze di credi politici non debbano rappresentare un ostacolo alle amichevoli relazioni tra i governi ed i Paesi».

Lega delle Nazioni: La delusione generale e la sostanziale rinuncia della passata politica societaria sono state evidenti, ed appena coperte da una generica riconferma di professione di fede «negli scopi e negli ideali della S.d.N.». Solo il pacifismo socialistoide del delegato neozelandese ha tentato una difesa del societarismo integrale. Ne è derivato un voto a favore «del rafforzamento dell'autorità della Lega con un aumento dei suoi membri»; scopo per facilitare il quale è stata suggerita la separazione del Covenant dai Trattati. Ne è derivato parimenti un pronunciamento «a favore di accordi regionali di amicizia e di collaborazione», con un chiaro allontanamento dal principio assoluto della sicurezza collettiva, ed una tendenza a limitare le funzioni della Lega a semplice strumento di consultazione e conciliazione.

Europa Centro-Orientale: Una notevole misura di concordia è stata rilevata sul riconoscimento da parte dei Domini del carattere vitale degli interessi britannici in Europa Occidentale, e particolarmente lungo le coste del Canale della Manica. A questo riguardo sarebbe stata approvata in linea di massima l'assunzione da parte dell'Inghilterra di impegni nel quadro di un sistema di sicurezza inteso a salvaguardarne gli interessi sul Reno e sul Mare del Nord. Allo stesso tempo i Domini si sarebbero dimostrati nettamente ostili a qualsiasi impegno da parte della Gran Bretagna che possa coinvolgerla automaticamente in conflitti in Europa Centrale ed Orientale.

Ma al di là e al di sopra di questi aspetti specifici della politica britannica, lo scambio di opinioni tra i delegati in seno alla Conferenza ha valso a chiarire due elementi fondamentali. Per quanto riguarda i Domini non vi è dubbio che le discussioni di Londra e la franca, quasi brutale esposizione di politica estera fatta da Eden e da Chamberlain hanno, almeno come effetto immmediato, contribuito a «far perdonare» agli occhi dei delegati d'oltremare-alcuni degli aspetti più contraddittori dell'atteggiamento del governo di Londra durante questi ultimi due anni. L'attacco contro il Deutschland e la immediata reazione tedesca contro Almeria hanno -ad esempio -rappresentato per il governo inglese un utile argomento per far «toccar con dito» ad entusiasti societari come Savage (il cui collega neozelandese alla Lega si stava pochi giorni innanzi lasciando trascinare ad aperte ed impegnative manifestazioni a favore dei social-comunisti di Valencia) i pericoli imminenti della situazione europea. Non sono senza significato e senza motivo le parole con le quali il Primo Ministro australiano, nel suo discorso di commiato, ha tenuto a dichiarare che «la franca e personale discussione che ha avuto luogo alla Conferenza ha permesso ai Domini di ottenere una più chiara comprensione delle difficoltà che hanno confrontato la politica estera della Gran Bratagna durante gli ultimi anni, nonché una più chiara visione delle cause che hanno diretto la sua azione».

Per quanto concerne l'inverso, non è men vero che l'atteggiamento dei delegati dei Domini ha decisamente influito a smontare tendenze a loro avviso troppo impegnative del governo di Londra. Ho già parlato delle pressioni esercitate a favore di una intesa anglo-tedesca e, in un altro piano, a favore di un riavvicinamento anglo-italiano; ho già parlato pure della opposizione mostrata dai Domini contro impegni inglesi nel Centro-Europa. La formula dell'atteggiamento dei Domini è stata in sostanza la seguente: essi verranno senz'altro in difesa di una Inghilterra che venisse attaccata, ma non intendono impegnarsi -rilasciando al governo di Londra uno eheque in bianco -a partecipare ad un conflitto del quale l'origine potesse in certo qual senso risalire ad iniziative di Westminster.

Sembra -ed è interessante rilevarlo -che di fronte ad una obiezione del genere, Eden abbia replicato che se l'Inghilterra si impegnasse ad esempio in un conflitto in centro Europa, essa lo farebbe solo per difendere un suo vitale, se pure indiretto, interesse: in tal caso quello che diventerebbe questione di vita o di morte per l'Inghilterra diventerebbe automaticamente questione di vita o di morte anche per gli altri membri dell'Impero. Comunque sia è certo che soprattutto sulla mentalità democratico-parlamentare del Governo inglese, l'atteggiamento dei Domini ha avuto il suo effetto. La risultanza delle varie tendenze è stata nel senso di un sincero desiderio «di voltare una nuova pagina» in tutte le relazioni estere dell'Impero.

È attraverso questi elementi «negativi» che dobbiamo cercare i risultati effettivi della Conferenza Imperiale. E, tutto sommato, non è giusto solo per questo svalutarli. Dopo la crisi abissina e gli scossoni degli avvenimenti durante gli ultimi due anni, la Conferenza Imperiale ha offerto l'occasione per una buona lavatura di panni sporchi in famiglia e sotto questo aspetto ha indubbiamente giovato a ristabilire, se pure in forma limitativa, una certa superficiale unità di vedute tra l'Inghilterra e i Domini. Nel più vasto campo della politica internazionale non è meno vero che, grazie soprattutto all'azione svolta da Chamberlain, i dibattiti delle scorse settimane hanno sgombrato il terreno di molte «cristallizzazioni» e reciproche riserve mentali, costituendo alcune condizioni atte ad aprire la strada alla possibilità di una più realistica politica estera da parte dell'Inghilterra 1 .

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4188/486 R. e 4191/486bis R. Londra, 20 giugno 1937, ore 0,26 (per. ore 5,45).

Ribbentrop è venuto comunicarmi nelle prime ore pomeriggio nota su incidente incrociatore Leipzig da lui rimessa a Eden poco prima 1• Mi ha detto che, testo della nota era già stato comunicato direttamente da governo tedesco a V.E. Egli ha aggiunto che nel far presente comunicazione a Eden si era limitato chiedere convocazione urgente del Comitato dei quattro per oggi alle 17 ma non aveva fatto alcun accenno alle istruzioni2 che il governo tedesco intendeva proporre e che egli confidava che io avrei opportunamente appoggiato. Tali misure erano le seguenti:

l) Intimazione delle quattro Potenze «alle due parti conflitto» per rafforzare precedente comunicazione fatta in base accordo 12 giugno scorso 3 .

2) Accettazione principio che nel caso attacchi sottomarini, Potenza aggredita può reagire usando misure che non rientrano in una interpretazione restrittiva del diritto di legittima difesa.

3) Intimazione «alle due parti in conflitto» di consegnare alle autorità navali inglesi di Gibilterra tutti i sommergibili in loro possesso che rimarrebbero sotto custodia britannica per durata guerra civile.

Ribbentrop mi ha detto che, nel far rilevare a Eden che i rossi di Valencia hanno risposto con aggressione contro Leipzig alla comunicazione relativa ad accordo a quattro, egli aveva creduto opportuno informarlo che il generale Franco si accingeva invece dare risposta favorevole alla comunicazione predetta.

Ho rivisto Ribbentrop subito dopo colloquio telefonico con V.E. Gli ho detto che per quanto riguarda il secondo dei tre punti summenzionati non avevo nulla da osservare. A proposito del punto primo rilevavo invece che intimazione inviata da quattro Potenze dovrebbe essere limitata al solo governo Valencia responsabile, e non (dico non) comprendere governo Salamanca. Circa punto terzo, non vedevo perché, specialmente dopo l'ultima aggressione, anche Franco fosse invitato a consegnare suoi sottomarini. Si giungerebbe così all'assurdo che Franco verrebbe ad essere punito alla stessa stregua dei pirati di Valencia per il mancato siluramento del Leipzig da parte sommergibile rosso. Credevo inoltre sconsigliabile l'Inghilterra come eventuale custode sommergibili spagnoli.

Ribbentrop mi ha risposto convenire con mia osservazione e che quindi, malgrado istruzioni ricevute, avrebbe modificato sue richieste come segue:

l) dimostrazione da parte delle Quattro Potenze navali davanti Valencia; 2) intimazione alla sola Valencia che Quattro Potenze risponderanno con misure di

I Testo in BD, vol. XVIII, D. 627. 2 Sic. 3 Vedi p. 945, nota 2.

carattere militare a qualsiasi attacco del genere contro loro unità; 3) intimazione alle sole autorità di Valencia perché consegni «a un qualche organo mandatario delle Quattro Potenze navali» tutti i sommergibili.

Ho assicurato Ribbentrop che poteva contare sul mio più completo appoggio nella discussione di oggi.

767

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 4200/503 R. Salamanca, 20 giugno 1937, ore 14,30 (per. ore 20,15).

Suo 458 1•

Proposta Onaindìa superata dagli avvenimenti 2 .

768

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

LETTERA PERSONALE SEGRETA 5092. Roma, 20 giugno 1937.

Ti mando qui acclusi due documenti riservatissimi di cui siamo venuti in possesso in questi giorni 3 . Ti prego di consegnarli d'urgenza a von Neurath.

Uno di questi due documenti (quello marcato A.) contiene un'indicazione interessante a conferma della impressione che io già avevo della opposizione inglese a un pattt> collettivo di garanzia della frontiera del Belgio al quale partecipino l'Italia e la Germania. L'altro (quello marcato B.) contiene nelle sue conclusioni il piano tattico al quale si è ispirata l'ultima nota francese per le questioni di Locarno 4 .

ll Foreign Office non si interessa tanto di ricostituire il Trattato di Locarno, quanto di precostituirsi le condizioni necessarie per sviluppare i suoi accordi di mutua assistenza con la Francia. Esso si preoccupa che un fallimento delle trattative di Locarno possa essere imputato alla intransigenza della Francia e che questo pregiudichi nell'opinione pubblica inglese la causa dell'alleanza franco-bri

l Vedi D. 760. 2 Nel pomeriggio del 19 giugno, le truppe nazionali erano entrate in Bilbao. 3 Non rinvenuti. 4 Vedi p. 948, nota 2.

tannica. I consigli che dà alla Francia sono chiari: bisogna che le trattative falliscano sul rifiuto tedesco di inserire il nuovo Patto Occidentale nel quadro della

S.d.N. e non per il rifiuto francese di dare spiegazioni e assicurazioni sul Patto franco-russo.

A questi consigli si ispira la nuova nota francese. Essa è tutta costruita in maniera da portare la discussione sul terreno del Patto della S.d.N., col risultato che o la Germania accetta questa impostazione, e allora essa rientra nel sistema della sicurezza societaria, o la rifiuta, ed allora è essa responsabile del fallimento delle trattative. Dopo di che Foreign Office e Quai d'Orsay avranno raggiunto lo scopo di avere dimostrato che l'unica soluzione possibile è il rafforzamento dell'accordo franco-britannico, di mutua assistenza, stabilito il 19 marzo dell'anno scorso 1 e confermato il 24 aprile di quest'anno 2•

lo non sto qui per dar consigli alla Germania. Ma nel quadro della nostra collaborazione vi è anche, come tu osservi, una collaborazione di informazioni e di idee.

La Germania è in posizione fortissima quando essa fa la questione politica del Patto franco-russo, come l'abbiamo fatta noi nella nostra nota del 12 marzo 3 . Quando essa cioè sostiene che, prima di discutere la struttura tecnica del nuovo Patto occidentale, essa deve rendersi conto delle sue premesse e delle sue conseguenze politiche. Giuridicamente il Patto franco-russo può anche essere giudicato compatibile con il vecchio e con il nuovo Locarno. Politicamente esso non lo è. Finché la Germania resta su questo terreno politico essa ha le armi in mano. Anche di fronte all'opinione pubblica inglese, perché se è vero che in questo momento vi è nell'opinione pubblica inglese una crescente diffidenza per l'U.R.S.S., questo è proprio il momento di dare la dimostrazione che il vero impedimento alla pace e alla ricostruzione dell'Europa è il patto franco-russo e questo è proprio il momento di mettere Blum con le spalle al muro.

Detto questo, resta inteso che la Germania è libera di fare in materia di Locarno quello che ritiene più conforme ai suoi scopi. Noi, in questa questione, abbiamo un interesse solo ed è che nel nuovo Patto Occidentale, se esso mai si farà, manteniamo la posizione che avevamo nell'antico. E ciò anche nell'interesse della Germania, la quale più che noi deve preoccuparsi di non entrare in un accordo tripartito di mutua assistenza, nel quale essa si troverebbe legata a due Potenze che sono virtualmente alleate tra loro. Mentre noi, dopotutto, in un accordo tripartito italo-franco-tedesco, ci troveremmo legati a due Potenze che sono tra loro nemiche.

In conclusione: meno Neurath si compromette a Londra, tanto meglio è. Quanto a noi, l'assicurazione che egli ci ha dato ripetutamente, che la Germania non accetterà alcuna soluzione che alteri o diminuisca la posizione che l'Italia aveva nel vecchio Locarno, è tutto quello che noi consideriamo essenziale nell'interesse comune dei due Paesi.

I Vedi p. 388, nota 4. 2 Vedi D. 502. 3 Vedi D. 268.

769

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTO LI CO

LETTERA PERSONALE 5095. Roma, 20 giugno 1937.

Ti ho già scritto una lunga lettera per quanto riguarda il nostro atteggiamento nei confronti del Patto Occidentale 1•

Ti aggiungo poche parole per i volontari in Spagna, e ti prego di avvalertene nel tuo colloquio con Neurath. Noi non siamo affatto propensi al ritiro dei volontari in un momento in cui la sorte sorride alle armi nazionali. Soltanto quando Franco prendesse l'iniziativa di allontanare i volontari stranieri, o dichiarasse di desiderare che una tale iniziativa venisse da altri presa, noi faremo partire i nostri contingenti dalla Spagna. Altrimenti no. Si tratta di volontari: persone che liberamente e generosamente sono andate a battersi per la causa nazionale e sulle quali noi non possiamo esercitare un'azione di autorità imponendo loro di ritirarsi da un'impresa alla quale non siamo stati noi a costringerli. Questa la tesi che Neurath dovrebbe far presente a Londra. Comunque è necessario che su questa questione egli mantenga una tattica dilatoria e niente affatto impegnativa.

Per quanto concerne infine il problema generale dei nostri rapporti con l'Inghilterra, ti ho mandato copia di un recente colloquio con Drummond2• Da esso potrai trarre l'idea delle nostre direttive. Nessuna ansia da parte nostra di arrivare ad una intesa, ma in pari tempo nessuna intenzione di ritardarla ad arte o di evitarla purché essa avvenga in buona fede e su larghe basi. Qualsiasi azione che Neurath crederà di svolgere, a titolo personale, in tal senso sarà gradita. D'altra parte, Grandi ha avuto istruzioni specifiche e se Neurath prenderà contatti con lui, potrà certamente collaborare in forma utile 3 .

770

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

LETTERA PERSONALE 5096. Roma, 20 giugno 1937.

Ti ho mandato il resoconto di un mio colloquio con Drummond4 . Per quanto egli abbia premesso di parlare a titolo puramente personale, mi sembra che il tono

l Vedi D. 768.

2 Vedi D. 762.

3 La parte di questa lettera concernente la questione dei volontari in Spagna fu comunicata a Grandi con T. 1096/248 R. del 22 giugno.

4 Vedi D. 762.

della sua conversazione sia tale da lasciar facilmente riconoscere l'imbeccata ufficiale. D'altra parte, le sue parole non differiscono molto da quelle che recentemente ha avuto occasione di dirti Eden 1 .

Dalla mia risposta a Drummond ti potrai facilmente rendere conto di quelle che sono le direttive superiori. Allo stato degli atti un ravvicinamento con l'Inghilterra non soltanto appare possibile, ma anche desiderabile. Bisogna però che si tratti di un ravvicinamento completo e di una chiarificazione integrale che non lasci zone di nebbia o di ombra. Quando abbiamo concluso il gentlemen's agreement, da una parte e dall'altra si è ritenuto che su certi punti si poteva scivolare, nella speranza che il tempo sarebbe da solo valso ad arrotondare quegli angoli che allora non potevamo smussare noi. Invece, alla prova dei fatti è stato proprio nel settore dell'ombra che le complicazioni si sono manifestate.

Cio insegna per il futuro. Se ad una chiarificazione si vuole e si può arrivare, bisogna che essa sia totalitaria. Prima cosa riconoscimento dell'Impero: riconoscimento giuridico senza ombra di equivoci e di polemiche, che dia la certezza a noi ed alle popolazioni indigene dell'Impero che l'Inghilterra non intende mai più tornare sul passato. Ciò fatto, credo che molto altro da aggiungere non Io avremmo. Esiste, è vero, il problema spagnolo, ma mi sembra che ormai gli inglesi abbiano dovuto convincersi che noi non nutriamo ambizioni di sorta nei confronti della Penisola iberica e che in ultima analisi la lotta che abbiamo condotto e che vittoriosamente conduciamo in Spagna serve, oltre la nostra causa, anche quella stessa dell'Inghilterra, che una installazione di regime bolscevico non può desiderare, né in Spagna, né altrove.

Tu, sul posto, conosci certamente in modo perfetto uomini e stati d'animo. Non tocca quindi a me di darti suggerimenti o consigli. Ma se credi venuto il momento, senza d'altra parte far niente di precipitato o di frettoloso, per far comprendere agli inglesi che da parte nostra siamo pronti, in determinate eque condizioni, a stringere la mano che essi mostrano di tenderei, potrai senz'altro farlo.

L'occasione buona potrebbe essere quella della tua partenza in breve congedo. Prima di partire potresti cercare di incontrarti con Chamberlain, dirgli quanto io stesso ho detto a Drummond e quanto sopra ti ho brevemente accennato, e chiedergli infine se egli non desidera che tu venendo a Roma porti un messaggio del nuovo Capo del governo, al Duce. Questo tuo passo potrebbe servire a rompere il primo ghiaccio. Ed è mia impressione che forse dopo il ghiaccio possa sciogliersi con una certa facilità.

Per quanto riguarda la visita di Neurath 2 , non ho niente da segnalarti di particolare. Su ogni punto siamo d'accordo ed anche lui cercherà di dare un contributo al ravvicinamento tra Roma e Londra che, come tu ben sai, noi non ricerchiamo con la minima ansia ma che d'altra parte non intendiamo dogmaticamente respingere.

I Vedi D. 749. 2 Riferimento all'annunciata visita a Londra del ministro tedesco.

771

IL CAPO DI GABINETTO, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 21 giugno 1937.

L'ambasciatore di Germania, von Hassell ha chiesto di vedere d'urgenza V.E. Avendo appreso che l'E.V. era in Consiglio dei ministri è venuto a parlare con me e mi ha detto quanto segue.

Egli ha ricevuto urgenti istruzioni dal suo governo di comunicare al governo italiano che le richieste che von Ribbentrop presenterebbe oggi a Londra, in relazione all'incidente del « Leipzig», sono le seguenti:

l) dimostrazione navale comune delle quattro Potenze davanti a Valencia;

2) consegna dei sottomarini;

3) monito di rappresaglie immediate in caso di ulteriori attacchi.

Circa il primo punto gli ho detto che a noi risultava trattarsi di una «intimazione» delle quattro Potenze al solo governo di Valencia.

Circa il punto 2° von Hassell ha spiegato che il governo tedesco propone al governo italiano di estendere la richiesta di consegna dei sottomarini alle due parti in conflitto, per rendere più agevole l'accettazione della proposta agli inglesi ed ai francesi.

Ho domandato a von Hassell se gli risultava che in tal senso erano già state date istruzioni a Ribbentrop ed egli mi ha risposto che dal telegramma da lui ricevuto gli risultava soltanto che il governo del Reich preferirebbe di poter estendere la richiesta di consegna dei sottomarini alle due parti e vorrebbe in proposito concordarsi preventivamente col governo italiano. Al riguardo egli attende di conoscere al più presto possibile la decisione di V.E.

L'ambasciatore di Germania ha poi tenuto a chiarire il seguente punto: la Germania non ha deciso di far astenere le sue navi dalle funzioni di controllo; alla ripresa di tali funzioni, dopo l'accordo intervenuto fra le quattro Potenze, si è soprassieduto in seguito all'incidente del «Leipzig».

772

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1095/227 R. Roma, 21 giugno 1937, ore 19.

Come forse è noto a V.E., von Ribbentrop, ha avuto istruzioni, in relazione al tentato siluramento dell'incrociatore Leipzig, di proporre nella riunione delle quattro Potenze, che avrà luogo oggi a Londra, la consegna dei sottomarini rossi e nazionali alle autorità inglesi a Gibilterra 1• In linea subordinata gli è stata data facoltà di non insistere per Gibilterra come posto di consegna. Von Ribbentrop ha chiesto l'appoggio del nostro ambasciatore a Londra a tale sua proposta.

Mentre ho autorizzato Grandi ad appoggiare gli altri punti delle richieste di von Ribbentrop, mi sono manifestato nettamente contrario alla proposta della consegna dei sottomarini. A prescindere dal fatto che sarebbe assolutamente impossibile consegnare nelle mani delle autorità britanniche i sottomarini nazionali, che sono di fabbrica italiana e da noi recentemente ceduti, ritengo anche in linea di principio pericoloso iniziare il sistema di intervento internazionale per la smobilitazione di queste e quelle armi delle forze combattenti. Una nostra azione in tal senso faciliterebbe di molto l'iniziativa britannica per la smobilitazione dei volontari, cosa che in questo momento appare assolutamente non consigliabile. Dai volontari si potrebbe poi passare a richiedere la smobilitazione delle forze aeree con un evidente irreparabile danno per il generale Franco. Mi sembra quindi che la strada prescelta dai tedeschi non sia scevra da pericoli.

V.E. vorrà quindi prendere immediati contatti con codesto ministro degli Affari Esteri e spiegargli le ragioni per le quali noi non possiamo condividere la proposta di consegna dei sottomarini da parte dei nazionali e dei rossi. Pregheremmo pertanto il governo tedesco di non volere insistere su tale sua richiesta.

Grandi ha ricevuto istruzioni nel senso che segue: far presente quanto precede a von Ribbentrop in sede privata; in Commissione assumere tattica dilatoria col pretesto di attendere istruzioni da parte del proprio governo. Mi riferisca di urgenza 2 .

773

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4285/019 R. Tirana. 21 giugno 1937 (per. il 23).

Re Zog ha inviato ieri da me il generale Sereggi perché io trasmetta a V.E. la sua calda preghiera di fargli pervenire non appena possibile una risposta sia pure di massima alle richieste formulate nel memoriale consegnato a V.E. il 30 aprile ultimo scorso 3 . Il generale Sereggi mi ha fatto comprendere che il Re è spinto a rivolgere a V.E. questa preghiera dalle seguenti preoccupazioni:

I In proposito si veda il D. 766.

2 Nelle carte di Gabinetto vi è, allegato a questo telegramma, il seguente appunto autografo del capo di Gabinetto. De Peppo: «Comunicato verbalmente al primo segretario tedesco le ragioni per le quali non intediamo appoggiare la richiesta di consegna dei sottomarini. Informato che Attolico e Grandi hanno ricevuto opportune istruzioni al riguardo. 21-6-XV, ore 19,45». Circa l'azione svolta da Grandi in ottemperanza a queste istruzioni si veda il D. 775. Non è stata invece trovata documentazione del colloquio che l'ambasciatore Attolico ebbe in proposito con von Neurath. colloquio al quale Attolico accenna nel D. 805.

3 Il memoriale, consegnato personalmente da Re Zog a Ciano durante la visita effettuata dal ministro degli Esteri italiano a Tirana, conteneva una serie di richieste di natura economica, prima fra tutte la completa libertà di ingresso in Italia delle merci albanesi, con esenzione dei dazi doganali e

Il processo ancora in corso di Argirocastro e le confessioni degli ufficiali recentemente arrestati (vedi mio rapporto n. 1434/527 del 17 corrente) 1 hanno rivelato uno stato d'animo contrario all'attuale governo, molto più diffuso di quanto non fosse prima dato di supporre. Il Gabinetto Kotta è speciaip1ente accusato da una parte di poca energia, dall'altra di essersi troppo rimesso alla buona volontà dell'Italia per l'alleviamento della crisi economica che angustia sempre più fortemente il Paese. Il malcontento contro il governo si riflette naturalmente sul Sovrano. Se si potesse dare subito pubblicamente la notizia -il generale Sereggi mi ha aggiunto -che almeno qualcuno dei punti contenuti nel noto promemoria è stato da noi accettato, si otterrebbe certamente l'effetto di calmare l'opinione pubblica e di porre una remora al crescente malumore del Paese. Egli ha particolarmente fatto cenno alla venuta in Albania di un nostro grande Istituto di Credito (Banco di Napoli o se impossibile Banca del Lavoro) ed alla accettazione da parte nostra, almeno nelle grandi linee, delle richieste formulate per la stipulazione di un trattato di commercio. Su questo ultimo punto il Re non si nasconderebbe le non lievi difficoltà da superare ma farebbe affidamento sulla particolare benevolenza dimostratagli dall'E.V. perché venga trovato il modo di conciliare le richieste albanesi con le esigenze della nostra politica economica.

Permettomi aggiungere che le preoccupazioni espressemi dal generale Sereggi trovano effettivamente la loro base nello stato d'animo che si è venuto a creare nelle sfere dirigenti albanesi in questi ultimi giorni per gli avvenimenti interni sopra indicati e che di conseguenza hanno pure fatto riaffiorare le inquetudini determinate dall'accordo italo-jugoslavo, in un primo tempo completamente acquietate nell'entusiasmo provocato dalla persona di V.E.

Non ho mancato di far rilevare al generale Sereggi che le assicurazioni date da

V.E. erano garanzia che le richieste fatte dal Re avrebbero incontrato ogni favorevole accoglienza e che dall'altra l'arrivo qui del comm. Ciucci e dei tecnici inviati dalla Confederazione Generale della Pesca ne erano una prova evidente.

Credo che queste mie assicurazioni abbiano servito a calmare per il momento le apprensioni di Re Zog; mi permetto però interessare l'E.V. perché si compiaccia benevolmente sollecitare una decisione in modo particolare sui due punti segnalatimi dal generale Sereggi2 .

senza limitazioni di quantità, mentre l'Albania si sarebbe impegnata ad investire in acquisti di merci italiane almeno il 75 per cento del valore delle merci albanesi vendute in Italia. Il documento prospettava poi la creazione di una società per l'industria del pesce. l'apertura di una succursale del Banco di Napoli, un indennizzo ai commercianti albanesi danneggiati dall'allineamento della lira ed il finanziamento di alcuni lavori pubblici.

I Non pubblicato.

2 Ciano rispondeva con T. per corriere 9670 P.R. del 26 giugno elencando i vari punti sui quali a Roma si stava lavorando per venire incontro alle richieste del governo albanese. Ed aggiungeva: «Dalle indicazioni di cui sopra Ella potrà trarre elementi per intrattenere il generale Sereggi confermando che niente è mutato dalla mia ultima visita a Tirana nei riguardi del Re e dell'Albania e che è nello spirito delle mie conversazioni col Re che governo fascista regolerà la propria azione. Certo, un modo di alleviare la grande miseria esistente (e il malessere politico che ne deriva) sarebbe quello di far sì che una parte più larga dei benefici che assicurano le erogazioni italiane nelle loro diverse forme andasse a vantaggio della popolazione nei suoi più larghi strati. La questione è delicata e lascio a Lei di giudicare sulla convenienza di tenerne opportunamente parola, presentandola nella forma e nei limiti che apparissero più rispondenti. È questo comunque un criterio da cui non può prescindere la nostra azione in pro dell'Albania».

774

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. CONFIDENZIALE SEGRETO 1442/519. Roma, 21 giugno 1937 (per. il 23).

Telegramma ministeriale per corriere del 19 corrente n. 9198 P.R. 1

Ho avuto una nuova conversazione col cardinale Segretario e ho dovuto constatare che le disposizioni della Segreteria di Stato non sono mutate. La Santa Sede non intende rompere le relazioni diplomatiche, né denunciare il Concordato, ma non paventa l'una cosa, né l'altra.

Quello che ha riferito il R. Ambasciatore a Berlino sulla condotta futura del Reich verso i cattolici di Germania, è parzialmente in atto. I vescovi germanici e la Santa Sede continueranno perciò a protestare contro le violazioni del Concordato. Il Reich -così si pensa in Segreteria di Stato -non denunzierà il Concordato perché gli fa comodo di vedere applicati alcuni articoli che lo interessano in modo speciale, come ad esempio quelli che disciplinano la nomina dei vescovi.

Il cardinale Pace Ili sta preparando la nota 2 che la Santa Sede indirizzerà presto al governo tedesco in risposta alla sua ultima comunicazione 3 . La nota sarà pubblicata come i tedeschi hanno data pubblicità alla loro nota.

Il segretario di Stato mi ha detto ch'egli non si è mai rifiutato di discutere il caso Mundelein4 . Dichiarò all'ambasciatore di Germania che non conosceva il testo del discorso dell'arcivescovo di Chicago. D'altra parte egli osservò che il governo tedesco non aveva fatto nulla per frenare l'ondata di offese e di insulti riversati giornalmente in Germania sul clero, sull'episcopato, sulle alte gerarchie della Chiesa, senza risparmiare neppure la Sacra Persona del Pontefice. Egli intendeva con questo di dare occasione all'ambasciatore tedesco di promettere una maggiore moderazione per l'avvenire.

Il cardinale Pacelli mi ha dichiarato ch'egli procurerà di mantenere, la nota che sta redigendo, in un tono conciliante, per quanto possibile. Il documento confermerà che la Santa Sede non rifiuta di discutere il discorso del cardinale Mundelein. Il segretario di Stato ha osservato che l'arcivescovo di Chicago, non è un nunzio. Quel porporato era perfettamente libero di esprimersi come ha fatto, in materia politica, non attinente alla religione. La Santa Sede non potrebbe rimproverarlo pubblicamente come esige il governo tedesco.

Il cardinale Pacelli mi ha informato poi che il discorso dell'arcivescovo di Chicago non era destinato alla pubblicità. È stato pronunciato in una riunione cattolica e non avrebbe dovuto essere propalato. Il cardinale Mundelein, che è d'origine tedesca, ha fatto molto per alleviare le misere condizioni del popolo tedesco, nell'immediato dopo guerra. Il cardinale Pacelli mi ha detto che ingenti somme, raccolte dall'arcivescovo di Chicago per essere distribuite in Germania, sono passate per le sue mani mentre era nunzio a Monaco di Baviera.

I Ritrasmetteva il D. 686. 2 Presentata poi il 25 giugno. Testo in DDT. serie D, vol. I. D. 660. 3 Per la quale si veda p. 881, nota 2. 4 Vedi p. 881, nota l.

Dall'insieme della conversazione ho tratto l'impressione che se le Autorità tedesche insisteranno per una sconfessione pubblica del discorso del cardinale Mundelein, la Santa Sede non lo farà. Se il governo del Reich si contenterà di spiegazioni, in via diplomatica e confidenziale, credo che alla fine qualche soddisfazione gli sarà data. Si tratta, ripeto, di una mia impressione perché il cardinale Pacelli si è mentenuto finora abbottonato sui propositi della Santa Sede per chiudere il malaugurato incidente.

Credo d'interpretare il pensiero dell'E.V. nell'esercitare in Santa Sede un'azione calmante e di persuasione, incitando il cardinale a trovare un terreno d'intesa. Debbo confermare a questo proposito che il segretario di Stato di Sua Santità mi ha assicurato anche stamane quello che mi ha dichiarato in altre occasioni e che io ho riferito all'E.V., e cioè ch'egli è sempre disposto a parlare. Se il governo del Reich ha veramente il desiderio di mettere fine al conflitto, credo che dovrebbe profittare delle disposizioni del cardinale Pacelli per intavolare conversazioni officiose, segrete con la Segreteria di Stato, all'infuori della via diplomatica ordinaria.

775

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4240/490 e 4239!490bis R. Londra, 22 giugno 1937, ore 3,15 (per. ore 7,20).

Come ho telefonicamente riferito a V.E. stamane 1 Ribbentrop mi ha comunicato avere avuto da Neurath istruzioni presentare oggi in promemoria formale al Comitato dei Quattro proposta tedesca secondo cui quattro Potenze dovrebbero domandare alle due parti in Spagna consegna immediata di tutti i loro sommergibili che rimarrebbero sequestrati per durata guerra civile. Ribbentrop ha aggiunto che von Hassell era stato incaricato di intrattenere stamane V.E. sull'argomento 2•

Ho fatto rilevare a Ribbentrop che queste sue istruzioni erano in contrasto con quello che avevamo concordato prima della riunione Comitato a quattro di sabato scorso 3 e ho aggiunto che, mentre per ogni proposta del governo tedesco egli poteva contare su mio deciso ed incondizionato appoggio, su eventuale domanda a Franco consegnare suoi sommergibili non potevo appoggiarlo. Comunque mi sarei posto in contatto telefonico con V.E. per ottenere istruzioni a riguardo.

In base istruzioni di V.E. 4 , ho rivisto Ribbentrop prima della riunione a quattro e gli ho confermato che, mentre su tutto il resto poteva fare assegnamento su mio appoggio completo, non potevo assolutamente aderire suggerimento diretto a domandare Franco consegna suoi sommergibili. Ho fatto rilevare a Ribbentrop che

l Giorno 21. 2 Vedi D. 771. 3 Vedi D. 766. 4 Vedi D. 772.

se egli avesse sollevato questione avremmo corso rischio di dare ai francesi e agli inglesi impressione di una divergenza di vedute fra l'Italia e la Germania. Questo doveva essere evitato e lo pregavo di riflettere.

Ribbentrop mi ha detto che egli si sentiva particolarmente imbarazzato in quanto gli risultava che i governi inglese e francese erano già a conoscenza di questa idea del governo tedesco. Tuttavia, in vista delle osservazioni di cui riconosceva francamente tutto il peso, egli, sotto sua responsabilità, si sarebbe astenuto, almeno per oggi, dal formulare la domanda nei termini indicatigli da Neurath e si sarebbe invece limitato fare un generico riferimento alla possibilità domandare la consegna dei sottomarini nelle acque spagnole, senza però accennare direttamente ai sommergibili di Franco 1•

776

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4294/509 R. Londra, 23 giugno 1937, ore 20,43 (per. ore 0,15 del 24).

Secondo le istruzioni di V.E. 2 ho rimesso a Eden (inviandone contemporaneamente copia a Plymouth la nota ... 3 , analoga a quella che Ribbentrop ha avuto a sua volta istruzioni di comunicare al governo britannico. Note italiana 4 e tedesca 5 sono state rimesse a Eden da Ribbentrop e da me prima dell'inizio della seduta alla Camera dei Comuni.

Eden, dopo aver preso atto della nota italiana, mi ha informato di un colloquio che ha avuto luogo stamane tra Henderson e Neurath a tale scopo. Eden ha detto di aver dato istruzioni ad Henderson di richiamare la più seria attenzione del governo tedesco sulle gravi conseguenze che un'azione unilaterale della Germania, analoga a quella presa dal governo tedesco dopo l'attacco al Deutschland, potrebbe avere sulla situazione europea. Eden mi ha detto che Neurath ha risposto assicurando Henderson che la Germania non (dico non) contempla alcuna azione oltre quella di ritirarsi definitivamente dal controllo. La decisione in tal senso è stata determinata-avrebbe aggiunto Neurath -dal desiderio della Germania di non

1 I rappresentanti delle quattro Potenze si riunirono due volte il 21 giugno ed una terza volta nel pomeriggio del giorno successivo. La richiesta avanzata dalla Germania -appoggiata dall'Italia -di effettuare una dimostrazione navale collettiva soltanto di fronte alle coste controllate dal governo di Valencia fu respinta da Gran Bretagna e Francia per il fatto che la responsabilità del governo di Valencia non risultava provata. Fu perciò costatato che era impossibile adottare misure collettive sulla base dell'accordo del 12 giugno.

2 Di queste istruzioni non è stata trovata documentazione.

3 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile».

4 È la nota con cui veniva comunicato il ritiro definitivo dell'Italia dal sistema di controllo dopo il fallimento dei tentativi di accordarsi su un'azione collettiva in risposta all'attacco contro il Leipzig. Il testo della nota consegnata da Grandi a Eden è in BD, vol. XVIII, D. 650. 5 Testo in DDT, serie D., vol. III, D. 354.

offrire ai rossi spagnoli altre occasioni per tentare di intorbidare, con nuove e deliberate aggressioni, la già troppo difficile e delicata situazione europea. Eden ha aggiunto che questa comunicazione da parte di Neurath ha contribuito a calmare le apprensioni e gli allarmi suscitati dalle notizie, incontrollate, pervenute durante la notte a Londra circa le intenzioni .della Germania di agire militarmente. Eden ha concluso dicendo che sebbene la decisione italiana e tedesca di abbandonare il controllo sollevasse gravi problemi, egli, tuttavia, si sentiva sollevato che il peggio, da lui temuto, non si fosse verificato e confidava che una qualche soluzione si sarebbe alla fine trovata di soddisfazione per tutti.

Mi sono limitato ad ascoltare senza rispondere.

Ho riveduto più tardi Ribbentrop il quale parte alle ore 17 per Berlino chiamato a questo riguardo. Ho informato Ribbentrop di quanto Eden mi aveva detto circa il colloquio Neurath-Henderson di questa mattina. Ribbentrop mi ha detto che sapeva del colloquio ma non aveva ancora ricevuto particolari. Ribbentrop ha tenuto a ringraziarmi ancora una volta per l'appoggio pieno e incondizionato da me datogli.

777

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE l l 07 R. Roma, 23 giugno 1937.

Suo telegramma per corriere n. O177 del 18 corrente1•

I negoziati per l'A. O .I. sono stati iniziati con contatti fra tecnici e potranno essere continuati. Intanto però il carattere delle proposte avanzate dai tecnici francesi rende opportuno anzi necessario un preliminare chiarimento che le istruzioni contenute nel telegramma per corriere n. 1034 del 9 corrente 2 avevano ed hanno appunto lo scopo di determinare. Una volta in possesso di tali chiarimenti dovrebbe essere possibile di rimuovere quelle difficoltà su cui -allo stato degli atti -non potrebbero non arenarsi nuovamente i negoziati stessi alla loro ripresa; ciò che nell'interesse comune conviene di evitare.

V.E. è già in possesso (telegrammi per corriere di questo ministero nn. 771 R. dell'll/43 e 1034 r. del9 corrente) degli elementi per provocare da codesto governo gli anzidetti chiarimenti. Attendiamo una risposta in merito. Ed è questa la miglior prova della nostra buona volontà di proseguire le trattative e di giungere possibilmente ad un accordo soddisfacente per ambo le parti4 .

I Vedi D. 758. 2 Vedi p. 993, nota l. 3 Vedi D. 445. 4 Per il seguito della questione si veda il D. 802.

778

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7769/049 P. R. Atene, 23 giugno 1937 (per. il 25).

Nota politica commerciale seguita dalla Germania nei riguardi di questo Paese attraverso una sempre maggiore intensificazione acquisti prodotti greci (mi richiamo da ultimo al rapporto n. 4586/503 in data 5 giugno corr.) 1 sta raggiungendo con rapidità fini perseguiti miranti assicurare assoluto predominio commerciale germanico in Grecia. Oltre a facilitazioni particolari di cui già godevano importazioni germaniche su questo mercato ed oltre a vasto programma forniture materiale bellico accaparrate da industrie germaniche-di cui a precedente mia corrispondenza -nuova ordinanza ministeriale ellenica, testé emanata da questo governo allo scopo affrettare scongelamento forti crediti greci in Germania, lascia in sostanza quasi assoluta libertà d'importazione prodotti tedeschi su questo mercato.

Spedisco a parte testo provvedimento cui portata inciderà certamente su collocamento nostri prodotti in Grecia. Analoga comunicazione viene fatta al sottosegretariato Scambi e Valute da questo Ufficio commerciale.

779

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI D'EUROPA E DEL MEDITERRANEO, BUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 23 giugno 1937.

Ho comunicato per telefono ad Attolico le decisioni italiane:

a) di ritirare le nostre navi da guerra dal servizio di sorveglianza navale;

b) di rimpatriare gli osservatori italiani (i relativi telegrammi, diretti ai ministeri della Marina e delle Comunicazioni, conformemente alle istruzioni di V.E., sono già stati spediti).

Ho poi chiesto ad Attolico se le navi mercantili tedesche avrebbero continuato ad imbarcare controllori stranieri. Attolico, dopo assunte informazioni, ha risposto di sì, aggiungendo che da parte tedesca si vuole così evitare la possibilità di molestie alle navi mercantili tedesche. La presenza di controllori esteri su navi tedesche, se è

I Non rinvenuto.

in contraddizione col fatto che i controllori tedeschi non imbarcheranno più su navi straniere, rafforza tuttavia la posizione tedesca, in quanto rappresenta una garanzia per i terzi che le navi tedesche non faranno contrabbando di guerra di alcuna sorta.

Mi sono riservato di sottoporre all'E.V. la decisione se anche le navi italiane dovranno continuare ad imbarcare controllori stranieri per mantenere il pieno parallelismo colla Germania.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2585 /l 062. Londra, 23 giugno 1937 1•

Con mio telegramma per telefono n. 491 2 ho comunicato a V.E. un sunto della dichiarazione fatta da Plymouth nella seduta del sottocomitato di avant'ieri, 21 giugno, sulla questione del ritiro dei volontari. Con mio rapporto n. 2584/1061 3 ho trasmesso il testo della dichiarazione stessa.

La sua struttura dialettica merita una certa attenzione. La dichiarazione rileva anzitutto l'insoddisfazione del governo britannico per l'applicazione dell'accordo di non-intervento e dello stesso schema di osservazione che dopo due mesi di funzionamento manifesta le proprie insufficienze. Come rimedi a questa situazione, il governo britannico raccomanda agli altri governi che fanno parte dell'accordo di non intervento a) di intensificare i loro sforzi sul loro stesso territorio per assicurare una più stretta applicazione degli impegni assunti; b) di cooperare senza indugio allo scopo di assicurare l'isolamento del conflitto spagnolo. In mancanza di pronti ed evidenti segni di questa cooperazione il governo britannico sarà costretto a tener conto di questo fatto nel considerare ulteriormente la situazione.

Dopo queste parole, insolite e di oscuro significato, il governo brittannico dichiara che i governi non potrebbero dare miglior prova della loro volontà di cooperare e della sincerità del loro desiderio di attuare il principio del non intervento se non provvedendo ad un immediato ritiro dei volontari.

Le proposte contenute nella relazione degli esperti -che il governo britannico accetta in linea di massima -presentano problemi pratici di una certa difficoltà e complicazione; e il governo brittannico è persuaso della impossibilità di lasciar trascorrere un considerevole periodo di tempo prima di adottare misure pratiche per il ritiro dei volontari.

È per questo motivo, continua la dichiarazione fatta da Plymouth, che il governo brittannico avanza una nuova proposta per il ritiro immediato e prelimi

l Manca l'indicazione della data d'arrivo. 2 T. 4225/491 R. del 21 giugno, non pubblicato, il cui contenuto è qui indicato. 3 Telespresso 2584/1061 del 22 giugno, non pubblicato.

nare di un determinato numero di volontari dalla Spagna, sulla base della simultaneità e della equivalenza numerica dei volontari ritirati dalle due parti in conflitto. Il governo brittannico offre i suoi servizi a questo fine dichiarando che, nell'attesa che il piano di ritiro dei volontari venga messo in esecuzione, esso è disposto:

l) a entrare subito in negoziati con le due parti m Spagna allo scopo di ottenere la loro cooperazione per il simultaneo ritiro di quantitativi uguali di volontari dalle due parti;

2) a rendersi responsabile deii'accertamento nei porti di evacuazione della equivalenza numerica dei volontari deii'una e dell'altra parte che lasciano la Spagna;

3) il suggerimento che tali ritiri preliminari vengano fatti sulla base dell'equivalenza numerica lascia impregiudicato il principio che il Comitato potrà adottare nei riguardi deii'evacuazione generale dei volontari stranieri.

La dichiarazione conclude rivolgendo un caldo e insistente appello ai governi interessati, «che hanno avuto nelle loro mani per un mese la relazione del Sottocomitato degli Esperti», affinché vogliano far pervenire con la massima urgenza la loro risposta nei riguardi della relazione predetta, nonché nei riguardi deiie nuove proposte brittanniche per un ritiro parziale, immediato e preliminare dei volontari stranieri.

Questo, il sunto della dichiarazione brittannica che ripete, nella sostanza, quello che Eden mi aveva anticipato nel nostro colloquio di venerdì 18 corrente, e che ho trasmesso con telegramma per corriere n. O1951 .

Nella dichiarazione di Plymouth, a parte le considerazioni dialettiche che si possono fare (dalla premessa di un insufficiente funzionamento del piano di controllo si passa a una conclusione che non ha nuiia a che vedere col funzionamento di questo piano ma che si riferisce a un problema completamente diverso), è da rilevarsi soprattutto il tono polemico: accuse ai governi di non applicare strettamente i loro impegni, accuse di non dare «dopo un mese» una risposta suiia relazione degli esperti, ripetuta affermazione dell'estrema urgenza e gravità del problema del ritiro dei volontari, oscura minaccia, in caso di ulteriore ritardo neile risposte, di riconsiderare la politica brittannica nei riguardi della situazione spagnola. Aspetto polemico che si rivela sopratutto neiia vasta pubblicità data deliberatamente aiia dichiarazione brittannica in tutta questa stampa, nelle giornate di ieri e di oggi, e nella uniforme interpretazione che i giornali di qualsiasi colore politico dànno alla dichiarazione stessa, salutandola come una manifestazione di forza e di fermezza politica del governo di Chamberlain e in particolare del suo ministro degli Esteri Eden.

In numerosi recenti miei telegrammi e rapporti, ho avuto occasione di riferire a V.E. le particolari insistenze tanto di Eden quanto di Plymouth sulla questione

l T. per corriere 4321/0195 R. del 18 giugno, non pubblicato.

della evacuazione dei volontari. In questi ultimi giorni sopratutto non è stato possibile avere un qualsiasi contatto politico senza vedermi tirare in ballo la questione stessa. L'Italia e la Germania decisero or è una settimana di tornare nel Comitato: ed ecco che la decisione viene salutata da Eden, da Plymouth, da tutta la stampa, nel senso che il ritorno dell'Italia e della Germania consentirà al Comitato di riprendere in esame il progetto di ritiro dei volontari. Alcuni siluri spagnoli vengono lanciati contro il Leipzig: ed ecco che Eden, in pieno Comitato dei quattro, dopo aver deplorato l'incidente, ne trae pretesto per parlare dei volontari stranieri, affermando che la loro presenza in !spagna, esacerbando gli animi, è responsabile dei dispera ti colpi di testa delle autorità di Valencia, e che pertanto è necessario farli evacuare al più presto.

Quando Ribbentrop, pienamente da me appoggiato, ha avanzato la proposta del suo governo per una dimostrazione navale delle quattro Potenze al largo di Valencia, Eden, nel dichiarare che il Gabinetto brittannico non poteva aderire a questa proposta, ha aggiunto che, forse, le cose sarebbero state diverse se il governo italiano e tedesco si fossero impegnati ad accettare l'idea e il piano del ritiro dei volontari dalla Spagna.

Né infine si può parlare delle relazioni anglo-italiane e anglo-tedesche, senza sentirsi continuamente gettare tra i piedi la questione del ritiro dei volontari, che è diventata una vera «idea fissa» del governo e dei circoli politici brittannici.

Qual'è la ragione di questa «idea fissa»? Molte persone di buon senso appartenenti al mondo politico, finanziario e giornalistico inglese con le quali ho avuto occasione di parlare convengono che il ritiro dei volontari è praticamente inattuabile e lo classificano fra le illusioni, non sempre innocenti, alle quali il governo conservatore si è ripetutamente abbandonato negli ultimi anni. Pochi mesi fa, come risulta dal telegramma n. 166 del 3 marzo u.s. 1 lo stesso Foreign Office ha lasciato comprendere che non ci credeva. La questione ha assunto un diverso aspetto per gli inglesi dalla seconda metà di marzo. In numerosi telegrammi e rapporti ho avuto ripetutamente occasione, durante gli ultimi tre mesi, di esaminare e illustrare la nuova fase della politica brittannica in connessione alla questione dei volontari stranieri in !spagna.

Sta di fatto che la questione del ritiro dei volontari sembra oggi ossessionare queste sfere dirigenti, le quali insensibilmente ne stanno facendo un test case di politica generale spagnola ed europea. Nel conflitto itala-etiopico, abbiamo visto questa opinione pubblica e questo governo polarizzarsi verso un altro tes.t case, col quale avrebbe dovuto in apparenza saggiarsi la consistenza e la possibilità d'azione della S.d.N., ma in sostanza si tentava di impedire all'Italia la conquista dell'Etiopia. Anche allora la scelta del test case era assurda dal punto di vista morale politico e storico, e rivelatrice di quello che era l'effettivo obiettivo anti-italiano della politica

1 T. 1545/166 R. del 3 marzo. Grandi aveva comunicato di avere effettuato un passo al Foreign Office per chiarire che un eventuale accordo per il ritiro dei volontari stranieri dalla Spagna presupponeva il divieto di qualsiasi altra forma di intervento e doveva offrire la garanzia di una applicazione effettiva. Grandi aveva avuto l'impressione che al Foreign Office si nutrissero dei dubbi circa la possibilità di giungere ad un simile accordo.

imperialista brittannica. Adesso assistiamo alla formazione, nella ipocrita mente del governo e del pubblico di un test case consimile dal quale dovrebbe risultare apparentemente saggiata, l'efficienza dell'accordo di non-intervento, nella sostanza disarmati i nazionalisti spagnoli.

781

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2364/1057. Mosca, 23 giugno 1937 (per. il 28).

Le dichiarazioni fatte recentemente dal primo ministro lsmet Inonii davanti alla Grande Assemblea Nazionale turca per riaffermare l'amicizia turco-sovietica sono state accolte a Mosca con marcata soddisfazione. Si è veduto in esse una prova tangibile della solidità delle buone relazioni fra i due Paesi, della concordanza sostanziale fra i due governi.

I calorosi commenti della stampa sovietica hanno evidentemente voluto mostrare che il malumore dell'U.R.S.S. per talune manifestazioni della politica turca durante e dopo la Conferenza di Montreux non avevano intaccato il fondo dell'amicizia fra Mosca ed Ankara e la sintomatica assenza in tali commenti di qualsiasi menzione del nome di Riistii Aras sembra anche indicare che il governo sovietico ha attribuito unicamente all'azione personale del ministro degli Esteri turco la responsabilità di certe frizioni verificatesi negli ultimi tempi.

La «chiarificazione dell'atmosfera» prodotta dalle dichiarazioni di lsmet servirà naturalmente a preparare un ambiente più favorevole alla visita a Mosca nel prossimo luglio di Riistii Aras, al quale si può fin da ora prevedere che saranno fatte accoglienze esteriormente molto cordiali, pur constandomi che Litvinov continua a nutrire per il suo collega di Turchia dei sentimenti che non sono, né di simpatia, né di fiducia.

La calorosa manifestazione filo-sovietica di Ismet ha provocato una certa sorpresa in questi ambienti diplomatici, i quali si sono chiesti la ragione di tale inaspettata esplosione di amore per l'U.R.S.S. da parte del capo del governo turco. In proposito, un collega balcanico mi diceva risultargli che le dichiarazioni di Ismet sarebbero state provocate da certe preoccupazioni sorte ad Ankara in seguito al viaggio di von Neurath a Belgrado 1 , e più precisamente dal timore che l'asse Roma-Berlino possa finire per esercitare un'azione dominante nei Balcani, a danno del prestigio e dell'influenza turca.

Non ho elementi per giudicare la fondatezza di simile ipotesi, che segnalo comunque a semplice titolo di informazione 2 .

I Vedi DD. 693 e 711. 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

782

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CAVALLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 4339/75 R. San Sebastiano, 24 giugno 1937, ore 17 (per. ore 6 del 25).

Partito nazionalista basco ha aderito, per battaglioni baschi tuttora efficienti, quanto proposto da canonico Onaindìa e di cui ai miei telegrammi n. 68 e n. 69 1•

Onaindìa mi ha fatto pervenire seguente telegramma del Presidente partito nazionalista a lui indirizzato: «Partito nazionalista ha interessato di aver intervista oggi con generale. Indichi porto Biscaglia e domandi garanzie e segretezza. Risponda prima delle otto. Vorrebbesi andare e tornare stessa notte».

Ho comunicato immediatamente comando truppe e Salamanca 2 .

783

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4330/521 R. Londra, 24 giugno 1937, ore 21,10 (per. ore 0,10 del 25).

Mio telegramma per corriere n. 0151 del 21 maggio u.s. 3 .

Questo ambasciatore del Giappone, il quale come ho segnalato a V.E. ha già avuto una serie di scambi preliminari e personali di vedute con il Foreign Office sulla possibilità di migliorare le relazioni anglo-giapponesi, ha ricevuto istruzioni ora da parte del suo governo di iniziare discussioni su progetti di carattere concreto. Scopo immediato di tali discussioni -su le quali i due governi sarebbero concordi di mantenere il massimo riserbo -sarebbe quello di chiarire la situazione politica fra le due nazioni per quanto riguarda la Cina ed il problema del Pacifico in generale, nonché cercare una nuova base per reciproche relazioni commerciali.

l Vedi DD. 753 e 757.

2 Successivamente, il console Cavalletti telegrafava (T. 4370/76 R. del 24 giugno): <<Comando truppe mi indica Algorta per contatti con parlamentari baschi questa notte. Ne ho informato immediatamente Onaindìa affinché telegrafi presidente Partito nazionalista. Astengomi intervenire incontro onde lasciare trattative in corso carattere unicamente militare, evitando qualsiasi indizio sua preparazione diplomatica». Per il seguito, si veda il D. 797.

3 T. per corriere 3596/0151 R. del 21 maggio. Segnalava che le conversazioni in corso a Londra tra l'ambasciatore del Giappone ed il Foreign Office avevano suscitato preoccupazione tra i dirigenti del governo di Nanchino, timorosi che, in ultima analisi, la Cina rappresentasse il prezzo di un eventuale accordo anglo-nipponico. Il ministro cinese delle Finanze, Kung, a Londra per le cerimonie dell'incoronazione, aveva affrontato la questione con Eden ed aveva poi detto a Grandi che era sua intenzione incontrarsi con Ciano. L'ambasciatore di Cina a Roma aveva già ricevuto istruzioni in proposito.

In effetti, Kung ed il ministro della Marina, ammiraglio Chen, furono ricevuti il 29 maggio da Ciano. Del colloquio non si è trovata documentazione.

784

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4342/020 R. Tirana, 24 giugno 1937 (per. il 25).

Il signor Libohova mi ha detto che il Re gli aveva dato oggi istruzioni di comunicare al signor Jankovic che il progettato incontro tra i ministri degli Esteri d'Albania e di Jugoslavia 1 pur essendo approvato in massima, avrebbe potuto più utilmente avere luogo quando fossero state regolate alcune delle questioni che maggiormente interessano l'Albania. Il Re aveva in pari tempo dato istruzioni a Libohova di iniziare conversazioni con questa legazione di Jugoslavia per ottenere:

l. -L'insegnamento sia pure come materia secondaria, della lingua albanese nelle scuole delle zone jugoslave di popolazione prevalentemente albanese.

2. -Attenuazioni nella applicazione della riforma agraria, nelle stesse zone, per la piccola proprietà.

3. --Un trattato di estradizione. 4. --Un regolamento della situazione dei fuorusciti in Jugoslavia.

Il ministro Libohova ha aggiunto che le conversazioni sarebbero state condotte da parte sua nello spirito che egli riteneva corrispondere al desiderio di V.E. e cioè nel senso di normalizzare le relazioni albano-jugoslave.

785

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4441/025 R. Istanbul, 24 giugno 1937, (per. il 30).

Seguito mio telegramma filo n. 146 in data odierna2 .

L'ambasciatore di Turchia costà, che trovasi qui di passaggio, mi ha comunicato che il Consiglio dei ministri ad Ankara ha definitivamente deciso che la flotta turca visiti ufficialmente Venezia verso la metà di settembre. Dopo tale visita la flotta si recherà in un porto jugoslavo. Contemporaneamente altra parte della flotta visiterà Odessa ed al suo ritorno si fermerà a Costanza.

1 Il ministro Jacomoni aveva già riferito, su espressa richiesta di Libohova, che il ministro di Jugoslavia a Tirana, Jankovic, aveva suggerito «in modo pressante» a Re Zog un incontro tra i ministri degli Esteri dei due Paesi. Non risultava ancora chiaro, però, se Jankovic agiva per iniziativa personale

o in base ad istruzioni (T. 3953/84 R. del 9 giugno).

2 T. 4325/146 R. del 24 giugno. Comunicava che era stata decisa definitivamente per metà settembre la visita della flotta turca a Venezia.

Il programma dettagliato della v1s1ta di Venezia (ho suggerito comprendere una sosta a Pola) sarà deciso successivamente. E mi permetterò esprimere tempestivamente qualche suggerimento per il miglior risultato della manifestazione.

Abbiamo esaminato con Huseyin Ragip 1 la opportunità di una visita di giornalisti turchi, ed abbiamo convenuto che forse essa potrebbe essere più efficace ed opportuna dopo la visita di V.E. ad Ankara. Si avrebbe così un seguito di manifestazioni opportunamente scaglionate ed efficacissime per attirarvi la simpatica attenzione della pubblica opinione dei due Paesi come per dimostrare internazionalmente la crescente cordialità dei rapporti politici.

786

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2382/1071. Mosca, 24 giugno 1937 (per. il 28).

Mio telespresso n. 226211014 del 16 corrente2 .

A circa due settimane di distanza dal processo e dalla fucilazione degli otto altissimi ufficiali dell'Armata Rossa, nessun nuovo elemento è venuto alla luce che permetta di precisare le ragioni e le circostanze di questo sensazionale episodio della «epurazione» staliniana. Si è sempre nel campo delle congetture, delle spiegazioni interpretative e delle impressioni basate su voci vaghe e su informazioni non controllate ed incontrollabili.

L'opinione generale degli ambienti diplomatici e giornalistici stranieri -opinione che corrisponde del resto a quella da me manifestata fin dal principio esclude senz'altro la fondatezza del principale capo d'accusa, cioè l'alto tradimento a favore di una Potenza straniera.

Mi sembra da escludere ugualmente l'attività controrivoluzionaria (altro capo d'accusa) nel senso di azione intesa a combattere il regime socialista per tentare di instaurare nell'U.R.S.S. un regime capitalista-borghese. Gli otto ufficiali superiori testè fucilati erano tutti di provata fede socialista, ed alcuni di essi dei bolscevichi della prima ora. Erano inoltre persone di intelligenza e di cultura, le quali non avrebbero comunque potuto contare sulla possibilità del ritorno oggi in Russia di un «governo dei latifondisti e capitalisti», per usare le parole del comunicato ufficiale e della stampa ispirata.

Non rimane quindi che la spiegazione della opposizione contro il despotismo staliniano, che è quella comunemente accettata da tutti gli osservatori stranieri. Ci si chiede però se tale opposizione si era limitata a semplici manifestazioni di critica

o di malcontento o se era arrivata fino alla forma di vero e proprio complotto.

I Huseyin Ragip Baydur. 2 Vedi D. 729, che è del 13 giugno.

Un diplomatico baltico di origine russa che risiede a Mosca da quasi quindici anni mi diceva ieri molto confidenzialmente che un alto membro del governo (che non ha voluto meglio precisare) lo aveva assicurato della esistenza di prove irrefragabili di un complotto organizzato da Tucacevski e compagni per sopprimere Stalin ed i suoi collaboratori più fidati. Scoperte le fila del complotto, Stalin avrebbe agito fulmineamente e nel più grande segreto, tanto che gli stessi membri del governo sarebbero venuti a conoscenza del processo soltanto il giorno in cui esso aveva luogo.

Secondo un'altra versione, invece, un gruppo, di malcontenti con a capo Tucacevski, Krestinski (ex vice Commissario agli Affari Esteri ) ed alcuni altri civili e militari avrebbe redatto qualche tempo fa un memorandum col quale si faceva presente la necessità di mitigare i rigori della polizia politica, di curare maggiormente il benessere materiale delle masse, di migliorare i rapporti con la Germania, ecc. Stalin avrebbe ricevuto il memorandum, riservandosi di far conoscere il proprio parere. Egli l'avrebbe invece portato in discussione davanti al Politbureau, chiedendo ed ottenendo che i firmatari venissero dichiarati «nemici del popolo» e puniti in modo esemplare.

Qualunque sia la vera versione, sembra oramai fuori dubbio che si è trattato di opposizione personale alla politica di Stalin.

Quali siano state le ripercussioni in seno all'Armata rossa ed alla massa del pubblico sovietico è difficile dire. Esteriormente non si è avuta alcuna manifestazione contraria al governo e si potrebbe anzi affermare che il grosso pubblico ha accolto la notizia delle fucilazioni con perfetta indifferenza, se non pure con una certa approvazione. N o n si può però vedere quello che cova sotto la cenere 1 .

787

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1747/477. Bucarest, 24 giugno 1937 (per. il 5 luglio).

Rilevo dal carteggio comunicatomi da codesto Dicastero i commenti di varie nostre rappresentanze nei Paesi danubiani alla notizia apparsa sul (Pesti Hirlap circa un viaggio che il signor Eden o il suo sostituto Lord Cranborne si proporrebbero effettuare nel prossimo settembre a Praga, Vienna e Budapest. Ho fatto sondare dal segretario della legazione, Dalla Rosa, questo incaricato d'affari d'Inghilterra il quale, parlando a titolo personale, ha osservato che, per quanto concerne Bucarest, egli escludeva una visita del ministro britannico: in Romania -egli ha detto -l'Inghilterra non ha interessi speciali, e venire su questa piazza significherebbe dover far concessioni di cui, come sempre, l'Inghilterra è avara. Il signor Farquhar ha aggiunto che gli sembrava invece compren-

I Il documento ha il visto di Mussolini.

1028 sibile una V!Slta di Eden a Vienna, Budapest e Praga, perché l'Inghilterra ha sempre guardato alla regione danubiana come ad uno dei punti cruciali dell'Europa, e perché è interesse dell'Inghilterra controbattere in quella regione l'influenza tedesca.

Mentre il capo ad interim della legazione britannica dice candidamente che l'Inghilterra non intende firmare nessun chèque per la Romania, tutti i circoli romeni da due anni a questa parte, e cioè dal giorno del discorso di Hoare per la sicurezza collettiva (Ginevra: 11 settembre 1935) sono agitati da una vera crisi di passione per la Gran Brettagna.

I rapporti fra la Corte romena e quella del defunto Re Giorgio erano, com'è noto, pessimi, grazie alla Regina Maria, grazie a Re Caro! e grazie anche a Titulescu, i quali tutti erano veduti a Londra come il fumo negli occhi. Ma la partecipazione alle sanzioni fu premiata con un invito di Re Giorgio a Carof. La visita non ebbe luogo mentre Re Giorgio era in vita e Re Caro! potè solo partecipare al servizio funebre. Da allora l'Inghilterra è qui alla moda, ed è diventata per quasi tutti gli uomini politici romeni un astro fisso che nulla ha potuto oscurare. Né l'acquiescenza dell'Inghilterra alla militarizzazione tedesca della riva sinistra; né la vittoria dell'Italia nel conflitto mediterraneo; né la crisi matrimoniale di Edoardo; né le esitazioni inglesi di fronte al problema spagnuolo; e nemmeno la riluttanza britannica ad assumere impegni precisi per quanto riguarda la sicurezza dell'Europa Centrale, sono valsi ad offuscare questo astro che, sorto per il firmamento romeno or sono due anni, sembra dominarlo incontrastato. Gli splendori della coronation hanno colpito l'immaginazione di questi orientali, profondamente impressionati inoltre dalle spettacolose notizie del riarmo britannico.

Quale funzione si attribuisce all'Inghilterra nei confronti della sicurezza romena?

Due minacce oscurano l'orizzonte politico di questo Paese: il pericolo della espansione russa e quello della espansione germanica. Quanto al primo pericolo si fida sulla Francia che, in tempo di pace, deve conservare la Bessarabia alla Romania, mentre se a quella porta dovesse battere la guerra, si fa assegnamento sull'alleanza con la Polonia.

Per il secondo temuto pericolo, l'espansione germanica (non quella economica, chè anzi la Romania va sempre più infeudandosi all'economia germanica), qui si rendono conto che la Francia da sola non basta, e si fa quindi assegnamento sull'Inghilterra come la maggior forza di propulsione dell'azione internazionale per impedire la crisi, o dominarla.

In questi ultimi due anni la Romania, e sopratutto il Re, si sono creati questo dogma: se l'Inghilterra riarma è per mantenere la pace. Se un giorno la Germania si proponesse violare le frontiere della Cecoslovacchia, l'Inghilterra scaglierebbe Ginevra contro la Germania e finirebbe essa stessa per intervenire accanto alla Francia.

Vi sono naturalmente anche qui menti acute le quali osservano che l'Inghilterra evita, costantemente, di assumere impegni per l'Oriente europeo: ma la cura che la Gran Brettagna mette nel «distinguere» tra sicurezza della linea del Reno e sicurezza della linea del Danubio, non riesce a scuotere la fiducia dei dirigenti. Ed anche se si fa loro toccar con mano che l'Inghilterra, pur dichiarando il suo generico interesse al problema orientale, non pronuncia mai quelle parole che basterebbero a chiarire in via definitiva il suo atteggiamento, ci si incontra dinnanzi a questa invariabile risposta: È costante politica dell'Inghilterra non assumere impegni preventivi: ma al momento del pericolo la formidabile macchina dell'armamento inglese interverrà per evitare la crisi.

Nulla vale obiettare che la macchina dell'armamento inglese è per ora in gran parte inscritta solo in bilancio: che deve ancora costruire la flotta aerea, che quella navale è sugli scali, e che il grande esercito non è nemmeno in programma. Ed è inutile presagire che gli avvenimenti potrebbero precipitare. La risposta che si riceve è la seguente: vi sbagliate: l'Inghilterra ha già in gran parte riarmato, e quindi la Germania non oserà.

Neanche la recente conferenza di Titulescu a Londra 1 , vero e proprio atto di accusa contro la politica britannica per la sua indecisione e mancanza di chiarezza, è riuscita ad aprire gli occhi a tutti.

Da mia parte non tralascio occasione per far giungere a tutti gli uomini politici più in vista, come pure al Sovrano l'avvertimento di essere guardinghi, e di non dimenticare che c'è un altro punto nell'orizzonte che si chiama Roma: qualche risultato, qualche conversione, di tanto in tanto mi è dato conseguirla ma finora il più illuso, il più infatuato, sembra proprio il Re.

Vengo ora informato che il Sovrano, che dopo la partenza di Titulescu va considerato come il vero dirigente la politica estera romena, comincia a nutrire il sospetto che qualche incrinatura esiste nella costruzione ideologica che Egli si era formata.

Nella impossibilità di parlare qui con Eden, che non viene, e dopo aver tanto parlato con Beck, il Re pare si sia deciso a intraprendere un viaggio, non ufficiale, in varie capitali d'occidente. Egli si recherebbe, secondo mi si afferma, anche a Bruxelles, per incontrarsi con Re Leopoldo, il che potrebbe anche dimostrare che Re Caro! ha scorto la profonda analogia tra la situazione del Belgio e quella della Romania, Paesi che sono entrambi zone obbligate di passaggio e teatri eventuali di guerra.

Re Caro! visiterebbe poi Londra, ed infine Parigi. Tale viaggio sarebbe effettuato dopo la visita ufficiale a Varsavia. Ma la notizia da me ottenuta ad una sola fonte, è meritevole di una conferma, che darò non appena possibile. Se nei movimenti del Re fosse previsto un passaggio, non ufficiale, attraverso l'Italia, potrebbe presentare un qualche interesse un incontro di Re Caro! con il Duce e con Vostra Eccellenza? Gradirei conoscere se tale incontro sarebbe gradito.

Quale saranno le impressione del Re nei suoi colloqui con gli uomini di governo britannici? Quali saranno le Sue conclusioni dopo essersi reso conto, di persona, dei motivi che hanno spinto Re Leopoldo a separare i destini del Belgio da quello

1 In visita a Londra, Titulescu aveva pronunciato il 9 giugno un discorso nella sala della biblioteca del Parlamento in cui aveva sostenuto che la Gran Bretagna non poteva «fare distinzioni tra Reno e Danubio» ma doveva intervenire dovunque la pace fosse minacciata perché legata dai suoi obblighi verso la Società delle Nazioni e perché la pace era indivisibile. «Tutta la conferenza -aveva osservato il ministro Sola -costituisce un larvato atto di accusa contro la politica imposta all'Inghilterra dai Dominions negli ultimi anni e che sembra essere stata definitivamente adottata, per volontà degli stessi Dominions, durante l'ultima Conferenza imperiale» (rapporto 15811435 del IO giugno. Il documento ha il visto di Mussolini che ha sottolineato le parole qui riportate tra virgolette).

della Francia? La fantasmagorica illuminazione della Torre Eiffel e dell'Esposizione riuscirà, come già le feste della Coronation a nascondere certi paurosi vuoti?

Non c'è dubbio che dal viaggio di Re Carol, se si farà, può dipendere la futura orientazione della politica romena nel periodo che precederà la crisi dell'Europa danubiana 1 .

788

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 4338/246R. Berlino, 25 giugno 1937, ore 1,05 (per. ore 3,30).

Von Neurath mi ha oggi chiamato per esprimermi, anche a nome Cancelliere del Reich, tutta la sua soddisfazione per la prontezza e la totalitarietà dell'appoggio italiano2 (V.E. avrà notato riferimento fatto alla solidarietà dell'Italia nel comunicato ufficiale pubblicato ieri da D.N.B.). Procedendo quindi ad un esame della situazione e dei vari quesiti che esso comporta, egli ha fissato i seguenti punti.

l) Premesso che la Germania non intende fare alcun «colpo di testa», von Neurath ritiene che Germania debba però attendere gli avvenimenti. Se un gesto di distensione, per il quale Henderson intensifica lavoro, può essere fatto, esso spetta all'Inghilterra, tanto più risultando che la vera opposizione all'accoglimento delle domande tedesche è venuto complice la Francia proprio dalla Inghilterra. In proposito von Neurath mi ha detto anche che Ribbentrop è stato richiamato qui per qualche giorno «a scopo dimostrativo».

2) Preoccupandosi di quelle che potrebbero essere le conseguenze negative della decisione itala-tedesca dal punto di vista della efficienza della continuità controllo, von Neurath riteneva che, controllo potesse essere comunque continuato «di fatto», così dalla flotta italiana come da flotta tedesca.

Valencia assai facilmente è informata che Ammiragliato tedesco si propone invece ridurre propri effettivi nelle acque spagnole (mio telegramma n. 249)3 . Von Neurath ha replicato che una qualche riduzione era pure necessaria essendo impossibile mantenere in Spagna, come ora, tutta la flotta tedesca, ma che comunque essa non sarebbe stata immediata.

3) Von Neurath riconosceva anche in relazione ad appositi quesiti mossi da questo ministro portoghese, che soluzione di continuità creata nel controllo metteva Portogallo (che rimane soggetto per conto suo a tutti obblighi del controllo, compreso fra di essi nota presenza «osservatori» inglesi) in una situazione inferiorità e

1 Il documento ha il visto di Mussolini. Circa l'ipotesi, prospettata da Sola di un incontro di Re Caro! con Mussolini o con Ciano, quest'ultimo comunicava con Telespresso 223737/107 del 9 luglio che un tale incontro non appariva opportuno.

2 Si riferisce al ritiro dell'Italia dal sistema di controllo (vedi D. 776).

3 T. 4314/249 R. del 24 giugno, che dava questa notizia su la base di informazioni raccolte dall'addetto navale.

svantaggio. Riteneva quindi che il Portogallo andrebbe incoraggiato sollevare questione nel Comitato non intervento 1 .

4) In previsione possibili iniziative inglesi per il ritiro volontari, von Neurath mi confermava essere ben chiaro che la Germania non accetterebbe mai -anche in linea semplicemente programmatica e teorica -di discutere del ritiro volontari se questo non comprendesse anche i non combattenti (agitatori politici, ecc.) e non fosse compiuto con la garanzia già a suo tempo indicata dalla Germania 2 e dall'Italia3 nella loro nota a Londra. Continuerò vigilare riferendo.

789

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4353/55 R. Mosca. 25 giugno 1937, ore 19,21 (per. ore 23,45).

Trovo sintomatico il relativo riserbo col quale la stampa sovietica commenta la situazione creata dal ritiro dell'Italia e della Germania dal «Controllo» navale. È evidente che questo governo si riserva di prendere posizione quando saranno chiarite le reali intenzioni italo-tedesche. Ritengo, comunque, che Mosca si felicita in cuor suo dei recenti sviluppi della situazione che, giudica, aver allontanato le probabilità di un accordo fra le quattro Potenze, qui considerato sempre come un maggiore pericolo per la politica sovietica.

790

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 4352/250R. Berlino, 25 giugno 1937, ore 21,50 (per. ore l del 26).

Mia comunicazione telefonica col ministro Buti 4 .

Recatomi stamane a questo ministero degli Affari Esteri per chiarire la questione di cui al telegramma di V.E. n. 230 odierno5 , avevo notizie delle istruzioni impartite all'ambasciata tedesca a Londra (ed inviate in comunicazione ad Hassell)

1 Si veda, in proposito il D. 798.

2 Nota del 25 gennaio, testo in BD, vol. XVIII, D. 112.

3 Vedi D. 87.

4 Non è stato trovato nessun appunto in proposito.

5 T. 112/230 R. del 25 giugno. Ciano comunicava che, per conservare un pieno parallelismo con la Germania, era stato dato ordine alle navi italiane di continuare a prendere a bordo gli osservatori del sistema di controllo. come veniva fatto dalle navi tedesche. Vi era però il rischio, così, di far ritenere che Roma e Berlino considerassero possibile la continuazione del sistema di controllo senza una loro partecipazione attiva e su questo punto Attolico era incaricato di attirare l'attenzione del governo tedesco.

in previsione della seduta Comitato non intervento attesa per martedì. Queste istruzioni contenevano un ultimo punto secondo il quale la Germania si dimostrava disposta ammettere che il proprio posto nel «controllo» potesse essere preso dai neutri. In seguito alla mia immediata e decisa presa di posizione in senso contrario, quest'ultimo punto è stato in un secondo momento eliminato. Il fatto stesso, tuttavia, che simile idea abbia pututo essere comunque affacciata, mentre denota delle tendenze, per così dire, eccessivamente «liquidatorie», rivela pure (e del resto la discussione avuta stamane me lo ha chiaramente confermato) che nel fatto la concezione nostra e quella tedesca non collimano perfettamente. Sarà quindi bene che V.E., vedendo Hassell domani mattina1 , gli spieghi bene il nostro punto di vista.

Per conto mio, mi sono riservato, per quando sarò in possesso di nuove istruzioni di V.E., di avere un altro colloquio con Neurath, non senza però aver chiarito fin d'ora che, arrivate e non per fatto nostro le cose a questo punto, la Gemania deve pur rendersi conto che l'Italia:

l) può difficilmente adattarsi a considerare come legittimo e di propria soddisfazione un controllo mediterraneo esercitato senza di essa; 2) tanto meno può riconoscere alla Svezia, o ad altro satellite dell'Inghilterra, il diritto di sorvegliare il Mediterraneo in vece sua.

Quanto al punto di cui al telegramma di V.E. n. 230, esso è stato da me opportunamente chiarito ed è ora qui oggetto di attenta considerazione.

791

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4367/303 R. Parigi, 25 giugno 1937, ore 22 (per. ore l del 26).

Léger mi detto che in presenza della situazione creatasi dopo ritiro dell'Italia e della Germania dal controllo navale esistono dubbi circa le reali intenzioni di queste due Potenze, che fino al momento presente non le hanno fatte conoscere a Parigi e a Londra.

Governo francese ritiene che non sia possibile stabilire linea di condotta francese ed inglese senza sapere prima esattamente che cosa intendono fare Italia e Germania. Siccome governo inglese si mostra assai lento e quasi inerte in questo momento, governo francese che, contrariamente a quanto si suppone generalmente, non solo non segue passivamente quello inglese ma assai spesso prende esso stesso le necessarie iniziative nei riguardi di Londra, ha ritenuto nel caso attuale di entrare in contatto con Londra proponendo oggi al Foreign Office seguente linea di condotta.

Governi italiano e germanico dovrebbero essere informati dai rappresentanti di Francia ed Inghilterra che i loro rispettivi governi stimano necessario conoscere loro intenzioni e vengono pertanto pregati di volerle precisare, indicando quale sarà loro attitudine circa punti seguenti:

1 Su tale colloquio si veda il D. 803.

l) Se Italia e Germania continuano considerarsi vincolate da tutti gli impegni derivanti dal non intervento in Spagna e pertanto dalle prescrizioni degli accordi di Londra, sia nei riguardi dei governi che dei rispettivi sudditi. E più precisamente:

a) se navi mercantili italiane e tedesche che si recassero nei porti spagnoli saranno tenute ad imbarcare ulteriormente un osservatore; b) se continueranno ad essere obbligate a rispondere alle domande di chiarimenti loro rivolte da navi esercitanti controllo francese e inglese; c) se Italia e Germania continueranno a lasciare all'ufficio di controllo di Londra osservatori posti a disposizione di quest'organo internazionale; d) che cosa accadrà dell'accordo relativo alla cessazione di lasciare partire volontari.

2) Se Italia e Germania ritirandosi da controllo internazionale ritengono di conservare circa bastimenti commerciali di nazionalità diversa da quella spagnola diritto di controllo convenuto a Londra.

3) Se Italia e Germania pretenderebbero diritto di visita sopra navi battenti bandiera governativa spagnola. Occorre tener presente che fino ad ora le navi internazionali esercitanti controllo secondo accordi di Londra non avevano alcun potere del genere.

Quando si fosse ottenuto dal governo di Londra il consenso a tale procedura e che fosse stato possibile ricevere dai governi fascista e del Reich risposte precise ai quesiti suddetti, Parigi e Londra giudicheranno se si debba cercare di elucidare linea di condotta futura nel quadro del Comitato di Londra oppure attraverso conversazioni diplomatiche normali.

Delbos mi ha convocato fra pochi minuti da lui per dirmi probabilmente quanto mi è già stato anticipato da Léger. Riferirò con ulteriore telegramma 1 .

792

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4369/304R. Parigi, 25 giugno 1937, ore 22 (per. ore 17 del 27).

Delbos mi ha detto che avendo Italia e Germania dichiarato, all'atto del loro ritiro dal controllo navale, di rimanere fedeli al principio di non intervento in Spagna partecipando ulteriormente al Comitato di Londra, egli aveva ogni ragione di ritenere che ciò significasse fedeltà incondizionata a tutti gli impegni assunti. In caso contrario, governi italiano e germanico avrebbero infatti notificato modificazioni che intendessero apportare al principio liberamente accettato.

Egli desiderava attirare l'attenzione speciale dei due governi suddetti sopra un problema che stava particolarmente a cuore a lui ed alla opinione pubblica francese,

l Vedi D. 792.

1034 che era quello del ritiro dei volontari, il quale avrebbe dovuto essere discusso a Londra lunedì scorso, se non fosse sopraggiunto incidente del Leipzig. Delbos aggiunse che controllo è la base del non intervento. Qualora controllo cessasse, non intervento subirebbe un indebolimento, il che significherebbe regresso nella politica di collaborazione.

Premesso che mi parlava anche a nome del governo britannico previa intesa con Londra, Delbos mi disse che Francia e Inghilterra proponevano di sostituirsi esse al controllo esercitato finora da Germania e Italia. Esse lo facevano volentieri ma unicamente allo scopo di mantenere in vita nella misura del possibile Comitato di non intervento e nella speranza che Italia e Germania avessero presto a riprendere il loro posto nel Controllo. Non mi nascondeva che vocabolo «definitivo» usato nei comunicati di Roma e di Berlino non gli era piaciuto ma egli riteneva peraltro che tale vocabolo (definitivo) si riferisse al ritiro dal controllo così come era regolato finora e che se invece si riconoscesse opportunità di modificare controllo medesimo, Italia e Germania vi parteciperebbero nuovamente.

Vi erano vari punti che dovevano essere chiariti, e precisamente quelli riguardanti osservatori italiani e tedeschi, nel senso che occorreva sapere se sarebbero mantenuti o ritirati, e questione scali, (punto, questo, che concerneva esclusivamente Germania).

Fedeltà da parte Italia e della Gemania al principio dello statu quo in Mediterraneo gli sembrava fuori discussione, perché era una premessa del principio di non intervento. Ad ogni modo desiderava menzionare anche questo punto sperando ricevere conferma delle assicurazioni anteriormente date dall'Italia e dalla Germania e concernenti tanto Spagna continentale quanto quella insulare e possedimenti africani.

Doveva infine attirare mia attenzione sopra decisione italiana che gli sembrava costituire una violazione del non intervento, quella cioè di pubblicare liste dei caduti in Spagna e numero degli apparecchi di aviazione governativa abbattuti dagli italiani. Ha aggiunto che i tedeschi sino ad ora non lo avevano fatto, altrimenti egli avrebbe dovuto nei riguardi loro fare stesse osservazioni.

Delbos mi pregò comunicare quanto precede a V.E. ed espresse speranza ricevere presto risposte precise a riguardo.

793

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A LA PAZ, MARIANI

T. PER CORRIERE 1124/34R. Roma, 25 giugno 1937.

Ho preso atto con compiacimento di quanto comunicatomi con telegramma 58 e 59 in data 5 corrente'. Voglia continuare a seguire da vicino la evoluzione in

l TT. 4277/58 R. e 4278/59 R. del 5 giugno. Vi si riferiva che, secondo notizie attendibili, il Presidente della Repubblica, Toro, si era convinto della necessità di dare al suo governo «un orientamento più chiaramente fascista», pur ritenendo che non fosse ancora giunto il momento di dichiararlo apertamente.

1035 senso fascista di codesto governo tenendo presenti istruzioni di massima già impartitele in tal senso da questo Ministero.

Anche questo ministro di Bolivia risulta stia svolgendo costà, con i suoi rapporti e con sue lettere personali, attiva opera di convincimento e di volgarizzazione della dottrina fascista e delle sue applicazioni specialmente nel campo sociale.

794

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 25 giugno 1937.

L'Ambasciatore Sir Eric Drummond è venuto a vedermi per richiamare la mia attenzione sull'odierno articolo di Farinacci «Troncare i rapporti» 2 e particolarmente sugli ultimi due capoversi di tale articolo. Drummond ha fatto rilevare che l'autore è un membro del Gran Consiglio del Fascismo e quindi una personalità che ha una precisa responsabilità politica. Ha aggiunto che tale articolo rappresentava una infrazione alla intesa che era corsa tra noi circa le relazioni di stampa tra i due Paesi, infrazione che avrebbe potuto determinare una reazione di stampa da parte britannica. Mi ha detto infine che una particolare preoccupazione gli era causata dal fatto che a Farinacci viene talvolta attribuita una veste di avanguardia lanciata dallo stesso Duce contro un determinato obiettivo.

Ho risposto a Drummond che l'articolo non rispecchiava se non l'opinione del suo autore, il quale aveva scritto di propria iniziativa e senza suggerimenti di sorta. Escludevo nella forma più assoluta che Farinacci potesse comunque essere considerato un portaparole del Duce il quale, come Drummond ben sa, non ha bisogno di interpreti ma è uso a far conoscere direttamente e molto chiaramente il Suo pensiero e i Suoi propositi. Nel caso specifico potevo aggiungere che mi risultava che il Duce non aveva avuto conoscenza dell'articolo se non a pubblicazione avvenuta e che non aveva affidato a Farinacci incarichi di sorta.

795

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4370/529 R. Londra, 26 giugno 1937, ore 1,40 (per. ore 7).

Con telegramma in chiaro n. 5253 , trasmetto riassunto prima parte odierno dibattito ai Comuni sulla questione spagnola. Dichiarazioni Chamberlain -le prime

1 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe. p. 192.

2 Nell'articolo, pubblicato su Il Regime Fascista, Farinacci aveva scritto. fra l'altro, che contro la Gran Bretagna e la Francia sarebbe stata più conveniente una guerra immediata perché la Gran Bretagna era ancora militarmente impreparata e la Francia era debole all'interno.

3 T. 4375/525 R. del 25 giugno. non pubblicato.

che egli abbia fatto nella sua qualità di capo del governo -presentano particolare interesse e forniscono indicazioni significative circa atteggiamenti e propositi governo inglese nei riguardi conflitto in Spagna. Chamberlain nel suo discorso:

l) conferma che governo inglese è insoddisfatto attuale funzionamento accordo non intervento;

2) riconosce «buona fede» tedesca negli incidenti Leipzig ed elogia «moderazione» di cui Germania ha dato prova limitando sua reazione al ritiro dallo schema controllo;

3) definisce «ragionevole» che Germania non intenda ulteriormente esporsi con le sue navi nelle acque spagnole; 4) insiste sull'urgenza di ricostruire al più presto il cerchio di pattuglie navali; 5) ribatte sulla necessità ottenere ritiro volontari stranieri dalla Spagna.

Dichiarazioni Chamberlain confermano quella che appare sempre più essere la direttrice dell'azione britannica nella questione spagnola. Elogio della «buona fede», «moderazione» e ragionevolezza tedesca tradisce l'ansia del governo britannico di favorire per quanto è possibile permanenza Mediterraneo della flotta tedesca, la quale, attraverso la finzione del controllo navale delle quattro Potenze era riuscita stabilire titolo di legittimità alla sua attività nel Mediterraneo pari a quella delle flotte inglese italiana e francese.

Sollevando problema dell'immediato adottamento sistema pattuglie navali, Chamberlanin cerca evidentemente aprire strada ad un controllo marittimo esclusivamente anglo-francese e cioè ad una specie di blocco delle coste spagnole delle Baleari e del Marocco da parte Inghilterra e Francia.

Infine, collega alla crisi la questione ritiro volontari e, ripetendo ancora una volta che tale questione ha carattere estrema urgenza ed importanza, Chamberlain fornito nuova e esplicita conferma che il governo britannico si accinge intensificare, mediante azione diplomatica e campagna nell'opinione pubblica, sue pressioni nell'intento ottenere ritiro volontari tedeschi e italiani Spagna.

Telegraferò nuovamente dopo discorso con cui Eden chiude odierno dibattito 1 .

796

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4382/251 R. Berlino, 26 giugno 1937, ore 15,06 (per. ore 14,30 del 27).

Mio telegramma n. 250 di ieri 2 .

t Con T. 4375/534 R. del 25 giugno, non pubblicato: riferiva senza commenti le dichiarazioni di Eden. 2 Vedi D. 790.

Onde impedire pericolose cristallizzazioni di pensiero e di direttive, ho ritenuto opportuno-oltre a svolgere una energica azione collaterale attraverso i militaririvedere von Neurath subito.

Sempre subordinatamente alle istruzioni di V.E., ho prima di tutto riassunto il mio pensiero sulla situazione così:

a) Francia e Inghilterra ci hanno negato la giusta soddisfazione dovuta, determinando la nostra uscita dal controllo. Esse hanno così creato un imbroglio internazionale da cui sono loro a dover trovare il modo di uscire. Noi non possiamo aiutarle a districarsi.

b) Inghilterra sarebbe felice, ora che ci ha messo in condizioni di doverci allontanare, di potere fare a meno di noi. Non siamo certo noi a doverne facilitare gioco.

c) Ho quindi insistito, per quanto riguarda particolarmente l'Italia, sopra punti uno e due di cui al mio telegramma di ieri n. 250. Von Neurath ha interrotto dicendo: tutto va bene ma, dato che, né Germania, né Italia possono ritornare nel Controllo, voi che cosa proponete di concreto? Ho risposto:

l. -Onere di fare proposte concrete spetta agli altri e non a noi. Sono gli altri che ci devono mettere in condizione di potere tornare nel controllo, offrirei una riparazione.

2. --Ove essi nulla facciano in questo senso (Henderson, che prima sembrava molto speranzoso, ora non si fa più vivo), noi dovremo !imitarci a opporci a quella qualunque proposta che facessero, sia sotto forma di diniego, sia sotto quella di controllo anglo-francese mascherato dalla presenza a bordo di qualche compare. 3. --Un controllo senza di noi, che tra l'altro rappresentiamo !'«altera pars» sarebbe controllo illegittimo e che noi dovremmo rifiutarci puramente e semplicemente di riconoscere. 4. --Come prima conseguenza di questo, dovremmo, nella seduta martedì, annunziare rifiutiamo continuare mandare le nostre navi mercantili (telegramma di

V.E. n. 230 del 25 corr.) 1 a sberrettarsi di fronte ai rappresentanti di un controllo internazionale per noi ormai senza base.

Von Neurath ha finito col comprendere che effettivamente, almento per il momento, non ci conviene uscire da una attitudine negativa. Ha insistito che anche la questione portoghese2 potrà servire a rimettere «tutto in discussione». In concreto, ha poi esplicitamente approvato il punto n. 4 di cui sopra che ritengo quindi, salvo novità, come definitivamente acquisito. Ci siamo lasciati dicendo che lunedì avrei comunicato le eventuali istruzioni dell'E.V.

I Vedi p. 1032, nota 5. 2 Si veda in proposito il D. 798.

797

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CAVALLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 4386/78 R. San Sebastiano, 26 giugno 1937, ore 21 (per. ore 9,15 del 27).

Mio telegramma n. 76 1 .

Questa notte avvenuto contatto come prefissato fra presidente Partito nazionalista basco e comandante truppe. Presidente partito nazionalista ha dichiarato trattare resa per tutti effettivi baschi ancora in linea e cioè 45 battaglioni di cui 20 comunisti. Ha aggiunto volere arrendersi italiani considerandoli i veri e propri vincitori della campagna.

Conversazione ha avuto oggetto ritorno in Biscaglia popolazione civile e feriti, resa truppe, garanzia vita o fuga capi compromessi. Trattative continueranno domani notte con aiuto esperti onde concretare possibili modalità .tecniche attuazione resa 2 .

798

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4385/153 R. Lisbona, 26 giugno 1937, ore 22,25 (per. ore 0,20 del 27).

Mio telegramma n. 1513.

Segretario generale del ministero Affari Esteri mi ha comunicato che governo portoghese ha deciso in seguito ritiro Italia e Germania da controllo navale di sospendere permesso accordato agli osservatori britannici su propri territori. Tale decisione è stata comunicata governo inglese. Gli osservatori non sono allontanati da territori ma cessano dalle loro funzioni.

Segretario generale ha sottolineato che prolungandosi situazione e mancandogli, sino ad ora, precise indicazioni circa intendimenti nostri e della Germania, questo governo aveva dovuto agire secondo sua situazione.

Richiesto come governo portoghese considererebbe la proposta per assunzione totale controllo navale da parte Francia e Inghilterra, ha risposto che, rimanendo

l Vedi p. 1025, nota 2.

2 Si veda, per il seguito, il D. 818.

3 T. 4341/151 R. del 24 giugno, con il quale riferiva su un colloquio avuto con il segretario generale del ministero degli Esteri. Sampayo aveva espresso il desiderio di conoscere il punto di vista del governo italiano circa gli sviluppi che potevano venire dal ritiro dell'Italia e della Germania dal sistema di controllo perché a Lisbona si temeva che l'Unione Sovietica potesse approfittarne per inserirsi nel controllo. Da parte sua, il governo portoghese si riservava di riesaminare il proprio atteggiamento circa gli osservatori britannici sul suo territorio qualora fosse venuto a mancare l'equilibrio nel controllo marittimo.

1039 fedele sua politica, consulterà Italia e Germania. Ha insistito su difficoltà che crea governo portoghese mancanza finora precisazioni circa nostri intendimenti e mi ha pregato rinnovare preghiera farli conoscere non appena possibile 1•

799

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE 1132/308 R. 2 . Roma, 26 giugno 1937, ore 23.

Rispondo all'ultimo punto del telegramma di V.E. n. 3043

Siamo rimasti vivamente e sgradevolmente sorpresi dal fatto che il signor Delbos si sia permesso di criticare la pubblicazione degli elenchi dei Caduti in Spagna. Non ammettiamo che egli si intrometta in questioni che non lo riguardano minimamente. Non sarà lui né altri ad impedire che l'Italia fascista onori come deve e vuole i suoi figli caduti combattendo da eroi.

Faccia presente quanto precede a chi di ragione ed aggiunga che qualsiasi rilievo od interferenza in tale settore, che noi consideriamo sacro, determinerebbe, da parte nostra, una reazione senza precedenti4 .

800

IL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE RISERVATO 3387/73 R. Gedda, 26 giugno 1937, ore 23,30 (per. ore 14,30 del 27 ).

Stamane ho ricevuto visita ministro d'Inghilterra il quale, «per non far misteri», è venuto di proposito farmi conoscere che quanto prima arriveranno qui, provenienti dal Cairo, due aeroplani militari inglesi per portargli documenti inviatigli in occasione sua imminente gita a Riad, per trattare con il Re Jbn Saud questione poca importanza. Documenti dovevano essere inviati con ultimo corriere ma non essendo ciò avvenuto gli saranno portati da aeroplani che da Gedda torneranno subito al Cairo. Predetto ministro fino a ieri aveva detto che intendeva

l Si veda, per il seguito, il D. 813.

2 Minuta autografa.

3 Vedi D. 792.

4 L'ambasciatore Cerruti rispondeva con T. 4388/306 R. del 27 giugno precisando che Delbos «non aveva minimamente criticato la pubblicazione degli elenchi dei caduti italiani in Spagna» ma aveva osservato che aver reso pubblico l'elenco dei caduti ed il numero degli aerei abbattuti poteva costituire un'infrazione dell'impegno di non intervento. Per il seguito della questione si veda il D. 817.

1040 andare in congedo, via Suez entro il mese di giugno. Stamane, ha aggiunto, partirà per Riad verso la fine prossima settimana e proseguirà viaggio per Inghilterra via Oqair-Bassora.

L'ho ringraziato per sua premessa «non voler far misteri», rilevando lato simpatico rapporti personali agevolati da noti accordi fra i nostri due Paesi 1 e gli chiesi se sua gita Riad fosse dovuta a regolamento qualche questione economica o commerciale. Ministro eluse domanda, confermando trattarsi questione poca importanza.

Durante stessa visita, gli ho domandato quale impressione, secondo lui, abbiano riportato ambienti arabi locali da attuale situazione Palestina ed egli si è limitato a dire di non aver avuto modo di intrattenere al riguardo personalità politiche locali, tutte da tempo assenti da Gedda.

Non (dico non) sembrami che scopo viaggio a Riad del ministro d'Inghilterra possa essere così poco importante come da lui dichiarato. Perciò ho provveduto per avere ogni possibile notizia su persone a bordo aeroplani, nonché ogni altro elemento al riguardo, che segnalerò d'urgenza 2•

801

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4400/018 R. Parigi, 26 giugno 1937 (per. ore 12,30 del 28).

Mio telegramma-filo del 25 corrente n. 3043 .

Terminata la parte ufficiale della conversazione col ministro Delbos, che riferii tosto per filo all'E.V., abbiamo scambiato alcune idee a titolo personale. Ritenni infatti opportuno cercare di indagare meglio quali fossero gli intendimenti del governo francese circa la nuova fase degli affari di Spagna.

Da parte mia dissi al signor Delbos che riusciva difficile comprendere come la Francia non si rendesse conto che il governo di Valencia altro non è che l'esecutore di ordini di Mosca. La cosa è tanto più grave in quanto che la situazione politica dell'U.R.S.S. è così complicata che si capisce perfettamente il desiderio che il Cremlino nutre di suscitare complicazioni gravi in altre parti del mondo. Se Mosca vuoi provocare la guerra dovrebbe essere compito di tutti gli Stati animati da sentimenti pacifici e consci di quello che sarebbe un conflitto mondiale di non prestarsi ad un gioco tanto pericoloso.

Delbos mi ha risposto che egli non negava certo la situazione difficilissima dell'U.R.S.S., ma doveva dirmi che il governo francese non poteva lasciarsi guidare da «presunzioni» anche se esse, come nel caso attuale, potessero avere un fonda-

l Riferimento agli accordi del 7 febbraio 1927, per i quali si veda p. 157, nota l.

2 Ciano rispose con T. 1142n2 R. del 29 giugno: «Resto in attesa ulteriori e possibilmente più sicure informazioni».

3 Vedi D. 792.

mento serio. D'altronde, i governi francese ed inglese, che procedono sempre ed in tutto in perfetta intesa, avevano proposto di compiere un'inchiesta per appurare come avesse potuto essere compiuto il tentativo di siluramento del Leipzig e l'inchiesta stessa avrebbe dato il modo di constatare se gli eventuali sottomarini fossero stati spagnoli oppure sovietici. Ho ribattuto che mi permettesse di dissentire completamente da lui: una simile inchiesta sarebbe stata inutile perché non avrebbe avuto il modo di essere fatta.

Delbos, senza dirmelo esplicitamente, mi lasciò intendere che l'esame diligente compiuto dagli organi competenti in vari Paesi aveva portato alla conclusione che il tentativo di siluramento del Leipzig non ebbe con ogni probabilità mai luogo e che si tratta di un caso di suggestione collettiva, facile a verificarsi in mare. Devo aggiungere che in Francia, dove tutto quello che è tedesco appare sospetto, sino dal primo giorno prevalse l'opinione che il governo del Reich cercasse un pretesto qualsiasi per un nuovo gesto che non si riusciva a precisare ma che si temeva assai. Si ricordò, infatti, subito che la guerra mondiale era cominciata per un preteso bombardamento da parte di apparecchi d'aviazione francesi in Baviera, bombardamento che non ebbe luogo. Appunto perciò, parlando con Delbos, gli dissi che sarebbe necessario che in Francia si facesse astrazione da certi preconcetti anti-germanici che impedivano di giudicare obbiettivamente le cose.

Il ministro degli Affari Esteri mi rispose che egli condivideva interamente il mio modo di vedere ma che doveva ricordare che in occasione del bombardamento del Deutschland l'opinione pubblica francese unanime aveva riconosciuto esser necessario di adottare prowedimenti che impedissero il ripetersi di simili fatti. Dove l'opinione pubblica ed egli stesso non avevano potuto seguire la Germania era nel modo prescelto per punire gli aggressori. Egli aveva evidentemente una concezione dell'onore nazionale diversa da quella che si ha nel Reich. Si rifiutava di ammettere che si sparasse contro popolazioni inermi, uccidendo donne e bambini. Il governo del Reich avrebbe a suo modo di vedere dovuto ordinare ad una propria nave la distruzione di un obiettivo puramente militare o, qualora ciò non fosse stato possibile, dare un preavviso di qualche ora perché Almeria avesse potuto essere evacuata dalla popolazione civile. Alla mia abbiezione che questi sono ragionamenti da civile e non da militare, Delbos rispose che in Francia la si pensa così. Egli aveva fatto il proprio dovere durante la guerra (Delbos ha al proprio attivo circa 800 ore di volo come osservatore sulle linee nemiche) ma dal giorno in cui essa era terminata aveva ripreso a pensare da civile e non da militare.

Dal resto della conversazione, come pure dal colloquio che avevo avuto poco prima con Léger 1 , trassi l'impressione che in Francia ed Inghilterra si è disposti a fare tutto il possibile per evitare complicazioni, che si desidererebbe sinceramente il ritorno della Germania e dell'Italia nell'opera di controllo, e che per attenerlo si sarebbe disposti a procedere ad una revisione delle modalità del controllo medesimo, di cui si riconoscono i difetti. Mi risulta che l'idea emessa dai governi di Parigi e Londra di esercitare anche il controllo marittimo sinora compiuto dall'Italia e dalla Germania, è tutt'altro che bene accetta dai circoli navali francesi. Essi trovano già assai gravoso il controllo limitato sinora esercitato e non potrebbero quindi accet-

I Vedi D. 791.

tare di buona voglia di assumere a loro carico anche quello sin qui eseguito da una delle due Potenze ritiratesi dall'azione internazionale concordata.

D'altra parte, non c'è dubbio che il governo presieduto da Chautemps dimostra un'attività maggiore di quello precedente. Essa non deve essere sottovalutata. In Francia si teme infatti che il ritiro simultaneo ed affrettato dell'Italia e della Germania dal controllo significhi la loro intenzione di assumere in Spagna un atteggiamento che in definitiva sarà contrario agli interessi francesi. Si intende quindi essere molto vigili per impedire che siano minacciati interessi vitali della Francia.

802

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4405/0194 R. Parigi, 26 giugno 1937 (per. il 28).

Telegramma di V.E. per corriere n. 1107 R. del 23 giugno corrente 1 .

In occasione della visita fatta ieri al signor Léger gli ho detto di avere ricevuto conferma dall'E.V. del nostro desiderio di riprendere le trattative sospese circa l'A.O.I. Mi sono poi espresso giusta le istruzioni impartitemi esponendogli ancora una volta -era la terza -tutte le ragioni che inducevano il R. Governo a desiderare un preliminare chiarimento che agevolasse l'ulteriore svolgimento dei futuri negoziati.

Il signor Léger mi ascoltò con la maggiore attenzione, espresse il suo vivo compiacimento per le favorevoli intenzioni del governo fascista e mi disse poi che gli sembrava peraltro che noi ci fossimo messi su una strada senza uscita. Tutto quello che gli avevo esposto non era una richiesta di chiarimenti, ma era materia di negoziati. Protestai facendogli presente che le difficoltà provenivano unicamente dal fatto che il governo francese aveva voluto porre la discussione sopra un terreno politico, mentre noi ritenevamo che, dopo gli accordi di Roma, gli interessi francesi in A.O.I. non potessero avere altro carattere che quello commerciale, quindi economico.

Il signor Léger mi disse allora che, per mostrare il buon volere del governo francese, egli non aveva difficoltà a consentire a rispondere alle domande di chiarimento che avessimo formulate per iscritto. Aggiunse che naturalmente doveva essere ben chiaramente inteso che sarebbe stato risposto solo a ciò che senza alcun dubbio fosse «domanda di chiarimento» e non materia di negoziato.

Siccome, giusta le istruzioni di V.E., mi recherò a Roma il 7 e 1'8 luglio, per brevissimo tempo, sarebbe bene che le richieste scritte di chiarimento fossero preparate per tale epoca, in modo che potessi portarle meco a Parigi.

' Vedi D. 777.

803

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELL

APPUNTO. Roma, 26 giugno 1937.

L'ambasciatore von Hassell mi ha parlato stamane dei due seguenti argomenti:

l) -Volontari. V o n Hassell mi ha chiesto il nostro punto di vista in relazione alla proposta avanzata a Londra 2 circa l'evacuazione di un ugual numero di volontari da ambo le parti in conflitto, sotto il controllo britannico. Per quanto l'Ambasciatore di Germania non abbia assunto un atteggiamento preciso in merito, non ha nascosto che von Neurath vorrebbe evitare ogni presa di posizione che richiamasse sulla Germania una grave responsabilità.

Gli ho risposto che sostanzialmente noi non intendevamo ritirare allo stato degli atti i volontari dalla Spagna. Mi rendevo conto che non potevamo esporre semplicemente questo proposito al Comitato di Londra, ma che conveniva trincerarsi dietro una tattica ostruzionistica e dilatoria. Come prima cosa bisognava tener presente che, essendo praticamente saltato il sistema di controllo, non si poteva parlare di evacuazione totale o parziale di volontari, fino a quando un nuovo sistema di controllo non fosse entrato in vigore in modo tale da garantirci che le forze eventualmente evacuate ufficialmente non rientrassero poi da un'altra parte in segreto. D'altro Iato, noi che avevamo per primi avanzato la tesi della proibizione della partenza dei volontari e degli agitatori politici, eravamo in posizione di vantaggio per sostenere che coloro che si trovano oggi a battersi in Spagna dalla parte nazionale, vi sono andati di spontanea volontà e che quindi non possiamo esercitare un'azione di forza per distoglierli da un'impresa alla quale noi non li abbiamo obbligati. Una evacuazione dei volontari dovrebbe venire richiesta dalle parti in conflitto: solo allora potrebbe essere presa in considerazione, tenendo però presente che la composizione delle forze volontarie rosse è troppo eterogenea per dare garanzia che una evacuazione potrebbe aver luogo in forma effettiva e totalitaria.

Ho detto a von Hassell che valendoci di tali argomenti avremmo potuto far rinviare certamente per molto tempo ogni decisione in materia di volontari. Von Hassell ha preso atto di quanto gli ho detto e mi ha assicurato che da parte tedesca tutto sarà fatto per sabotare la discussione.

A mia domanda specifica mi ha risposto che, secondo le sue informazioni, il Fiihrer è personalmente contrario al ritiro dei volontari. Von Neurath meno, se non altro in linea tattica.

2) -Controllo. L'Ambasciatore di Germania mi ha chiesto il nostro programma ed il nostro punto di vista circa la situazione che si è determinata dopo l'uscita dell'Italia e della Germania dal sistema di controllo. Egli sapeva di varie proposte che si stanno ventilando a Londra ed a Parigi per colmare le lacune

l Ed in L 'Europa verso la catastrofe, p. 195. 2 Si veda in proposito il D. 780.

lasciate dalle forze italiane e tedesche: per parte sua il Governo del Reich ha dato istruzioni a von Ribbentrop di non avanzare nessuna proposta, limitandosi invece ad impedire che ogni nuova situazione venga a consacrare uno squilibrio in favore del Governo di Valencia.

Ho detto a von Hassell che noi intanto ritenevamo che nessuna alterazione o sostituzione nel sistema di controllo potesse venir compiuta a di fuori del Comitato per il Non Intervento, alle cui riunioni parteciperanno i rappresentanti del Reich e dell'Italia e quindi che praticamente nessuna decisione per sostituirei possa venir presa senza il nostro consenso.

Ciò premesso ho fatto rilevare a von Hassell che la situazione di fatto, nella quale ci siamo posti ritirando le nostre forze dal sistema di controllo, risulta completamente sfavorevole a noi stessi, dato che il controllo si è praticamente ridotto ad un blocco franco-britannico contro il Governo nazionale. Il Governo italiano compiendo immediatamente il gesto di ritirarsi insieme alla Germania aveva inteso dare al Governo del Reich una prova della sua assoluta solidarietà. Siamo fermamente decisi a mantenere in tutta la questione spagnola un atteggiamento solidale e sincronizzato con quello della Germania. Ma oggi dobbiamo richiamare l'attenzione del Governo del Reich sulla situazione di fatto che si è creata.

Von Hassell ha concordato sugli svantaggi pratici che sono derivati a noi ed al Governo nazionale dall'aver l'Italia e la Germania abbandonato il sistema di controllo, e mi ha domandato se noi avessimo elaborato qualche proposta relativa all'atteggiamento da assumere in futuro per riequilibrare tali svantaggi.

Gli ho risposto che nessuna proposta era stata da noi praticamente studiata ma che, dopo aver parlato della questione al Duce ed aver preso da Lui istruzioni, mi sarei riservato di tornare sull'argomento con von Hassell e pertanto lo pregavo di trasmettere al suo Governo il nostro punto di vista sulla situazione attuale.

Egli mi ha confermato che anche il Governo tedesco intende agire in pieno accordo col Governo Fascista 1•

804

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELU

APPUNTO. Roma, 26 giugno 1937.

Ho nuovamente ricevuto stasera l'Ambasciatore von Hassell al quale ho fatto le seguenti comunicazioni:

l) -Volontari. -Ho confermato, in merito, quanto già avevo detto nel precedente colloquio 3 circa le nostre intenzioni e il nostro programma d'azione.

t Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Ed in L 'Europa verso la catastrofe, p. 196. 3 Vedi D. 803.

2) -Controllo. -Premesso che nessuna decisione potrà venire presa al di fuori del Comitato per il Non Intervento, l'Italia e la Germania dovranno opporsi alla proposta diretta a trasformare il controllo internazionale in un blocco franco-inglese, ai danni della Spagna bianca. Questo si verificherebbe inevitabilmente se Francia e Gran Bretagna, oppure Paesi loro satelliti, fossero, destinati a colmare le lacune determinate dal ritiro italo-tedesco. Bisogna che i nostri Rappresentanti a Londra facciano chiaramente intendere che se una eventualità del genere dovesse realizzarsi, l'Italia e la Germania sarebbero costrette a denunciare tutto l'Accordo per il non intervento e a ritirarsi dallo stesso Comitato di Londra.

Ai fini però di offrire una costruttiva collaborazione, l'Italia e la Germania possono comunicare di essere disposte a studiare un nuovo sistema di controllo. In tale sistema, scevro di quelle imperfezioni che hanno condotto all'attuale crisi, i nostri due Paesi potrebbero riprendere il loro posto.

Ho detto a von Hassell che quanto precede rappresentava il nostro suggerimento per la linea di condotta da adottarsi in comune. Naturalmente rimanevamo in attesa di conoscere il parere del Governo del Reich e le sue eventuali obiezioni.

Von Hassell ha preso conoscenza con molto interesse delle nostre proposte ed in linea di massima si è mostrato nettamente favorevole alla loro accettazione.

A sua richiesta gli ho risposto che, per quanto riguardava il nuovo sistema di controllo, noi non ci preparavamo a sottoporre delle proposte concrete all'esame del Comitato, ma che avremmo invece ritenuto più conveniente attendere uno schema da parte franco-britannica.

805

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA 310l. Berlino, 26 giugno 1937.

Per quanto completamente superata dagli avvenimenti, credo opportuno riferirti circa una conversazione avuta il 22 mattina con Goring e ciò soprattutto perché credo che essa illumini sulle disposizioni, vere e definitive, della Germania in materia spagnola. Volli vedere Goring in rincalzo all'azione da me svolta il giorno prima per la questione del ritiro dei sottomarini con Neurath 1 e onde prevenire possibili ripiegamenti.

Richiesto, alle 9 del mattino di un appuntamento, il Generale mi riceveva, assai cortesemente, un'ora dopo.

La notizia che la Spagna avesse dei sottomarini per giunta recenti, mi diceva Goring, gli arrivava completamente nuova. Egli aveva sempre ritenuto che Franco possedesse, al principio della guerra, un paio di sottomarini vecchi e poco servibili, appunto per questo successivamente ritirati, mai che possedesse dei sottomarini nuovi e in piena efficienza. Infatti-egli aggiungeva sottolineando con insistenza

1 Vedi D. 772.

da parte di Franco vi era stata e vi era una quasi completa inattività: il recente affondamento di un cargo rosso essendo stato dal Generale ascritto all'azione, diretta e brillante, di qualche silurante italiana. Comunque, se così è, e se cioè Franco ha effettivamente dei sottomarini di provenienza italiana è chiaro -concludeva Goring -che la Germania non avrebbe insistito.

A questa conclusione, peraltro, il Generale mi dava l'impressione di venire quasi a malincuore. Infatti, ritornando -dopo aver parlato di altro -sull'argomento, egli osservava che, a lungo andare, la questione dei sottomarini avrebbe forse meritato di essere riesaminata. «In quale situazione si troverebbe la Germania se si affondassero il Deut5chland o il Leipzig?».

Questa domanda, sulle labbra del Generale, correva e ricorreva con una insistenza che denotava la preoccupazione di tutto subordinare alla esigenza, evidentemente giudicata come superiore ed assorbente, di nulla risparmiare per evitare che nuovi incidenti si producessero.

Evidentemente, diceva ancora il Generale, se Franco disponesse di una superiorità sottomarina netta, capace di assicurare a sé stesso e a quelli che l'aiutano la sicura padronanza dei mari, allora tutto andrebbe bene. In questo caso, però, si dovrebbe poter constatare un frequente affondamento di navi nemiche, l'arresto nel flusso dei rifornimenti rossi, ecc. ecc. Che se, invece, così non fosse e Franco si trovasse costretto a lasciare -come finora -liberamente scorazzare i sottomarini rossi che sembrano numerosi e abbastanza bene comandati (da ufficiali sovietici e francesi), non sarebbe allora meglio che i sottomarini di Franco ritornassero quietamente alle loro basi ... di origine (intendeva dire in Italia) e si desse modo alle Potenze di internare i sottomarini rossi che si mostrano capaci di provocare guai così grossi? Ancora una volta -concludeva ed insisteva Goring-in che condizione ci troveremmo se una nave come il Deutschland o il Leipzig fosse silurata o se una nave di queste, in difesa propria, danneggiasse o magari affondasse una nave altrui?

A parte le «implicazioni» di un simile ragionamento, quello che è più stupefacente è che esso, nella bocca di Goring, resisteva anche alla evidenza di argomenti, pur molto forti, in contrario. Ma se oggi si stabilisse -dicevo io infatti -il ritiro dei sottomarini non vede V.E. che, subito dopo, l'Inghilterra si servirebbe di quel precedente per esigere il ritiro degli aeroplani, per non parlare naturalmente dei volontari, etc., etc.?

Premessa una parentesi sul valore «decisivo» che l'aviazione tedesca aveva avuto nella presa di Bilbao il Generale trovava modo di cavillare, distinguendo fra sottomarini e aerei e ciò con argomentazioni altrettanto inconsistenti quanto strane.

Sintomatico ancora che -prendendo occasione dal mio accenno alla connessione fra il ritiro dei sottomarini e dei materiali in genere e quello quasi preliminare dei volontari, e ciò in un momento in cui, Franco avendo ripreso un nuovo slancio, le fortune della guerra sembravano nuovamente sorridere ai nazionali-è sintomatico dico, che Goring, lungi dal mostrarsi affatto preoccupato della cosa, traesse motivo dal mio accenno soltanto per dire -in sostanza-che egli considerava la decisione del ritiro dei volontari in Spagna come, anche per volontà del Duce, ormai acquisita e che, salvo modo e maniera di esecuzione, essa dovesse venire a momento opportuno senz'altro attivata, essendosi a suo tempo (alludeva a conversazioni del Capo del Governo con lui stesso, con Neurath e con Blomberg) riconosciuto che dopo tutto, la cosa sarebbe stata in definitiva «nell'interesse di Franco».

In linea di fatto, almeno nel caso speciale, queste disposizioni del Generale si sono trovate a non avere sulla bilancia peso alcuno perché -come io ho potuto constatare recandomi poi da Neurath alle Il (ero da Goring dalle 10 alle 10,45)proprio nel momento in cui io discutevo col Generale nei termini che ho sopra riferiti, il Fiihrer, in un consiglio tenuto soltanto con Blomberg e con Neurath, decideva, sulla base delle spiegazioni di quest'ultimo, di far senz'altro giustizia al nostro punto di veduta, quale io, in conformità delle istruzioni di V.E., lo avevo esposto, la sera prima, a Neurath e quindi sanzionava senza altro la decisione già presa da quest'ultimo di dare istruzioni a Ribbentrop di non insistere più sulla domanda di internamento dei sottomarini.

A parte ogni altra considerazione incidentale (come mai Goring non era presente a questo piccolo Consiglio mentre vi era Blomberg?), sta in fatto che le disposizioni di Goring sono tali da far alquanto riflettere. Anche il bravo Generale è evidentemente guadagnato a quella che io chiamo la corrente «liquidazionista» dell'avventura spagnola e che sembra acquistare qui sempre maggiore terreno.

Forse anche per lo stesso fatto che -causa gli umori interni nettamente contrari dovunque, e specialmente in Spagna, ad ogni avventura bellica -qui si osserva un silenzio assoluto su tutto ciò che è partecipazione tedesca all'impresa (sintomatico ad es. che nulla si sia detto del concorso dell'aviazione tedesca alla stessa presa di Bilbao e che i non molti articoli favorevoli al nostro «Guadalajara» 1 sono stati frutto dell'intervento diretto, da me personalmente sollecitato, di Neurath), forse anche per questo, dico, la Germania si sta, psicologicamente, sempre più allontanando dalla Spagna. Essa si era gettata nell'impresa spagnola credendola facile e soprattutto di corta durata: vedendo ne invece la difficoltà e la lunghezza, la Germania vuole venirne via, dominata com'è dalla preoccupazione di trovarsi in complicazioni gravi e pertanto suscettibili di portarla se non alla guerra almeno all'azione, in un momento in cui la Germania non vuole rischiare assolutamente nulla. Compromessi, per di più di fronte alla opinione pubblica propria e mondiale, a non indietreggiare di fronte a nulla quando il proprio <<Onore nazionale» sia in gioco, i tedeschi, per salvare capra e cavoli, si orientano ormai sempre più verso soluzioni di carattere preventivo e quindi «negativo».

Sintomatico -intanto --il fatto che, mentre lo stesso incidente del Deutschland fu svelato al Fiihrer con sensibile ritardo 2 , di quelli del Leip:::ig si parlò soltanto al 2°, e cioè tre giorni dopo che era già accaduto il primo.

Comunque, un sottomarino mette a repentaglio l'incolumità di un incrociatore tedesco? Ebbene, si ritirino tutti i sottomarini ... Francia e Inghilterra si rifiutano di dare soddisfazione? La Germania si ritira ... nientemeno che dal controllo. Ciò crea una lacuna a tutto vantaggio dei rossi? Ebbene, sia pure colmata ... dai rossi. La rinuncia al controllo attivo potrebbe almeno portare il vantaggio della rinuncia alle passività del controllo stesso (questione delle navi mercantili) ... Non importa, si continui pure ad assoggettarsi al controllo ... altrui, pur di mostrare che la Germania non dà essa occasione a complicazioni. In Francia e Inghilterra si crede pericoloso che la Germania tenga nel Mediterraneo tutta la sua flotta? Ebbene, che

l Vedi p. 996, nota l. 2 Vedi D. 764.

la flotta sia ridotta ... alla metà! Io vedo, in tutto questo, una linea ed una corrente eminentemente «liquidazionista» ad opporre e contenere la quale così gli scatti occasionali del Fiihrer come le dosature di Neurath non costituiscono che delle semplici -più o meno brillanti -azioni di retroguardia ...

Mi sbaglierò, ma questa è sinceramente la mia impressione e sento quindi il dovere di esportela con tutta franchezza, tanto più che essa potrà servire ad illuminare quello che, salvo episodi in contrario, potrà essere in materia spagnola il filo conduttore dell'azione tedesca avvenire 1•

806

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO A TUTTE LE AMBASCIATE E LEGAZIONI DELL'AMERICA DEL SUD E CENTRALE 2

T. 1138/c. R. Roma, 27 giugno 1937, ore 17,30.

A nome del governo britannico e nella sua qualità presidente Comitato non intervento, lord Plymouth effettuerà presso rappresentante di codesto Stato a Londra passi diretti ottenere collaborazione pratica rispettivi governi alla politica generale non intervento in Spagna. Essendo pressoché certo che Messico rifiuterà qualsiasi forma di collaborazione, eventuale adesione di Paesi favorevoli alla causa Nazionale spagnuola o che semplicemente tengano a conservare atteggiamento corretta neutralità si risolverebbe in una limitazione ai danni di Franco cui non corrisponderebbe in pratica analoga limitazione del Paese (Messico) che appoggia apertamente i rossi di Valencia.

Ella vorrà, nei termini e nei modi che crederà migliori, prospettare a codesto governo tale circostanza, suggerendo nella forma più amichevole, che eventuale adesione di codesto Stato a proposte Plymouth sia condizionata a quella di tutti gli altri Stati dell'America meridionale e centrale.

Prego riferire risultato suoi passi.

807

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2437/1085. Mosca, 27 giugno 1937 (per. il 5 luglio).

Dopo il suicidio del vice commissario politico al commissariato per la Difesa, Gamarnik, e l'esecuzione sommaria del Maresciallo Tucacevski e di altri sette

I Il documento ha il visto di Mussolini. 2 Escluso il Messico.

ufficiali superiori 1 , la stampa sov1et1ca si è affannata a proclamare la saldezza dell'Armata Rossa, sforzandosi di convincere il grosso pubblico che l'epurazione compiuta da Stalin con l'eliminazione delle «spie, traditori, sabotatori e nemici del popolo» aveva rafforzato la compagine militare dell'U.R.S.S. e ne aveva accresciuto l'efficienza bellica. La stampa non poteva naturalmente parlare in modo diverso. Essa si serve del resto con frequenza di argomentazioni sofistiche del genere di quelle usate in quest'ultima occasione, quando ha voluto dimostrare che l'amputazione di un arto cancrenoso aumenta la forza fisica del paziente.

È evidente che se i nove alti personaggi recentemente liquidati erano realmente colpevoli dei crimini loro imputati, l'operazione si imponeva per la salute dell'organismo militare incancrenito. Ciò non toglie però che l'amputazione, anche se perfettamente riuscita, lasci il paziente con un moncone; e questo è appunto il caso dell'Armata Rossa la quale, sia pure liberandosi di elementi politicamente infidi, ha perduto alcuni dei suoi comandanti più capaci e tecnicamente meglio preparati.

Fra gli addetti militari esteri si considera specialmente la scomparsa del Maresciallo Tucacevski e del generale d'armata Uborevic come un colpo grave per l'efficienza bellica dell'U.R.S.S., il primo essendo giudicato come il migliore stratega ed organizzatore, ed il secondo come il più completo comandante di truppe che possedesse l'Armata Rossa. Sotto l'aspetto puramente militare, non vi può quindi essere dubbio che le recenti condanne rappresentano un forte passivo per i Soviet.

Quali gli effetti sotto l'aspetto politico? In questo campo la situazione appare più complessa. Fossero essi realmente colpevoli di aver tramato un complotto contro Stalin o di preparare un colpo di Stato per impadronirsi del potere, oppure anche soltanto di non-conformismo e di critica della linea staliniana, è evidente che gli alti ufficiali fucilati rappresentavano un pericolo -reale o potenziale -per la presente dittatura del Kremlino. Aver allontanato questo pericolo con la eliminazione degli oppositori significa indubbiamente, almeno pel momento, un rafforzamento del potere personale di Stalin.

Come ho già scritto in un precedente rapporto 2 , la massa della popolazione non sembra aver reagito in senso sfavorevole, se pure non ha approvato, la esecuzione sommaria di coloro che le sono stati dipinti dalla propaganda ufficiale come dei traditori della Patria e della rivoluzione comunista. È però altrettanto vero che le fucilazioni dei militari, unitamente ai numerosissimi e quotidiani altri episodi della epurazione staliniana, hanno gettato il panico nelle fila dei bolscevichi militanti. Nessuno che occupi una carica nelle gerarchie del partito od un posto direttivo nella burocrazia statale, sia al centro che in provincia, nella organizzazione politica od in quella economica, si sente oggi sicuro della propria posizione, della propria libertà e spesso anche della propria vita. Ora, vien fatto di chiedersi in quale direzione è destinato ad evolvere questo regime della paura. Coloro che si sentono minacciati, cercheranno di salvarsi facendo atto di sottomissione e di contrizione? Oppure gli eccessi della repressione fomenteranno nuove correnti di opposlZlone, incoraggiando tentativi di complotto e di atti terroristici?

l Vedi D. 729. 2 lbid.

Cercare di dare una risposta a questa domanda sarebbe un puro giuoco di profezia, difficile sempre, ma imprudente specialmente per un Paese come la Russia. Conviene infatti tener presente che gli avvenimenti del mondo sovietico non possono essere giudicati con gli stessi criteri usati per gli altri Paesi europei. Sotto molti aspetti il popolo russo conserva una mentalità ed una psicologia prettamente asiatiche, le quali reagiscono in modo diverso da quelle dei popoli occidentali. La storia insegna che il russo accetta gli atti di forza con un fatalismo tutto orientale, concependoli quasi come l'espressione di una giustizia storica. Come lo Zar nel passato, Stalin rappresenta oggi per la massa del popolo russo il detentore legale del potere, appunto perché egli se ne è impadronito e lo conserva grazie alla superiorità acquistata sugli avversari. Che ciò sia avvenuto attraverso l'intrigo e la violenza, non entra in conto.

Si aggiunga che, dopo la scomparsa di Lenin, con un paziente abile e metodico lavoro il Segretario Generale ha forgiato l'organizzazione del partito comunista russo in modo da fame un docile strumento della propria politica personale. La «macchina» del partito è completamente nelle sue mani, ed egli la modifica e la manovra a volontà. Grazie ad essa, grazie all'asservimento assoluto di tutta la stampa, e coll'ausilio infine di una potentissima polizia politica, Stalin può, non soltanto controllare, ma creare a sua guisa quella che si chiama l'opinione pubblica sovietica.

In queste condizioni, io continuo a ritenere che Stalin possa sempre contare sull'appoggio, sia pur passivo, delle masse. Se una minaccia potrà sorgere contro il suo despotismo, essa non proverrà dalle masse stesse, ma da un movimento di opposizione alimentato da una piccola minoranza. I recenti avvenimenti hanno provato che questa opposizione esiste specialmente nelle alte sfere della amministrazione, ma hanno provato anche che essa non ha seguito nella popolazione. Stalin l'ha del resto in parte già demolita e l'epurazione tuttora in corso ne sta completando la distruzione. A meno quindi del successo di un complotto terroristico, io non vedo alcuna probabilità di una prossima caduta della dittatura staliniana.

Ritengo però che l'epurazione politica sia destinata a creare una situazione sempre più difficile nel campo economico e ciò pel fatto della disorganizzazione che essa sta portando negli organi dirigenti delle aziende statali dell'industria e del commercio. In talune regioni (ad esempio quelle di Leningrado, di Mosca, di Kiev, di Jaroslav ecc.) si può dire che non vi sia trust industriale o commerciale, fabbrica

o miniera, centro ferroviario od arsenale, i cui direttori o principali amministratori non siano stati in parte imprigionati o destituiti o trasferiti sotto l'accusa o per sospetto di trotzkismo, di sabotaggio e di attività controrivoluzionaria. In più di un caso sono stati eliminati per ragione politica dei tecnici di provata abilità. Ora, l'industria sovietica, specialmente quella meccanica, si era organizzata e sviluppata in parte sotto la guida di consulenti stranieri, alla cui scuola si andava formando negli ultimi anni una classe di tecnici destinata ad assumere la direttiva della produzione. Senonché proprio quando i consulenti stranieri vengono allontanati (non esiste oramai più nessuna missione tedesca, e le pochissime rimaste di inglesi, americane ed italiane saranno liquidate quanto prima), l'epurazione politica viene a portare il disordine nell'elemento tecnico russo, non ancora sufficientemente preparato e numeroso da permettere i necessari rimpiazzi.

Lo stesso avviene in tutte le amministrazioni dello Stato, ed è lecito chiedersi se, dato il complicato e pesante sistema burocratico dell'intera vita economica sovietica, ciò non finirà per provocare un disordine tale da danneggiare gravemente il meccanismo della produzione e della distribuzione con serie ripercussioni sulle condizioni della vita materiale della popolazione. Ove ciò si verificasse ed il malcontento popolare si intensificasse, anche la situazione politica potrebbe risultarne radicalmente mutata. Questo è a mio avviso il vero pericolo -forse ancora abbastanza remoto -che minaccia la dittatura staliniana 1•

808

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1141/261 R. Roma, 28 giugno 1937, ore 16,30.

In relazione alle precedenti comunicazioni in merito, Le trasmetto quanto comunica Attolico da Berlino 2 , in seguito a colloquio avuto con Neurath 3 sulla base delle nostre proposte:

0 ) Pienamente d'accordo sulla pregiudiziale che nessuna decisione possa essere presa al di fuori del Comitato di non intervento. Nulla è possibile senza di noi. Comunque i nostri rappresentanti a Londra non dovranno valersi apertamente della minaccia di denunciare l'accordo per il non intervento, anche qualora si prospettasse una decisione senza l'adesione italo-tedesca: ventilare tale minaccia ma riservarsi di riferire al governo per decisioni.

2°) Il governo del Reich non può concordare sulla proposta da noi avanzata di dichiararci pronti a studiare ed eventualmente ad aderire ad un nuovo sistema di controllo, dato che il Fuhrer ha espresso direttive nettamente contrarie in un pubblico discorso tenuto ieri 4 .

3°) Il governo tedesco suggerisce di manovrare in modo che venga riconosciuta preliminarmente la qualità di belligerante al generale Franco. Risulta a Neurath che a Londra non si sarebbe alieni da questo gesto. Un tale riconoscimento potrebbe costituire la base per il nuovo accordo con l'adesione dell'Italia

1 Il documento ha il visto di Mussolini.

2 L'ambasciatore Attolico aveva fatto questa comunicazione per telefono, come risulta dall'appunto del capo di Gabinetto, De Peppo, che ne aveva preso nota. L'appunto -il cui contenuto è riportato qui integralmente -è datato 28 giugno, ore 9,30 e reca l'annotazione a margine: «telefonato alla segreteria del Duce 28 giugno, ore 11,10».

3 Su tale colloquio si veda il D. 810.

4 In un discorso a Wiirzburg del 27 giugno, Hitler aveva preso motivo dalla mancata solidarietà delle altre Potenze dopo l'incidente del Leipzig per escludere in termini perentori che la Germania potesse ancora partecipare ad un sistema di controllo.

e della Germania. Ciò dovrebbe essere lasciato intendere dai nostri rappresentanti nel Comitato».

Da parte nostra, concordiamo. V.E. si regoli quindi in conseguenza mantenendo il più stretto contatto con Ribbentrop.

809

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4431/86 R. Varsavia, 28 giugno 1937, ore 17,10 (per. ore 20,30 del 29).

Ho incontrato signor Antonescu.

Conversazione naturalmente è caduta sui rapporti italo-romeni. Dopo i soliti luoghi comuni sull'affinità di razza e sulla simpatia del popolo romeno per l'Italia, Antonescu ha constatato come i rapporti fra i due Paesi fossero migliorati in questi ultimi tempi e come la situazione sembrasse matura per un accordo fra Roma e Bucarest sul tipo di quello intervenuto fra Roma e Belgrado.

Ho detto ad Antonescu che certamente la scomparsa di Titulescu dalla scena politica romena aveva chiarito la situazione e che anche a me sembrava il momento propizio per una più chiara collaborazione. Non mi nascondevo, però, come, dati i

"'!··.

rapporti dell'Italia coll'Ungheria, una intesa per essere efficace avrebbe dovuto sgomberare anzitutto il terreno da quel senso di malessere derivante dalla situazione di attrito fra la Romania e l'Ungheria.

Antonescu mi ha detto allora che la questione era molto delicata.

Gli ho risposto che me ne rendevo conto ma che non mi sembrava insolubile qualora da parte romena si fosse disposti ad un atto di buona volontà. Era infatti illogico stare ancora a discutere sul diritto di un Paese come l'Ungheria alla parità giuridica e, quanto alla questione delle minoranze, credevo che l'Ungheria sarebbe stata soddisfatta dal rispetto dei trattati.

Antonescu ha allora rilevato come effettivamente i rapporti coll'Ungheria fossero un poco migliorati in questi ultimi tempi. Anche Beck aveva spiegato a tal fine una amichevole attività. Esisterebbero però a Budapest ambienti intransigenti che costituiscono fra loro un serio ostacolo.

La Romania è convinta ormai che è difficile opporsi alla parità di diritto. Come avrebbe già fatto intendere a Budapest, sarebbe anche disposta a riconoscere tale parità. Senza farne una condizione esplicita si attenderebbe però che l'Ungheria a sua volta si dichiarasse disposta a concludere un patto di «non aggressione». Quanto alle minoranze, nessuno Stato potrebbe fare qualche cosa senza che prima intervenisse una opportuna preparazione dell'opinione pubblica che sarebbe soltanto possibile in seguito ad una distensione dei rapporti fra i due Paesi.

L'auspicato accordo fra Roma e Bucarest, secondo Antonescu, certamente contribuirebbe a creare una situazione di fiducia anche nei riguardi dell'Ungheria. In altri termini, Antonescu è tuttora dell'avviso che la conciliazione coll'Ungheria non dovrebbe essere una pregiudiziale di un accordo italo-romeno ma ne dovrebbe derivare come una logica conseguenza.

810

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4462/047 bis. Berlino, 28 giugno 1937 (per. ill luglio).

Dopo lungo colloquio con Ribbentrop (cui ha dato ordine rientrare Londra per seduta domattina alle Il), Neurath mi ha questa sera richiamato per mettermi al corrente di alcuni accordi presi con il suo ambasciatore circa Io «svolgimento pratico» della discussione (accordi evidentemente inspirati al desiderio di Ribbentrop di «smussare gli angoli»).

l) -Questione pregiudiziale. Fermo restando principio inammissibilità controllo cui non partecipino, né Italia, né Germania, Ribbentrop ha pensato che un modo elegante per rifiutare un controllo esclusivamente anglo-francese sarebbe quello di chiederne uno esclusivamente italo-tedesco, alle inevitabili obbiezioni degli altri replicando che Germania e Italia avrebbero ad un controllo anglo-francese stesse eccezioni che Francia e Inghilterra avrebbero ad un controllo esclusivamente italo-tedesco. A parte questo modo di «abbordare» la questione, niente di cambiato nella posizione da prendere sul fondo della questione stessa.

2) -Questione dei volontari. Ribbentrop ritiene impossibile evitare ogni e qualunque discussione su di essa, un'attitudine completamente negativa essendo suscettibile di causare una sicura, generale sollevazione antitedesca della pubblica opinione inglese ed internazionale. Senonché -pur rifiutando di abbordare il problema anche perché esso si trova già sull'agenda, ed anzi dichiarando non avere difficoltà ad accettare per esso come base di discussione quel qualunque progetto che gli organi tecnici avessero già approntato -il delegato tedesco farebbe osservare che, praticamente, non sarebbe possibile procedere nella discussione concreta del progetto fin quando la questione di cui al n. l -quella del controllo -non fosse preliminarmente e soddisfacentemente risolta. Con una tale procedura, mentre si eviterebbe ogni possibilità di pubbliche reazioni, si bloccherebbe ogni discussione di merito.

Richiesto da Neurath del mio pensiero sui due punti io ho risposto che:

l) -se il punto 1° si riduceva ad una forma più o meno «retorica» di argomentare, essa entrava nello stile e nel metodo che ciascuno dei partecipanti alla discussione riteneva maggiormente convenirgli. Ma: a) doveva essere inteso che esso non toccava in alcuna maniera la decisione e l'accordo di fondo e che b) questa decisione e questo accordo avrebbero dovuto essere dichiarati senza ambagi appena la discussione lo avesse richiesto, tanto più che non essendo da escludere che la presentazione del problema da parte anglo-francese sarebbe stata tale da non permettere un siffatto modo più o meno sarcastico di ritorsione.

2) -Quanto al 2° punto, ho dichiarato che non vedevo alcuna possibilità di transigere, la questione del controllo e della sua legittimità essendo fondamentale e pregiudiziale. Nessuna, dico nessuna altra questione avrebbe potuto anche soltanto essere abbordata e delibata senza e prima di quella. Un qualunque inizio, anche esclusivamente pro forma della discussione sul ritiro dei volontari, ci avrebbe irrimediabilmente compromesso.

A mia volta domandavo quindi a Neurath: a) di chiarire nel senso da me indicato le istruzioni già date a Ribbentrop sul primo punto; b) di rettificare senz'altro quelle date sul secondo. Ho anche insistito spetta~e agli altri e non a noi di trovare una soluzione all'impasse che non noi ma gli altri hanno creato.

Neurath ha trovato giuste le mie osservazioni e dato precise assicurazioni che avrebbe agito in conseguenza.

P.S. -Mando il presente telegramma per corriere, essendo nel frattempo riuscito a comunicare personalmente con V.E. 1• Nel suo più largo testo esso darà a

V.E. la sensazione delle «resistenze» in mezzo alle quali la questione spagnuola qui si svolge.

811

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4484/0199 R. Londra, 28 giugno 1937 (per. il ] 0 luglio).

Mio telegramma per corriere n. 0197 del 18 corrente2 .

Duca d'Alba mi ha informato che, avendo egli cercato farsi ricevere da primo ministro Chamberlain, questi gli ha fatto conoscere che nella presente situazione preferisce non incontrarsi con lui, in quanto ciò lo imbarazzerebbe e darebbe luogo a commenti e supposizioni che è preferibile evitare.

Alba si è tuttavia incontrato di nuovo con Hailsham, Hoare e Hore Be1isha. Hailsham e Hore Belisha si sono sempre mantenuti sulle generali ma hanno professato simpatia per governo Salamanca, aggiungendo essere stati favorevolmente impressionati dalla maniera nella quale è stato proceduto occupazione Bilbao. Hore Belisha, che com'è noto a V.E. è stato di recente nominato ministro della Guerra, ha detto a Alba che «malgrado ottimismo che addetto militare britannico presso autorità Valencia continua dimostrare circa possibilità difesa Madrid» egli è convinto che Franco vincerà.

Molto più interessante e sintomatico è quanto Duca d'Alba mi ha riferito circa suo colloquio con Sir Samuel Hoare. Hoare ha cominciato col dire che, sin dall'inizio della guerra civile, tutte sue simpatie sono state per i Nazionali. «Posizione governo britannico -ha aggiunto Hoare -è molto imbarazzante per ovvie ragioni di politica estera (leggi «intesa con la Francia») e di politica interna. Tuttavia anche nel Gabinetto correnti favorevoli Franco vanno rafforzandosi. Ostacolo maggiore è per governo britannico questione volontari sulla quale si è

l Vedi p. 1052, nota 2. 2 Vedi p. 819, nota l.

polarizzata attenzione opinione pubblica. Fin quando esistono, o in Inghilterra si suppone che esistano, ingenti forze italiane e tedesche che combattono per i Nazionali, sarà impossibile convincere opinione pubblica britannica che le vittorie di Franco sono vittorie del popolo spagnolo contro una minoranza comandata o illusa da Mosca. Per questo motivo -ha concluso Hoare -io vi prego di rivolgere un caldo appello al generale Franco perché faciliti successo recente iniziativa inglese circa ritiro parziale volontari e in genere non si opponga alle misure che potranno essergli proposte per un progressivo allontanamento dalla Spagna degli stranieri che si battono dalle due parti».

Duca d'Alba mi ha riferito che egli si è limitato a rispondere con frasi vaghe e che nell'informare Salamanca dei suoi colloqui con ministri inglesi avrebbe «messo opportunamente in guardia generale Franco contro ovvie manòvre che si celano dietro questi caldi appelli di Hoare» 1 .

812

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PRIVATA 2 . Berlino, 28 giugno 19373 .

Con mia lettera di oggi 4 ti ho messo al corrente della conversazione av'uta stamani con il Generale Goring. Desidero ora aggiungere, per Tua conoscenza, qualche considerazione ed impressione di carattere generale e qualche altro dettaglio sulla conversazione stessa.

Premetto una mia personale convinzione, creatasi a mezzo, vorrei dire, di un «consuntivo» dopo tre anni e mezzo di vita in terra tedesca [e dopo aver assistito a tanti momenti e a tante battute della vita politica della Germania nazionalsocialista: in definitiva le decisioni veramente essenziali sono tutte dovute al Fiihrer, il quale, al momento buono e spesso bruscamente taglia i nodi e traccia la nuova rotta. Tutto il resto non è altro che commento, interpretazione restrittiva o estensiva, o adattamento alle necessità del momento, di quelle linee generali da lui tracciate.

L'esempio di questi giorni è veramente classico. Alla vigilia dell'incontro von Neurath-Eden, mentre ovunque qui si accennava al riavvicinamento dei due popoli «cugini» e mentre, particolarmente in taluni corridoi della Wilhelmstrasse, si parlava apertamente del rinato spirito collaborazionistico [ ........ ].

1 Questo telegramma fu ritrasmesso a Salamanca con T. per corriere 1185 del 6 luglio con la seguente aggiunta: «l discorsi tenuti al duca d'Alba dai ministri Hore Belisha e Hoare fanno evidentemente parte di quella generale manovra che il governo britannico conduce da qualche mese per giungere a un preciso obiettivo: menomare la posizione militare del generale Franco attraverso il ritiro dei volontari italiani dalla Spagna. Metta in guardia codesto governo contro tale manovra e ne sorvegli da vicino e con la maggiore attenzione gli sviluppi».

2 Questo documento è stato fortemente deteriorato dall'umidità.

3 Manca l'indicazione della data d'arrivo.

4 Non rintracciata.

«A Londra si può essere persuasi di una cosa: le esperienze che abbiamo fatto questa volta sono per noi una lezione che non dimenticheremo mai. In casi simili noi prenderemo d'ora in avanti nelle nostre mani la difesa delle nostre libertà, della nostra indipendenza, dell'onore e della sicurezza della Nazione e ci proteggeremo da noi stessi. E grazie a Dio noi siamo oggi abbastanza forti per farlo. Noi abbiamo tratto da quanto è accaduto conseguenze che avranno effetto per il futuro. Le chiacchiere dei Parlamenti o degli uomini di Stato non ci potranno più in avvenire annebbiare la visione delle cose. Siamo guariti per sempre».

E ancora: «Ogni uomo può commettere errori ma soltanto i pazzi ripetono lo stesso errore due volte. Né io, né la Nazione tedesca abbiamo ora voglia di !asciarci attirare una seconda volta in questo pericolo». Ora per mesi assisteremo naturalmente a sforzi, da parte di organi in sottordine, intesi a rendere meno angolose e ferrigne quelle parole alle orecchie delle democrazie occidentali. Ma il fatto preciso resta e non muta. Così è esattamente avvenuto in passato per ogni decisiva scrollata al Trattato di Versailles, per l'uscita da Ginevra, per il riarmamento, per l'atteggiamento tedesco nel conflitto italo-etiopico, per la denunzia del Trattato di Locarno, per la rioccupazione della zona renana, per il bombardamento di Almeria.

In questa maniera, tutte le supposizioni, previsioni e interpretazioni dei così detti «ambienti diplomatici e giornalistici berlinesi» sono sempre ed improvvisamente sconvolte da questi atti di volontà. I quali, per il modo con cui sono tradotti in realtà, appaiono provenire da una concezione istintiva, per non dire str[avolta] di talune necessità del popolo tedesco [ ........ ] punto sotto la netta e palese influenza di quest'ultima decisione hitleriana.

Non ti nego che questa volta sono uscito dall'abitazione del Ministro dell'Aria del Reich con un cuore aperto al migliore e più profondo degli ottimismi! Da tempo infatti non lo udivo parlare con tanta sicurezza e con sì larga visione dei problemi che ci interessano. Mi sembra quindi utile riassumere qui appresso, in poche righe, i punti principali della conversazione.

l) Spagna. -La situazione va vista con sempre maggiore ottimismo. Le notizie portate in questi giorni da ufficiali tedeschi confermano come l'iniziativa, passata decisamente e si può dire definitivamente, nelle mani di Franco, dimostri come la causa dei Nazionali progredisca con sicurezza. La situazione al Nord si avvia alla sua felice soluzione. I soldati di Franco aumentano di numero e si dimostrano sempre più addestrati. Naturalmente i soliti inglesi, mentre da una parte insistono a non riconoscere a Franco la qualità di belligerante, dall'altra non mancano di trattare «per salvaguardare gli interessi britannici» (leggi miniere, monopoli, ecc.) con i Nazionali per mettersi al coperto al momento della vittoria definitiva di Salamanca. Ad un certo momento, a tale proposito, occorrerà far comprendere a Franco la necessità di non lasciarsi abbindolare dai gentiluomini d'oltre Manica, anche per non permettere che, ancora una volta, una grave contesa europea si risolva [ ........ ] rapporti anglo-tedeschi in un quadro di linee certamente non nuove ma che sembrava da molti mesi dimenticato. Mi sembra utile ripetere qui appresso le sue precise parole:

«È evidente che qualsiasi giusto tentativo espansionistico di Germania, Italia e Giappone sarà nettamente combattuto dall'Inghilterra. Questa comprende che un eventuale blocco di interessi e di azione di queste tre Potenze sarebbe infrangibile. Essa quindi lavora attivamente per impedirlo. A noi essa ci racconta come un'intesa anglo-tedesca sia possbile ed augurabile e come il pericolo in Europa sia l'Italia. A voi dice che i suoi nuovi armamenti sono rivolti unicamente contro la Germania e come un'intesa anglo-italiana, anche dopo l'Abissinia, sia fattibile e desiderata. Al Giappone dice che un'intesa in Oriente faciliterebbe il ritorno della tranquillità in Europa, turbata da Germania ed Italia. Ma in definitiva le carte inglesi non sono poi oggi tanto forti. L'Impero è ancora potente, ma piuttosto soggetto ad un processo di allontanamento dei suoi membri, particolarmente nei confronti dei problemi europei, anziché ad un processo di avvicinamento e di effettiva fusione. La Russia, dopo le recenti ed attuali convulsioni, è in condizione minorata nei confronti del 1935. La Francia è anch'essa in un momento difficile che ha una non favorevole ripercussione sui «trabanti» della Piccola Intesa. E infine, in Spagna, i Nazionali sono a Bilbao. Restano per l'Inghilterra le simpatie degli Stati Uniti. Ma anche la Confederazione nordamericana deve sorpassare difficoltà d'ogni genere». ·

Mentre il Generale parlava, pensavo alla circostanza che la settimana, che si è ieri chiusa, avrebbe dovuto segnare l'auspicato e proclamato riavvicinamento anglo-tedesco. È vero che il mio interlocutore è piuttosto pronto all'entusiasmo. Ma è anche vero che egli (il quale tra parentesi ha in questa settimana, cosa nuova, presieduto il Consiglio dei Ministri del Reich) è un buon termometro per misurare la temperatura di quegli ambienti, forse, e anzi certamente, meno dediti al culto delle tradizioni, ma indubbiamente così viventi ed [ ........ ]1.

813

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A LISBONA, MAMELI

T. 1147n3 R. Roma, 29 giugno 1937, ore 2,30.

Faccia sapere a codesto governo che:

lo -abbiamo molto aprrezzato sua decisione di sospendere l'autorizzazione accordata agli osservatori britannici sul suo territorio 2 . Decisione sospensiva che s'inquadra perfettamente con nostra linea di azione;

2° -situazione creata in seguito al ritiro della flotta italiana e tedesca dal sistema di controllo, forma attualmente oggetto di scambio di vedute fra governi Roma e Berlino;

3° -tali scambi di vedute non sono ancora giunti alla fase conclusiva. È stato comunque già posto in chiaro fra governi italiano e tedesco che nessuna

I II documento ha il visto di Mussolini.

2 La decisione del governo portoghese era stata comunicata al governo britannico il 28 giugno (il testo della nota è in DP, vol. IV, D. 1124).

decisione potrà essere adottata al di fuori del Comitato di non intervento, ( ove come è noto, Italia e Germania continuano ad essere rappresentate). Nessuna decisione potrà cioè essere adottata senza Italia, Germania e Portogallo;

4° -appena decisioni di massima saranno concretate ne informerò d'urgenza codesto governo, sulla cui attiva solidarietà facciamo, come sempre, affidamento.

814

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. 1148/476 R. Roma, 29 giugno 1937, ore 2,30.

Comunichi a codesto governo che situazione generale, creata dal ritiro delle flotte italiana e tedesca dal sistema di controllo, forma attualmente oggetto di scambio di vedute fra governi di Roma e Berlino.

Tale esame non è ancora giunto alla sua fase conclusiva. I due governi sono comunque sin da ora pienamente d'accordo sulla pregiudiziale che nessuna decisione relativa ad eventuali nuove sistemazioni del piano di controllo possa essere adottata al di fuori del Comitato di non intervento ove, com'è noto, Italia e Germania continuano ad essere rappresentate e, per esso, dalle quattro Potenze: Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia.

In via strettamente riservata informi poi Franco che intenderemmo, d'accordo con la Germania, approfittare dell'occasione per manovrare in modo che venga in via preliminare riconosciuta la qualità di belligerante al governo Nazionale. Tale riconoscimento potrebbe anche costituire la base su cui costruire, in un secondo tempo e con la nostra partecipazione attiva e quella della Germania, un nuovo accordo fra le Potenze.

815

IL MINISTRO A TEHERAN, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4438/67 R. Teheran, 29 giugno 1937, ore 18,30 (per. ore 5,45 del 30)

È confermato ormai che fra Iraq e Iran si è giunti ad un compromesso circa Shatt-al-Arab sulla base di cui al mio telegramma in data 26 corr. 1 Accordo sarebbe stato raggiunto in seguito a forti pressioni non soltanto turche ma anche inglesi.

I Non si è trovato nessun telegramma della legazione a Teheran su questo argomento.

Sono già stati convocati telegraficamente a Teheran ministri degli Affari Esteri Iraq 1 ed Afghanistan 2 per procedere in questi giorni alla firma del Patto a Quattro asiatico, che sarà preceduta dalla firma di una convenzione irano-irachena per lo Shatt-ai-Arab. Il signor Riistii Aras rimarrà pertanto a Teheran per un periodo indeterminato, non certamente minore di otto giorni per permettere al ministro degli Affari Esteri di giungere Teheran.

Nei discorsi pronunciati iersera al banchetto offerto da questo ministro degli Affari Esteri 3 al ministro degli Affari Esteri turco si è accennato ai due prossimi grandi avvenimenti: la firma del Patto e della Convenzione, che avrebbero non solo portata locale ma mondiale. Iraniani si mostrano molto soddisfatti registrare un guadagno concreto coll'ottenere come confine il tratto del fiume di fronte al porto di Abadan per una lunghezza di quattro miglia, mentre viene rinviata spinosa questione della Commissione e viene loro garantita dall'Iraq la piena navigabilità del fiume. Essi sono lusingati dal fatto che il Patto a Quattro sarà firmato a Teheran e che ministro degli Affari Esteri turco ha riconosciuto, col venire qui e col rimanervi tanto tempo, priorità iraniana nella conclusione del Patto stesso, per quanto in un primo tempo non si trattasse che di un patto Iraq-iraniano.

Non ho mancato di mettere in guardia questi circoli ufficiali sulle finalità ultime che si propone l'azione svolta dal signor Riistii Aras con tanta intensità e con non lieve sacrificio personale. Mi è stato risposto che è ben conosciuta qui la persona del ministro degli Affari Esteri turco nonché le sue smodate ambizioni ed il suo amore per l'intrigo, e che non si ignora che egli si varrà del Patto ai fini del suo prestigio personale in seno alla Lega delle Nazioni. Gli uomini di Stato persiani dichiarano, però, che il Patto qual'è oggi non assume alcuno speciale significato e meno ancora ne avrà, per essi, nella ipotesi di complicazioni internazionali. Quanto al ministro degli Affari Esteri turco si ammette qui che egli possa valersene in seno alla S.d.N., ma si aggiunge che nel prossimo settembre scade il termine della presenza della Turchia in seno Consiglio S.d.N. e si ritiene quasi sicuro che non vi sarà rieletta. Nei riguardi della Russia, si conferma qui che il ministro degli Esteri turco andrà da Teheran a Mosca per cercare rinverdire relazioni turco-sovietiche alquanto raffreddate ultimamente.

È mia impressione che Riistii Aras sta facendo doppio giuoco: [vuole] far credere ai persiani che il patto è salvaguardia della loro indipendenza nei riguardi del loro più pericoloso nemico che è la Russia e che egli sarebbe oggi alieno da qualsiasi ambizione alla frontiera occidentale iraniana e desideroso solamente di vedere gli Stati del Prossimo Oriente in pace secondo finalità Lega delle Nazioni; e a Mosca, far invece presente che il Patto a Quattro aumenta prestigio Lega delle Nazioni ed apporta concorso quattro Stati firmatari alla politica di pace societaria contro ogni eventuale mossa italo-tedesca.

I Naji al-Asi!. 2 Faiz Mohamed Khan. 3 Enatollah Samiy.

È sicuro che gli inglesi hanno spinto per la firma Patto anche a prezzo di qualche sacrificio sul Shatt-al-Arab per potersi sentire più liberi in caso di conflitto nel Mediterraneo. Né si può negare poi che il signor Riistii Aras ha servito egregiamente politica britannica in questa parte del mondo e che la fretta e energia da lui spiegata in questi giorni lasciano supporre che negli ambienti social-democratici si teme che avvenimenti europei possano precipitare.

816

IL MINISTRO A TEHERAN, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4444/68 R. Teheran, 29 giugno 1937, ore 20,30 (per. ore 12,40 del 30)

Sono stato ricevuto dal signor Riistii Aras 1 che mi ha trattenuto in lungo cordiale colloquio. Riassumo le sue dichiarazioni.

Nell'affrettare firma del Patto a Quattro egli intende completare sua opera di chiarificazione pacifica nel Mediterraneo di fronte alle incognite della situazione in Europa. Sebbene non vi fossero motivi temere che la pace potesse venire turbata fra i firmatari patto asiatico, tuttavia era bene togliere da principio frizioni esistenti, ad esempio fra Iraq e Persia, nonché riallacciare strettamente questa parte Asia sistema pacifico che oggi regna intorno Turchia, tanto più che a suo parere vera Asia comincia alla frontiera indiana dell'Afghanistan. Egli, atteggiandosi a paladino di una stretta intesa anglo-italiana, afferma che anche i signori Blum e Delbos lo hanno pregato di adoperarsi per un riavvicinamento italo-inglese nel Mediterraneo, non potendo essi agire apertamente per timore di compromettersi di fronte all'opinione pubblica britannica (sic) decisamente ostile all'Italia. Ritiene situazione spagnola preoccupante ma non minacciosa, essendo convinto che nessuno in Europa vuole una guerra che risulterebbe a beneficio netto di una sola nazione: la Russia, che sarebbe la meno impegnata e la più lontana dal conflitto. Non crede al sistema di controllo voluto da Londra, mentre ritiene che il ritiro dei volontari stranieri dalla Spagna, sarebbe unico mezzo di risanamento. Ha detto che le relazioni italo-turche sono le migliori possibili.

A più riprese ha fatto comprendere che il vero nemico è l'U.R.S.S. Ha però evitato di chiarire scopo suo prossimo viaggio a Mosca.

Ha detto che Turchia ritrae dal patto solo un aumento di forza morale e che anzi sarebbe stato suo interesse fare a meno di continuare a funzionare da arbitro nelle contese fra i firmatari dei patti bilaterali già esistenti.

l A Teheran per la firma del trattato di non aggressione tra Afghanistan, Iran, Iraq e Turchia (Patto di Saad-Abad).

Ha assicurato che Inghilterra è assolutamente desiderosa migliorare sue relazioni con l'Italia e si è attribuito merito aver indotto signor Eden a fare qualche tempo fa dichiarazioni di fedeltà al gentlemen 's agreement italo-inglese.

Colloquio mi ha confermato nelle impressioni da me esposte con il mio telegramma n. 67 1• A Riistii Aras è stata data come residenza da questo governo magnifica villa già appartenente precedentemente dinastia ed egli vi sta recitando ostentatamente la parte di grande moderatore dei destini di Europa e di Asia sotto la stretta sorveglianza di Ankara.

817

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4446/0197 R. Parigi, 29 giugno 1937 (per. il 30)

Telegramma di V.E. n. 3082 e mio telegramma n. 3063 .

Mi sono recato ieri da Léger e gli ho detto che sarebbe stato bene che il ministro Delbos non menzionasse più, come aveva fatto meco il 25 corr., la pubblicazione degli elenchi dei volontari italiani caduti combattendo in Spagna, perché l'accenno suddetto aveva prodotto una impressione molto sgradita a Roma. Era ora che si comprendesse a Parigi che la partita impegnata in Spagna era considerata da parte nostra come la difesa della civiltà europea contro il bolscevismo asiatico, cosicché sii rendeva doveroso onorare i volontari italiani caduti combattendo per la causa del fascismo. Esso sin dal suo glorioso inizio aveva infatti costituto l'argine che aveva arrestato il dilagare delle teorie di Mosca sulla vecchia Europa.

Léger rispose che, a quanto gli risultava, Delbos aveva menzionato meco la pubblicazione degli elenchi stessi nonché quella del numero degli aeroplani abbattuti dagli aviatori volontari italiani puramente per dedurne che poteva essere lecita la supposizione che l'Italia, dopo avere abbandonato il controllo navale lungo le coste spagnuole, intend,~sse abbandonare gli impegni assunti aderendo al principio di non intervento in Spagna. Egli non credeva che il signor Delbos si sarebbe espresso meco nei termini suddetti qualora fosse già stato pubblicato, allorché mi parlava, l'articolo del Popolo d'Italia del 26 corrente 4 che definisce in modo inequivoco la posizione assunta dal fascismo nella lotta che Franco ha intrapreso contro il governo spagnuolo. Non rimaneva che da prenderne atto, ancorché la cosa destasse molte preoccupazioni per le complicazioni che poteva

I Vedi D. 815.

2 Vedi D. 799.

3 Vedi p. 1040, nota 4.

4 Riferimento all'articolo di Mussolini «Il grido e la valanga» (testo in MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XVIII, pp. 212-214).

ingenerare. Egli ~ augurava che oggi a Londra prevalessero idee di moderazione e che si riuscisse ad uscire dalla situazione molto delicata in cui ci si trova da qualche giorno.

Dopo aver riflettuto qualche istante, Léger mi chiese poi se l'On. Farinacci fosse membro del Gran Consiglio del Fascismo. Alla mia risposta affermativa egli osservò che si doveva allora trarre le conseguenze dall'articolo che era stato recentemente pubblicato in Regime Fascista 1 , articolo «che aveva prodotto nei circoli politici francesi la più grande impressione e causato, gli spiaceva dirlo, il più doloroso stupore». Poiché in Italia il governo fascista suole coprire della propria responsabilità quanto viene pubblicato dalla stampa, esso non potrà essere sorpreso apprendendo che in Francia la portata dell'articolo del Regime Fascista era stata perfettamente intesa e che essa sarebbe stata tenuta presente nello stabilire la linea di condotta da adottarsi in conseguenza.

Ho fatto rilevare a Léger che l'articolo suddetto era stato oggetto di una smentita che aveva messo in chiaro come talvolta gli scritti degli uomini di Stato fascisti rispecchiassero solamente le loro opinioni personali.

Léger si augurò che così fosse realmente, osservò che le cancellerie diplomatiche continueranno come è naturale a lavorare esclusivamente sulla base di documenti ufficiali e non di articoli di giornali, anche se questi sono autorevolissimi. Ciò non toglieva peraltro che i circoli politici e parlamentari i quali traevano dalla stampa le fonti delle loro informazioni ne fossero influenzati in modo certo non favorevole nei riguardi della politica italiana.

818

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE Salamanca, 29 giugno 1937 4516/517 R. (per. il 2 luglio).

Il Comando Truppe Volontarie mi ha fatto tenere i due rapporti del capo dell'Ufficio Informazioni, che trascrivo: «26 giugno 1937 -N. 319 di Prot. -Trattative con baschi.

l) -Questa notte sbarcati, presso Algorta, due personaggi baschi incaricati dal governo Euzkadi di trattare:

-Rientro della popolazione civile in Biscaglia;

-Rientro dei feriti;

-Rientro dei militari;

-Rientro dei componenti del governo.

l Vedi p. 1036, nota 2.

Essi hanno dichiarato che sarebbero lieti di arrendersi a1l'Italia, come al vincitore.

2) -Rientro popolazione civile: è necessario avvenga prima della presentazione dei battaglioni perché in caso contrario le famiglie, rimanendo nel santanderino, sarebbero perseguitate. Potrebbe essere effettuato mediante piroscafi inglesi e francesi.

3) -Rientro feriti (circa 2.000). I più leggeri potrebbero rientrare con la popolazione civile. I più gravi resterebbero a Santander.

4) -Rientro militari. Si tratta di circa 45 battaglioni, fra nazionalisti ed estremisti. Si trovano, approssimativamente, lungo l'allineamento Santofia-Espinosa. Il loro spirito è depresso.

Ufficiali: (50 dell'esercito regolare; altri improvvisati) Franco dovrebbe dare garanzia all'Italia per la loro vita, ovvero una nave italiana dovrebbe trasportarli in Italia od altro Paese.

Truppa: Franco dovrebbe promettere di non arruolarla.

5) -Rientro componenti governo e capi politici: come per gli ufficiali.

6) -Come si vede la questione è complessa e di difficile soluzione. Ritengo però che convenga continuare nelle trattative, perché: si possono attingere utilissime informazioni; si possono ottenere, in ogni caso, risultati non disprezzabili di ordine politico e morale.

7) -Propongo pertanto: -Di continuare la discussione diretta per la difficile soluzione del problema materiale della presentazione dei baschi: per questo ho fatto chiedere che un esperto venga inviato presso di noi, ed a tale scopo mi reco a Saint Jean de Luz. La presenza dell'esperto, fra noi, ci potrà essere utile, ai nostri fini militari. -Di incaricare l'Autorità diplomatica di rappresentare la questione, nel suo complesso, a Roma ed a Franco: per questo bisognerebbe che il comm. Bossi venisse subito a Vitoria. Non è improbabile che Franco non accetti: ma assumerà lui la responsabilità del rifiuto, di fronte a Roma ed al mondo.

8) -Risulta che anche i santanderini non sono alieni dal trattare, che i nazionali sono già entrati in relazione con essi.

Bencini

27 Giugno 1937

-Parlato col canonico Onaindìa. Informatolo stato attuale trattative. Invitatolo telegrafare Aguirre perché mandi al più presto esperto incaricato definire particolari tecnici.

-Detto chiaramente a Onaindìa che le eventuali ulteriori trattative saranno proseguite dalla nostra Autorità diplomatica, che per prima cosa dovrà chiarire la questione con Franco. Firmato Bencini.

I suddetti rapporti del Maggiore Bencini hanno fatto oggetto del telegramma n. 78 del 26 giugno del R. Console in San Sebastiano diretto a codesto R. Ministero 1 . È mio subordinato avviso che le trattative siano destinate, come già quelle per Bilbao, a giungere ad un punto morto. Infatti, si presentano due ipotesi:

l) -Che le trattative vengano condotte all'insaputa di Franco. Ritengo che ciò non sia possibile, sia perché questioni tecniche si opporrebbero all'esecuzione dell'accordo (dovremmo rivelare ai baschi il punto dove faremo la concentrazione delle nostre forze e consentire che essi vi concentrino a loro volta i propri effettivi in vista di una eventuale resa), sia perché non è possibile condurre in modo assolutamente segreto trattative di tale ampiezza. Qualora poi si volesse ammettere la possibilità di mantenere il segreto, a mio giudizio un'azione all'insaputa di Franco non sarebbe opportuna perché ci esporrebbe in un secondo tempo a giustificabile risentimento degli spagnuoli.

2) -Mettere al corrente Franco e chiederne l'autorizzazione a trattare per suo conto.

Come è noto alla E.V., anche quando il problema di Bilbao si presentava non scevro di incognite, Franco ha cortesemente ma fermamente rifiutato ogni nostra offerta di mediazione e garanzia e non ha mai ammesso di trattare una resa condizionata. Oggi che gli avvenimenti hanno dato ragione al suo ottimismo -che poteva qualche tempo fa sembrare eccessivo -il Generalissimo sarà, a mio avviso, anche più intransigente. D'altro lato, anche nell'ipotesi favorevole dell'accettazione della garanzia da parte di Franco, essa si urterebbe in tali difficoltà di indole pratica che ci vedremmo costretti a rimetterei in modo assoluto alla buona fede dei dirigenti della Spagna Nazionale. E ciò, dopo l'esperienza di Malaga, crea per noi un grave problema di coscienza.

A quanto precede, occorre aggiungere un quesito di indole generale: se cioè sia nel nostro interesse, oggi che le nostre forze sono pronte materialmente e moralmente a scattare per un'azione che si annuncia brillantissima, venire ad un accordo con l'avversario senza neppure avere iniziato l'azione stessa. Dato che i nostri Comandi sono di opinione che oggi il nostro Corpo di spedizione ha raggiunto il livello di potenzialità che gli è consentito, non saprei rispondere affermativamente al quesito anzidetto.

D'altra parte, però, ritengo che una prosecuzione delle trattative in modo blando e dilatorio non potrà che giovarci perché, mentre servirà a rendere meno intensa la preparazione difensiva dell'avversario, ci consentirà di entrare in possesso di elementi politici e militari utilissimi ai fini di un'operazione militare su Santander. Inoltre, qualora la resa avvenga dopo l'inizio dell'attacco italiano, non sarà difficile dimostrare all'opinione pubblica mondiale che essa è il prodotto dell'attacco stesso.

Ciò premesso resto in attesa delle istruzioni che l'E.V. vorrà impartirmi circa l'opportunità di compiere un nuovo passo presso il Generalissimo, al quale per ora ho soltanto vagamente accennato ai contatti del Comando Truppe Volontarie con gli emissari baschi facendo presente che essi sono tenuti col precipuo intento di accertare la entità e il dislocamento delle forze avversarie.

t Vedi D. 797.

819

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 3142/1029. Berlino, 29 giugno 1937 1•

Profitto del primo corriere in partenza per aggiungere qualche impressione personale sugli sviluppi assunti qui dalla situazione spagnola in questi ultimi giorni.

Nella mia lettera -riservata -indirizzata alla E.V. in data 26 giugno n. 3101 2 ho già messo in evidenza e sottolineato il carattere «negativo» dell'attitudine tedesca e le sue ragioni. Questo carattere negativo si è, se è possibile, accentuato ultimamente ancora di più.

È ora evidente che l'uscita della Germania dal Comitato dei 4 fu concepita quasi come fine a se stessa e cioè come rimedio all'unica cosa che preoccupava: l'incidente del Lepzig, all'infuori di qualunque quadro e piano di insieme. La Germania, sperimentata la inanità della solidarietà internazionale, riacquistava, con la sua uscita dal Comitato dei quattro la sua libertà di azione di fronte a possibili incidenti futuri. Ma faceva questo con l'animus di sottrarsi alla stessa possibilità materiale di guai futuri e quindi alla necessità di reazioni violente da parte sua. Mentre voleva con la sua azione soddisfare il suo «onore» voleva, nello stesso tempo dare prova della sua moderazione e del suo pacifismo. Nel suo discorso di ieri Goring dipingeva la situazione e gli intenti della Germania così:

«s'il avait été besoin d'une nouvelle preuve de la volonté de paix de l'Allemagne, elle doi t ètre considérée comme donnée encore par l'attitude de l' Allemagne en face de la récente provocation de l'Espagne rouge. Après que l'Allemagne, par une riposte prompte et vigoureuse, eùt obtenu les satisfactions et l'expiation qui lui paraissaient indispensables, elle a gardé pleinement son calme et sa mesure et, par là, en un moment où il eùt été vraiment facile de créer de nouvelles complications dangereuses, elle a permis d'éviter de nouvelles secousses dans la situation internationale».

L'avvenire del controllo? La situazione risultante per Franco dall'assenza dell'Italia e della Germania? Queste sono domande che, specie in un primo momento, il governo tedesco non si è neanche posto. Quando fu deciso l'abbandono del Comitato qui si riteneva di potersi disinteressare di ogni ulteriore sviluppo dell'azione di controllo. Donde, l'idea che il posto abbandonato -dalla Germania in segno di sdegno e dall'Italia in segno di pura solidarietà -potesse essere -perché no? anche occupato da altri. L'Auswartiges Amt aveva già preparato istruzioni in questo senso a Ribbentrop e fu soltanto in seguito ad un mio intervento altrettanto rapido quanto energico (molto più energico di quanto non risulti dal mio telegramma n. 250 del 25 corrente)3 che esse vennero ritirate. Ancora ieri il barone von Neurath,

1 Manca l'indicazione della data d'arrivo. 2 Vedi D. 805. 3 Vedi D. 790.

fresco di una lunga conversazione con Ribbentrop, il quale a sua volta usciva da altra lunga conversazione col Fiihrer, mentre si faceva paladino dell'idea Ribbentrop di combattere un controllo anglo-francese con 1 [ ........ ] piuttosto che con la decisione, si domandava nuovamente se, dopo tutto non avrebbe potuto essere accettabile un controllo «neutro».

Ai miei richiami, Neurath si[........ ] immediatamente, ma tant'è, la sua opinione si appoggia, purtroppo, anche ad una situazione di fatto che per l'Auswartiges Amt si presenta quasi come inestricabile. Come è, infatti, possibile di insistere per una soluzione positiva e cioè per una rimessa in sesto del controllo a quattro quando il Fiihrer, parlando domenica a Niimberg 2 ~il fido Ribbentrop a fianco~ ha chiaramente fatto capire che nel controllo, una volta uscito, non ci vuoi più rientrare? Ecco esattamente le parole del Fiihrer:

«Se l'accordo del 12 giugno, ha aggiunto, si fosse manifestato efficace, avremmo forse potuto riflettere se non si fosse potuto continuare per questa via. Ma dopo che anche questo modesto accordo si è dimostrato in pratica inapplicabile, questo deve essere per noi un avvertimento per non trovarci a dover provare una consimile delusione più tardi in un caso forse più grave.

Ogni uomo può commettere errori, ha terminato il Cancelliere, ma soltanto i pazzi ripetono lo stesso errore due volte. Né io, né la nazione tedesca abbiamo ora voglia di !asciarci attirare una seconda volta in questo pericolo».

In questa situazione di impasse, Neurath ha avuto l'idea di un riconoscimento inglese della belligeranza di Franco come di un elemento suscettibile di creare situazioni nuove, a loro volta capaci di nuove soluzioni. L'idea non è cattiva ma e se non fosse realizzabile?

Siamo, quindi, in una fase in cui gli interessi nostri ~generali ~di Potenza mediterranea non collimano esattamente con quelli di una Germania preoccupata unicamente del proprio «incidente» e solo desiderosa di risparmiarsene di nuovi.

Se, quindi, finora l'iniziativa e l'azione è stata, e giustamente, tenuta dalla Germania in quanto principale interessata nei fatti e negli incidenti, ora invece che ~in conseguenza di quei fatti e incidenti e alle reazioni che ne sono derivate~ si è creata una situazione generale, in cui per ragioni politiche e geografiche la principale interessata diviene l'Italia, la iniziativa dell'azione deve necessariamente passare a noi. Ed è la Germania che ci deve seguire.

È questo, appunto, che io mi sforzo di far comprendere qui.

N.B. La tendenza tedesca ad evitare complicazioni è rafforzata dalla presenza a Berlino così del Congresso delle Camere di Commercio come del signor Mackenzie King. Questo è il rappresentante della corrente favorevole ad un riavvicinamento con la Germania largamente affermatasi tra i Dominions nella recente Imperia/ Conference. Donde il desiderio tedesco di mostrarsi ragionevoli 3 .

I Il documento è qui danneggiato dall'umidità: vi sono alcune parole incomprensibili. 2 Sic. Il discorso fu pronunciato Wiirzburg. Vedi p. 1052, nota 4. 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

820

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2684/1112. Londra, 29 giugno 1937 (per. il 2 luglio).

Mio rapporto n. 2669/110 l del 28 corrente1•

Come ho riferito con mio telegramma odierno n. 541 2 , la questione delle cosiddette «radiodiffusioni propagandistiche antibritanniche» delle stazioni italiane, ha fatto ieri oggetto di nuove interrogazioni alla Camera dei Comuni. Eden ha accennato a questo riguardo ai passi compiuti da Drummond a Roma 3 , nonché ad una successiva conversazione avuta con me sullo stesso argomento, dichiarando con l'occasione di «esser lieto di poter informare la Camera che il tono delle radiodiffusioni di Bari ha ultimamente mostrato un miglioramento». Rispondendo a interrogazione supplementare, Eden ha tenuto ad aggiungere che si rallegrava che la questione fosse stata sollevata «onde mostrare l'interesse che vi si annette in questo Paese».

Come ho informato nel mio fonogramma odierno n. 179 4 , alcuni giornali, tra cui in prima linea il Daily Express ed il Daily Herald, hanno tendenziosamente abbinato le dichiarazioni di Eden alla notizia di passi che sarebbero stati fatti da codesta ambasciata britannica nei riguardi di un recente articolo apparso su Regime Fascista. Su questo aspetto della questione ho già riferito con mio rapporto odierno

n. 2882/1111 5 . Trasmetto ora alcuni ritagli degli altri giornali i quali hanno riportato

o commentato le dichiarazioni di Eden.

821

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 2683. Londra, 29 giugno 1937.

Crolla, latore di questa mia, Ti illustrerZ. nei suoi dettagli la situazione, così come essa si è delineata dopo l'odierna seduta del Comitato di non-intervento,

I Riferiva che nel suo articolo di fondo il Sundar Time aveva attaccato le trasmissioni delle radio di Bari e di Milano attraverso le quali il governo fascista diffondeva «sentimenti antibritannici in tutto il Mediterraneo orientale e particolarmente in Palestina e in Egitto». La questione era stata portata anche ai Comuni. dove il governo aveva assicurato che erano allo studio delle misure per controbattere razione propagandistica dell'Italia.

2 T. 4421/541 R. del 29 giugno, non pubblicato. Il suo contenuto è qui riassunto.

3 Di tali passi non è stata trovata documentazione.

4 Fonogramma stampa. Non pubblicato.

5 Segnalava che alcuni giornali britannici avevano dato notizia di passi compiuti dalla ambasciata di Gran Bretagna a Roma per protestare contro la campagna antibritannica condotta dalla stampa e dalle radio italiane. Grandi osservava che, fosse vera o no la notizia, l'aver reso nota la cosa senza preventivo accordo violava «le regole più elementari della correttezza diplomatica».

1068 sulla quale Ti ho già informato con telegramma n. 5421 , e dopo le lunghe conversazioni che ho avuto nel pomeriggio di oggi e stanotte fino all'ora in cui Ti scrivo, con Ribbentrop.

Questa mia breve lettera è quindi solo diretta a rilevare alcuni punti fondamentali e a prospettarTi, nelle grandi linee, le possibilità per l'immediato avvenire, così come io le vedo. Dalle conversazioni che Tu hai avuto con von Hassell e delle quali mi hai messo cortesemente al corrente con telegramma per corriere aereo n. 11362 , ho anzitutto rilevato che il governo fascista ha fatto presente a quello tedesco che «la situazione di fatto nella quale ci siamo posti ritirando le nostre forze dal sistema di controllo risulta completamente a noi sfavorevole». Non vi è dubbio che la decisione tedesca di abbandonare la sorveglianza navale nelle acque spagnole e di gettare per aria quell'accordo a quattro fra le Potenze navali internazionalmente considerato come un successo delle due Potenze fasciste contro la Russia e la Francia, è stata un errore e che le conseguenze immediate di tale decisione, alla quale evidentemente noi non potevamo non associarci, sono state a nostro svantaggio tanto nel campo tattico quanto in quello strategico.

Come Tu hai giustamente fatto comprendere a von Hassell, si tratta ora di riparare a questo errore. Tu hai subito intuito la via giusta: avanzare al momento opportuno, nella debita maniera e senza dare la minima prova di debolezza, una proposta costruttiva e cioè lo studio di un nuovo sistema di controllo scevro di quelle imperfezioni che hanno condotto all'attuale crisi, nel quale l'Italia e la Germania avrebbero potuto riprendere il loro posto.

L'idea francese di conversazioni a quattro per studiare un nuovo progetto di sorveglianza marittima, idea che risulta tanto dal Tuo telegramma segreto n. 11373 quanto da una conversazione che l'ambasciatore tedesco a Parigi ha avuto due giorni fa al Quai d'Orsay, avrebbe potuto essere sfruttata egregiamente. Purtroppo questa soluzione sembra ormai scartata a priori dal governo tedesco in vista del fatto che il Fiihrer ha espresso direttive del tutto contrarie nel suo discorso di Wiirzburg4 . Quanto al riguardo ti ha telegrafato Attolico 5 mi è stato confermato e illustrato per ore intere da Ribbentrop che ha passato tre giorni in compagnia di Hitler e che mi ha ripetuto nella maniera più insistente e più categorica che «a nessun costo e per nessuna ragione la Germania intende partecipare di nuovo al controllo navale». Parlandomi di questo argomento e replicando alle numerose ed ovvie argomentazioni che io gli ho addotto a favore di un pacato riesame delle possibilità che negoziati per un nuovo schema di controllo che le Quattro Potenze

I T. 4425/542 R. del 29 giugno. Nel corso della seduta del 29 giugno, i governi francese e britannico avevano proposto al Comitato di assumere da soli la responsabilità del controllo navale intorno alle coste spagnole, accettando anche a bordo delle loro navi degli osservatori neutrali. L'ambasciatore Grandi si era impegnato a riferire la proposta al proprio governo ma aveva subito rilevato che la formula poteva apparire non equilibrata in quanto il controllo sarebbe stato esercitato da due Potenze che entrambe si erano rifiutate di riconoscere il governo di Salamanca.

2 T. segreto non diramare 1136 R. del 26 giugno, non rintracciato. Presumibilmente comunicava quanto era stato detto nel primo dei due colloqui avvenuti lo stesso giorno, per il quale si veda il D. 803.

3 T. segreto non diramare 1137 R. del 26 giugno, non rintracciato. Comunicava, probabilmente, il contenuto del secondo dei due colloqui avvenuti quel giorno tra Ciano e von Hassell, per il quale si veda il D. 804.

4 Vedi p. 1052, nota 4.

5 Vedi D. 790.

ci offrirebbero, Ribbentrop ha ripetuto più volte che Hitler è deciso a non rischiare per la questione spagnola nemmeno la più piccola unità della flotta tedesca. Alla mia finale osservazione che allora bisognava concludere che i comunisti di Mosca e di Valencia avevano col tentato siluramento del Leipzig ottenuto lo scopo prefissosi e cioè di schiantare l'accordo a quattro e di far ritirare le navi tedesche e italiane dal controllo delle coste spagnole in mano dei rossi, Ribbentrop non ha risposto. Egli ha soltanto ripetuto una cosa, dettami già durante le discussioni per l'incidente del Leipzig, quando io non potei fare a meno di manifestargli la mia sorpresa per la «stranezza» della proposta tedesca di consegna dei sottomarini di Valencia e Salamanca alle autorità inglesi di Gibilterra e cioè: «la preoccupazione essenziale del governo tedesco è che nessuna nave tedesca corra pericolo di essere attaccata nel Mediterraneo».

Scartata quindi l'ipotesi di un negoziato che apra la strada al ritorno dell'Italia e della Germania in un nuovo controllo navale delle Quattro Potenze (che, ripeto, sarebbe la soluzione migliore), resta l'idea che Tu hai avanzata e a cui Neurath ha accennato in maniera vaga nelle sue conversazioni con Attolico e cioè quella di sollevare in connessione con lo schema di controllo la questione del riconoscimento della qualità di belligerante a Franco.

La questione è complessa e offre evidentemente un gran numero di incognite. A ogni modo io vorrei fissare, salvo approfondirli come la serietà della questione impone, alcuni concetti preliminari.

Innanzi tutto è chiaro che sollevare il problema dei diritti di belligeranza significa sollevare il problema del riconoscimento della qualità di belligerante a entrambe le parti in conflitto in Spagna. Significa, cioè, doversi a un certo momento dichiarare disposti a riconoscere ai rossi di Valencia questa qualità.

Neurath si dice informato che a Londra non si sarebbe alieni da questo riconoscimento. Ribbentrop, da me interrogato, ha espresso un'opinione del tutto diversa da quella di Neurath e cioè che per ora gli inglesi non mostrano alcuna intenzione del genere. Io per mio conto ritengo che il governo britannico confida di poter negoziare un giorno il riconoscimento della belligeranza a Franco in cambio di una qualche contropartita che potrebbe riguardare il ritiro, sia pure parziale, dei volontari, o potrebbe anche eventualmente esser rappresentata dal salvataggio all'ultima ora dello schema di controllo. Non penso tuttavia che il governo britannico, come tale, abbia già formulato un'idea precisa al riguardo. Comunque, questo è detto in via incidentale.

Tornando alla questione principale e cioè come risolvere, data l'ostinazione tedesca a non accettare nessun controllo a quattro, la situazione presente, io mi domando se, il riconoscimento della belligeranza alle due parti non potrebe fornirci la via per una soluzione. Si potrebbe cioè sostenere davanti al Comitato che, decidendo contemporaneamente e unanimemente di riconoscere Salamanca e Valencia come belligeranti, le Potenze firmatarie dell'accordo di non-intervento vengono a rafforzare sostanzialmente questo accordo assumendo in maniera solenne tutti gli obblighi derivanti dalla posizione di Stati neutri. Inoltre, le due parti in conflitto, acquistando una speciale posizione giuridica internazionale, non potrebbero più commettere atti irresponsabili senza rischiare le più gravi conseguenze. Valencia e Salamanca cioè sarebbero impegnate a rispettare tutte le norme che regolano la guerra e i rapporti tra belligeranti e neutrali.

Il riconoscimento della belligeranza potrebbe essere connesso alla questione del controllo in due modi.

Un primo modo, e di gran lunga il migliore, sarebbe quello di affermare che dopo tale riconoscimento si verrebbe a determinare una situazione del tutto nuova nella quale sarebbe giustificato e anzi necessario il riesame dell'intero piano di controllo con la partecipazione dell'Italia e della Germania. Peraltro, in vista di tutto quello che Ribbentrop mi ha detto e di quanto Attolico riferisce sul suo colloquio con Neurath, appare assai improbabile che la Germania decida in un secondo tempo di abbandonare la posizione recisamente negativa che ha assunto nei confronti di ogni forma di controllo navale.

Un secondo modo sarebbe quello di sostenere che le pattuglie navali sono superflue dopo il riconoscimento della belligeranza. Si potrebbe cioè sostenere che il sistema di pattuglie era una specie di controllo di secondo grado rispetto a quello di primo grado rappresentato dall'imbarco di osservatori a bordo delle navi mercantili. Sarebbe quindi concepibile mantenere questa seconda forma di controllo rinunziando alla prima, in quanto i due belligeranti avrebbero il diritto di visita delle navi neutre in alto mare e eserciterebbe quindi su di esse una nuova forma di controllo. Inoltre, si potrebbe chiedere a Valencia e a Salamanca il solenne impegno di non molestare in alcun modo le navi che recano a bordo gli osservatori del Comitato.

Questi per sommi capi gli elementi che sottopongo al Tuo esame per una controproposta italiana e tedesca da presentarsi nella seduta di venerdì prossimo, dopo aver ufficialmente confermato la non accettazione da parte dei governi fascista e tedesco del piano di controllo anglo-francese presentato stamane e al quale io, appoggiato da Ribbentrop, ho già manifestato in via preliminare una chiara opposizione di principio.

Evidentemente tale controproposta italiana e tedesca, fondata sul riconoscimento della belligeranza, va studiata attentamente sia dal punto di vista giuridico che militare agli effetti di quelli che potrebbero essere in definitiva i vantaggi e gli svantaggi per il governo di Salamanca.

Io non ho avuto tempo di riflettere in un modo approfondito sulla questione; questo che io Ti espongo è il risultato di un esame sommario. Ma mi sembra chiaro che, a prescindere da ogni questione di dettaglio, la parte in conflitto che si avvantaggia del riconoscimento della qualità di belligerante, è quella che domina il mare. Presumo che Franco abbia sul mare una netta predominanza. Eden, nel suo discorso ai Comuni di venerdì scorso 1 , ha detto che Franco è sul mare infinitamente più forte delle autorità di Valencia, e ha tratto a conclusione che il riconoscimento della belligeranza alle due parti sarebbe a vantaggio di Franco. D'altra parte, lo stesso governo di Salamanca ha ormai posto la questione in un modo pubblico rivolgendo la domanda a tutte le Potenze, che ancora non lo riconoscono come governo legittimo, di essere considerato come belligerante e noi, a richiesta del governo di Salamanca, stiamo svolgendo un'azione per appoggiare tale domanda presso il governo e l'opinione pubblica britannica.

Queste idee io ho esposto a Ribbentrop, presente anche l'ambasciatore del Portogallo, Monteiro, il quale mi ha validamente appoggiato. In un primo momento Ribbentrop era perplesso sull'opportunità di presentare controproposte di carattere costruttivo. Egli mi ha detto che il governo tedesco era disposto a mandare a

monte l'intero schema di controllo anche a rischio del crollo completo dell'accordo di non-intervento per non troVarsi coinvolto improvvisamente in complicazioni europee derivanti da una questione mediterranea.

Ho replicato a Ribbentrop dicendo che ero perfettamente d'accordo con lui nel riconoscere l'inefficienza assoluta dell'attuale sistema di controllo sul quale io non ho mai nutrito fin dal principio alcuna illusione ma che ho sempre considerato come un utile paravento per la nostra politica di intervento in Spagna. «Nessun Governo ha creduto mai, ho continuato, che il controllo potesse essere veramente una cosa seria ed efficace ma tutti se ne sono serviti come una valvola di sicurezza per evitare o almeno allontanare i pericoli di complicazioni europee. Questi pericoli di cui la Germania tanto si preoccupa si ripresenterebbero in maniera più grave ove Italia e Germania assumessero la responsabilità, in questo momento di successi militari per i Nazionalisti spagnoli, di far crollare completamente il sistema di controllo che è diventato ormai una parte integrale dell'accordo di non-intervento».

Ribbentrop si è persuaso e, come Ti ho detto per telefono, spedisce stamani Woermann a Berlino allo scopo di sostenere la nostra tesi. A questo proposito desidero dirTi che durante queste ultime settimane Ribbentrop, nell'eseguire le istruzioni ricevute da Berlino (le quali molte, oserei dire troppe volte erano tutt'altro che felici ed intonate), ha fatto del suo meglio per adattare tali istruzioni a quanto io di volta in volta gli ho fatto presente sulla base delle Tue direttive.

Concludendo, ritengo che la situazione, pur essendo tutt'altro che facile, possa essere ripresa con un certo vantaggio da parte nostra se i tedeschi marcieranno. Per questo il Tuo intervento a Berlino è indispensabile. Ho già, durante le recenti discussioni a quattro per l'incidente del Leipzig, potuto constatare come l'atteggiamento tedesco sia stato raddrizzato a più riprese dalla Tua azione diretta su Berlino.

Mi permetto di insistere sull'opportunità, da Te così giustamente sottolineata, che per la seduta di venerdì mattina Italia e Germania si presentino al Comitato sottoponendo delle controproposte di carattere costruttivo. Se tali controproposte saranno accettate tanto meglio. Se verranno respinte, la responsablità della situazione non sarà nostra bensì delle Potenze che per ultime avranno detto di no, e cioè della Francia, dell'Inghilterra e della Russia.

l 23 giugno.

822

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE AD ADEN, CAMPINI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1145/40 R. Roma, 30 giugno 1937, ore 16.

Telegramma per corriere della S.V. n. 06 del 9 giugno 1•

l T. per corriere 4275/06 R. del 9 giugno. Riferiva che da parte britannica era stata avanzata al sultano Aiderus, della tribù Yafai, una serie di richieste fra cui la costituzione di un corpo di polizia sotto comando inglese e la costruzione sul suo territorio di tre campi di aviazione. Il console Campini aveva consigliato al sultano di assumere un atteggiamento dilatorio ed aveva prospettato al ministero l'opportunità di appoggiarlo discretamente.

Ringrazio V.S. per le informazini, di notevole interesse, fornite circa i rapporti fra le Autorità britanniche del Protettorato e il sultano Aiderus degli Y afai ed approvo l'azione da V.S. svolta. Conviene continuare, a mezzo di opportuno tramite, a mantenere -segretamente e senza compromissione di cotesto R. Consolato -contatti col suddetto sultano, dandogli la sensazione del nostro appoggio nel suo atteggiamento di opposizione alle richieste britanniche.

La possibilità di fargli pervenire armi e munizioni attraverso lo Yemen, dato che egli è isolato dal mare dalla tribù rivale dei Fadli, ligia agli inglesi, venne già esaminata da questo ministero al ricevimento del telespresso del R. Console a Gibuti

n. 1582 in data 30 maggio u.s. 1 inviato anche per conoscenza alla S.V. Ma il dottor Dubbiosi, attualmente in congedo in Italia, ha escluso che l'Iman possa consentire anche al semplice transito attraverso il suo Stato di armi destinate agli Y afai, con i quali l'Iman non ha buoni rapporti.

Allo stato delle cose il nostro aiuto al sultano degli Y afai si potrebbe eventualmente concretare in soccorsi in danaro. V.S. potrà quindi, continuando nei cauti contatti per interposta persona con detto sultano, giudicare in quale momento ed eventualmente a quali condizioni sia opportuno concedergli un nostro aiuto concreto avanzando proposte a questo ministero per l'autorizzazione della relativa spesa, che occorrerà mantenere in limiti discreti.

Con l'occasione, questo ministero assicura la S.V. che la questione della recente attività britannica verso le tribù della costa meridionale dell'Arabia e del suo hinterland,-circa la quale V.S. ha riferito con numerosi, esaurienti e documentati rapporti e notiziari per i quali La elogio -viene seguita con ogni attenzione da questo ministero, il quale si rende conto dell'importanza di essa e si riserva in proposito ulteriori comunicazioni.

823

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4466/555 R. Londra, 30 giugno 1937, ore 21,34 (per. il 2 luglio).

Mio telegramma n. 548 2 .

Ho preso stamane nuovamente contatto con Ribbentrop per studiare con lui comune linea di condotta nella questione ritiro volontari, che tornerà in discussione nella seduta di venerdì mattina.

I Non rintracciato.

2 T. 4454/548 R. del 30 giugno. Grandi riferiva che von Ribbentrop, pur rilevando che la questione spagnola era «una questione mediterranea e quindi di interesse prevalentemente italiano», gli aveva dichiarato che avrebbe appoggiato «in nome della solidarietà generale dell'asse Roma-Berlino» la linea di condotta dell'Italia, sia di fronte alle proposte anglo-francesi per il controllo, sia nella questione dei volontari. Von Ribbentrop aveva pero escluso in modo assoluto che la Germania fosse disposta a rischiare le proprie navi per partecipare ad un nuovo sistema di controllo.

Ribbentrop mi ha precisato che sue istruzioni sono le seguenti:

l) Piena armonia i tal o tedesca nella questione.

2) Se e quando governo italiano si dichiarerà disposto a fare altrettanto, dire che governo tedesco è pronto accettare come base di discussione relazione degli esperti (documento numero 525).

3) Contemporaneamente tale accettazione di massima, dichiarare che governo tedesco non vede, almeno per ora, utilità discutere proposta del ritiro parziale e preliminare di un ugual numero di volontari stranieri dalle due parti, avanzata da Plymouth a nome del governo britannico.

Ribbentrop ha osservato che, a suo avviso, se accettassimo nella seduta di venerdì rapporto degli esperti come semplice base di discussione e con ogni più ampia riserva, questo non impegnerebbe in alcun modo nostri governi ad approvare in via definitiva un qualsiasi piano di ritiro dei volontari. «Tale accettazione avrebbe invece vantaggio di farci uscire da una posizione puramente negativa che -ha soggiunto Ribbentrop -non credo possa essere mantenuta».

Ho risposto a Ribbentrop che avrei informato V.E. di quanto egli mi aveva detto. Ho ripetuto che sulla questione volontari attitudine italiana è intransigente e netta. Circa opportunità da Ribbentrop progettata di accettare venerdì a scopo tattico il rapporto degli esperti come base di discussione, ho fatto ovvie riserve. Ho aggiunto che restava naturalmente inteso che nella prossima seduta, quindi, tanto io quanto lui avremmo, secondo precedenti accordi, parlato fermo e chiaro contro manovre dirette a fare della questione ritiro volontari pietra di paragone della lealtà singole Potenze nei riguardi accordo non intervento. Io intendo imperniare nostra opposizione su ovvia impossibilità discutere questione fintanto che non sarà costituito nuovo più efficace controllo.

Ribbentrop mi ha confermato che appoggerà mie dichiarazioni in tal senso.

824

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 4447/0196 R. Parigi, 30 giugno 1937 (per. stesso giorno).

Mi risulta in via confidenziale che, nei loro colloqui con diplomatici stranieri, i funzionari del Quai d'Orsay si esprimono negli ultimi giorni nei termini seguenti che rispondono evidentemente a direttive che hanno ricevuto:

L'atteggiamento assunto dall'Italia e dalla Germania ritirandosi dal controllo marittimo delle coste spagnuole ha causato e causa apprensioni in tutte le Cancellerie. Le notizie che pervengono al Quai d'Orsay dalle varie capitali consentono a quest'ultimo di ritenere che si vada facendo strada l'opinione che sia oggidì l'Italia ad assumere la parte di «incitatrice» ad un conflitto.

Il Quay d'Orsay scorse all'inizio della guerra civile in Spagna il pericolo come proveniente dalla Germania. Esso· si rese conto nell'agosto scorso che il Reich si era buttato nell'avventura spagnuola con il proposito deliberato di condurre le cose in modo da rendere inevitabile un conflitto mondiale, ma al tempo stesso di non apparire esso medesimo come lo Stato aggressore. L'Italia, uscita allora dal conflitto etiopico, aveva seguito la Germania sia per rancore nei riguardi degli Stati liberali e societari, sia perché riteneva facile l'impresa in Spagna. Senonché tre mesi erano bastati per modificare le idee della Germania. Essa aveva dovuto infatti fare un certo numero di constatazioni che avevano demolito l'edificio ideologico costruito alla leggera. In primo luogo, aveva realizzato che la Francia non si lascia così facilmente bolscevizzare, in secondo luogo, constatato che l'amicizia franco-britannica, anziché rilassarsi, si era consolidata al punto da costituire oggi un blocco saldissimo; in terzo luogo aveva riconosciuto l'errore commesso nel presumere soverchiamente delle proprie armi moderne e degli effetti distruttori dell'aviazione. Realizzato che la guerra vittoriosa in sei settimane (la sola che la Germania potrebbe fare dato lo stato delle proprie finanze e la mancanza di materie prime) era un'utopia e che era stato un grave errore contare sulla debolezza della Francia e sulla poca consistenza dell'amicizia tra Parigi e Londra, la Germania si era disinteressata della Spagna che per essa non poteva più avere una finalità ben determinata. L'Italia non l'aveva peraltro seguita in questo processo mentale, aveva anzi insistito su Berlino perché il Reich non abbandonasse la partita, ancorché dando ad essa molto minor contributo d'uomini che il fascismo. Dopo Guadalajara, l'Italia si era irrigidita nella sua intransigenza, aveva, talvolta con difficoltà, dovuto agire su Berlino perché il Reich si mostrasse più interessato alle cose di Spagna e in queste ultime settimane, dopo la caduta di Bilbao, aveva assunto una vera e propria azione istigatrice che poneva di nuovo a repentaglio la pace del mondo. I portavoce del Quai d'Orsay aggiungono che, in tale stato di cose, si rende più che mai necessaria l'azione moderatrice delle due Potenze liberali dell'occidente d'Europa che, sorrette moralmente dagli Stati Uniti, persevereranno nella politica ufficiale di «non intervento» che a loro giudizio diede sin qui ottimi risultati, permettendo loro, senza esporsi eccessivamente, di tutelare quelli che sono i loro interessi vitali che non potrebbero venir lesi impunemente.

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APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI {1° gennaio -30 giugno 1937)

MINISTRO

CIANO DI CoRTELLAZZO Galeazzo, ambasciatore.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

BASTIANINI Giuseppe, ambasciatore.

GABINETTO

Coordinamento generale -Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro -Rapporti con la Rea! Casa, con la Presidenza del Consiglio e col P.N.F. -Relazioni del ministro col Parlamento e col corpo diplomatico -Udienze -Tribuna diplomatica.

Capo di gabinetto: DE PEPPO Ottavi o, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Vice capo di gabinetto, capo della segreteria particolare del ministro: ANFUSO Filippo, primo segretario di l a classe.

Ufficio del gabinetto: CARuso Casto, console di 2a classe; LANZA o'AmTA Blasco, console di 3a classe; SETTI Giuseppe, console di 3aclasse, dal 18 gennaio; SoLARI Pietro, MoscATO Niccolò, vice consoli di la classe; DE BosoARI Girolamo, vice console di la classe (dal 20 febbraio console di 3a classe), dal 16 febbraio; CARACCIOLO Filippo, vice console di 2a classe; CLEMENTI Raffaele, vice console di 2a classe, fino allO febbraio; GENTILE Be'nedetto, vice console di 2a classe, fino al26 gennaio.

Ufficio della segreteria: NICHETTI Carlo, console di 2a classe; SANFELICE Antonio, vice console di la classe; BELLIA Franco, vice console di 2a classe (dal 20 febbraio di l a classe); MARIENI Alessandro, vice console di 2a classe.

Studi e ricerche: VIDAU Luigi, console generale di 2a classe.

Segreteria particolare del sottosegretario: AssETTATI Augusto, console di 2a classe; PuRI PURINI Giuseppe, addetto consolare.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari Franchigie in materia doganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di capi di Stato, principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere.

Capo ufficio: VIOLA Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Segretari: CITTADINI Pier Adolfo, primo segretario di l a classe; MACCHI DI CELLERE Pio, primo segretario di 2a classe; SALLIER DE LA TouR CoRIO Paolo, primo segretario di 2a classe, dal 12 maggio; GuERRINI MARALDI Agostino, console di 2a classe (dal 20 febbraio di l a classe).

UFFICIO DI INTENDENZA

Archivio storico -Biblioteca -Pubblicazioni di carattere amministrativo Custodia e manutenzione della sede del ministero -Servizi automobilistici e telefonici -Disciplina del personale di servizio.

Capo ufficio: TosCANI Angelo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Addetto all'ufficio: U GOLINI Guido, primo commissario consolare.

Archivio storico

Direttore: N.N.

Biblioteca

Bibliotecario: PIRONE Raffaele.

Vice bibliotecario: N.N.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI DI EUROPA E DEL MEDITERRANEO

Direttore generale: BuTI Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe. Vice direttore generale: GUARNASCHELLI Giovanni Battista, console generale di l a classe. Addetti alla direzione generale: GALLI Guido, console generale di 2a classe; Bossi Carlo, console generale di 2a classe, fino al 3 aprile.

UFFICIO I

Belgio -Danimarca -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Spagna -Stati baltici -Stati scandinavi -Svizzera -Unione delle repubbliche sovietiche socialiste.

Capo ufficio; PRUNAS Renato, primo segretario di l a classe. Segretario: EMO CAPODILISTA Gabriele, vice console di l a classe.

UFFICIO II

Austria -Bulgaria -Cecoslovacchia -Grecia -Jugoslavia -Romania -Turchia -Ungheria -Affari concernenti le isole italiane dell'Egeo.

Capo ufficio: DE PAOLIS Pietro, primo segretario di P classe, dal 19 gennaio.

Segretari: lANNELLI Pasquale, primo segretario di l a classe, fino al 18 febbraio; AMBROSETTI Gino, primo segretario di 2a classe; WINSPEARE GrncciARDI Vittorio, addetto consolare.

UFFICIO III

Mediterraneo -Paesi del Mediterraneo e del Mar Rosso -Africa Orientale Italiana.

Capo ufficio: GuARNASCHELLI Giovanni Battista, predetto.

Segretari: ZoPPI Vittorio, consigliere; CATTANI Attilio, console di 2a classe, fino al 25 aprile; n'AQUINO Alfonso, vice console di la classe; PROFILI Giacomo, addetto consolare.

UFFICIO IV

Albania

Capo ufficio: GuiDOTTI Gastone, primo segretario di 2a classe, reggente.

Segretari: ARcHI Pio Antonio, console di 3a classe; CAPPELLANI DELLA FORMICA Raffaele, console di 3a classe, dal1'8 marzo.

UFFICIO V

Affari con la Santa Sede.

Capo ufficio: BELLARDI RICCI Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretario: TosCANI MILLO Antonio, addetto consolare, fino al 4 giugno.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI

Direttore generale: GRAZZI Emanuele, console generale di la classe.

Vice direttore generale: PoRTA Mario, consigliere; BoNARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, consigliere, dal 24 febbraio.

UFFICIO I

Africa (eccetto i paesi di competenza di altri uffici).

Capo ufficio: PORTA Mario, predetto. Segretario: N.N.

UFFICIO Il Asia (eccetto i paesi di competenza di altri uffici) -Oceania. Capo ufficio: BABUSCIO Rizzo Francesco, primo segretario di 2a classe, fino al 5

gennaio; BONARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, consigliere, dal 24 febbraio. Segretario: FERRETTI Raffaele, console di 2a classe.

UFFICIO III

America del Nord

Capo ufficio: SILENZI Renato, consigliere. Segretario: N.N. UFFICIO IV

America latina

Capo ufficio: RULLI Guglielmo, primo segretario di la classe. Segretario: T ALLARIGO Paolo, addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI

Direttore generale: VITETTI Leonardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Vice direttore generale: PIETROMARCHI Luca, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Addetti alla direzione generale: BovA ScoPPA Renato, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe; RAINERI BISCIA Giuseppe, ammiraglio di divisione; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nell'Università di Roma; Bosco Giacinto, professore ordinario di diritto internazionale nell'Istituto superiore di scienze-politiche e sociali Cesare Alfieri di Firenze.

UFFICIO I

Società delle Nazioni

Capo ufficio: PIETROMARCHI Luca, predetto.

Segretari: NARDI Luigi, console di la classe; MALASPINA Folchetto, primo segretario di 2a classe; PLETTI Mario, console di 3a classe; BETTELONI Giovanni Lorenzo, vice console di 2a classe, fino al 12 gennaio; ALOISI DE LARDEREL Folco, vice console di l a classe; GHENZI Giovanni, CONTARINI Giuseppe, addetti consolari.

UFFICIO II

Istituti internazionali e conferenze

Capo ufficio: GRAZZI Umberto, primo segretario di l a classe.

Segretario: SPALAZZI Giorgio, primo segretario di 2a classe.

UFFICIO III

Trattati ed atti

Capo ufficio: LANZARA Giuseppe, console di l a classe.

Segretari: LANZETTA Umberto, console di 2a classe; MATACOTTA Dante, addetto consolare, fino al 31 gennaio.

UFFICIO IV Coordinamento militare,. navale ed aeronautico -Affari riservati.

Capo ufficio: GERBORE Pietro, primo segretario di 2a classe.

Segretari: SEGANTI Vittorio, console di 3a classe; Russo Augusto, addetto consolare; BEVILACQUA Michele, segretario capo dell'emigrazione; CoRsi Fernando, primo segretario dell'emigrazione.

UFFICIO V

Storico-diplomatico

Ricerche e studi su materie storiche e questioni internazionali -Schedari -

Ruhrìche -Pubblicazioni di carattere storico-diplomatico -Sezione geografica.

Capo ufficio: DI GIURA Giovanni, consigliere.

Segretari: DI RovASENDA Vittorio, primo segretario di Ja classe; ToRNIELLI DI CRESTVOLANT Carlo Cesare, console di F classe; 0RSINI RATTO Mario, console di Ja classe, fino all'8 marzo; WIEL Ferdinando, console di 2a classe, dal 18 gennaio; CHASTEL Roberto, console di 3a classe, fino al 3 gennaio.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI COMMERCIALI Direttore generale: GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipoten

ziario onorario con rango di l a classe, consigliere di Stato, senatore. Vice direttore generale: CALISSE Alberto, console di I a classe. Addetti alla direzione generale: VAGNETTI Leonida, consigliere dell'emigrazione di

2a classe; DEI MEDICI Ugo, vice intendente di finanza.

UFFICIO I

Affari generali -Comunicazioni aeree, terrestri e marzttzme Fiere, congressi, esposizioni.

Capo ufficio: MoscA Bernardo, primo s.egretario di ta classe.

Segretari: BERTUCCIOLI Romolo, console di la classe; RoTINI Ambrogio, console di 2a classe (dal 20 febbraio di l a classe).

UFFICIO II

Commercio coi paesi d'Europa e del Mediterraneo

Capo ufficio: CALISSE Alberto, predetto. Segretario: SCAGLIONE Romolo, console di 2a classe.

UFFICIO III

Commercio transoceanico

Capo ufficio: SANTOVINCENZO Magno, console di I a classe, fino al I 7 maggio.

Segretari: SIMONE Nicola, console di 3a classe; FoRINO Lamberto, commissario consolare.

Centro di coordinamento dei servizi commerciali delle regie rappresentanze

Capo ufficio: MATTIOLI Enrico.

Segretari: BENZONI Giorgio, console di la classe; LoGOLUSO Antonio, vice console di l a classe.

DIREZIONE GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO

Direttore generale: PARINI Piero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Vice direttore generale: DE Cieco Attilio, console generale di P classe.

Addetti alla direzione generale: CAROSI Mario, console di l a classe, fino a febbraio; CUNEO Giovanni Battista, console di la classe, dal 7 giugno; Nuccio Alfredo, console di 2a classe; SIRCANA Leone, console di 3a classe, fino al 15 febbraio; BENEDETTI Dante, sostituto procuratore generale di Corte d'appello.

Vice segretario generale dei Fasci all'estero: THAON DI REVEL Ignazio.

Ispettore dei Fasci all'estero: BASILE Carlo Emanuele.

UFFICIO I

Organizzazioni fasciste e istituti di cultura

Capo ufficio: DE Cieco Attilio, predetto.

Segretari: NOBILI VITELLESCHI Pietro, console di l a classe; MININNI Marcello, addetto consolare; TEDESCO Pietro Paolo, segretario capo di ragioneria dell'emigrazione; FLAMINI Pietro, primo segretario dell'emigrazione.

UFFICIO II

Affari privati

Capo ufficio: CAFFARELLI Filippo, consigliere.

Segretari: ToNI Piero, consigliere, dal 6 febbraio; FoRMICHELLA Giovanni, Busi Gino, consoli di 2a classe; BARBARISI Guglielmo, console di 2a classe, dal 14 giugno.

UFFICIO III

Scuole all'estero

Capo ufficio: N I COLAI Lorenzo, console di l a classe; CAROSI Mario, console di l a classe, dal l o marzo.

UFFICIO IV

Lavoro italiano all'estero

Capo ufficio: GERBASI Francesco, consigliere dell'emigrazione di l a classe.

Segretari: MAsi Corrado, consigliere dell'emigrazione di 2a classe; MANCA Elio, segretario capo dell'emigrazione; CANNONE Nicolò, VACCHELLI Alessandro, IMMIRZI Alfonso, primi segretari dell'emigrazione.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE E DELL'AMMINISTRAZIONE INTERNA

Direttore generale: LEQUIO Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Vice direttore generale: BERGAMASCHI Bernardo, consigliere.

Addetti alla direzione generale: ALBERTAZZI Enrico, presidente di sezione della Corte di cassazione; MARZIANI Luigi, MONTESI Giuseppe, consiglieri dell'emigrazione di l a classe; EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti dal Ministero degli affari esteri -Personale consolare di seconda categoria-Uffici diplomatici e consolari all'estero -Ispezioni degli uffici all'estero -Questioni che si riferiscono all'ordinamento del ministero e delle carriere diplomatica, consolare e degli interpretiConcorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento, consigli, commissioni e comitati presso l'Amministrazione centrale-Addetti militari, navali, aeronautici, commerciali, per la stampa e loro uffici -Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini del personale -Passaporti diplomatici, di servizio e ordinari, libretti e richieste ferroviarie per il personale Rapporti con il P.N.F, la M. V.S.N. e le Amministrazioni dello Stato, per quanto riguarda il personale dipendente dal ministero degli Affari Esteri.

Capo ufficio: BERGAMASCHI Bernardo, predetto.

Segretari: DANEO Silvio, console di 2a classe; SILJ Francesco, console di 3a classe; GIRETTI Luciano, addetto consolare.

UFFICIO II

Personale dei gruppi B e C e personale subalterno delle carriere dipendenti dal ministero degli Affari Esteri, escluso il personale delle scuole italiane all'estero. Concorsi, nomine e ammissioni-Commissione di avanzamento e consigli del ministero, ed in generale tutte le questioni relative alla carriera e all'ordinamento del personale suddetto -Bollettini che si riferiscono al personale stesso -Personale di ogni gruppo appartenente ad altre Amministrazioni e comandato presso il ministero degli Affari Esteri -Personale avventizio in servizio presso l'Amministrazione centrale e gli uffici dell'emigrazione nel regno -Personale locale in servizio presso le regie rappresentanze diplomatiche e consolari.

Capo ufficio: FECIA DI CossATO Carlo, primo segretario di la classe.

Segretario: N.N.

UFFICIO III

Edifici demaniali

Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad uso dell'Amministrazione centrale e dei rr. uffici all'estero -Acquisto, vendita, affitto, permuta, manutenzione ordinaria e straordinaria, miglioramento e arredamento Assicurazioni, inventari e contratti -Locazioni di immobili e locali per uso dei rr. uffici Questioni concernenti la nuova sede per il Ministero degli Affari Esteri.

Capo ufficio: AssERETO Tommaso, consigliere.

Segretario: N.N.

Addetto all'ufficio: PIGNOCCHI Gino, geometra capo del corpo del genio civile.

Sezione tecnica

DI FAUSTO Florestano, esperto tecnico.

UFFICIO IV

Servizi amministrativi

Capo ufficio: RINVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari, fino al 17 maggio.

Segretari: AGOSTEO Cesare, capo sezione dei commissari consolari; LEONINI PIGNOTTI Augusto, CERACCHI Giuseppe, commissari consolari capo; SPATAFORA Gaetano, primo commissario consolare.

Addetti all'ufficio: PAZZAGLIA Gino, capo sezione di ragioneria dell'emigrazione; RENGANESCHI Vittorio, BLANDI Silvio, segretari capo di ragioneria dell'emigrazione; PIRODDI Mario, primo segretario di ragioneria dell'emigrazione.

Cassa

BoNAVINO Arturo, capo sezione dei commissari consolari, cassiere; RoTA Armando, segretario di ragioneria dell'emigrazione.

UFFICIO V

Corrispondenza e archivi -Tipografia riservata

Organizzazione, sorveglianza degli archivi -Corrispondenza in arrivo e in partenza: accettazione, registrazione, spedizione ecc. -Controllo del carteggio degli uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti -Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: GROSSARDI Antonio, console generale di l a classe.

Segretario: GoBBI Giovanni, console di l a classe.

Tipografia riservata

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO VI

Cifra

Capo ufficio: RoNCALLI Guido, consigliere.

Segretari: Rossi Paolo Alberto, CANNICCI Achille Angelo, consoli di laclasse; Buzzi GRADENIGO Cesare Pier Alberto, ZAsso Francesco, consoli di 2a classe; EYNARD Carlo, SCHININA' Emanuele, consoli di 3a classe; PORTANOVA Ettore, primo segretario dell'emigrazione; GRANDINETTI Eugenio, vice consigliere d eli 'emigrazione.

Addetto all'ufficio: ANTINUCCI Umberto, maggiore di artiglieria.

RAGIONERIA CENTRALE 1

Direttore capo della ragioneria: GIANDOLINI Romolo (F).

1 Il personale contrassegnato con la lettera «F» fa parte dei ruoli del ministero delle Finanze. quello contrassegnato con la sigla « Em. » fa parte dei ruoli del ministero degli Affari Esteri proveniente dal soppresso Commissariato generale dell'emigrazione.

DIVISIONE I

Personale -Affari generali -Esame dei provvedimenti da sottoporre al ministero delle Finanze ed in genere di tutti quelli aventi comunque effetti finanziari -Riassunto degli elementi per la preparazione degli stati dì previsione dell'entrata e della spesa e relative variazioni -Conto consuntivo, parte finanziaria e parte patrimoniale -Esame degli inventari -Competenze e pensioni relative a tutto il personale dipendente dal ministero degli Affari Esteri escluso quello delle scuole italiane ali 'estero e quello del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Riscontro del giornale di cassa per le gestioni di bilancio ed extra bilancio -Conto corrente infruttifero col Tesoro dello Stato -Partitario dei depositi ricevuti dai privati -Contabilità speciale -Registrazione dei valori provenienti dall'estero, sia direttamente sia a mèzzo banche corrispondenti -Riscontro dei valori non monetari e degli effetti in deposito presso il cassiere del ministero -Operazioni relative al finanziamento dei rr. uffici all'estero, accettazione delle tratte emesse dai titolari di essi e registrazione delle aperture di credito -Conto corrente con il contabile del Portafoglio e conti dei relativi capitoli di entrata e di spesa della categoria movimento di capitali -Tenuta dei conti impegni relativi ai servizi suddetti -Emissione e registrazione dei mandati -Archivio.

Direttore capo della divisione: BARTOLINI Luigi (F).

Capo sezione: MoNTUORI Pietro (F).

Segretari: PALUMBO Francesco (F), BARDI Donatello (F), consiglieri; Tosr Emilio (F), primo segretario; OccHIONERO Matteo (F), AGRo' Giuseppe, vice segretari; URBANI FALLANI Velia, (F), ragioniere.

DIVISIONE II

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate disposte dalla legge e dal regolamento dell'emigrazione -Scritture generali e speciali -Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento -Liquidazione delle competenze ai rr. commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori -Liquidazione ed approvazione delle contabilità per le spese relative all'emigrazione-Inventario-Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero-Locali scolastici e demaniali all'estero-Gestioni speciali e scritture relative-Revisione, approvazione e liquidazione delle spese indicate nelle contabilità scolastiche mensili e varie -Tenuta degli impegni e scritture partitarie riassuntive per il servizio dell'emigrazione e delle scuole italiane all'estero-Monte pensione dei maestri elementari -Emissione dei mandati di pagamento relativi ai suddetti servizi.

Direttore capo della divisione: CroTTr Remigio (Em.), direttore capo di ragioneria dell'emigrazione.

Capi sezione: TARINI Ugo (F), Tuzi Alberto (F).

Segretari: BLANDI Silvio (Em.), segretario capo; VoLPE Mario (F), primo segretario; ZICARI Eugenio (F), GARGANO Guglielmo (F), vice segretari.

DIVISIONE III

Revisione, approvazione e liquidazione delle contabilità dei rr. uffici diplomatici e consolari all'estero, nonché di quelli di pubblica sicurezza di confine -Contabilità degli agenti della riscossione -Conti giudiziali -Servizio marche consolari -Tenuta degli impegni relativi alle spese del funzionamento dei rr. uffici all'estero, emissione dei mandati dì pagamento -Conti correnti del personale diplomatico e consolare in dipendenza delle gestioni all'estero Esame dei rendìcontì di spesa sulle aperture di credito e sugli ordini di accreditamento -Liquidazione dei conti delle società di navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti -Revisione bilanci e contabilità del possedimento delle isole italiane dell'Egeo.

Direttore capo della divisione: PoNCINI Francesco (F), direttore capo di divisione.

Capo sezione: DE ANNA Giuseppe (F).

Segretari: RoMANO Giuseppe (F), AsBOLLI Attilio (F), consiglieri; MARTINA Filippo (F), primo segretario; DRAGO Giuseppe (F), CATANIA Antonino (F), vice segretari.

CONSULENTI GIURIDICI

Consulente generale: N.N.

Consulenti: SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe, consigliere di Stato, senatore; ALBERTAZZI Enrico, presidente di sezione della Corte di cassazione; GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di la classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nell'Università di Roma, senatore, direttore generale degli affari commerciali; MONTAGNA Raffaele, consigliere di Stato con titolo onorario di consigliere di legazione; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nell'Università di Roma; Bosco Giacinto, professore ordinario di diritto internazionale nell'Istituto superiore di scienze politiche e sociali Cesare Alfieri di Firenze; BENEDETTI Dante, sostituto procuratore generale della Corte d'appello.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO (Jo gennaio -30 giugno I937)

AFGHANISTAN

Kabul -QuARONI Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ALBANIA

Tirana -JAcoMONI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LA TERZA Pierluigi, primo segretario, fino al 21 gennaio; BABUSCIO Rizzo Francesco, primo segretario, dal 6 gennaio; PRATO Eugenio, vice console con funzioni di terzo segretario; D'ANTONI Giovanni, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

ARABO-SAUDIANO (Regno)

Gedda -SILLITTI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 10 marzo; P AVERI FoNTANA Alberto, console con funzioni di primo segretario, dal 5 maggio; BELLINI Leone Fabiano, interprete.

ARGENTINA

Buenos Aires -GUARIGLIA Raffaele, ambasciatore; RULLI Guglielmo, consigliere; SERENA DI LAPIGIO Ottavio, primo segretario; BARBARICH Alberto, primo segretario, dal 16 gennaio; MAJOLI Mario, vice console con funzioni di secondo segretario; FIORI Romeo, direttore capo divisione nei ruoli del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione con funzioni di consigliere dell'emigrazione; MANCINI Tommaso, addetto commerciale; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico e navale (residente a Rio de Janeiro).

AUSTRIA

Vienna -SALATA Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, consigliere di Stato, senatore; STRANEO Carlo, primo segretario; DEL BoNo Giorgio, console con funzioni di secondo segretario; P AVERI FoNTANA Alberto, console con funzioni di terzo segretario, fino al 4 maggio; Dr NoLA Carlo, addetto commerciale; PoNZA DI SAN MARTINO Dionigi, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PALLOTTA Natale, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

BELGIO

Bruxelles-PREZIOSI Gabriele, ambasciatore; CosMELLI Giuseppe, consigliere; PERRONE DI SAN MARTINO Ettore, primo segretario, fino al 27 maggio; P ANSA Mario, primo segretario, dal 6 aprile; DucA Giovanni, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale (residente a Parigi); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico.

BOLIVIA

La Paz -MARIANI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

BRASILE

Rio de Janeiro -LOJACONO Vincenzo, ambasciatore, dal 13 maggio; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario con funzioni di consigliere; TELESIO Giuseppe, primo segretario; CASTELLANI Augusto, console con funzioni di secondo segretario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico e navale.

BULGARIA

Sofia-SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; V ANNI n'ARCHIRAFI Francesco Paolo, primo segretario; PAULuccr Mario, vice console con funzioni di secondo segretario; LIBRANDO Gaetano, addetto commerciale; SovERA Tullio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; PERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

CECOSLOVACCHIA

Praga -DE FACENDIS Domenico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BoRGA Guido, primo segretario; SrLVESTRELLI Luigi, console con funzioni di secondo segretario; RALLO Pietro, addetto commerciale; RODA Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PALLOTTA Natale, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

CILE

Santiago -MARCHI Giovanni, ambasciatore; 0TTAVIANI Luigi, consigliere, dal 4 febbraio; GABRICI Tristano, vice console con funzioni di secondo segretario, fino al 12 maggio; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CINA

Pechino -LOJACONO Vincenzo, ambasciatore, fino al 15 febbraio; CORA Giuliano, ambasciatore, dal 12 aprile; BONARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, consigliere, fino a febbraio; BABUSCIO Rizzo Francesco, primo segretario, fino al 5 gennaio; RossET DESANDRÉ Antonio, primo segretario; ALESSANDRINI Adolfo, primo segretario con funzioni di consigliere, dall'8 marzo; GIUSTI DEL GIARDINO Justo, vice console con funzioni di secondo segretario; ANGELONE Romolo, addetto commerciale; VINCENTI MARERI Francesco, ff. interprete; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Tokio); SPAGONE Gino, tenente di vascello, con funzioni di addetto navale; CHIAPPARO Alfonso, tenente, addetto aeronautico.

COLOMBIA

Bogotà -CANTONI MARCA Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

COSTARICA

S. ]osé -FARALLI Iginio U go, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CUBA

L 'Avana-MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

DANIMARCA

Copenaghen -CAPASSO TORRE DI CAPRARA Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 12 marzo; GIARDINI Renato, primo segretario; Luzi Renato, addetto commerciale; MARRAS Efisio, colonnello di artiglieria, addetto militare (residente a Berlino); BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

DOMINICANA (Repubblica)

San Domingo -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EGITTO

Cairo -GHIGI Pellegrino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BALDONI Corrado, primo segretario, dal 6 gennaio; MELLINI PONCE DE LEON Alberto, console con funzioni di secondo segretario; MAzro Aldo Maria, vice console con funzioni di terzo segretario; MASCIA Vittorio, consigliere di governo di prima classe; OMAR Umberto, interprete; BuFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SAL V ADOR (Repubblica di)

San Salvador -BoMBIERI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EQUATORE

Quito-DE LIETO Casimiro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

ESTONIA

Tallinn -CrccoNARDI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

FINLANDIA

Helsinki -KocH Ottaviano Armando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; COPPINI Maurilio, primo segretario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a V arsa via); TEuccr Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -CERRUTI Vittorio, ambasciatore; ScADUTO MENDOLA Gioacchino, consigliere; DELLA PoRTA Francesco, primo segretario; LANDINI Amedeo, console generale; STRIGARI Vittorio, console con funzioni di secondo segretario, fino al 7 maggio; DE FERRARIIS SALZANO Carlo, vice console con funzioni di terzo segretario; BARATTIERI DI SAN PIETRO Ludovico, vice console con funzioni di quarto segretario; TOMMASINI Mario, consigliere dell'emigrazione; SALLIER DE LA TouR Carlo, vice consigliere dell'emigrazione; BARBASETTI DI PRUN Curio, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale; ERCOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico; RoMANO Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto.

GERMANIA

Berlino -ATTouco Bernardo, ambasciatore; MAGISTRATI Massimo, consigliere; ZAMBONI Guelfo, primo segretario; GIUSTINIANI Raimondo, console con funzioni di secondo segretario; T ASSONI EsTENSE Alessandro, vice console (dal 20 febbraio console) con funzioni di terzo segretario; RICCIARDI Adelchi, consigliere commerciale; MARRAS Efisio, colonnello di artiglieria, addetto militare; BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale; TEUCCI Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico; GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto.

GIAPPONE

Tokio-AuRITI Giacinto, ambasciatore; ScAMMACCA Michele, primo segretario con funzioni di consigliere; GARBACCIO Livio, primo segretario; MELKAY Almo, interprete; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; GHÈ Alberto, capitano di fregata, addetto navale.

GRAN BRETAGNA

Londra -GRANDI Dino, ambasciatore, deputato; CROLLA Guido, consigliere; FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, primo segretario; DEL BALZO Giulio, console con funzioni di secondo segretario; CASARDI Aubrey, console con funzioni di terzo segretario; BRUGNOLI Alberto, console con funzioni di quarto segretario, fino al 10 gennaio; LANZA Michele, console con funzioni di quarto segretario, fino al 24 giugno; Gozzi Giorgio, console con funzioni di quarto segretario, dal 18 gennaio; DE FACCI NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; CECCATO Giovanni Battista, consigliere commerciale; RUGGERI LADERCHI Cesare, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRIVONESI Bruno, capitano di vascello, addetto navale; CALDERARA Attilio, colonnello, addetto aeronautico.

GRECIA

Atene -BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; JANNELLI Pasquale, primo segretario, dal 19 febbraio; SERAFINI Giorgio, console con funzioni di secondo segretario; DE SANTO Demetrio, interprete; MoRIN Sebastiano, capitano di fregata, addetto navale e aeronautico; BOGLIONE Gabriele, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente ad Ankara).

GUATEMALA

Guatemala -BoMBIERI Enrico, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HAITI

Porto Principe -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HONDURAS

Tegucigalpa -BOMBIERI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala); LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

IRAN

Teheran -GEISSER CELESIA DI VEGLIASCO Andrea, inviato straordinario e m1mstro plenipotenziario, fino al 20 gennaio; PETRUCCI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal25 maggio; MARINI Vittorio, primo segretario; BIGI Luciano, capitano di fregata, assistente addetto navale; PENNACCHIO Luigi, interprete.

IRAQ

Bagdad -GABBRIELLI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; POLLICI Dante, interprete.

JUGOSLAVIA

Belgrado-INDELLI Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAPRANICA DEL GRILLO Giuliano, primo segretario; BAISTROCCHI Ettore, console con funzioni di secondo segretario; ScELDIA Antonio, interprete; BENEDETTI Giovanni Paolo, delegato commerciale; KELLNER Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; MORIN Sebastiano, capitano di fregata, addetto navale (residente ad Atene).

LETTONIA

Riga -ROGERI DI VILLANOVA Delfino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Rossi LoNGHI Gastone, primo segretario, fino al 12 gennaio; GuoLIELMINETTI Giuseppe, primo segretario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -FRANSONI Francesco, inviato straordinario e mmtstro plenipotenziario; MARRAS Efisio, colonnello di artiglieria, addetto militare e aeronautico (residente a Berlino); TEUCCI Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -DIANA Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Messico -MARCHETTI DI MURIAGLIO Alberto, inviato straordinario e mmtstro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NICARAGUA

M anagua -FARALLI Iginio U go, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a S. José di Costarica); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NORVEGIA

Oslo -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Muzi FALCONI Filippo, primo segretario; Luzi Renato, addetto commerciale (residente a Copenaghen); BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PAESI BASSI

L 'Aja -TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE VERA n'ARAGONA Carlo Alberto, primo segretario; NOTARANGELI Tomm~so, addetto commerciale; DucA Giovanni, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Bruxelles); BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PANAMA

Panama-CAPANNI ltalo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PARAGUAY

Assunzione -DE ANGELIS Mariano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PERÙ

Lima-TALAMO ATENOLFI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Rossr LoNGHI Gastone, primo segretario, dal 13 gennaio; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

POLONIA

Varsavia -ARONE DI VALENTINO Pietro, ambasciatore; CARISSIMO Agostino, consigliere; Dr STEFANO Mario, primo segretario; CIRAOLO Giorgio, vice console con funzioni di secondo segretario; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare, navale e aeronautico.

PORTOGALLO

Lisbona -MAMELI Francesco Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE PAOLIS Pietro, primo segretario, fino al 18 gennaio; LA TERZA Pierluigi, primo segretario, dal 22 gennaio; MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid); GABRIELLI Manlio, tenente colonnello di fanteria, addetto militare (residente a Madrid); BALSAMO Carlo, capitano di fregata, addetto navale (residente a Madrid), fino a gennaio; MoNrco Umberto, capitano di fregata, addetto navale (residente a Madrid), da gennaio; FERRARIN Francesco, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest-SoLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; OTTAVIANI Luigi, consigliere, fino al 3 febbraio; CAPECE GALEOTA Giuseppe, primo segretario; DALLA RosA PRATI Rolando, console con funzioni di secondo segretario; DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; DELLA PORTA RomANI CARRARA Guglielmo, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

SANTA SEDE

Roma-PIGNATTI MoRANO DI CusTOZA Bonifacio, ambasciatore; CASSINIS Angiolo, consigliere; VENTURINI Antonio, console con funzioni di primo segretario.

SIAM

Bangkok-CoRTINI Claudio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GHÈ Alberto, capitano di fregata, addetto navale (residente a Tokio).

SPAGNA

Madrid -DE CIUTIIS DI SANTA PATRIZIA Filippo, consigliere, incaricato d'affari fino al 9 febbraio; CANTALUPO Roberto, ambasciatore, dal 10 febbraio al 5 aprile; Bossi Carlo, console generale, dal 3 aprile; SETTI Giuseppe, console con funzioni di secondo segretario, fino al l o gennaio; GAETANI DELL'AQUILA D'ARAGONA Massimo, vice console con funzioni di secondo segretario, dal 25 febbraio; MARIANI Erminio, consigliere commerciale; GABRIELLI Manlio, tenente colonnello di fanteria, addetto militare; FERRARIN Francesco, tenente colonnello, addetto aeronautico; BALSAMO Carlo, capitano di fregata, addetto navale, fino a gennaio; MoNICO Umberto, capitano di fregata, addetto navale, da gennaio.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -SuviCH Fulvio, ambasciatore; Rossi LONGHI Alberto, consigliere; DEL DRAGO Marcello, primo segretario; CAPOMAZZA Benedetto, console con funzioni di secondo segretario; ROBERTI Guerino, console con funzioni di terzo segretario; BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; BIFULCO Vittorio, vice consigliere dell'emigrazione; BALLERINI Elisio, consigliere commerciale; CUGIA DI SANT'ORSOLA Umberto, capitano di fregata, addetto navale; COPPOLA Vincenzo, tenente colonnello, addetto aeronautico e militare.

SUD AFRICA

Capetown -CHIARAMONTE BORDONARO Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STRIGARI Vittorio, console con funzioni di primo segretario, dall'8 maggio.

SVEZIA

Stoccolma -MELI LuPI DI SoRAGNA TARASCONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MONACO Adriano, primo segretario; Luzi Renato, addetto commerciale (residente a Copenaghen); MARRAS Efisio, colonnello di artiglieria, addetto militare (residente a Berlino); BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MASCIA Luciano, primo segretario; SACERDOTI Renzo, console con funzioni di secondo segretario; PELLEGRINI Vincenzo, addetto commerciale; FANTONI Euclide, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ERCOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico (residente a Parigi); RoMANO Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

TURCHIA

Ankara -GALLI Carlo, ambasciatore; DE Asns Giovanni, primo segretario con funzioni di consigliere; CASTRONUOVO Manlio, console con funzioni di secondo segretario; ARRIVABENE Antonio, reggente la delegazione commerciale; PISA Ezra, interprete; BoGLIONE Gabriele, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico; BIGI Luciano, capitano di fregata, assistente addetto navale.

UNGHERIA

Budapest -VINCI GIGLIUCCI Luigi Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BALDONI Corrado, primo segretario, fino al 5 gennaio; FoRMENTINI Omero, primo segretario; DE GRENET Filippo, console con funzioni di secondo segretario; DI NoLA Carlo, addetto commerciale (residente a Vienna); MATTIOLI Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PALLOTTA Natale, tenente colonnello, addetto aeronautico.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca -Rosso Augusto, ambasciatore; BERARDIS Vincenzo, consigliere; MIGONE Bartolomeo, primo segretario; GuASTONE BELCREDI Enrico, vice console con funzioni di secondo segretario; BARIGIANI Andrea, addetto commerciale; RELLI Guido, interprete; PIACENZA Guido, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

URUGUAY

Montevideo-MAZZOLINI Serafino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARBONELLI DI LETINO Raimondo, console con funzioni di primo segretario, fino al 26 gennaio; PERRONE DI SAN MARTINO Ettore, primo segretario, dal 28 maggio; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

VENEZUELA

Caracas -DE PROBIZER DI WEISSEMBERG E ROTHENSTEIN Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA (lo gennaio -30 giugno 1937)

Afghanistan -SAMAD Abdul khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RASSOUL Mohamed khan, segretario.

Albania -VILLA Djafer, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; XHOMO Vasfi, primo segretario.

Arabo-Saudiano (Regno) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Argentina-CANTILO José Maria, ambasciatore; CHIAPPE Felipe, consigliere; ONETO AsTENGO Oscar, primo segretario; PoNTI J osé Carlos, secondo segretario; F OPPA Tito Livio, console, addetto stampa; CoMOLLI Guido, addetto commerciale; RoGGERO Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, dal 6 maggio.

Austria -BERGER WALDENEGG Egon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RoTTER Adrian, consigliere; FALSER Meinrad, primo segretario; RIEDL-RIEDENSTEIN Friedrich, addetto; FruEBERGER Kurt, consigliere ministeriale, addetto stampa; LIEBITZKY Emil, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico.

Belgio-DE LIGNE Albert, ambasciatore (assente); DU CHASTEL DE LA HOWARDERIE Ferdinand, consigliere, incaricato d'affari; DE MEEUS Hadelin, primo segretario; LAMY Léon, addetto; CARLIER Georges, addetto, dal l o aprile.

Bolivia -CORTADELLAS Alberto, ministro plenipotenziario, incaricato d'affari (ad interim), dal 18 febbraio; JORDAN Jorje, tenente colonnello, addetto militare e aeronautico, dal 29 marzo.

Brasile -GUERRA DuvAL Adalberto, ambasciatore; FERREIRA DE MELLO Rubens, primo segretario; MATHIAS DE Assis SILVEIRA Paulo, secondo segretario; DE SouzA GoMES Henrique, secondo segretario, dal 21 aprile; LATOUR Jorge, secondo segretario, dall'l l maggio; DE MIRANDA PACHECO Mario W., addetto (assente); SPARANO Luiz, addetto commerciale.

Bulgaria -PoMENOV Svétoslav, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; KARANDJULOV Anton, primo segretario; TONTCHEV Petr, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare.

Cecoslovacchia -CHVALKOVSKY Frantisek, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRAUNER Vladimir, consigliere; HERMAN Frantisek, primo segretario; STANE Vojtech, segretario; KusKA Theodor, consigliere per la stampa; KLECANDA Vladimir, generale di divisione, addetto militare e aeronautico.

Cile-CARIOLA MAFFEI Luis Alberto, ambasciatore; CUEVAS IRARRAZABAL Hernan, consigliere, dal 5 giugno; BARRIGA Jorge, consigliere commerciale; F!RMANI René, addetto commerciale; HERRERA Ariosto, colonnello, addetto militare; LECASSIE Juan, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles).

Cina-Lru VoN-TAo, ambasciatore; SHEN TsouTON, consigliere; CHu YIN, primo segretario; HWANG TA-CHUNG, secondo segretario; YoH LuN, terzo segretario; LIU TsiEN, terzo segretario; CHI KENG-MAo, addetto; CHEN CHIA-POH, addetto; CHAU-HWA Kuo, capitano, addetto militare aggiunto; FANG Jou, capitano, addetto militare aggiunto.

Colombia -CAICEDO CASTILLA José Joaquin, incaricato d'affari; CABALLERO EscovAR Enrique, primo segretario; F AILLACE Carlos A., addetto, dal 15 aprile.

Cuba -ZAYAS Y Rurz Enrique, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (assente); TABERNILLA Y DoLz Carlos, consigliere, incaricato d'affari (ad interim), dal 26 febbraio; BRULL Y CABALLERO Mariano, consigliere; RIVERO Y MACHLADO Nicolas, addetto, dal 15 marzo.

Danimarca -KRusE Johan Christian Westergaard, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WICHFELD Hubert, consigliere.

Dominicana (Repubblica) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CALDERON Telesforo R., primo segretario, incaricato d'affari (ad interim), dal 14 maggio; PARADAS Salvador Emilio, secondo segretario; TRUJILLO MoLINA Anibal, generale di brigata, addetto militare.

Egitto -EL-SADEK Mostafà, bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HosNY Ornar Mohamed, primo segretario; TAHER AL-OMARI Mohamed, addetto agricolo; MoNEIM Mohamed Abdel, addetto; AMIN GHALI Ibrahim, addetto.

El Salvador (Repubblica di) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Estonia -LEPPIK Johan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANSON Davide, primo segretario.

Finlandia-voN KNoRRING Helge, incaricato d'affari (ad interim); SNELLHAN Aame, colonnello, addetto militare e aeronautico (residente a Berlino).

Francia -BLONDEL Jules François, ministro plenipotenziario, incaricato d'affari (ad interim); GUERIN Hubert, consigliere; GARNIER Jean Paul, secondo segretario; BOPPE Roger, addetto; SANGUINETTI Joseph, console generale, addetto commerciale; MrNGALON André, addetto commerciale aggiunto; LEROY BEAULIEU Paul, addetto finanziario; PARISOT Henri, generale di brigata, addetto militare; PouPON Roger, colonnello, addetto aeronautico; CATOIRE, capitano di cavalleria, addetto militare aggiunto; DE LAFOND Gervais, capitano di vascello, addetto navale.

Germania -voN HASSELL Ulrich, ambasciatore; voN PLESSEN Johann, consigliere; zu ScHAUMBURG-LIPPE Stephan, consigliere; ETTEL Ervin, consigliere, dal 7 gennaio; SCHMID-KRUTINA Hermann, primo segretario; VON HOHENTHAL Joachim, segretario; voN ETZDORF Hasso, segretario, dal 16 febbraio; BERGER Karl, addetto; GRAEFF Friedrich, addetto commerciale; KOEHLER Fritz, addetto per l'agricoltura; MoLLIER Hans, addetto stampa; VON RINTELEN Enno, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; LANGE Werner, capitano di vascello, addetto navale; ScHULTHEISS Paul, tenente colonnello dell'arma aeronautica, addetto aeronautico; PRETZELL Gerhard, maggiore, addetto militare aggiunto.

Giappone -SuGIMURA Yotaro, ambasciatore; MATSUMIYA Hajime, consigliere; Kuno Tadao, secondo segretario; ONo Kotaro, terzo segretario; INOUYE Kenso, segretario interprete di seconda classe; YosHIURA Morizumi, segretario interprete di seconda classe; HAGA Shiro, addetto; NuNATA Takazo, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; ARISUE Seizo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; HrRAIDE Hideo, capitano di fregata, addetto navale e aeronautico; TOKI Hokoji, maggiore di artiglieria, addetto militare aggiunto.

Gran Bretagna -DRUMMOND sir Eric, ambasciatore; lNGRAM Edward, consigliere; NoswoRTHY Richard Lysle, consigliere per gli affari commerciali; Mc CLURE sir William, addetto stampa con rango di consigliere; NrcHOLS Philip, primo segretario; YENCHEN A.F., primo segretario, dal 12 marzo; NOBLE Andrew, secondo segretario; LoMAX J.G., secondo segretario per gli affari commerciali; GREY P.F., terzo segretario; HARPHAM W., terzo segretario per gli affari commerciali; LAVER W.S., assistente del consigliere commerciale; ScHOFIELD A. H., addetto onorario; MoTT-RADCLYFFE C. E., addetto onorario; STONE Robert, colonnello, addetto militare; BEVAN R.H., capitano di vascello, addetto navale; DACRE George, colonnello, addetto aeronautico; MEDHURST C.E., colonnello, addetto aeronautico, dal 14 maggio; DAVEY B.C., capitano, addetto militare aggiunto; COBB R., comandante, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

Grecia -METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DALIETOS Aleksandros, consigliere; CoNTOUHAS Aleksandros, primo segretario.

Guatemala -DuRAN MoLLINEDO Victor, generale, incaricato d'affari, dal 17 aprile inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DURAN Y FIGUEROS J. Ramiro, segretario.

Haiti -LARAQUE Enrico Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Iran -SAED Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ADJED-DAVALLOU Mohammed, primo segretario; KHosROVI Abdullah, addetto.

Iraq -AL-PACHACI Muzahim, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AL-FALAHI Abdul Rahman, secondo segretario; AL-PACHACHI Taher, addetto.

Jugoslavia -Ducié Y o v an, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELJANSKI Pau!, consigliere; GAVRILOVIé Milivoje, primo segretario; KOTNIK Ciril, addetto; PLAMENATZ Ilia, addetto; ZAJCié Bozidar, addetto stampa; TROJANOVIé Radmilo, maggiore di artiglieria in servizio di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico; JuNGié Dragoslav, capitano d'aviazione, addetto militare, navale e aeronautico aggiunto.

Lettonia -SPEKKE Arnolds, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RIEKSTINS Janis, primo segretario.

Lituania-CARNECKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILEISIS Petras, segretario.

Messico -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILLATORO Gustavo, consigliere, incaricato d'affari (ad interim); GARZA RAMOS Mario, vice console, addetto; ALAMILLO FLORES Luis, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Parigi).

Monaco -CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -lRGENS Johannes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGENSTEN Ove C.L., primo segretario; BAKKE Amold, consigliere commerciale (residente a Bema).

Paesi Bassi-N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAN PANHUYS W.E., segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Panama -ARIAS Arnulfo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, BURGOS Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 6 aprile; JIMENEZ DE Roux E., segretario; VALDES Manuel Maria, segretario, dal 6 febbraio.

Paraguay-O'LEARY Juan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 10 aprile; DI PAOLA Nuncio, segretario, dal 22 maggio.

Perù-MANZANILLA José Matias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LANATA CouoY Luis F., primo segretario; GILARDI VERA Carlos A., colonnello, addetto aeronautico (residente a Parigi).

Polonia-WYSOCKI Alfred, ambasciatore; ZAWISZA Aleksander, consigliere; CHROMECKI Tadeusz, segretario; MAZURKIEWICZ Roman, consigliere commerciale; SzELISKI Jan, addetto; MIKULSKI Boeslav, addetto onorario; MICHALOWSKI Jozef, addetto onorario; NIEWEGLOWSKI Cezary, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

Portogallo -LoBo o'AviLA LIMA José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAZ SARAFANA José Eduardo, primo segretario.

Romania -LUGOSIANU Ion, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRABETZIANU Victor, consigliere; CoNSTANTINIDE Noti, consigliere, dal 16 giugno; BILCIURESCU Grigore, segretario; AoAMIU Aureliano, addetto; PoRN Eugen, consigliere commerciale; ENESCO Mihail, addetto commerciale aggiunto; KIRITZESCU Alexandre, consigliere per la stampa, dal 3 marzo; DAMACEANU Dumitru, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare; Guom Jean, maggiore di aviazione, addetto aeronautico; DuMITRESCU Gheorghe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Londra).

Santa Sede -BoRGONCINI DucA Francesco, monsignore, nunziO apostolico; MISURACA Giuseppe, monsignore, uditore.

Siam -VIRAJAPHAK Phra Riem, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VISUTRA VIRAJJADES Luang, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim) dal 22 febbraio; PRASERT MAITRI Luang, secondo segretario; SuvANADAT Vijien, secondo segretario; JITAWI Luang, terzo segretario.

Spagna-GARCIA CoNDE Pedro, incaricato d'affari; FoRNS Rafael, primo segretario; JoRRO Jaime, secondo segretario; CARRASCO Manuel, addetto onorario (residente a Bologna); VILLEGAS Manuel, comandante di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; ESTRADA Rafael, capitano di fregata, addetto navale; GENOVA Arturo, capitano di fregata, addetto navale, dal 12 febbraio.

Stati Uniti d'America-PHILLIPS William, ambasciatore; KIRK Alexander C., consigliere; GADE Gerhard, secondo segretario; REBER Samuel, secondo segretario; Mc GREGOR Robert G., jr., terzo segretario; LIVENGOOD Charles A., addetto commerciale; HOOPER Malcom P., addetto commerciale aggiunto; THOMSON Thaddeus Austin, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico per la marina; PAINE George H., colonnello di artiglieria, addetto militare e aeronautico; FisKE Norman E., maggiore, addetto militare aggiunto; WHITE Thomas D., capitano dell'aeronautica, addetto militare e aeronautico aggiunto; DEL VALLE Pedro Augusto, tenente colonnello di marina, addetto navale aggiunto; FORRESTEL Emmet Peter, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto; FURER Julius Augustus, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra); SHOEMAKER James Marshall, capitano di fregata, addetto navale e aeronautico aggiunto (residente a Parigi); HooosoN Jack C., capitano dell'arma aeronautica, addetto militare e aeronautico aggiunto, dal27 aprile.

Sud Africa (Unione del) -HEYMANS Albert, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HoRN Emil F., segretario; GELDENHUYS Frans Eduard, consigliere commerciale; V AN DER MERWE D. C., addetto; KrRSTEN Robert, addetto, dall'Il maggio.

Svezia-SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SOHLMAN Rolf R., primo segretario; BAGGE H., addetto; BRUSEWITZ Sven, addetto, dal 16 febbraio; SAMUELSON J.A., capitano di corvetta, addetto navale e aeronautico.

Svizzera-RuEGGER Paul, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MrcHELI Louis H., consigliere; FUMASOLI Mario, primo segretario; MALLET Bernard, secondo segretario; SEIFERT Otto, addetto.

Turchia -BAYDUR Huseyin Ragip, ambasciatore; KARABUDA Zeki, consigliere; BrRDEN Abdulahat, secondo segretario; ZrYAL Celai, secondo segretario, dal 3 aprile; BELBEZ Nejdet Tahir, terzo segretario; KARAGULLE Halil Mithat, consigliere commerciale; HAYIROGLU Mahmut Nedim, addetto stampa; ZIYA Komut, capitano di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico (ad interim); AKA Naci, tenente colonnello, addetto militare e aeronautico, dal 7 giugno; ARNOM Refet, capitano di corvetta di Stato Maggiore, addetto navale, dal 5 gennaio.

Ungheria-VILLANI Federico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE VEGH Miklos, consigliere; DE HERTELENDY Ladislav, segretario; BETHLEN Gabriele, addetto; DE MARFFY-MANTUANO Tommaso, addetto, dal 15 maggio; HuszKA Istvan, addetto stampa; SzABO' Ladislav, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche-STEIN Boris, ambasciatore; HELFAND Lev, consigliere; DNEPROFF Pavel, secondo segretario; SCEININ Grigorij, secondo segretario; BELENKI Boris, rappresentante commerciale; PoPov Ivan, rappresentante commerciale aggiunto; BrASI Nikola, colonello, addetto militare e aeronautico; ScEI Boris, addetto navale; CERNAIEV Nikifor, addetto aeronautico aggiunto.

Uruguay -N.N., inviato straordinario e m1mstro plenipotenziario; GRUNWALDT CuESTAS Federique, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim); FABREGAT Gilbert Caetano, secondo segretario; PIAGGIO BLANCO Raul, addetto onorario; GAVAZZO José, capitano di artiglieria, addetto militare.

Venezuela-KEY AYALA Santiago, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CASAS BRICENO J. M., consigliere; RoJAS Hugo, addetto.